PARTE PRIMA IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO INTERNO

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PARTE PRIMA IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO INTERNO
PARTE PRIMA
IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO INTERNO E COMUNITARIO
SEZIONE PRIMA
PARTE GENERALE: IL SISTEMA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO
CAPITOLO I
NOZIONE, FUNZIONE ED EVOLUZIONE STORICA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO
GUIDA 1. Nozione della materia 2. Il trattamento dello straniero 3. L’apertura dell’ordinamento
ai valori giuridici stranieri 4. Il sistema di diritto internazionale privato e processuale italiano:
sguardo d’insieme sulla l. 218/1995 5. L’uniformità del diritto internazionale privato 6. Le origini
del diritto internazionale privato 7. La nascita della scienza del diritto internazionale privato: la
dottrina degli statuti 8. La nazionalizzazione dei sistemi di diritto internazionale privato 9. Lo
sviluppo del diritto internazionale privato nei Paesi anglosassoni 10. I termini di riferimento del
moderno dibattito internazionalprivatistico
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Una casa di moda italiana stipula un contratto di consulenza con uno stilista
canadese residente a Londra.
Nel corso del rapporto sorge controversia tra le parti in ordine all’interpretazione e all’esecuzione del contratto e ciascuna parte lamenta l’inadempimento
dell’altra.
Qual è il giudice competente a pronunciarsi sull’azione di inadempimento? La
soluzione cambia a seconda di quale delle parti assume la veste processuale di
attore?
In base a quali norme si dovrà giudicare se vi è stato inadempimento del contratto e quali sono i rimedi a disposizione della parte non inadempiente?
A quali condizioni una decisione emessa dal giudice inglese potrebbe essere
riconosciuta e portata in esecuzione in Italia?
In questo capitolo illustreremo la ragion d’essere del diritto internazionale
privato, ripercorreremo la storia di questa disciplina (antica quanto l’esigenza di
regolare le vicende che non si esauriscono all’interno di un unico ordinamento)
ed esporremo i princìpi generali di funzionamento del sistema.
1. Nozione della materia.
(1) Il diritto internazionale privato (cui in prosieguo ci riferiremo con l’acronimo d.i.p.) costituisce una specifica branca della legislazione e un’autonoma
disciplina giuridica, il cui proprium è la regolamentazione delle fattispecie di
natura privatistica che presentano elementi
di estraneità rispetto al territorio e/o alla popolazione dello Stato del foro o
comunque dello Stato dal cui punto di vista ci si pone per esaminare il caso
(l’Italia, per quanto ci riguarda);
e di collegamento con il territorio e/o la popolazione di altri Stati.
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Casi tipici sono quelli in cui l’elemento di estraneità/collegamento è costituito
dalla nazionalità straniera (o la residenza o il domicilio all’estero) di una delle
parti: si pensi al contratto o al matrimonio tra un cittadino e uno straniero o al
testamento con cui il de cuius dispone a favore di un cittadino italiano o di beni
situati in Italia.
Va tuttavia considerato che presentano elementi di estraneità – seppure
meno evidenti – anche le relazioni tra soggetti italiani localizzate all’estero: si
pensi a un matrimonio tra italiani celebrato all’estero (in questo caso l’elemento
di estraneità è costituito dal locus celebrationis) o ad un contratto tra italiani da
eseguire in un Paese straniero (qui rileva il locus executionis). Può poi accadere
che determinate situazioni giuridiche vengano volutamente localizzate all’estero per conseguire effetti che in Italia non sarebbero realizzabili. Si pensi al
matrimonio omosessuale concluso tra italiani in uno Stato che lo consente o all’accordo di maternità surrogata in forza del quale una coppia italiana incarica
una donna straniera di condurre per loro conto una gravidanza in un Paese che
ammette tale istituto, impegnandosi poi a consegnargli il bambino alla nascita.
(2) La ragion d’essere di questa disciplina è costituita dal carattere di naturale
mobilità delle relazioni umane che, storicamente, si sono sempre sviluppate
in modo trasversale rispetto al territorio e/o alla popolazione delle varie organizzazioni politiche territoriali (si pensi ad es. ai commerci, che erano sviluppati
già nell’antichità, ai matrimoni tra persone appartenenti a comunità diverse,
etc.).
(3) Le situazioni che non si esauriscono all’interno di un unico ordinamento
pongono i problemi che emergono nel caso riportato ad inizio capitolo:
“chi applicherà il diritto?” (problema di giurisdizione);
“quale diritto sarà applicato?” (problema di legge applicabile);
e “qual è l’efficacia, in un determinato sistema giuridico, della realtà giuridica creata in un altro sistema mediante provvedimenti della pubblica autorità?” (problema di riconoscimento).
Attualmente il d.i.p. è strutturato come un sistema integrato di norme che forniscono risposta a tutti questi problemi, mentre in passato concerneva solo le
norme sul diritto applicabile. Fino al 1995, infatti, salve alcune disposizioni previste in leggi speciali, le norme sul diritto applicabile erano contenute negli artt.
17-31 delle disposizioni preliminari al codice civile, mentre quelle sulla giurisdizione e quelle sul riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri
erano contenute nel codice di procedura civile e ricondotte al diritto processuale civile internazionale. La riforma operata con la l. 218/1995 ha esteso l’ambito del sistema di d.i.p. fino a ricomprendere tutte le norme, di diversa natura,
che regolano situazioni con elementi di estraneità.
Oggi le disposizioni sulla giurisdizione e quelle sul riconoscimento fanno
parte del sistema di d.i.p. allo stesso modo di quelle sul diritto applicabile, e
costituiscono il diritto internazionale privato in senso ampio. L’espressione
d.i.p. in senso stretto viene quindi oggi riservata alle disposizioni sul diritto applicabile.
CAPITOLO I – INTRODUZIONE AL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO
(4) L’aggettivo “privato” contenuto nella denominazione della disciplina è dovuto alla circostanza che essa regola situazioni che ricadono nell’ambito del diritto privato e vengono quindi identificate per mezzo degli istituti giuridici privatistici (successioni, obbligazioni contrattuali, diritti reali, divorzio, etc.).
L’attributo di internazionalità presente nella denominazione “diritto internazionale privato” esprime il significato comune dell’aggettivo internazionale
(“che concerne, interessa più nazioni”) e si giustifica per il fatto che la disciplina
ha ad oggetto fattispecie collegate con più ordinamenti giuridici; è però più corretto definire queste fattispecie transnazionali, poiché esse non riguardano relazioni tra Stati (internazionali: inter nationes), ma tra individui che scelgono di
operare a contatto con ordinamenti giuridici diversi (trans nationes).
L’espressione “diritto internazionale” individua l’oggetto della disciplina, non
la sua fonte; le norme di d.i.p. appartengono al diritto interno di ogni Stato, e
quindi variano da Paese a Paese, anche se un sempre maggiore grado di uniformità è garantito dall’esistenza di norme di d.i.p. contenute in trattati internazionali e in atti di diritto dell’Unione europea [infra, n. 15].
L’espressione d.i.p. del foro designa il sistema di d.i.p. vigente nello Stato del
giudice che dovrà decidere la controversia (o, più in generale, nell’ordinamento
dal cui punto di vista ci si pone per esaminare il caso).
(5) È quindi chiarito che (anche se esistono norme di d.i.p. contenute in trattati internazionali) non si debbono confondere le norme di d.i.p. con quelle di
diritto internazionale pubblico, che regolano i rapporti (non tra privati ma) tra
i soggetti della comunità internazionale (in primo luogo gli Stati).
(6) La caratteristica del d.i.p. è quella di operare come una valvola che mette
in collegamento il nostro con gli altri ordinamenti, nei modi che vedremo trattando dell’apertura ai valori giuridici stranieri [infra, nn. 10 ss.].
2. Il trattamento dello straniero.
(7) Il d.i.p. ha ragion d’essere a condizione che l’ordinamento del foro riconosca agli stranieri la possibilità di esercitare diritti e azioni. In un ordinamento
che non consentisse allo straniero di compiere attività giuridica, il d.i.p. non
avrebbe alcun ruolo da svolgere o ne avrebbe uno molto limitato (limitandosi a
regolare le relazioni tra i cittadini localizzate all’estero).
(8) Mentre altri sistemi giuridici (come quello francese e quello spagnolo)
fanno rientrare nell’ambito del d.i.p. le questioni relative alla cittadinanza e al
trattamento degli stranieri, nel nostro ordinamento la materia è regolata (al di
fuori dell’ambito del d.i.p.) da leggi speciali (come il T.U. dell’immigrazione:
d.lgs. 25 luglio 1988 n. 286 e successive modifiche) e dall’art. 16 delle disp. prel.
c.c., il quale stabilisce il c.d. principio di reciprocità: lo straniero è ammesso a
godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione che analoghi diritti
siano previsti dal suo ordinamento di appartenenza a favore del cittadino italiano; il 2° comma precisa che la regola vale anche per le persone giuridiche. Il
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principio di reciprocità è finalizzato alla ritorsione promozionale degli interessi
degli italiani all’estero (App. Milano 22 giugno 1999), ed opera sul piano sostanziale, come limite al godimento dei diritti da parte dello straniero residente in
Italia, non invece sul piano internazionalprivatistico, come limite all’efficacia
del richiamo del diritto straniero operato dalle norme di d.i.p.; è per questo che
l’art. 16 non è stato interessato dalla riforma del d.i.p. del 1995, che ha invece
abrogato le norme di d.i.p. contenute negli artt. 17-31 delle disp. prel. al codice
civile (per un raro caso di reciprocità internazionalprivatistica, vedi l’art. 5 disp.
prel. al codice della navigazione).
La condizione di reciprocità – sottoposta, in caso di contestazione, all’onere
della prova in capo a chi la invoca (C. Cass., Sent. 11 febbraio 2010, n. 3098) – postula la possibilità per il cittadino italiano di godere nel Paese straniero di diritti
e libertà analoghi a quelli che lo straniero intende esercitare in Italia, e l’assenza di discriminazioni (C. Cass., Sent. 10 febbraio 1993, n. 1681): un orientamento giurisprudenziale pone l’accento, in particolare, sull’assenza di discriminazioni per non pregiudicare i cittadini di Paesi meno sviluppati dove determinati diritti non sono riconosciuti né ai cittadini né agli stranieri (App. Roma, 22
febbraio 1989).
Il principio di reciprocità viene inteso dalla giurisprudenza come una condizione di efficacia delle norme che attribuiscono diritti agli stranieri (C. Cass.
Sez. Un., Sent. 18 marzo 1999, n. 147).
(9) Il principio di reciprocità è stato concepito come – e a nostro avviso resta –
un importante strumento di tutela degli interessi nazionali nei rapporti con gli
altri Stati, ma recentemente la sua portata è stata ridimensionata:
sia dai principi costituzionali che impongono di escludere dalla condizione
di reciprocità i diritti fondamentali inviolabili, come il diritto alla libertà personale, il diritto alla salute e all’integrità psico-fisica, i diritti della personalità e
alla vita familiare, i diritti dei lavoratori e gli altri espressamente previsti dalla
Carta Costituzionale, compreso il diritto di agire in giudizio (C. Cass., Sez. Un.,
Sent. 4 marzo 1988, n. 2265, C. Cass., Sent. 3 febbraio 1993, n. 1309, C. Cass., Sent.
7 maggio 2009, n. 10504, C. Cass., Sent. 11 gennaio 2011 n. 450, C. Cass., Ord. 2
febbraio 2012, n. 1493);
sia dalle leggi sull’immigrazione, che ammettono lo straniero regolarmente residente in Italia a godere dei diritti civili a prescindere dalla reciprocità
(C. Cass., Sent. 21 marzo 2013, n. 7210);
sia dal diritto dell’Unione europea, il quale vieta ogni discriminazione fondata sulla nazionalità (art. 18 TFUE, ex art. 12 Tr. CE).
Il principio resta quindi in vigore solo per i diritti non fondamentali, per lo più
di carattere economico: si pensi ad es. agli acquisti immobiliari, alla costituzione
di società e al tema del risarcimento del danno patrimoniale con la relativa copertura assicurativa (C. Cass., Sent. 24 giugno 2009, n. 14777) (CONETTI).
CAPITOLO I – INTRODUZIONE AL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO
3. L’apertura dell’ordinamento ai valori giuridici stranieri.
(10) Anche se – in forza della sovranità – potrebbe farlo, lo Stato non ha interesse a sottoporre alle proprie leggi e ai propri giudici fattispecie che non presentano un collegamento significativo con il nostro Paese, né a rifiutare il riconoscimento di situazioni e rapporti giuridici che si sono validamente formati all’estero in conformità a principi condivisi. Per questo il sistema di d.i.p. prevede,
a determinate condizioni e limiti, una apertura ai valori giuridici stranieri. Si
deve all’intuizione di un grande giurista tedesco dell’Ottocento, Friedrich Carl
Von Savigny, la consapevolezza che tale apertura non comporta un vulnus alla
sovranità in quanto ciascun ordinamento la stabilisce in piena autonomia [infra,
n. 40].
(11) L’apertura dell’ordinamento statale ai valori giuridici stranieri può avvenire:
mediante il richiamo di leggi straniere per la regolamentazione di fattispecie che presentano elementi di contatto più significativi con un altro Paese
che non con il nostro (es.: contratto stipulato tra un’azienda italiana e una danese per lo svolgimento di servizi in Danimarca);
mediante il riconoscimento dell’efficacia di atti e provvedimenti stranieri, previa verifica del rispetto dell’ordine pubblico e delle regole del giusto
processo;
nonché – anche se in modo meno evidente – mediante il diniego della
competenza del giudice interno a giudicare di situazioni che presentano contatti con l’Italia e/o in cui sono coinvolti soggetti italiani, se queste presentano i
contatti più significativi con un altro Paese (es.: azione di risarcimento danni
intentata da un cittadino italiano contro un operatore turistico greco in relazione ad un soggiorno turistico in Grecia).
(12) L’apertura ai valori giuridici stranieri non è però indiscriminata: il sistema di d.i.p. funziona come una valvola bi-direzionale che, a seconda dei casi,
consente la penetrazione in Italia dei valori giuridici stranieri oppure l’applicazione dei valori giuridici italiani anche a fattispecie che presentano elementi
di estraneità rispetto al nostro ordinamento. Ciò può verificarsi:
in modo fisiologico (cioè senza comportare una deroga al funzionamento
del sistema di d.i.p.), mediante attribuzione della competenza giurisdizionale ai
giudici italiani e richiamo della legge italiana nei casi in cui la fattispecie rivela con il nostro Paese il contatto più significativo [infra, n. 56], nonché attraverso la designazione diretta della legge italiana, senza passare per i criteri di
collegamento, nei casi in cui essa garantisce il risultato perseguito dal legislatore (norme di conflitto unilaterali [infra, n. 55]);
oppure mediante appositi meccanismi di chiusura dell’ordinamento
giuridico interno che, in deroga al normale funzionamento del sistema di d.i.p.,
sono volti
– ad evitare la penetrazione di valori giuridici incompatibili con l’ordine pubblico interno [infra, nn. 62, 115 ss., e 298 ss.];
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– e ad assicurare in ogni caso l’applicazione di determinate norme interne
che si impongono in ragione del loro oggetto o del loro scopo (norme di applicazione necessaria [infra, nn. 61 e 120 ss.]).
(12 bis) La possibilità di applicare il diritto straniero è però limitata al settore
privatistico. Il diritto pubblico ha invece carattere territoriale. Tutti gli Stati
tendenzialmente disciplinano le situazioni di natura pubblicistica localizzate
nel proprio territorio con norme interne, che normalmente pretendono di essere applicate anche quando le fattispecie concrete presentano qualche collegamento con altri Stati. Un’applicazione extraterritoriale del diritto straniero
può eccezionalmente avvenire con riguardo alle norme pubblicistiche che integrano la disciplina degli istituti privatistici contemplati dalle norme di d.i.p. [infra, n. 107].
4. Il sistema di diritto internazionale privato e processuale italiano:
sguardo d’insieme sulla l. 218/1995.
(13) Il testo fondamentale (anche se non esclusivo) del d.i.p. italiano è costituito dalla legge 31 maggio 1995 n. 218, che ha riformato la materia per ispirarla
ai valori accolti nell’ambito del diritto sostanziale (come ad es. il principio della
parità uomo-donna) e tenendo conto dei modelli offerti dal d.i.p. comparato e
dalle convenzioni internazionali. Con la riforma, come è esplicitato dall’incipit
dell’art. 1, il d.i.p. viene concepito come “sistema”, cioè come un insieme di
norme reciprocamente correlate e preordinate a disciplinare tutti gli aspetti –
sostanziali e processuali – delle fattispecie di carattere privatistico aventi carattere di estraneità rispetto all’ordinamento interno [supra, n. 3]. Il titolo 1o si
conclude con l’art. 2, formulato per richiamare l’attenzione dell’interprete sul
fatto che la l. 218/1995 non pregiudica le (numerose) convenzioni internazionali
vigenti in materia, con le quali perciò deve essere coordinata [infra, nn. 15 ss.].
Le norme sul diritto applicabile (sostitutive di quelle contenute negli artt.
17-31 delle disp. prel. c.c.) sono contenute nel capo 2o del titolo 3o. Si tratta, per
la quasi totalità, di disposizioni di carattere formale, le quali non dettano la disciplina sostanziale della materia regolata ma, con una tecnica particolare che
verrà diffusamente esaminata [infra, n. 50], “pongono i criteri per l’individuazione del diritto applicabile”, e sono perciò denominate norme sulla scelta di
legge o – più comunemente – norme di conflitto, in quanto figurativamente risolvono il conflitto tra gli ordinamenti astrattamente candidati a regolamentare
la fattispecie con cui sono in qualche modo collegati.
A seconda del modo di atteggiarsi, nel caso concreto, delle circostanze assunte
come criterio di collegamento, le norme di conflitto possono condurre all’applicazione, anche da parte del giudice italiano, del diritto straniero. Tale possibilità
è comunque limitata alle norme di diritto sostanziale. Il diritto processuale appartiene invece al diritto pubblico e ha carattere territoriale [supra, n. 12 bis].
L’art. 12 della l. 218/1995 stabilisce infatti che al processo si applica la legge
CAPITOLO I – INTRODUZIONE AL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO
processuale italiana, la quale contiene peraltro particolari disposizioni dettate
in considerazione del carattere transnazionale della fattispecie: ci sono, ad es.,
norme che regolano il rilascio della procura alle liti da parte del cliente residente all’estero, altre sulla traduzione degli atti, etc.
Tra le norme sul diritto applicabile della l. 218/1995 non mancano alcune,
seppur rare, disposizioni che, facendo applicazione di un metodo alternativo a
quello delle norme di conflitto, regolamentano le fattispecie transnazionali mediante una disciplina ad hoc di carattere materiale, e sono perciò denominate
norme di d.i.p. materiale [infra, n. 68].
Come si è anticipato, la l. 218/1995 ha ricompreso nel sistema di d.i.p. anche
le norme che precedentemente si trovavano sparse in diversi capi del codice di
procedura civile e che ora sono state riunite in unico testo con la funzione di delimitare “l’ambito della giurisdizione italiana” (titolo 2o) e di disciplinare “l’efficacia delle sentenze e degli atti stranieri” (titolo 4o).
La scelta del legislatore del 1995 (conforme alle soluzioni adottate in Francia,
Svizzera, Belgio e Spagna) costituisce significativa innovazione rispetto al sistema previgente, sotto la cui vigenza le norme sulla giurisdizione e sul riconoscimento erano contenute nel codice di procedura civile; la riunione in un
unico corpo legislativo (una sorta di codificazione) di tutte le norme, sostanziali
e processuali, che a vario titolo disciplinano le fattispecie di carattere transnazionale ha favorito l’acquisizione – da parte degli interpreti – della consapevolezza dello stretto nesso di interdipendenza esistente tra di esse.
Per concludere lo sguardo d’insieme sulla l. 218/1995 resta da dire che, nel
capo 1º del titolo 3º, sono state introdotte nel sistema di d.i.p. anche una serie di
regole (c.d. di funzionamento) deputate a stabilire attraverso quali modalità,
condizioni e limiti può avvenire l’applicazione – da parte del giudice interno –
del diritto straniero designato dalle norme sulla scelta di legge.
La legge si conclude con una serie di disposizioni transitorie e finali contenute
nel titolo 5º.
Per l’interpretazione della legge si rivela molto utile la Relazione ministeriale, che riprende in larga parte quella predisposta da una Commissione di
esperti nominata dal Ministro di Grazia e Giustizia: la Relazione illustra approfonditamente le linee generali dell’intervento legislativo oltre a fornire specifiche indicazioni, utili per l’interpretazione dei diversi articoli della legge.
(14) Esistono anche norme di d.i.p. al di fuori della legge 218/1995. Talvolta
esse riguardano materie che non sono ricomprese nella legge fondamentale,
come la navigazione (artt. 4-14 disp. prel. cod. nav.), l’arbitrato internazionale
(artt. 839-840 c.p.c.), le situazioni dello stato civile dello straniero in Italia e dell’italiano all’estero (d.P.R. 396/2000), il trattamento dello straniero (art. 16 disp.
prel. c.c.), il fallimento e le altre procedure di insolvenza (norme aggiunte al R.d.
267/1942) e i contratti di assicurazione (d.lgs. 209/2005); altre volte, invece, le
disposizioni extra moenia legis fundamentalis integrano la disciplina di materie
già regolate nella l. 218/1995: tra queste, rivestono particolare importanza le disposizioni che regolano l’adozione internazionale (l. 184/1983 e successive mo-
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dificazioni), le società costituite all’estero operanti nel territorio dello Stato (artt.
2507-2510 c.c.), la competenza giurisdizionale relativamente ai titoli di proprietà industriale (art. 120 d. lgs. 30/2005 e successive modificazioni), il matrimonio del cittadino all’estero e dello straniero in Italia (artt. 115-116 c.c.), le notificazioni all’estero (art. 142 c.p.c.) e le assunzioni di prove all’estero (art. 204
c.p.c.).
5. L’uniformità del diritto internazionale privato.
(15) Per evitare il rischio che le discordanze tra le varie discipline nazionali di
d.i.p. conducano a soluzioni difformi a seconda dell’ordinamento dal cui punto
di vista ci si pone (e del giudice adito), con conseguente pregiudizio della certezza del diritto, molti Stati – tra cui il nostro – si sono adoperati per favorire
l’adozione di una regolamentazione uniforme delle situazioni e dei rapporti giuridici non totalmente interni in determinate materie.
L’uniformità del d.i.p. viene promossa sia a livello convenzionale che del diritto europeo.
(16) L’uniformità convenzionale del d.i.p. può essere conseguita in tre modi:
mediante la creazione di norme uniformi sulla giurisdizione e/o sul riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri (ne era un esempio la Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale, il
riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale,
ora sostituita dal Reg. CE 44/2001 [infra, n. 19]);
attraverso l’adozione di norme uniformi di conflitto (es.: Convenzione di
Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali,
ora sostituita dal Reg. CE 593/2008);
ovvero ricorrendo alla diversa tecnica di regolare la materia con norme
uniformi di carattere materiale che pongono una completa disciplina della
fattispecie, diversa nei contenuti ma dello stesso tipo di quella stabilita dai vari
ordinamenti nazionali, cui si sostituisce, prevenendo così la possibilità del conflitto di leggi (es.: Convenzione di Vienna dell’11 aprile 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili).
Sempre più frequentemente convenzioni contenenti norme di unificazione
vengono elaborate nell’ambito di appositi enti costituiti proprio allo scopo di
promuovere le condizioni per l’armonizzazione e l’uniformità del d.i.p. dei vari
Paesi e, quindi, di favorire la circolazione delle persone, la stabilizzazione delle
situazioni giuridiche e lo sviluppo del commercio internazionale. Alcuni di questi organismi sono costituiti in seno ad organizzazioni internazionali, come la
Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (Uncitral); altri sono organizzazioni intergovernative indipendenti, come l’Istituto
internazionale per l’unificazione del diritto privato (Unidroit), la Conferenza
dell’Aja di diritto internazionale privato (che ha modificato il proprio statuto
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per consentire l’adesione, oltre che degli Stati, anche dell’Unione europea dal 3
aprile 2007), e la Commissione internazionale dello stato civile (CIEC).
Le due principali convenzioni di unificazione sono le citate Convenzione di
Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e il riconoscimento delle decisioni
e Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.
Si tratta in entrambi i casi di convenzioni stipulate tra i Paesi della Comunità
(oggi Unione) europea, la cui applicazione è stata via via estesa anche agli Stati
entrati a farne parte in epoca successiva alla loro stipulazione.
La matrice comunitaria delle due convenzioni è attestata dai Protocolli ad
esse allegati che le sottopongono all’interpretazione uniforme della Corte di
Giustizia della Comunità (oggi Unione) Europea, con possibilità di ricorso pregiudiziale dinanzi ad essa.
Nell’esercizio delle competenze conferite alla CE dal Trattato di Amsterdam
per la creazione di uno Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, la Convenzione di
Bruxelles è stata sostituita dal Reg. CE 44/2001, e la Convenzione di Roma è
stata sostituita dal Reg. CE 593/2008 [infra, n. 19]. Le soluzioni interpretative
elaborate dalla Corte di Giustizia relativamente alle due convenzioni possono
essere tenute presenti – con la dovuta cautela – anche con riguardo ai regolamenti che le hanno sostituite.
Il contenuto della Convenzione di Bruxelles è stato inoltre trasfuso nella Convenzione di Lugano del 16 settembre 1988, stipulata tra gli Stati CE e gli Stati
dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA) tranne il Liechtenstein,
che oggi è in vigore tra gli Stati dell’Unione europea e gli Stati EFTA non entrati
a farne parte (Norvegia, Svizzera e Islanda). In data 30 ottobre 2007 è stata approvata una nuova Convenzione (Lugano II) tra la stessa CE (ritenuta competente in forza di un parere della CGCE del 7 febbraio 2006), la Danimarca (che
non partecipa alle misure di armonizzazione in materia di giustizia civile attribuite alla CE dal Trattato di Amsterdam [infra, n. 19]), la Norvegia, l’Islanda e la
Svizzera, con lo scopo di allineare il contenuto della Convenzione con quello del
Reg. CE 44/2001 (che aveva sostituito, con qualche modifica, la Convenzione di
Bruxelles).
L’adattamento dell’ordinamento interno alle norme internazionali avviene
nei modi previsti dal diritto internazionale pubblico: mediante ordine di esecuzione del trattato cui, per le norme non self executing, si aggiunge il procedimento legislativo ordinario.
Alcune delle principali convenzioni internazionali verranno richiamate nella
Parte speciale, ma è importante tenere presente che il nostro Paese si è dotato
di molte convenzioni – anche bilaterali – che non possono essere qui menzionate: è quindi importante richiamare una volta per tutte l’attenzione dell’interprete sul fatto che l’operatore ha – sempre – l’onere di verificare l’esistenza di
eventuali convenzioni prima di applicare le norme della l. 218/1995, in quanto
le disposizioni convenzionali prevalgono su quelle di diritto interno, come risulta dai principi ed è esplicitato dall’art. 2 l. 218/1995; l’inciso che le convenzioni devono essere “in vigore per l’Italia” può essere utile a richiamare l’atten-
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