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Ipod e Ipodders: tecnologie e nuove sensualità del socialismo digitale
Federica Pellegrini si isola con il suo iPod prima di una gara. Possibile? Cosa rappresenta questo
strumento tecnologico, questo contenitore personalissimo? Marco Stancati prova a dare
un'interpretazione in un articolo pubblicato su NEXT-Strumenti per l'Innovazione (ed. S3
Studium) e riproposto oggi da Eccellere.
di Marco Stancati
Siamo in un “concept store” nel cuore di Roma. Estate del 2009.
Su un mega schermo i mondiali di nuoto. La mitica Federica
(Pellegrini) ha appena conquistato l’oro dei 400metri stile libero e
il cuore dei clienti dello store, di Roma e di mezzo mondo. “…Ero
tesissima, forse avevo la febbre, mi sono attaccata al mio Ipod
per trovare la concentrazione…” dichiara ai mass media la sirena
veneziana che ha solleticato l’orgoglio nazionale e restituito un
po’ d’immagine all’Italia, mentre il Paese è oggetto dei sarcasmi
internazionali per le performance erotiche del suo premier. Un
rappresentante, elegantissimo, della sempre più prestante terza
età chiede cosa sia un Ipod. “E’ il meglio degli MP3; è dell’Apple!”
gli risponde frettolosamente un palestrato con tatuaggio celtico.
Buio profondo per Lord Brummel che si rivolge altrove. Cosa
sono? “I lettori MP3 sono essenzialmente dei riproduttori di musica, codificata nello standard MP3 appunto spiega professionalmente il suo interlocutore - Questo standard consente di ridurre enormemente la
quantità di dati richiesti per memorizzare un suono, assicurando comunque una buona riproduzione del
brano originale.
E l’Ipod? “L’Ipod è il più noto e diffuso di questi lettori, di qualità superiore per suono, leggerezza,
portabilità, design e quantità di funzioni.”
“Insomma un walkman!” suggerisce, illuminandosi, l’elegante settantenne. “Diciamo che l’Ipod è il nipotino
del walkman. Molto, molto più evoluto” e gli porge, sorridente e conciliante, un Ipod in prova. “ Questo è
identico a quello di Federica Pellegrini”.
Cuffiette bianche nelle orecchie, la versione italica di lord Brummel va in estasi quasi immediatamente e, a
voce un po’ troppo alta, sentenzia: “Grande Frank, non ce ne sono più di voci così!”. Ovviamente il
commesso (anzi lo shop assistant) è totalmente d’accordo. Dopo qualche minuto di addestramento, il
signore esce con il suo nuovo giocattolo, il filo bianco biforcuto preziosamente intrecciato con la cravatta di
Ferragamo.
Addio nonno walkman, il nonno umano si è schierato con i suoi (e i tuoi) nipoti.
Nonno walkman. Era una sorta di personal jukebox portatile, obbediente, discreto ed educato che
erogando musica direttamente nelle orecchie del felice possessore evitava di “scassare i cabasisi” del
mondo circostante. Non fu accolto male (anzi!) dai non utilizzatori che, già in precedenza, avevano
guardato con sollievo agli auricolari per le radio a transistor e che nel tempo avevano invece convissuto,
con sistematico rancore, con i jukebox e tutta la sua progenie portatile: mangiadischi, stereo da auto e da
spiaggia, mangiacassette, casse amplificate ecc.
Ovviamente ci furono anche correnti di pensiero che mossero al walkman critiche analoghe a quelle con le
quali si stigmatizza, oggi, l’uso sempre più diffuso dell’Ipod: spingerebbe i suoi utilizzatori verso
l’introversione, isolerebbe l’individuo dalla società circostante, genererebbe pericolose cadute di attenzione
nei sempre più trafficati contesti urbani, provocherebbe danni progressivamente permanenti al sistema
uditivo. E cerebrale, secondo i critici più pessimisti.
Ma l’Ipod, come altri lettori MP3 della cui famiglia è l’esponente più noto e di tendenza, sono
significativamente diversi dal walkman e danno luogo ad una più articolata fenomenologia.
L’Ipod è un’altra cosa. Rispetto al vecchio walkman è molto più piccolo e molto più leggero e, nell’era del
“meglio longilineo”, si presenta con un design mintec (minimalista/tecnologico) più accattivante. E poi ha lo
schermo, che gli consente la multimedialità negata all’avo: musica, foto, video, programmi e trasmissioni
scaricati da Internet, mixaggi ed altre personalizzazioni. E tutto questo patrimonio di informazioni e
conoscenza è scelto, costruito, assemblato, combinato dal possessore: come dire un livello di
soggettivizzazione dei contenuti e dello strumento stesso distante anni luce dalla ben più ridotta possibilità
di personalizzazione di walkman e mangiacassette. I quali, per poter erogare un qualunque servizio,
avevano bisogno di un supporto esterno (cassette, dischi, cd) con inevitabili periodiche crisi per
smarrimento, dimenticanza, scelte errate. Oggi tutto questo patrimonio personale è contenuto direttamente
nello strumento che, per l’importanza che ha assunto per l’utilizzatore, diventa una sua protesi
irrinunciabile, un oggetto d’ffezione, quasi un’espressione del sé basata su un misto di “creatività ed
erotismo” (questi due termini sono stati usati dalla maggioranza di un gruppo di 40 studenti della Sapienza,
Università di Roma da me invitati a un brainstorming sul significato dell’Ipod). Cominciamo dall’erotismo.
“L’Ipod è erotico!?” mi domanda scettico un collega docente alla Facoltà di Medicina, nostalgico
collezionista di Renzo Arbore e, come lui, di barocchi jukebox che lo confortano dalle nevrosi del quotidiano.
“Il jukebox sì, lui è erotico!” afferma con certezza liberando il ricordo (anni sessanta), immancabilmente in
agguato: “Aspettavo di vederla comparire all’angolo del bar, scortata dall’immancabile zia. Infilavo la
moneta e guardavo partire il braccetto meccanico, prelevare il disco e infilarlo con una sinuosa veronica sul
piatto. Esplodevano le prime note e lei, passando davanti al bar, si aggiustava due volte i capelli, da
sinistra a destra, come segnale convenuto. Stasera è la volta che me la dà, pensavo. Non succedeva
(quasi) mai. Ma l’orgasmo stava già nella speranza, nella metafora del braccetto che si ficcava nella fessura
giusta e prelevava con eleganza l’oggetto del desiderio!” Ovviamente l’uso del termine “ficcare”, in
espressionistico e ossimorico contrasto con l’asserita eleganza, non è casuale. Il nostalgico chirurgo, infatti,
è nato a Cefalù, Sicilia occidentale: da quelle parti “ficcare” ha un senso preciso, che esprime un obiettivo
maschile molto diffuso.
L’Ipod – provo a spiegargli, mostrandoglielo – sta senza sforzo in una sola mano, anzi tra indice e pollice.
Quest’ultimo lo accarezza continuamente con movimenti delicati su una delle due forme geometriche che
appaiono sulla sua superficie: la ghiera circolare dei comandi, l’altra è il rettangolo dello schermo. Il
concentrare quattro gruppi di comandi tutti nello spazio ristretto della ghiera genera la necessità di
un’educazione al tocco sapiente, leggero e preciso; micromovimenti che consentono di ottenere una
pluralità di prestazioni satisfattive, di grande qualità e potenza, per udito e vista. Il tutto a fronte di un
gesto che non richiede neanche un minimo di energia fisica, come poteva essere il pigiare pulsanti dei
vecchi apparecchi meccanici, ma una sensualità gestuale tanto lieve nel movimento quanto consapevole
degli effetti. Il chirurgo di Cefalù emette la sua diagnosi comparativa: “ Con il jukebox si ficca, con l’Ipod si
titilla. Scientifico!”. Fatta la tara alla semplificazione da slogan, la sintesi è efficace.
L’Ipod è creativo? Se si intende che questo strumento-icona dei nostri giorni ci consente di esprimere la
nostra creatività culturale, la risposta dovrebbe essere negativa. Casomai ci consente di esprimere
l’individualità delle nostre scelte, quindi è uno strumento identitario. Certamente ci consente un
collegamento al contesto culturale del quale scegliamo alcuni frammenti che inseriamo in questa memoria
artificiale che estende la possibilità di ritenere del nostro cervello. Ma ci limitiamo ad operare scelte sulla
cultura che ci circonda: un po’ poco per parlare di un intervento della nostra creatività, se non nella misura
necessaria per decidere i criteri di archiviazione, di mixaggio, di sequenza, di ascolto e sempreché non
accettiamo passivamente i relativi sistemi automatici proposti dal software. Insomma, il popolo dell’Ipod,
più che creare qualcosa, riesce a governare il suo prezioso “data base” riproducendo talvolta in maniera
originale e diversamente combinata la creatività di altri.
Ipoddisti e Ipodisti. Come si chiama il popolo dell’Ipod? I “nativi digitali” non hanno dubbi: Ipodders, in
inglese. Ma un “tardivo digitale”, peraltro tecnoentusiasta e felice possessore dell’icona in questione,
introduce una tassonomia italiana pluriarticolata: Ipoddisti (ma, probabilmente, sarebbe meglio Ipoddiani)
Ipoddiferi, Ipodisti (con una sola “d”). Vengo ai distinguo: i primi sarebbero gli appartenenti consapevoli
alla Comunità delle Cuffiette Bianche, ai suoi riti, all’uso costantemente evolutivo dello strumento-icona. Gli
Ipodiferi invece sarebbero meri portatori dell’apparecchio, praticamente inconsapevoli del valore iconico e
semantico del gioiellino dell’Apple, dei possessori “per caso”, che non meriterebbero il privilegio, e capaci
anche di gesti inammissibili, tipo: prestare l’Ipod o, sommo orrore, sostituire le cuffiette bianche,
sciaguratamente perse, con terrificanti e commercialissimi auricolari neri! In definitiva: vade retro,
Ipodifero, restituisci il sacro oggetto e passa ad un qualunque e profano lettore MP3!
Gli Ipodisti invece sono tutti quelli che corrono (runners of corse!) con la personale colonna sonora
costruita e custodita gelosamente nell’Ipod e che senza, tutt’al più, possono camminare. Un’evoluzione
della specie in senso sportivo, alla quale ha dato un formidabile contributo la Nike con l’operazione
Nikeplus, in comarketing con Apple. Operazione così sintetizzata da Alessandro Bianchi, Nike Italy Running
Brand Manager “ Sin dalla fondazione, la Nike lavora su tre elementi: atleti, prodotti, comunicazione. Certo
è cambiato il contesto: gli atleti, chi fa sport, i consumatori, hanno un ruolo sempre più attivo nell’adozione
o nel rifiuto di un prodotto o di un brand, come pure nella fruizione e nella rielaborazione della
comunicazione. E’ il mondo della digital connectivity. Nikeplus nasce qui. Mettendo tre nozioni di running ed
un accelerometro rispettivamente negli auricolari di un Ipod e in un paio di scarpe da corsa. E connettendo
tutte le persone accomunate da questi due gesti, in una community”. Una comunità che ha partorito la
sfida globale di genere (“Men vs Women Challenge”), con un paio di milioni di partecipanti. Per sapere
quante scarpe high tech (quelle con il chip dentro, che consentiva di registrare le prestazioni) ha venduto la
Nike e quanti “Ipod nano” l’Apple, basta moltiplicare per due. O suppergiù. E poi dicono che le
multinazionalì “soffrono” il Web!
Feticismo tecnologico e nuove verginità. Dunque nel mondo dei Geek (i tecnoentusiasti praticanti)
l’Ipod è un’espressione del sé. L’anima digitale dei Geek è custodita nell’Ipod. Nella società del consumismo
emotivo in cui perfino i rapporti più intimi sono sbandierati e spettacolarizzati, affiora una nuova esigenza
di spazi personali da difendere e proteggere. Ad un recente provino, per non so quale sgangherato reality,
la candidata 389 di nome Samantha (con il th “pure all’Anagrafe” come ha tenuto a precisare, con
inconfondibile cadenza romanesca) alla grossolana provocazione dell’intervistatore “Cosa non concederebbe
mai, alla prima uscita, ad un ragazzo?” ha risposto che il suo Ipod non glielo avrebbe mai dato. Non solo la
prima volta, ma “manco la seconda”. Anzi mai in assoluto. Che dire? Nel merito, mi astengo. Solo una
sottolineatura psicologica: la verginità, anche quella tecnologica, è sempre perentoria. Fino a prova
contraria.
Un Ipoddista/Ipoddiano della prima ora è Carlo Pasquazi, giovane Responsabile della Rete Vendite di Pixel
ADV, una concessionaria/agenzia/casa editrice che si muove con disinvoltura e successo nel mondo dei New
Media. Gli chiedo una consapevole “swot analysìs” dell’Ipod. Si dichiara preliminarmente sedotto
dall’apparecchietto magico “dominatore del mercato con una quota di penetrazione del 73%, tanto che il
nome Ipod rappresenta ormai una tipologia di prodotto. Non c’è n’è per nessuno altro competitor. Neanche
per Sony e Samsung che pure offrono interessanti alternative.”. Dopo estatiche sottolineature, con la voce
e con i gesti, del design distintivo e della qualità del suono ricorda che ” l’Ipod consente una gestione
completa della musica, e non la semplice riproduzione, attraverso il software I-Tunes: ordinare, catalogare,
mixare i brani. E non solo: consente di scaricare programmi podcast e quindi di fruire senza vincoli
spazio-temporali di programmi e contenuti audio-video. Inoltre tramite lo store virtuale si acquista musica
a un prezzo ragionevole.”. Dov’è finito la tua capacità di visione critica, Carlo? Esce dall’estasi
dell’appartenente alla comunità degli Ipodders e “ I-Tunes ha, non casualmente, un grande limite: lega
l’utente al proprio pc, al proprio software, alla propria libreria musicale anche per poter aggiornare qualsiasi
cosa. Inoltre I-Tunes è unidirezionale: upload sì, download no. Insomma si può caricare musica e altro
sull’Ipod, ma da lui non esce nulla. Quindi non ci si può scambiare file in maniera diretta e automatica come
con gli altri lettori MP3 che funzionano come normalissime chiavette USB. I lettori Sony e Samsung
dialogano in maniera bidirezionale con qualsiasi PC: basta collegarli per condividere musica e contenuti,
fruibili immediatamente da entrambi i mezzi.”.
Ormai non ha più bisogno di sollecitazioni nella lettura critica, il tono acquista accenti da catilinaria: “ Una
deroga insomma al principio della condivisione che oggi, grazie al web, è una delle caratteristiche
fondamentali del consumo audio-video. L’Apple diventa padrona della nostra musica imbrigliandola con le
logiche del business”. E prospetta il dubbio di fondo: “ Attraverso I-Tunes l’Apple ci tiene sotto stretto
controllo. Solo ai fini di verificare e scongiurare atti di pirateria informatica?” Insomma dietro e dentro
l’oggetto mitico ed amatissimo, al quale affidiamo le nostre scelte più segrete si nasconde l’ennesima
evoluzione del Grande Fratello sembra chiedersi, e chiederci Carlo. Allora passi al lettore Sony, Carlo? “eh
no! L’Ipod è sempre un prodotto Apple, e Apple è sempre…Apple!” risponde dimostrando come anche uno
smaliziato protagonista del mercato pubblicitario subisca il medesimo fascino che, a giugno 2009, ha
sedotto nel mondo oltre 160 milioni di Ipodders.
Apple è sempre Apple! La “mela morsicata” è da sempre un Lovemark che crea comunità di fedelissimi
che guardano con sincero compatimento a chiunque utilizzi altri marchi per qualsiasi tipologia di prodotto
coperta dall’Apple. E ogni secondo nel mondo si vendono due Ipod, ci ricorda la rivista Wired (luglio 09): in
altri termini, a questi ritmi, tra un anno dovremmo essere a 250 milioni di Ipodders. Sempreché la
tecnologia non crei nel frattempo un’altra e sostitutiva protesi, affascinante e irrinunciabile. Come
l’ultimissimo Iphone che secondo la stessa Apple “ è molto più che un cellulare: è un telefono
rivoluzionario, un Ipod e uno straordinario dispositivo internet. Tutto in uno.” Difficile pensare che proprio
mamma Apple voglia uccidere prematuramente uno dei suoi figli meglio riusciti; consapevole che Ipod e
Iphone convivranno per qualche tempo, guarda in avanti e procede sul percorso della convergenza degli
apparati.
Un nuovo centro di gravità tecnologico si va delineando secondo John Biggs (Repubblica delle Donne, 1°
agosto 09). Accanto e oltre il PC, la nuova galassia di lettori MP3, Smartphone, lettori di E-Book: musica,
libri, giornali, foto, immagini, giochi, appunti, conversazioni “migrano, in formati digitali, verso questi mezzi
portatili che offrono qualità, libertà di scelta e mobilità”. Insomma mister Ipod e il dr. Kindle (il più diffuso
lettore di E-book, di prossima commercializzazione in Italia) stanno dando una mano a far saltare i confini
tra Creatori (di informazione/conoscenza) e Utenti, fusi ormai nella nuova categoria dei Prosumer,
produttori e consumatori nello stesso tempo. Soli con i loro apparecchietti ad alta tecnologia ma “always
on”, perpetuamente connessi con il mondo. Questa partecipazione on line, diffusa e orizzontale che annulla
o quantomeno riformula continuamente le gerarchie, è il nuovo “socialismo digitale”? Kevin Kelly, il
fondatore della rivista Wired, non ha dubbi: “Come possiamo credere che costruire insieme e tutti i giorni
nuovi mondi virtuali non cambi le nostre prospettive? La forza del socialismo on line cresce. E le sue
dinamiche si diramano al di là degli elettroni, forse in elezioni”. Un visionario? Certamente un osservatore
attento: in fondo l’elezione di Barak Obama dovrebbe già averci insegnato qualcosa sulla partecipazione. La
libertà, oggi, è digitalizzazione?
28-12-2009
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