il patto di non concorrenza nel lavoro subordinato

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il patto di non concorrenza nel lavoro subordinato
A CURA DI CELESTE VIVENZI
GUIDA AL “PATTO
SUBORDINATO
DI
NON
CONCORRENZA”
NEL
LAVORO
Premessa generale
L'art. 2105 del codice (obbligo di fedeltà) recita testualmente : “ll prestatore
di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in
concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti
all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in
modo da poter recare ad essa pregiudizio. La violazione dell'obbligo di fedeltà
da parte del lavoratore può instaurare un procedimento disciplinare nei suoi
confronti , come stabilito dall'art.7 della legge 300/1970 e , nei casi più gravi,
portare al licenziamento del dipendente. In sostanza la normativa di cui sopra
offre una garanzia al datore di lavoro , in permanenza del rapporto di lavoro, in
relazione a possibili comportamenti scorretti da parte del dipendente. Da questa
premessa nasce la necessità di regolare lo svolgimento dell'attività lavorativa
degli ex dipendenti, per il periodo successivo alla cessazione del
contratto,problematica oramai comune a molte aziende che hanno creato
procedure e metodologie
aziendali sofisticate per stare al passo della
concorrenza. Tale esigenza si manifesta soprattutto nei confronti dei dirigenti e
dei dipendenti di alto livello che hanno avuto accesso a tutti quei dati, aziendali
e commerciali, la cui diffusione potrebbe arrecare una grave danno all'azienda
stessa. Per sopperire a tale rischio il datore di lavoro ha dalla sua la possibilità di
ricorrere al Patto di non concorrenza che , in questo lavoro, verrà analizzato
nei suoi aspetti fondamentali. Il patto di non concorrenza è l’accordo attraverso
il quale il datore di lavoro ed il lavoratore estendono l’obbligo di non
concorrenza, (previsto dall’art. 2105 codice civile soltanto per la durata del
rapporto di lavoro), anche ad un periodo successivo alla cessazione del
medesimo. In particolare il patto è un contratto a titolo oneroso ed a prestazioni
corrispettive, la cui validità è subordinata ad un articolato ordine di limiti:
- necessità della forma scritta (ad substantiam) ;
- previsione di un corrispettivo;
- delimitazione delle attività di concorrenza vietate;
- limiti di durata;
- limiti di luogo.
La norma che disciplina il patto di non concorrenza è l’art. 2125 cod. civ., la
quale dispone che : “il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività
del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del
contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un
corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è
contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo”. Lo
scopo della norma consiste nel regolare due diverse esigenze:
- quella del lavoratore, in relazione allo svolgimento della propria attività
lavorativa (limitabile solo in casi particolari
e
dietro
congruo
corrispettivo) ;
- quella dell’imprenditore, che ha lo scopo di garantirsi dal rischio della
divulgazione e dallo sfruttamento da parte della concorrenza dei suoi
metodi e dei segreti che caratterizzano la propria attività imprenditoriale.
REQUISITI FONDAMENTALI PER LA REDAZIONE DEL PATTO DI NON
CONCORRENZA
1) La forma
In ordine a tale requisito, il legislatore richiede la forma scritta ad substantiam,
stabilendo la nullità del patto stesso nel caso di violazione di tale disposizione ;
2) Il corrispettivo
Per quanto riguarda il corrispettivo dovuto al lavoratore vincolato dal patto di
non concorrenza, occorre rilevare che lo scopo di tale compenso è quella di
remunerare la ridotta possibilità del lavoratore di utilizzare le proprie capacità
professionali. La misura del corrispettivo, così come la delimitazione del luogo e
dell’oggetto del patto di non concorrenza, sono rimessi dal legislatore alla libera
autonomia delle parti contraenti. L’art. 2125 cod. civ. lascia, inoltre, alle parti
la più ampia libertà nella determinazione della modalità del versamento del
corrispettivo dovuto al dipendente che può avvenire sia dopo la
cessazione del rapporto di lavoro o comunque anche in costanza di
rapporto. Per quanto riguarda la misura del corrispettivo è bene considerare
che sono nulli i patti di non concorrenza non remunerati e quelli con un
compenso a titolo simbolico (Cassazione 14 maggio 1998, n. 4891; Cassazione
n.4891 del 14 maggio 1998).
A tale scopo è bene sapere che la
giurisprudenza ritiene che il corrispettivo debba aggirarsi almeno intorno
al 15% - 25% della retribuzione lorda annua.
3) L’oggetto
L’art. 2125 cod. civ. non circoscrive il contenuto dell’accordo entro dei limiti
precisi. In pratica però i limiti sono da ricercare nell’ambito dell’attività
produttiva che costituisce oggetto dell'impresa datrice di lavoro, con la
conseguenza che il lavoratore potrebbe vedersi precluso l’esercizio di qualsiasi
attività rientrante nell’oggetto dell’impresa.
L’orientamento giurisprudenziale
attuale tende inoltre a non limitare il patto alle sole mansioni svolte dal
lavoratore ma lo estende allo svolgimento di qualsiasi attività che entri in
concorrenza con quella di produzione e vendita del datore di lavoro. Esiste
tuttavia un limite costituito dal fatto che il patto non può limitare il lavoratore al
punto di rendere di fatto impossibile l’esercizio di ogni altra attività lavorativa
inerente alle proprie attitudini professionali ( pena la sua nullità : si veda la
sentenza della Cassazione n.15253 del 3 dicembre 2001 e la sentenza della
Cassazione n.5477 del 2 maggio 2000).
4) La durata
La disciplina prevista dall’art. 2125 cod. civ. prevede una durata massima di
cinque anni per i dirigenti e di tre anni per gli altri lavoratori subordinati. Nel caso
venga pattuita una durata maggiore, essa si riduce a quella indicata come
sopra indicato.
5) Il luogo
Il patto di non concorrenza deve prevedere esplicitamente la zona d’interesse
dell’impresa, tenendo in considerazione appositi criteri, per una corretta
valutazione della congruità del limite geografico,come previsto dagli orientamenti
giurisprudenziali in materia. A titolo esplicativo l’orientamento oggi prevalente
ritiene legittimo il patto di non concorrenza limitativo dell’attività del lavoratore
anche su tutto il territorio nazionale, purché non sia di fatto impedito al
lavoratore di svolgere la propria attività e di poter usufruire del proprio bagaglio
professionale . Resta comunque sempre valido il principio secondo il quale è’
necessario, a pena di nullità, che la limitazione spaziale non sia eccessivamente
penalizzante per il lavoratore stesso non potendo il datore di lavoro pretendere
una rinuncia troppo ampia e generica.
6) Stipulazione del patto
Le parti possono procedere alla stipulazione di un patto di non concorrenza
contestualmente alla sottoscrizione del contratto di lavoro, in costanza di
rapporto ovvero al termine del rapporto stesso. E' comunque importante
ricordare che il patto di non concorrenza è valido dopo l’estinzione del
rapporto di lavoro in quanto, in costanza di esso , il lavoratore è comunque
tenuto al dovere di fedeltà a norma dell’art. 2105 del codice civile. Alcuni
problemi possono scaturire dalla sottoscrizione del patto di non concorrenza nel
corso di un rapporto di lavoro già instaurato e secondo alcuni esperti del diritto
la sottoscrizione di tale patto costituirebbe una rinuncia da parte del dipendente
e ,come tale,impugnabile ex art. 2113 c.c. .Per evitare un tale rischio è
opportuno procedere alla sottoscrizione del patto di non concorrenza davanti alle
organizzazioni sindacali o alle Commissioni di certificazione del rapporto di
lavoro.
7) Le conseguenze della violazione del patto di non concorrenza
In caso di violazione del patto da parte del lavoratore il datore di lavoro ha diritto
ad ottenere la cessazione dell’attività da parte del lavoratore( come previsto nel
patto ),la restituzione del corrispettivo versato ed il risarcimento dei danni
provocati. A tale scopo è utile sapere che ,Il datore di lavoro , attraverso il
ricorso d'urgenza di cui all’art.700 cpc , può ottenere immediatamente dal
Giudice, un provvedimento che imponga al lavoratore la cessazione
dell’attività concorrenziale.
8)Pagamento del corrispettivo pattuito
Si possono avere diverse modalità di pagamento:
-durante il rapporto di lavoro ;
-all'atto della risoluzione del rapporto in unica soluzione;
-successivamente alla risoluzione del rapporto a rate secondo quote stabilite;
-in una forma mista ovvero sia durante il rapporto di lavoro che al termine dello
stesso .
9) Regime fiscale del Patto di non Concorrenza
Si possono avere le seguenti casistiche:
1) I compensi erogati in costanza del rapporto di lavoro sono da
assoggettare al
prelievo IRPEF ordinario (tassazione progressiva
secondo le aliquote);
2) E' invece soggetto a tassazione separata il compenso erogato all'atto
della cessazione del rapporto di lavoro sia in in unica soluzione o a rate (si
applica la stessa aliquota di tassazione utilizzata per il TFR).
10) Trattamento previdenziale del patto di non concorrenza
PAGAMENTO DEL COMPENSO DURANTE IL RAPPORTO DI LAVORO
E' pacifico sostenere che se il compenso corrisposto a titolo di patto di non
concorrenza viene erogato durante il rapporto di lavoro rientra a pieno titolo
nell'imponibile contributivo ai sensi dell'art. 12 della legge 153-1969. A titolo
indicativo si cita la sentenza della Cassazione del 4 aprile 1991, n.3507 che
afferma : "il corrispettivo dell’obbligo di non concorrenza, pattuito (in favore del
lavoratore) in una percentuale della retribuzione e da corrispondersi nel corso
del rapporto di lavoro, costituisce retribuzione (come ogni erogazione effettuata
dal datore di lavoro "in dipendenza") ed è pertanto soggetto a contribuzione
previdenziale ai sensi dell’art.12 L.153/1969".
PAGAMENTO DEL COMPENSO SUCCESSIVAMENTE ALLA CESSAZIONE
DEL RAPPORTO DI LAVORO
Orientamento attuale della giurisprudenza (Sentenza Corte Cassazione n.
16489 del 15 luglio 2009).
L'orientamento giurisprudenziale attuale ritiene che tale compenso sia da
assoggettare comunque a contribuzione INPS in quanto trattasi di emolumento
erogato in dipendenza di un contratto di lavoro subordinato e in quanto
costituisce un elemento assimilabile a tutti gli effetti alla retribuzione stessa. In
conclusione si può sostenere che solo se il patto di non concorrenza interviene
quando il rapporto è già cessato ( ovvero patto concluso dopo la cessazione
del rapporto di lavoro per autonomo accordo fra ex datore di lavoro ed ex
dipendente) , anche il compenso sia da considerarsi "al di fuori" del rapporto di
lavoro e , nel caso di specie, il corrispettivo pattuito ed erogato , non essendo
ricollegabile al concetto di retribuzione,sia da escludersi dalla retribuzione
imponibile ai fini previdenziali.
CELESTE VIVENZI