Fatma Bucak Pratiche di resilenza

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Fatma Bucak Pratiche di resilenza
Pratiche di resilienza
Marianna Vecellio
Nell'ambito del premio illy, inaugura in una delle sale auliche del Castello di
Rivoli l'installazione sonora di Fatma Bucak I must say a word about fear (Devo
dire una parola sulla paura), 2014.
Giovane artista turca nata a Iskenderun (Turchia) nel 1982, Bucak vive e lavora
tra Istanbul e Londra. Frutto della residenza che l'artista ha svolto a Il
Cairo, presso Townhouse, nella primavera del 2014, I must say a word about fear,
2014, nasce dalla riflessione e definizione del sentimento della paura e della
sua elaborazione, attraverso pratiche di resilienza. A partire dal 2011,
l'Egitto è stato teatro di rivoluzioni politiche e culturali della cosiddetta
Primavera Araba e scenario di drammatici conflitti che ne sono seguiti. In
occasione della sua permanenza a Il Cairo, l'artista ha deciso di soffermarsi
sul tema della paura e del dolore e di riflettere, in un territorio dove il
dialogo è proibito, sulle trasformazioni da essi innescate nell’individuo umano.
Bucak ha invitato alcune persone appartenenti a differenti classi sociali, a
partecipare a momenti di riflessione sul tema del trauma: l’artista ha chiesto
loro di narrare l'esperienza della paura attraverso l'uso di oggetti materiali.
Ha domandato ai partecipanti di concettualizzare la nozione di paura e di
"agire" tale sentimento attraverso vere e proprie azioni sonore, che prevedevano
l'uso degli oggetti da loro portati.
Può il suono ritrarre il sentimento della paura? Può esso restituire il
sentimento di un trauma individuale e collettivo? Qual'è la definizione
percettiva della paura? Da questi quesiti e dall'esperienza svolta in Egitto, ha
origine I must say a word about fear, 2014, complessa narrazione che, vertendo
sul tema della paura e dell'adattamento ad essa, invoca il suo superamento
attraverso esperienza ricostruttive e di riconciliazione. “Nel lavoro finale –
racconta l’artista – tutti i suoni sono ‘visibili’ e ognuno di loro rappresenta
un ‘io’. Allo stesso tempo è possibile sentirli come una totalità. Le fonti
rimangono anonime; ogni ‘io’ è presente per i molti altri invisibili, assenti,
con cui condivide la condizione di paura. Gli altri ‘io’ che non sono visibili e
che tuttavia esistono, vivono in altri paesi, condividono paure causate da
problemi simili e mai raccontate. Ogni sedia agisce nel silenzio che informa e
permette allo spettatore di sentire empatia con il partecipante e, prendendone
il posto, di riflettere sulla propria esperienza”. Bucak articola i suoi
progetti intorno a complessi processi di ricerca, parte essenziale e formativa
del lavoro finale. L’installazione sonora, infatti, rappresenta solo uno degli
aspetti della ricerca affrontata in Egitto e che ha condotto l'artista ad
esaminare altri supporti espressivi come la pubblicazione, l'installazione e la
documentazione fotografica. Per esprimere tale complessità di approccio Bucak ha
deciso di accompagnare l’opera con un libro che oltre ad illustrare il materiale
raccolto durante la residenza, ne amplia i confini da più punti di vista.