San Miniato al Monte e il Tempio Celeste

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San Miniato al Monte e il Tempio Celeste
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San Miniato al Monte e il Tempio Celeste
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(prima parte)
“Ci sono luoghi in cui abita lo spirito; dei luoghi in cui l’uomo si può
impregnare di spirito o, se preferisce, dove si sviluppa in lui il senso del
Divino”.
Così scriveva Louis Charpentier ne’ “I Misteri della cattedrale di Chartres”.
Un’intuizione attenta, che trova stretta relazione con la Basilica di San
Miniato al Monte sorta sul Mons
F lorentinus, la collina che
s’innalza sulla riva sinistra del
fiume Arno e che vide sorgere
uno dei primi romitori cristiani.
Una prima comunità cristiana si
stabilì nella Firenze romana del
III secolo, non molto distante
dalle pendici di quel monte;
erano mercanti siriani di lingua
greca provenienti da Apamea,
città posta a sud di Antiochia,
che nell’era Cristiana era divenuta un grande centro di studi teologici e
filosofici. L’esistenza di questa comunità è confermata dalle lapidi scritte in
greco, rinvenute all’interno della chiesa di Santa Felicita, situata nel quartiere
di Oltrarno, anticamente costruita nei pressi di un cimitero paleocristiano.
L’importanza del Mons Florentinus è strettamente legata alla figura di San
Miniato, primo evangelizzatore e martire cristiano dell’area fiorentina.
Di Minias, antico nome del santo che
testimonia la sua origine greco-orientale,
sappiamo che era Re dell’Armenia, paese
euroasiatico che fu tra i primi ad adottare il
Cristianesimo come religione di Stato.
Nel dipinto duecentesco presente in San
Miniato, il Santo è stato riprodotto con
corona in testa, sguardo fiero, spada nella
mano destra e palma del martirio nella
sinistra: simboli che avvalorano la scritta
“Rex Erminie” presente sopra la testa del
Santo nel gigantesco mosaico del coro
absidale della Basilica.
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Si dice che Minias fosse arrivato a Firenze
intorno al 250 d.C. e che avesse cominciato
la sua vita di eremita proprio su quella
collina chiamata un tempo Arx Vetus
(monte antico), una delle più celebri che
contornano Firenze. La persecuzione
contro i cristiani indetta da Decio
nell’ottobre del 250, si abbatté
pesantemente su di lui e dopo vari tentativi
di porre fine alla sua esistenza, Minias
venne decapitato sul greto dell’Arno, ai
piedi del luogo del suo eremitaggio. La
storia racconta che il Santo, dopo
l’esecuzione, fu visto prendere la sua testa in mano e salire sul colle e lì il 25
ottobre di quell’anno, trovare degna sepoltura.
In seguito su quel monte venne eretto un santuario e nel VIII secolo una
piccola chiesa e fu in quegli anni che la mistica collina conquistò il nome di
“Monte del Re”.
Nel 783 Carlo Magno fece
una donazione dei terreni
circostanti, altri furono
reg alati nel 898 da re
Lamberto ed altri ancora da
re Berengario.
Pian piano quel luogo
cominciò ad assumere un
ruolo di riferimento mistico
di notevole importanza tanto
da indur re il vescovo
Ildebrando a fondare, agli
inizi del XI secolo, una nuova chiesa su quella già esistente. Il progetto fu
grandioso e grazie all’aiuto economico offerto dall’imperatore Enrico II, fu
portato di lì a pochi anni a definitivo compimento.
Nel 1062 la Basilica di San Miniato era già costruita, ma bisognerà aspettare
il 1207 per veder ultimato l’intarsio della sua straordinaria pavimentazione.
La Basilica nacque dunque su di un monte che possiede tutt’oggi una sua
sacralità e questo non soltanto perché racchiude le spoglie del Santo, ma
anche per la posizione particolare in cui sorge.
Secondo Renzo Manetti, studioso di storia dell’architettura, il Tempio veniva
costruito “in luoghi speciali dove le vibrazioni della terra emergono con più
intensità” e se l’edificio sacro veniva ideato secondo le armonie matematiche
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essenziali, “le sue mura di pietre squadrate, funzionando
come una cassa armonica” potevano accordarsi
alle
armonie celesti.
Nell’antica Roma costruire il Tempio era compito del Re
Sacerdote, il grande sapiente che con in mano la sua verga il lituus - delineava un cerchio intorno a sé e quel luogo
diventava il “sacro recinto”, il “fanum”, ben separato da
tutto ciò che si trovava posto al di là di quel cerchio o
“profanum”. Quello spazio così circoscritto rappresentava il
luogo luminoso (fanum) riservato alla Divinità dove ogni
“primizia”, simbolo di fertilità spirituale, poteva essere posta o coltivata.
Tracciare un cerchio voleva dire costruire il Tempio cioè dar vita ad un
edificio perfetto secondo il modello
archetipico della creazione ideale, dove la
presenza Divina poteva manifestarsi. L’idea
era di creare un angolo di mondo dove la
preghiera potesse elevarsi con maggiore
intensità, se poi quello spazio “consacrato”
era posto sulla sommità di un monte, vicino
ad una sorgente d’acqua, l’ambiente si
faceva ancor più idoneo a ricevere
“benefiche influenze”.
Nell’antica tradizione il monte è considerato
simbolo di stabilità e di immutabilità, punto
di incontro tra il Cielo e la Terra e la sua
ascesa è vista come un percorso di elevazione dell’anima.
Addirittura vi erano dei templi-osservatori dove vi si celebravano feste
astronomiche sotto forma di feste religiose, collegate ai giorni dei solstizi ed
degli equinozi.
Un tempo l’Astrologia ed l’Astronomia erano
un’unica scienza ed i sacerdoti utilizzavano
l’Astrologia ai fini di una realizzazione
spirituale; questo spiegherebbe come mai i
templi venivano costruiti con la parte
absidale rivolta verso uno dei quattro punti
cardinali, a seconda del significato simbolico
che si voleva perpetuare.
L’Astrologia esoterica quindi non è per
niente da disprezzare, ma al contrario allarga
la visione conoscitiva e porta alla
comprensione delle relazioni che esistono tra
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microcosmo e macrocosmo, tra l’umano e il Divino.
Le Sacre Scritture ricordano che l’uomo, portando impressa in sé l’immagine
di Dio, trova relazione con il Tempio
anzi è lui stesso il “tempio” dove la
Presenza Divina si può far sentire.
Andando a ricercare il significato
etimologico di “Templum” scopriamo
che questo vocabolo deriva dalla radice
indoeuropea “TeM”, da cui a sua volta
proviene il verbo greco “tem-no”, che
vuol dire “tagliare”, “delimitare” e “tèmnos” che riassume il significato di
“santuario”, il luogo sacro dove è
importante entrare.
Ecco che introdursi nel Tempio assume
un significato ben più profondo di quello
che comunemente intendiamo; quest’atto
di passaggio da un luogo esterno (profanum) ad uno interno (fanum) comporta un cambiamento; l’ingresso sembra
aperto a tutti, ma non è per tutti. Entrarvi vuol dire addentrarsi all’interno
della propria coscienza - nel proprio cuore - e qui sperimentare le lotte e le
vittorie prima di accedere al Santo e poi al Santo dei Santi, la parte più
segreta e sacra del Tempio.
“La basilica è un libro sapienziale che
esige una lettura paziente perché è scritta
con simboli, la lingua degli angeli. Questa
lingua possiede la sublime capacità di
rinnovarsi e ad ogni lettura ci rivela
significati inediti”.
Con questa frase, tratta dal suo libro “La
Lingua degli Angeli”, l’architetto Manetti
riconferma l’antico messaggio ermetico
della corrispondenza che esiste tra l’Alto e
il Basso. Il Divino si rispecchia nell’Umano
che si fa a Lui affine; ad un tempio
“esteriore” ne corrisponde
uno
“interiore” in un continuo scambio di
messaggi sapienziali che si potrebbero
ricondurre ad una frase semplice ma
estremamente veritiera: “se non sei la luce
non puoi sapere niente della Luce”, ed
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ogni decifrazione di quel linguaggio può rimanere pura utopia.
Nel caso della Basilica di San Miniato, nata sull’antica chiesa paleocristiana
che aveva visto conservare le spoglie del Santo, la sacralità del luogo si fa
ancora più forte; Manetti le dedica uno studio particolare mettendone in
evidenza la collocazione, l’orientamento e la rigorosità della sua geometria.
Le precise forme geometriche
della facciata, l’architettura
interna, la pavimentazione e
l’iscrizione latina impressa al di
fuori della Basilica, ci fanno
capire che siamo davanti ad un
edificio sacro strettamente
legato al cammino misticoiniziatico dell’uomo che ambisce ristabilire quell’immagine Divina.
“Haec est Porta Coeli” troviamo scritto sullo scalino della porta sinistra che
introduce all’interno di San Miniato; una scritta intagliata nel marmo che
per lo più passa inosservata e che invece ci ricorda che “è quella la porta
che conduce al Cielo”.
La geometria un tempo era intesa nella sua sacralità, quale espressione
formale del linguaggio della Creazione. La geometria dispone, regola, porta
all’ordine riconducendo dal “caos” al “cosmos” secondo un’architettura
severa che ha le sue regole e queste, una volta sapute interpretate, diventano
il giusto metodo di lettura simbolica da seguire per entrare in sintonia con il
Divino.
Nel caso di San Miniato, il rigoroso schema geometrico della facciata
realizzata su tre livelli viene
riproposta anche all’inter no
dimostrando una coerenza
simbolica non facile da trovare in
altre basiliche. Le numerose forme
geometriche decorative poste sul
prospetto anteriore ed all’interno
delle tre navate, ci fanno capire che
la Basilica è nata con l’idea di
riprodurre quello stesso preciso
criterio ordinatore.
Per certo sappiamo che la facciata
fu conclusa nel 1207, anno in cui
risulta ter minata anche la
pavimentazione interna, ma molto
poco si sa del geniale architetto che
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ne ideò la costruzione e la
decorazione; sembra che a
compiere una tale opera sia
stato un certo abate Joseph,
unico nome che appare
nell’emblematica iscrizione
impressa sul pavimento di
marmo tra l’ingresso e la
sequenza di composti ed
articolati riquadri
geometrici che conducono
verso l’altare:
“HIC VALVIS ANTE.CELESTI NUMINE DANTE;.MCCVII.RE
METRICUS ET IUDEX.HOC FECIT CONDERE JOSEPH;.TINET DE
ERGO ROGO CRISTUM.QUOD SEMPER VIVAT IN IPSUM; TEPORE MTE”
Renzo Manetti prova a dare due interpretazioni diverse della scritta, ma la
giusta decifrazione resta ancora un mistero. Ogni termine è suscettibile di più
decodificazioni e ci vorrebbe uno studio approfondito su ogni vocabolo per
entrare in merito al reale significato.
Salta all’occhio la figura di questo misterioso Joseph, “Re Metricus et Iudex”,
attributi che mettono a fuoco le qualità di un personaggio che sicuramente
doveva essere “Maestro” e conoscitore di Geometria sacra, perché il termine
“metricus”, che ha attinenza al concetto di “misura”, ci riconduce al mondo
della scienza matematica.
Andando poi a ricercare il significato
e t i m o l o g i c o d e l n o m e Jo s e p h ,
scopriamo che il suo corrispondente in
lingua ebraica è Jasaf con il significato
di “aumentare” “aggiungere” e che
entrambi i nomi provengono da una
radice comune che mette in luce
l’appartenenza ad un lignaggio regale.
Unendo le nostre conoscenze con quelle espresse da Renzo Manetti
possiamo provare a dare questa possibile lettura:
“AI BATTENTI DI QUESTE PORTE;. IL DIO CELESTE CONCESSE; NELL’ANNO 1207
JOSEPH MAESTRO E GIUDICE CREO’ TUTTO QUESTO;. PERTANTO SUPPLICO
CRISTO AFFINCHE’ PER SEMPRE CONTINUI
A VIVERE IN ESSO”
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A quanto pare in San
Miniato si è voluto
perpetuare l’idea di un
luogo senza tempo, sede di
quel filo sapienziale che Dio
da sempre ha predisposto
per l’Umanità e quel
misterioso Joseph, a quanto
pare, fu il personaggio storico capace di contenere tale conoscenza.
Basta guardare le geometrie decorative che fanno da ornamento alla sua
architettura, per capire che la Basilica di San Miniato è stata ideata
all’insegna della numerologia e della Geometria Sacra, in una perfetta
corrispondenza tra esterno ed interno.
Infatti la facciata dell’edificio, suddiviso su tre
livelli sovrapposti, trova una stretta relazione con
i tre livelli su cui si fonda la struttura di tutta
Basilica: alla parte inferiore del prospetto,
costituito da sei colonne che reggono cinque
archi a tutto sesto, sembra corrispondere
simbolicamente la cripta; all’ordine superiore,
scandito da cornici orizzontali e da quattro
lesene scanalate che lo dividono in tre scomparti
rettangolari, la navata centrale; ed infine al
timpano triangolare sul quale svetta una
imponente aquila di rame, il coro absidale della
Basilica.
Quella suddivisione per tre, sia della facciata
che dell’interno della Basilica, ricorda le tre
regioni cosmiche - inferno, purgatorio e
paradiso - che Dante seppe così
magistralmente descrivere nella Divina
Commedia.
L’eterna ricerca dell’uomo è quella di
tornare verso la perfezione Divina e,
siccome esistono livelli gerarchici diversi,
bisogna partire da quello più basso (lo
spazio Inferi) per poi salire di livello in
livello fino ad acquisire sapienza e virtù, le
qualità richieste per avvicinarsi a Dio.
In San Miniato queste tre regioni,
assimilabili a tre precisi stati interiori
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dell’anima che gli
alchimisti chiamavano
Opera al Nero, Opera al
Bianco e Opera al Rosso,
sono
facilmente
individuabili.
La cripta, ad esempio, che
contiene le reliquie del
Santo, rappresenta lo stato
più profondo, quello più
doloroso, chiamato dagli
ermetisti “Saturno”, le “ossa” la “morte”, morte ad una vita ordinaria per
“rinascere” a quella Divina; la navata centrale invece, in un tripudio di forme
geometriche che fanno da corollario al raffinato Zodiaco, rappresenta il
“nuovo sapere”, il mettersi in sintonia con il linguaggio
della Creazione; infine la parte absidale alla quale si
accede per mezzo di due scalinate laterali e che
termina in un ampio catino decorato dal mosaico
con il Cristo in trono e la Vergine Maria e San
Miniato al fianco, diventa il Luogo Santo a cui è
necessario tornare.
A convalidare l’idea che siamo difronte ad un edificio
strettamente legato ad un percorso dell’anima, vi è
l’immagine di un piccolo “vaso” inserito in un
ottagono, posto sopra il portale d’entrata
della Basilica.
Quel vaso chiuso, rappresenta l’ “athanor”
degli Alchimisti, il “contenitore”, il
recipiente prezioso che racchiude il
“tesoro”; in tutti i testi alchemici si parla di
un “vaso ermetico”, ben sigillato, in cui si
operano tutte le meraviglie e dentro al
quale può compiersi la Grande Opera.
Ecco che ritorna un tema molto caro agli
ermetisti: quell’anfora chiusa diventa il
“vaso di elezione” che trova profonde
attinenze con il lavoro di trasmutazione
interiore al quale l’uomo e la donna sono
chiamati per portare un cambiamento
sostanziale alla propria essenza, l’ “elixir”
degli alchimisti.
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Valentina Conticelli, direttrice del
Dipartimento per l’Arte del Settecento per
la Galleria degli Uffizi, in “Alchimia e le
Arti”, parla di questa “essenza” ed
afferma che per “elixir” s’intendeva “il
farmaco universale che poteva purificare
non solo i metalli ma anche l’uomo dalle
impurità e dunque dalla malattia” un
concetto che la Dottrina Ermetica ha
tramandato pur sapendolo sempre ben
custodire.
La bicromia della facciata in marmo verde
e bianco, scandita da quelle forme
geometriche perfette riproducenti rettangoli, cerchi, semicerchi, quadrati,
con l’inserimento di motivi ornamentali geometrici che ritroveremo in gran
misura anche al suo interno, ci fanno capire lo spessore del linguaggio
ermetico che si è voluto perpetuare.
Se, come afferma Francesco Zorzi nel suo “De Harmonia Mundi” “il corpo
è il tempio dell’anima e questa è la dimora di Dio”, guardando la Basilica di
San Miniato dai motivi
geometrici
perfetti che svetta dall’alto di quel Mons
Florentinus caricato di una sua sacralità,
ben riusciamo a ravvisarvi quello stesso
messaggio.
Gli artisti rinascimentali, ben consapevoli
della corrispondenza matematicoarmonica che esiste tra l’universo ed ogni
creatura, riaffermarono quello stesso
concetto ed il monaco Luca Pacioli arrivò
a sostenere che le funzioni religiose hanno
ben poco valore se la chiesa non è stata
costruita rispettando anche la “debita
proportione”.
Un tempo armonia, Divina proporzione e
sacralità erano un unico intento
architettonico e l’uomo e la donna, capaci
di percepirne la portata, si potevano fare affini a quella Bellezza. Leon
Battista Alberti sosteneva che è un sentimento innato quello che ci rende
consapevoli dell’armonia e che più l’anima si affina, più arriva a coglierne il
messaggio.
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Occorre dunque “entrare nel Tempio”, recuperare quell’antica luce
sapienziale, perché senza questo faticoso ma necessario passaggio, verrebbe
a mancare il “luogo sacro”, dove l’Umano ed il Divino si potranno un giorno
nuovamente incontrare.
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“Il Redentore tra la Madonna e San Miniato”
mosaico del Coro Absidale di San Miniato al Monte
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