IL PRINCIPIO DI AZIONE E REAZIONE E SUE CONSEGUENZE

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IL PRINCIPIO DI AZIONE E REAZIONE E SUE CONSEGUENZE
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CATANIA
Scuola Interuniversitaria Siciliana di Specializzazione
per l’Insegnamento Secondario
Anno Accademico 2005/2006
VII CICLO
Corso di Fondamenti di Fisica I
Prof. V. Bellini
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IL PRINCIPIO DI AZIONE E REAZIONE
E SUE CONSEGUENZE
NUNZIATINA MEZZASALMA
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INDICE
Prefazione …………………………………………………....................
2
1. Introduzione ……………………………………………....................
3
1.1 Le leggi del moto …………...………………………………….....
3
1.2 Definizione operativa di forza ………………………………….....
4
1.3 Sistema di riferimento inerziale ……………………………..........
5
2. Il principio di azione e reazione ………………………………..........
7
2.1 Legge di conservazione della quantità di moto ………….……......
8
3. Applicazioni …………………………………………………………
9
3.1 Reazioni vincolari …………………………………………….....
10
3.1.1 Componente normale: forza di sostegno ………..………
10
3.1.2 Componente tangente: forza di attrito …………………...
11
3.1.3 Le forze di attrito …………………………......................
15
3.2 Interazione elettrica ……………………………………………..
16
3.3 Interazione gravitazionale ……………….………………..…......
17
3.3.1 Esempio numerico ……………………..……………
18
3.3.2 Le riflessioni di Newton sulla legge di gravitazione
universale ……………………………………………………...
19
4. Osservazioni sulla Terza legge di Newton …..………………………
20
4.1 Il campo gravitazionale …..……………………………………...
21
4.2 La teoria delle onde gravitazionali ……………..………………
21
4.3 I gravitoni ………………………………………………………
25
-1-
Prefazione
Il presente modulo si rivolge a studenti:
•
di secondo liceo classico
•
di terzo liceo scientifico
Propedeuticità:
•
Concetto di forza
•
Primo e secondo principio della dinamica
•
Nozione di derivata e regole di derivazione
•
Conoscenza delle grandezze vettoriali e delle operazioni con i vettori
Il tempo necessario da dedicare alla trattazione di questo argomento dovrebbe essere
di circa 2-3 ore di lezione.
Nel corso della trattazione si potrebbe fare cenno ai possibili collegamenti
interdisciplinari, in particolare con la geografia astronomica.
Per valutare i risultati ottenuti e migliorare la comprensione dell’argomento,
l’insegnante potrebbe guidare gli alunni in semplici esperienze operative e
successivamente assegnare a ciascun allievo il compito di descrivere un’esperienza,
in cui è applicabile il III principio della dinamica.
-2-
1
Introduzione
Isaac Newton, fisico, astronomo e matematico inglese (Woolsthorpe, Lincolnshire,
1642- Kensington, Londra 1727), nel 1687 pubblicò l’opera “Philosophiae naturalis
principia matematica”, fondamento della meccanica e di tutta la fisica classica, la
quale fu influenzata da quest'opera per almeno due secoli.
L'opera inizia con la definizione di massa come "quantità di materia che si misura
dalla densità e dal volume presi insieme". Newton passa poi alla definizione di forza
come causa di mutamento dello stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.
Alle definizioni fa seguire le tre note leggi della meccanica: d'inerzia, di
proporzionalità fra forza e accelerazione, di azione e reazione.
Il passo successivo porterà Newton dalle leggi della meccanica alla legge della
gravitazione universale, in base alla quale la forza attrattiva esistente fra due corpi è
proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato
della distanza.
Da quanto detto, Newton dedusse le leggi del moto dei pianeti, della Luna, dei
satelliti di Giove e di Saturno, e ciò costituisce il suo contributo all'astronomia. In
particolare, dimostrò che la forza attrattiva fra due sfere è eguale a quella che si
ottiene concentrando le masse delle due sfere nei rispettivi centri.
La nozione di gravitazione di Newton, ossia di azione istantanea (cioè con velocità
infinita) a distanza, fu criticata dai contemporanei, in particolare da Leibniz e dai
cartesiani, per il suo carattere dogmatico ed occulto. Tale doveva rimanere, finche'
Maxwell e Einstein sostituirono l'azione a distanza con la nozione di campo
gravitazionale, con velocità di propagazione finita e pari a quella della luce nel vuoto.
1.1 Le leggi del moto
La meccanica classica è una teoria del moto basata sulle idee di massa e di forza e
sulle leggi che collegano questi concetti fisici alle grandezze cinematiche: posizione,
velocità e accelerazione.
Le leggi del moto furono presentate da Newton nei “Philosophiae naturalis principia
matematica” come:
-3-
Legge I Ciascun corpo persevera nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo
uniforme, eccetto che sia costretto a mutare quello stato da forze impresse.
Legge II Il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice impressa ed
avviene lungo la retta secondo la quale la forza è stata impressa.
Legge III Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: ossia, le
azioni di due corpi sono sempre uguali tra loro e dirette verso parti opposte.
Le leggi di Newton stabiliscono una relazione tra l’accelerazione di un corpo, la sua
massa e le forze che agiscono su di esso, secondo la legge:
∑ F=F
tot
= ma
(1)
Per comprendere completamente le leggi di Newton e riuscire ad applicarle,
dobbiamo dare una definizione operativa di queste grandezze, cioè descrivere i
metodi usati per misurarle.
1.2 Definizione operativa di forza
Si consideri un corpo, per esempio un blocco di legno, poggiato su una superficie
orizzontale liscia, per esempio su un tavolo. Supponiamo che il blocco sia
inizialmente in quiete rispetto al tavolo. Se lo lanciamo lungo il tavolo, il corpo si
muoverà in avanti per un certo tratto, ma la sua velocità diminuirà fino ad arrestarsi
per via della forza di attrito esercitata dal tavolo.
Estrapolando, se la velocità di un corpo non è costante, si può concludere che sul
corpo agisce una forza risultante diversa da zero.
Il problema successivo consiste nello sviluppare una misura quantitativa della forza:
questo si fa definendo il modulo e l’orientazione di una data forza in funzione
dell’accelerazione che essa produce su un oggetto particolare, che chiameremo corpo
campione, la cui massa è 1 kg, l’unità di misura della massa nel sistema SI.
-4-
La forza richiesta per produrre un’accelerazione di 1 m/s2 sul corpo campione è
definita come 1 newton (N). L’unità di forza, il newton, è una grandezza derivata,
cioè può essere espressa per mezzo delle tre unità di misura fondamentali:
1 N = 1 kg ·m/s2
Si può misurare la forza valutando l’allungamento subito da una molla. Il
dinamometro è uno strumento atto alla misurazione delle forze e si basa su questo
principio. Esso è costituito da una molla con una scala graduata in newton.
Figura 1: sistema il dinamometro
Poiché, secondo la legge di Hooke, la deformazione elastica di una molla è
proporzionale alla forza applicata, una misura dell'allungamento x fornisce
indirettamente una misura della forza F secondo la legge:
F = ─kx
(2)
dove k è la costante elastica della molla.
1.3 Sistema di riferimento inerziale
Nel costruire una qualsiasi teoria è indispensabile determinare le condizioni sotto le
quali due osservatori vedono i fenomeni evolversi nel medesimo modo, e quindi
possono descriverli con le medesime leggi.
-5-
Un sistema di riferimento in cui valgono le leggi di Newton è chiamato sistema di
riferimento inerziale. Tutti i sistemi di riferimento che si muovono con velocità
costante rispetto a un sistema di riferimento inerziale sono anch’essi sistemi di
riferimento inerziali.
Newton postulò l'esistenza di uno spazio assoluto, di un sistema di riferimento in cui
le leggi della meccanica erano perfettamente valide e pensò che questo sistema fosse
legato alle stelle fisse. La relatività galileiana prima, e la relatività ristretta poi,
mostrarono che non esiste un sistema di riferimento assoluto, come l’aveva
ipotizzato Newton, in quanto tutti i sistemi di riferimento in moto traslatorio
uniforme rispetto ad esso hanno le sue stesse proprietà e sono quindi indistinguibili
da esso. Non è possibile determinare quale sistema di riferimento è realmente in
quiete e quale è in moto, cioè non si può determinare la velocità assoluta.
Poiché nelle leggi di Newton compare solo l’accelerazione e non la velocità, non si
possono eseguire esperimenti meccanici per distinguere il moto assoluto. Ciò
esprime una proprietà fondamentale del moto: le velocità sono indistinguibili.
Pertanto un osservatore può scegliere un qualsiasi sistema di riferimento inerziale,
come sistema di coordinate per i calcoli, e può applicare le leggi del moto.
Gli osservatori posti in un sistema inerziale si dicono osservatori inerziali. Le leggi
della fisica sono inviarianti solo per osservatori inerziali.
Osservazione: la Terra come sistema di riferimento inerziale.
La Terra non è un vero e proprio sistema di questo tipo, a causa dei suoi movimenti
di rivoluzione e di rotazione.
Il laboratorio è vincolato a ruotare insieme con la Terra attorno all'asse di rotazione
terrestre ogni 24 ore; la Terra interagisce con il sole e gli gira attorno ogni 365
giorni; il sole a sua volta interagisce con il resto della galassia e si muove su di
un'orbita all'interno della galassia etc.
-6-
Ciononostante, per moti di durata ed estensione limitata, tali che la velocità del
sistema di riferimento non sia variata di molto durante il moto in osservazione, tutti
questi sistemi approssimano sistemi di riferimento inerziali.
2
Il principio di azione e reazione
La terza legge di Newton può essere chiamata come la legge dell’interazione o
principio di azione e reazione.
Ad ogni azione corrisponde un’azione uguale e contraria: ossia, le azioni di due
corpi sono sempre uguali fra loro e dirette verso parti opposte
o anche:
le forze si presentano sempre in coppie: se un corpo A esercita una forza su un
corpo B, una forza uguale ma opposta, viene esercitata dal corpo B sul corpo A.
Così Isaac Newton si esprime nella sua opera “Philosophiae naturalis principia
matematica”:
“Se qualcuno preme una pietra col dito, anche il suo dito viene premuto dalla pietra. Se un
cavallo tira una pietra legata ad una fune, anche il cavallo è tirato ugualmente verso la
pietra: infatti la fune distesa tra le due parti, per lo stesso tentativo di allentarsi, spingerà il
cavallo verso la pietra e la pietra verso il cavallo; e di tanto impedirà l’avanzare dell’uno di
quanto promuoverà l’avanzare dell’altro.
Se un qualche corpo, urtando in un altro corpo, in qualche modo avrà mutato con la sua
forza il moto dell’altro, a sua volta, a causa della forza contraria, subirà un medesimo
mutamento del proprio moto in senso opposto. …
A queste azioni corrispondono uguali mutamenti, non di velocità, ma di moto. I
mutamenti delle velocità, infatti, effettuati allo stesso modo in direzioni contrarie, … sono
inversamente proporzionali ai corpi.”
Questa legge riconosce in primo luogo il fatto che le forze nascono sempre
dall'interazione tra due corpi e si presentano sempre in coppie azione-reazione: la
reazione sarà uguale in modulo e contraria in direzione all’azione.
Naturalmente, i due corpi reagiscono all’azione delle forze in modo differente, se
hanno masse diverse, in quanto la variazione delle velocità dei due corpi è
inversamente proporzionale alle loro masse: quindi, il diverso modo di comportarsi
-7-
deriva dalla diversa massa inerziale presentata dai due corpi e non dalle diverse
intensità delle forze, che, al contrario, sono uguali.
In sintesi, azione e reazione non si equilibrano, in quanto sono forze applicate a
corpi diversi.
Va sottolineato che devono essere implicati due oggetti. Esiste una grande quantità di
situazioni in cui due forze uguali ed opposte agiscono sullo stesso oggetto,
annullandosi a vicenda, cosicché non si avrà alcuna accelerazione (o addirittura
nessun moto). Questo non riguarda la terza legge di Newton, ma piuttosto un caso di
equilibrio tra forze.
2.1 Legge di conservazione della quantità di moto
C’è una conseguenza semplice, ma importante, della terza legge per due oggetti
isolati da ciò che li circonda, cosicché le sole forze agenti su di essi siano quelle che
esercitano l’uno sull’altro.
Figura 2: sistema isolato di due punti materiali
Dati due punti materiali isolati (non soggetti a forze esterne) si osserva che:
F12 = - F21
(3)
ovvero la forza che 1 esercita su 2 è uguale e contraria a quella che 2 esercita su 1.
L’equazione può riscriversi come:
F12 + F21 = FR = 0
(4)
ovvero la risultante delle forze interne `e nulla.
Applicando la seconda legge di Newton a ciascun corpo, si ha:
F12 = m1a1 = m1
dv1
dt
F21 = m2 a2 = m2
Sostituendo nell’equazione (3), si ottiene:
-8-
dv2
dt
(5)
0 = m1
dv1
dv
d
+ m1 2 = ( m1v1 + m2 v2 )
dt
dt
dt
0 = m1
dv1
dv
d
+ m1 2 = ( m1v1 + m2 v2 )
dt
dt
dt
(6)
ossia:
m1v1 + m2 v2 = costante
(7)
La grandezza dinamica p = mv è chiamata quantità di moto della particella.
Pertanto, la quantità di moto totale di un sistema isolato di 2 corpi rimane costante
nel tempo, o, con altro termine, si conserva (legge di conservazione della quantità
di moto).
3
Applicazioni
Per comprendere meglio la portata del terzo principio della dinamica, analizzeremo
vari esempi di interazione tra corpi.
Innumerevoli sono gli esempi di applicazione di questo principio:
1) quando camminiamo, la forza (azione) che i nostri piedi esercitano all'indietro sul
suolo, è sempre uguale e contraria a quella (reazione) che il suolo esercita sui nostri
piedi, e che ci consente di muoverci in avanti;
2) l'elica di una nave esercita una forza (azione sull'acqua), uguale e contraria alla
forza (reazione) che l'acqua esercita sulla nave, facendola avanzare in mare;
3) un'arma da fuoco, lanciando il proiettile, esercita su di esso una forza (azione),
uguale e contraria (reazione) a quella che il proiettile esercita sull'arma da fuoco
provocandone il rinculo.
Newton, come riportato al capitolo 2, descrive forze che sono sempre pressioni o
trazioni, cioè in ogni caso forze di contatto; ma la validità del terzo principio è
generale: esso è valido in qualsiasi interazione anche se questo non implica
necessariamente un contatto diretto tra i corpi coinvolti: come vedremo in alcuni
degli esempi che seguono, ciò si spiega attraverso l’introduzione del concetto di
campo.
-9-
3.1 Reazioni vincolari
Si chiamano reazioni vincolari quelle forze che si originano dalle limitazioni al
movimento dei punti materiali imposte dai corpi circostanti. Al contrario delle altre
forze, per la reazione vincolare non è possibile fornire un’espressione generale della
forza: caso per caso essa avrà una sua formula. Comunque, la reazione vincolare si
può scomporre in una componente perpendicolare al vincolo N ed una componente
parallela al vincolo, la forza di attrito.
Se c’è contatto tra il corpo ed il vincolo, allora sicuramente c’è la componente
normale della reazione vincolare. La condizione di perdita di contatto tra il corpo ed
il vincolo si realizza quando N = 0.
3.1.1 Componente normale: forza di sostegno
Come esempio di componente normale della reazione vincolare, consideriamo un
corpo di massa m poggiato su un piano orizzontale, per esempio un tavolo. Se il
tavolo è sufficientemente robusto, le molecole del tavolo oppongono una resistenza
alla compressione e il tavolo resiste senza rompersi all’azione esercitata su di esso
dal blocco appoggiato: come conseguenza, il corpo resta fermo.
Figura 3: blocco poggiato su un piano
Affinché il corpo sia fermo, sulla base della seconda legge di Newton, è necessario
che la risultante delle forze che agiscono sul corpo sia nulla. Quindi, è necessario che
il tavolo eserciti sul corpo una reazione vincolare Rv , tale che:
Rv + mg = 0
⇒
Rv = −mg
(8)
La reazione vincolare in questo caso è diretta verticalmente in verso opposto al peso
del corpo e la sua intensità è proprio uguale ad mg, cioè al peso del blocco. Essa è
perpendicolare alla superficie del corpo che l'ha generata, cioè al piano orizzontale,
- 10 -
per cui coincide con la componente normale della reazione, mentre la componente
parallela al vincolo è nulla.
Qual è l'origine di questa forza? Il corpo poggiato sul tavolo provoca una piccola
deformazione del piano, che genera una forza elastica che si oppone alla
deformazione.
3.1.2 Componente tangente: forza di attrito
La componente tangente della forza di contatto esercitata da un corpo su un altro è
chiamata forza di attrito.
In generale, possiamo affermare che ogni volta che la superficie di un corpo scivola
sulla superficie di un altro corpo, sul corpo agisce una forza di attrito che si oppone
al moto, e non lo favorisce mai.
La diminuzione di velocità subita dal corpo è legata allo stato delle superfici di
contatto tra corpo e piano: infatti, agendo opportunamente su queste superfici, si
riesce a modificare l'accelerazione subita dal corpo. Quindi, il piano orizzontale
nell'interagire col corpo in moto, esercita oltre alla componente normale N della
reazione vincolare, anche una forza parallela al piano, che si chiama forza di attrito.
Ma le forze di attrito sono presenti anche in assenza di movimento. Consideriamo il
seguente esempio.
Supponiamo di avere un corpo di massa m poggiato su di un piano orizzontale.
Applichiamo al corpo, poggiato sul piano orizzontale, una forza avente sia una
componente verticale f v che una componente orizzontale f o . Si osserva che, per
piccoli valori della componente orizzontale della forza applicata, il corpo rimane
fermo sul piano. In base alla seconda legge della dinamica, questo implica che la
risultante delle forze applicate al corpo è nulla.
y
x
Figura 3: blocco poggiato su un piano soggetto ad una forza F
Rv + f v + f o + P = ma = 0
- 11 -
(9)
Introduciamo un sistema di riferimento con l'asse y verticale e l'asse x orientato
parallelamente al piano.
Nel sistema di riferimento introdotto, la forza esterna ha le componenti −fv secondo
l'asse delle y e fo lungo l'asse delle x, il peso ha solo la componente -mg in y , mentre
le componenti della reazione vincolare Rv , offerta dal piano orizzontale, saranno Rx
e Ry. La componente Ry coincide con la componente normale della reazione
vincolare e continueremo ad indicarla con N.
asse x
Rx + fo = 0
Rx = - fo
(10)
asse y
N - mg - fv = 0
N = mg + fv
(11)
Si vede che la componente orizzontale della reazione vincolare è uguale ed opposta
alla componente orizzontale della forza applicata.
Se si aumenta l'intensità della componente orizzontale della forza applicata, si
osserva che il corpo rimane fermo fin tanto che la componente orizzontale della forza
non supera un certo valore limite:
fo ≤ fo max
(12)
Questo significa che l'intensità della forza di attrito, cioè della componente
orizzontale della reazione vincolare, può essere al massimo uguale a:
Fas max = fo max
(13)
Figura 4: diagramma di corpo libero di un blocco poggiato su
un piano, a cui è applicata una forza
Tale valore limite dipende dalla componente verticale della forza applicata. Infatti
più alta è l'intensità della componente verticale della forza applicata, più grande è il
- 12 -
limite superiore della componente orizzontale, in corrispondenza del quale il corpo
rimane ancora fermo.
Si trova, infatti, che la forza di attrito statico massima risulta essere proporzionale
alla componente normale N della reazione vincolare.
Fas max = μs N
(14)
dove μs viene detto coefficiente di attrito statico e dipende dalle natura delle superfici
a contatto (tipo di materiale, stato di levigatezza, ecc). L'indice s sta per statico.
In generale, quindi, la forza di attrito statico, cioè la componente parallela alla
superficie di contatto della reazione vincolare, può assumere tutti i valori tra 0 ed il
valore massimo, pari a μs N.
Fas ≤ μs N
(15)
y
x
s
θ
θ
Figura 5: blocco poggiato su un piano inclinato
Il valore di μs per superfici può essere semplicemente determinato, collocando un
blocco su una superficie orizzontale e inclinando la superficie finché il blocco non
comincia a strisciare. Sia θcrit l’angolo critico sotto il quale comincia lo strisciamento.
Per angoli di inclinazione minori di questo, il blocco è in equilibrio statico.
Scegliendo l’asse x parallelo al piano e l’asse y perpendicolare al piano, si ha:
asse x
N - mg cosθ = 0
(16)
asse y
mg sinθ – Fas = 0
(17)
Si ottiene:
F
as
= mg sin θ =
N
sin θ = N tan θ
cos θ
(18)
Sotto l’angolo critico θcrit, l’attrito statico assume il valore limite pari a μs N, quindi:
- 13 -
μ s = tan θ crit
(19)
Quando la componente orizzontale fo della forza applicata diventa maggiore di μs N,
il corpo comincia a muoversi. Per questo motivo, il valore massimo della forza di
attrito Fas max = μs N, viene anche indicato come "attrito di primo distacco" oppure
"attrito di moto incipiente".
Una volta che il corpo è stato messo in movimento, si osserva che, per mantenerlo in
moto rettilineo uniforme occorre applicare, nella direzione del moto, una forza
orizzontale avente una intensità, f'o, che è più piccola di quella necessaria per mettere
in movimento il corpo, che abbiamo visto essere pari a μs N.
Siccome anche nel caso di moto rettilineo uniforme, la risultante di tutte le forze
applicate al corpo deve essere nulla, la forza di attrito dinamico esercitata dal piano
sul corpo deve essere uguale ed opposta alla forza orizzontale applicata. La forza di
attrito dinamico è dunque diretta in verso opposto al moto del corpo e si può
esprimere come:
Fad = μd N
(20)
dove l'indice d indica l'attrito dinamico.
Ovviamente, da quel che abbiamo detto, risulta che μd è più piccolo di μs.
La (15) e la (16) sono due relazioni empiriche che nella loro semplicità tengono
conto di tutta una serie di comportamenti microscopici complicatissimi.
I coefficienti μs e μd non dipendono dall’estensione della superficie di appoggio, ma
dipendono invece:
•
dallo stato delle superfici di contatto;
•
dai materiali che costituiscono le superfici di contatto;
•
dalla temperatura;
•
dalla presenza di altri materiali, in particolare dalla presenza di pellicole
liquide.
Fissata la natura delle superfici, i coefficienti μs e μd possono essere assunti come
costanti in un intervallo piuttosto ampio di valori della componente normale della
reazione vincolare N e della velocità v del corpo.
Al di fuori di questo intervallo, le relazioni (16) e (17) possono essere ancora usate,
ma bisogna tener conto che i coefficienti μs e μd dipendono rispettivamente da ( N ,S)
e ( v , N ,S), dove S è la superficie di appoggio.
- 14 -
3.1.3 Le forze di attrito
Una superficie, per quanto possa essere levigata, presenterà sempre, a livello
microscopico, delle asperità. Quando noi poggiamo un corpo su un piano orizzontale,
in realtà lo poggiamo su un certo numero di asperità. A causa dell’interazione tra il
corpo e il piano di appoggio, queste asperità si deformano, tendono cioè a
schiacciarsi. Sappiamo che i materiali reagiscono alle deformazioni generando una
forza elastica. Quindi, in ciascun punto di contatto si originerà una forza di tipo
elastico, che sarà proporzionale alla deformazione. La somma di tutte queste forze
elastiche costituisce la reazione vincolare che, nel caso di un corpo appoggiato su di
un piano orizzontale, possiede solo la componente normale N , la quale bilancia il
peso del corpo. Quindi N risulta proporzionale al peso del corpo appoggiato; in
generale, la forza di attrito non dipenderà dalla superficie macroscopica di appoggio
del corpo sul piano.
Facciamo un esempio: si consideri un blocco di massa 1 kg, la cui base abbia un’area
di 100 cm2 e il cui fianco abbia area di 25 cm2.
Figura 6: blocco collocato su un piano, poggiando facce distinte
Sia che esso poggi sul tavolo con la sua base, sia quando è collocato su un fianco, la
massima forza di attrito statico sarà semplicemente proporzionale alla forza normale
tra le superfici.
Le forze d'attrito sono molto importanti. Esse infatti ci consentono di camminare, di
scrivere, di tenere in mano degli oggetti, degli utensili etc.
Sono le forze di attrito che consentono ad una automobile di accelerare o di
arrestarsi: anche possedendo un motore molto potente, un’automobile ha difficoltà ad
accelerare sul ghiaccio o sulla spiaggia nella sabbia.
- 15 -
In molti altri casi, invece, l'attrito è indesiderato: per esempio negli ingranaggi. In
una automobile il 20% della potenza del motore è spesa per vincere le forze di attrito.
3.2 Interazione elettrica
Due cariche elettriche interagiscono fra loro con forze opposte, che possono essere
sia attrattive che repulsive.
+
-
Figura 7: interazione tra cariche elettriche elettriche
La direzione della forza F12 è lungo la congiungente i due corpi e risulta attrattiva, se
le due cariche sono di segno opposto, o repulsiva, se sono dello stesso segno.
Nel 1785 Coulomb determinò la legge che esprime la forza elettrica tra due cariche
in funzione della distanza e della grandezza delle cariche.
1. Dipendenza della forza dalla distanza.
Coulomb operò con delle sferette aventi una determinata carica e le pose a varie
distanze. Dalle misure fatte ricavò che se la distanza raddoppia la forza diviene
quatto volte più piccola, se la distanza triplica la forza diviene nove volte più piccola,
se essa si dimezza la forza diviene quattro volte più grande, ecc... Quindi la forza di
interazione tra due cariche puntiformi è inversamente proporzionale al quadrato della
distanza.
2. Dipendenza della forza dalle cariche.
Coulomb ricavò che, non variando la distanza, la forza è direttamente proporzionale
a ciascuna delle due cariche, quindi al loro prodotto.
Riunendo i due risultati, si ricava la legge che descrive la forza elettrostatica tra due
cariche puntiformi, nota come legge di Coulomb: la forza attrattiva o repulsiva fra
- 16 -
due cariche elettriche è direttamente proporzionale al prodotto delle cariche e
inversamente proporzionale al quadrato della distanza che le separa.
Essa viene espressa come:
F 12 = k
q1q2
r12
r2
(21)
z
q1
q2
^r
12
→
r1
→
r2
y
x
Figura 8: forza elettrostatica esercitata dalla carica q1 sulla carica q2
Il fatto che cariche simili si respingono e cariche diverse si attraggono è contenuto
nell’equazione (17): se entrambe le cariche hanno lo stesso segno, il prodotto q1q2 è
positivo e la forza che agisce su q2 è diretta lungo r12 e tende ad allontanarsi da q1; se
le cariche hanno segni opposti, la forza che agisce su q2 è diretta verso q1. Il valore
della costante di Coulomb k è:
k = 8,99·109 N·m2/C2
3.3 Interazione gravitazionale
Tutte le particelle esercitano l’una sull’altra una forza gravitazionale di attrazione.
L’intensità della forza esercitata da una particella di massa m1 su un’altra particella
di massa m2 posta a distanza r è data dalla legge di gravitazione universale:
F12 = G
m1m2
r2
dove G è la costante di gravitazione universale, il cui valore è :
- 17 -
G = 6,67 · 10
-11
2
2
N ·m /kg
La forza, che agisce su m2, è diretta verso m1. Una forza uguale ed opposta viene
esercitata dalla massa m2 sulla massa m1, in accordo con la terza legge di Newton:
cioè, le due particelle esercitano forze di attrazione l’una sull’altra.
p
p
Figura 9: forza di attrazione gravitazionale tra la Terra e la mela
In figura è rappresentato un classico esempio di interazione gravitazionale: la forza
peso di una mela come azione esercitata dalla Terra che attrae la mela, la quale a sua
volta attrae la Terra con forza opposta.
Naturalmente i due corpi, a causa delle masse notevolmente diverse, reagiscono
all’azione delle forze in modo differente: rispetto ad un osservatore esterno, la Terra
è praticamente insensibile all’azione della forza
p . Quando la massa inerziale di un
corpo è enormemente più grande di quella dell’altro, i due corpi si comportano in
modo diverso per via delle differenti inerzie e non per le intensità delle forze, che
non sono distinte, anzi al contrario sono uguali.
Quindi, come già detto in precedenza, azione e reazione non si equilibrano, in quanto
sono forze applicate a corpi diversi.
3.3.1 Esempio numerico
Calcoliamo la forza di attrazione tra due sfere, ciascuna di massa 1 kg, i cui centri
distano 10 cm. Possiamo trattare ciascuna sfera come se la sua massa totale fosse
concentrata nel suo centro. Il modulo della forza esercitata su ciascuna sfera
dall’altra è quindi:
1kg i1kg
= 6, 67 ×10−9 N
−1
2
(10 m)
- 18 -
F12 = 6, 67 × 10−11 N im 2 / kg 2
Questo esempio dimostra che, nel caso di due oggetti di dimensioni ordinarie, la
forza gravitazionale che ciascun oggetto esercita sull’altro è molto piccola e si può in
generale trascurare.
L’attrazione gravitazionale si può notare solo se gli oggetti sono estremamente
massicci.
3.3.2 Le riflessioni di Newton sulla legge di gravitazione universale
Si narra che in una sera di plenilunio, il grande scienziato, seduto sotto un melo,
vedendo cadere una mela, abbia iniziato a riflettere sulla natura della forza
gravitazionale.
Perché tutti gli oggetti cadevano verso il basso? Probabilmente ciò era possibile,
pensò Newton, perché una forza (a quel tempo sconosciuta) agiva sulla mela,
accelerandola verso il suolo. E questo si verificava, qualunque fosse l'altezza
dell'albero da cui cadeva la mela!
Ed ecco, allora, la brillante intuizione dello scienziato: se questa forza raggiungeva la
sommità degli alberi più alti, poteva andare anche oltre e, perché no, coprire la
distanza Terra-Luna! In altre parole: la mela e la Luna non dovevano essere poi così
diverse ... La stessa forza, che accelerava gli oggetti sulla Terra, facendoli cadere al
suolo, doveva agire sulla Luna: ma allora, perché la Luna non cadeva sulla Terra?
Newton risolse l'enigma immaginando di sparare con un cannone, posto su un'alta
montagna, dei proiettili con velocità iniziali via via maggiori. Galileo aveva già
dimostrato che, in conseguenza di ciò, i proiettili sarebbero caduti al suolo sempre
più lontani dal cannone. Nell'esperimento immaginario di Newton, nulla impediva di
pensare che, ad un certo punto, con un opportuno valore della velocità iniziale, il
proiettile sarebbe riuscito a cadere tanto lontano da ... compiere un giro completo
intorno alla Terra, senza mai toccare il suolo! In altre parole, il proiettile avrebbe
cominciato a orbitare intorno alla Terra. La conclusione di Newton era la seguente:
così come il proiettile poteva arrivare a compiere un giro completo attorno alla Terra,
"cadendo" continuamente verso il suolo, senza mai toccarlo, la Luna "cadeva" verso
la Terra, perchè soggetta alla medesima forza che agiva sul proiettile, descrivendo
un'orbita ellittica attorno a essa. Gli oggetti terrestri e quelli celesti erano soggetti alla
stessa legge della Natura.
Lo scienziato formulò in termini matematici l'espressione della forza di gravità (dal
latino "gravitas", che significa "pesantezza") che imponeva ai corpi sulla Terra di
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cadere al suolo, e alla Terra stessa e agli altri pianeti di "cadere" verso il Sole,
compiendo attorno ad esso delle orbite più o meno ellittiche: gli oggetti si attraggono
in misura direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente
proporzionale al quadrato delle loro distanze.
Ogni corpo esercita una forza di attrazione nei confronti di un altro. Nel caso della
Luna, questa è attratta dalla Terra ma, a sua volta, esercita un'attrazione su
quest'ultima, che si manifesta con il fenomeno delle maree.
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Osservazioni sulla terza legge di Newton
Il terzo principio della dinamica non deve essere inteso come un principio di causa
ed effetto: le due forze di azione e reazione infatti agiscono simultaneamente, ovvero
le forze di azione e reazione sono uguali e contrarie allo stesso istante.
Ai tempi di Newton comprendere che l'eguaglianza tra le forze di azione e reazione
potesse realizzarsi quando i corpi, che interagiscono, sono a contatto era abbastanza
immediato; più difficile era capire come questa eguaglianza potesse realizzarsi
istantaneamente quando i corpi interagenti sono molto distanti l’uno dall’altro
(spiegato mediante il concetto di azione a distanza da Newton). Oggi sappiamo che
non è possibile far viaggiare l'informazione più velocemente della luce (3 × 108m/s).
Per esempio, la forza di interazione Terra-Sole dipende dalla distanza della Terra dal
Sole. Supponiamo che la Terra si sia spostata all’improvviso, avvicinandosi al Sole.
Questo significa che il Sole dovrebbe esercitare sulla Terra una forza più grande.
Tuttavia il Sole non può rendersi conto immediatamente che la Terra gli si è
avvicinata, ma sarà raggiunto dall'informazione solo dopo 8 minuti, il tempo
impiegato dalla luce per percorrere la distanza della Terra dal Sole.
Per tutto questo tempo il Sole continuerà a pensare che la Terra si trovi ancora nella
posizione precedente, più lontana, e continuerà ad esercitare la forza corrispondente a
questa posizione. Tuttavia, poiché la velocità nel moto di rivoluzione terrestre è
molto piccola rispetto alla velocità della luce, lo spostamento della Terra in 8 minuti
è, a tutti gli effetti, trascurabile rispetto alla distanza della Terra dal Sole, cioè la
forza di attrazione avrebbe dovuto modificarsi di una quantità trascurabile. In
conclusione, non si commettono gravi errori se si suppone che l'informazione sia
arrivata al Sole istantaneamente, che abbia cioè viaggiato dalla Terra al Sole con una
velocità infinita.
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4.1 Il campo gravitazionale
Oggi l'interazione tra i due corpi distanti viene descritta non più in termini di "azione
a distanza", che richiederebbe una velocità infinita di propagazione dei segnali, ma in
termini di campo. In questo tipo di descrizione si afferma che ogni punto dello spazio
circostante il sole possiede una proprietà, detta "campo gravitazionale", che fissa
l'accelerazione che subisce un corpo (per esempio la Terra) messo in tale posizione.
Se ad un certo istante il Sole si sposta dalla sua posizione, il campo gravitazionale
nei vari punti dello spazio dovrà modificarsi per tenere conto di tale spostamento. La
variazione del campo però non avviene istantaneamente in tutti i punti dello spazio,
in quanto l'informazione dello spostamento avvenuto viaggia dal Sole con una
velocità pari alla velocità della luce. Solo quando essa raggiunge il generico punto
dello spazio, il campo gravitazionale in questo punto verrà modificato per tenere
conto della nuova posizione occupata dal sole, la quale, nel frattempo, può essere
ancora cambiata.
4.2 La teoria delle onde gravitazionali
La forza di gravità è tra tutte le forze della Natura quella che conosciamo da più
tempo. Una delle sue proprietà fondamentali – per cui tutti i corpi in caduta libera
hanno la stessa accelerazione - fu identificata da Galileo all'inizio del diciassettesimo
secolo. Verso la fine dello stesso secolo, Newton stabilì la legge di gravitazione
universale responsabile sia della forza di caduta dei gravi sia della forza di attrazione
tra pianeti. Infine, Einstein, con la teoria della Relatività Generale, stabilì la
connessione tra campo gravitazionale e struttura dello spazio-tempo. Tuttavia, ad
oggi disponiamo di pochissimi elementi sulle proprietà della forza gravitazionale.
Contrariamente a ciò che si potrebbe credere, l'interazione gravitazionale è la meno
conosciuta fra le interazioni fondamentali.
Nel 1916 Albert Einstein, nella sua teoria della Relatività Generale, previde
l'esistenza di onde gravitazionali emesse da masse in movimento, simili alle
increspature sulla superficie di uno stagno dopo il lancio di una pietra, che si
diffondono nello spazio alla velocità della luce. In base a questa teoria, tali onde sono
prodotte dal moto accelerato delle masse, così come le onde elettromagnetiche sono
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generate dal moto accelerato delle cariche elettriche. A differenza della radiazione
elettromagnetica (per esempio la luce visibile) che può essere completamente
assorbita dalla materia, le onde gravitazionali, viaggiando nello spazio, si attenuano
molto debolmente nell'interazione con la materia, rendendo la loro rivelazione
straordinariamente difficile. Esse trasmettono l'informazione di come il campo
gravitazionale varia nel tempo.
L'esistenza delle onde gravitazionali, contrariamente ad altri fenomeni fisici previsti
dalla teoria della relatività, non ha ancora trovato una verifica sperimentale diretta,
malgrado da decenni si siano moltiplicati, in tutto il mondo, gli sforzi per la loro
ricerca. La ricerca delle onde gravitazionali con esperimenti eseguiti sul suolo
terrestre è una delle grandi sfide della fisica contemporanea.
Le onde gravitazionali distorcono lo spazio tempo e producono forze in maniera tale
che la distanza tra due masse altrimenti libere, aumenta e diminuisce
alternativamente al passaggio dell'onda. L'ampiezza delle onde gravitazionali è la
misura della variazione relativa delle distanze tra due masse libere. Questa minuscola
variazione è quindi proporzionale alla distanza tra le due masse: sarebbe 'grande'
quanto la dimensione di un atomo se uno potesse misurare distanze dalla Terra fino
al Sole, ed è milioni di volte più piccola per due punti separati da una distanza di
pochi chilometri. Queste minuscole variazioni di distanza rimangono invisibili ai
normali telescopi e possono essere rivelate sfruttando il fenomeno dell'interferenza.
Nel 1993, in collaborazione con il Centre National pour la Recherche Scientifique
(CNRS) (Francia), l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare varò il progetto Virgo, il
cui interferometro è stato completato nel 2003.
Figura 10: foto panoramica dell’interferometro Virgo
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Virgo, costruito a Càscina, nei pressi di Pisa, è un interferometro laser di tipo
Michelson con due bracci di 3 km disposti ad angolo retto.
Figura 11: schema ottico dell’interferometro Virgo
Diamo un cenno al principio di funzionamento.
Il raggio laser, una volta giunto sul beam splitter (specchio semitrasparente) si scinde
in due raggi: uno è il raggio trasmesso, l'altro è quello riflesso. Ciascun raggio
percorre la cavità Fabry-Perot del proprio braccio e, tornato al beam splitter, si
ricombina con l'altro raggio in opposizione di fase (interferenza distruttiva). Al
fotodiodo non arriva pertanto alcun segnale (frangia scura). L'arrivo di un'onda
gravitazionale provoca una variazione della distanza relativa fra gli specchi terminali.
Ciò determina uno sfasamento fra i due raggi, una volta tornati al beam splitter.
Questo sfasamento elimina l'interferenza distruttiva e produce un segnale luminoso
rivelato dal fotodiodo.
Questo segnale, proporzionale all'ampiezza dell'onda gravitazionale e', purtroppo,
sommerso da un'infinita' di segnali spuri, dovuti a fenomeni casuali non desiderati: i
cosiddetti "rumori". Occorre mettere in atto tutte quelle strategie finalizzate
all'amplificazione del segnale e all'eliminazione ed al controllo dei rumori.
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E’ necessario sapere che la sensibilità dello strumento all'onda gravitazionale è
proporzionale alla distanza relativa fra gli specchi terminali, che rappresentano le
masse test. Pertanto, si utilizzano cavità Fabry-Perot che, grazie a riflessioni multiple
della luce, aumentano la lunghezza ottica effettiva dei bracci da 3 a 95 km.
Per il secondo obiettivo, diamo un cenno sulle principali sorgenti di rumore e sulle
soluzioni adottate.
Una elevata potenza luminosa è importante perché consente un miglioramento della
sensibilità di misura. In questo schema, però, gran parte della luce torna indietro
verso il laser. Per aumentare la potenza disponibile questa luce viene rimandata
nell'interferometro da uno specchio di ricircolo, in fase con il fascio incidente,
aumentando la potenza luminosa del laser (20 W) di un fattore all’incirca 50 nelle
cavità risonanti Fabry-Perot.
Il rumore sismico provoca movimenti spuri delle componenti ottiche. Pertanto
bisogna tenere l'interferometro il più isolato possibile da terra per limitarne al
massimo gli effetti. A tal scopo tutte le componenti ottiche sono appese al
superattenuatore, formato da un pendolo invertito e da sei pendoli in cascata che
costituiscono i filtri sismici.
Le fluttuazioni dell'indice di rifrazione provocano fluttuazioni della lunghezza d'onda
della luce laser e pertanto sfasamenti in uscita che andrebbero a sommarsi ai segnali
di interesse. Per ovviare all'inconveniente tutto il sistema si trova sotto vuoto. Altro
importante contributo al rumore è quello termico, dovuto alle eccitazioni dei modi
termici degli specchi e delle sospensioni.
VIRGO è sensibile alle onde gravitazionali in un ampio spettro di frequenze, da 10 a
10,000 Hz. Questo dovrebbe consentire la rivelazione di radiazione gravitazionale
causata da sistemi binari, supernovae nella Via Lattea e nelle galassie esterne, fino
all'ammasso di galassie Virgo, che dà il nome a questo progetto.
VIRGO funziona giorno e notte, ascoltando tutti i segnali che arrivano a qualsiasi
momento da qualunque parte dell'Universo. I dati acquisiti con l'interferometro sono
sottoposti ad una analisi preliminare per la rivelazione veloce di segnali anomali
potenzialmente interessanti. I dati vengono poi messi a disposizione della
collaborazione scientifica per una analisi più approfondita.
Attualmente, sul pianeta, ci sono altri quattro rivelatori simili a Virgo, realizzati con
gli stessi obiettivi. Quando Virgo e gli altri rivelatori avranno sufficiente sensibilità,
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potranno funzionare come nuovi telescopi e consentirci di ottenere una diversa e più
completa immagine dell'universo. Se si riuscisse ad osservare le onde gravitazionali,
si avrebbe una serie di informazioni fisiche ed astronomiche non acquisibili con
l'odierna strumentazione.
4.3 I gravitoni
Passando dal livello macroscopico a quello microspico, i mediatori dei campi
gravitazionali sono i gravitoni, così come i fotoni sono i mediatori dei campi
elettromagnetici, cioè secondo la teoria quantistica la radiazione gravitazionale viene
intesa come la propagazione di quanti (particelle) caratteristici della gravità
(gravitoni).
Il gravitone è una particella elementare, ipoteticamente responsabile della
trasmissione della forza di gravità: per potere fare ciò deve esercitare sempre una
forza attrattiva (la gravità non è mai repulsiva) ed agire a qualsiasi distanza (la
gravità è universale).
I gravitoni sono stati postulati per il semplice fatto che i quanti sono stati impiegati
con successo in altri campi. Dato il grande successo dei quanti nel descrivere il vasto
numero di forze dell'universo, è sembrato possibile che lo stesso metodo potesse
essere esteso anche alla gravità. Sono stati fatti molti tentativi di introdurre il
gravitone, che dovrebbe funzionare in maniera simile al fotone, ma finora non è mai
stato osservato. Si era sperato che questo avrebbe portato rapidamente ad una teoria
quantistica della gravitazione, anche se la formalizzazione matematica sarebbe stata
non priva di ostacoli.
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