l`Eldorado

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l`Eldorado
marocco
Un passaggio per
Testo e foto: Gilberto Mastromatteo
Tangeri (Marocco)
M
l’Eldorado
ohamed è seduto insieme
a una decina di ragazzi su
un muretto della Avenue Terra di emigrazione, il Marocco è anche luogo di
d’Espagne, il lungomare di Tangeri. transito degli immigrati dell’Africa subsahariana.
Ha 17 anni. Appena un tir si ferma Un reportage dalle zone di confine con Ceuta,
al semaforo rosso, scatta in piedi Melilla e l’Algeria, dove si concentrano migliaia di
insieme ad altri cinque ragazzi. Con persone per tentare il grande salto verso l’Europa.
maestria e incoscienza si sdraiano al In un clima di abbandono e povertà
suolo, tentando di aggrapparsi alla
pancia del camion. Così cercheran- da disoccupato. Uno dei ragazzini ac- finta di niente quando li vede sgattano di arrivare ad Algeciras (città canto a lui ha il volto di un bambino. iolare fra i tir. Sono troppi. Un altro
portuale nella Spagna meridionale). Si chiama Mustafà, dice di avere 16 poliziotto racconta di vederne ogni
Nella penisola iberica l’immigrazione anni, ma ne ha soltanto 11. Lo sco- giorno a decine, nascosti anche denminorile continua a essere un’emer- priamo chiedendolo ad altri ragazzi. tro i container. Spiega che la polizia
genza. Il 70% dei minorenni non Viene dal sud, ha percorso più di 100 di frontiera spagnola, con un apposito
accompagnati accolti negli ultimi tre chilometri per arrivare a Tangeri e strumento, è in grado di rilevare il
anni proviene dal Regno del Marocco tentare il suo salto verso l’Europa.
loro respiro. E allora, per sfuggire ai
(dati del ministero del Lavoro spa- Nelle piazzole di rimessaggio del por- controlli delle autorità iberiche, alcugnolo). Chi ha meno di 18 anni non to, dove si entra pressoché indisturba- ni si infilano una busta di plastica in
può essere respinto. «Voti, è facile imbattersi in testa, rischiando di soffocare. Chi si
glio andare in Spagna I ragazzi,
bambini appiattiti sotto aggrappa ai semiassi, invece, non di
- spiega Mohamed, di con maestria
i camion che aspettano rado cade sull’asfalto, subendo gravi
ritorno dal suo fallito e incoscienza
di essere caricati a bor- amputazioni o perdendo la vita.
tentativo -. Lì troverò un si sdraiano al
do delle navi. Galag, un
lavoro nell’edilizia». Non suolo tentando
giovane agente addetto VITE AI MARGINI
sa che, anche se dovesse di aggrapparsi
alla sicurezza, fa capire Dormono in strada, frugano nella
riuscirci, il suo destino è alla pancia
di essere costretto a far spazzatura alla ricerca di cibo oppu-
del camion. Così
cercheranno
di arrivare
in Spagna
ottobre 2011 Popoli 23
marocco
La doppia rete metallica che separa Ceuta
e Melilla dal Marocco. In apertura, giovani
aggrappati a un Tir diretto verso la Spagna.
re mangiano gli avanzi lasciati dai
turisti sui tavoli dei bistrot. Ahmed
spunta da un cespuglio. Ha un occhio
chiuso e tumefatto. Racconta di essere nato nel Sahara Occidentale. Ha 21
anni, ma quando è partito la prima
volta ne aveva 13. Parla bene l’italiano, è stato sette anni ad Alessandria,
da irregolare. Poi è finito in Francia e
da lì l’hanno rimandato in Marocco.
Quindi ha tentato di raggiungere
l’Europa altre
due volte. Ma
Un taxista
dalla Spagna
marocchino
l’hanno semci porta in cima
pre respinto.
a una montagna
Spiega di voler
vicina a Ceuta e ci
tornare in Itamostra da lontano
lia: «Mi butto
le sterpaglie dove
dentro un Tir i migranti vivono
dice -, l’autista
imboscati.
non mi vedrà.
Ma non è il caso
Mi porto dietro
di intervistarli
il cibo e non
mi fermo né in Spagna né in Francia,
altrimenti mi rimandano indietro». Si
avvicinano altri giovanissimi. Hanno
gli occhi vuoti e gonfi. Il loro sguardo
è attraversato da una infelicità deforme. Molti sniffano solventi chimici
tutto il giorno, per anestetizzare la
fame e frastornarsi.
Ma non ci sono solo ragazzi marocchini. Tra gli immigrati la maggior
parte sono adulti. Molti di essi ar24 Popoli ottobre 2011
rivano dall’Africa subsahariana. «I più denaro, finiscono nella spirale
migranti illegali adulti vivono per lo delle organizzazioni criminali: droga,
più nei boschi», spiega padre Gabriele prostituzione, o il nuovo traffico di
Sabolla, frate francescano della cat- auto usate tra Europa e Mali». L’altertedrale cattolica dello Spirito Santo. nativa è fuggire in Europa con una
Lucano di Potenza, ma cresciuto a patera (imbarcazione utilizzata per le
Voghera, per dodici anni è stato migrazioni). Salpano soprattutto da
missionario nel Burundi, per otto in Larache, un centinaio di chilometri
Thailandia. «Molte donne africane a sud-ovest, oppure da M’diq, appena
- racconta - hanno subito violenza oltre Ceuta.
sessuale nel corso del viaggio che
le ha portate qui. Poi ci sono alcuni LA NUOVA BERLINO
rifugiati politici, ma il loro status è L’ingresso per l’Europa passa anche
temporaneo. Se non riescono a tro- dalle due enclave spagnole in terra
vare lavoro in un anno e mezzo, sono d’Africa. Ceuta si trova 70 chilometri
costretti a tornare indietro. Alcuni, a est di Tangeri. Melilla dista circa
infine, ottengono un permesso di 200 chilometri dal confine con l’Alsoggiorno per motivi lavorativi. Solo geria. Chi riesce a entrarvi, ha messo
questi, dopo alcuni anni, riescono ad piede in Europa. Così i flussi migratori, da più di 10 anni, convergono
avere un passaporto marocchino».
Il problema del lavoro è notevole. Se verso le due frontiere. Sulle montagne
una ditta richiede dieci operai, se ne fra Ceuta e Tangeri vivono accampati
presentano cento. Una volta assunti centinaia di migranti, di provenienvengono pagati un quarto rispetto al za principalmente sub-sahariana. Lo
dovuto. Cioè 15 dirham all’ora (poco stesso accade intorno a Melilla. Tutmeno di un euro e mezzo), per un ti aspettano il momento buono per
massimo di otto ore lavorative. In saltare la valla. Questa doppia rete
metallica, alta sei merealtà non è raro trovare
tri e sormontata di filo
bambine che fanno le «Voglio andare
spinato, dal 1997 isodomestiche o lavorano in Spagna.
la le due città dal resto
nei bar, ben oltre le otto Lì troverò
dell’Africa.
ore giornaliere, per 20 un lavoro
Un taxista marocchino
dirham al giorno. «Mol- nell’edilizia».
ci porta in cima a una
ti - prosegue padre Sa- Non sa
montagna vicina al pae­
bolla - per guadagnare che, se
dovesse
riuscirci,
il suo destino
è da disoccupato
Frontaliere portano i loro prodotti a Ceuta.
A destra, immigrati in un accampamento
in attesa di partire per la Spagna.
se di El Biutz, accanto a Ceuta, e ci partire. Possono ospitare fino a 512
mostra da lontano le sterpaglie dove persone. Uomini e donne, in promii migranti vivono imboscati. Ma non scuità. Provengono, per la maggior
è il caso di avventurarsi per andarli parte, dall’Africa occidentale. L’ima intervistare. «Non vogliono essere pressione è di una sistemazione accetfotografati - dice -, hanno paura del- tabile. Ma basta parlare con qualcuno
per capire che è come un
la polizia marocchina e
carcere. Periodicamenqualcuno, a corto di tut- Dai due Centros
te i migranti dell’Africa
to, è pronto a rubarti sol- de estancia
occidentale organizzano
di e vestiti». Spiega che temporal de
sit-in di protesta di frondal bosco escono solo di inmigrantes,
te al commissariato di
notte, per comprare cibo aperti dal 2000,
polizia. Sono gli sforin città. O per percorrere si può entrare e
tunati sui quali pende
la manciata di chilometri uscire, anche se
un ordine di espulsione.
che li divide dalle spiag- poi da Ceuta e
Provengono da Congo,
ge intorno a Ceuta. Dove Melilla è quasi
Camerun e Costa d’Avosi imbarcano sulle picco- impossibile
rio. «Con questi Paesi la
le pateras, per approdare partire
Spagna non ha stipulato
sulle spiagge dell’enclave
nessun accordo comspagnola. C’è chi affronmerciale, come è inveta quel tragitto anche a
nuoto, con indosso una muta da sub. ce avvenuto con Marocco, Nigeria,
C’è chi scavalca le reti metalliche con Algeria e Guinea Bissau, da un lato
scale rudimentali, soprattutto quando e con Guinea, Mauritania, Gambia,
il vento manda in tilt i sensori piaz- Capo Verde e Mali dall’altro – spiega
zati per segnalare presenze umane. Paula Domingo, dell’associazione Elín
Altri, invece, affrontano la dogana di Ceuta – dal primo gruppo di Paesi
nei cofani delle auto, come avveniva africani la Spagna riceve soprattutto
materie prime, gas e altro. Dal seconnei check-point di Berlino Est.
Il loro destino sono i Centros de do gruppo ottiene appalti per l’edilizia
estancia temporal de inmigrantes e le infrastrutture. In entrambi i casi i
(Ceti), i due centri d’accoglienza aper- migranti di queste nazioni hanno vita
ti nel 2000. Vi si può entrare e uscire più facile rispetto agli altri. Sono vite
liberamente, anche se poi da Ceuta e umane barattate in cambio di favori
dalla piccola Melilla è molto difficile commerciali».
Paula è una suora laica, che da anni
tenta di dare aiuto ai migranti di Ceuta. È anche grazie al suo contributo se
oggi sono finalmente approdati sulla
penisola iberica «los tigres del monte»,
un gruppo di 72 migranti indiani, che
risiedevano nel Ceti. Il 7 aprile 2008,
dopo circa un anno nel Ceti, si erano
accampati sulla piccola collina del
Renegado, alle spalle della struttura. Protestavano contro la minaccia,
sempre più reale, di venire rimpatriati
nel Punjab indiano, regione di provenienza di quasi tutti. La loro storia ha
coinvolto l’opinione pubblica spagnola. E alla fine hanno vinto. Il governo
Zapatero, all’inizio di quest’anno, ha
deciso di farli accedere alla penisola,
a gruppi di dieci. Oggi la loro drammatica odissea è leggenda.
Grosso modo la stessa vicenda toccata a un gruppo di 62 bengalesi
del Ceti di Melilla, anch’essi giunti
quest’anno in Europa. «Un’odissea
iniziata in India o in Bangladesh racconta José Alonso, dell’Asociación
pro derechos humanos de Melilla
(Apdhm) - con un annuncio sul giornale e un numero di telefono che
prometteva l’Europa. Ma si trattava
di una colossale truffa. Invece che in
Irlanda o in Gran Bretagna, presso
università o uffici, li hanno portati in
Africa». «Alcuni hanno peregrinato
da una città all’altra - aggiunge José
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marocco
Palazon, presidente dell’Asociación
pro derechos de la infancia -, per anni
hanno tagliato il deserto a bordo di
gremiti pick-up, mangiando cibo misto a sabbia e bevendo le proprie urine. Molti hanno mandato in rovina
le proprie famiglie, costrette a pagare
ogni tappa del viaggio. Una volta in
Marocco hanno tentato il tutto per
tutto per entrare a Melilla. Col rischio
di finire nelle retate della polizia e di
venire deportati a Oujda, nel deserto
al confine con l’Algeria».
IL CAMPUS «ISOLA FELICE»
La città più a est del Marocco è anche
quella che più di ogni altra è toccata
dal fenomeno
immigrazione.
Padre Joseph ha
Il governo maquasi novant’anni
rocchino non
e metà della sua
ammette la loro
vita l’ha trascorsa
presenza, per
in Marocco,
insieme agli ultimi. cui quasi quot id ia na me nte
«Mai, però, ho
compie rastrelvisto un’ondata
lamenti a Casamigratoria
blanca, Rabat,
di queste
Tangeri, Nador
dimensioni»
e Oujda, «riaccompagnando» i migranti irregolari
sulla strada che conduce alla frontiera algerina. Si stima ci siano circa
1.500 persone sparse nei vari insediamenti improvvisati che si distendono
dal confine sino a Berkane, vicino
centro agricolo. Al totale dei deportati si sommano coloro che attendono
di fare il loro ingresso in Marocco
dall’altra parte del confine, nella città
algerina di Maghnia.
Da Maghnia a Oujda si estende
un’area di 40 chilometri, tra le località di Zoudj El Beghal e Jouadra, a
ridosso della statale 6. Qui, nascosti
nei campi, tra strade sterrate, in cortili e aie abbandonate, vivono diverse
centinaia di migranti. Le dimore sono
capanne mimetizzate con teli verdi.
Le stesse che gremiscono il bosco di
Al Mousequi, vicino Oujda. Una pineta che copre una collina sulla quale si
è sviluppato un insediamento abusivo
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di capanne. Un ragazzo del Mali e un
ghanese ci accompagnano sul posto,
ma prima ci mettono in guardia: per
sfamarsi i migranti sub-sahariani sono pronti a tutto, anche a rapinare chi
si avvicina troppo. Riusciamo a parlare con un uomo nigeriano sdraiato
su una coperta e in preda a lancinanti
dolori ai reni. Sono calcoli, dovuti
all’acqua calcarea bevuta per mesi.
L’unica associazione che riesce a portare aiuto e medicinali è Medici senza
frontiere. Per il resto, questi uomini
sono abbandonati a loro stessi.
L’unico rifugio al sicuro dai blitz della polizia è il complesso universitario
di Oujda, oltre al vicino quartiere di
Sidi Maafa. Dal 2005, all’interno del
cortile della facoltà di Giurisprudenza hanno trovato una sistemazione
sicura alcune centinaia di migranti.
«La polizia, per entrare nelle aree
dell’università, deve essere autorizzata dal rettore», spiega Diachari, uno
studente maliano di Diritto internazionale. Racconta che quell’autorizzazione è giunta una sola volta, nel
2004. Gli studenti protestavano contro la riforma universitaria, gli agenti
di Mohammed VI sono entrati nella
cittadella accademica ferendone decine. Da quel giorno le due associazioni
studentesche dei friars e dei marxists
hanno iniziato a farsi garanti del
divieto di accesso alle forze dell’ordine. Il vice-rettore Aomar Anane
testimonia che i migranti godono di
assoluta libertà nel campus. «Brulicano le attività illecite - racconta
-: spaccio di droga, falsificazione di
denaro. E non di rado avvengono
liti tra i migranti anglofoni e quelli
francofoni, per il controllo dell’area».
Ne sanno qualcosa al quartier generale di Medici senza frontiere, dove
il dottor Francisco Rapela, argentino
di Cordoba, è costretto a curare ferite
da taglio e da colluttazione, oltre alle
classiche patologie da malnutrizione
e scarsa igiene. «Ci sono donne nigeriane - aggiunge Rapela - che hanno
alle spalle storie terribili: matrimoni
forzati e violenze familiari. Ci sono
poi i connection men, che si incaricano di adescare le donne che sognano
l’Europa. Le portano in Marocco,
gratis. Solo qui le ragazze scoprono
che il prezzo del biglietto sarà la prostituzione forzata».
Di queste realtà e più in generale di
quella migratoria, si occupa da 40
anni don Joseph Lepine, il parroco cattolico della chiesa francese di
Oujda, Berkane e Saidia. Ha quasi
novant’anni e metà della sua vita
l’ha trascorsa in Marocco, proprio
insieme agli ultimi. «Mai, però, ho
visto un’ondata migratoria di queste
dimensioni - confida -, i governi
dovrebbero comportarsi come cerco
di fare io, guardando nell’altro non la
diversità, ma la divinità».
Un sit-in di protesta di immigrati
africani contro l’ordine di espulsione
emesso dalle autorità spagnole.
AFP
La polizia marocchina impegnata
in un’operazione di sradicamento
di una piantagione di cannabis.
Crocevia
del traffico di droga
Enrico Casale
Oggi, secondo le statistiche fornite
dal Rapporto 2011 dell’Unodc (Uniarijuana, hashish e cocai- ted Nations Office on Drugs and
na. Il Marocco negli ultimi Crime), in Marocco sono coltivati a
anni non solo si è confer- cannabis circa 48mila ettari di termato uno dei maggiori produttori reno (il 5% del territorio nazionale).
mondiali di canapa indiana, ma è In questa produzione è coinvolto
diventato anche uno dei più impor- il 6% della popolazione, distribuitanti crocevia del traffico di coca to in cinque province: Shifshawn,
Tittawin, al Araish, Tawnat e al
proveniente dall’America latina.
La produzione di cannabis è stata in- Husayma. Il Marocco, sempre setrodotta nel Paese nel XV secolo. Ai condo i dati forniti dall’Unodc, è il
tempi veniva utilizzata perlopiù dalle primo produttore mondiale di canaconfraternite sufi per raggiungere pa indiana, seguito da Afghanistan
quello stato di trance che, sosteneva- (29mila ettari) e Messico (17.500
no, li aiutava a mettersi in contatto ettari). «Dal Marocco - spiega Fabio
con la divinità. Ma è con l’indipen- Bernabei, direttore di Osservatorio
denza (1956) che la coltivazione del Droga, testata web specializzata nei
kif (il nome locale della canapa india- problemi della tossicodipendenza e
na) conosce una crescita esponenzia- del narcotraffico - la cannabis viene
le. Le piantagioni si moltiplicano so- esportata su aerei e imbarcazioni in
prattutto nella regione del Rif anche Spagna. Il Paese iberico, l’Italia e la
grazie alla complicità delle autorità Francia rappresentano i maggiori
politiche e di polizia le quali, nono- mercati per la marijuana e l’hashish
stante produrre sostanze stupefacenti marocchini».
sia vietato dalla legge, chiudono un In questi ultimi anni, anche su presocchio. Negli anni Settanta, il kif sione delle Nazioni Unite, il governo
di Rabat ha messo in
marocchino diventa per
atto politiche repressii giovani occidentali un Il Marocco,
ve. Sono state inasprite
mito più a buon merca- secondo i dati
le pene per produttori
to rispetto alle droghe forniti
e commercianti e soprovenienti da India o dall’Unodc,
no state sradicate molAfghanistan (allora con- è il primo
te piantagioni. Seconsiderati i «paradisi» degli produttore
do fonti governative,
stupefacenti).
mondiale di
M
canapa indiana,
seguito
da Afghanistan
e Messico
l’hashish e la marijuana, che nel
2005 generavano un fatturato di 13
miliardi di dollari, nel 2010 avrebbero reso «solo» 4 miliardi. «Gli
effetti delle politiche proibizioniste
- continua Bernabei - sono positivi,
anche se le droghe leggere sono
ancora una componente importante
dell’economia marocchina: circa il
4% del Pil nazionale (che nel 2010 si
aggirava sui 100 miliardi di dollari).
La forza del settore degli stupefacenti si traduce in una grande “peso
politico”. Molti parlamentari e molti
funzionari dello Stato sono “finanziati” dai principali produttori. Così,
leggi severe per il contenimento
delle piantagioni vengono vanificate
dagli atteggiamenti a dir poco compiacenti di questi politici».
Da una decina di anni il Marocco è
diventato anche un Paese di transito della cocaina proveniente
Da una decina
d a l l’A m e r i c a
di anni il Marocco
latina e diretta
è diventato
verso l’Europa.
anche
Dopo gli attenun Paese
tati dell’11 setdi transito
tembre 2001,
della cocaina
sui voli da e per
proveniente
Europa, Stati
dall’America latina
Uniti e Canada
e diretta verso
sono aumental’Europa
ti i controlli di
polizia in funzione antiterrorismo.
I narcotrafficanti latinoamericani
hanno così cambiato rotta dirigendosi verso i Paesi dell’Africa occidentale nei quali le istituzioni e le
forze di polizia sono molto deboli e
più esposte alla corruzione. «La droga - spiega Bernabei - arriva in Paesi
quali Guinea Bissau, Guinea, Mauritania per poi transitare verso l’Europa. I carichi seguono rotte marittime
o aeree ma, per ridurre il rischio dei
controlli, i narcos utilizzano anche le
piste via terra attraverso il Marocco.
Qui sfruttano gli stessi canali già
“rodati” per il commercio di marijuana, hashish e per il traffico di armi e
di esseri umani».
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