inchiesta - MAURIZIO NICOTRA sound engineer and producer

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inchiesta - MAURIZIO NICOTRA sound engineer and producer
inchiesta
chitarra
A di Marco Paparelli
La
elettrica
Un fotogramma del film This is Spinal Tap. L’ampli Marshall in questione,
afferma Nigel, uno dei protagonisti del film, “It’s one louder” (è più rumoroso
di 1). Quando il giornalista prova a chiedergli chiarimenti (c’è scritto 11
sulla serigrafia, null’altro), lui risponde, confuso, con la leggendaria frase:
“These go to eleven!”.
L’invenzione sarebbe servita per permettere al pubblico di ascoltare meglio lo strumento, come dimostrano le
foto dei Beatles che usavano i cabinet
alle loro spalle per il monitoring e il PA.
Le cose oggi sono cambiate moltissimo,
ma la veste sul palcoscenico è rimasta
inalterata. Abbiamo chiesto a fonici di
studio, sala, palco e backliner come curano la chitarra elettrica e quali sono le
soluzioni che più spesso vengono prese in accordo con il musicista.
Un pò di storia: in foto la prima chitarra elettrica della storia,
la Frying pan “padella” costruita nel 1931 da Adolph Rickenbacker
e George Beauchamp.
14 BACKSTAGE • ottobre 2012
Ha contaminato la musica moderna più di qualsiasi
altro strumento, rivoluzionando società e costumi per
intere generazioni. La chitarra elettrica, compiendo
ottantuno anni di età, non mostra nessun cenno di
cedimento. E pensare che i suoi inventori rimasero
dubbiosi sulla sua commercializzazione per più di
vent’anni.
Maurizio
Nicotra
Fonico
di sala
(Jovanotti,
Ramazzotti,
Pezzali,
Ferro)
La chitarra elettrica è uno strumento
che mi ha sempre appassionato. È davvero interessante ascoltare come una
chitarra cambia il suo suono al variare
dell’amplificatore e viceversa. In passato ho registrato molti suoni di chitarra
elettrica naturali, semplicemente chitarra e amplificatore, così la differenza di
suono la faceva soprattutto la capacità
e il tocco del chitarrista.
Per la ripresa microfonica parto da uno
Shure SM57 abbinato ad un Akg 414
o ad un Neumann o ancora ad un Electro-Voice Cardinal. Il dinamico lo uso
per tirare su la presenza e le medie e il
condensatore lo gestisco per avere un
suono più grosso, in questo modo riesco a riprodurre il sound originale senza dover intervenire troppo sull’equalizzatore. Un lavoro che ritengo fondamentale e delicato è quello che avviene in fase di pre allestimento musicale
dove con i musicisti si sceglie il suono
dei vari pezzi in scaletta, quello che vorrei ritrovarmi sul banco data dopo data. In genere preferisco spostare il microfono sul cabinet, variando la posizione in base alla sonorità che voglio otte-
AxeTrak – Un esempio di IsoBox molto
usato nel live: AxeTrak RedLed.
nere per un determinato genere musicale. Controllo sempre le fasi tra i due
microfoni che utilizzo e in studio - per
evitare qualsiasi problema - li posiziono entrambi sullo stesso cono. Uso il
gain del banco sul canale delle chitarre
elettriche come per tutti gli altri canali, il lavoro principale lo deve fare il chitarrista, cercando di far lavorare l’amplificatore intorno ai 3/4 della suo rendimento. Per quanto riguarda i processori di dinamica, inserto giusto un leggero compressore. In genere lo setto
per evitare che, durante un solo, il musicista finisca fuori mix senza accorgersi di essere troppo alto.
Andrea
Corsellini
Fonico
di sala
(Vasco,
Negrita,
Nannini,
Morandi)
La posizione del microfono sull’amplificatore dipende da che suono tira fuori
il chitarrista e non da quello che chiede
il chitarrista. Lui avrà i suoi parametri e
le sue esperienze, ma io ascolto quello che esce dall’amplificatore e quello
che arriva al mixer. Faccio un esempio:
il chitarrista ritmico dei Negrita suona
con il plettro e un Vox AC30, l’altro chitarrista su dei Marshall ma con le dita.
Su quest’ultimo le medio-alte sono praticamente inesistenti e il suono è pieno di basse, quindi se metto il microfono sul Marshall nella stessa posizione che ho sull’AC30 non si capisce una
nota! Devo posizionarlo assolutamente al centro del cono, mentre se faccio
questa cosa sull’altro cabinet il suono
diventa una lametta. Non si può lavorare a priori, ma parlando con i musicisti sul palco impiego un attimo a capire
ISOBOX
Negli ultimi anni sui palchi di tutto il
mondo spesso scompaiono gli ampli
chitarra. “Per necessità soprattutto,
facendo pulizia di suono sul palco.”
afferma Deddi Servadei, e aggiunge
“pensavamo anche con Solieri e Burns di
non riuscirci, ma abbiamo avuto successo
sostituendo i coni dei due wedge RCF
con dei Vintage 30 del Marshall, pilotati
da un ampli Marshall. In questo modo i
chitarristi potevano suonare con delle
casse di riferimento che si avvicinassero
il più possibile al suono dei loro cabinet,
anche se pilotati da un altra testata.”
Maurizio Nicotra invece preferisce una
soluzione meno drastica “una soluzione
che ho già provato e che a mio avviso
funziona è quella di far suonare i cabinet
sotto il palco. Durante il sound check
un pò di fastidio lo creano, ma durante
il concerto la pulizia del suono ne giova”
continua con un aneddoto: “In passato ho
lavorato con Carmen Consoli in piccoli
club dove tutti gli ampli delle chitarre
avevano un volume elevato, così nel PA
non venivano quasi per niente riprodotti.
In location più grandi cerco di tenere
fuori dal fronte del palco il suono degli
ampli, magari spostando i cabinet verso
l’esterno“. Enrico Belli puntualizza che
“non può essere una scelta solo del fonico,
ma di tutta la produzione, altrimenti
finisce uno contro tutti” e ne analizza
i problemi ”il primo è di volume, che è
legato al litraggio del box. Il secondo è
per le riflessioni interne: un microfono
posizionato davanti ad un cono dentro
l’isobox pesca ancora di più il suono degli
altri coni, ma fuori fase.
cosa scegliere tra microfoni e posizionamento. Così diventa molto importante conoscere le caratteristiche dei
microfoni e il risultato che si vuole ottenere. Oggi comunque anche i turnisti hanno un suono molto completo, grazie anche al lavoro fatto in studio, così con loro il compito del fonico è meno impegnativo.
Quando si tratta di una chitarra che
passa dentro una circuiteria valvolare,
abbiamo un suono già compresso in
partenza. È chiaro che per tenerlo sotto
controllo in un mix, dove convivono anche altri strumenti che hanno picchi elevati, un minimo di compressione la dò
sempre. Giusto 3 o 4 dB di gain reduction con attacco veloce, per non schiacciare il suono o snaturarlo.
Quando mi trovo a lavorare con gli amplificatori che mi arrivano in sala dal palco, il suono è sempre un media tra quello diretto e quello del PA. Ovviamente
non possiamo fare una lotta di volume,
sarebbe controproducente per tutti e
comunque vincerei io! L’obiettivo è riuscire a trovare un compromesso. Ad
esempio con i Negrita quello che esce
dai cabinet è un suono completo ed
avere gli amplificatori in faccia non è
affato un sacrificio! Solo un altro modo di lavorare.
Marco
Borsatti
Fonico
di studio
(Laura
Pausini,
Vasco,
Renga,
Antonacci)
Per la ripresa microfonica parto da uno
Shure SM57, un AKG D112 e un microfono a nastro SE Electronics, di cui sono endorser. Se un chitarrista sa come
arrivare al suo suono con microfoni diversi da quelli che uso io, allora questi
possono anche essere cambiati. A me
interessa soprattutto che il musicista si
ritrovi in registrazione con il suo suo-
Supporti per
microfono come
Gibraltar SC JMM o
Audix CabGrabber
permettono
di isolare il
microfono e l’ampli,
eliminando gli
eventuali rumble o
vibrazioni dell’asta.
Auralex Gramma
Un sistema di isolamento per
ampli: Auralex Gramma
ottobre 2012 • BACKSTAGE 15
inchiesta
I MICROFONI
MAGGIORMENTE
no. I tre microfoni li posiziono al cenPIÙ USATI SULLA
CHITARRAELETTRICA tro del cono a seconda che sia un cassa
AKG C414 ULS
(condensatore)
ElectroVoice RE20
(dinamico)
due o quattro coni. I due dinamici passano nei pre 1073 Neve e successivamente negli eq grafici 560 Api, giusto
per togliere qualche risonanza particolare. Il nastro lo preamplifico con il valvolare The Earlybird 1.2 di Thermionic,
mentre le fasi tra le 3 capsule vengono
gestite spostando i microfoni stessi, oppure utilizzando il Phazer della Radial.
Infine i tre segnali analogici finiscono
nel mixer Fat Bustard sempre di Thermionic. Lavorando in questo modo
non rimando mai il missaggio di tutte le tracce a fine produzione, ma porto avanti un solo suono già definitivo. Dopo il mixer utilizzo un altra catena sempre analogica prima di entrare in registrazione: un eq GML 8200,
un compressore/limiter Manley Variable Mu e l’Urei LA4 che uso soprattutto per il limiting. Questa catena la sfrutto per mantenere una buona dinamica
su tutte le parti dell’arrangiamento, ma
anche per creare un suono particolare,
magari per un maggior sustain con rilascio lungo e attacco abbastanza lento.
Durante la fase di composizione del
suono, miscelo dal mixer i tre canali microfoni facendo risaltare più lo Shure
sm57 se voglio tirare su la presenza e le
medie oppure l’Akg D112 e il nastro se
voglio tirare su il low-end. Quest’ultimo
lo uso soprattutto per i suoni clean più
importanti dell’arrangiamento, dove il
57 può anche essere mutato. Lo Shure
lo trovo molto utile invece per le parti crunch, le power e le distorte, magari anche con due SM57 su due coni diversi dello stesso cabinet.
Se un chitarrista ha un suono stereo, registro i due cabinet, ma con l’esecuzione di un secondo take sostituisco uno
dei due canali con la nuova registrazione. In questo modo anche le piccole differenze di esecuzione creano una migliore spazialità. Oggi non uso troppi riverberi, anche per allinearmi alle sono-
Royer R121 (a nastro)
16 BACKSTAGE • ottobre 2012
rità che sono in voga in questi anni. In
genere prendo io la decisione su quale riverbero mettere in insert, per registrarlo a parte dai canali microfoni. Sono degli ambienti che uso per lavorare
meglio anche in registrazione.
Enrico
Belli
Fonico
di sala
e palco
(Il Volo,
Elisa,
Laura
Pausini)
Il rapporto tra fonico di sala e palco
dovrebbe essere univoco, dipende da
chi gestisce il lavoro. In genere quello
di sala, ma non sempre. Ci sono fonici
di sala che si fidano ciecamente della
squadra del palco e spesso non sanno
neanche quali microfoni vengono usati. Diciamo che se si vuole provare a fare qualche nuovo esperimento è conveniente provare con musicisti di più
ampie vedute e soprattuto in allestimento, quando c’è il momento giusto
per fare le prove. Convincere un fonico e un musicista - in una situazione al
volo - che per la ripresa di una chitarra elettrica ci siano microfoni migliori
di un SM57, può diventare impossibile. Nulla vieta però di mettere più di
un microfono, così che si possa avere un fader Tranquillità e uno Innovazione. In ordine i microfoni che uso più
spesso sulle chitarre sono EV Cardinal,
SM57, Akg 414 ULS. Nel live la tecnica più usata è 90° rispetto alla cassa
puntato in mezzo tra il centro del cono e il bordo esterno, con lievi spostamenti verso il centro o verso l’esterno
a seconda delle situazioni. Il Gain ovviamente dipende, anche dal volume
che si ottiene sul palco. Spesso capita in tour teatrali di chiedere ai musi-
cisti di abbassare gli ampli, con la conseguenza che non suonino più e che
dinamicamente siano meno controllabili. Allora si inseriscono compressori
ed eq strani, ma ormai quel bel suono
di chitarra è perso per sempre.
A quel punto converrebbe usare un piccolo combo piuttosto che una testata
e cassa 4x12.
Federico
Deddi
Servadei
Fonico
di palco
(Vasco,
Pelù,
Ligabue,
Copeland)
Un chitarrista cerca sempre di ritrovarsi
sul palco con il suono più reale possibile del suo ampli, anche se non è sempre
così semplice, soprattutto sulla gamma
bassa. Per questo cerco di trovare un
buon compromesso tra il suono diretto della cassa e il monitor. Ad esempio,
un Marshall 4x12 pilotato da una testata valvolare in classe A ha una dinamica sulle basse frequenze difficile da
riprodurre su un wedge monitor. Così, un filtro passa alto settato a 120 Hz
è la soluzione migliore per non sentire
un suono imballato. Da lì in poi gli interventi che faccio sono molto soggettivi. Se non ci sono grossi problemi per
amplificarlo o richieste esplicite, non altero le sonorità con eq, compressori o
effetti. Per quanto riguarda microfoni
e posizionamento, penso che la scelta
dipenda dal fonico di sala e io mi adeguo alle sue esigenze.
Quando vengono usati due microfoni
per la ripresa dell’ampli, in genere parto aprendo il dinamico, ma se siamo in
una situazione di tour, quando i musicisti sono tranquilli e quando c’è il giusto tempo per fare le prove, aggiungo
La scienza e il mito
anche il condensatore. È da qualche tempo che lavoro anche con gli IEM; all’inizio
mi hanno fatto un pò storcere il naso, ma
quando inizi a lavorarci e a conoscerne il
suono, riesci ad apprezzarne i vantaggi.
Con gli IEM la presenza e la pulizia sono
superiori rispetto ad un monitor wedge
e riesci a tirar fuori quelle cose che con
una cassa tradizionale fai fatica a sentire. In questi casi, una buona soluzione è
quella di mettere gli ampli in isobox, soprattutto sei hai delle cuffie che chiudono
completamente. In IEM mi ritrovo a scavare con un HPF anche oltre i 120 Hz, perché queste vanno in crisi ancora più facilmente sulle basse. Con le spie tradizionali, il chitarrista riesce ad avere comunque un suono ben a fuoco, grazie anche
al posizionamento alle spalle dei cabinet,
che creano un suono avvolgente e spingono il musicista ad avere la giusta carica. A parere mio, oltre che per un fatto estetico, questo è il reale vantaggio di
avere gli ampli dietro le spalle!
Carlo
Barbero
Backliner
(Burns,
Castellano,
Varini,
Colombo)
La microfonazione più richiesta è in assoluto con lo Shure SM 57. Per la posizione
c’è chi lo usa al centro per avere un suono più morbido, chi lo usa sul bordo per
avere un suono più medioso e chi al centro ma orientato verso il bordo per cercare una via di mezzo. Spesso c’è chi usa
due microfoni, a volte su un cono solo,
altre volte sullo stesso cono. In questi casi, l’attenzione alla fase è fondamentale,
spesso con il fonico ci si aiuta mettendo
in controfase uno dei due microfoni per
cercare l’annullamento più pesante spostandone uno alla volta. Al miglior risulta-
Sul volume numero 58 dell’AES è apparso l’articolo “Recording Electric Guitar - The Science and
The Myth” scritto da Alex Case. L’autore ha microfonato il cabinet di un Fender con un cono da 10’’
spostando il microfono in diverse posizioni e muovendolo a diverse distanze dalla griglia di protezione.
Per il test è stato usato un computer che generava un segnale di prova tramite un re-amp. Il tutto
era ripreso da uno Shure SM57 e monitorato da un software di misura. Tre test effettuati, misurando
le variazioni di distanza dal centro del cono a step di un pollice, l’allontamento dall’ampli a step di
6 pollici e la variazione dell’angolo di ripresa di 15° fino a 90°. Allontanando il microfono dal centro
verso il bordo del cono si nota una riduzione delle alte frequenze; il risultato è dato ovviamente
anche dalle direzionalità dei sistemi che svolgono la misura - microfono e speaker - ma si nota anche
un evidente irregolarità di tale comportamento. Il cono di un amplificatore per chitarre elettriche
(ovviamente costruito diversamente da un altoparlante professionale) crea piccole regioni di risonanza
lungo la superfice del cono, per questo motivo gli effetti di una microfonazione ravvicinata possono
avere molte varianti anche per piccoli spostamenti. I risulti diventano difficili da prevedere. Inoltre le
variazioni nella risposta in frequenza dipendono anche dal livello di uscita dell’ampli - e dalla dinamica
del chitarrista - che influenza pesantemente le irregolarità del movimento del driver. È evidente che il
fonico non può compensare lo spostamento di un microfono dal centro semplicemente usando un
equalizzatore. Aumentando la distanza del microfono dall’amplificatore, come immaginabile, si riduce
il livello del segnale e si attenua maggiormente il contributo delle basse frequenze (ovvio, il mic è
cardioide e sfrutta l’effetto prossimità), oltre ad una irregolarità della misura dovuta alle riflessioni
di pavimento e pareti. Nell’ultimo step è stato esplorato l’interessante pianeta dell’inclinazione
microfonica. Le differenze, fino ad un angolo di 45°, sono nell’ordine di 2 dB, soprattutto nella zona
dai 12 ai 20 kHz. Bisogna tenere a mente però che la maggior parte dell’energia generata da una
chitarra elettrica si trova tra gli 80 Hz e gli 8 kHz. Ciò che si nota di più è solo un introduzione delle
increspature nella risposta in frequenza e una diminuzione globale del livello, soprattutto nella zona
delle medio-alte e alte frequenze. Ci sono molti fattori che possono spiegare gli effetti di tali variazioni:
la colorazione fuori asse del microfono, le anomalie nella zona nearfield del diffusore e l’asimmetria
dell’accoppiamento tra le due facce della capsula microfonica, ma per inclinazioni che vanno fino a
30° i risultati sono appena udibili, soprattutto nella zona di energia rilevante per la chitarra elettrica.
Nulla di nuovo, ma utile per comprendere che certi suoni possono essere interpretati con definite
posizioni del microfono e semplici e delicate regolazioni di EQ.
to, si ripristina la polarità, così la posizione ottenuta è sicuramente quella più vicina alla coerenza di fase possibile. Sembra scontato, ma la chitarra elettrica - a
differenza del basso - ha un suono modellato anche dall’ampli e dal cabinet che
devono suonare ad un volume adeguato
per arrivare a determinate sonorità. Così nell’ultimo periodo hanno preso sempre più piede gli isobox, per contenere il
suono e non sporcare il palco. Un cabinet chiuso dentro questi case, soprattutto se di grandi dimensioni e potenza, finisce per comprimere l’aria all’interno, senza che questa possa muoversi liberamente come in campo libero. Per questo motivo gli standard moderni si stanno spostando verso il monocono. Oltretutto, se
vogliamo essere precisi, nella ripresa microfonica di una cassa multicono, nascono dei problemi di fase legati anche al
fatto che ogni cono interagisce con l’altro creando filtri a pettine. Così, se si deve posizionare il microfono orientandolo
verso il bordo, è sempre meglio farlo verso quello esterno, in modo da diminui-
re le interazioni tra i coni. Scegliere il cono in alto di una 4x12 è un altra ottima
idea per diminuire le riflessioni con il pavimento. Con casse multicono, può capitare di avere dei coni che suonano molto diversamente l’uno dall’altro, così dopo aver trovato la giusta posizione, è meglio segnare qual è il cono da microfonare. Quando si lavora in isobox, di fondamentale importanza diventa fare il sound
check direttamente con il cabinet dentro
il case, perché questo modifica molto le
sonorità del chitarrista. Con la Pausini abbiamo provato a fare il suono di una 4x12
fuori l’isobox, ma una volta messo dentro era irriconoscibile. Così ci siamo spostati verso i box AxeTrak con i coni da 6’’,
cercando il giusto compromesso già da lì
dentro. Senza fare confronti con altre cose, siamo risusciti a tirare fuori un bel suono. Ovviamente in un concerto rock questa soluzione potrebbe non essere la migliore perché ci sono altri modi di suonare e il musicista preferisce sentire la spinta e il palco che vibra.
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ElectroVoice Cardinal per i mic
(condensatore)
Sennheiser MD421
(dinamico)
Shure SM57 (dinamico)
ottobre 2012 • BACKSTAGE 17