atto aziendale

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Allegato n. 1 alla deliberazione n. 1689 del 30 dicembre 2011
REGIONE DEL VENETO
UNITA’ LOCALE SOCIO-SANITARIA N. 8
via Forestuzzo, n. 41, Asolo (TV)
ATTO AZIENDALE
art. 3, comma 1 bis, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502,
e successive modificazioni ed integrazioni
Testo coordinato con le modifiche intervenute con deliberazione n. 305 del 19 marzo 2009
I parte
U.l.ss. n. 8: il territorio, la società
II parte
Le linee generali dell’organizzazione e del funzionamento dell’azienda
INDICE
I PARTE: u.l.ss. n. 8: il territorio, la società
pag.
1
II PARTE: le linee generali dell’organizzazione e del funzionamento dell’azienda
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13
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capo I: la finalità dell’atto aziendale e gli elementi identificativi e caratterizzanti l’azienda
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14
•
capo II: la collaborazione con la comunità locale
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18
•
capo III: la partecipazione e la tutela dei diritti dei cittadini
pag.
19
•
capo IV: gli organi dell’azienda
pag.
22
•
capo V: gli organismi collegiali
pag.
23
•
capo VI: la direzione strategica ed i fondamentali processi gestionali
pag.
25
•
capo VII: il livello operativo
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33
•
capo VIII: le strutture operative
pag.
36
•
capo IX: l’attività contrattuale
pag.
43
pag.
46
ALLEGATO: l’organizzazione aziendale
REGIONE DEL VENETO
UNITA’ LOCALE SOCIO-SANITARIA N. 8
via Forestuzzo, n. 41, Asolo (TV)
I parte
U.l.ss. n. 8: il territorio, la società
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U.l.ss. n. 8.: il territorio, la società.
E’ una ricca periferia trevigiana, un’area che da povera che era si è fortemente sviluppata, da
dove fino a meno di 50 anni fa si fuggiva, ma dove adesso si rientra e si accolgono foresti.
Era aspra montagna, era collina ridente ma agra per chi la abitava, era campagna fertile ma
per pochi (i soliti signori); è oggi una trama di fabbriche e di laboratori che danno lavoro e
prosperità.
Nel passato un comune denominatore: la povertà che si vinceva emigrando, adattandosi a
tutto (“paia o fieno purché stomaco sia pieno”, era il malinconico detto di chi si staccava dal
paese par “catar fortuna”), oggi sono valori che uniscono la grande voglia di lavorare, il
capitalismo familiare caratterizzato da una sensibile solidarietà sociale.
Da Valdobbiadene a Castelfranco Veneto, una lunga fascia di territorio che si esalta nelle
peculiarità di campanile e nel contempo sposa valori comuni e fortemente innovativi per
costruire i suoi giorni e le sue opere.
E’ l’area dell’U.l.ss. n. 8, il cuore ad Asolo, quasi 224.000 abitanti, 30 comuni.
Un paesaggio naturale, umano e sociale in cui si esaltano tante differenze, ma nel quale
emergono sempre più tratti comuni.
Un insieme che si presenta con la stessa armonia del vestito di Arlecchino. Alla fine non è il
singolo colore che domina, ma il tutto. E’ la magia di una creazione naturale e dell’uomo.
Montagna, collina, pianura. Un paesaggio estremamente mosso, a tratti affascinante per la sua
discreta conservazione, a tratti ferito da interventi scriteriati e speculativi.
Dalla montagna scendono i fiumi ricchi di acqua, che hanno fornito l’energia per i primi
insediamenti industriali.
Si succedono e si raccordano piccole valli, cambiano i microclima.
Si parlano dialetti con sfumature diverse: marcate ieri, quando un cittadino di Segusino
rischiava di essere frainteso da uno di Castelfranco Veneto, se parlava il suo linguaggio
stretto; più sfumate oggi.
La lingua dell’oralità, che sfugge a regole e definizioni, è importante per capire la vita vissuta,
usi, costumi, folclore, ma esprime anche una specifica ed autentica cultura.
Giovanni Comisso era incantato da tanto ricco e vario paesaggio naturale e umano che
descrive, riferendosi soprattutto alla parte più alta, con sensuale leggerezza: “L’apertura della
valle ha dietro a sé come sfondo un irto di vette e di spigoli, come un invalicabile baluardo
che escluda da inospitali regioni. I colli subito succedono ai monti e sono da una parte boscosi
di castagni e dall’altra a vigneti che danno un vino dorato che lascia sulle labbra il sapore del
miele. Questi colli si susseguono, tra il paesaggio intatto, acuti come ubertose piramidi, prima
che da essi si stenda la pianura e si compongano armoniosi attorno a un paese o a una villa”.
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E’ una terra di forti tradizioni culturali. E’ di Valdobbiadene il primo poeta trevigiano, di cui
abbiamo memoria, Venanzio Fortunato (530 – 600). Autore di pregevoli opere in latino,
vescovo di Poitiers, con nostalgia ricorda le sue colline cariche di uva: “Il mio pensiero torna
sovente laggiù, dove eternamente germoglia la vite, sotto la grande montagna, sulla giogaia
nuda dei colli, dove il verde lussureggiante protegge e ristora le zone più disadorne”.
Sempre di Valdobbiadene è papa Benedetto XI (Niccolò Boccassini), che succede nel 1303 a
Bonifacio VIII.
Nasce a Castelfranco Veneto Giorgione (1477/78 – 1510), uno dei grandi maestri della
pittura, sui cui quadri si possono intravedere i colli Asolani.
Possagno dà i natali allo scultore Antonio Canova (1757 – 1822), massimo interprete del
neoclassicismo.
Asolo sul finire del secolo scorso e nel primo Novecento è patria eletta di artisti inglesi ed
americani: due nomi per tutti Robert Browning e Freya Stark.
Da Riese Pio X, Giuseppe Sarto (1835 – 1914), un grande papa che restaura e nel contempo
rinnova la chiesa. Una delle espressioni più tipiche e più attive dell’uomo veneto.
Da Venezia approda a Montebelluna Pietro Bertolini (1859 – 1920), docente universitario di
diritto amministrativo, autore di pregevoli saggi. A 26 anni è nominato sindaco (età media dei
consiglieri 52 anni), carica che ricopre per 5 anni.
Liberale, vicino a Sonnino prima e poi a Giolitti, per quasi 30 anni consigliere provinciale e
per 28 anni parlamentare, nel 1894 è nominato sottosegretario alle Finanze, nel 1907 ministro
ai Lavori pubblici e nel 1909 alle Colonie.
Di fatto vive a Roma, ma non dimentica la sua Montebelluna (dove risiede) e dintorni. Si
preoccupa di opere pubbliche locali, ferrovie, acquedotto, viabilità.
Contribuisce in maniera determinante nella definizione della questione Montello.
Altro politico illustre, attivo nel territorio Castelfranco – Montebelluna e a Roma è Ernesto Di
Broglio (1840 – 1918).
Liberale come Pietro Bertolini (due vite parallele, per tanti aspetti; due navigatori politici),
economista, sindaco di Resana, consigliere provinciale, parlamentare, è nominato ministro del
Tesoro (1901), quindi presidente della Corte dei conti (1907).
E’ molto intraprendente come presidente del Consorzio Brentella, un’opera che è legata allo
sviluppo del territorio tra la Piavesella, il Muson, i Colli asolani, il Montello e le Risorgive del
Sile.
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La sua importanza è bene messa a fuoco nel poema “Il Piave” di Antonio Vecellio (1837 –
1912):
“Ah!, se il colono non ha indarno spanti
i suoi sudori, se si adorna a festa
cotanta parte della Marca bella
è pel fecondo umor della Brentella”
Una storia benemerita, quella del Consorzio di bonifica “Pedemontano Brentella di
Pederobba”, che parte con la richiesta (1425) di Castelfranco di irrigare il suo territorio
facendo deviare da Pederobba l’acqua della Piave e che si realizza a cominciare dal 1436 con
il parere favorevole della Serenissima Repubblica di Venezia.
La situazione è drammatica. Da una lettera del podestà di Treviso di allora: “Li poveri
crepano da dexasio ed non hano aqua per il bever loro”.
Oggi il Consorzio governa l’acqua per usi produttivi, ambientali e di sicurezza idraulica di
un’area di quasi 65 mila ettari in 34 comuni.
Personalità forti, nomi eccellenti, punti di riferimento, esempi che vengono richiamati per
sottolineare l’humus culturale che sta alla base dell’attuale sviluppo.
Questo non sarebbe possibile se alle spalle non ci fossero una solida civiltà e un grande
sapere, checché dicano i sostenitori di un Veneto senza decisi connotati culturali.
Goffredo Parise, scrittore vicentino che visse i suoi ultimi anni nel Trevigiano, sulle rive del
Piave: “In fondo il Veneto ha avuto il suo riscatto e la sua cultura popolare dal mondo
moderno, il mondo della produzione e del consumo. Altro che Veneto bianco, cattolico,
bigotto, eccetera, i luoghi comuni della politica!
Il Veneto era ed è, forte, barbaro, e dunque produttivo e dunque industriale. La sua arte se
nasce senza alcun dubbio dalla cultura (non c’è arte senza cultura) affonda tuttavia anch’essa
dentro la terra, nelle sue radici, nei suoi minerali, nel suo fondo di fuoco”.
E’ una fotografia che riflette bene la condizione del territorio che va da Valdobbiadene a
Castelfranco e ne motiva, culturalmente, l’esplosione economica che si registra negli ultimi
quarant’anni, da quando cessa la grande ondata emigratoria del secondo dopoguerra.
Sotto questo profilo è un’area che può essere presa a simbolo del mito del Nord Est. Sia per
gli aspetti negativi che per i positivi. Per i valori e per vizi. Per quello che è stato e per quello
che è.
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Il territorio si presenta oggi sostanzialmente coeso, sotto la spinta di un progressivo processo
di omogeneizzazione imposto dalla logica pragmatica dell’economia.
Si scende verso la pianura. Il flusso umano nel suo procedere storico fa il percorso dei fiumi
che scendono a valle.
Si tende a spazi aperti, a campi fertili, a condizioni dove la mobilità è più facile.
Storicamente c’è un movimento da Nord a Sud, da Valdobbiadene a Castelfranco, verso
Padova (per gli studi, per i servizi, per scambi di prodotti).
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Nell’economia rurale si scende dalla montagna e dalla collina per scambiare castagne e frutta
con frumento o mais. I più anziani ricordano ancora questo baratto.
Da sempre risentono l’influenza di Bassano del Grappa e di Montebelluna le fasce più esposte
rispettivamente ad ovest e ad est del territorio dell’attuale U.l.ss.: un richiamo che resiste
tuttora, al di là del servizio sanitario - ospedaliero, che ha oggi nelle strutture di Castelfranco
Veneto e di Montebelluna il punto di riferimento.
A proposito di ospedali è il caso di ricordare come siano proprio questi, storicamente, a fare
da calamita e a costituire forti momenti di aggregazione: Valdobbiadene, Pederobba,
Crespano, Asolo, Montebelluna, Castelfranco.
Con grinta e con forte passione campanilistica se ne difendono l’essenzialità e l’autonomia.
Ci sono vivaci battaglie, combattute a livello di opinione pubblica e di pressione politica, per
mantenere “i piccoli ospedali”, le quali rientrano una volta che ci si rende conto che non
esistono più le condizioni finanziarie e non si riesce a garantire l’eccellenza del servizio, quale
è richiesto da una medicina aggiornata e competitiva.
E si può capire tutto questo: tanta storia paesana e strapaesana si sviluppa attorno ad essi,
esempi di munificenza di potenti e di solidarietà di comunità, concepiti in origine come
ospedali e come ospizi a favore “dei poveri e degli infermi di Cristo”.
L’ospedale di Valdobbiadene è datato 1259 e quello di Castelfranco risale agli inizi del XIII
secolo, Asolo è avviato attorno alla metà del Trecento. Ed hanno radici storiche profonde pure
gli altri ospedali di Crespano e di Montebelluna.
Ma anche oggi, in realtà, sono i due ospedali di Castelfranco e di Montebelluna a fare da
raccordo al territorio, del quale sono tra gli “stabilimenti” con maggior numero di occupati.
Dunque hanno anche una notevole valenza economica.
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Sorprende un dato, quando si analizza il territorio dell’U.l.ss. n. 8: l’eccezionale crescita
imprenditoriale ed economica. Oggi è la ricchezza diffusa a definirne il connotato, così come
ieri era la generale povertà.
Partiamo proprio da questa condizione di miseria che è terribile fino quasi agli anni Sessanta
del secolo scorso, finché dura l’emigrazione, per mettere a fuoco le ragioni che sono alla base
e che motivano tanto sviluppo.
Si muove da una società agricola veneta sostanzialmente statica, che non si presenta molto
avanti rispetto alle condizioni descritte, alla fine dell’Ottocento, nella Inchiesta agraria fatta
da Stefano Jacini, nei saggi di Emilio Morpurgo, nelle relazioni di parroci o negli articoli de
“La Vita del Popolo”, settimanale della diocesi di Treviso.
Morpurgo: “La povertà, anzi la dura miseria, si può dire veramente gloriosa”.
“La Vita del Popolo: “La miseria del contadino che lavora, lavora per accumulare debiti, per
abitare casucce, stamberghe, casoni, peggiori delle stalle, ove si soffoca d’estate, si gela
d’inverno, per nutrirsi di polenta ed acqua, pago solo che la morte lo rubi a tale sorte o crudele
necessità lo spinga ad esulare nella lontana America”.
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Sul Montello stentano la vita i Bisnenti (due volte senza niente, secondo l’interpretazione
popolare, i poveracci) che “campavano saccheggiando il bosco, in barba alle leggi ed ai
custodi, lieti, anzi, se gli capitava di passare qualche giorno nel carcere di Biadene, luogo ben
più confortevole delle loro catapecchie” (da “Maledetta Giavera” di Benito Buosi).
A Vedelago (1886, ricorda il parroco al suo vescovo in visita pastorale) “Tutti sono poveri”,
“quasi tutti miserabili contadini”, “molti tardissimi di ingegno”.
Questo spiega il terribile dato del 1888: ben il 42 per cento degli emigrati italiani è fornito dal
Veneto. E la nostra area è sicuramente tra quelle che in proporzione ha maggiormente
contribuito.
Serpeggia un sogno collettivo “Merica, Merica”, dove “vanghe, zappe e aratri sono d’oro
massiccio”.
In realtà non è proprio così, è tremenda la vita di chi salpa il mare per le Americhe, bestiale il
viaggio e terribile l’accoglienza, e lo predicano i preti nelle chiese e lo denunciano le autorità,
ma come fermare il sogno di pane in chi ha fame?
Cinquant’anni dopo, nell’immediato secondo dopoguerra, Castelfranco Veneto, dove
funziona una agenzia specializzata per gli emigrati, si impegna per addii meno traumatici e
per un minimo di garanzie.
Alla fine degli anni Cinquanta, in municipio, si organizza un punto di riferimento per chi
intende emigrare, nel quale convergono da tutto il Veneto e da altre regioni. Da Roma e da
Milano arriva personale delle ambasciate e di Consolati del Canada e dell’Australia per dare
spiegazioni e per le pratiche. Vengono fatte le visite mediche attitudinali, si approfondisce il
tipo di capacità, si cerca di intuire anche mentalità.
Si passa da un tipo di emigrazione improvvisata e disperata a un movimento selezionato e più
mirato e nel contempo riparato dagli speculatori.
Si figlia molto: famiglie numerose, che offrono “figli robusti all’esercito e alla vanga”.
Fino alla fine degli anni Cinquanta si ara ancora con l’aratro, la polenta è l’alimento
essenziale, è diffusa la coltura del baco da seta, la sola risorsa che, con il pollaio, consente di
alimentare un piccolo commercio di cose essenziali.
Tutto il territorio, complessivamente, è coinvolto e profondamente ferito nella prima metà del
secolo scorso dalla tragedia delle due guerre mondiali e dalla Resistenza. I suoi uomini ne
escono sensibilmente cambiati in termini di capacità lavorativa, di disponibilità ad essere
organizzati e di sensibilità politica e sociale. Più solidali.
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Inizio anni Sessanta, parte lo sviluppo. Incominciano gli anni della crescita e della ricchezza,
prima in maniera lenta e graduale, poi esplosiva (gli splendidi anni Ottanta e Novanta).
Da azienda germinano aziende: il sistema imprenditoriale si diffonde e si modella “su una
preesistente struttura del territorio morfologicamente e funzionalmente organizzata a sostegno
dell’economia agricola. Le localizzazioni industriali si sono dunque inserite nel particolare
disegno del sistema viario e insediativo perseguendo una logica diffusiva che nel substrato
territoriale ha trovato sostegno” (da “Proposta di piano urbanistico comprensoriale
Castelfranco – Asolo”, 1977).
Tale tendenza, quindi, mantiene l’articolazione territoriale, ne rafforza anzi alcuni aspetti pur
nell’adeguamento alle necessità della produzione e quindi della mobilità.
Si accentuano le relazioni verso sud, verso Castelfranco Veneto, città di servizi, dove trovano
interessanti opportunità gli studi professionali. E resistono le attrazioni di Bassano del Grappa
e di Montebelluna per le aree che storicamente subiscono l’influenza delle due cittadine.
In altri termini si mantengono abbastanza delineati gli storici sistemi morfologici funzionali
pedemontano, collinare e castellano, ciascuno con le sue tipicità (persino con le sue sfumature
dialettali), le sue aspirazioni, i suoi campanili, le sue dinamiche territoriali e sociali.
Negli anni si hanno correzioni della viabilità, ma non sostanziali interventi. Ed anche questo
contribuisce al mantenimento dei tradizionali spostamenti di uomini e merci.
Un capitolo a parte è rappresentato da Valdobbiadene, centro abituato in un suo aureo
isolamento tra le sue colline del Prosecco, che esce fuori proprio quando esplode sui mercati
questo vino che oggi ha prestigio internazionale. Contribuisce al suo stato periferico anche il
fatto di appartenere alla diocesi di Padova.
L’accorpamento all’U.l.ss. n. 8 di Valdobbiadene e dintorni è il risultato soprattutto di una
valutazione economica. Quest’area, comunque, da sempre ha un suo movimento verso sud
(verso Padova, la sua diocesi appunto) e verso Montebelluna.
Il processo industriale cresce spontaneo e tumultuoso, favorito da alcune condizioni
interessanti, che si possono riassumere nella disponibilità di risorse “vergini” da sfruttare al
massimo, con il maggiore profitto e a costi bassissimi.
E’ la logica dell’impresa, la stessa che oggi porta a delocalizzare aziende di quest’area nel
Paesi dell’Est europeo e più recentemente in Asia.
In principio c’è la presenza di tanto manodopera pronta a lavorare, che parroci ed
amministratori pubblici si impegnano a tenere radicata alla propria terra anche per arginare il
salasso provocato dall’emigrazione, che è sempre subita come fenomeno negativo per ragioni
soprattutto sociali e religiose: è un tessuto che si lacera, sono famiglie che si rompono e si
disperdono, è la pratica devozionale che si eclissa, è in sostanza un patrimonio umano che si
compromette.
I parroci, in particolare, protagonisti sociali di questa zona, sono contrari all’emigrazione
perché si vedono sfuggire di mano i fedeli. Chi torna si dimostra distaccato dai valori
religiosi, tiepido verso la loro autorità, comunque troppo libero e intraprendente. Ed è anche
per questo che il clero è convinto sostenitore della necessità di portare lavoro in zona, e
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spesso mette a disposizione la sua esperienze, le sue relazioni, i suoi stessi locali per attirare
fabbriche e per la formazione della manodopera.
Ma per capire tanto impegno bisogna fare un passo indietro, partire dall’ultimo scorcio
dell’Ottocento, quando si attiva un movimento solidaristico, di matrice cattolica, che proprio
nella zona ha forti personalità che organizzano agricoltori e piccoli artigiani rurali per metterli
al riparo da usura, da sfruttatori e dall’ideologia socialista.
Sono avviate, in particolare, cooperative e Casse rurali e artigiane.
Così l’obiettivo delle Casse rurali cattoliche è “salvare materialmente (dalla povertà) e
spiritualmente (dal liberalismo e dal socialismo) i contadini” (La cooperazione popolare,
1895).
“La Vita del Popolo”, 1892: “Se voi foste soci di una Cassa rurale, il padrone non vi
caccerebbe di casa a San Martino. I vostri generi li portereste sul mercato solo quando vi
torna utile; e non prima, quando i prezzi sono bassi. E i cambi dei vostri buoi li fareste solo
quando vanno bene farli, non prima, per ingrassar solo la borsa del padrone o del fattore. E il
solfato di rame per le viti vi costerebbe il 40 per cento in meno e così i concimi artificiali e gli
attrezzi rurali. E gli usurai non potrebbero fare le loro porcherie”.
“Svegliatevi, svegliatevi una buona volta; fate lega tra voi, fondate le Casse rurali cattoliche,
liberatevi dalla tirannia di questi compari che sono la peste dei paesi di campagna” (La Vita
del Popolo, 1894).
Ed è proprio un personaggio politico, molto popolare nella Castellana e nella Pedemontana
nell’immediato Secondo dopoguerra, Domenico Sartor, a rinverdire ed a valorizzare il
movimento cooperativistico, legato soprattutto allo sviluppo dell’agricoltura (le sue scuole
agrarie, punti di promozione culturale e di aggiornamento, interessano tutta la Castellana e la
Pedemontana, e vanno anche oltre).
Nel contempo è sempre Domenico Sartor che incentiva l’industrializzazione della zona: una
esplosione pirotecnica, che per tanti aspetti è un fuoco di paglia, ma dalla quale germoglia
miracolosamente la piccola impresa locale.
Una carta vincente è il meccanismo delle “aree depresse”. Tutta l’area è sottosviluppata:
incentivi, finanziamenti agevolati, disponibilità di aree a costo zero o quasi, vantaggi su tutti i
fronti. Basta avere un’idea, un progetto e voglia di impegnarsi per trovare prestiti a portata di
mano e spazi.
Si può, inoltre, contare sulla presenza dell’acqua, una risorsa naturale che inizialmente è
utilizzata in maniera scriteriata, sicuramente con troppa scioltezza e libertà, al punto da
turbare sostanzialmente l’equilibrio naturale di fiumi e di canali: in alcuni sparisce il pesce e
l’acqua diventa perennemente torbida (ne è esempio il Muson). Controlli pilotati o pressoché
inesistenti, anche in presenza di carenza legislativa. Più tardi arrivano la legge Merli ed altri
provvedimenti che provocheranno una decisa, positiva inversione di tendenza.
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Trasporti, servizi socio sanitari, assistenza agli spastici, pianificazione urbanistica (legata
all’idea di un ampio comprensorio, che sconfina anche nel Padovano), sistema bibliotecario,
iniziative di scambi di esperienze e di informazione: negli anni Sessanta e Settanta da
Castelfranco Veneto si promuove tutta una serie di iniziative con l’obiettivo di dare una
gestione coordinata al territorio, di qualificare strutture e servizi pubblici e di valorizzare al
meglio le risorse. Si può dire che è coinvolta quasi tutta l’area dell’attuale U.l.ss..
L’ospedale, il grande ospedale, è uno dei punti fermi. Ed eccellenti, al di là della misura
considerata sproporzionata sotto ogni profilo tanto da rovinare l’orizzonte.
Giorgio Lago, opinionista, castellano: “Un’opera architettonicamente assurda.
Qualitativamente l’idea non era affatto sbagliata, perché metteva Castelfranco al centro di
un’area, come in effetti lo è, ma sbagliata è stata la misura. Doveva rimanere la Torre sulle
mura il punto più alto, il simbolo civile e il senso dell’equilibrio. Come si fa fare una cosa del
genere a ridosso del Parco Bolasco? Una misura squilibrata rispetto a Castelfranco, un errore
quindi di percorso”.
Si registrano tanti consensi, ma anche diffidenze e resistenze. Si temono le tentazioni
colonizzatrici di Castelfranco.
Alcuni progetti si concretizzano, altri restano a livello di dibattito, altri vengono ripresi e
aggiornati su misura delle situazioni emergenti.
Tanto attivismo si smorza a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, tanto che oggi si
parla di una Castelfranco senza più grande ruolo di guida del territorio.
Opere e dibattito hanno, comunque, contribuito in maniera determinate a rendere più
omogeneo e meglio coordinato il territorio, smorzando lo spirito di campanile che è sempre
un aspetto negativo, quando provoca chiusura di orizzonti e scade quindi nel provincialismo o
in un localismo di sopravvivenza culturale.
Nel frattempo cresce Montebelluna, che accentua il ruolo di calamita per l’area di cui
storicamente è il riferimento. Da cittadina agricola e mercantile diventa industriale; in
particolare si forma il polo mondiale della scarpa sportiva. Per tanti aspetti e fattori fa
concorrenza a Castelfranco Veneto.
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Vivono tuttora i testimoni di un territorio sostanzialmente diverso, di un passato che sembra
remoto, quando regnava povertà, quando un lavoro qualsiasi, che non fosse lo zappare il
proprio fazzoletto di terra, era un sogno, quando malinconicamente si salutava la figlia, o la
sorella, che partiva per andare a “fare fati” (servire soprattutto a Milano e dintorni: badanti!),
quando con ansia i giovani più coraggiosi si davano da fare per “fare e carte” (i documenti per
emigrare), quando si mangiava polenta tre volte al giorno, accompagnata da alimenti poveri.
Quando si abitava in “case d’inferno” (Emilio Morpurgo).
Ecco, dunque, da dove nasce tanta passione per la casa. Non c’è posto al mondo, forse, dove
questa, con l’orto e il giardino, sia tanto coltivata. Un territorio seminato a villette.
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Si capisce, allora, l’accanita ribellione alla povertà, che si traduce in religione del lavoro,
vissuta spesso come primo valore, in maniera totalizzante. Al limite dell’autosfruttamento.
Si capisce anche la tanta fretta con la quale si butta alle spalle il vecchio mondo, anche negli
aspetti positivi e quindi degni di conservazione.
Accade con la stessa premura con la quale ci si libera del povero arredo in legno massiccio
per abbandonarsi alla formica, segno di modernità. Adesso c’è quasi un processo inverso. Fa
tendenza scovare qualche mobile del passato, l’arte povera è diventata preziosa.
Ci sono tentativi di ricuperare tradizioni e valori, ma in questa operazione c’è molto di
artificioso e di calcolato folclore.
La cultura locale troppo spesso viene vissuta come sterile localismo: un fatto e una mania da
passatisti, anziché ponte che collega passato e futuro, passaggio verso l’innovazione. E’
considerata quasi archeologia culturale fine a se stessa: atteggiamenti e comportamenti
nostalgici rischiosi perché impediscono di cogliere i processi più fertili e più vigorosi di
avvenire e di vedere le realtà emergenti, le novità che incalzano.
C’è la piena occupazione, e, fortunatamente, si incomincia a parlare di qualità del lavoro, di
cui si avverte una sostanziale necessità. Si è molto più attenti al benessere ambientale.
Ai padri “workhoolics” stanno succedendo figli per i quali il lavoro non è tutto, e pensano in
termini di benessere psicofisico, di vita equilibrata.
E’ sempre forte la cultura del fare che si esprime attraverso un artigianato manifatturiero
fiorente, il quale continua ad essere incubazione di industrie, una fetta delle quali rientra nel
prestigioso “made in Italy”.
L’artigiano costruisce cose utili, ma nel contempo anche belle e originali. Nel suo lavoro c’è
sempre tanta abilità e c’è soprattutto il tocco di personalità, di inventiva e di creatività.
L’economia reale qui non abdica alla cartacea, al finanziario: ha piedi solidi per terra, ed
anche per questo regge negli anni più critici. Si sta, comunque, avvertendo l’esigenza di un
sistema finanziario più articolato e più sofisticato, capace di rispondere alle esigenze
produttive.
Si dà molto peso, quando si valuta il tasso di sviluppo raggiunto, al capitale familiare e
sociale, che Gian Antonio Stella presenta con stile brioso come “intreccio col sistema socio
culturale: il paese, il campanile, l’osteria, la famiglia. Con tutti i soggetti del territorio in
qualche modo cooperano quasi per una missione comune. E qui siamo al sistema dei distretti
industriali, tipo quello dei sellini da biciclette, delle scarpe sportive o delle sedie. Un sistema
interessantissimo, centrato sulla competizione – cooperazione. In parole povere tutti ruotano
intorno allo stesso prodotto e Gigi fa la guerra a Toni che fa la guerra a Bepi. Però tutti
insieme, Gigi, Toni e Bepi e con loro la banca del Paese, il municipio, l’associazione di
categoria, il sindacato, avvertono il senso di un destino comune. E fanno la guerra insieme al
resto del mondo” (da “Schei. Dal boom alla rivolta: il mitico Nordest)”.
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E’ significativo che parta da quest’area, in particolare dalla zona di Montebelluna, la
delocalizzazione, il trasferimento di attività all’estero, un fenomeno nuovo di cui non si
intuiscono ancora appieno gli scenari e le conseguenze per il tessuto produttivo locale.
Si attende tuttora risposta ai soliti problemi, che si ripetono in tutte le sedi come litanie laiche:
mancano strade, comunicazioni difficili, sistema ingessato da burocrazie vecchie e nuove,
servizi e strutture inadeguate, Stato latitante, ma presente soprattutto con la sua esosità fiscale
(in quest’area lo Stato non è mai stato molto amato: da lui si è aspettato sempre qualcosa di
negativo, la cartella delle tasse, la cartolina di precetto, il daziere o lo sbirro. Sotto le
apparenze del “comandi”, espressione con la quale i veneti tradizionalmente si sono rivolti
umilmente ai superiori, a chi poteva, si è sempre celato un sottile atteggiamento libertario,
anarcoide, insofferente. La tentazione di voler far da sé).
L’agricoltura ha un peso relativo nella ricchezza della zona, pur rappresentando un capitolo
tuttora non trascurabile. Si sta sempre più specializzando e qualificando.
La società si presenta sostanzialmente laica.
***
Si ha oggi una duplice visione del territorio dell’U.l.ss. n. 8, come di tutto il Nord Est del
resto: un’immagine viziosa, alimentata da pregiudizi e da ovvie interpretazioni (il luogo della
pochezza culturale, del lavoro più o meno nero, della fatica per la fatica, dell’evasione fiscale,
del bigottismo, dell’ubriachezza, della protesta leghista) e un’idea virtuosa, che esalta gli
aspetti positivi, lo spirito costruttore, l’intraprendenza innovativa, la creatività, tutto ciò che
ha consentito il miracolo economico e che ha fatto di un’area tra le più povere, in poco più di
una generazione, un’area delle più ricche a livello europeo, un fenomeno sotto la lente di
osservatori mondiali, che ha avuto una citazione da parte dello stesso presidente degli Stati
Uniti Bill Clinton (dichiarazione del marzo 1994 alla conferenza dei G7).
Quale scenario futuro? La risposta a interrogativi come questo è sempre problematica. Corre
una battuta nella scienza imprenditoriale americana: dopo avere consultato l’economista, è
bene rivolgersi all’indovino.
Le condizioni si sono sostanzialmente evolute, il paesaggio umano, sociale e religioso è
sostanzialmente cambiato. Non ci sono più le risorse sulle quali si è contato quando si
incominciò la sfida della crescita economica.
Mancano braccia, all’emigrazione è succeduta l’immigrazione, con tutti i problemi che
comporta. Il patrimonio ambiente fortunatamente non è più disponibile agli interventi
speculativi.
Si stanno ridefinendo il valore e il senso del lavoro, che non è più la fede attraverso la quale ci
si è redenti dalla miseria.
11
Il tasso di istruzione si è sensibilmente elevato. E’ vero che non si è mai abbastanza ricchi
culturalmente, ma risultano scarsamente supportate le sottolineature di un presunto deficit di
intelligenza, di saperi e di conoscenze, che caratterizzerebbe i veneti.
Si registra un eccezionale sviluppo delle libere professioni e del lavoro autonomo.
Una società sicuramente più laica, che si esalta nella logica del consumo, che si alimenta di
cultura mediatica, molto mobile, molto apparente. Più esigente per il suo benessere
psicofisico.
E’ venuto meno il peso del valore religioso anche come collante sociale. Sono scomparse le
figure carismatiche e onnipresenti di parroci.
Una spia indicativa è rappresentata dalla strada imprenditoriale imboccata dalle Casse rurali
ed artigiane che sono cresciute all’ombra delle canoniche. Sono banche a tutti gli effetti,
anche se tuttora prestano particolare attenzione e sensibilità per il territorio in cui operano e
fanno professione di solidarietà umana e cristiana.
***
Il territorio dell’U.l.ss. n. 8 si presenta al visitatore del nostro tempo più omogeneo sotto tutti
gli aspetti: una comunità molto sprovincializzata, che, al di là di nostalgie di ritorno, si misura
in maniera molto pragmatica con la modernità, con le tensioni del nostro tempo e con le
esigenze dell’economia, e sa fare scelte realistiche e innovative.
Prevale, in fondo, l’uomo economico. Si fa quello che si ritiene più utile. Quello che merita di
più, che è sempre, in genere, quello che soddisfa interessi sostanziali e pratici.
C’è sempre un occhio miope che si attarda attorno alla piccola convenienza di campanile, ma
c’è soprattutto uno sguardo acuto rivolto a ciò che accade nel mondo per non perdere la
scommessa del futuro.
E’ una tendenza, è un processo che si può constatare in particolare nella gestione del sistema
sanitario che con quello imprenditoriale rappresenta il momento più dinamico e referenziale
dell’area.
12
REGIONE DEL VENETO
UNITA’ LOCALE SOCIO-SANITARIA N. 8
via Forestuzzo, n. 41, Asolo (TV)
II parte
Le linee generali dell’organizzazione e del funzionamento dell’azienda
13
CAPO I
La finalità dell’atto aziendale e gli elementi identificativi e caratterizzanti l’azienda
Art. 1
La finalità dell’atto aziendale
L’atto aziendale definisce, quale strumento di autogoverno dell’azienda, i principi ed i
criteri generali dell’organizzazione e del funzionamento dell’unità locale socio-sanitaria.
Il direttore generale, con separati atti, provvede a dare attuazione ai suddetti principi e
criteri generali, assicurando all’organizzazione aziendale la flessibilità necessaria a soddisfare
i bisogni di salute espressi dalla comunità, nel rispetto delle risorse a disposizione.
Per quanto non contemplato nell’atto aziendale, deve farsi riferimento alle vigenti
disposizioni legislative ed amministrative nazionali e regionali.
Art. 2
La natura giuridica e la sede legale
L’unità locale socio-sanitaria n. 8 della Regione del Veneto è una azienda dotata di
personalità giuridica pubblica ed autonomia imprenditoriale, con sede legale in Asolo (TV),
via Forestuzzo, n. 41.
L’ambito territoriale di riferimento comprende i comuni di Altivole, Asolo, Borso del
Grappa, Caerano di San Marco, Castelcucco, Castelfranco Veneto, Castello di Godego,
Cavaso del Tomba, Cornuda, Crespano del Grappa, Crocetta del Montello, Fonte, Giavera del
Montello, Loria, Maser, Monfumo, Montebelluna, Nervesa della Battaglia, Paderno del
Grappa, Pederobba, Possagno, Resana, Riese Pio X, San Zenone degli Ezzelini, Segusino,
Trevignano, Valdobbiadene, Vedelago, Vidor, Volpago del Montello.
Il logo aziendale dell’unità locale socio-sanitaria è costituito da un quadrato blu con la
scritta “ulss 8 veneto”, una croce ad indicare i servizi ospedalieri, una torre ad indicare quelli
territoriali ed un uomo stilizzato con le braccia aperte ad indicare il sistema della solidarietà.
La sua rappresentazione grafica è la seguente:
14
Art. 3
Il patrimonio
Il patrimonio dell’unità locale socio-sanitaria è costituito da tutti i beni mobili ed
immobili ad essa appartenenti, ivi compresi quelli trasferitigli dallo Stato o da altri enti
pubblici, in virtù di leggi o di provvedimenti amministrativi, nonché da tutti i beni comunque
acquisiti nell’esercizio della propria attività o a seguito di atti di liberalità.
L’azienda dispone del proprio patrimonio in conformità al regime della proprietà
privata. I beni mobili ed immobili, utilizzati dall’unità locale socio-sanitaria per il
perseguimento dei propri fini istituzionali, costituiscono patrimonio indisponibile, soggetto
alla disciplina di cui al combinato disposto degli articoli 828 e 830 del codice civile. Gli atti di
trasferimento a terzi di diritti reali su immobili sono assoggettati a previa autorizzazione della
Regione.
Per lo svolgimento delle proprie attività l’unità locale socio-sanitaria può utilizzare
anche beni mobili ed immobili di proprietà di terzi, il cui godimento ha luogo a vario titolo
contrattuale (locazione, project financing, ecc.).
Art. 4
La missione
L’unità locale socio-sanitaria riconosce nella salute, da intendersi quale stato di
completo benessere fisico, mentale e sociale e non soltanto come assenza di malattia, un
fondamentale diritto dell’individuo ed un interesse della collettività.
L’unità locale socio-sanitaria persegue il soddisfacimento dei bisogni di salute espressi
dalla comunità del territorio di riferimento, attraverso gli interventi di promozione,
prevenzione, cura e riabilitazione contemplati dai livelli essenziali di assistenza previsti dalla
programmazione nazionale e regionale.
L’assistenza viene erogata nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana,
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali.
I processi clinici e manageriali dell’azienda, nel rispetto del vincolo del pareggio di
bilancio, devono essere sostenuti da una tensione continua di tutta l’organizzazione verso la
garanzia ed il miglioramento continuo della qualità, da intendersi in senso globale,
professionale, manageriale e percepita.
15
Art. 5
La visione
L’unità locale socio-sanitaria intende qualificarsi quale azienda orientata ai risultati,
capace, quindi, di conciliare e soddisfare i bisogni dei diversi portatori di interessi che fanno
capo all’organizzazione stessa. In particolare, viene prioritariamente sostenuta l’attenzione
rivolta all’utente, poiché la centralità della persona umana, quale portatrice di bisogni sanitari
e socio-sanitari, richiede una chiara messa a fuoco degli stessi rispetto alle azioni tecniche ed
organizzative delle strutture. In tale senso, una costante attenzione alle risultanze
dell’indagine epidemiologica garantisce la rispondenza delle prestazioni alle esigenze
dell’utenza.
Per tale motivo, vanno assicurati i migliori standard per quanto riguarda le seguenti
variabili assistenziali:
-
accessibilità: facilità per l’utente di accedere alle prestazioni;
tempestività: disponibilità delle prestazioni in termini utili rispetto allo stato di bisogno;
pertinenza: corrispondenza tra prestazione ottenuta e bisogno presentato dalla persona;
correttezza: corrispondenza delle prestazioni ottenute alla migliore evidenza scientifica o,
in sua assenza, alla migliore esperienza condivisa ed accettata;
partecipazione: coinvolgimento del paziente e dei familiari nelle decisioni relative alla
prestazione;
riservatezza: non diffusione ad estranei di informazioni concernenti il paziente ed il
proprio stato di salute;
garanzia: possibilità di ottenere le prestazioni in caso di bisogno;
continuità: coordinamento ed integrazione tra prestazioni necessarie a soddisfare il
bisogno del paziente;
sicurezza: possibilità di ottenere le prestazioni in condizioni di tutela dal rischio legato a
possibili fattori ambientali, con riferimento agli aspetti strutturali, tecnologici ed
organizzativi.
La gestione dell’azienda deve avvenire in termini di processi e di fatti, poiché
l’organizzazione opera più efficacemente quando tutte le attività interrelate sono chiaramente
comprese e gestite sistematicamente e tanto le decisioni relative alle attività correnti quanto la
pianificazione strategica e la programmazione operativa avvengono sulla base di informazioni
fattuali che tengano conto anche delle percezioni dei diversi portatori di interessi.
I comportamenti dei leader dell’azienda devono creare chiarezza ed unità d’intenti e
dare vita ad un ambiente in cui l’organizzazione ed i suoi componenti possano eccellere.
Il coinvolgimento e lo sviluppo delle persone deve assicurare la piena espressione delle
potenzialità delle stesse, da sostenere attraverso la condivisione di valori comuni e la
16
promozione di una cultura della fiducia e della delega in grado di incoraggiare la
partecipazione di ogni singolo individuo.
Lo sviluppo delle performance dell’organizzazione deve essere perseguito attraverso la
gestione e la condivisione della conoscenza nell’ambito di una cultura dell’apprendimento,
dell’innovazione e del miglioramento continuo. L’azienda instaura con i suoi partner rapporti
di mutuo vantaggio, fondati sulla fiducia, sulla condivisione delle conoscenze e sulla
reciproca integrazione.
In tale logica, l’unità locale socio-sanitaria si colloca in una visione aziendale orientata
ai migliori standard per quanto riguarda le seguenti variabili gestionali:
-
efficacia: rapporto tra i risultati ottenuti e le prestazioni erogate;
efficienza: rapporto tra le prestazioni erogate e le risorse impiegate;
rendimento: rapporto tra i risultati ottenuti per effetto delle prestazioni erogate e le risorse
impiegate;
economicità: rapporto tra il vincolo del pareggio di bilancio ed il rendimento.
17
CAPO II
La collaborazione con la comunità locale
Art. 6
La comunità locale
L’unità locale socio-sanitaria riconosce nella comunità locale non solo la destinataria
degli interventi ma anche la realtà capace di esprimere bisogni, di sviluppare risposte, di
selezionare le priorità di intervento, nel rispetto delle responsabilità attribuite dal legislatore
ad ogni soggetto pubblico.
Nell’ottica di perseguire l’integrazione delle politiche sanitarie e sociali, i luoghi
privilegiati per l’incontro tra la comunità locale e l’unità locale socio-sanitaria sono
rappresentati dalla conferenza dei sindaci e dal comitato dei sindaci di ciascun distretto sociosanitario. Tali organismi partecipano, nelle forme previste dalla vigente legislazione, ai
processi di programmazione socio-sanitaria e di verifica e valutazione dei risultati raggiunti
dall’azienda.
Art. 7
I soggetti sociali
Nella logica di una comunità solidale che produce le condizioni per il proprio sviluppo,
l’unità locale socio-sanitaria, nella prospettiva di potenziare il sistema dei servizi alla persona,
riconosce il valore del concorso, in forma autonoma o collaborativa, degli enti morali, delle
organizzazioni di volontariato, della famiglia, delle cooperative sociali, degli enti con finalità
religiosa e delle libere associazioni.
18
CAPO III
La partecipazione e la tutela dei diritti dei cittadini
Art. 8
La carta dei servizi
L’unità locale socio-sanitaria riconosce nella carta dei servizi lo strumento
fondamentale per garantire agli utenti, per il tramite dell’ufficio relazioni con il pubblico, le
funzioni di informazione, accoglienza, tutela e partecipazione e per dichiarare specifici
standard di qualità.
Art. 9
Le funzioni di informazione ed accoglienza
La funzione relativa all’informazione deve sviluppare in modo esauriente negli utenti la
conoscenza sul sistema delle prestazioni erogate dall’azienda, ivi compresi i relativi standard
di qualità, e sulle relative modalità di fruizione delle stesse, nonché sulle procedure di
attuazione del diritto di accesso e partecipazione.
La funzione di accoglienza è finalizzata ad instaurare con l’utente una relazione in
grado di metterlo nella condizione di esprimere i propri bisogni di salute e di accompagnarlo
nella fruizione delle prestazioni. Rientrano, inoltre, nell’ambito di tale funzione gli interventi
di educazione dell’utenza ad un corretto utilizzo dei servizi.
Art. 10
La funzione di tutela
Al fine di rendere effettiva la tutela del cittadino, l’azienda individua le procedure da
osservare per l’accoglimento e la definizione delle segnalazioni e dei reclami, in qualunque
forma essi siano presentati, con l’adozione di uno specifico regolamento di pubblica tutela.
Qualora il disservizio venga segnalato all’unità locale socio-sanitaria per il tramite di un
organismo di volontariato o di tutela dei diritti dei cittadini, viene attivata la commissione
mista conciliativa con lo scopo di garantire lo studio congiunto tra l’azienda e tali organismi
delle circostanze che hanno determinato il disservizio.
19
Art. 11
La tutela della privacy
L’unità locale socio-sanitaria tutela la riservatezza dei dati personali e dei dati sensibili
dei cittadini. In particolare:
-
i dati e le informazioni relativi ai cittadini e al personale dipendente vengono trattati solo
per fini istituzionali e per obblighi di legge;
i dati e le informazioni sulla salute del cittadino debbono essere utilizzati dal personale
con la massima riservatezza;
la discussione sulle patologie delle persone può avvenire in presenza di terzi solo con il
consenso dell’interessato;
il personale dipendente può fornire dati ed informazioni a persone diverse dall’interessato
solo se quest’ultimo ha dato il proprio consenso, salvo i casi per i quali la legge preveda
la tutela.
Art. 12
Gli organismi di volontariato e di tutela dei diritti dei cittadini
L’unità locale socio-sanitaria favorisce la presenza e l’attività all’interno delle proprie
strutture operative degli organismi di volontariato e di tutela dei diritti dei cittadini,
prevedendo anche forme di partecipazione nelle attività relative alla programmazione, alla
verifica ed alla valutazione dei servizi a livello aziendale e di distretto socio-sanitario.
L’azienda stipula con tali organismi, senza oneri a carico del fondo sanitario regionale,
accordi o protocolli che stabiliscano gli ambiti e le modalità della collaborazione, fermo
restando il diritto alla riservatezza comunque garantito al cittadino, la non interferenza nelle
scelte professionali degli operatori e l’impegno da parte di detti organismi a non richiedere
oneri economici agli utenti.
L’unità locale socio-sanitaria convoca, almeno una volta l’anno, apposita conferenza dei
servizi, quale strumento per verificare l’andamento delle strutture operative e per individuare
obiettivi di sviluppo delle attività, anche in relazione al risultato di rilevazioni sistematiche
della qualità percepita da parte dei cittadini, con particolare riferimento alla personalizzazione
ed umanizzazione dell’assistenza, al diritto all’informazione ed alle prestazioni alberghiere.
20
Art. 13
Il comitato etico
Il comitato etico è un organismo indipendente, costituito nell’ambito dell’unità locale
socio-sanitaria secondo criteri di interdisciplinarietà, con la responsabilità di garantire la tutela
dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti coinvolti in ogni sperimentazione
clinica di medicinali e/o in qualsiasi procedura diagnostica o terapeutica innovativa e di
fornire pubblica garanzia di tale protezione.
Il comitato svolge, inoltre, attraverso la formulazione di pareri, funzione di supporto alle
“decisioni difficili” della medicina, assolvendo alla funzione di sostegno nell’applicazione
delle norme deontologiche di riferimento, fermo restando che la collaborazione deve essere
assicurata nei confronti degli aspetti etici della singola decisione, senza interferire sui
contenuti di responsabilità personale e professionale.
21
CAPO IV
Gli organi dell’azienda
Art. 14
Gli organi
Gli organi dell’unità locale socio-sanitaria sono il direttore generale ed il collegio
sindacale.
Art. 15
Il direttore generale
Al direttore generale spettano tutti i poteri di gestione, nonché la rappresentanza
dell’unità locale socio-sanitaria. E’ responsabile del raggiungimento degli obiettivi assegnati
dalla giunta regionale del Veneto, nonché della corretta ed economica gestione delle risorse a
disposizione dell’azienda.
Il direttore generale è coadiuvato, nell’esercizio delle proprie funzioni, dal direttore
amministrativo, dal direttore sanitario e dal direttore dei servizi sociali. Essi partecipano,
unitamente al direttore generale, che ne ha la responsabilità, alla direzione dell’azienda,
assumono diretta responsabilità delle funzioni attribuite alla loro competenza e concorrono,
con la formulazione di proposte e di pareri, alla formazione delle decisioni della direzione
generale.
Art. 16
Il collegio sindacale
Il collegio sindacale esercita il controllo di regolarità amministrativa e contabile,
assicurando un ruolo collaborativo a favore della direzione generale dell’azienda, salvo i casi
di possibile responsabilità contabile nei quali esso è tenuto a riferire alla Corte dei Conti.
Le verifiche di regolarità amministrativa e contabile devono rispettare, in quanto
applicabili all’unità locale socio-sanitaria, i principi generali della revisione aziendale
asseverati dagli ordini e collegi professionali operanti nel settore.
Il controllo di regolarità amministrativa e contabile non comprende verifiche da
effettuarsi in via preventiva, se non nei casi espressamente previsti dalla legge e fatto salvo, in
ogni caso, il principio secondo cui le definitive determinazioni in ordine all’efficacia dell’atto
sono adottate dal direttore generale.
22
CAPO V
Gli organismi collegiali
Art. 17
Il collegio di direzione
Il collegio di direzione, presieduto dal direttore generale, costituisce luogo privilegiato
per la formazione di scelte condivise tra la direzione generale dell’unità locale socio-sanitaria
e l’alta dirigenza per il governo e la gestione dell’azienda.
In particolare, il direttore generale si avvale del collegio di direzione per la elaborazione
del programma delle attività dell’azienda, per l’organizzazione dei servizi, anche in attuazione
del modello dipartimentale e per l’utilizzazione delle risorse umane, per il governo delle
attività cliniche, per la programmazione e valutazione delle attività tecnico sanitarie e di
quelle ad alta integrazione sanitaria.
Inoltre, il collegio di direzione concorre alla formulazione dei programmi di
formazione, delle soluzioni organizzative per l’attuazione dell’attività libero professionale
intramuraria ed alla valutazione dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi clinici.
I componenti del collegio di direzione sono:
-
il direttore generale;
il direttore amministrativo;
il direttore sanitario;
il direttore dei servizi sociali;
il responsabile del coordinamento dei direttori dei distretti;
il direttore medico di ospedale;
il direttore del dipartimento di prevenzione;
un direttore di dipartimento strutturale per ciascuna area (medica, riabilitativa, chirurgica,
materno-infantile e dei servizi di diagnosi e cura);
il direttore del dipartimento di area critica;
il direttore del dipartimento di salute mentale;
il coordinatore del dipartimento delle dipendenze;
un direttore di dipartimento strutturale dell’area dei servizi professionali, tecnici ed
amministrativi;
il responsabile del servizio infermieristico.
E’ altresì invitato a partecipare un rappresentante dei medici convenzionati con il
servizio sanitario nazionale, membro dell’ufficio di coordinamento delle attività distrettuali,
indicato congiuntamente dai componenti della parte medica convenzionati per la medicina
23
generale, la pediatria di libera scelta e la specialistica ambulatoriale interna, dei comitati
aziendali e zonali previsti dai rispettivi accordi collettivi nazionali.
Al collegio di direzione possono, altresì, essere invitati a partecipare altri professionisti
dell’azienda, sempre in relazione alla specificità degli argomenti da trattare.
Il direttore generale, con apposito atto, nomina i componenti del collegio di direzione,
provvedendo direttamente alla individuazione dei suoi membri nell’ipotesi in cui gli stessi
debbano essere scelti tra più soggetti, stabilendo, inoltre, le modalità di funzionamento
dell’organismo in questione.
Art. 18
Il consiglio dei sanitari
Il consiglio dei sanitari è un organismo elettivo dell’unità locale socio-sanitaria, nel cui
seno viene garantita l’equilibrata presenza di tutte le componenti professionali dell’azienda.
Presieduto dal direttore sanitario, fornisce parere obbligatorio al direttore generale per quanto
riguarda le attività tecnico sanitarie, anche sotto il profilo organizzativo e per gli investimenti
ad esse attinenti, e di assistenza sanitaria.
24
CAPO VI
La direzione strategica ed i fondamentali processi gestionali
Art. 19
La direzione strategica e la direzione operativa
L’organizzazione dell’unità locale socio-sanitaria si basa sul principio della separazione
della direzione strategica dalla direzione operativa, con conseguente adozione diffusa del
principio di responsabilizzazione sui risultati esteso a tutti i dirigenti delle strutture aziendali.
La direzione strategica dell’unità locale socio-sanitaria, quale governo complessivo
dell’azienda, compete alla direzione generale e si esplica, in particolare, attraverso i processi
di pianificazione di medio - lungo periodo e di programmazione operativa, di garanzia e
miglioramento continuo della qualità, di budgeting, di controllo di gestione e di valutazione.
Ai dirigenti responsabili della direzione medica di ospedale, di ciascun distretto sociosanitario e del dipartimento di prevenzione spettano i compiti di gestione delle strutture
operative aziendali.
Art. 20
Il sistema delle deleghe
L’attuazione del principio della distinzione tra le funzioni di indirizzo e controllo, da un
lato, e quelle di attuazione e gestione, dall’altro, richiede un sistema di deleghe, che vede, di
norma, permanere in capo alla competenza del direttore generale l’adozione di tutti gli atti di
programmazione aziendale e di alta amministrazione, mentre l’esercizio delle attività per la
realizzazione degli obiettivi aziendali programmati viene delegato ai dirigenti di strutture
complesse.
A tale scopo, il direttore generale, in relazione alle esigenze che, in concreto, egli si
propone di soddisfare, nonché all’evolversi positivo o negativo dell’attività aziendale, può
attribuire al singolo dirigente una delega più o meno ampia per l’adozione di atti,
provvedimenti e spese che impegnano l’azienda verso l’esterno, nei limiti del budget
assegnato.
La delega è conferita con specifica deliberazione, che individua i seguenti elementi:
-
il destinatario;
i contenuti;
l’arco temporale di esercizio;
25
-
i principi e i criteri generali, ai quali il dirigente delegato dovrà attenersi;
le modalità per l’esercizio della delega;
i controlli sul suo esercizio;
la previsione esplicita della possibilità di revoca, da effettuarsi con le stesse modalità del
suo conferimento.
I provvedimenti adottati dal dirigente delegato vengono numerati e registrati in modo
progressivo, separatamente per ciascun dirigente delegato, dall’unità operativa alla quale
competono le stesse funzioni per le deliberazioni adottate dal direttore generale.
Ai provvedimenti sopraindicati si estendono, per analogia, le disposizioni in tema di
pubblicazione, esecutività e controllo applicate alle deliberazioni del direttore generale.
26
Art. 21
La direzione strategica
I processi di pianificazione di medio - lungo periodo e di programmazione operativa, di
garanzia e miglioramento continuo della qualità, di budgeting, di controllo di gestione e di
valutazione, debbono essere gestiti in forma:
-
sistematica, collegandoli anche all’applicazione degli istituti previsti per l’incentivazione
del personale dai contratti collettivi nazionali di lavoro;
non burocratica, evitando di considerarli un mero adempimento formale privo di utilità
gestionale;
partecipata, garantendo la massima diffusione delle relative conoscenze metodologiche a
tutti i livelli organizzativi e professionali dell’azienda.
La negoziazione del programma e del budget delle strutture operative e dei relativi
centri di responsabilità rappresenta il momento centrale e fondamentale, nel corso dell’anno,
nelle relazioni tra direzione strategica e direzione operativa.
I responsabili delle strutture aziendali, dei dipartimenti e delle unità operative
collaborano, con modalità che tengano conto dei diversi livelli di responsabilità, con la
direzione strategica nell’applicazione dei sopraindicati processi, avvalendosi, altresì, degli
stessi per l’esercizio delle funzioni di competenza.
Art. 22
La programmazione
L’unità locale socio-sanitaria adotta il metodo della programmazione quale strumento
ordinario di gestione.
Le scelte di programmazione dell’azienda si fondano sul piano sanitario nazionale, sul
piano socio-sanitario regionale e sugli altri atti di programmazione adottati dalla Regione del
Veneto e si effettuano attraverso un insieme coordinato e congruente di piani, programmi e
progetti.
27
Art. 23
La garanzia ed il miglioramento continuo della qualità e la politica della sicurezza
L’unità locale socio-sanitaria si dota di uno specifico sistema costituito da condizioni
organizzative, procedure, processi e risorse tali da assicurare la garanzia ed il miglioramento
continuo della qualità del servizio erogato, anche al fine di conseguire l’accreditamento
istituzionale, ai sensi della legge regionale del 16 agosto 2002, n. 22 e successive modifiche
che intervengano.
L’unità locale socio-sanitaria si prefigge la sicurezza delle cure e la tutela dei pazienti
che ad esse si sottopongano, applicando in modo sistematico procedure e pratiche per
comprendere il contesto organizzativo, identificare, analizzare, valutare, trattare e monitorare
i rischi.
La politica per la salute e sicurezza dei lavoratori dell’unità locale socio-sanitaria mira a
garantire, nello svolgimento di tutte le attività e presso tutti i posti di lavoro, l’incolumità e la
salute del proprio personale e di tutti i lavoratori delle altre parti interessate, assicurando per
l’ambiente di lavoro condizioni di tutela dal rischio legato a possibili fattori ambientali, con
riferimento agli aspetti strutturali, tecnologici ed organizzativi.
Art. 24
La metodica di budget
L’unità locale socio-sanitaria adotta la metodica di budget allo scopo di pervenire, su
arco annuale e con sistematico riferimento alle scelte della programmazione, alla
formulazione di articolate e puntuali previsioni relativamente ai risultati da conseguire, alle
attività da realizzare, ai fattori operativi da utilizzare, alle risorse finanziarie da acquisire e da
impiegare ed agli investimenti da compiere.
La metodica di budget si sviluppa secondo una struttura che comprende il documento di
direttive, il budget generale, i budget delle strutture operative ed i budget di centro di
responsabilità.
28
Art. 25
Il controllo di gestione
L’unità locale socio-sanitaria applica il controllo di gestione allo scopo di assicurare
efficacia ed efficienza ai processi di acquisizione e di impiego delle risorse.
La struttura organizzativa del controllo di gestione è costituita dall’insieme dei centri di
responsabilità e dall’unità operativa di staff preposta allo svolgimento del processo di
controllo di gestione.
I centri di responsabilità corrispondono a dipartimenti o unità operative alle quali sono
assegnate, mediante la metodica di budget, determinate risorse per lo svolgimento di
specifiche attività volte all’ottenimento di individuati risultati. Un dipartimento o una unità
operativa è centro di responsabilità quando risponde alle seguenti caratteristiche: a)
omogeneità delle attività svolte, b) significatività delle risorse impiegate, c) esistenza di uno
specifico responsabile di gestione e di risultato.
L’insieme dei centri di responsabilità costituisce il piano dei centri di responsabilità.
Art. 26
La contabilità ed i bilanci
L’unità locale socio-sanitaria applica:
-
la contabilità economico patrimoniale, con lo scopo di determinare il risultato economico
d’esercizio ed il patrimonio di funzionamento;
la contabilità analitica, con lo scopo di attuare, attraverso operazioni di classificazione,
localizzazione ed imputazione, raggruppamenti di valori economici articolati sulla base
delle caratteristiche dei processi produttivi ed erogativi.
L’azienda adotta i seguenti atti:
-
-
il bilancio pluriennale di previsione, il quale, elaborato con riferimento agli strumenti
della programmazione assunti dall’unità locale socio-sanitaria, ne rappresenta la
traduzione in termini economici, finanziari e patrimoniali nell’arco temporale
considerato;
il bilancio economico preventivo, al fine di dare dimostrazione, con maggior grado di
analisi rispetto al bilancio pluriennale di previsione, del previsto risultato economico
complessivo finale dell’unità locale socio-sanitaria per l’anno considerato. Costituiscono
allegato obbligatorio al bilancio in questione il budget generale ed il piano triennale dei
lavori;
29
-
il bilancio di esercizio, per rappresentare con chiarezza, in modo veritiero e corretto il
risultato economico conseguito, nonché la situazione patrimoniale e finanziaria dell’unità
locale socio-sanitaria.
Art. 27
La valutazione della dirigenza
L’unità locale socio-sanitaria attua i processi di valutazione della dirigenza, previsti
dalle disposizioni di legge e dai contratti collettivi nazionali di lavoro, con riferimento alle
prestazioni ed ai risultati degli stessi, nonché ai comportamenti relativi allo sviluppo delle
risorse professionali, umane ed organizzative ad essi assegnate.
Il procedimento per la valutazione è ispirato ai principi della diretta conoscenza
dell’attività del valutato da parte del valutatore di prima istanza, della approvazione o verifica
della valutazione da parte del valutatore di seconda istanza e della partecipazione al
procedimento del valutato.
La regolamentazione aziendale dei procedimenti di valutazione si adegua agli indirizzi
forniti dalla normativa nazionale e regionale e dai diversi livelli di contrattazione.
In particolare, la valutazione è basata sui risultati del controllo di gestione e sui seguenti
criteri:
-
-
-
-
-
leadership: come i dirigenti a) definiscono la missione e la visione della propria unità
operativa, b) ne promuovono la realizzazione, elaborando i valori necessari al successo
duraturo, c) ne sostengono l’attuazione attraverso azioni e comportamenti adeguati, d)
assicurano il personale coinvolgimento nell’opera di sviluppo ed attuazione del sistema di
management dell’organizzazione;
politiche e strategie: come i dirigenti realizzano la propria missione e visione, attraverso
una chiara strategia focalizzata sulle esigenze degli utenti e dei diversi portatori di
interessi, con il supporto di politiche, piani, obiettivi e processi adeguati;
gestione del personale: come i dirigenti gestiscono e sviluppano le competenze del
personale e ne consentono la manifestazione del pieno potenziale a livello individuale, di
gruppo e di organizzazione nel suo complesso; come pianificano tali attività,
coerentemente con le politiche e strategie e a sostegno dell’efficace operatività dei
processi;
partnership e risorse: come i dirigenti pianificano e gestiscono le partnership esterne e le
risorse interne, al fine di sostenere le politiche e le strategie e assicurare una efficace
operatività dei processi;
processi: come i dirigenti progettano, gestiscono e migliorano i processi a sostegno delle
politiche e strategie, al fine di soddisfare pienamente gli utenti e gli altri portatori di
interessi.
30
Art. 28
La valutazione ed il controllo strategico
La valutazione ed il controllo strategico mirano a considerare l’adeguatezza delle scelte
compiute dall’unità locale socio-sanitaria in sede di attuazione dei piani, dei programmi e
degli altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra
risultati conseguiti ed obiettivi predefiniti. Tale tipologia di controllo, per la sua natura
intrinseca, fa capo alla Regione del Veneto.
Spetta alla Regione del Veneto determinare preventivamente, in via generale, i criteri di
valutazione dei direttori generali delle unità locali socio-sanitarie, con riguardo al
raggiungimento degli obiettivi definiti dalla programmazione regionale e con particolare
riferimento alla efficienza, efficacia e funzionalità dei servizi.
L’attività di valutazione e di controllo strategico si configura come riservata ed è,
quindi, sottratta al diritto di accesso in quanto correlata alla emanazione di atti di
amministrazione generale, di pianificazione e di programmazione.
31
Art. 29
La risorsa umana
La gestione della risorsa umana si ispira al riconoscimento della centralità e della
responsabilità del personale rispetto all’organizzazione ed ai suoi prodotti.
L’azienda riconosce, nell’ambiente di lavoro, pari dignità ed opportunità tra le persone,
costituendo anche appositi comitati rappresentativi.
Fatti salvi i livelli di responsabilità gestionale e di autonomia professionale propri dei
diversi livelli organizzativi dell’azienda, l’unità locale socio-sanitaria valorizza, in un contesto
di appropriate relazioni sindacali, l’apporto di tutto il personale, indipendentemente dal ruolo
e profilo professionale, alla definizione degli obiettivi di sviluppo dei livelli di salute e di
garanzia e miglioramento continuo della qualità.
Il personale deve possedere, con riferimento alle proprie funzioni e responsabilità, un
adeguato grado di istruzione, addestramento, abilità ed esperienza. A tale scopo, l’azienda,
nell’ambito di adeguate politiche per la formazione continua:
-
definisce la competenza necessaria per il personale;
fornisce addestramento o intraprende altre azioni per soddisfare queste esigenze,
valutando l’efficacia delle iniziative intraprese;
assicura che il personale sia consapevole della rilevanza e dell’importanza delle proprie
attività e di come esse contribuiscano al raggiungimento degli obiettivi
dell’organizzazione.
32
CAPO VII
Il livello operativo
Art. 30
L’organizzazione del livello operativo
L’organizzazione del livello operativo dell’unità locale socio-sanitaria si articola in
strutture operative, dipartimenti, strutturali e funzionali, ed unità operative, complesse o
semplici.
Compete al direttore generale conformare la struttura organizzativa dell’azienda
secondo l’assetto più idoneo al raggiungimento degli obiettivi dell’unità locale sociosanitaria.
L’unità locale socio-sanitaria, al fine di assicurare alla propria struttura organizzativa la
flessibilità necessaria a perseguire lo sviluppo dei livelli di efficienza, fatte salve le migliori
condizioni di efficacia delle attività assistenziali e gestionali, in coerenza con quanto previsto
dalla vigente legislazione statale e regionale:
-
-
può ricorrere all’attribuzione di incarichi dirigenziali, con contratti a tempo determinato e
con rapporto di lavoro esclusivo, a favore di laureati di particolare e comprovata
qualificazione professionale, desumibile alternativamente dai seguenti elementi: a)
attività svolta in organismi ed enti pubblici o privati o aziende pubbliche o private, con
esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali apicali; b)
particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica, desumibile dalla
formazione universitaria e post universitaria, da pubblicazioni scientifiche o da
documentate esperienze di lavoro;
persegue la realizzazione di nuovi modelli gestionali, mediante il ricorso alla stipula di
convenzioni o accordi di programma, a contratti d’appalto, alla costituzione di società a
partecipazione mista o di consorzi, nonché ad altri istituti previsti dalla vigente normativa
nell’ambito di forme di partenariato finanziario pubblico-privato, in particolare per:
a) la realizzazione di opere, l’allestimento di impianti e la disponibilità di attrezzature e
la loro gestione;
b) l’affidamento a terzi di servizi legati a funzioni strumentali e di supporto alle attività
sanitarie e socio-sanitarie svolte dalle proprie strutture operative;
c) lo sviluppo di collaborazioni con altri enti del servizio sanitario nazionale, specie con
le unità locali socio-sanitarie limitrofe, ed altri soggetti pubblici, in particolare la
Regione del Veneto e le Università degli Studi operanti nell’ambito del territorio
regionale, per la gestione in comune di attività assistenziali, formative, di ricerca ed
amministrative;
d) la collaborazione con altri soggetti pubblici e del privato sociale, per l’erogazione di
prestazioni socio-sanitarie atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati,
33
bisogni di salute della persona che richiedano unitariamente prestazioni sanitarie e
azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la
continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione.
Art. 31
Le strutture operative
Le strutture operative dell’azienda, deputate alla produzione ed erogazione di tutte le
prestazioni previste dai livelli essenziali di assistenza, sono l’ospedale, i distretti socio-sanitari
ed il dipartimento di prevenzione.
Le unità operative di staff, incaricate di supportare la direzione aziendale nei processi di
pianificazione strategica, programmazione operativa, garanzia e miglioramento continuo della
qualità, budgeting, controllo di gestione e valutazione, e le unità operative di line, incaricate
dell’acquisizione, organizzazione e gestione delle risorse umane, informative, finanziarie,
patrimoniali e materiali necessarie a garantire la funzionalità dell’ospedale, dei distretti sociosanitari e del dipartimento di prevenzione, confluiscono in una struttura denominata servizi
generali.
Le strutture operative, benché autonome, attuano procedure per una azione coordinata.
Art. 32
I dipartimenti
L’organizzazione dipartimentale, quale aggregazione di unità operative complesse o
semplici, è la forma ordinaria di gestione operativa di tutte le attività sanitarie, socio-sanitarie,
amministrative, tecniche e professionali dell’azienda. Il modello organizzativo dei
dipartimenti può essere funzionale o strutturale.
Nel modello funzionale, le unità operative concorrono, sulla base di specifici progetti, al
perseguimento di obiettivi comuni con il contributo di quella parte delle proprie attività che è
inerente alle finalità del dipartimento. In questo caso, il dipartimento può comprendere anche
unità operative di strutture diverse ed una unità operativa può partecipare a più dipartimenti
funzionali.
Nel modello strutturale, il dipartimento aggrega unità operative omogenee, sotto il
profilo delle attività o delle risorse umane e tecnologiche impiegate o delle procedure
operative, per la gestione ed utilizzo in comune delle stesse. In questo caso, il dipartimento
può comprendere solo unità operative della stessa struttura ed una unità operativa non può
partecipare a più dipartimenti strutturali.
34
Al direttore del dipartimento strutturale competono, in particolare, nell’ambito di una
appropriata sede di coordinamento con i responsabili delle unità operative incluse nel
dipartimento stesso, ferma restando la loro piena autonomia professionale e clinica, le
decisioni in merito all’impiego del personale ed alle questioni operative, nonché la gestione,
entro il budget prefissato, degli istituti economici contrattuali.
Art. 33
Le unità operative
Le unità operative rappresentano l’articolazione organizzativa aziendale elementare di
base per l’attribuzione di obiettivi e responsabilità di gestione di risorse umane, tecniche e
finanziarie. Il livello qualitativo e quantitativo di tale attribuzione determina, nel rispetto dei
vincoli della programmazione regionale, il carattere complesso o semplice dell’unità
operativa. L’unità operativa semplice può configurarsi quale articolazione interna di una unità
operativa complessa o quale unità operativa a valenza dipartimentale o distrettuale.
Art. 34
I rapporti gerarchici
I rapporti gerarchici all’interno dell’azienda sono strutturati nel seguente modo: ogni
operatore risponde al responsabile della propria unità operativa che, a sua volta, risponde al
direttore del dipartimento strutturale. Quest’ultimo è subordinato gerarchicamente al
responsabile della struttura operativa di appartenenza, il quale riporta funzionalmente ai
direttori amministrativo, sanitario e dei servizi sociali, per quanto di propria competenza, ed al
direttore generale in termini complessivi.
Art. 35
Gli incarichi di direzione di struttura operativa e di dipartimento
Gli incarichi di direzione medica dell’ospedale, nonché di direzione del distretto sociosanitario, del dipartimento di prevenzione e dei singoli dipartimenti, fatta salva la normativa
vigente, vengono affidati con provvedimento motivato del direttore generale per un periodo
non inferiore a due anni e non superiore a cinque, con facoltà di rinnovo degli stessi.
Tali incarichi hanno termine, comunque, entro sei mesi dalla data di decorrenza della
nomina del direttore generale, fatta salva la possibilità della conferma dei medesimi sino alla
scadenza naturale.
35
CAPO VIII
Le strutture operative
Art. 36
L’ospedale
L’ospedale è la struttura tecnico funzionale mediante la quale l’unità locale sociosanitaria garantisce la soddisfazione dei bisogni di salute in situazioni di urgenza ed
emergenza, di acuzia, di post acuzia lungodegenziale e riabilitativa, le quali, per la loro
natura, non possano essere affrontate in modo ugualmente efficace ed efficiente da parte dei
servizi territoriali.
L’assistenza ospedaliera viene erogata in regime di ricovero, ordinario e diurno, ed
ambulatoriale, in forma coordinata ed integrata con i servizi dei distretti socio-sanitari e del
dipartimento di prevenzione.
L’ospedale dell’unità locale socio-sanitaria n. 8 è unico e si articola nei presidi
ospedalieri di Castelfranco Veneto e Montebelluna.
La direzione medica di ospedale fa capo ad un unico responsabile organizzativo.
All’ospedale è attribuita autonomia tecnico gestionale ed economico finanziaria. La
funzione ospedaliera deve svolgersi in condizioni di equilibrio economico.
Art. 37
I distretti socio-sanitari
Il distretto socio-sanitario è la struttura tecnico funzionale mediante la quale l'unità
locale socio-sanitaria, con riferimento ad un bacino di utenza minimo di sessantamila abitanti,
garantisce la soddisfazione di bisogni di salute di tipo sanitario, per loro natura affrontabili in
modo ugualmente efficace ed efficiente in regime non ospedaliero, e di tipo socio-sanitario,
richiedenti unitariamente prestazioni sanitarie ed azioni di protezione sociale.
L’assistenza distrettuale viene erogata in regime ambulatoriale, semi residenziale,
residenziale e domiciliare, mediante le seguenti attività:
-
attività sanitarie:
36
a) assistenza primaria, compresa la continuità assistenziale, attraverso il coordinamento e
l’approccio multidisciplinare, in ambulatorio e al domicilio, tra medici di medicina
generale, specialisti pediatri di libera scelta, servizi di guardia medica notturna e
festiva e presidi specialistici ambulatoriali;
b) assistenza farmaceutica;
c) assistenza sanitaria domiciliare;
d) assistenza specialistica ambulatoriale;
e) assistenza riabilitativa intensiva extra ospedaliera a carattere residenziale e semi
residenziale;
-
attività socio-sanitarie:
a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale;
b) prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria;
c) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, se delegate dai comuni all’unità locale sociosanitaria;
In particolare, il distretto socio-sanitario deve:
-
-
essere centro di riferimento per gli utenti, informando ed orientando gli stessi verso tutte
le prestazioni erogate dall'unità locale socio-sanitaria, direttamente o indirettamente
mediante strutture accreditate;
essere polo unificante dei servizi sanitari, socio-sanitari e sociali a livello territoriale,
garantendo una risposta coordinata e continuativa ai bisogni di salute della popolazione,
in particolare attraverso l’integrazione socio-sanitaria.
Al distretto socio-sanitario è preposto un responsabile che risponde alla direzione
aziendale del perseguimento degli obiettivi della struttura operativa, dell’assetto organizzativo
e della gestione, in relazione alle risorse assegnate.
A tale scopo, il responsabile del distretto socio-sanitario si avvale di un ufficio di
coordinamento delle attività distrettuali, posto in staff al predetto direttore con funzioni
consultive e propositive.
L’ufficio di coordinamento delle attività distrettuali è composto da rappresentanti delle
diverse figure professionali operanti nelle unità operative del distretto socio-sanitario. Sono
membri di diritto dell’ufficio un medico di medicina generale, un pediatra di libera scelta ed
uno specialista ambulatoriale convenzionato, operanti nel distretto socio-sanitario.
I componenti dell’ufficio di coordinamento delle attività distrettuali sono nominati, su
proposta del direttore del distretto socio-sanitario, dal direttore generale.
Il direttore generale stabilisce, con apposito atto, modalità uniformi di funzionamento
dei diversi uffici di coordinamento delle attività distrettuali.
37
Al distretto socio-sanitario è attribuita autonomia gestionale ed economico finanziaria,
in condizioni di equilibrio economico.
Il territorio dell’unità locale socio-sanitaria n. 8 è articolato nei distretti socio-sanitari n.
1 “Asolo – Castelfranco Veneto” e n. 2 “ Valdobbiadene - Montebelluna”, comprendenti
rispettivamente i seguenti comuni:
-
distretto socio-sanitario n. 1 “Asolo - Castelfranco Veneto”:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
-
Altivole;
Asolo;
Borso del Grappa;
Castelcucco;
Castelfranco Veneto;
Castello di Godego;
Cavaso del Tomba;
Crespano del Grappa;
Fonte;
Loria;
Maser;
Monfumo,
Paderno del Grappa;
Possagno;
Resana;
Riese Pio X;
San Zenone degli Ezzelini;
Vedelago.
distretto socio-sanitario n. 2 “Valdobbiadene - Montebelluna”:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Caerano di San Marco;
Cornuda;
Crocetta del Montello;
Giavera del Montello;
Montebelluna;
Nervesa della Battaglia;
Pederobba;
Segusino;
Trevignano;
Valdobbiadene;
Vidor;
38
•
Volpago del Montello.
Al fine di valorizzare, unificare e coordinare la risposta ai bisogni di salute della
popolazione sul territorio, nonché per la migliore integrazione dei servizi, è istituito il
coordinamento dei responsabili dei distretti socio-sanitari, che formula sul punto le sue
proposte al direttore generale, oltre che al direttore dei servizi sociali ed al direttore sanitario.
La responsabilità della funzione di coordinamento è attribuita dal direttore generale ad uno dei
direttori dei distretti socio-sanitari.
Il coordinamento dei responsabili dei distretti socio-sanitari è composto dai direttori dei
distretti socio-sanitari, da un referente per ciascuna tipologia di unità operativa distrettuale
presente in ogni distretto socio-sanitario, nominato dal direttore generale, e dai responsabili
delle unità operative interdistrettuali.
39
Art. 38
Il dipartimento di prevenzione
Il dipartimento di prevenzione è la struttura tecnico funzionale, dotata di autonomia
organizzativa e contabile, mediante la quale l’unità locale socio-sanitaria garantisce la
soddisfazione dei bisogni di salute connessi ad interventi di promozione e di prevenzione
relativamente agli stati e comportamenti individuali delle persone, all’ambiente fisico e
sociale della comunità di riferimento.
Il dipartimento di prevenzione garantisce le seguenti funzioni di prevenzione collettiva e
sanità pubblica, anche a supporto dell’autorità sanitaria locale:
-
-
profilassi delle malattie infettive e parassitarie;
medicina legale;
tutela della collettività dai rischi sanitari degli ambienti di vita, anche con riferimento agli
effetti sanitari degli inquinanti ambientali;
tutela della collettività e dei singoli dai rischi infortunistici e sanitari connessi agli
ambienti di lavoro;
sanità pubblica veterinaria, che comprende:
• sorveglianza epidemiologica delle popolazioni animali e profilassi delle malattie
infettive e parassitarie;
• farmacosorveglianza veterinaria;
• igiene delle produzioni zootecniche;
• tutela igienico sanitaria degli alimenti di origine animale;
tutela igienico sanitaria degli alimenti;
sorveglianza e prevenzione nutrizionale;
tutela della salute nelle attività sportive.
Il dipartimento di prevenzione contribuisce, inoltre, alle attività di promozione della
salute e di prevenzione delle malattie cronico degenerative in collaborazione con l’ospedale
ed i distretti socio-sanitari.
Al dipartimento di prevenzione è preposto un responsabile che risponde alla direzione
aziendale del perseguimento degli obiettivi della struttura operativa, dell’assetto organizzativo
e della gestione, in relazione alle risorse assegnate ed in condizioni di equilibrio economico.
Art. 39
I servizi generali
Le funzioni ed attività finalizzate a supportare la direzione aziendale nei processi di
pianificazione strategica, programmazione operativa, garanzia e miglioramento continuo della
40
qualità, budgeting, controllo di gestione e valutazione, e quelle necessarie a garantire la
funzionalità dell’ospedale, dei distretti socio-sanitari e del dipartimento di prevenzione,
mediante l’acquisizione, organizzazione e gestione delle risorse umane, informative,
finanziarie, patrimoniali e materiali, sono organizzate su due distinti livelli.
Al primo livello, costituente i servizi generali, appartengono le unità operative,
denominate di staff, incaricate di supportare la direzione aziendale nei sopraindicati processi e
le unità operative, denominate di line, deputate allo svolgimento delle attività amministrative,
tecniche e professionali che implicano particolari competenze, quelle volte ad assicurare
l’uniformità dei comportamenti tra le diverse strutture operative dell’azienda e quelle che
appare opportuno, per ragioni di efficienza e di efficacia, gestire comunque a livello centrale.
L’espletamento di tutte quelle attività, specie se urgenti o non programmabili, che
presentano essenzialmente un carattere operativo, per essere volte prevalentemente al diretto
soddisfacimento delle esigenze dell’utenza, o che trovano a livello locale la loro ragion
d’essere, anche in questo caso, in termini di efficienza e di efficacia, possono venire attribuite
alla competenza di specifiche unità operative dell’ospedale, dei distretti socio-sanitari e del
dipartimento di prevenzione.
Art. 40
Il servizio infermieristico
Il servizio infermieristico è una unità operativa che collabora con la direzione strategica
per quanto riguarda:
-
la determinazione del fabbisogno, la programmazione e la formazione permanente del
personale infermieristico;
il controllo, la garanzia ed il miglioramento continuo della qualità dell’assistenza
infermieristica, nonché la relativa attività di ricerca applicata.
Le attività del servizio infermieristico si articolano nelle seguenti aree, gestite in modo
integrato:
-
programmazione dell’assistenza infermieristica ospedaliera;
programmazione dell’assistenza infermieristica territoriale;
formazione del personale infermieristico;
controllo, garanzia e miglioramento continuo della qualità dell’assistenza infermieristica
e relativa attività di ricerca applicata.
Il servizio infermieristico svolge le proprie funzioni in posizione di staff alla direzione
strategica e di concerto con le altre unità operative che, nell’ambito dell’organizzazione
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aziendale, presiedono ai processi di programmazione, formazione, qualità e ricerca riferiti alla
generalità del sistema aziendale.
Il personale infermieristico, interessato dai processi di programmazione, formazione,
qualità e ricerca, relativi alle aree sopraindicate, mantiene la sua assegnazione alle unità
operative di appartenenza e dipende gerarchicamente dai responsabili delle stesse.
42
CAPO IX
L’attività contrattuale
Art. 41
La disciplina dei contratti di fornitura di beni e di servizi
Nell’esercizio della propria autonomia imprenditoriale, l’unità locale socio-sanitaria ha
facoltà di stipulare tutte le tipologie di contratto disciplinate dal codice civile e da leggi
speciali integrative dello stesso, ivi compresi i contratti atipici o innominati, ai sensi dell’art.
1322 cod. civ., purché non sia fatto espresso divieto dalla normativa vigente.
In ordine alla procedura per l’acquisizione di beni e servizi e per l’esecuzione di lavori:
a)
per i contratti di importo superiore alla soglia comunitaria, l’azienda è tenuta ad agire nel
rispetto delle disposizioni legislative vigenti in materia, mediante provvedimenti
amministrativi e, quindi, nell’ambito di procedure pubbliche;
b) per i contratti il cui valore sia inferiore a quello stabilito dalla normativa comunitaria in
materia, l’azienda applica le disposizioni contenute nel Regolamento Aziendale per
l’acquisizione in economia di beni, servizi e lavori” in attuazione del D.Lgs. 163/2006
“Codice dei Contratti Pubblici”.
Art. 42
L’attività contrattuale sotto soglia
L’attività contrattuale sotto soglia è disciplinata dal Regolamento Aziendale, di cui alla
lettera b), dell’art. 41.
L’assegnazione di forniture di beni e di servizi a società cooperative sociali di tipo “b”
(finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate e deboli) avviene, ai sensi della
legge n. 381/1991, art. 5, della legge regionale n. 23/2006 e delle DGRV n. 4189/2007 e n.
1357/2008, mediante convenzionamento diretto, nei seguenti casi:
- quando nella stessa area non siano presenti altre cooperative in grado di fornire il
medesimo bene o servizio;
- se l’individuazione delle singole società cooperative sociali è stabilita in sede di
pianificazione zonale o di atto generale di indirizzo dell’azienda ULSS o mediante
la predisposizione, a seguito di apposito bando, di un elenco di cooperative sociali
che presentino credenziali di integrazione con il territorio di appartenenza e con le
iniziative di pianificazione locale.
Negli altri casi, l’azienda osserva le normali procedure per l’acquisizione di beni e di
servizi, garantendo l’imparzialità e la parità di trattamento dei diversi soggetti interessati,
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sulla base di criteri economici e di progetti di integrazione lavorativa di persone svantaggiate
e deboli.
Art. 43
L’affidamento di servizi alla persona a soggetti operanti nel terzo settore
Per l’affidamento di servizi alla persona a soggetti del terzo settore, di cui ai commi
quarto e quinto dell’articolo 1 della legge 328 dell’8 novembre 2000, l’unità locale sociosanitaria procede ai sensi della normativa qui richiamata di seguito:
a) D.Lgs. 163/2006 codice dei contratti pubblici di lavori, forniture e servizi, che colloca
i servizi sanitari e sociali (categoria 25 dell’allegato II B) tra i servizi per i quali sono
applicabili esclusivamente l'articolo 68 (specifiche tecniche), l'articolo 65 (avviso sui
risultati della procedura di affidamento) e l’articolo 225 (avvisi relativi agli appalti
aggiudicati).
b) L. 328/2000 legge quadro sul sistema integrato dei servizi sociali, in particolare art. 1
e 5.
c) DPCM 30.3.2001 atto di indirizzo sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona.
d) LR 23/2006 sulla cooperazione sociale e DGRV 4189/2007, che forniscono indirizzi
per l’affidamento di servizi a soggetti della cooperazione sociale.
Pertanto l’unità locale socio-sanitaria emana un bando aperto ai soggetti del terzo
settore per la presentazione delle offerte di disponibilità alla coprogettazione e alla gestione di
una o più tipologia di servizi alla persona. Nel bando, pubblicato nel portale dell’azienda
ULSS e, in sintesi, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e nel Bollettino Ufficiale
della Regione del Veneto, vengono precisati i requisiti soggettivi e di idoneità tecnica e
finanziaria, le modalità di formazione della graduatoria dei soggetti disponibili alla
coprogettazione, le modalità di gestione della fase di coprogettazione e, quindi, di
affidamento in partnership della gestione del servizio, che avviene con atto del Direttore
Generale.
L’azienda ULSS si riserva la possibilità di attuare procedure accelerate, invitando alla
coprogettazione i soggetti che gestiscono servizi sanitari, sociosanitari e sociali in materie
affini nell’ambito territoriale dell’azienda ovvero che hanno partecipano all’elaborazione del
progetto oggetto di finanziamento, nei seguenti casi:
- attuazione di progetti a finanziamento vincolato;
- gestione di servizi per i quali il soggetto del terzo settore abbia effettuato consistenti
spese di investimento strutturale, in attuazione di decisioni della Conferenza dei
Sindaci.
In ogni caso l’affidamento viene effettuato sulla valutazione della qualità del servizio
(progetto di gestione) e dei costi economici connessi, nel rispetto dei principi di economicità,
efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, della disciplina sul
procedimento amministrativo L. 241/1990 e le disposizioni del codice civile
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Resta salva la possibilità, per l’azienda ULSS, di procedere all’affidamento di servizi
nell’ambito o in esecuzione di accordi di programma, ai sensi del d.lgs. 267/2000 e della
legge 328/2000.
Art. 44
Clausole di preferenza
E’ facoltà dell’azienda inserire, nei termini di legge, nei capitolati d’appalto per la
fornitura di beni e servizi diversi clausole di preferenza:
-
-
per i concorrenti che si impegnino ad eseguire il contratto con l’impiego di persone
svantaggiate, mediante l’adozione di specifici programmi di recupero e inserimento
lavorativo;
per i concorrenti che si impegnino a subappaltare parzialmente la fornitura a cooperative
sociali di tipo “b”.
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