Giovanni Santi, Pietro Perugino e la sua Bottega a Santa Maria Nuova

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Giovanni Santi, Pietro Perugino e la sua Bottega a Santa Maria Nuova
Rodolfo Battistini
Giovanni Santi, Pietro Perugino
e la sua Bottega a Santa Maria Nuova
La Visitazione1 di Giovanni Santi (Colbordolo,
ante 1439 - Urbino, 1494) venne menzionata
da Marcello Oretti2, con l’errata attribuzione
ad Andrea Sacchi, sopra l’organo della chiesa di
Santa Maria Nuova. Nel 1822 Luigi Pungileoni
rimase sconcertato nel costatare che il quadro era
stato inchiodato al soffitto3, mentre era tornato
all’originaria funzione di pala d’altare, quando
lo vide Passavant4. Nel frattempo era intervenuto il Conte Pompeo di Montevecchio, al quale si
deve il merito di essersi adoperato per riportare
la tavola in una collocazione più degna che corrisponde all’attuale: il primo altare a sinistra per
chi entra. L’erroneo riferimento ad Andrea Sacchi
dimostra la conoscenza, da parte di Marcello
Oretti, di una rarissima guida-catalogo, Pitture
d’Uomini Eccellenti, che si vedono in diverse chiese
di Fano, in Fano, nella stampa di Andrea Donati,
databile entro il quarto decennio del XVIII secolo, conservata in due copie presso la Biblioteca
Federiciana di Fano5, nella quale6 il quadro è ricordato sopra l’organo ed assegnato al seicentesco pittore laziale. Evidentemente, la difficoltà di
leggere la firma del pittore, in una tavola collocata così in alto, ha portato a questo e a un altro,
altrimenti inspiegabile, riferimento al bolognese
Giovanni Giuseppe Santi (1644-1719), contenuto in una più tarda guida settecentesca, Quadri
e pitture che vi sono nelle chiese di Fano7. Eppure
esisteva una guida ancora più antica di quella
stampata da Andrea Donati, pubblicata solo nel
1909, dove la Visitazione è riportata con la giusta
assegnazione, non sappiamo, però, se dovuta a
successive correzioni8. La storiografia artistica,
data la presenza della firma, non ha contestato l’attribuzione, ma, soprattutto in passato, la
qualità dell’opera; inoltre non c’è concordanza
sulla datazione.
In più occasioni Giovanni Battista Cavalcaselle,
ha criticato sia l’impaginazione prospettica che
l’intonazione dei colori della tavola, datata prima degli affreschi di Cagli, dunque ante 14819.
Al contrario Adolfo Venturi l’ha spostata alla
tarda attività dell’artista ed ha ipotizzato la col-
laborazione di Evangelista di Pian di Meleto,
mantenendo comunque un giudizio negativo10.
Intorno al 1490 la riferiscono anche Germano
Mulazzani11, Franco Martelli12 e Maria Grazia
Ciardi Duprè Dal Poggetto13; mentre Ranieri
Varese14, per il forte legame con la pala di
Gradara del 1484, l’anticipa al 1484-85 e accoglie con articolate motivazioni l’invito, proposto da chi scrive, a rivedere il giudizio negativo
avanzato in precedenza dalla critica15. La qualità
esecutiva del dipinto è stata infine riconosciuta
da Maria Rosaria Valazzi 16 che ha evidenziato
la minuziosa accuratezza nella resa dei particolari, l’attitudine a creare il volume dei panneggi
dosando con accortezza colore pesante e velature trasparenti, all’interno di un sistema cromatico ravvivato da passaggi di diversa rifrazione
luminosa di ispirazione fiamminga. L’altissima
sapienza artigianale di Giovanni Santi è con ragione considerata, dalla studiosa, la causa principale del suo successo ed è stato anche il lascito
professionale più rilevante trasmesso al figlio
Raffaello, come hanno dimostrato le recenti
indagini di Tom Henry e Carol Plazzotta17. La
pala costituisce un’ulteriore prova del costante
riutilizzo di modelli e schemi compositivi, pratica di certo consueta nell’organizzazione del
lavoro pittorico quattrocentesco, ma ricorrente
con peculiare sistematicità nella bottega santiana, come Ranieri Varese ha evidenziato18. Le
protagoniste dell’incontro sono collocate su un
terreno ritagliato da una cesura, come avviene in
altre composizioni19, la tipologia della Vergine,
ripetuta all’interno stesso del dipinto nella donna all’estrema destra, è stata riproposta più volte
per lo stesso soggetto20 ed utilizzata anche per la
musa Polymnia, appartenente alla serie dipinta
da Giovanni Santi, tra il 1480 ed il 1490, per il
tempietto delle Muse del Palazzo di Federico di
Montefeltro21. Al medesimo complesso appartiene la musa Clio, il cui schema è stato adattato
all’ancella posta sul piano più arretrato del gruppo a sinistra, nella Visitazione, oltre a ricomparire, con maggiori modifiche, in altre opere di
A fronte
Giovanni Santi, La Visitazione (Fano, Chiesa di
Santa Maria Nuova)
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LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
Giovanni, come l’Arcangelo Raffaele con Tobiolo
e la Santa Martire, della Galleria Nazionale delle
Marche di Urbino. Questa immagine è strettamente collegata ad uno splendido disegno22 con
una figura femminile di fronte ad una formazione rocciosa, condotto con estrema padronanza
nell’uso della penna, per descrivere con tratti
sciolti e sicuri lo studiato andamento del panneggio, così come grande maestria viene dimostrata nell’orchestrare le vibrazioni chiaroscurali
che determinano i volumi. La qualità del foglio
ha indotto la critica, in passato, ad avanzare i
nomi di Mantegna, Botticelli, Perugino, fino a
quando l’indubbio collegamento con i dipinti di
Giovanni Santi ha indirizzato verso quest’ultimo la ricerca attributiva 23, anche se la mancata
ricostruzione dell’opera grafica del maestro non
permette un’assegnazione definitiva e proprio
l’altezza della sua esecuzione, superiore alle trascrizioni pittoriche, rappresenta l’ostacolo principale. Stefano Tumidei24 considerava il disegno
non il cartone preparatorio per la Clio, ma una
copia immediatamente successiva, più alta del
dipinto; mentre Gigetta Dalli Regoli25 avanzava
la tesi che Santi potesse aver utilizzato un modello creato da un altro artista. Molto interessante è la posizione di Paul Joannides26, il quale
pur ammettendo, per il disegno, la funzione di
modello per la musa Clio, lo definiva una rielaborazione della figura pollaiolesca che l’autore
aveva in precedenza utilizzato nella Visitazione
di Fano27, sottolineando la cultura fiorentina e
l’alta qualità del foglio, superiore a tutte le creazioni dipinte di Giovanni Santi, paragonabile
piuttosto ai disegni di Raffaello. L’elaborazione
del disegno è stata ricondotta, senza dubbio, alla
bottega del pittore di Colbordolo, in funzione
della musa Clio, da Ranieri Varese, secondo il
quale non è metodologicamente corretto disconoscere la paternità di Santi, basandosi proprio
sull’alta qualità dell’opera 28, ma lo scarto con le
corrispondenti realizzazioni pittoriche è stato di
recente ribadito da Agnese Vastano, tanto da indurla ad ammettere con riserva il disegno nella
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produzione santiana, perché non avendo ulteriori termini di confronto, non è possibile verificare
se anche in altri casi l’estrema perizia disegnativa
contrasti con il livello della trascrizione pittorica 29.
Il problema è tuttora irrisolto ed anche Tom
Henry30, pur convinto che si tratti del disegno
preparatorio per la Clio, non esclude la possibilità che Giovanni Santi possa averlo ricevuto da
Perugino, l’unico artista, secondo lo studioso,
che potrebbe contendere il ruolo di autore del foglio. Quest’ultima considerazione è di notevole
importanza, perché testimonierebbe rapporti tra
Giovanni Santi e Perugino ancor più stretti di
quanto già sia noto, con inevitabili conseguenze
riguardo alla formazione di Raffaello. Nessuna
dipendenza invece, da parte di Giovanni Santi,
nei confronti dell’Annunciazione di Perugino per
Santa Maria Nuova, nella tavola con analogo
soggetto eseguita intorno al 148531, per la chiesa di Santa Maria Maddalena di Senigallia, ora
appartenente alla Pinacoteca di Brera di Milano,
ma attualmente in deposito ad Urbino, nella
Casa Natale di Raffaello, forse destinata ad essere
trasferita nel Palazzo di Federico di Montefeltro.
Con alcune varianti riguardo ai capitelli dei pilastri ed alla copertura della loggia, ritorna, in
controparte, l’architettura già posta alle spalle di
Sant’Elisabetta nella Visitazione di Fano, con la
quale ha in comune anche l’immagine di Maria.
A questo proposito è stata già notata la derivazione dalle scenografie teatrali che sicuramente
il pittore deve aver progettato nell’ambito della
sua attività di organizzatore di spettacoli teatrali32; schemi adattabili alle varie situazioni come
i cartoni per le singole figure, all’interno di una
bottega perfettamente in grado di far fronte a
svariati impegni: un’anticipazione in scala minore di quello che sarà la bottega del figlio, a
Roma.
I recentissimi studi confluiti nel catalogo per la
mostra sulla formazione urbinate di Raffaello,
appena conclusa, hanno concordemente inserito
la tavola di Santa Maria Nuova fra la prove mi-
GIOVANNI SANTI, PIETRO PERUGINO E LA SUA BOTTEGA
gliori di Giovanni Santi risalenti al periodo tra il
1485 e il 1490, rivedendo, nel contempo, le fonti
dei riferimenti perugineschi presenti nella
Visitazione, non troppo diffusi comunque, circoscritti, come già ricordato, essenzialmente alla
figura collegata alla musa Clio e da ricercarsi, in
ogni caso, non nell’attività di Pietro Vannucci
per la chiesa fanese, ma nei precedenti interventi
per la Cappella Sistina33. La prima attestazione
della presenza di Perugino a Fano risale al 21
aprile 1488, data del contratto34 per la pala destinata all’altar maggiore della chiesa di Santa
Maria Nuova, naturalmente quella extra moenia
presso San Lazzaro, dalla quale provengono tutte le opere qui considerate. La commissione fu
finanziata con un lascito di Durante Fanese
“quondam Giovanni Vianutii de Durantibus de
Castro Durante”, il quale però aveva destinato
in precedenza la somma di trecento ducati d’oro
veneti, come si evince dal testamento del 17
maggio 148535, per ornare e dipingere la cappella dell’Annunciazione. Il legato, per ragioni non
ancora chiare, venne utilizzato diversamente,
come dimostra il contratto del 1488 e varie ipotesi sono state avanzate riguardo all’identità del
reale committente dell’Annunciazione36 : Fausta
Gualdi Sabatini37 e Pietro Scarpellini38 hanno
seguito Canuti39 nell’indicare al proposito
Donna Fiumana, figlia di Galeotto Piccione
“pontiniere”, cioè custode del ponte sul Metauro,
mentre Dante Piermattei40 ha recentemente proposto una più attenta lettura del testamento del
nobile fanese Pietro Peruzzi41, citato da Pietro
Scarpellini per la datazione del dipinto. Nel documento, datato 12 gennaio 1489, il testatore
nominava la moglie Maddalena Marcolini esecutrice testamentaria per ottemperare all’impegno assunto dallo zio Galeotto Petrucci di destinare trenta ducati per dotare la cappella dell’Annunciazione di paramenti e ornamenti. E’ documentato42 che Galeotto Petrucci esercitava la
carica di pontiniere molti anni prima, nel 1446
ed era già morto nel 1459; quindi se si tratta della stessa persona citata nel testamento di Pietro
Peruzzi il suo interessamento lo dobbiamo riferire non alla chiesa di Santa Maria Nuova presso
San Lazzaro, ma addirittura al primo insediamento dei Minori Osservanti presso il Ponte
Metauro e non sono ancora note la ragioni che
hanno causato un ritardo di oltre trent’anni per
ottemperare alle sue volontà, indirizzate infine
ad un’altra chiesa. Il testamento del nipote fa riferimento solo al completamento dell’apparato
decorativo della cappella, ma costituisce un forte indizio che sempre alla committenza dei
Peruzzi si debba anche la corrispondente pala, a
quella data, quindi, già al suo posto, o in corso
di esecuzione; d’altra parte, fra le poche parole
che è possibile ricostruire nella frammentaria
iscrizione posta sulla cassapanca, dipinta alla
base del quadro, si distinguono il nome Galeotto
e la qualifica di pontiniere, tanto da aver indotto
Dante Piermattei ad ipotizzare che il quadro sia
stato un omaggio da parte di Pietro alla memoria dello zio paterno43. Le ricerche archivistiche
di Giuseppina Boiani Tombari44 hanno fatto riemergere una serie di documenti, tutti datati 26
febbraio 1479, rivelatori di un passaggio di denaro, incredibilmente complesso e tuttora oggetto di studio, in cui sono coinvolti, nella decisione
di dotare la chiesa di un quadro con l’
Annunciazione, Filippo Laurentii, a quel tempo
sindaco dei Minori Osservanti, Luigi Arnolfi,
Pietro e Giovanni Peruzzi; quest’ultimo con un
ruolo principale. Se fosse dimostrata la datazione al 1489, già proposta da Canuti45, confermata
poi da Scarpellini46, essa farebbe di questo quadro la prima opera realizzata da Pietro Vannucci
a Fano. Sotto lo sguardo dell’Eterno benedicente
entro una raggiera rotonda con serafini, l’arcangelo Gabriele con il giglio, simbolo dell’amore
puro e virginale, inginocchiato davanti al mistero dell’incarnazione, al quale allude la colomba
dello Spirito Santo, si rivolge a Maria che ha interrotto la lettura, abbandonando il libro sulla
cassapanca, con un moto istintivo in direzione
opposta rispetto all’arcangelo, contraddetto dallo sguardo e dal capo, abbassati verso Gabriele in
145
LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
segno di devota sottomissione, espressa anche
dall’atteggiamento della mani, secondo codici
iconografici in voga sia presso i maestri umbrotoscani che nella pittura fiamminga47. In questo
modo Perugino è riuscito a sintetizzare in un’unca immagine il momento della conturbatio di
Maria e quello seguente della piena accettazione
della volontà divina; una soluzione poi riproposta negli stessi termini, ma in un contesto architettonico diverso, nella successiva Annunciazione
Ranieri di Perugia. Nella pala di Fano abbiamo
una delle prime apparizioni della rappresentazione architettonica caratterizzante le creazioni
peruginesche48 più pregevoli, tra le seconda metà
degli anni ottanta e tutti gli anni novanta del
Quattrocento: la solenne loggia a quattro campate coperte da volte a crociera, impostate su pilastri a base quadrata49, aperta alle profondità del
cielo, all’interno della quale risaltano le figure.
All’inizio il motivo architettonico rammentava
ancora l’enfatizzazione dello spazio scorciato dal
basso verso l’alto delle soluzioni melozzesche,
mentre nelle versioni successive tale effetto contrastato si attenuerà in una più distesa continuità
spaziale tra i personaggi, le architetture e il paesaggio, come nella Pala Nasi, ora all’Alte
Pinakothek di Monaco, vicina anche nella cronologia all’Annunciazione di Fano. La ripetizione del grande vano aperto sullo squarcio centrale di paesaggio, a commento musicale ritmico
delle figure distribuite nello spazio, era, con evidenza, la concretizzazione di un pensiero che
occupava la mente del pittore, in quegl’anni.
Entro lo stile architettonico severo della tavola
fanese la composizione recupera la ritmica musicale quasi danzante, delineatasi nel corso degli
anni ottanta; il colore acquista un senso di luce
più diffusa, pacata, il paesaggio non presenta più
le asperità, i profili frastagliati, le rocce, per placarsi in una sequenza di colline digradanti attorno ad una grande pianura, con al centro uno
specchio d’acqua. Una loggia simile a quella
dell’Annunciazione appare nella Madonna col
Bambino, San Francesco, San Ludovico, San
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Pietro, San Paolo, San Giacomo Maggiore della
chiesa di Santa Maria delle Grazie, a Senigallia,
inserita in un complesso conventuale sempre dei
Francescani Osservanti, fondato nel 1491 da
Giovanni Della Rovere, Signore di Senigallia,
marito di Giovanna di Montefeltro, per sciogliere il voto di costruire un convento e una chiesa
se avessero avuto la grazia di un erede. Voto
esaudito il 25 marzo 1490 con la nascita di
Francesco Maria Della Rovere, futuro Duca di
Urbino. Lo stemma della Famiglia Peruzzi sulla
cassapanca ai piedi del trono della Vergine ha già
indotto alcuni studiosi ad escludere la committenza roveresca per la pala di Senigallia50 e, al
riguardo, mi sembra molto interessante l’ipotesi
avanzata da Dante Piermattei sulla possibilità
che la famiglia dei Minori dell’Osservanza fanese abbia contribuito alla nascita di quella senigalliese51; dunque non escluderei che la tavola
ora a Senigallia sia stata dipinta subito dopo
l’Annunciazione, per la stessa chiesa di Santa
Maria Nuova, sempre su committenza dei
Peruzzi, poi sostituita dalla Pala di Durante che
ne riprende lo schema. Gli stretti rapporti fra i
Minori di Fano e il convento di Senigallia potrebbero spiegare il trasferimento del quadro.
Nel caso in cui quest’ultimo fosse stato destinato
ad una cappella privata del Peruzzi, le relazioni
della famiglia sia con i Della Rovere che con il
convento di Santa Maria delle Grazie52, potrebbero aiutare a comprendere lo spostamento a
Senigallia. La loggia al cui interno avviene la sacra conversazione differisce da quella dell’Annunciazione nella copertura delle campate: non
più volte a crociera, ma coperture piane sostenute da archi a tutto sesto, esattamente come nella
Pala di Durante, con l’aggiunta però delle catene
di irrigidimento, mai ripetute nelle altre architetture dipinte di Perugino. Condivido del tutto
l’ipotesi, avanzata da Barbara Aterini, Gianluca
Darvo e Francesca Fantini (si veda la scheda La
matrice geometrica di due dipinti del Perugino
nella chiesa di Santa Maria Nuova a Fano di
Barbara Aterini, Gianluca Darvo e Francesca
GIOVANNI SANTI, PIETRO PERUGINO E LA SUA BOTTEGA
Pietro Vannucci, detto
Perugino, Annunciazione
(Fano, Chiesa di Santa Maria Nuova)
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LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
Santini)53, di riconoscere nei tiranti, altrimenti
ingiustificati, la traduzione tramite elementi architettonici, in pittura, delle linee tracciate nel
cartone preparatorio per definire l’impianto prospettico del quadro, cartone poi riutilizzato, con
qualche variante, per la Pala di Durante, senza
più alcun riferimento alla griglia prospettica, già
sperimentata nella tavola ora a Senigallia. A questo punto andrebbe riconsiderata la tesi di
Adolfo Venturi54 che riteneva la pala di Senigallia
molto vicina cronologicamente all’Annunciazione. Naturalmente occorre attribuire il giusto rilievo ad autorevoli diverse ricostruzioni, come
quella di Rudolf Hiller von Gaertringen55 che
vede nella pala di Senigallia l’ultimo riutilizzo
del cartone per la Pala dei Decemviri, ma i problemi posti dalla scoperta della committenza e
gli studi, per questo volume, sull’architettura dipinta, non possono essere ignorati. Lo studioso,
nello stesso intervento, ha rovesciato la direzione
delle derivazioni che fino a quel momento vedevano, in prevalenza, Giovanni Santi recepirle da
Perugino, proponendo, per il motivo della
Madonna col Bambino sia nella Pala di Durante
che in quella di Senigallia, la stretta dipendenza
da un’invenzione di Giovanni Santi, in particolare dall’affresco della cappella Tiranni nella
chiesa di San Domenico a Cagli. Se questa ipotesi corrispondesse al reale svolgimento dei fatti
sarebbero ulteriormente dimostrati i buoni rapporti fra i due pittori, con scambi di disegni fra
le rispettive botteghe, ma ancor meno sarebbe
credibile il senso di inferiorità del padre di
Raffaello, tanto da spingerlo a demandare all’artista umbro la formazione di suo figlio ancora
bambino. Il gruppo di opere del quale fanno
parte le sacre conversazioni eseguite da Perugino
a Fano, come già ricordato, ruota attorno alla
splendida Pala dei Decemviri, destinata in origine alla cappella del Palazzo dei Priori di Perugia,
ora nella Pinacoteca Vaticana56, commissionata
nel 1488, ma terminata attorno al 1495; dunque
l’artista vi attese negli stessi anni in cui era contrattualmente legato a Fano per la Pala di
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Durante, ma questo non deve sorprenderci.
Come ha dimostrato Pietro Scarpellini57,
Perugino era solito firmare contratti anche a
scadenza molto ravvicinata, intascare caparre e
non rispettare quasi mai i termini di consegna,
portare avanti più lavori allo stesso tempo, tenendo abilmente a bada le proteste dei committenti. In ciascuno dei centri nei quali accettava
un incarico impiantava una sorta di atelier provvisorio, talvolta presso lo stesso committente o
presso il luogo di destinazione dell’opera, come a
Fano, con aiuti in genere condotti con sé, oppure assunti sul posto. Nel periodo che ci interessa
si andava delineando la strategia del pittore mirante a spostare progressivamente il baricentro
della sua attività verso Firenze, dove, dal giugno
1486, aveva preso in affitto da Vittorio, figlio di
Lorenzo Ghiberti, alcuni ambienti in via San
Gilio (ora via Bufalini), per dare l’avvio a quella
che sarà per circa un quarto di secolo la bottega
fiorentina di Vannucci, avvalendosi, come dimostrano recenti indagini58, essenzialmente di aiuti
di origine umbra, coinvolti con incarichi di modesta rilevanza nelle numerose commissioni ricevute dal maestro, in quegli anni che videro la
sua definitiva affermazione nella città e la totale
indipendenza dall’ambito del Verrocchio, dopo
l’impresa della Cappella Sistina. Un periodo intensissimo, durante il quale, oltre alla Pala dei
Decemviri ed alle altre tavole da essa derivate, si
succedono opere straordinarie. Nel 1489 abbiamo la commissione da parte della famiglia Nasi
per la Visione di San Bernardo, collocata l’anno
successivo nella cistercense chiesa di Santa Maria
Maddalena dei Pazzi, a Firenze, ora all’Alte
Pinakothek di Monaco. Partecipò, tra il 1490 e
il 1491, insieme a Sandro Botticelli, Domenico
Ghirlandaio e Filippino Lippi agli affreschi, oggi
perduti, della villa medicea dello Spedaletto
presso Volterra. Nel 1493 Vannucci firmò e datò
la tavola per San Domenico, a Fiesole, con la
Madonna in trono e il Bambino fra i Santi
Giovanni Battista e Sebastiano, ora agli Uffizi.
Dello stesso anno è la Madonna in trono col
GIOVANNI SANTI, PIETRO PERUGINO E LA SUA BOTTEGA
Bambino fra i Santi Pietro, Giovanni Evangelista,
Giovanni Battista e Paolo, del Kunsthistorisches
Museum di Vienna. Nel novembre dello stesso
anno Perugino ricevette la commissione per l’affresco della Crocifissione nella sala del Capitolo del
convento di Santa Maria Maddalena dei Pazzi,
compiuto nel 1496, un anno prima della fine dei
lavori per Fano. Una sequenza di capolavori nei
quali Pietro Perugino dette vita ad uno studiatissimo equilibrio tra figure, architettura e paesaggio, dove i santi con le loro espressioni di serafico
abbandono alla volontà di Dio si stagliano su uno
sfondo sereno dominato dai toni caldi: una formula destinata ad avere grande successo negli
anni novanta, applicata anche nella produzione
fanese che si conclude con la consegna, nel 149759,
della Madonna in trono col Bambino e i Santi
Giovanni Battista, Ludovico di Tolosa, Francesco,
Pietro, Paolo, Maria Maddalena; nella lunetta la
Pietà con Cristo tra la Madonna e San Giovanni
Evangelista, alle spalle Giuseppe d’Arimatea e
Nicodemo; nella predella Storie della Vergine
(Natività di Maria, Presentazione della Vergine al
Tempio, Sposalizio della Vergine, Annunciazione,
Assunzione e dono della cintola). L’opera viene correntemente denominata Pala di Durante, dall’autore del legato che ne ha consentito l’esecuzione, il
cui nome, Durante “olim Joannis Vianutii de
Fano” compare sia nell’iscrizione60 sulla cassapanca in primo piano, sia nel contratto di allogazione, stipulato il 21 aprile 148861. Si tratta dello
stesso personaggio che nel testamento del 1485
aveva destinato i trecento ducati per dipingere la
cappella dell’Annunciazione, dirottati in seguito
per la pala che prenderà il suo nome62. L’atto specifica con precisione l’iconografia del complesso
che subirà degli adattamenti, per evidenti esigenze compositive, dato che mancano i prescritti San
Girolamo e San Michele Arcangelo, nella pala
centrale, compensati dai non previsti Giuseppe
d’Arimatea e Nicodemo, nella lunetta. Anche nella predella la Purificazione della Vergine, rito che
richiedeva il sacrificio di due tortore o due colombi e che veniva svolto in contemporanea alla
Presentazione di Gesù al Tempio63, è stata sostituita dallo Sposalizio.
Pietro Vannucci, detto Perugino, Pietà con Cristo tra
la Madonna e San Giovanni
Evangelista, alle spalle Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo (Fano, Chiesa di Santa
Maria Nuova)
149
LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
Sempre nell’atto si legge che i rappresentanti
del convento di Santa Maria Nuova si impegnavano a “[...] dare et prestare eidem Magistero
Petro dum laboraverit hic Fani victum et panem
et vinum pro eius ore et pro uno suo garzono
nec non habitationem et mansionem gratis.” In
perfetta coerenza con le sue modalità lavorative, il maestro umbro dovette far fronte a più incarichi e la Pala di Durante fu consegnata solo
nove anni dopo. La pazienza dei committenti fu
certamente sostenuta dal fatto che il pittore era
impegnato nei lavori per i Peruzzi, legatissimi
ai Minori Osservanti, così come lo erano stati
a Durante Vianutii64; inoltre la consapevolezza
di essersi rivolti ad un artista dall’immenso prestigio li avrà indotti a riservargli un trattamento
particolare. Questa consapevolezza è testimoniata dal componimento poetico allegato dal notaio
Pier Domenico Stati all’atto di allogazione65, nel
quale l’autore viene definito: “Pictor in Italia tota
qui primus haberis / Petreque: qui primus pictor
in orbe manes”, “alter Parahsius”, “Optimum et
primus pictor Iam Petrus in Orbe”. Il quadro
non figura nell’elenco delle opere di Perugino redatto da Giorgio Vasari nelle Vite e le fonti locali66, compilate tra il terzo ed il quarto decennio
del Settecento, lo ricordano già nella sede attuale, sull’altare laterale della Comunità, dove venne
trasferito dal coro dei frati nel 1631, affinchè fosse meglio ammirato dai fedeli67. La fonte locale
più antica ricorda nelle note, aggiunte probabilmente da Filippo Luigi Polidori, due smontaggi della pala. Il primo, erroneamente anticipato
al 1704, mentre avvenne nel 170668, durante la
ristrutturazione della chiesa e il secondo, con
esattezza riferito al 1739, in occasione del rifacimento dell’altare. La documentazione raccolta
da Giuseppina Boiani Tombari per questo volume attesta almeno un altro smontaggio della
pala, nel 1847-48, in occasione di lavori di ripristino della parete su cui insiste l’altare69 e di un
primo restauro della parte centrale del dipinto;
non è chiaro se nel trasferimento del 1631, come
pensano Franco Battistelli e Pietro Scarpellini70,
150
oppure in concomitanza di uno di quest’ultimi
eventi, come riteneva Stefano Tumidei71, andò
perduta l’incorniciatura originale, sostituita nel
1881 da quella eseguita nel corso del restauro
condotto da Filippo Fiscali72, a sua volta rimossa
per lasciar posto alla cornice commissionata, nel
1998, dal Lions Club di Fano. É una grave perdita per il patrimonio artistico fanese la scomparsa
della carpenteria originale, dal momento che il
suo autore, Gioacchino Blasi, viene paragonato,
nel componimento del notaio rogante già citato,
addirittura a Lisippo (“alter Lisippus”). Dopo
l’intervento di Filippo Fiscali, la tavola, insieme
all’Annunciazione e alla Visitazione di Giovanni
Santi, anch’esse ripristinate, furono appese alle
pareti del coro, coperte da tendine, per ripararle soprattutto dai fumi delle candele, ma l’anno
successivo, non senza polemiche73, le tre opere
furono ricollocate sui rispettivi altari.
Come nella Pala dei Decemviri, l’impianto si
articola con un andamento verticale, attorno al
trono sollevato su un alto piedistallo, in modo
da rialzare il centro del dipinto, così da offrire
al riguardante una semplice struttura piramidale con i santi disposti in simmetria ai lati. Essi
sono interpretati da figure musicalmente atteggiate, di una ricercata bellezza fisica, immerse in
un’atmosfera ferma, estatica, animate dal tipico
sentimento di malinconia e rassegnazione attraverso il quale Pietro Perugino sentiva la bellezza.
L’andamento molleggiato, la cadenza ritmica interna ai corpi, con le gambe disposte sul fondo
a delineare una elegante silhouette, con i piedi
aggettanti e la lieve torsione degli arti, addolciscono e piegano i modelli ad un nuovo senso
ritmico che diviene una nuova grammatica figurativa. I ricordi pierfrancescani sono spogliati di ogni astrattezza ed immersi in una placida
atmosfera azzurrina, in un paesaggio sviluppato
verso il fondo a linee digradanti per una nuova interpretazione dell’universo prospettico, con
un’applicazione meno rigorosa delle regole, in
vista di un nuovo equilibrio tra natura e idea.
Una soluzione così felice da diventare uno dei
GIOVANNI SANTI, PIETRO PERUGINO E LA SUA BOTTEGA
riferimenti preferiti dalla pittura italiana per vari
decenni, fino ad inoltrarsi nel Cinquecento.
I confronti con le altre opere di Perugino sono
già stati effettuati, a più riprese, da Fausta Gualdi
Sabatini74 e non sono sfuggite, all’attenzione della storiografia artistica che più si è dedicata allo
studio del maestro75, le conseguenze dei ripetuti
soggiorni veneziani tra il 1494 e il 1497, riscontrabili soprattutto nella lunetta con la Pietà, avvolta in un’atmosfera serotina che modula le delicate variazioni tonali delle tinte, perfettamente
armonizzate fra loro, mentre le espressioni dei
dolenti si caricano di una verità non ancora sperimentata nelle pale fanesi.
Lo scarto tra la lunetta e il resto del complesso è stato nettamente avvertito dalle fonti locali, impossibilitate tuttavia, per l’assenza di una
sufficiente ricostruzione critica dell’autore, ad
elaborare spiegazioni storicamente accettabili,
volgendosi, così come può accadere anche oggi,
di fronte a spunti di novità particolarmente
interessanti nella produzione di Perugino, verso l’ipotesi più facile: che si tratti di un intervento di Raffaello. In tal senso si sono espresse
due guide settecentesche76, riportando una convinzione ancora ben viva nel 1848, quando in
seguito ai lavori di ripristino, già ricordati, alla
parete e all’altare (a questo punto dedicato a
Sant’Emidio, evidentemente per la presenza di
una statua corrispondente), il padre guardiano
Giovanni da Rapagnano dichiarò di “ritenere in
custodia presso il detto convento tanto la tavola della lunetta rappresentante la Pietà dipinto
giudicato del divino Raffaello, quanto la tavola
quadrilunga rappresentante alcuni fatti della vita
di Maria Santissima, dipinto di Pietro Perugino,
l’una e l’altra rimosse dall’altare di S. Emidio
ad oggetto di ricollocarsi nella stessa chiesa di
S. Maria Nova in luogo migliore e più acconcio ove essere osservato dagli Amatori delle Arti
Belle e giusto quando verrà concertato in seguito”77. Il passo è interessante, perché, insieme alle
altre fonti locali, attesta il riferimento originario
a Raffaello in relazione alla lunetta, piuttosto
che alla predella. In seguito anche quest’ultima
cominciò ad essere assegnata al pittore urbinate, come testimonia, con scetticismo, invero,
Stefano Tomani Amiani nel 185378. La critica
novecentesca ha lasciato cadere l’attribuzione a
Raffaello della lunetta, mentre, sin dall’inizio
del secolo scorso è tornata ad assegnargli la predella79, ipotesi di nuovo sottoposta all’attenzione
degli storici dell’arte, in seguito ad uno scritto di
Roberto Longhi80 che ha dato l’avvio ad una discussione non ancora conclusa. L’attenzione del
grande studioso era in realtà concentrata sulla
scena con la Natività di Maria e, in particolare,
sulla figura della levatrice, analoga, a suo giudizio, alla Madonna affrescata, con il Bambino,
nella Casa Santi di Urbino, dipinto dalla tradizione riferito al giovanissimo Raffaello, a differenza della critica attuale, non più concorde nel
mantenere tale assegnazione81.
Una vasta schiera di storici dell’arte ha accolto
la proposta longhiana, tra i quali in particolare:
Camesasca82, Brizio83, Becherucci84 che ha esteso l’intervento di Raffaello a tutte le storie della
predella, Zampetti85, Fontana86, Padoa Rizzo87,
Gregori88, Ciardi Duprè Dal Poggetto89. Un gruppo altrettanto numeroso e autorevole di studiosi
l’ha invece respinta: Volpe nel 1962, correggendo un’apertura espressa nel 195690, Dussler91, De
Vecchi92, Oberhuber93, Cuzin94, Marabottini95,
e soprattutto l’opera è stata reintegrata a pieno
titolo nel catalogo di Perugino dagli autori delle
più importanti e recenti pubblicazioni sul maestro umbro, da Pietro Scarpellini96 a Vittoria
Garibaldi97, fino a Fabio Marcelli, autore della
scheda relativa alla predella nello splendido catalogo per la grande mostra dedicata a Pietro
Vannucci, a Perugia, nel 200498. Più articolata
ed assai influente sugli esiti della problematica,
è la posizione di Sylvia Ferino Pagden. Curatrice
nel 1982 di una mostra dedicata ai Disegni umbri del Rinascimento da Perugino a Raffaello,
conservati nel Gabinetto Disegni e Stampe degli
Uffizi, promosse il distacco di un antico controfondo sul quale era stato incollato per intero
151
LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
Pietro Vannucci, detto
Perugino, Madonna in
trono col Bambino e i Santi
Giovanni Battista, Ludovico
di Tolosa, Francesco, Pietro,
Paolo, Maria Maddalena
(Fano, Chiesa di Santa Maria Nuova)
152
GIOVANNI SANTI, PIETRO PERUGINO E LA SUA BOTTEGA
il verso di un foglio, raffigurante sul recto una
Figura femminile con un bacile che incede verso sinistra, già attribuita a Pintoricchio99, ma con evidenza in rapporto con la donna all’estrema destra nella Natività di Maria dipinta sulla predella
della Pala di Durante. Enorme fu la sorpresa nel
veder riapparire sul verso, dopo la delicatissima
operazione di rimozione del controfondo, uno
studio di composizione a penna su carta bianca100 proprio per la scena della Natività di Maria
della predella, un primo abbozzo nel quale l’attenzione dell’autore si era concentrata sulla zona
centrale dell’immagine, definendo i volumi in
modo arditamente sintetico, soltanto attraverso
la materializzazione delle linee direttrici, con un
segno energico, quasi impaziente, estraneo alla
grafica peruginesca, ma non a quella raffaellesca.
A questo primo foglio è collegato un secondo101,
della medesima raccolta, con altri studi per la
predella su recto e verso, tra cui una Figura femminile in piedi con una brocca sulla testa (recto),
corrispondente all’analoga figura sulla sinistra
della Natività di Maria, e una Figura maschile
che spezza un bastone, riscontrabile nella scena
con lo Sposalizio della Vergine. Sia pure in forma
dubitativa, la curatrice della mostra assegnava i
disegni a Perugino, per modificare in seguito il
proprio parere. Nel 1983 la predella fu sottoposta
ad un primo esame riflettografico ad infrarossi
che evidenziò il disegno sull’altare nella scena
della Presentazione della Vergine al Tempio, sulle
ali dell’Angelo nell’Annunciazione, e soprattutto
sulla figura che spezza il bastone, dello Sposalizio,
coincidente con lo schizzo degli Uffizi102. Sylvia
Ferino Pagden, non riconoscendo, nei disegni
individuati attraverso l’esame riflettografico, lo
stesso ductus di quelli che Perugino tracciava sotto le sue pale d’altare, riconsiderava la questione,
fino a rovesciare in favore del giovane urbinate
l’ipotesi attributiva, sempre con un margine di
dubbio103. Nel frattempo la comunità scientifica
del settore ancora una volta si era divisa, sulla
paternità dei disegni degli Uffizi, tra i fautori di Raffaello, come Francis Russel104, Nicolas
Turner105, Paul Joannides106e coloro che propendevano per Pietro Vannucci, come i curatori della grande mostra londinese del 2004 sulla prima
produzione di Raffaello, Hugo Chapman, Tom
Henry e Carol Plazzotta, i quali si erano riuniti
“per studiare questi disegni nel giugno del 2003
e non hanno trovato ragioni per non attribuirli
a Perugino”107.
Per tentare di uscire da queste incertezze, in
previsione della recentissima mostra, a Urbino,
sulla formazione di Raffaello e i suoi rapporti
con la città natale, la predella è stata sottoposta a indagini diagnostiche non distruttive con
sistema di imaging multi spettrale, ma gli esiti,
già anticipati da Maria Rosaria Valazzi108, hanno
complicato ulteriormente la questione. In tutti i
cinque comparti di predella pochissimi sono i
disegni preparatori delle figure, in sostanza quelli già rivelati dall’esame riflettografico del 1983,
e non compaiono tracce del trasferimento del
disegno a spolvero sulla preparazione. Eccetto
alcune linee prospettiche d’impostazione, i disegni preparatori delle architetture sono stati
condotti a mano libera, con un tratto dall’andamento impreciso e con evidenti incomprensioni
delle strutture architettoniche e dei principi geometrico-proporzionali per la definizione dello
spazio e la distribuzione al suo interno degli oggetti109. I contorni delle figure sono stati ripresi
e meglio definiti in fase di esecuzione pittorica,
ma il risultato finale non è privo di discontinuità, specialmente nella Natività; al contrario, caratteri di altissima finezza esecutiva mostrano i
personaggi della Presentazione al Tempio e dello
Sposalizio. A questo punto credo ci sia un’unica
certezza: l’autore della stesura preparatoria della
predella non è lo stesso dei disegni degli Uffizi e
come giustamente ha evidenziato Maria Rosaria
Valazzi tutto corrisponde alle modalità di lavoro
di una bottega rinascimentale, con l’intervento
finale del maestro per innalzare il livello qualitativo dell’insieme e per uniformare le disomogeneità stilistiche, dovute all’eventuale presenza
di collaboratori non particolarmente esperti,
Nelle pagine seguenti
Le cinque tavole che compongono la predella della
Pala di Durante di Pietro
Vannucci, detto Perugino (Fano, Santa Maria
Nuova)
1. Natività di Maria
2. Presentazione
della Vergine al tempio
3. Sposalizio della Vergine
4. Annunciazione
5. Assunzione e dono
della cintola
153
LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
1.
2.
154
GIOVANNI SANTI, PIETRO PERUGINO E LA SUA BOTTEGA
3.
4.
155
LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
5.
fra i quali non è possibile annoverare Raffaello.
Riconoscere la genesi della predella all’interno
dell’atelier di Perugino non implica alcun giudizio sulla qualità dell’opera, né incide sul problema attributivo; è solo la presa d’atto della perfetta
coerenza del processo creativo delle Storie della
Vergine, distribuite sulle cinque tavolette, con le
dinamiche delle botteghe artistiche rinascimentali, lasciando aperta qualunque prospettiva di
ricerca sull’autore o sugli autori, impresa che da
anni divide la comunità scientifica del settore,
senza giungere a risultati definitivi in una direzione o nell’altra, e sarebbe pura presunzione
pretendere di arrivarci in questa sede. L’unica
certezza, derivata dalle indagini diagnostiche
non invasive, consiste nella impossibilità di riunire in una stessa personalità l’autore dei disegni
degli Uffizi e il responsabile della prima stesura
sia disegnativa che pittorica della predella, lavoro compiuto da un aiutante non riconducibile
in alcun modo a Raffaello, specie se a quest’ultimo attribuiamo i disegni preparatori. D’altra
parte gli studi intrapresi per le grandi mostre
156
dedicate alla formazione e alla prima produzione dell’Urbinate (Londra 2004 e Urbino 2009)
hanno dimostrato i profondi legami del giovane
pittore con la bottega paterna e, in particolare, le
ricerche archivistiche di Anna Falcioni110 hanno
provato la continuità della presenza a Urbino di
Raffaello, anche dopo la morte del padre. Inoltre
la studiosa ha posto ben in evidenza la condizione sociale dell’artista, erede di famiglie tra le
più facoltose della città. Senza dimenticare poi
che nell’atto di allogazione dell’Incoronazione di
San Nicola da Tolentino per Città di Castello, nel
1500, viene definito “maestro”111, qualifica che
presupponeva una totale autonomia operativa e
una notorietà conseguite da tempo. Insomma
i progressi degli studi sull’artista urbinate non
aiutano a riconoscerlo nella figura del garzone
presso una bottega altrui, con compiti che spesso non erano dissimili da quelli del domestico. Credo che vada attentamente riconsiderata
la recente proposta, avanzata da Sylvia Ferino
Pagden112, di ammettere una frequentazione da
parte di Raffaello della bottega di Perugino, fra
GIOVANNI SANTI, PIETRO PERUGINO E LA SUA BOTTEGA
il 1496 e il 1498, non nel ruolo totalmente subordinato del garzone, ma come “designer di successo dell’atelier”, collaboratore con i suoi disegni
alle commissioni affidate a Pietro Vannucci, così
come accadrà tra il 1502 e il 1503, presso la bottega di Pintoricchio a Siena; senza escludere una
limitata partecipazione alla realizzazione finale
della predella.
Note
1. Olio su tavola, cm 219x177, firmato nel cartiglio in basso al
centro “JOHHANNES / SANCTIS /de URBINO / PINXIT”.
2. Si veda R. Varese, Giovanni Santi, Fiesole (FI) 1994, p. 242.
3. L. Pungileoni, Elogio storico di Giovanni Santi pittore e poeta
padre del Gran Raffaello d’Urbino, Urbino 1822, pp. 25-26.
4. J. D. Passavant, Raffaello d’Urbino e il padre suo Giovanni Santi,
opera tradotta, corredata di note e di una notizia biografica dell’autore da Gaetano Guasti, Firenze 1882-1891, p. 309.
5. Su questa e su altre anonime guide, pubblicate anche molto tempo
dopo la loro stesura, si rimanda a F. Battistelli, Anonimi sec. XVIII.
Pitture d’uomini eccellenti nelle chiese di Fano, Quaderno di «Nuovi
studi fanesi», Biblioteca Comunale Federiciana, Fano 1995.
6. Alla pagina 10.
7. Manoscritto 38 del fondo “Castellani” della Biblioteca
Federiciana di Fano. La guida-catalogo Quadri e pitture che vi
sono nelle chiese di Fano è stata pubblicata da Nando Cecini al
termine del suo saggio Appunti sulla “Letteratura artistica” di
Fano con un manoscritto inedito del XVIII secolo, in Collezioni private a Fano. (Soggetti di carattere religioso), a cura di I. Amaduzzi,
N. Cecini, L. Fontebuoni, Fano 1983, pp. 227 - 241.
Il riferimento a Santa Maria Nuova si trova a p. 237.
8. Catalogo delle Pitture esistenti nella città di Fano nel secolo
XVII con correzioni e aggiunte di autore ignoto, Fano 1909, p. 20.
L’edizione del manoscritto si deve all’On. Ruggero Mariotti in
occasione delle nozze di Alberto Gabrielli Wisemann con Dora
Paterniani. L’autore della guida-catalogo venne identificato da
Mariotti con il noto letterato fanese Vincenzo Nolfi (1594-1665),
ma come afferma Franco Battistelli (Anonimi sec. XVIII, cit., p. 3),
il testo non può essere anteriore al terzo decennio del ‘700. Più attendibile l’indicazione, avanzata dallo stesso Mariotti, di Filippo
Luigi Polidori, come responsabile delle correzioni e aggiunte.
9. Si veda A. Venturi, Catalogo delle opere d’arte nelle Marche e
nell’Umbria di G. B. Cavalcaselle e G. Morelli (1861-1862), in «Le
Gallerie Nazionali Italiane», II, 1896, p. 260; G. B. Cavalcaselle
e J. A. Crowe, Storia della pittura italiana dal secolo II al secolo
XVI, VIII, Firenze 1898, p. 381.
10. A. Venturi, Diffusione dell’arte di Piero della Francesca
nell’Italia centrale, in Storia dell’Arte Italiana. La pittura del
Quattrocento, VII, Milano 1913, pp. 185-187.
11. G. Mulazzani, Giovanni Santi. Visitazione, in Restauri nelle
Marche. Testimonianze acquisti e recuperi, catalogo della mostra,
Urbino 1973, pp. 273-275.
12. F. Martelli, Giovanni Santi. Visitazione, in Pittura a Fano
1480-1550, catalogo della mostra a cura di P. Dal Poggetto e F.
Battistelli, Fano 1984, pp. 14-16; Idem, Giovanni Santi e la sua
scuola, Rimini 1984, pp. 22-23.
13. M. G. Ciardi Duprè Dal Poggetto, Un problema di coerenza:
memoria e realizzazione nella pittura di Giovanni Santi. Nuove
prospettive cronologiche e attributive, in Giovanni Santi, Atti del
convegno, a cura di R. Varese, Milano 1999, pp. 105-114.
14. R. Varese, Giovanni Santi, cit., p. 243.
15. R. Battistini, La chiesa di Santa Maria Nuova e le sue testimonianze pittoriche, in Fano. Città d’arte e cultura, Fano 1991, pp.
63-71, in particolare p. 67.
16. M. R. Valazzi, Giovanni Santi. Visitazione, in Raffaello e
Urbino. La formazione giovanile e i rapporti con la città natale,
a cura di L. Mochi Onori, catalogo della mostra, Milano 2009,
pp. 116-117.
17. T. Henry e C. Plazzotta, Raffaello: da Urbino a Roma, in Raffaello
da Urbino a Roma, catalogo della mostra a cura di H. Chapman, T.
Henry e C. Plazzotta, Londra-Milano 2005, pp. 15-65.
18. R. Varese, Giovanni Santi, cit., pp. 135-137.
19. Per esempio nella Madonna col Bambino in trono fra i Santi
Stefano, Sofia, Michele Arcangelo e Giovanni Battista, del Museo
della Rocca di Gradara, nella Madonna in trono col Bambino fra i
Santi Elena, Zaccaria, Sebastiano e Rocco, della Pinacoteca Civica di
Fano, nell’Annunciazione della Casa Natale di Raffaello, a Urbino,
nella Santa Martire, nel Martirio di San Sebastiano, nel Tobiolo e
l’Arcangelo Raffaele, nel San Rocco, tutti nella Galleria Nazionale
delle Marche, a Urbino, nonché nella perduta Pala Mattarozzi.
20. Come ampiamente dimostrato da Ranieri Varese, Giovanni
Santi, cit., pp. 222-223.
21. Oggi a Firenze, Palazzo Corsini. Si veda A. Vastano, Giovanni
Santi, in Raffaello e Urbino, cit., pp. 102-107.
22. Penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, lumeggiature a
biacca su stilo, carta preparata verde, 246 x 180 mm, Windsor
Castle, The Royal Collection.
23. A cominciare da R. Dubos, Giovanni Santi. Peintre et
Chroniqueur à Urbin au XV siècle, Bordeaux 1971, p. 131.
24. S. Tumidei, Giovanni Santi, in La Pinacoteca Civica di Fano.
Catalogo Generale. Collezione Cassa di Risparmio di Fano, a cura
di A. M. Ambrosini Massari, R. Battistini, R. Morselli, Cinisello
Balsamo, Milano 1993, pp. 34-36.
25. G. Dalli Regoli, Parsimonia, prudenza, equidistanza: modalità operative nella pittura di Giovanni Santi, in Giovanni Santi,
atti del convegno, cit., pp. 46-52.
26. P. Joannides, Raphael and Giovanni Santi, in Studi su
Raffaello, atti del convegno internazionale di studi a cura di M.
Sambucco Hamoud e M. L. Strocchi (Urbino-Firenze 6-14 aprile 1984), Urbino 1987, pp. 55-61.
27. Ibidem, p. 59: “a re-working of a Pollaiolesque figure he had
previously used in the Fano Visitation”.
28. R. Varese, Giovanni Santi, cit., p. 136.
29. A. Vastano, Giovanni Santi (?), in Raffaello e Urbino, cit.,
pp. 200-201.
30. T. Henry, Giovanni Santi (1440/5 ca.-1494), in Raffaello da
Urbino a Roma, cit., pp. 72-73.
31. R. Varese, Giovanni Santi, in I Della Rovere. Piero della
157
LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
Francesca Raffaello Tiziano, catalogo della mostra, a cura di P.
Dal Poggetto, Milano 2004, pp. 279-280. La datazione attorno al
1485 dell’Annunciazione di Senigallia ed il suo legame cronologico
con la Visitazione di Fano, sono stati recentemente confermati da
Maria Giannatiempo López, in Raffaello e Urbino, cit., p. 126.
32. R. Varese, Giovanni Santi, cit., pp. 243-244.
33. M. R. Valazzi, Giovanni Santi. Visitazione, cit., p. 116.
34. Pubblicato da F. Battistelli, Notizie e documenti sull’attività
di Perugino a Fano, in “Antichità Viva”, 5, 1974, pp. 65-68.
35. Archivio di Stato di Pesaro - Sezione Archivio di Stato di Fano
(d’ora in poi: ASP-SASF), 17 maggio 1485, Notaio Francesco
Damiani di Montemaggiore, prot. Anni 1585-87, cc. 99r-101v.
36. Tavola, cm 172x212.
37. F. Gualdi Sabatini, Le pale del Perugino, in Pittura a Fano
1480-1550, cit., pp. 17-26, in particolare pp. 25-26.
38. P. Scarpellini, Perugino, Milano 1984, p. 84.
39. F. Canuti, Il Perugino, Siena 1931, pp. 72-75.
40. D. Piermattei, Perugino Giovanni Santi e Raffaello a Fano,
Fano 2009, pp. 65-69.
41. ASP-SASF, 12 gennaio 1489, Notaio Giovanni di Pier
Antonio Galassi, prot. Anni 1488-89, cc. 107v-111r.
42. Si veda D. Piermattei, Perugino Giovanni Santi e Raffaello a
Fano, cit., p. 72, n. 4.
43. Ibidem, p. 66. Stefano Tomani Amiani, nel 1853, già lamentava che sconsiderati interventi di pulitura avessero danneggiato
la tavola e reso non trascrivibile l’iscrizione. Si veda S. Tomani
Amiani, Guida Storico Artistica di Fano, Fano, Biblioteca
Federiciana, Ms, 1853, ed. a cura di F. Battistelli, Pesaro 1981,
pp. 137-138. In ogni caso provo a riportare quel poco che si
può ancora distinguere: “………STA……/ IS GALE[O]TTI.
Q. PATRUI. OLI / M. PON[T]ENERII. HAC. TAB / ULA.
ER[I]GI. IN … TE. Q. HCT / URA. C NA … [C]U[RA]
VIT. / MCCC…..”. Sul basamento della cassapanca sulla quale
è tracciata l’iscrizione, sia pure a fatica, si può ancora leggere: “
PETRUS DE CASTRO PLEBIS”.
44. Si veda l’appendice documentaria.
45. F. Canuti, Il Perugino, cit., pp. 72-75.
46. P. Scarpellini, Perugino, cit., p. 35.
47. Basterebbe pensare all’Annunciazione di Pintoricchio nella
chiesa di Santa Maria Maggiore di Spello, o all’analogo soggetto
di Jan Van Eyck nella National Gallery di Washington.
48. A cominciare dalla Pietà per San Giusto fuori le Mura
di Firenze, ora agli Uffizi, datata intorno al 1485 da Pietro
Scarpellini, Perugino, cit., p. 34.
49. Sulle caratteristiche stilistiche del porticato rimando al saggio
di Barbara Aterini, Gianluca Darvo, Francesca Fantini, La matrice
geometrica di due dipinti del Perugino nella chiesa di Santa Maria
Nuova a Fano, pubblicato in questo stesso volume. Colgo l’occasione per ringraziare gli autori che mi hanno tenuto costantemente al
corrente dei risultati delle loro ricerche e, in particolare, l’architetto Gianluca Darvo che ha fatto la spola tra Fano e l’Università di
Firenze per consentire questa encomiabile collaborazione tra storici
dell’architettura e storici dell’arte.
50. Marinella Bonvini Mazzanti pensa ad un acquisto successivo da
parte dei Della Rovere, mentre Pietro Scarpellini considera plausibile l’esecuzione della pala nell’atelier di Fano. Si veda M. Bonvini
Mazzanti, Senigallia, Urbino 1998, p. 73 e P. Scarpellini, Perugino,
cit., p. 35.
51. D. Piermattei, Perugino Giovanni Santi e Raffaello a Fano,
158
cit., p. 68.
52. Relazioni molto strette, come evidenziano le ricerche in corso di
Giuseppina Boiani Tombari.
53. Si veda la precedente nota 47. Giustamente gli autori rilevano
come una delle catene passi troppo vicino alla testa della Madonna.
54. A Venturi, Storia dell’Arte Italiana, VII, 2, PP. 457-458, 514515; 538.
55. R. Hiller von Gaertringen, L’uso del cartone nell’opera di
Perugino, in Perugino il divin pittore, catalogo della mostra a
cura di V. Garibaldi e F. F. Mancini, Cinisello Balsamo, Milano
2004, pp. 155-165.
56. La cimasa si trova invece a Perugia, nella Galleria Nazionale
dell’Umbria.
57. P. Scarpellini, Perugino, cit., p. 33.
58. Si veda N. Baldini, Perugino a Firenze: la “ stanza” di via San
Gilio, in Perugino il divin pittore, cit., pp. 89-93.
59. Lo attestano le iscrizioni sulla cassapanca. Nella targa:
“DURANTE . PHANEŇ . AD INTEMERATE / VIRGINIS
. LAUDĒ TERCENTŪ . AUREIS . ATQ[UE] / HUŪIS .
TEMPLI . BONŌ . CENTŪ SUPERADDITIS / HANC
SOLERTI . CURA . FIERI . DEMANDAVIT”; continua alla
base della cornice: “ . MATEO . DE . MARTINOTIIS . FIDEI
. COMMISSARIO . PROCURANTE . MCCCC97 . “. Sulla
base della cassapanca: “ . PETRUS . PERUSINUS . PINXIT . “.
Pala centrale: tavola, cm 262x215. Lunetta: tavola, cm 150x250.
Predella: tavola, cm 28x261.
60. Vedi supra.
61. ASP-SASF, 21 aprile 1488, Notaio Pier Domenico Stati, vol.
D, anni 1487-88, cc. 336v-340r. Il contratto è stato reso noto,
come già ricordato, da Franco Battistelli. Si veda la nota 34.
Essendo Durante Fanese già defunto, fungono da fedecommissari Matteo Martinozzi e Pietro Antonio Galassi. Nello stesso
atto l’urbinate Gioacchino Blasi è incaricato di approntare la
carpenteria, purtroppo perduta.
62. Si rimanda alla nota 35.
63. Nell’iconografia occidentale si allude al tema della
Purificazione di Maria tramite la comparsa di due tortore o colombi nelle mani di San Giuseppe o di un’accompagnatrice di
Maria, nel corso della Presentazione di Gesù al Tempio.
64. Lo dimostra la documentazione che Giuseppina Boiani
Tombari ha raccolto per questo volume nel capitolo La ricostruzione storica dai documenti d’archivio.
65. Già segnalato da Stefano Tumidei, Pietro Vannucci detto il
Perugino, in La Pinacoteca Civica di Fano, cit., pp. 245-248.
66. Messe a confronto da Franco Battistelli, Anonimi sec. XVIII,
cit., pp. 25-28.
67. F. Battistelli, Notizie e documenti sulla chiesa di Santa Maria
Nuova in San Lazzaro e sulle opere per essa eseguite alla fine del
secolo XV, in «Fano», supplemento al n. 4, 1977 del «Notiziario
di informazione sui problemi cittadini», Fano 1977, pp. 51-70; P.
Scarpellini, Perugino, cit., p. 92. Dalla documentazione raccolta a cura di Giuseppina Boiani Tombari e pubblicata in questo
volume, si evince che i frati, nel 1630, richiesero un sussidio,
per costruire un altare sul quale collocare in modo appropriato la pala di Perugino, al Comune di Fano che ne mantenne la
proprietà.
68. Si veda il Regesto, a cura di Giuseppina Boiani Tombari, alle
date 20 ottobre 1706 e 22 ottobre 1706.
69. ASP-SASF, Carteggio Comunale, Mandati 1847, n. 461 del
GIOVANNI SANTI, PIETRO PERUGINO E LA SUA BOTTEGA
1847 o 1848, Tit. XIX.
70. Vedi nota 66.
71. S. Tumidei, Pietro Vannucci detto il Perugino, cit., p. 248.
72. Un secondo intervento si ebbe nel 1953, ad opera dell’Istituto Centrale del Restauro.
73. ASP-SASF, Carteggio Comunale, 1882, tit.XIII, rub. 11,
art. 6: Vertenza intorno al collocamento di alcuni quadri restaurati dal Fiscali.
74. F. Gualdi Sabatini, Le pale del Perugino, cit., pp. 23-25; Idem,
Pietro Perugino nelle Marche, in Urbino e le Marche prima e dopo
Raffaello, catalogo della mostra a cura di M. G. Ciardi Duprè
Dal Poggetto e P. Dal Poggetto, Firenze 1983, pp. 194-202, in
particolare pp. 197-198.
75. P. Scarpellini, Perugino, cit., p. 43.
76. La Pietà viene assegnata a Raffaello sia nella guida stampata
da Andrea Donati, sia in quella pubblicata a cura di Ruggero
Mariotti. Cfr. F. Battistelli, Anonimi sec. XVIII, cit., pp. 25-26.
77. Si rimanda all’appendice documentaria curata da Giuseppina
Boiani Tombari, alla data 12 febbraio 1848.
78. S. Tomani Amiani, Guida Storico Artistica di Fano, cit., p. 137.
79. E. Durand Greville, Raphael à l’exposition de Pérouse, in
«Augusta Perusia», 1907, p. 108.
80. R. Longhi, Percorso di Raffaello giovine, in «Paragone», 65,
1955, pp. 8-23.
81. R. Varese, Giovanni Santi, cit., pp. 256-257.
82. E. Camesasca, Tutta la pittura del Perugino, Milano 1959,
pp. 66-68; E. Castellaneta, E. Camesesca, Perugino, Milano
1969, p. 96.
83. A. M. Brizio, «Raffaello», in Enciclopedia Universale dell’Arte,
XI, Novara 1983, coll. 222-250.
84. L. Becherucci, Raffaello e la pittura, in Raffaello. L’opera, le
fonti, la fortuna, I, Novara 1968, pp. 7-197, in particolare p. 14.
85. P. Zampetti, La pittura marchigiana del ‘400 da Gentile a
Raffaello, Venezia 1970, p. 236; Idem, Per Raffaello, in «Notizie
da Palazzo Albani», 1-2, 1982, pp. 47-62; Idem, Considerazioni
attorno alle origini di Raffaello, in «Notizie da Palazzo Albani»,
1, 1987, pp. 16-26; Idem, Pittura nelle Marche. Dal Rinascimento
alla Controriforma, II, Firenze 1989, p. 110.
86. W. Fontana, in Lorenzo Lotto nelle Marche. Il suo tempo il suo
influsso, catalogo della mostra a cura di P. Dal Poggetto, Firenze
1981, pp. 76-79; Idem, Aggiunte a Raffaello giovane, in Studi su
Raffaello, cit., pp. 151-169.
87. A. Padoa Rizzo, La predella di Fano e la ‘Madonna’ di Casa
Santi, in Urbino e le Marche prima e dopo Raffaello, cit., pp. 205219; Idem, La predella attribuita a Raffaello, in Pittura a Fano
1480-1550, cit., pp. 29-34.
88. M. Gregori, Raffaello fino a Firenze e oltre, in Raffaello a
Firenze, catalogo della mostra a cura di L. Berti e M. Chiarini,
Milano 1984, pp. 17-34.
89. M. G. Ciardi Duprè Dal Poggetto, Osservazioni sulla formazione di Raffaello, in Studi su Raffaello, cit., pp. 33-54.
90. C. Volpe, Due questioni raffaellesche, in «Paragone», 75, 1956,
pp. 3-16; Idem, Notizie e discussioni su Raffaello giovane, in «Arte
Antica e Moderna», I, 1962, pp. 79-85.
91. L. Dussler, Raphael. A critical catalogue, London-New York
1971, p. 58.
92. P. L. De Vecchi, Raffaello. La pittura, Firenze 1981, p. 15. Lo
studioso ha ribadito recentemente il suo parere: P. L. De Vecchi,
Raffaello, Milano 2002, p. 48.
93. K. Oberhuber, Raffaello, Milano 1982, p. 16.
94. J.P. Cuzin, Raphael. Vie et oeuvre, Fribourg 1983, p. 232.
95. A. Marabottini, Raffaello fino all’ottobre del 1504, in Raffaello
giovane e Città di Castello, catalogo della mostra, Città di Castello
1983, pp. 31-92.
96. P. Scarpellini, Perugino, cit., p. 43, dove lo studioso non
esclude del tutto la possibilità di un limitato intervento del pittore urbinate nella predella, ma ciò “[...] non è dimostrabile con
argomenti veramente convincenti, come del resto avviene per
tutti gli altri vari tentati riconoscimenti della mano di Raffaello
nei lavori perugineschi di questi anni”. Nella scheda relativa alla
predella, alle pagine 92-93, è riportata l’iscrizione che sul retro
delle tavole ricorda il restauro del 1881 di Filippo Fiscali: “XII
Luglio MDCCCLXXXI in Fano. Collaudata la riparazione di
questo quadro eseguita da Filippo Fiscali di Firenze, in ordine
e spesa del Ministero della Istruzione Pubblica. La commissione conservatrice di Belle Arti e monumenti, Cav. Giuseppe
Vaccari, Ispettore; Ms.. Ciro Antaldi; Comm.re Antonio Panuzi
Commissari”. Un ulteriore restauro della predella, con altre parti
della pala, avvenne nel 1953, a cura dell’Istituto Centrale del
Restauro di Roma.
97. V. Garibaldi, Perugino. Catalogo completo, Firenze 2002.
98. F. Marcelli, in Perugino il divin pittore, cit., pp. 314-315.
99. Sui disegni degli Uffizi collegati alla predella di Fano si
veda S. Ferino Pagden, Pietro Perugino (?), in Disegni umbri del
Rinascimento da Perugino a Raffaello, catalogo della mostra a
cura di S. Ferino Pagden, Firenze 1982, pp. 74-79, con bibliografia ed attribuzioni precedenti.
100. Come nel recto. Il foglio misura 163x120 mm. Inventario
n. 366 E.
101. Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, n. 368 E., penna
su carta bianca, 173x102 mm.
102. M. Seracini, Indagine diagnostico-conoscitiva sulla predella
raffigurante ‘Storie della vita della Vergine’, in Urbino e le Marche
prima e dopo Raffaello, cit., p. 211.
103. S. Ferino Pagden, Raffaello: gli anni della formazione, ovvero
quando si manifesta il genio?, in Raffaello da Firenze a Roma, catalogo della mostra a cura di A. Coliva, Ginevra-Milano 2006,
pp. 21-33.
104. F. Russel, Italian Drowings in Florence and Boston, in
«Master Drawings», XXI, 4, 1983, pp. 417-420.
105. N. Turner, Umbrian Drawings at the Uffizi, in «The
Burlington Magazine», CXXV, 1983, pp. 118-120.
106. P. Joannides, The Drawings of Raphael with a Complete
Catalogue, Los Angeles-Oxford 1983.
107. Sono le parole precise di due dei curatori della mostra, T.
Henry e C. Plazzotta, Raffaello: da Urbino a Roma, cit., p. 61,
nota 20.
108. M. R. Valazzi, Pietro Vannucci, detto il Perugino e collaboratori, in Raffaello e Urbino, cit., pp. 118-121.
109. Si veda ad esempio il letto di Sant’Anna, nella Natività,
contemporaneamente inserito fra le lesene e posto di fronte a
loro, secondo diversi punti di vista.
110. A. Falcioni, Documenti urbinati sulla famiglia Santi, in
Raffaello e Urbino, cit., pp. 268-284.
111. Sulla pala si veda T. Henry, Eterno con cherubini; Vergine
Maria, in Raffaello da Urbino a Roma, cit., p. 98.
112. S. Ferino Pagden, Raffaello: gli anni della formazione, ovvero
quando si manifesta il genio?, cit., pp. 28-33.
159
LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
La matrice geometrica di due dipinti del Perugino
nella chiesa di Santa Maria Nuova a Fano
Il presente lavoro si è sviluppato all’interno della ricerca scientifica che con il mio gruppo di studio
porto avanti da diversi anni, nell’intento di utilizzare la geometria come chiave di lettura della realtà
che ci circonda e quindi mezzo di studio ed analisi1.
La ricerca affrontata nasce dall’esigenza di studiare le rappresentazioni di architetture in prospettiva
nei dipinti e nelle quadrature2 in modo tale da svelarne i segreti della costruzione prospettica e, al
contempo, organizzare una metodologia seria e rigorosa destinata a coadiuvare i restauri di queste
architetture dipinte. Si tratta infatti di ricostruire un tema pittorico, storicamente determinato, cercando anzitutto di evidenziarne l’impianto prospettico, delineato ovviamente in base alle conoscenze
conquistate fino al periodo di riferimento del dipinto stesso dalla scienza del disegno3.
Per realizzare l’architettura dipinta si usavano le regole della prospettiva, il lavoro risultava particolarmente impegnativo poiché, al fine di ottenere gli effetti desiderati, non bastava conoscere le regole
della scienza prospettica, ma era necessario applicarne i principi proiettivi anche in maniera inversa
per tracciare ed ottenere le linee di costruzione della scena architettonica.
Così nell’analisi di queste architetture dipinte è necessario partire dal metodo proiettivo con cui
sono state rappresentate per riuscire a cogliere le modifiche volute dall’artista in funzione dell’effetto
percettivo-scenografico che ha voluto trasmettere. La metodologia adottata si pone l’intento di restituire lo scenario architettonico raffigurato effettuando un’applicazione ragionata dei moderni procedimenti della prospettiva. In particolare la mancanza di riferimenti dimensionali e proporzionali certi
impone, ai fini della relativa ricostruzione, la ricerca di un sistema plausibile di ipotesi circa la strutturazione geometrico-architettonica del tema spaziale dipinto. In maniera pratica la verifica muove
susseguentemente dall’applicazione delle idonee costruzioni grafiche relative alla restituzione prospettica4, supportate anche dal continuo raffronto con le informazioni deducibili dalla lettura stilistica
dell’opera in esame. Il valore di una tale esperienza, dunque, risiede nell’approccio all’uso del disegno
geometrico, assolutamente critico e mai meccanicistico. Le rappresentazioni dei fatti architettonici
vengono indagate in aderenza con le leggi della geometria proiettiva, filtrate da un’interpretazione
storico-stilistica delle opere pittoriche stesse. Tutto ciò sottolinea il valore analitico che da sempre il
disegno assume nello studio dell’architettura, volta a volta grazie alla commisurazione consapevole
dell’applicabilità dei fenomeni proiettivi. La volontà di cogliere lo stretto legame che intercorre tra
l’impalcato prospettico e la percezione dello stesso, si evidenzia nella continua manipolazione delle
procedure grafiche per controllare la prospettiva. La frequente comparazione dei risultati ottenuti con
architetture strutturalmente credibili, inducono a cogliere le rappresentazioni come veri spazi progettati, in cui determinante è la percezione che il pittore vuole ingenerare nell’osservatore5. Ancora una
volta è la scienza del disegno a svelare il progetto pittorico nelle sue consuetudini storiche.
(BA)
160
Questo studio prende spunto dalla necessità di analizzare due opere del Perugino conservate nelle
navate laterali della Chiesa di Santa Maria Nuova a Fano, al fine di ritrovarne la geometria che sta alla
base dell’impostazione prospettica dell’architettura dipinta.
In una prima fase di lavoro si è effettuato il rilievo dei due quadri, procedendo anche alla realizzazione
del fotopiano, indispensabile alla lettura del loro impianto geometrico.
Le due pale, l’Annunciazione6 e la Madonna in Trono con il Bambino tra sei Santi7, sono opera di Pietro
Vannucci, detto il Perugino, e risalgono rispettivamente al 1489 e al 1497.
L’architettura rappresentata in questi dipinti propone molte similitudini, ma al di là dell’apparenza, la
ricerca si è indirizzata verso la restituzione dell’impianto prospettico, per leggerne i rapporti geometrico-proporzionali. In tal senso, ricorrendo alla restituzione prospettica, cioè alla costruzione inversa
della prospettiva eseguita dal pittore, si è ritrovato come le due opere siano state dipinte, in base alla
consuetudine dell’epoca, in prospettiva centrale a piano verticale. Questo metodo, scientificamente
provato, permette di ritrovare con esattezza la corrispondenza biunivoca tra i punti individuati nel
dipinto, cioè quelli in prospettiva, e quelli reali o per meglio dire ribaltati sul quadro, cioè in vera
grandezza. In relazione alla ricostruzione della prospettiva si è ritrovata la distanza fissata dal pittore
per posizionare il punto di vista. L’identificazione di questo elemento e l’individuazione del quadro,
cioè del piano di riferimento su cui è stata dipinta la scena prospettica, costituiscono la base di partenza per andare a ritrovare la struttura geometrica utilizzata dall’autore. Dopo una serie di ipotesi è
emerso in maniera chiara che la matrice utilizzata è il modulo quadrato. Infatti in entrambi i dipinti
si ritrova questa figura, ripetuta variandone il lato, ma con rapporti ben precisi e determinati. Questo
modulo base si sviluppa per tutta la griglia prospettica. L’altro aspetto fondamentale per andare ad
individuare i rapporti spaziali della scena ed analizzare così lo spazio dipinto è stata l’analisi dell’architettura rappresentata. Partendo da questi riferimenti architettonici reali, che all’epoca costituivano il
bagaglio culturale dell’artista, si è elaborata la ricostruzione in pianta ed in prospetto dell’architettura
dipinta.
Nel quadro dell’Annunciazione appare evidente la volontà di creare una loggia, costituita da una scansione regolare di quattro campate, coperte da volte a crociera, impostate su pilastri a base quadrata.
Le caratteristiche stilistiche del porticato ricordano quelle delle logge fiorentine, ben note al Perugino che aveva avuto modo di conoscerle direttamente, e che qui ne riproduce i caratteri essenziali
senza addentrarsi nei particolari, ma facendo riferimento all’interpretazione brunelleschiana di basi
e capitelli. Il chiostro appare costituito da almeno tre navate, caratterizzate da archi a tutto sesto, e
ben riconoscibili grazie alla fasce disegnate sulla pavimentazione. Su queste si basa l’impostazione
prospettica di tutto il dipinto.
Gli studi effettuati hanno evidenziato come il pavimento sveli la struttura di tutto l’impianto architettonico. Infatti, partendo dalla constatazione che la base del pilastro deve essere a sezione quadrata, si verifica che la campata della loggia è anch’essa a pianta quadrata. Il rapporto compositivo di
quest’ultima appare di due a uno, cioè la larghezza doppia rispetto alla profondità. In altre parole, è
stato utilizzato anche qui un artificio scenografico mantenendo però rapporti geometrici precisi.
Inoltre ciò denota l’abilità del Perugino nell’utilizzare accorgimenti prospettici finalizzati alla rappresentazione dello spazio.
Questo utilizzo del modulo ridotto a metà nel senso della profondità gli ha permesso di ottenere un
impianto architettonico compatto e godibile dall’osservatore, che diventa partecipe della scena dipinta, cioè uno spazio a misura d’uomo che altrimenti sarebbe risultato troppo profondo.
161
LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
Tutto ciò si evidenzia anche verificando che le fughe delle basi dei pilastri non convergono verso il
punto di fuga principale del dipinto ma verso due punti di fuga secondari, coincidenti con le due torri
che caratterizzano il paesaggio sullo sfondo.
Questo rappresenta un’ulteriore quinta scenica, parallela al quadro, dove sono raffigurati elementi naturali: colline degradanti ed una piccola cittadina affacciata su un lago sulla cui superficie si specchia
una delle torri. Forse un riferimento a paesaggi reali, ma comunque importante perché, come si coglie
dall’osservazione dell’ombra, la luce appare diretta verso l’osservatore.
Altra caratteristica della composizione pittorica è l’uso della sorgente luminosa. Infatti, due sono le
direzioni presenti nella raffigurazione: una generata dal sole stesso ed evidente nella struttura delle
ombre del paesaggio di sfondo; l’altra, di origine mistica, proveniente da una sorgente luminosa posta
alle spalle dell’Angelo.
Un ulteriore accorgimento prospettico riguarda la cassapanca in legno situata al centro della scena che
ha le fughe poste ad una quota inferiore rispetto a quella del pavimento; tutto ciò al fine di ridurre lo
scorcio del coperchio e rendere così visibili maggiormente le pagine del libro posizionato sopra questo
e aperto davanti all’osservatore.
Nella pala raffigurante la Madonna in Trono con il Bambino tra sei Santi la prospettiva a piano verticale ha il suo punto di fuga principale, che rappresenta l’occhio dell’osservatore, proprio nel centro
fisico del dipinto. Lo spazio ricreato è caratterizzato da una navata centrale, mentre le due laterali si
scorgono appena. La porzione di loggia rappresentata appare costituita da quattro campate che dalle
analisi risultano a pianta quadrata. In questo caso, però, nonostante la presenza di archi a tutto sesto,
non appaiono coperte da volte a crociera, piuttosto sembra si tratti di una copertura piana. Questa
constatazione farebbe ipotizzare l’eventuale necessità di eseguire in maniera più celere il dipinto ma,
d’altra parte, dal punto di vista architettonico dimostra meno rispondenza con la realtà del momento.
Altrimenti possiamo supporre che la fascia sovrastante e tangente l’arco possa essere l’imposta di una
eventuale volta a vela. Dunque ancora una citazione dell’architettura fiorentina e, non a caso, di una
invenzione di Filippo Brunelleschi. Comunque l’arco con fascia sovrastante tangente si ritrova come
elemento bicromo in vari monumenti della Firenze coeva, basta pensare alla loggia dell’Spedale degli
Innocenti in piazza Santissima Annunziata ed all’interno della chiesa di San Miniato al Monte. Tutto
ciò riconduce ancora al pensiero che il Perugino traesse i riferimenti dall’architettura costruita pur
variando la composizione dei vari elementi.
Nel corso del lavoro è parso utile fare un confronto con la pala8 che rappresenta la Madonna con il
Bambino in Trono fra i Santi conservata nel coro della chiesa di Santa Maria della Grazie a Senigallia
poiché la scena architettonica dipinta è identica a quella di Fano. Dal rilievo effettuato appare evidente come lo spazio presenti analogie con questa anche nell’impostazione dimensionale dell’architettura
come, per fare un esempio, nel caso del raggio dell’arco a tutto sesto. Nel quadro di Senigallia si
ritrova in più un elemento strutturale fra le colonne: le catene di irrigidimento che dalla restituzione
prospettica risultano impostate perfettamente in asse e passanti per il centro dei pilastri. Questo farebbe presupporre che il Perugino abbia impostato prima quest’opera trovando nella griglia aerea un
facile controllo degli elementi prospettici, anche perché la catene non hanno altro motivo di esistere
ed indubbiamente quella dell’ultima quinta risulta troppo vicino alla testa della Madonna. Così è
pensabile che, una volta realizzato il dipinto di Senigallia, ne abbia utilizzato il cartone9 successivamente per realizzare l’opera di Fano, togliendone volutamente tali riferimenti dell’impostazione
prospettica. Nell’analogia fra le due pale si è verificato che il modulo quadrato, sezione del pilastro,
162
è la chiave di lettura dei rapporti geometrico-proporzionali dell’impostazione prospettica così come
il quadrato è il modulo base di ogni campata rappresentata. La restituzione prospettica eseguita su
questi dipinti ha permesso inoltre di evidenziare un principio fondamentale della scenografia e cioè
il fatto che il quadrato, elemento generatore, viene utilizzato nel giusto rapporto sui piani paralleli al
quadro mentre, nel senso della profondità il modulo risulta dimezzato per garantire la giusta percezione visiva del dipinto.
Il pittore in entrambe le opere, per realizzare gli alzati, utilizza lo stesso modulo, il cui sottomultiplo è
la sezione del pilastro. Nella Madonna in trono di Fano utilizza due moduli in più per ottenere un’altezza maggiore del loggiato. D’altra parte era necessario ottenere più spazio in altezza come richiedeva
la composizione delle figure, in quanto la Madonna è assisa sul trono. L’elemento ligneo posto ai piedi
del trono presenta le fughe più basse rispetto al punto di vista principale questo per dipingere meno
in scorcio il piano e rendere così visibile la tarsia rappresentata su di esso, nonché la base del vaso
sovrastante. Allo stesso modo le fughe della seduta del trono risultano più in alto, per la volontà di
rappresentare in maniera più proporzionale ed armoniosa la figura della Madonna.
Tutti questi accorgimenti ed i rapporti proporzionali precisi legati all’utilizzo del quadrato non si
ritrovano nella predella sottostante il dipinto della Madonna in trono a Fano. Perciò si può ipotizzare che l’autore delle due pale non sia lo stesso della predella, comunque al di là del nome possiamo
affermare con certezza che non si tratta nel caso di quest’ultima di un individuo altrettanto abile e
quindi detentore di quelle conoscenze geometrico-proporzionali necessarie. Può darsi che la scuola sia
quella ma la predella da una prima analisi presenta delle incongruenze e delle casualità prospettiche
tutte da decifrare. Le ipotesi che sono state fatte da alcuni studiosi circa l’attribuzione a Raffaello
non convincono non solo per la bassa qualità dei volti dei personaggi dipinti, questione che lasciamo
ai critici dell’arte, ma anche e soprattutto per la mancanza di un costrutto prospettico rigoroso che
indubbiamente Raffaello sarebbe stato in grado di realizzare. Piuttosto la notizia che Perugino avesse
al suo fianco un aiutante potrebbe giustificare tali carenze.
(BA - GD - FF)
1. Fra le esperienze affrontate ricordiamo quella del seminario La matrice geometrica nelle quadrature, che ho attivato all’interno del mio
corso di Fondamenti ed Applicazioni della Geometria Descrittiva per la laurea in Architettura quinquennale presso la Facoltà di Architettura di Firenze per lo studio delle quadrature.
2. B. Aterini, L’ invenzione dell’ inganno prospettico in www.quadraturismo.it Introduzione al sito Quadraturismo.it/com - L’architettura
dell’inganno - Scienza - Quadraturismo - aggiornato al 14 maggio 2007 (pp. 1-6) - Firenze University Press 2004.
3. Cfr. B. Aterini, Spazio immaginato e architettura dipinta, Firenze 2009.
4. B. Aterini, La restituzione prospettica nel rilievo Il prospetto ovest di Palazzo Vecchio in “I percorsi del Principe” a Firenze - Rilievo integrato tra conoscenza e lettura critica, a cura di E. Mandelli - Materia e Geometria 15/2005, (collana della Sezione Architettura e Disegno
del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, Firenze 2005 (pp. 121-130). B. Aterini, Restituzione Prospettica - Misura di elementi rappresentati in una immagine fotografica per il rilievo di architettura, Firenze ottobre 1997.
5. B. Aterini, Modelli tridimensionali per lo studio dell’architettura dell’ inganno. Il salone di Palazzo Cerretani a Firenze, in Dati, Informazione, conoscenza. Metodi e tecniche integrate di rilevamento. I modelli tridimensionali, la costruzione e trasmissione dati - Materia e
Geometria 17/2007 a cura di E. Mandelli; collana della Sezione Architettura e Disegno del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, Firenze 2007, pp. 65-73.
6. Misura centimetri 175 x 210.
7. Misura centimetri 212 x 265.
8. Misura centimetri 200 x 258.
9. Cfr. R.Hiller von Gaertringen, L’uso del cartone nell’opera del Perugino, in Perugino il divin pittore, Cinisello Balsamo, pp. 155-165.
163
LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
Fano, Santa Maria Nuova,
Annunciazione, 1489
1.
2.
3.
1. Fotopiano del dipinto con indicazione dei piani prospettici. Le caratteristiche del porticato ricordano quelle delle logge fiorentine. Il pavimento svela la struttura
dell’impianto architettonico.
2. Restituzione prospettica della prima campata con individuazione del centro di proiezione. Il quadrato di riferimento A’ B’ C’ D’ in prospettiva è stato ribaltato in
vera grandezza (A) (B) (C) (D) per ricavarne i rapporti compositivo-proporzionali.
3. Il disegno evidenzia come la costruzione prospettica eseguita scientificamente (in rosso), cioè senza le correzioni volute dal pittore, avrebbe generato uno spazio
leggermente diverso. La restituzione dell’impianto prospettico permette di leggere i rapporti geometrico-proporzionali dell’architettura dipinta.
164
Fano, Santa Maria Nuova,
Madonna in trono tra sei
Santi, 1497
2.
1.
3.
1. Fotopiano del dipinto con indicazione dei piani prospettici.
2. Restituzione prospettica della prima campata con individuazione del centro di proiezione. Il quadrato di riferimento A’ B’ C’ D’ in prospettiva è stato ribaltato in
vera grandezza (A) (B) (C) (D) per ricavarne i rapporti compositivo-proporzionali.
3. Il disegno evidenzia come la costruzione prospettica eseguita scientificamente (in rosso), cioè senza le correzioni volute dal pittore, avrebbe generato uno spazio
più profondo ma anche più esiguo. Infatti per un impianto architettonico compatto e godibile dall’osservatore era necessario ampliare lo spazio sia in altezza, come
richiedeva la composizione delle figure, ma anche in larghezza per dare maggior rilievo alla figura centrale.
165