Fratel Ettore - Il folle di Dio

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Fratel Ettore - Il folle di Dio
Pasquale Anziliero
Fratel Ettore Boschini
Il folle di Dio
Verona 2015
Ed. camilliani.it
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Indice generale
Introduzione..........................................................................7
Seguire il Buon Dio "stressa"............................................11
La Vita..................................................................................12
Nato contadino....................................................................12
Scoppia la guerra................................................................13
Nel difficile dopoguerra......................................................14
La decisione della vita........................................................15
Una nuova avventura..........................................................16
Il “rovescio” della grande città...........................................16
Nasce il primo rifugio.........................................................18
La "benedizione".................................................................19
Come in famiglia................................................................21
Una vita spesa per gli altri..................................................22
Una giornata con fratel Ettore...........................................23
Un sole tiepido fa capolino tra le nuvole grigie..................23
In via Sammartini................................................................24
Tenere il passo di fratel Ettore............................................25
Così trascorrono i giorni.....................................................26
La personalità......................................................................27
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Un "pasticcione".................................................................27
Un uomo scomodo..............................................................28
Preso da sacro furore...........................................................29
La spiritualità......................................................................32
Innamorato di Maria di Nazareth........................................32
Per Maria a Cristo...............................................................33
La devozione al Rosario.....................................................34
Azione e contemplazione....................................................35
Il "modello" Camillo de Lellis............................................36
Fratel Ettore fondatore?......................................................36
Milano e la sua Chiesa........................................................37
L'"Angelo dell'anno"...........................................................38
Sono solo un pover'uomo....................................................39
La forza di un uomo fragile...............................................40
La "cartina di tornasole".....................................................40
Un uomo indocile................................................................41
La radice della forza...........................................................43
Il camilliano dei barboni....................................................44
I rifugi-modello...................................................................47
I Rifugi - Un tetto e un piatto di minestra...........................47
Il futuro fra continuità e novità.........................................49
Due associazioni.................................................................50
Le "nuove pennellate".........................................................51
Gli Amici volontari e “santi”.............................................53
Carla Rocca.........................................................................54
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Sabatino Jefuniello..............................................................55
Enrica Plebani.....................................................................57
Roberto Dubini...................................................................59
Francesco Bossi e Luigi Menghistu....................................59
Vite esemplari.....................................................................60
Se tutti fossero santi come lui!...........................................62
Aneddoti...............................................................................63
Fratel Ettore sarà beato.....................................................68
Bibliografia..........................................................................70
Gli ebook di www.camilliani.it...........................................71
Altri ebook disponibili solo in PDF...................................72
Credits..................................................................................73
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Introduzione
Introduzione
“Il folle di Dio”, “il prete dei barboni”, “padre dei poveri”,
sono solo alcuni appellativi che descrivono Fratel Ettore Boschini, conosciuto per la sua opera a favore dei senza fissa dimora.
La semplicità disarmante che contraddistingueva Fratel Ettore è l'insegnamento più grande, che ci costringe ad andare
alla radice dell'umano. La sua persona e la sua opera erano, e
sono tutt’oggi, una provocazione e un richiamo forte
all’attenzione e alla vicinanza al prossimo, soprattutto se debole, malato e povero.
Un suo grande estimatore, il Cardinal Martini di lui scrive:
“Ho avuto così modo di ammirare una carità, un disinteresse,
uno spirito di sacrificio veramente eroici, che non si tiravano
indietro di fronte a nessuna difficoltà. ... Un religioso così –
mi verrebbe voglia di dire “un gigante della carità” – fa onore
al Vangelo e alla bontà della nostra gente e merita che le sue
azioni e iniziative siano ricordate tra le più significative di
questi anni nel campo dell’emarginazione.
Fratel Ettore ha offerto una preziosa testimonianza di grande
umiltà, di dedizione disinteressata, di coraggio, di fede
straordinaria e di continua preghiera, d’illimitata fiducia nella
Provvidenza, di singolare amore e devozione alla Madonna,
di cui distribuiva la corona del Rosario a tutti.
Fratel Ettore era diventato una specie di «istituzione della carità verso gli ultimi, verso “gli ultimi degli ultimi”». A lui
«tutta la città di Milano e soprattutto i più poveri devono
moltissimo».”
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Introduzione
Parlare o scrivere di un santo non è facile, si rischia di ripetere agiografie già note o, peggio, di cadere in banalità. Tante
sono le sfaccettature della sua vita, o meglio della sua anima,
anche quando si è avuta l'avventura di conoscerlo e vivere
insieme qualche episodio del suo esistere tra noi.
Quest'ebook vuole essere un'agile e breve presentazione della
figura di fratel Ettore, non ha la pretesa di essere una biografia esaustiva, piuttosto sono dei frammenti della storia di un
santo che ha vissuto in un secolo furibondo.
Non ritengo di aver conosciuto a sufficienza questo mio confratello, per descriverne la vita e la spiritualità, penne più illustri ne hanno già dipinta una bella figura.
Ritengo di essere stato fortunato ad incrociare i miei passi
con i suoi.
Il mio primo incontro con fratel Ettore avvenne nel 1982, allora ero al seminarietto del Duomo di Milano, una domenica
mattina mentre ci recavamo alla sacrestia capitolare, accompagnando il Cardinal Martini che avrebbe celebrato la S.
Messa, ad attenderci c'era questo strano personaggio con una
veste nera ed una croce rossa sul petto, la statua della
Madonna di Fatima tra le braccia, e alcuni “amici”, quelli che
noi chiamiamo “barboni”. Allora il Duomo era in ristrutturazione, e in quell'area si entrava difficilmente, ma lui c'era, mi
colpì lo scambio di saluti che ebbe con il Card. Martini, capii
che dovevano conoscersi bene, e che quella figura così particolare, svolgeva un servizio importante per la Chiesa. Poi
quando nel 1987 entrai nel seminario dei camilliani gli incontri divennero più frequenti.
Nei miei anni di cappellano alla San Pio X, ho avuto l'onore
di incontrare vari personaggi della "Milano bene" che mi
hanno raccontato diversi aneddoti su fratel Ettore che hanno
caratterizzato la loro vita. Ho avuto anche l'onore di essere
cappellano di Fratel Ettore durante qualcuno dei suoi ricoveri. Diverse volte mi sono recato presso il rifugio di via
Sammartini sollecitato da una sua inattesa telefonata che
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Introduzione
diceva: "... dai vieni ho più di 100 persone che aspettano un
prete per la S. Messa". Ricordo gli anni in cui in varie occasioni sono stato ad Affori a celebrare la S. Messa prefestiva o
domenicale alle donne ucraine, russe, rumene,... che erano
giunte a Milano in cerca di fortuna per le loro famiglie.
Ricordo un dirigente del Comando dei Vigili Urbani della
zona Stazione Centrale che mi raccontava quando in alcune
occasioni fratel Ettore faceva delle processioni, alcune autorizzate altre non proprio, in quelle autorizzate veniva sempre
pianificato il percorso, i vigili tentavano di dirottarlo dalle
arterie principali, che lui aveva scelto, su strade laterali meno
trafficate e un'auto dei vigili apriva il corteo, capitava così
che qualche volta questa svoltava a sinistra come stabilito e
imperterrito fratel Ettore proseguiva dritto o svoltava
dall'altro lato, perché incurante del traffico aveva deciso così.
Ricordo ancora l'entusiasmo di Mike Buongiorno che parlando dei vari aiuto dati a Fratel Ettore descriveva la sua
disarmante semplicità e, con emozione, raccontava di quella
volta che fratel Ettore incurante del palinsesto della trasmissione fece alzare tutto lo studio e invitò il pubblico a recitare
un'Ave Maria.
Ricordo le visite di personaggi illustri e non, i medici che lo
cercavano e lui che magari aveva lasciato il ricovero per alcune ore, “cose inderogabili da fare... esco un attimo”, ...
Ricordo, quando prima dell'ultimo ricovero in S. Pio X era
giunto a Roma stremato cercando riposo e conforto in Casa
Generalizia. Vi era arrivato con una Fiat 127 scassatissima, la
lasciò parcheggiata davanti alla gradinata della chiesa di S.
Maria Maddalena, era priva della mascherina anteriore e del
paraurti posteriore, e per di più carica di bidoni del latte che
per l'occasione contenevano l'olio di Bucchianico destinato
alla casa di Seveso. Fui subito chiamato quando i carabinieri
si presentarono alla porta chiedendoci di spostare la macchina, che loro l'avevano riconosciuta (dall'immancabile statua della Madonna, posta sul tetto) ma molti turisti l'avevano
segnalata, intasando il centralino del 112, come una sospetta
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Introduzione
autobomba, era ancora alta la soglia d'allerta dopo l'11 settembre e i vari attentati che si erano susseguiti in Europa.
Poche ore dopo Fratel Luca Perletti, allora segretario generale, giunse con il referto degli esami di Fratel Ettore, i valori
così alterati consigliavano un ricovero. Forse conscio del suo
stato Fratel Ettore volle essere accompagnato a Milano ma
soprattutto voleva che qualcuno lo accompagnasse con la sua
macchina. Solo l'idea di un simile viaggio con un "mezzo”
precario come il suo mi inorridiva, per di più sapendo che
dovevo trasportare un malato non in buone condizioni. Alla
nostra proposta di un viaggio su un comodo treno la sua reazione fu quella di molte altre volte, volle fare di testa sua, fu
così che io arrivai a Milano in treno e lui vi giunse poche ore
dopo accompagnato da uno dei suoi "amici", con quella scassatissima 127 che io ritenevo non avrebbe nemmeno raggiungo il Raccordo Anulare.
Vi colsi un forte insegnamento sulla fiducia in Dio e alla
Beata Vergine che fratel Ettore nutriva in ogni momento della
sua vita.
Fratel Ettore era così un cuore grande e una testa cocciuta,
guai a tentar di fargli cambiare idea.
Non era un personaggio facile, sicuramente unico e straordinario, qualche volta indisponente, ma sempre perché prima di
tutto dava spazio a Nostro Signore e alla Madonna, che lui
era capace di vedere nei volti dei poveri più poveri.
Capite bene come questi e altri miei ricordi, le testimonianze
dei miei confratelli, non sono sufficienti a dipingere il ritratto
di un personaggio assai complesso, per questo motivo ho
attinto a diverse fonti bibliografiche per creare un'ebook agile
per tutti coloro che non ne hanno sentito parlare, oppure ne
hanno sentito parlare ma non hanno avuto la fortuna di conoscerlo, cercando, di dipingere un profilo di questo “gigante
della carità”.
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Seguire il Buon Dio "stressa"
«Vorrei convincervi che sono soltanto un pover'uomo. Un
uomo che per tutta la vita ha fatto soltanto la volontà di Dio,
spesso senza neppure rendersene conto. Dal Signore ho ricevuto grazie straordinarie, ma non posso vantarmi di aver
sempre corrisposto perfettamente alle grandi grazie ricevute» (Fratel Ettore Boschini).
Nelle ultime ore della sua vita, fratel Ettore Boschini così
confessava alla fedele collaboratrice Suor Teresa Martino:
«Devo ammettere di aver accumulato tremendi stress da contadino, e tremendi stress di lavoro a Venezia, e tremendi
stress con i poveri. Devo confessare di essere diventato terribilmente sensibile e nervoso, ma con un bacio chiedo perdono».
La spiacevole sensazione di tensione mista a nervosismo ed
angoscia, che usiamo chiamare stress, era tipica del nostro
Camilliano.
Non era il genere di vita a determinarla, ma la sua particolare
sensibilità, quel suo essere contemporaneamente sicurissimo
di quanto stava per intraprendere con decisione solitaria che
non ammetteva commenti, e la ricerca autentica e fedele della
volontà di Dio, una volontà che - per incapacità umana - non
riusciamo a vedere chiara ed univoca subito, d'un colpo, ma
comprendiamo, nella maggior parte dei casi, per gradi, un
passo dopo l'altro.
Fratel Ettore ha avuto una vita ricca di piccoli colpi di scena.
In fondo, anche in lui vi è stato un certo contenuto di “teatralità”: possedeva quello che noi chiameremmo il “senso dello
spettacolo”, la capacità di attirare l'attenzione e la simpatia.
Difficile dirgli di no.
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La Vita
Nato contadino
Nato il 25 marzo 1928 a Belvedere di Roverbella, in provincia di Mantova, un paesino della pianura lombarda, Ettore
Boschini era il primo figlio maschio di una giovane coppia di
contadini intelligenti, avveduti e in un certo senso benestanti.
Il nonno Boschini era stato il primo ad introdurre nella zona,
con successo, la coltivazioni degli alberi di pesco.
La vita tranquilla dei Boschini, quando Ettore ha appena
quattro anni, viene sconvolta da una grave carestia che li costringe a lasciare i poderi di famiglia e la casa che avevano
abitato per tanti anni, tutti insieme, per trasferirsi in una vicina contrada, Malavicina.
Com'è tipico della gente lombarda, papà Boschini non perde
tempo a piangersi addosso: si rimbocca le maniche e, insieme
con la moglie, ricomincia da capo. Nella nuova casa sono andati a vivere anche i genitori di lui, i nonni, anch'essi rimasti
senza beni. In totale, un bel peso sulle spalle di un giovane
uomo.
A dieci anni, terminate le elementari, per aiutare i suoi Ettore
viene mandato da certi parenti a Monzambano come garzone
di stalla, lavoro piuttosto duro per un bambino! Ettore sente
nostalgia acuta della sua famiglia, della mamma in particolare: una donna mite, buona, che sfacchina tutto il giorno
senza un lamento, per tener dietro alla famiglia.
Per il piccolo Ettore quei giorni sono difficili: ma non molla,
sa di essere necessario anche per far crescere i fratelli.
Un'infanzia triste, si potrebbe azzardare. Non nell'opinione di
fratel Ettore: un'infanzia povera, la definisce lui, ma non triste. Ricorda: «Eravamo molto uniti fra di noi. Solidali l'uno
con l'altro. E questo legame, anche quando ero molto gio- 12 -
La Vita
vane, mi ha sempre dato la forza di accettare le situazioni in
cui mi trovavo coinvolto».
Scoppia la guerra
I ritorni a casa erano rari, ma colmi di felicità. A Natale bastava il pranzetto speciale ammannito dalla mamma (un paio
di polli, qualche mandarino e qualche pezzo di torrone) perché tutto brillasse.
Ettore è adolescente quando scoppia la Seconda guerra mondiale. Come contadino, andava “a giornata” dove gli capitava, sobbarcandosi qualsiasi fatica pur di raggranellare qualcosa. Tempo cupo e doloroso quello della guerra: fame, paura... Per Ettore c'è un cruccio in più: aveva «perso l'innocenza
dell'infanzia» - come ha dichiarato lui stesso – ed era diventato «uno scavezzacollo». Vivendo insieme con ragazzi più
grandi di lui, nelle stalle, fra il bestiame, aveva imparato a
bestemmiare: e lo faceva di gusto. Niente più “dottrina” il
pomeriggio della domenica, ma scorrerie per i campi con i
coetanei. A soffrirne in modo particolare era la mamma, donna di sicura fede; ma anche il babbo.
Così ha raccontato fratel Ettore alla giornalista Giuliana Pelucchi (autrice della bella biografia: Fratel Ettore - Un gigante della carità, Edizioni Paoline, 2004): «Quando tornavo a
casa, mio padre e mia madre volevano che raccontassi loro
quanto ci aveva insegnato il prete. Cercavo di cavarmela inventando qualcosa. Ma i miei genitori si accorgevano delle
mie bugie e mi facevano saltare la cena». Metodi educativi
duri, che oggi farebbero sorridere ed inorridire nello stesso
tempo, ma che hanno formato personalità solide.
La fine della guerra coincide con il ritorno alla fede di Ettore,
complice un pellegrinaggio al santuario della Madonna della
Corona a Spiazzi di Caprino Veronese. Era un'iniziativa popolare, per ringraziare la Madre di Dio per gli scampati pericoli bellici. Viaggio in camion (allora niente pullman gran turismo), canti e preghiere lungo il percorso.
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La Vita
Racconta ancora Ettore: «Giunti davanti alla statua della Vergine, il posto mi aveva molto colpito e avevo provato
un'emozione strana. Che non so spiegare». Soltanto verso
sera, dopo aver partecipato a tutte le funzioni, il giovane Ettore sente il desiderio di rientrare da solo in chiesa a pregare,
rivolgendosi con fiducia e semplicità a quella che poi, nella
vita, continuerà a chiamare "cara Mamma...".
Dopo quel pellegrinaggio la vita di Ettore Boschini cambia
“da così a così”: niente più bestemmie e ripresa della pratica
religiosa: «Ho incominciato a leggere qualsiasi libro religioso
mi capitasse tra le mani. Il Vangelo soprattutto: cercavo di
comprendere gli insegnamenti di Gesù».
Nel difficile dopoguerra
Il dopoguerra è drammatico - come per la maggior parte degli italiani - anche per la famiglia Boschini. Non c'è pane per
tutti e i figli vanno a lavorare lontano da casa. Ettore va dapprima presso uno zio, poi trova una sistemazione come garzone di stalla. Le sorelline vanno "a servizio" come domestiche a Milano.
È una vita di fatiche: il fisico di Ettore comincia a mostrare le
prime crepe. Il trattamento ingiusto inflittogli dai padroni lo
induce alla ribellione: se ne va sbattendo la porta. Questo gesto dignitoso gli costerà un lungo periodo di disoccupazione.
Sarà comunque una prova che inciderà sul resto della sua
vita.
Dal punto di vista spirituale, Ettore continua la sua strada in
salita: la devozione dei “primi venerdì” del mese ispirata a
santa Margherita Maria Alacoque lo affascina. Certo, per il
garzone di stalla costretto a vivere lontano dai centri abitati,
era difficile mantenere fede alla promessa di comunicarsi
ogni primo venerdì del mese. Un giorno capita che non riesce
a raggiungere in tempo la chiesa. Ma mentre se ne torna
sconsolato all'alpeggio, fa un incontro "fatale": un uomo dalla tonaca nera, con una grande croce rossa sul petto. Era fra-
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La Vita
tel Guido Coser, il primo Camilliano che Ettore abbia mai incontrato.
La salute del giovane peggiora. Il mal di schiena che lo tormenta rivela un'ernia del disco. Al tempo non esistevano cure
chirurgiche: l'unica soluzione era l'immobilizzazione in un
pesante busto di gesso. Ettore non è ovviamente in grado di
lavorare: gli resta così molto tempo per sé, per pensare e pregare. E, non appena in grado, per occuparsi degli altri degenti
dell'ospedale in cui è ricoverato. È un primo segnale della
svolta che in seguito prenderà la sua vita.
La decisione della vita
Tornato nel calore della famiglia, comprende che il matrimonio non è la sua strada. Altro è ciò che Dio vuole da lui. Sente il richiamo alla vita religiosa. Chiede consiglio al parroco
che lo invita ad un tempo di riflessione e di preghiera, trascorso il quale Ettore decide: entrerà fra i Camilliani, perché
«aiutano i malati».
Il fisico di Ettore non è robusto; la vita del Camilliano, impegnato a seguire i malati in corsia, è tutt'altro che "riposante".
Il Padre provinciale, che deve esaminare la richiesta del giovane, è perplesso. Ma trova una soluzione: Ettore entrerà
all'ospedale Alberoni di Venezia dove si curano le malattie
ossee e dove potrà così rimettere in ordine anche la sua schiena. Potrà curare gli ammalati e nello stesso tempo anche se
stesso.
Ma la trafila non è finita: la situazione economica della famiglia diventa di giorno in giorno sempre più pesante, tanto da
consigliare il ritorno di Ettore fra i suoi per dare un mano.
Non deve, però, restarci molto a casa, perché - grazie a Dio la situazione si rimette presto in sesto. Così il 6 gennaio
1952, giorno dell'Epifania, Ettore può ripartire per Venezia,
con la benedizione della mamma, per compiere il prenoviziato e nel mese di ottobre iniziare a San Giuliano di Verona
il noviziato. Il 24 ottobre dell'anno successivo (1953), in un
clima di festa Ettore emette i voti temporanei.
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La Vita
Tornato ad Alberoni (Venezia), fratel Ettore passa di servizio
in servizio. I ricoverati sono anche giovani afflitti da distrofia
muscolare, una terribile malattia che rende inerti braccia e
gambe, talvolta anche la testa, lasciando però assolutamente
lucidi. Il dolore impotente di quei giovani è per fratel Ettore
una salutare scuola, che mette a dura prova la sua acuta sensibilità e la sua "passione" per il prossimo.
Una nuova avventura
Per vent'anni fratel Ettore vive senza cedimenti accanto ai
suoi malati con uno zelo che gli fa meritare, nel 1973, il premio alla bontà intitolato a "Giovanni XXIII". Ma dopo tutti
questi anni trascorsi ad Alberoni, un'altra svolta. Tra la fine
del '73 e l'estate del '74 fratel Ettore frequenta alla San Pio X
di Milano il corso di infermiere professionale. Ottenuto il diploma, i superiori gli propongono di fermarsi presso la Casa
di cura San Camillo per qualche mese come infermiere. Ma
nell'estate del '75 viene richiamato a Venezia, tra i suoi ragazzi “raggomitolati” di Alberoni. Un grande lavoro, quello che
il semplice ex contadino fa tra quei poveretti. Ma questa volta è allo stremo delle forze.
Chiede di essere trasferito, e viene assegnato alla casa di Predappio, dove si curano malati psichiatrici. I venticinque anni
di lavoro in corsia avevano provato il suo fisico; ora la vicinanza con i malati psichiatrici aggrava ulteriormente il malessere da cui Ettore si sentiva imprigionato.
Così viene inviato a Dimaro, in provincia di Trento. Per Ettore è come cadere dalla padella nella brace. Un mese dopo decide di ritornare a casa per recuperare il coraggio e ritemprare
le energie... Fino a quando padre Giannino Martignoni lo
chiama alla Clinica San Camillo di Milano. È il mese di luglio 1976. Inizia la straordinaria avventura milanese.
Il “rovescio” della grande città
L'esperienza precedente gli aveva lasciato insicurezze, angoscia, la paura di aver sbagliato tutto nella vita. Paura di non
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La Vita
essere capace di avere un buon rapporto con i pazienti. Paura
del giudizio di chi lavorava con lui. Da questa situazione lo
“libera” un altro fratello, Giovanni Balgera, un uomo come
lui semplice, disponibile, molto amato nella Casa di cura.
Con l'aiuto di fratel Giovanni, Ettore recupera la stima di sé,
la sicurezza.
C'è però un nuovo ostacolo. Per Ettore è logico che il malato,
oltre ad avere buone cure mediche, debba avere anche buone
cure spirituali. Questo irrita profondamente qualche collega
non credente che reagisce con violenza. Nuovo conflitto, risolto brillantemente dal suo superiore, padre Giannino Martignoni. Fratel Ettore si occuperà delle cure domiciliari ai malati la cui famiglia ne facesse richiesta. A tutti i malati fratel
Ettore dona la sua dedizione totale e la sua fede "spudorata".
Cura e prega; meglio se il malato e la famiglia si uniscono
alle sue preghiere.
Nei suoi andirivieni di famiglia in famiglia, percorrendo le
strade di Milano ad ore “inconsuete”, a fratel Ettore capita di
incontrare strani personaggi: uomini e donne senza fissa dimora, quelli che un saggio francese ha chiamato “cani perduti senza collare”. Uomini e donne con vite difficili alle
spalle, persone “normalissime” che ad un certo punto la vita
ha scaricato (oppure che hanno essi stessi “scaricato” dalle
proprie spalle una vita che non diceva loro più niente). Erano
quelli che il buon cuore milanese chiamava (e chiama) con
una certa dose d'affetto i “barboni”.
Guardando quei visi devastati, fratel Ettore si domandava
perché fossero così ridotti, quali erano le loro storie. Avrebbe
potuto mai fare qualcosa per loro?
L'idea gli viene un giorno, mentre passa davanti al dormitorio
pubblico più popolare di Milano. All'ingresso una lunga fila
di disperati, carichi di sacchetti di plastica in cui sono racchiuse tutte le loro ricchezze, che attendono l'apertura delle
porte per trovare un letto per la notte. Povera gente che durante il giorno aveva percorso le strade della città stendendo
la mano per ricevere qualche spicciolo, disperati che trova- 17 -
La Vita
vano consolazione, spesso, in un "cartone" di vino da pochi
soldi... Era l'altra faccia della città, quella che pochi conoscevano.
Nasce il primo rifugio
Il pensiero di quei poveretti praticamente perseguita fratel Ettore per alcuni mesi, fino al primo Natale, in cui decide, con
il permesso del suo superiore, padre Giannino Martignoni, di
andare al dormitorio con un po' di panettoni e di vino. È una
piccola festa..., dalla quale però uno dei poveretti sembra
escluso. Porta scarpe troppo vecchie e indurite che gli fanno
assai male. Fratel Ettore non trova altra soluzione che regalargli le proprie scarpe e calze, tornando in comunità con
quelle del "barbone"... Ma quel Natale non finisce così:
l'indomani mattina un altro religioso camilliano celebra nei
corridoi del dormitorio la prima Messa che in quel luogo fosse mai stata celebrata.
Il direttore del dormitorio, impressionato dalla commossa
partecipazione al rito degli ospiti, chiede ai Camilliani di occuparsi regolarmente dell'assistenza religiosa. Fratel Ettore
organizza, poi, la preparazione e la distribuzione gratuita di
un pasto caldo ogni sera, aiutato - in questo compito - da Sabatino Jefuniello, il primo dei "suoi" volontari, un'altra figura
straordinaria.
Era appena l'inizio di un'avventura che nemmeno la morte di
fratel Ettore ha concluso. La Stazione Centrale di Milano,
come tutte le stazioni ferroviarie delle grandi città, da sempre
era punto di raccolta di poveri e disperati d'ogni tipo. La comunità di San Camillo è vicinissima alla Stazione: qui cominciano ad arrivare poveri che vengono sfamati, forniti di
abiti e medicine. Ma non basta. Fratel Ettore prende a recarsi
nelle sale d'aspetto della stessa stazione, quelle dove si raccolgono i più poveri, con sacchi di panini e pentoloni di minestra per togliere almeno l'assillo della fame. Rimane, però,
il problema della notte, trascorsa dai più avvolti in una coper-
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La Vita
ta sdrucita o in giornali, negli angoli bui della stazione, sulle
panche dei corridoi o nei vagoni sui binari morti...
È a questo punto che balza fuori l'idea di chiedere ai responsabili delle Ferrovie se per caso non vi fosse qualche stanzone che si sarebbe potuto adibire a rifugio. Vengono offerti
due stanzoni, privi di finestre, sotto un cavalcavia, dove sopra passano i binari dei treni. Sono in uno stato pietoso, ma
in poco tempo, con tanta buona volontà e soprattutto l'aiuto
di Sabatino, fratel Ettore riesce a farne una prima "casa" per i
senza dimora.
Il 1 ° gennaio 1979 Mons. Libero Tresoldi, vescovo ausiliare
di Milano, padre Giannino Martignoni, superiore alla Clinica
San Camillo, e l'on. Vittorino Colombo inaugurano il Rifugio
di via Sammartini. La notizia che sotto i vecchi archi della
Stazione Centrale un frate ospita i poveri più poveri della città si diffonde in un baleno. Ne parlano i giornali, la radio, la
televisione. I due stanzoni diventano dormitorio, cucina, refettorio. In fondo al più grande, su una specie di rialzo, viene
allestito un altare dove quotidianamente si celebra la Santa
Messa.
Via Sammartini diventa il centro di una vasta opera di solidarietà: il bene è contagioso ed il grande cuore di Milano non
può smentirsi! Gli ospiti diventano sempre più numerosi; ai
"barboni" locali si aggiungono gli stranieri senza permesso di
soggiorno, i malati di mente che non hanno altro punto di riferimento, una piccola folla eterogenea e difficile da amministrare...
Fratel Ettore non perde il coraggio. La sua speranza e la sua
forza sono sempre il Signore e la santissima Madre sua, Maria.
La "benedizione"
Un giorno, inattesa, giunge la visita del Card. Carlo M. Martini, arcivescovo di Milano, una lunga visita, un'intera giornata che il presule vuole trascorrere fra gli ospiti, pregando
con loro, ascoltandoli con affettuosa attenzione.
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La Vita
All'ora di pranzo il Card. Martini chiede a fratel Ettore un camice bianco, come quello indossato dal Camilliano: è per
servire gli ospiti, fra i quali poi, con semplicità, resta a mangiare. Fra quei commensali c'è anche un ragazzo zairese, vispo, intelligente, al quale Martini offre una borsa di studio.
Per fratel Ettore quella visita è una benedizione ed una sorta
di conferma: cristiani, musulmani, atei..., nessuno è escluso
da quella piccola "corte" dove, dopo i disinganni, l'indifferenza, le disgrazie, c'è posto per una fraterna solidarietà.
Ad aiutare fratel Ettore arrivano nuovi volontari, gente che
prega e lavora silenziosamente. Ma presto si pongono altri
problemi. L'eterogeneità degli ospiti (uomini e donne, vecchi
emarginati, tossicodipendenti, ex ricoverati negli istituti psichiatrici, alcolisti, extracomunitari più o meno clandestini...)
non permetteva che potessero restare in quei due stanzoni di
via Sammartini.
A questo punto diventa urgente trovare altre soluzioni. «La
c'è la Provvidenza!», potrà dire fratel Ettore, come il più noto
personaggio manzoniano. Una signora di Seveso, Adalgisa
Pontiggia, offre di vendere a fratel Ettore - ma in pratica quasi li regala - uno stabile ed un terreno nella cittadina brianzola. Qui, con l'aiuto del sindaco e delle autorità comunali,
ma anche di alcuni industriali locali, nasce Casa Betania. E
dopo Casa Betania, altri rifugi dapprima in Italia e poi
all'estero, in un vero e proprio "contagio" di carità.
Fratel Ettore segue instancabile tutto e tutti, anche se la sua
salute è sempre più fragile, il suo volto sempre più segnato, i
capelli sempre più bianchi e la schiena sempre più curva e
dolente. Per i suoi ospiti non è un benefattore, è un padre ed
una madre insieme, tenero, accogliente ma anche severo educatore. Nei rifugi è proibito ubriacarsi, litigare. Ciononostante, a volte deve intervenire la Polizia per sedare piccole
risse in cui volano anche pugni e schiaffi.
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La Vita
Come in famiglia
Fratel Ettore cerca, insomma, di essere un educatore che tenta di recuperare al decoro, ad una vita normale tutta questa
povera gente. Una grande città è spesso crudele e indifferente. Fratel Ettore riesce a coinvolgere tanti fra i più fortunati, che offrono mezzi per organizzare piccole attività di
lavoro. Sono gli stessi ospiti, poi, ad essere coinvolti nella
conduzione delle case, nella preparazione dei pasti, nel riordino delle stanze, un po' come in famiglia. Ecco, fratel Ettore
vuole dare il senso della famiglia, della comunità a gente che
la vita ed i suoi disinganni costringono ad essere individualista.
«Nessun uomo deve essere solo sulla terra»: è il principio
base di fratel Ettore, perché «la vita ha senso solo se ci si accorge di chi ci sta accanto e può aver bisogno di noi». Un
principio educativo, questo, e nello stesso tempo "terapeutico".
La solidarietà di chi fornisce mezzi di sussistenza non manca
mai; diverso è per i volontari: la situazione in cui si trovano
ad operare è difficile, ed anche chi inizia con ottima volontà,
dopo un po' di tempo cede le armi. Ai già gravi problemi, negli anni Ottanta, si aggiungono anche quelli della tossicodipendenza e dell'Aids. Dopo via Sammartini e Casa Betania,
c'è il Villaggio delle Misericordie a Milano Affori; Nostra Signora di Loreto vicino a Bucchianico, patria di san Camillo;
la Sacra Famiglia a Grottaferrata (Roma). I confini d'Italia
non bastano: in uno dei suoi viaggi in America Latina fratel
Ettore scopre la Colombia con la sua capitale, Santa Fé de
Bogotà, curiosa città idealmente spaccata in due: l'una poverissima, l'altra ricchissima. E nella parte povera tanti sbandati, poveracci senza famiglia e senza tetto da aiutare, da sfamare, da alloggiare. Dunque, altri tre rifugi della Comunità
Nazareth.
La vita di fratel Ettore continua ad essere un cumulo di impegni, di preoccupazioni, di avventure umane cui danno sollievo e sostegno una fede illimitata nella misericordia del Si- 21 -
La Vita
gnore e la preghiera costante. Fratel Ettore è un innamorato
fedelissimo della Beata Vergine, della quale porta in giro, con
orgoglio, grandi statue ed immagini.
Una vita spesa per gli altri
Del suo corpo, stanco e malridotto, sembra curarsi sempre di
meno. A volte è costretto a farsi ricoverare in una delle due
Case di cura camilliane di Milano: la San Pio X o la San Camillo. Ma se qualche urgenza lo richiama, se gli è appena appena possibile, lascia il letto e corre via, con il suo viso sempre più solcato di rughe, con la sua talare nera sempre più
sdrucita.
La sua vita è una “vita spesa” senza risparmio per gli altri,
per ciascuno che può aver bisogno di lui. Ad un certo punto,
accanto a lui, il Signore mette una presenza stabile, forte e sicura: suor Teresa Martino. La sua è una vita “consumata” per
gli altri senza risparmio. Così fino all'ultimo giorno, abbandonato alla volontà di Dio e nello stesso tempo desideroso di
vivere, vivere ancora per portare avanti la sua “baracca”.
Dice infatti poco prima di chiudere gli occhi: «Se il Signore
mi dà vita, vorrei fare una grande festa il 25 ottobre del
2005» (in ricordo della sua professione religiosa).
Il povero asino si è ribellato, il povero frate si è accasciato» il
20 agosto 2004.
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Una giornata con fratel Ettore
Nonostante la fragilità fisica, le malattie, l'età, tenere il passo
di fratel Ettore durante una sua giornata sfiancava pure i più
giovani. Ecco come Renzo Agasso, in uno scritto di qualche
anno fa, racconta una giornata-tipo del Camilliano.
Balza dal lettuccio, fratel Ettore, il riposo è finito. Afferra la
tonaca nera da la croce scarlatta, la indossa in fretta e fila in
cortile.
Un sole tiepido fa capolino tra le nuvole grigie.
Si parte per Seveso, Casa Betania. La chiesa quadrata in vetro e cemento; dietro un ampio cortile, il capannone dove
dormono i poveri. Altre costruzioni, letti e brandine. Eccoli
quelli che i giornali chiamano "barboni": uomini e donne
dall'età indefinita, i capelli ingrigiti dagli stenti, dimessi ma
dignitosi, i vestiti in ordine. Fra loro s'aggirano premurosi i
volontari di fratel Ettore, accudiscono il vecchio che non si
regge in piedi, la donnetta fuori di testa, l'ex ubriacone attaccabrighe.
Arriva il Camilliano e gli si fanno intorno, lui li saluta per
nome. Passa fra i letti del dormitorio, s'informa della salute di
uno, rimbocca le coperte a un altro. Lo chiama un vecchio:
«Fratel Ettore, ho tutte le ossa che mi fanno male, non riesco
a stare in piedi».
E lui: «Guarda me, ho le ossa più malandate delle tue, certe
mattine ho paura che si rompano eppure sono qui: coraggio,
in piedi, ce la farai». E lo solleva, mentre l'altro protesta:
«No, no». Lo sostiene per le ascelle, finché il vecchio mette
una gamba dietro l'altra, e cammina. «Vieni, andiamo in salone a fare un brindisi col vino bianco e i biscotti». Corre la
voce, e si radunano tutti, arrivano i bicchieri, un vassoio di
dolci, caraffe di vino. I volontari distribuiscono la merenda
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Una giornata con fratel Ettore
imprevista, ma prima fratel Ettore, in mezzo al salone, alza le
braccia, chiude gli occhi e dice: «Innanzitutto ringraziamo il
Signore per questo giorno che abbiamo vissuto. Preghiamo
insieme: Padre nostro...».
Salgono al cielo le preghiere dei poveri. Fratel Ettore passa
fra loro a distribuire il vino. La festicciola continua, lui sparisce e ricompare diverse volte. Chiama a raccolta i suoi: «In
chiesa, è l'ora del vespro».
Entrano tutti e siedono intorno alla statua della Madonna di
Fatima. Fratel Ettore impugna il microfono e guida il canto,
rispondono le voci dolenti dei poveri, mentre l'ultimo raggio
di un pallido sole penetra dalle enormi vetrate. Tengono in
mano il libro delle preghiere. Il Camilliano parla per un poco,
poi conclude: «Ci ritroveremo ancora qui dopo cena, prima
di andare a dormire, per dire di nuovo grazie al Signore del
giorno che ci ha fatto vivere». Calano le ombre della sera sulla città della diossina. Era un luogo di morte, Ettore degli ultimi ne ha fatto un inno alla vita.
In via Sammartini
A quest'ora una lunga fila di poveri si dirige verso il rifugio
di via Sammartini. S'apre il cancelletto e tornano ad animarsi
i due immensi capannoni. Nel primo i tavoli pronti per la
cena, i letti nell'altro. Sui muri bianchi stanno scritti i dieci
comandamenti: «Non avrai altro Dio...; Onora il padre e la
madre; Non dire falsa testimonianza; Non commettere atti
impuri; Non desiderare la donna d'altri; Non desiderare la
roba d'altri». Ogni notte gli occhi dei poveri si chiudono su
quelle scritte. È il promemoria di fratel Ettore per i suoi ospiti. Dopo cena passano nel secondo capannone, il letto pulito
almeno per una notte. Nel centro dello stanzone lunghe file di
sedie rivolte verso l'altare. Sì, la camera da letto dei poveri è
anche la loro chiesa. In fondo, dietro una porta scorrevole,
s'intravede il tabernacolo sotto un'enorme scritta: «Gloria a
Dio e pace all'uomo. Ama il Signore e il prossimo». Lì si celebra la messa, di lì fratel Ettore parla, predica, prega.
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Una giornata con fratel Ettore
Al mattino via tutti, di nuovo a vagare senza meta per Milano. Chi tornerà, chi no. Nuovi poveri verranno, il rifugio non
è mai deserto.
Fuori, palpita Milano. La scritta che indica il rifugio, i vasi di
fiori e le immagini sacre, sono tracce di umanità nella metropoli indifferente. S'inseguono le automobili davanti alla casa
della speranza. In alto, sul tetto del rifugio, sferragliano e fischiano i treni in partenza e in arrivo alla Centrale. Il posto
dei poveri è un'oasi nel deserto di cemento. «Io sono il pane
della vita», ha scritto il Camilliano dentro il rifugio. Ma gli
affamati stanno fuori.
Tenere il passo di fratel Ettore...
Tener dietro a fratel Ettore, che impresa. Ha riposato un po'
alla San Pio X, dove i confratelli gli riservano una stanzetta.
Non c'è più, lo segnalano ad Affori. II Villaggio delle Misericordie è un cantiere infinito. Lui ha deposto la tonaca e indossa una maglietta bianca con la Madonna disegnata. Ci
sono i muratori, gente che va e viene, sta dietro a tutti, incita,
grida, comanda. Arriva un camion e l'autista lo insegue: «Fratel Ettore, bisogna caricare prima di sera sennò come faccio a
partire?».
«Eccomi, eccomi. Forza, Robertino! Ragazzi, venite tutti: c'è
da caricare il camion per la Bosnia».
Già, i poveri per i più poveri. «Siamo già andati più di settanta volte, laggiù hanno davvero bisogno, sono disperati,
abbiamo un carico di latte, brandine, materassi, detersivi,
forse stanotte partirò anch'io, vedremo. Forza, ragazzi, che i
poveri aspettano».
Ettore e i suoi amici piegano la schiena e in breve le ricchezze dei poveri sono sul camion, destinazione Bosnia.
Come la vedova del Vangelo, hanno dato il niente che possedevano. Fratel Ettore non si stanca di ripeterlo: «Noi siamo
ricchi». Torna dai muratori, grida ordini nel telefonino, poi
chiama tutti: «Basta, facciamo una pausa». Scompare nella
cucina, torna con un bottiglione di vino e i bicchieri di pla- 25 -
Una giornata con fratel Ettore
stica: «Beviamo qualcosa». Scherza, e il telefonino appeso
alla cintola non dà tregua. Alla fine: «Coraggio, è rimasto un
goccio di vino, chi lo finisce? Dai, Antonio, non fare il
timido: una volta ne avresti scolato un bottiglione da solo».
Una risata e via, di nuovo al lavoro fino all'ora della preghiera e della cena.
Così trascorrono i giorni...
Sul pulmino che andrà in Bosnia con il camion stanno caricando una statua della Madonna. «Lei viene sempre con
noi». Qualcuno propone: «Facciamo una foto prima di partire». «Sì, va bene, venite tutti qui. Un momento però». Fratel
Ettore scompare e torna con la tonaca nera e la croce rossa
sul cuore. Si mette in posa fra i suoi poveri. «La Madonna!»,
e corre al pulmino, prende la statua e torna tenendola fra le
braccia. «Ecco, adesso ci siamo tutti, puoi scattare».
È di nuovo sera, fratel Ettore ancora in movimento. Saluta
due giornalisti passati a trovarlo. «Avete in tasca un rosario?
No? Aspettate». Rincorre un collaboratore: «Hai un rosario?
Dammelo». Chiama una donna che porta un pentolone:
«Dammi il tuo rosario, fai in fretta». Quella estrae la coroncina bianca, e il Camilliano torna dai giornalisti: «Eccovi un
rosario ciascuno, tenetelo in tasca. E usatelo!».
Non fanno in tempo a dir grazie. La tonaca nera è già lontana. I poveri attendono.
Renzo Agasso
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La personalità
Come per i tanti fondatori di opere benefiche di cui è fortunatamente disseminata la storia italiana, anche per fratel Ettore
le realizzazioni rappresentavano uno specchio di sé, delle
proprie caratteristiche, del proprio modo di essere come
uomo e come religioso, del proprio rapporto con il Signore.
Buttare un occhio, quindi, sui suoi comportamenti serve a
comprendere meglio il senso e gli effetti sociali ed ecclesiali
delle sue realizzazioni.
Un "pasticcione"
Fratel Ettore è stato un grande realizzatore, non un grande organizzatore. Ogni sua iniziativa è nata un po' caoticamente,
spesso senza un programma preciso, ma solo come risposta
pragmatica ai bisogni che via via si andavano evidenziando.
L'intuizione diventava allora progetto concreto che si realizzava con una molteplicità di espressioni. Pensando al suo
aspetto dimesso ed alla sua semplicità, c'è una caratteristica
del Camilliano che può sembrare incredibile, mentre era invece straordinariamente funzionale: quella di aver intuito
l'aiuto che poteva venirgli dall'uso dei mass media e, quindi,
la sua capacità di “pubblicizzarsi”.
A suo modo, era un personaggio. Così lo ricorda padre Angelo Brusco, suo compagno di noviziato e poi Superiore generale dell'Ordine Camilliano: «I mezzi di comunicazione sociale non l'hanno ignorato. Ha partecipato a trasmissioni televisive di carattere nazionale con un alto indice di audience.
Ai cronisti di Milano non sfuggivano le sue iniziative e le sue
prese di posizione. Aveva facile accesso al Vaticano, sollevando tensioni presso gli uomini della sicurezza incapaci di
trattenerlo. Frequenti erano gli incontri con il Card. Martini
che... aveva colto la bontà della persona e dei progetti di fra- 27 -
La personalità
tel Ettore, anche se non ne ignorava la singolarità dei modi...
Non vi sono dubbi che fratel Ettore volesse essere visibile,
sbandierando le imprese compiute e i riconoscimenti ricevuti... Non solo aderiva ad ogni proposta di intervista, ma
spesso era lui stesso a sollecitare i giornali a interessarsi su
quanto egli compiva, attirando spesso l'accusa di protagonismo e narcisismo».
In questa situazione, non potevano mancare le critiche da diverse parti. La visibilità lo faceva tacciare di protagonismo; il
suo modo di aiutare i poveri era criticato come forma di assistenzialismo poco incisivo per la risoluzione dei problemi sociali... Una critica, quest'ultima, che veniva rivolta anche ad
altri soggetti, come Madre Teresa di Calcutta, come Marcello
Candia, l'industriale milanese che aveva utilizzato ogni sua
ricchezza per aiutare i poveri più poveri del Brasile... Anche
le processioni cittadine da lui organizzate, la distribuzione a
piene mani di rosari e immaginette facevano arricciare il
naso.
Perfino le relazioni con i confratelli Camilliani erano spesso
problematiche, anche se i tre Superiori generali con i quali
fratel Ettore ha avuto a che fare «non hanno avuto esitazioni
nel riconoscere la validità del particolare modo con cui egli
interpretava e realizzava il carisma dell'Ordine».
Un uomo scomodo
Più problematico il rapporto con il Provinciale ed i superiori
della comunità cui apparteneva. A questo proposito, testimone fedele e obiettivo è padre Brusco, il quale afferma: «I
loro interrogativi e le loro reazioni erano ben comprensibili
se si tiene conto che fratel Ettore muoveva le sue pedine
creando continuamente sorprese cui essi, come pure i confratelli della comunità, dovevano far fronte. Il suo modo di
osservare l'obbedienza e la vita comunitaria (non quella fraterna!) - che andava fuori dagli schemi ordinari -, come pure
l'appellarsi ai superiori maggiori o al padre spirituale per giustificare certe sue scelte, non era senza ripercussioni sui suoi
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La personalità
superiori immediati... Chi vedeva fratel Ettore da lontano, e
non capiva il suo sogno, non poteva non essere influenzato
negativamente da questi e altri aspetti, certamente creatori di
disagio, ma di secondaria importanza se visti nell'insieme
della sua vita ed attività». Come ha affermato padre Frank
Monks, quando era Superiore generale dell'Ordine, fratel
Ettore «suscitava reazioni positive e negative, perché l'uomo
di Dio non sempre è capito da tutti. Non era sempre facile
comprenderne il pensiero, perché i santi non pensano sempre
a modo nostro».
Fratel Ettore è stato certamente un uomo scomodo non soltanto per l'Ordine religioso cui apparteneva, ma per l'intera
comunità civile: il suo operare era allo stesso tempo critica
feroce per le negligenze nei confronti di chi è considerato
"diverso", ed invito pressante a cambiare rotta, ad intervenire, a sporcarsi le mani con chi la società cerca di rifiutare e,
a volte, nascondere.
Fratel Ettore era consapevole - in certo senso - di questo suo
modo di essere. Un giorno ebbe a dire: «Penso che quest'opera per gli ultimi, i diseredati, gli emarginati, sia stata proprio
voluta dal Signore. Egli fa cose ben più grandi anche solo
con una mascella d'asino, dunque perché stupirci se ha fatto
queste belle cose con un poveraccio come me?».
Ed è vero. Dio non sceglie, per le sue opere, i migliori - dal
punto di vista umano - i più dotati, i più attrezzati culturalmente e spiritualmente. È Pietro, povero pescatore, uomo
rozzo, persino traditore del Maestro, che Gesù sceglie per
guidare la sua Chiesa!
Non c'è da meravigliarsi, dunque, se per avviare una grande
opera benefica Dio abbia voluto "incaricare" un santo "pasticcione" come fratel Ettore.
Preso da sacro furore
«Per rimanere con i più poveri tra i poveri, bisogna avere
una grande voglia di lottare. Io combatto e combatterò finché il Signore mi lascerà un briciolo di energia, per marciare
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La personalità
con gli ultimi e prendermi sulle spalle la loro croce» (Fratel
Ettore Boschini).
Non contento di assistere gli emarginati e i senza tetto di Milano e dintorni da tempo andava frullando nella mente di fratel Ettore l'idea di allargare il raggio d'azione dove gli "ultimi" e i cenciosi sono una moltitudine. Così, ascoltando la
voce del cuore, nel mese di luglio del 2000 è partito per
l'America Latina: destinazione Bogotà, capitale della Colombia, costantemente stretta nella morsa dell'indigenza e dove la
"vita" non è tenuta in nessuna considerazione.
Preso da sacro furore e in compagnia dell'inseparabile statua
della Madonna, arrivato nella grande città, dopo pochi giorni
riesce a raggiungere un accordo con il proprietario dell'unica
casa disponibile situata nella Plaza Santa Maria de las Cruces, quasi all'ombra dell'imponente chiesa omonima e a pochi
passi dal Seminario camilliano, per dare un tetto ai primi
ospiti che raccoglie dalla strada. Non importa che al momento la casa fosse poco più che fatiscente, che avesse bisogno di
restauri prima di essere abitata. Fratel Ettore è abituato a non
andare troppo per il sottile quando è nell'emergenza. Se il risultato estetico non è dei migliori, non fa niente, l'importante
è dare un tetto a chi è nella necessità.
Subito si dà da fare, rimbocca le maniche, s'improvvisa muratore per dividere gli spazi, aiutato dai giovani studenti camilliani del seminario. Come al solito pare non aver bisogno
di progetti per dare un po' di decoro a quello che dovrà diventare il cenacolo dell'accoglienza: gli basta poco. Sfamare,
curare i malati, andarli a cercare, lavarli, vestirli è da sempre
la sua passione. I suoi ospiti sono persone rifiutate che hanno
fallito la scommessa con la vita e non hanno altro posto dove
andare. La promozione umana resta l'obiettivo principale per
alleviare la loro disperazione e riportarli ad un livello di vita
dignitoso.
Un obiettivo talvolta impossibile quando le richieste superano le capacità di aiuto e quando troppe mani si tendono
insieme a chiedere ciò che le forze di un uomo solo non
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La personalità
hanno la possibilità di donare. Ma la fiducia non gli ha mai
fatto difetto e il coraggio di sperare nemmeno. Ha già subìto
anche l'esperienza della violenza, è stato picchiato per non
aver ceduto il cellulare a un gruppo di disperati la notte che
accompagnava all'ospedale un disgraziato. E gli è andata
bene, cavandosela solo con qualche ammaccatura. Però ha
potuto rendersi conto che le notti di Bogotà sono un po'
diverse da quelle di Milano già di per sé tristi, e che la vita di
una persona in certe circostanze può valere molto meno di un
cellulare.
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La spiritualità
Innamorato di Maria di Nazareth
«Vorrei dire a tutti che con l'aiuto di Dio e l'amore della Vergine nessuno potrà mancare di compiere il proprio dovere
cristiano. Nulla è impossibile a Dio, disse l'Angelo a Maria
al momento dell'Annunciazione. Così capiterà anche a noi se
con la fede della Vergine diremo si alle varie richieste di
Dio» (Fratel Ettore).
La devozione per la Vergine è stata il dato distintivo di fratel
Ettore, una devozione "spudorata", irrefrenabile, coinvolgente. La sua preghiera preferita era il rosario, che recitava
come un innamorato recita versi alla sua bella.
A volte girava con agganciata al tetto della sua autovettura, a
dire il vero un po' sgangherata, una grande statua della Madonna che veneriamo a Fatima. E nessuno poteva fare a
meno di notarlo. In chi non lo conosceva, questo modo di
fare poteva suscitare ilarità, stupore. Ma non appena gli si
parlava, non si poteva fare a meno di lasciarsi trascinare nel
vortice del suo stesso innamoramento, forse un po' esagerato.
«Evidentemente le statue non erano che un segno del suo
profondo amore per la Madre del Signore che si esprimeva
nello sgranare rosari e nel cantare toccanti canzoni. Nella devozione verso la Vergine Immacolata la sua spiritualità acquistava toni fortemente affettivi. Tra tutti i santuari, lo attirava
maggiormente quello di Fatima, forse per gli accenti di riparazione che permeano i messaggi rivolti dalla Vergine ai tre
giovani veggenti» (A. Brusco, Con tenerezza di madre e cuore di profeta, Vita Nostra n. 247, luglio-settembre 2004).
Per fratel Ettore, Maria era "la mamma" del Salvatore e sua,
e di tutti gli uomini e le donne del mondo. In questo modo
non perdeva mai di vista il Cristo Gesù; e la misericordia del- 32 -
La spiritualità
la Madre era la traccia che lo conduceva al cuore misericordioso del Figlio. Maria, per fratel Ettore, non era mai separata dal Figlio, ragione della Sua stessa vita e ragione di vita
anche del discepolo Ettore. Infatti, è nel discepolato fedele di
Maria che Ettore trova la strada del suo discepolato; è nel
cuore misericordioso della Madonna che Ettore trova il "modello" del suo agire per gli altri, per i poveri, per i "dimessi"
dalla società.
Per Maria a Cristo
Maria e Gesù: il binomio fondamentale che ha guidato tutta
la vita di fratel Ettore. Maria e Gesù: protagonisti di un amore che Ettore non voleva tenere per sé, ma voleva che altri
sentisse intorno alle proprie spalle, come scudo e baluardo,
come "coperta" che difende e protegge dal freddo del male. Il
suo modo di testimoniare la profondità di questi moti precisi
e profondi dell'animo, era semplice, spontaneo, quasi fanciullesco, come il suo modo di essere. Distribuiva rosari e immaginette del Sacro Cuore senza risparmio e senza curarsi troppo se chi le riceveva era credente o no. In fondo Ettore credeva nella forza evocativa delle immagini che non potevano
non smuovere i cuori, che un giorno o l'altro non potevano
non interrogare le coscienze. Poi, se nulla succedeva, beh, allora non era affar suo ma del Signore!
Scrive ancora, nel saggio sopra citato, padre Angelo Brusco
che ha accompagnato per un tratto il cammino di fratel Ettore: «Ciò che ha confermato in me la certezza della sua profonda vita nello Spirito è stata la continuità del suo slancio
spirituale: nei momenti belli come in quelli oscuri e drammatici, si esprimeva nella preghiera costante, nell'offerta della
propria sofferenza, nell'azione di grazie. Sul suo modo di pregare e di far pregare si poteva anche discutere e certe pratiche
e manifestazioni si prestavano facilmente alla critica. Ciò
che, però, non poteva essere negato, era l'autenticità dei sentimenti che lo muovevano».
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La spiritualità
La devozione al Rosario
La vita nello Spirito di fratel Ettore è stata anche la manifestazione della sua paternità; un "senso della paternità" che
egli ricavava dall'attenzione al Vangelo, Parola letta, meditata, adorata e proclamata con la forza del testimone verace.
Quindi Parola tradotta in gesti usuali. Parola "mangiata" ogni
giorno nel pane e nel vino eucaristici.
Anche il Rosario, quasi un "biglietto da visita" del Camilliano, era un percorso breve nella storia della salvezza, alla
scuola del Maestro, la cui vicenda è interamente rivissuta nei
Misteri.
Nel Rosario fratel Ettore riviveva la vita di Gesù e Maria,
sentiva la voce dello spirito, s'inginocchiava davanti alla misericordia del Padre. Era il suo "breviario", la sua consolazione. Per questo non lo teneva soltanto per sé: come
"oggetto evocativo" regalava una coroncina a tutti quelli che
incontrava per dire loro il bene di Maria e Gesù.
Il Card. Tettamanzi nell'omelia per le esequie disse: «Mi pare
che la testimonianza di fratel Ettore sia inconfutabile: lui ha
creduto a queste parole, e le ha rese "carne della propria carne e sangue del proprio sangue". Si è fatto ultimo con gli ultimi. Non li ha solo "accolti". Li ha anche "cercati", cercati per
amore e per fede, come immagini vive e palpitanti del Figlio
di Dio fattosi uomo e resosi misteriosamente presente in ogni
povero e sofferente, in quanti hanno fame e sete, sono forestieri e nudi, malati e carcerati» (cfr. Matteo 25, 35ss).
«"Padre dei poveri", così qualche giornale ha definito fratel
Ettore. Per la verità, c'è da dire che la Bibbia riferisce questo
appellativo solo a Dio, il Pater pauperum per eccellenza. Ma
fratel Ettore è stato, con tutta la sua carica di umanità e per
un dono grande di Dio e del suo amore, una trasparenza particolarmente luminosa, credibile ed efficace dell'infinita, misericordiosa e compassionevole paternità di Dio».
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La spiritualità
Azione e contemplazione
L'azione, anche frenetica, in fratel Ettore nasceva dalla contemplazione, non fatta nel segreto di un tempio, ma per le
strade, nella vita convulsa delle grandi città. Scrive padre
Brusco: «Non vi sono dubbi che la sua carità verso i poveri e
gli ammalati non poteva che nascere da un cuore abitato
dall'amore del Signore. Pensando a questo mi è venuta in
mente l'immagine del razzo che Urs von Balthasar usa per
descrivere il duplice movimento spirituale della vita cristiana
e che, a mio parere, ha trovato una bella realizzazione
nell'esistenza di fratel Ettore: "Ripido vola il raggio di fuoco
dell'amore verso il cielo, si concentra, scoppia (nell'attimo
dell'estasi), e mille scintille discendono rapide e sempre più
rapide verso la terra: Dio manda te, lacerato a pezzi, ti rimanda ai suoi fratelli"».
L'immagine di von Balthasar è suggestiva. Ma fratel Ettore
non avrebbe mai pensato di esserne una realizzazione vivente. Il suo vivere nello Spirito aveva i toni della semplicità,
della sapienza del cuore che a volte ignora le profondità teologiche. Il suo sogno era di spartire con chi incontrava, non
soltanto la vita materiale, ma proprio quella vita nello Spirito
di cui egli stesso si nutriva. Scrive ancora padre Brusco:
«Nelle iniziative di carità egli puntava non solo a salvaguardare la dignità delle persone, ma anche a promuovere la loro
salvezza, appellandosi alla misericordia divina. La filantropia
diventava così carità non solo perché motivata soprannaturalmente, ma anche perché mirava alla realizzazione completa
della persona, destinata alla salvezza».
Certo, i suoi modi di fare non erano esenti da critiche. «Da
alcuni è stato notato che egli forzava un po' troppo nello stimolare i suoi poveri, e non solo quelli, alla conversione. Anche in quei casi erano il suo stile e la sua personalità che davano toni e accenti particolari a un'intenzione di grande autenticità. Nel suo amore a Cristo misericordioso vi era anche
quella dimensione riparatrice rintracciabile nella maggior
parte delle anime mistiche, così profondamente unite al Si- 35 -
La spiritualità
gnore da avvertire l'ansia di riparare le offese che vengono
fatte all'oggetto del proprio amore» (padre Angelo Brusco).
Il "modello" Camillo de Lellis
Nei visceri materni di Maria fratel Ettore trova la risposta
alle sue domande di redenzione universale, trova la realizzazione del suo sogno.
Maria è amata da fratel Ettore perché, Madre del Signore, è
la stella polare di san Camillo de Lellis, di cui aveva attentamente studiato la biografia e gli insegnamenti, cercando di riprodurne, nella propria vita, i tratti caratteristici. «Del Fondatore egli ha imitato in modo particolare l'amore verso gli ultimi, la mobilità che gli consentiva di correre là dove
emergevano bisogni urgenti, la visione di fede che lo portava
ad inginocchiarsi davanti al malato. A volte... mi è sembrato
di notare in fratel Ettore un certo mimetismo, cioè la volontà
di fare propri in maniera un po' studiata gli atteggiamenti
puntuali di san Camillo. Ciò, tuttavia, non toglieva nulla alla
sua sincera volontà di fare del Fondatore un modello di vita»
(A. Brusco, op. cit.).
Fratel Ettore fondatore?
Fratel Ettore aveva il senso dei suoi limiti, ma desiderava che
le sue opere non cadessero nel nulla una volta che lui fosse
scomparso. Uno dei suoi progetti era quello di fondare un
istituto religioso come diretta derivazione dalla sua spiritualità e - è lecito supporlo - ispirato da una visione di Maria
come Madre della Chiesa, di una comunità, quindi. Non si
può, allora, pensare a fratel Ettore senza occuparsi di
quest'altro suo sogno, che soltanto parzialmente si realizzerà.
Nello spiegare i motivi della parziale realizzazione ci viene
ancora in aiuto padre Angelo Brusco: «Nel tentare di realizzare tale progetto egli ha proceduto con quel tipico disordine
che spesso caratterizzava le sue iniziative. Forse era sua convinzione che avrebbe potuto raggiungere quell'obiettivo
come era stato capace di creare, una dopo l'altra, le sue case
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La spiritualità
di accoglienza. Purtroppo ha dovuto scontrarsi con una realtà
diversa: le norme canoniche assai precise, la difficoltà della
promozione vocazionale, la mancanza di risorse formative
per gli eventuali candidati... Il suo stesso modo di procedere
spesso affrettato e, qualche volta anche semplicistico, non gli
è stato di aiuto. Dopo aver pensato a un istituto di uomini e di
donne, ha optato per accogliere unicamente donne. Non
essendovi vocazioni in Italia, ha tentato la via della Colombia, sperando di portare in Italia un numero significativo di
donne aperte a questa vocazione. L' impresa non poteva evidentemente avere successo, perché una vocazione alla vita
consacrata ha bisogno di essere coltivata e verificata con un
serio discernimento... ».
La continuità dell'opera di fratel Ettore è stata comunque assicurata, perché in parte il suo sogno di "fondatore" si è realizzato in suor Teresa Martino.
Milano e la sua Chiesa
Milano è una città "stravagante". Apparentemente i suoi abitanti sono travolti da una frenetica attività, che dà pochi spazi
al riposo e non ne riserva affatto alla riflessione, tanto meno
alla spiritualità. Una città percorsa dal desiderio di fare soldi,
i mitici "dané", di accumulare potere, di vivere alla grande
occupandosi unicamente della propria immagine.
Tutto questo è vero, Milano ed i suoi abitanti sono in gran
parte così. Ma la Milano col "coeur-in-man", con il cuore
nelle mani, generosa, attenta, non è stata sepolta dall'arroganza e dall'indifferenza, esiste, e come se esiste! È una città,
come ha affermato il suo arcivescovo - il Card. Dionigi Tettamanzi - nell'omelia ai funerali di fratel Ettore, «che ha le sue
contraddizioni, come peraltro avviene per tutte le grandi e
moderne città, ma che si presenta come estremamente vivace,
dinamica e operosa nel volontariato nei riguardi dei poveri,
dei deboli, degli anziani, dei malati, dei diseredati e
disperati».
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La spiritualità
È questa la Milano che ha amato fratel Ettore, che gli ha dato
sostegno finanziario e morale quasi da subito, la stessa Milano dove - alla fine dell'Ottocento - cattolici e socialisti facevano a gara nell'aiutare quei diseredati che un secolo dopo
fratel Ettore avrebbe fatto diventare suoi fratelli. È questa la
Milano alla quale fratel Ettore “ha fatto scuola”. Quante istituzioni e quante persone hanno accolto la sua lezione di
carità e l'hanno seguito e aiutato! Lo spontaneo afflusso alla
sua salma da parte di tante persone d'ogni ceto sociale, d'ogni
paese e d'ogni fede, è una splendida testimonianza».
L'"Angelo dell'anno"
Una testimonianza andata oltre la morte: infatti la "Milano
solidale" ha conferito un premio speciale "alla memoria" a
fratel Ettore. Ogni anno la città festeggia i propri campioni di
generosità con un premio dal titolo evocativo: Angelo
dell'anno, consegnato a coloro che si sono segnalati nel servizio del prossimo. Giunto alla sua sesta edizione, nel 2005 ha
insignito fratel Ettore di questo speciale riconoscimento.
Nella cerimonia di premiazione l'applauso più lungo e commosso è stato riservato proprio al Camilliano. Così ancora
una volta è emerso il volto bello e generoso della città.
Perché proprio fratel Ettore? Perché è stata la sua semplicità,
la sua fede "gridata" a coinvolgere anche i cuori più duri, a
risvegliare le coscienze.
L'ha sottolineato lo stesso Card. Martini che ha sempre apprezzato e sostenuto fratel Ettore. Così Martini ha scritto al
suo successore, Dionigi Tettamanzi, non appena appresa la
notizia della morte del religioso camilliano: «Ho avuto modo
di ammirare una carità, un disinteresse, uno spirito di sacrificio veramente eroici, che non si tiravano mai indietro di fronte a nessuna difficoltà. Un religioso così - mi verrebbe voglia
di dire "un gigante della carità" - fa onore al Vangelo e alla
bontà della nostra gente e merita che le sue azioni e iniziative
siano ricordate tra le più significative di questi anni nel campo dell'emarginazione».
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La spiritualità
Sono solo un pover'uomo...
Anche fratel Ettore era conscio del suo "debito" verso la Parola, perché così si era più volte espresso: «Vorrei convincervi che sono soltanto un pover'uomo. Un uomo che per
tutta la vita ha fatto soltanto la volontà di Dio, spesso senza
neppure rendersene conto. Dal Signore ho ricevuto grazie
straordinarie, ma non posso vantarmi di aver sempre corrisposto perfettamente alle grandi grazie ricevute. Questo lo
dico perché nessuno, ripeto nessuno, anche l'ultimo dei miei
ospiti, si senta inferiore a me o possa pensare di non poter
fare anche lui cose simili a quelle che io, per grazia di Dio e
per lo straordinario amore della Madre, ho compiuto...».
In ordine di tempo, in questo nostro tempo così tormentato e
affascinante, fratel Ettore è l'ultimo esempio della predilezione divina per i semplici, il "segno" attuale della parola di
Gesù che ringrazia il Padre perché non ai sapienti ed ai potenti, ma ai piccoli ed agli umili rivela sé e il suo mistero.
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La forza di un uomo fragile
«Se dovessi raccontare della mia salute, vi trovereste a dover
credere che in tutta la mia vita per ben pochi giorni ho goduto di totale salute. Posso dirvi che la sofferenza non mi ha
mai abbandonato. Ma ho accettato tutto con serenità perché
a grandi grazie di Dio fanno sempre da contrappeso grandi
croci» (Fratel Ettore).
Vorrei dire a tutti che con l'aiuto di Dio e con l'amore della
Vergine nessuno potrà mancare di compiere il proprio dovere
di cristiano. La fede, la speranza e la carità sono le tre virtù
che convivono. Nulla è impossibile a Dio, disse l'angelo a
Maria al momento dell'Annunciazione. Così capiterà anche a
noi, se con la fede della Vergine diremo sì alle svariate richieste che Dio ci fa ogni giorno. Anche se queste richieste richiedono umiliazioni, fatica, dolore, morte».
Così ha detto di sé fratel Ettore. Ed è vero: era un uomo fragile, dalla salute malferma fin dalla giovinezza. Ma questo
non gli ha impedito di lavorare, di impegnarsi fisicamente
fino alla fine, senza risparmio. Lo sanno bene i suoi confratelli delle Case di cura milanesi San Pio X e San Camillo, che
l'accoglievano con fraterno amore tutte le volte che il suo fisico cedeva. Che s'arrabbiavano anche (e poi cedevano le
armi), ogni volta che quel loro "matto" fratello si alzava, si
rivestiva e se ne andava senza che i medici gliene avessero
dato il permesso, perché c'era qualche situazione da sistemare, qualche povero da "riscattare".
La "cartina di tornasole"
Si dice che la morte è la cartina di tornasole della vita, vale a
dire la riprova di come si è vissuto: chi ha vissuto bene, muore anche bene. E morire bene non è uguale a non aver paura
della morte, a non soffrire nel sapere di lasciare la vita. Mori- 40 -
La forza di un uomo fragile
re bene è "morire da vivi" - come ha detto un filosofo -, è
morire avendo accolto e consumato in pieno tutta la propria
esistenza.
Per chi crede in Gesù, il Cristo di Dio, morire bene è morire
nella consapevolezza di fare la volontà del Signore, di accoglierlo senza riserve anche negli estremi istanti. È la coscienza che non da noi viene il bene, ma dal Signore che si serve
di noi per essere visibilmente presente nella storia, nella quotidianità.
Morire bene per il cristiano è morire come il Crocifisso, che
vive fino all'ultimo la sua umanità totale, così "totale" da accogliere il senso dell'abbandono perfino del Padre («Dio mio,
Dio mio, perché mi hai abbandonato... »). È quindi lasciarsi
purificare, nell'ora della prova, dalla paura, dal dolore stesso.
Nell'omelia funebre di fratel Ettore il Card. Tettamanzi ha
così commentato: «Il Signore che l'ha purificato in continuità, attraverso le tante prove e sofferenze della vita - quelle
morali, in particolare - e che ha portato a compimento questa
purificazione con la leucemia che ha consumato il fisico di
fratel Ettore, ma non la sua volontà e passione di vivere e di
vivere per gli altri, il Signore lo accolga ora - misericordioso
e benigno - nella pace imperturbabile e nella gioia piena di
quel Regno ch'egli riserva ai suoi servi buoni e fedeli. A fratel Ettore, che non si è mai risparmiato nel dare il cibo e la
casa a tanti poveri, Dio doni il cibo che non perisce - quello
della vita eterna - e doni la sua casa, ossia il suo stesso cuore,
come luogo di protezione, di amore e di beatitudine».
Un uomo indocile
La sofferenza è stata assidua compagna di fratel Ettore per
tutto il corso della sua vita: ogni tanto era costretto a rallentare il ritmo della sua attività per prendersi cura della sua
salute. Cosa che avveniva, naturalmente, presso le Case di
cura camilliane.
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La forza di un uomo fragile
Non nascondeva mai il peso della sofferenza, ma la univa
sempre a quella del Cristo Gesù da cui si attendeva grazie per
le prove subite.
Anche quando stava male, i tratti fondamentali del suo carattere, la sua ferrea volontà non mancavano di mostrarsi. Dice
padre Brusco: «Nella malattia si mostrava spesso indocile,
contravvenendo facilmente alle direttive dei medici e del personale infermieristico». Uomo semplice, fratel Ettore, ma
certamente dotato di un carattere tenace, di una volontà di
ferro, che la certezza di essere dalla parte del Signore rendeva ancora più forte.
Tutti, a Milano, anche i più lontani dalla fede in Cristo, hanno rispettato e amato quest'uomo dolce e violento insieme,
violento della violenza di chi è sicuro nella propria fede. Tutti
a Milano, alla sua morte, abbiamo pensato di avere un "santo" in più in cielo, che possa intercedere per il bene della città, dei cittadini, soprattutto dei più poveri.
L'ha riconosciuto anche il Card. Tettamanzi che ha affermato:
«Sì, noi vogliamo pregare per fratel Ettore. Ma sentiamo che
è soprattutto lui che ora può e vuole pregare per tutti noi, per
tutti i poveri e i sofferenti che ha incontrato, per tutti i poveri
e i sofferenti che continuano ad abitare le nostre città e i nostri paesi. Lui è nell'intimità gioiosa di Dio, ma il suo cuore
ha impressi indelebili i segni del tanto dolore quaggiù incontrato e consolato. Preghi, allora, perché il Signore faccia sentire a tutti i poveri, gli emarginati e sofferenti della vita e a
tutti quelli che hanno perso la speranza, che lui, fratel Ettore,
non li ha affatto abbandonati e che altri - con il loro impegno
di assistenza, di cura e di affetto - continueranno a rivelare il
volto di un Dio amico dell'uomo, di un Padre che non dimentica nessuno dei suoi figli. La nostra preghiera e quella di fratel Ettore sono, per tutti noi, una straordinaria professione di
fede nel significato, misterioso sì ma consolante, che per i
credenti in Cristo ha la morte. Essa, in realtà, non spezza i legami, non cancella la comunicazione, non spegne il dialogo
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La forza di un uomo fragile
dei pensieri e degli affetti tra quanti si trovano sulle due diverse sponde dell'unico grande fiume della vita!».
La radice della forza
Quale eredità lascia fratel Ettore? Lo spiega ancora il porporato di Milano: «Questa è la stessa eredità che, per primo,
fratel Ettore ha attinto, a piene mani, dalla Parola di Dio, luce
e forza della sua vita, nei suoi gesti grandi e piccoli, noti e
sconosciuti. È l'eredità attinta soprattutto dal Vangelo, da quel
Vangelo vivente e personale che è Gesù Cristo stesso, Gesù
crocifisso che dona tutto se stesso per amore. Oh, quella croce rossa che lui, figlio di san Camillo, con semplicità e fierezza ha sempre voluto mostrare a tutti! Non è forse il segno
più eloquente e forte che è lì, soltanto lì, nel Corpo dato e nel
Sangue sparso del Signore sulla croce, la sorgente e la forza
per una vita di dedizione instancabile e disinteressata ai poveri e agli afflitti, quale è stata la vita di fratel Ettore?».
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Il camilliano dei barboni
Così ricorda l’impegno di fratel Ettore, quello che è stato a
lungo il suo superiore, padre Giannino Martignoni, che per
una dolorosa coincidenza morì, inaspettatamente, il 21 agosto
2004, il giorno dopo fratel Ettore.
«… Vagabondi di elezione o sbandati senza dimora, poveracci dalla nascita o falliti della vita per cause varie, uomini e
donne, ragazzi, giovani, adulti, anziani; milanesi o immigrati
da ogni parte d’Italia; stranieri di razze varie, capitati a Milano più o meno clandestinamente; persone separate dal coniuge o dalla famiglia, o coppie irregolari; gente sfiduciata, gente disperata, gente alla ricerca di ogni mezzo per sopravvivere o che ha tentato la fuga nell’alcool o nella droga.
In comune, questa variegata popolazione aveva la miseria e
la solitudine; aveva il bisogno elementare di un pezzo di
pane, di un letto e un giaciglio per la notte, di cambiarsi gli
indumenti e lavarsi dopo mesi che non lo poteva fare.
Uomini e donne che non pretendevano altro che un aiuto materiale e, avendo perso ogni considerazione di se stessi, non
si sognavano neppure che qualcuno potesse dare loro un po’
di attenzione e di calore umano.
Fratel Ettore li ha raccimolati qua e là, alcuni incontrandoli
per caso lungo le strade della città, altri andandoli a scovare
negli angoli o nelle sale d’aspetto della Stazione Centrale. A
ciascuno diceva: «"Amico, vieni con me a prendere qualcosa
di caldo…»".
Parecchi di loro li aveva visti più volte al mattino spintonarsi
in disordinata fila davanti alla porta della casa religiosa di
Via Boscovich per ricevere un paio di panini e un frutto, o ripresentarsi al pomeriggio per vestiti e medicine.
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Il camilliano dei barboni
Più di una volta fratel Ettore s’era prestato a questo servizio.
Ma aveva constatato che ciò non era sufficiente. Bisognava
fare in modo che questa gente potesse mangiare al coperto, e
non sul marciapiede, e trovasse aiuto in tante altre necessità,
importanti quanto elementari.
Cominciò col recarsi ogni sera con un pentolone di minestra
calda in Stazione Centrale, col distribuire biglietti per l’alloggio notturno al dormitorio pubblico di viale Ortles. Qui –la
notte di Natale del 19’7– aveva scoperto questa massa informe di gente abbandonata: portò il panettone e lo spumante
e chiamò un prete per la Messa di mezzanotte. Poi ci tornò
ogni sera con cibarie e rosari.
Ma girando in città per il ministero dei malati a domicilio incontrava per la strada volti sempre nuovi, disorientati e affamati. Sulle panchine dei parchi o sugli scaloni della Stazione
c’era sempre qualche ubriaco sfinito o qualche vecchio piagato che non si muoveva da giorni. All’ospedale non li accettavano, all’ospizio dei vecchi non ci volevano andare.
«"Amico, vieni con me…»".
Si diede da fare per trovare un hangar, una cascina o una casa
abbandonata da requisire.
Trovò solo sorrisi di sorpresa, di comprensione o di commiserazione.
Alla fine convinse il Capostazione e mise in moto il Ministero dei Trasporti, fin che ottenne due grandi magazzini sottostanti ai binari della ferrovia. In uno di questi saloni -–
senza finestre –- adattò cucina e tavoli da pranzo; nell’altro
mise una fila di divani usati su tre lati e un altare sullo
sfondo; all’entrata sistemò docce, servizi igienici, una lavatrice industriale, magazzino di vestiti e medicine.
Il giorno di capodanno del 1979 invitò il Vescovo ausiliare
Mons. Tresoldi per la Santa. Messa e per l’inaugurazione di
un’opera che tanti continuavano a giudicare una pazzia.
In breve il "Rifugio di via Sammartini" divenne il punto
d’incontro e di soccorso per tutti gli sbandati della città. A
centinaia ogni giorno accedevano alla mensa per i tre pasti:
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Il camilliano dei barboni
chi aveva bisogno sostitutiva scarpe e vestiti o si faceva medicare; altri avevano problemi più pesanti: pratiche giudiziarie e posto di lavoro o biglietto di ritorno in Marocco o in Siria.
In mezzo a questi ospiti cominciarono a mischiarsi i visitatori: autorità, giornalisti, curiosi, persone disposte a dare un
aiuto immediato. Tutti si imbattevano nell’altra faccia
dell’umanità: uno spettacolo imprevisto e scioccante, un concentrato di situazioni umane drammatiche o penose, da far
venire i brividi.
Ma non in tutti prevalse la paura. Non tutti si accontentarono
di un’emozione, di un articolo sul giornale, di far pervenire la
cesta di pane o un pacco di indumenti usati. Qualcuno fu colpito da quel Frate che faceva sul serio, che lavorava giorno e
notte in un’attività convulsa. Non poteva far tutto da solo, bisognava dargli una mano in modo continuativo.
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I rifugi-modello
Il sostantivo che designa meglio le opere di fratel Ettore è "rifugio". Il "rifugio" infatti rappresenta un approdo per chi è in
gravi difficoltà, ma con la speranza che la situazione muti e il
"rifugiato" possa tornare a vivere al massimo possibile la
propria dignità di creatura. In questo senso, forse con metodi
non sempre indovinati, l'opera di fratel Ettore è stata non solo
assistenziale, ma anche educativa e redentiva. Alla sua morte,
come già si è detto sopra, fratel Ettore ha lasciato nove rifugi.
I Rifugi - Un tetto e un piatto di minestra
«Penso che quest'opera per gli ultimi, i diseredati, gli emarginati, sia stata proprio voluta dal Signore. Egli fa cose ben
pigi grandi, anche solo con una mascella d'asino, dunque
perché stupirci se ha fatto queste belle cose con un poveraccio come me?» (Fratel Ettore).
Per chi non ha niente nella vita, un tetto sopra la testa, quattro mura che riparino dal freddo e dal caldo, un letto su cui
sdraiarsi la notte ed un piatto di minestra è tutto quanto si
possa desiderare di meglio. Ciò che normalmente consideriamo il minimo indispensabile per campare, per molte persone - inconsapevoli vittime di un progressivo degrado diventa il massimo.
Dalla biografia di fratel Ettore abbiamo appreso come l'idea
di mettere in piedi un "rifugio" non sia stata la prima: anzitutto egli ha cercato di assistere il maggior numero possibile
di diseredati, dando loro da mangiare, di che vestirsi, cure
mediche...
I rifugi di fratel Ettore non sono soltanto dei "ripari", sono
soprattutto comunità di vita. Singolari comunità però, dove si
fa fatica a riconoscere un'autorità, dove magari si litiga e ci si
picchia persino... Ma l'intento di fratel Ettore è sempre stato
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I rifugi-modello
quello di rieducare uomini e donne ad una vita di relazione,
quegli uomini e quelle donne che, forse per aver ricevuto più
sberle che carezze nella vita, si erano richiusi in sé, che rifiutavano il mondo esterno, celebrando magari questo rifiuto
con una bottiglia di vino e annegando nella stessa il disperato
bisogno di compagnia di cui ogni essere umano ha necessità.
I rifugi sono nati uno dopo l'altro, spesso in maniera abbastanza avventurosa. Alla morte di fratel Ettore se ne contano
nove, di cui sei in Italia e tre a Bogotà (la capitale della Colombia). Probabilmente, se la vita di fratel Ettore non fosse
stata così repentinamente troncata, si sarebbero aggiunti altri
rifugi, soprattutto all'estero, nei Paesi più poveri della terra
che egli, di tanto in tanto, visitava sulle orme degli altri missionari camilliani.
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Il futuro fra continuità e novità
«La morte di fratel Ettore è stata il compimento di una vita
consumata nell'amore di Dio, dei malati e dei poveri. Il messaggio da lui lanciato si espanderà, mantenendo vivo
nell'Ordine Camilliano il profumo della carità verso chi soffre, che egli ha praticato con la tenerezza di una madre e la
forza di un profeta» (Padre Angelo Brusco).
Quali gli scopi fondamentali delle opere di fratel Ettore? Sinteticamente possono essere riepilogati in tre punti significativi:
1) dar da mangiare, vestiti puliti, medicine ai poveri più poveri dei grandi centri abitati, quelli in cui più facilmente si è
vittime di emarginazione, di abbandono: questo come primissimo soccorso;
2) ridare dignità umana a queste povere persone, a prescindere dalla loro appartenenza di genere, razza, religione;
3) ri-educarli (o addirittura educarli) ad una vita spirituale,
attraverso la preghiera comune e una vita comunitaria che
tenga conto dello Spirito di Dio. Per questo, ogni sede
dell'opera ha una cappella, un luogo di preghiera che sia "segno" visibile di questa preoccupazione.
Da via Sammartini, da Casa Betania e dagli altri rifugi, sono
passati centinaia di ospiti; qualcuno si è anche fermato per
dare una mano. Ai barboni, ai senza tetto, ai senza fissa dimora, negli anni si sono aggiunti i malati psichici, i tossicodipendenti, i portatori del virus Hiv, gli immigrati più o meno
clandestini; tutti con una caratteristica in comune: l'essere
stati in un certo senso espulsi o rifiutati dalla società del benessere, oppure d'averne "dato le dimissioni" per incapacità a
sopportarne i ritmi e gli stili. La morte di fratel Ettore ha reso
attuale una preoccupazione che era già del Camilliano: come
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Il futuro fra continuità e novità
continuare affinché non si perda lo spirito iniziale, ma allo
stesso tempo ci sia attenzione alle novità che i cambiamenti
sociali (oggi particolarmente rapidi) mettono in evidenza?
Due associazioni
Attualmente esistono due associazioni, che di fatto hanno
preso il seguito delle opere. Una, i Missionari del Cuore Immacolato di Maria al servizio dei più poveri nello spirito di
san Camillo, è di natura laica; l'altra - le Discepole di San Camillo - è attualmente anch'essa di diritto civile, ma ha iniziato
un cammino di impegno e di formazione per essere riconosciuta dalla Chiesa come congregazione, allorché sussisteranno le condizioni per ottenere questo riconoscimento.
Mons. Piantanida (a Milano, vicario episcopale per la vita
consacrata) si è attivato individuando i primi passi concreti
da fare per l'erezione di una associazione pubblica di fedeli e
dare inizio così all'iter canonico necessario alla fondazione di
un istituto religioso. L'associazione pubblica di fedeli è già
un'associazione canonica e dipende dal Vescovo della diocesi
di appartenenza. Sia i Missionari sia le Discepole hanno oggi
come presidente a vita suor Teresa Martino: in questo è stata
rispettata la volontà di fratel Ettore.
Per quanto riguarda la costituenda congregazione, quando ciò
avverrà, sarà retta dal diritto canonico ed a questo dovrà fare
riferimento. Ciò per quanto riguarda gli aspetti tecnico-giuridici, importantissimi, ma non i soli cui fare attenzione. Fondamentale è il valore dell'unione spirituale ed organizzativa
dell'opera perché continui ad essere il "sogno" di fratel Ettore, secondo lo stile che lui vi ha impresso.
È previsto che la futura congregazione abbia due rami: donne
nubili consacrate e uomini celibi consacrati, che emetteranno
voti di castità, povertà e obbedienza. A questa sarà affidata la
responsabilità e la direzione effettiva e totale dell'opera di
fratel Ettore.
Per quanto riguarda l'Associazione dei Missionari del Cuore
Immacolato di Maria, resterà invariata nei suoi fini ed avrà la
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Il futuro fra continuità e novità
stessa spiritualità dell'associazione canonica, vissuta però
nello stato di vita laicale.
Le "nuove pennellate"
Da osservatori esterni, possiamo aggiungere che, come per
ogni opera che ha visto morire il proprio fondatore, anche per
quella di fratel Ettore sarà forse necessario rivisitarne di tanto
in tanto il preludio e la storia; ciò potrà aiutare a mantenere
fede a quello che possiamo definire il "carisma originario",
radicato in quello Camilliano, ma anche trovare quelle "pennellate" che lo rendono attuale, incarnato nella storia.
Leggendo ogni presenza nelle linee della provvidenzialità, si
deve anzi sollecitare suor Teresa a mettere nell'impresa in cui
Dio l'ha coinvolta tutte le doti d'intelligenza, di capacità pratica, di creatività, nell'ascolto dello Spirito e in obbedienza
alla Sua volontà. Questo, del resto, era ciò che ha fatto di fratel Ettore... fratel Ettore!
Ci saranno sempre i nostalgici («Ah, ma fratel Ettore questo
non l'avrebbe fatto..., questo l'avrebbe fatto così!»), gli incontentabili («Siamo sempre allo stesso punto!»), i profeti di
sventura («Così non può andare avanti...!»). Oggi il segreto è
di non agire da soli, ma di agire in équipe, quindi quanto più
si incrementerà la vita comunitaria, quanto più i responsabili
non agiranno da soli ma coinvolgeranno un numero allargato
di persone competenti e di buona volontà, quanto più si cercherà di essere "servi inutili" ma profetici, tanto più l'opera
troverà le sue strade non soltanto per sopravvivere, ma per
progredire.
Di fronte ad un'opera come quella di fratel Ettore, occorre
che la grande città non venga meno nel suo appoggio economico e di competenze. C'è stata un'intera generazione che ha
preso come suoi i problemi socioassistenziali che il Camilliano ha affrontato. Questa generazione sta invecchiando ed è
destinata a scomparire: è importante, allora, che vi siano gli
eredi di questo impegno solidale. Occorre che una più giovane generazione senta come sua questa responsabilità.
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Il futuro fra continuità e novità
Che Milano non manchi!
La nostra società, così come è oggi strutturata, parrebbe indifferente, attratta come sembra da quella che potremmo definire, un po' banalmente, "la bella vita" di agi, di ricchezze,
l'immagini piacevoli. Questa è però un'apparenza che nella
maggior parte dei casi viene smentita da gesti di inaudita generosità. Più che in altri tempi - almeno così pare a chi scrive
- questi gesti devono essere "pro-vocati", cioè quasi chiamati
fuori dal cuore e dalla mente di chi li compie. Sta all'opera
aiutare questa "pro-vocazione" in maniera attenta, saggia,
produttiva.
C'è comunque una responsabilità della cittadinanza, soprattutto milanese, che non deve far mancare all'opera di fratel
Ettore e di suor Teresa il suo abbraccio caldo, il suo "coeurin-man", com'era stato ed è nelle tradizioni ambrosiane.
L'augurio è che sia così.
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Gli Amici volontari e “santi”
Quasi subito dopo l'apertura dei primo rifugio -quello ormai
"mitico" di via Sammartini- attorno a fratel Ettore, a Milano,
incominciarono a radunarsi dei volontari. Persone eccezionali, sicuramente, poiché dovevano convivere con lui che, al
di là delle apparenze, era un tipo "duro" che sapeva quel che
voleva e lo voleva fatto come a lui garbava.
Da solo fratel Ettore non ce l'avrebbe mai fatta. Ogni servizio
da lui richiesto ai volontari era difficile, delicato. Gli ospiti
dei rifugi sono persone dalle vicende complesse; agli alcolisti, ai malati mentali e ai classici barboni, si sono aggiunti nel
tempo i malati di Aids, gli immigrati d'ogni nazionalità.
Gente povera sotto tutti i punti di vista.
Ai volontari è richiesto di condividere buona parte di queste
vite in tutti i sensi: dall'invito pressante a fare una doccia, al
trovare biancheria, abiti, scarpe; al trovare le cure mediche
appropriate, un ricovero ospedaliero quando occorre. Alcuni
devono essere cuochi, altri dispensieri. Tutti devono essere
capaci di ascolto, di un ascolto affettuoso delle avventure di
vita più tristi o mirabolanti.
Molti si sono succeduti in via Sammartini, a Seveso, negli
altri rifugi in Italia e in Colombia. Ma se la solidarietà di chi
ha sostenuto economicamente fratel Ettore non è mai mancata, più difficile (quasi impossibile) è stato trattenere a
lungo i volontari che avrebbero dovuto affiancarlo nell'opera
di sostegno, di rieducazione degli ospiti nelle varie comunità.
Reggere l'impatto con storie tanto dolorose è a volte troppo
stressante e persino rischioso per la salute psichica del volontario.
Qualcuno ha detto: «Fratel Ettore è sicuramente un santo, ma
è anche un grande confusionario che non sa organizzarsi e
- 53 -
Gli Amici volontari e “santi”
organizzare!». Ed era vero: spesso le sue imprese erano caotiche. E non era facile, soprattutto per i più giovani, tenere il
ritmo in tale situazione. Ricordare tutti coloro che hanno dato
un po' del loro tempo, delle loro competenze a volte anche
d'alto livello, del loro cuore, sarebbe impresa quasi disperata.
E si rischierebbero brutte figure con chi non fosse menzionato. Ci sono però alcune storie che vale la pena rivivere:
storie che nella loro "unicità" sono davvero esemplari e alludono a quelle non raccontate.
Carla Rocca
Sorella di Francesco Rocca, a lungo sindaco di Seveso, Carla
era una bella signora con una vita serena, un buon lavoro,
tanti amici... Eppure, quel tipo di vita non la soddisfaceva del
tutto: era in ricerca di qualcosa che la coinvolgesse in maniera più profonda e decisa.
Aveva sentito parlare di fratel Ettore, il Camilliano che si era
installato ai Dossi di Seveso con la sua gente poverella; qualcuno dei barboni l'aveva perfino incontrato la domenica a
Messa. Come gli altri abitanti della cittadina brianzola, provava per loro un sentimento ambiguo, un misto di repulsione
e di pietà, di desiderio d'aiutarli e di non vederli più.
Aderendo all'invito di un'amica, un giorno si reca con lei a
Casa Betania. Così Carla ha raccontato la sua avventura a
Giuliana Pelucchi, autrice del bel saggio Fratel Ettore - Un
gigante della carità (edizioni Paoline, Milano, 2004).
«Tra le molte stanze di casa Pontiggia una da sempre era stata adibita a cappella e fratel Ettore, sin dai primi tempi, la
considerò il cuore della sua attività. Sapevo di questo: a Seveso se ne parlava. Quando, con la mia amica, entrai per la
prima volta nella cappella, subito mi sentii turbata da quel
mondo che non avevo mai conosciuto così da vicino. Fratel
Ettore se ne stava ritto accanto all'altare, con il rosario in
mano. Aveva gli occhi chiusi e lentamente sgranava la corona
del rosario recitando ad alta voce le Ave Maria. Attorno a lui
vecchi, handicappati, donne dimesse. In un angolo, a testa
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Gli Amici volontari e “santi”
china, tre ragazzi che pregavano con devozione. Alla fine del
rosario cominciai a parlare con loro e scoprii l'estrema
povertà in cui si viveva a Casa Betania. Erano i primi tempi
del Camilliano a Seveso e ancora non si era attivata quella
catena di solidarietà fraterna con cui la città avrebbe dimostrato di aver superato preoccupazioni e pregiudizi nei suoi
confronti».
Questo il primo impatto di Carla che, dotata di automobile, si
mise a disposizione per accompagnare i nuovi amici all'ospedale o dovunque avessero necessità di recarsi. Così la bella
signora della borghesia brianzola iniziò ad occuparsi degli
ospiti di Casa Betania, sentendosi sempre più coinvolta.
La conoscenza personale con fratel Ettore avvenne dopo
qualche tempo ed in maniera curiosa, mentre l'eclettico Camilliano "stava facendo il muratore", lavorando cioè di cemento e cazzuola in cima ad un pilastro. Carla ricorda che,
quando suonò una campanella che invitava alla preghiera,
fratel Ettore scese dal pilastro, si riassettò la veste nera, si
sdraiò - sfinito - per terra e cominciò a pregare a bassa voce.
Poi, finalmente, si accorse di lei, la salutò e le disse: «Spero
che non si stanchi troppo presto di noi...». Era fatta: fratel Ettore aveva "stregato" anche lei!
Nel suo servizio a Seveso, Carla ha avuto modo di verificare
nel concreto i piccoli-grandi "miracoli" dell'instancabile, divina Providenza. Più di una volta, infatti, lei presente, si verificarono episodi incredibili, come il giorno in cui c'era una
cambiale in scadenza ma mancavano i soldi per onorarla.
«Preghiamo la Madonna - aveva detto fratel Ettore - ci penserà lei!». Ebbene, i soldi arrivarono in una busta anonima, in
misura superiore a quanto necessario.
Sabatino Jefuniello
Nel 1978 fratel Ettore incontra Sabatino, nel corso di una riunione con alcuni giovani durante la quale si parla della situazione tragica dei suoi "ospiti". Passati alcuni giorni da
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Gli Amici volontari e “santi”
quell'incontro, Sabatino si presenta alla portineria della Casa
di cura San Camillo (ancora non c'era il primo rifugio).
Era un ragazzo di ventisette anni, originario del Sud (Galatina in Puglia, per la precisione), che aveva trovato a Milano
un discreto lavoro come fattorino. Si considerava, perciò, un
fortunato e voleva fare qualcosa per chi viveva più faticosamente di lui. Si mise a disposizione di fratel Ettore per aiutarlo a dar da mangiare ai poveri che bussavano alla porte
della Casa di cura.
Con il giovane nacque subito una profonda intesa. Sabatino
però ancora non conosceva la tragica realtà della Stazione
Centrale di Milano: uomini che avevano perduto ogni dignità, insofferenti di qualsiasi rapporto, abbrutiti spesso
dall'alcool, talmente sporchi da aver appiccicati addosso gli
indumenti..., una situazione che avrebbe spaventato qualsiasi
essere umano ragionevole, ma non Sabatino.
Ricorda fratel Ettore: «Lavoravamo insieme con entusiasmo.
Al di là delle nostre forze fisiche. Sabatino non si lamentava
mai. Era un giovane allegro. Riusciva persino a scherzare con
i nostri poveri. Non si perdeva mai d'animo...».
Con accanto il giovane Jefuniello, fratel Ettore trova la forza
per richiedere un posto da adibire a rifugio - il primo - per i
suoi singolari "amici". Ed è proprio da Sabatino che parte
l'idea degli stanzoni sotto gli archi della ferrovia. Ed è ancora
la singolare capacità di relazioni di Sabatino a coinvolgere
interi gruppi parrocchiali nell'avventura del rifugio di via
Sammartini, inaugurato il 1 ° gennaio 1979.
Sabatino intanto aveva abbandonato il suo lavoro per stare
accanto a fratel Ettore, con totale disponibilità. E così continuò per cinque anni, fino alla morte avvenuta il 30 agosto
1982 a causa di una brutta polmonite buscata per aver portato
la cena agli amici di viale Ortles (il dormitorio pubblico di
Milano) in una freddissima sera durante un violento temporale.
«Era buono, umano, cristiano e mariano. Disponibile con tutti e amato da tutti. Fu molto di più di un aiutante prezioso.
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Gli Amici volontari e “santi”
Divenne un autentico testimone dell'amore di Cristo per i sofferenti». Questo diceva fratel Ettore di Sabatino. Che, fra
l'altro, fu uno dei fondatori dell'associazione "Missionari del
Cuore Immacolato di Maria al servizio dei più poveri nello
spirito di san Camillo" fondata da fratel Ettore per riunire,
appunto, volontari ed amici.
Anche il Card. Martini ha avuto espressioni toccanti per questo giovane uomo, nell'omelia tenuta durante la Messa nel trigesimo della sua morte: «Ho potuto cogliere, quando ho avuto la notizia della sua morte, che si trattava della scomparsa
tra noi, per essere accolto presso Dio, di un profeta del nostro
tempo. Forse questa parola è troppo grande, ci sono dei profeti che scrivono, che parlano, che si fanno conoscere, diciamo i profeti maggiori, e poi ci sono i profeti minori che sono
forse quelli che più fanno per il mondo, cioè quelli che non
parlano molto, quelli che si fanno poco conoscere, ma che vivono seriamente la vita evangelica. Sono tanti questi discepoli: Sabatino è stato uno di questi, è stato mandato in questa
città per essere segno umile, discreto della presenza del Signore».
Enrica Plebani
Dopo Sabatino, Enrica. È una giovane donna poco più che
ventenne, quando s'affaccia per la prima volta al rifugio di
via Sammartini. Siamo nel 1987. Alle spalle ha anche lei una
vita difficile, ma non appena si rende conto delle tragedie che
stanno dietro gli ospiti di fratel Ettore decide di donarsi completamente al loro servizio.
Via Sammartini e Casa Betania diventano subito la sua casa.
Generosa, instancabile, fedele ai suoi impegni, si prodiga
senza risparmio e distribuisce a piene mani gioia e speranza.
È stimolo e forza non soltanto per fratel Ettore e per i suoi
poveri, ma anche per gli altri volontari, per tutti quelli che
vengono in contatto, in un modo o nell'altro, con lei.
È molto malata, ma non confida a nessuno il suo precario stato di salute e continua il suo impegno senza mai dare a vede- 57 -
Gli Amici volontari e “santi”
re stanchezza, debolezza. Muore nel febbraio 1990, dopo infinite sofferenze causatele da un linfosarcoma gastrico.
«La sua forza», scriverà fratel Ettore, «derivava dalla sua
fede, e si evidenziava in un sorriso luminoso. Il sorriso che si
proietta sul volto di coloro che la vivono profondamente. Ne
ho fatto a lungo l'esperienza, tanto da chiederglielo quand'ero
in momenti di grande sofferenza. "Enrica", le dicevo, "Sorridimi". E lei mi illuminava di virtù e di purezza, sino a farmi
pensare che, dopo Maria santissima, la mamma celeste, e Carolina, la mia mamma naturale, lei fosse la mia mamma acquisita».
Così ancora fratel Ettore ricorda l'ultimo Natale di Enrica:
«Non conoscevo la sua profonda sofferenza. Non sapevo che
la mia malattia, una bronchite quasi cronica durante l'inverno, avrebbe potuto scatenare in lei ben più della brutta broncopolmonite che mi colpì pochi giorni più tardi. Quanto corremmo in quella fine di dicembre per aiutare molti nostri fratelli e sorelle di Milano, italiani e stranieri, affinché anch'essi
potessero godere del fuoco d'amore che, a Natale, si sprigiona per ogni dove... Dappertutto Enrica volava con la macchina, sospinta più dalla profonda fede che dalla sua forza
fisica sempre più limitata e precaria, e annunciava: "Presto
sarà Natale. Verrà celebrata una Messa per voi. Venite, adoriamo..."».
In una delle ultime lettere inviate dall'ospedale Sacco dove
era ricoverata, così Enrica scrive a fratel Ettore: «Grazie, fratel Ettore, per questo splendido Natale che ho potuto condividere con te e con i tuoi poveri nella sofferenza, nella stanchezza, ma ancor più nell'immensa gioia dell'attesa e
dell'accoglienza. Grazie, Gesù, Giuseppe e Maria, che avete
permesso che anch'io oggi potessi accogliervi, amarvi, consolarvi, sorridervi, abbracciarvi e baciarvi, incontrandovi nel
volto dei consacrati, sacerdoti e laici. Nei volti dei bambini,
degli oppressi, degli emarginati, dei sofferenti, dei delinquenti, dei ladroni. Grazie perché anche oggi mi avete donato
tutto il vostro amore e il vostro calore. Grazie della grazia
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Gli Amici volontari e “santi”
che ho potuto condividere con te, Ettore, fratello mio in Gesù
Cristo nostro Signore... ».
Per Sabatino Jefuniello ed Enrica Plebani è in corso il processo canonico di beatificazione.
Roberto Dubini
Quella di Roberto Dubini sembra una vita ritagliata da un
film.
Colpito non sa nemmeno lui bene da quale folgorazione, decise all'improvviso di andare in giro per il mondo. Approda
nella Legione Straniera e come legionario è paracadutato in
Ciad a combattere Gheddafi. Ferito gravemente, è rimpatriato. L'idea di tornare nella Legione Straniera non gli sorride più. Scappa, ma viene convinto a fare il mercenario con
un'alta paga, purché accompagni clandestini dall'Italia fino al
confine della Svizzera tedesca. Alla quindicesima "missione"
qualcuno lo "brucia". Catturato dagli svizzeri, è condannato
per direttissima.
Scarcerato, torna a Milano e diventa uno di quei "randagi"
che fratel Ettore scopre alla Stazione Centrale. Così diventa
un suo fedelissimo collaboratore.
Francesco Bossi e Luigi Menghistu
Ventinove anni, un solido impiego come bancario, Francesco
Bossi un bel giorno lascia tutto per dedicarsi agli "ospiti" del
rifugio di via Sammartini.
Così racconta lui stesso la sua "avventura": «Ogni giovedì
trascorrevo la notte assistendo soprattutto quelli che restavano fuori dal rifugio. Un bel momento mi sono detto: voglio
vivere dal di dentro, fino in fondo, questa esperienza. Così
sono andato dal mio direttore generale e gli ho chiesto sei
mesi di aspettativa. Lì per lì non ha dato peso alla mia richiesta. Mi ha consigliato di ripensarci e di ritornare da lui dopo
qualche tempo. Riteneva che stessi facendo un colpo di testa.
L'ho spuntata... Se non avessi dato uno strappo alle mie abitudini, se non mi fossi immerso in questa realtà fino in fondo,
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Gli Amici volontari e “santi”
non avrei compreso un aspetto fondamentale di ciò che si sta
facendo in via Sammartini. Nel rifugio non si aiuta soltanto il
prossimo, ma si sta costruendo una vera comunità... ».
Luigi Menghistu era figlio di padre italiano e mamma
dell'Asmara. Nel 1979 incontra fratel Ettore che gli fa la
sconvolgente proposta di aiutarlo a tempo pieno. Per un giovanotto ben integrato, non è certamente il massimo. Eppure
Luigi accetta diventando responsabile della comunità di Varenna. Certamente per lui si è trattato di una scelta contro
corrente, almeno a partire dalle normali logiche di vita. Una
scelta che forse disturba le nostre coscienze sopite, che ridicolizza le nostre astuzie per conciliare Cristo con i nostri comodi. Ma sappiamo anche che le nostre logiche non sono
quelle evangeliche, secondo le quali Dio “ha rovesciato i potenti dai troni e innalzato gli umili”.
Vite esemplari
Carla, Sabatino, Enrica, Roberto, Francesco, Luigi e tanti altri: vite diversamente esemplari, fra i tanti che hanno aiutato
fratel Ettore a mandare avanti le sue "imprese". E che continuano ancora oggi, lui scomparso, ad occuparsi dei suoi
"ospiti", dei suoi amici più cari.
"Santi" (sì, in certo senso lo sono anche i tuttora viventi), della santità quotidiana che forse non arriverà mai ad essere ufficialmente riconosciuta e proclamata, ma che serve a noi tutti
per essere felici, di quella contagiosa felicità che solo l'amore
di Dio può darci.
Non possiamo però qui dimenticare - tra i tanti - la generosa
collaborazione - durata tre anni - di un gruppetto di Figlie di
San Camillo guidate dalla superiora suor Agnese, e dei religiosi camilliani, che pure sono stati collaboratori ammirevoli
della sua opera, nelle persone di padre Claudio, padre Adriano, padre Albino e padre Riccardo. Desideriamo soltanto riferire quanto lo stesso Ettore ha avuto modo di riconoscere:
«La presenza dei miei confratelli mi ha sempre dato motivo
di credere che l'opera è del Signore, e che le ispirazioni avute
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Gli Amici volontari e “santi”
e seguite erano espressioni della volontà di Dio. Senza il
sostegno del mio Ordine, non sarei riuscito a dare ciò che mi
ripromettevo».
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Se tutti fossero santi come lui!
Padre Angelo Brusco, già superiore generale dell’Ordine Camilliano, in un suo saggio in memoria di fratel Ettore nella rivista dell’Ordine “Vita nostra” (luglio-settembre 2004), ricorda questo curioso episodio.:
«…Interessante è la testimonianza resa, nel 1970, dalla signorina Margot Wagner, luterana, residente a Bassano del
Grappa. Ricoverata neall’ospedale maggiore di Verona, cosi
si è rivolta al cappellano, P. Antonio Barzaghi: “Reverendo,
ho visto ancora la croce rossa che lei porta sulla veste. Poco
tempo fa, viaggiando in treno da Peschiera a Vicenza, ho incontrato un vostro Sacerdote (cosi l’ha definito) giovane che
andava a Venezia. È un santo sacerdote che mi ha subito colpito, tanto da averlo sempre presente alla sera nelle mie preghiere. Oh! se tutti gli uomini fossero santi come lui, oggi
non ci sarebbero guerre. In treno vi erano dei giovanotti, con
tanto di cappelli lunghi e basettoni. Erano maleducati, irriverenti: parlavano male... Quel santo sacerdote era li mortificato; mi faceva compassione. Avrei voluto consolarlo...
Quando, con un sorriso si portò fra quei ragazzi, dicendo
loro: abbiate un po’ di rispetto almeno per la veste che
porto..., dobbiamo volerci bene, essere buoni., ecc. Poi diede
loro dei libretti sulla Madonna. Ne diede anche a me due o
tre. Ma io, reverendo, non li ho ancora letti, perché noi non ci
crediamo alla Madonna. Insomma ha conquistato quei giovani e quando questi sono scesi a Verona, fu un salutarsi, un
muoversi di mani..., tutti contenti. Proprio, mi ha lasciato una
bella impressione, e lo ricordo volentieri nelle mie preghiere.
È un santo sacerdote!”».
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Aneddoti
Devotissimo a Maria, angosciato quando rubarono la statua
davanti al dormitorio di via Sammartini, si mise a girare per
Milano su una scassatissima automobile con la sacra immagine legata sul tettuccio, mentre da un megafono usciva la
sua voce che recitava il rosario. Come quell’altra volta,
ricorda il sindaco di Seveso, Tino Galbiati, che fratel Ettore,
arrabbiato perché non gli venivano concessi i permessi per
ampliare il centro, girò per due giorni le strade del paese con
l’auto con sopra la Madonna, finché i permessi non giunsero.
Allo scoppio della guerra nei Balcani portò la sua Mamma
Celeste in piazza Duomo, la pose sui gradini, si inginocchiò e
cominciò a sgranare la corona, fra lo stupore della folla, per
chiedere la fine della guerra.
***
Al Gay Pride si mescolò alle lesbiche e agli omosessuali
chiedendo a Maria di intercedere per loro e, dopo aver pregato brandendo la statua della Vergine e ponendosi di fronte
al corteo, come il ragazzo di Tienammen davanti al carro
armato, gridava “Convertitevi!”.
Ai più queste scene apparivano patetiche. Perché fratel Ettore
era sorretto dalla fede ma soprattutto da una ingenuità beata e
testarda, tipica dei santi.
***
Lo dimostrò anche nell’ottobre del 1989 quando il Coro della
Scala partì per una tournee in Unione Sovietica. Ai coristi
diede centinaia di Bibbie, perché le nascondessero nelle valigie e le distribuissero a Mosca e Leningrado.
A uno di loro, il Frate che credeva nella Provvidenza, consegnò un regalo per Gorbaciov, un’icona di San Michele, con la
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Aneddoti
raccomandazione: “Portalo al fratello Michele per il suo onomastico e digli che prego per lui”. Il corista obbedì. Il vice
ministro che prese in consegna il donò ringraziò… a solo due
settimane dal crollo del Muro di Berlino e dal disfacimento
dell’Unione Sovietica.
***
Non c’era ricorrenza significativa che non lo vedesse raggiungere piazza Duomo con i suoi mezzi alternativi ed il suo
seguito di umanità sofferente, megafono alla mano per il rosario e due volontari a distribuire immaginette della Vergine
Maria. Era, la sua, un’autentica evangelizzazione di strada,
tanto più dirompente e scandalosa perché giungeva a sorprendere la fretta un poco indifferente della metropoli.
Ben presto fratel Ettore stesso, diventa meta di pellegrinaggi
altrui, da madre Teresa all’Abbé Pierre. Lui non si ferma, va
in visita al Papa, torna in stazione, va fra i terremotati; durante la guerra nell’ex-Iugoslavia, a metà anni Novanta, aiuterà
con più di duecento viaggi di Tir carichi di aiuti umanitari e i
Savoia si terranno obbligati a fargli visita per ringraziarlo.
***
La prima volta che incontrò Giovanni Paolo II, nel gennaio
del 1979 in piazza San Pietro, fratel Ettore Boschini gli offrì
in dono una statua a grandezza naturale raffigurante la Madonna di Fatima. Era identica a quella che il camilliano portava ovunque con sé, testimonianza visibile di uno smisurato
amore per la Vergine. E anche a papa Wojtyla venne da sorridere quando gli raccontarono che, per trasportare quella statua dalla stazione Termini sino al Vaticano, fratel Ettore aveva dovuto acquistare un ulteriore biglietto dell’autobus, perché il conducente lo aveva intenzionalmente provocato
dicendogli che l’oggetto era troppo ingombrante e che sottraeva il posto a un altro passeggero.
***
Di simili aneddoti mariani è costellata l’intera sua avventura
umana.
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Aneddoti
Di fatto fratel Ettore elesse sin dagli inizi la Madonna come
patrona della propria opera e volle esprimere concretamente
la gratitudine per la costante protezione di Maria mediante tre
repliche di luoghi cari alla devozione popolare: nella casaalloggio di Bucchianico c’è la riproduzione a dimensioni reali della Santa Casa di Loreto, a Seveso c’è una cappella identica a quella di Fatima e a Grottaferrata si trova una grotta
realizzata sul modello di quella di Lourdes.
***
Controcorrente sempre, capace di sorprendere e di disorientare con quella forza segreta che gli veniva da lunghe ore trascorse immerso in preghiera. Quando un sacerdote camilliano in partenza per l’America Latina gli chiese una statuetta
della Madonna da portare in missione, fratel Ettore andò ad
acquistarne una da un amico scultore, alta quasi due metri,
pesantissima, in marmo bianco, magnificamente scolpita. Costo, cinque milioni di vecchie lire. E quasi altrettanto occorreva spendere per imballarla e spedirla oltre Oceano.
Quando l’economo di Casa Betania a Seveso -il quartiere generale delle sue opere di misericordia- fu informato della spesa, assalì fratel Ettore con parole di fuoco: “Ma come, dobbiamo pagare un conto di cento milioni, tra pochi giorni per i
lavori qui alla casa e tu vai a spenderne altri dieci per una statua”. Ma lui non si fece intimorire: “È una missione che sta
muovendo i primi passi. Hanno il diritto di avere una bella
immagine di Maria”.
Quella sera stessa una signora mai vista prima bussò alla porta e consegnò un assegno di alcune centinaia di milioni, sufficiente per la statua, per pagare i lavori e per altre spese ancora.
***
La casa di Bogotà, la sua missione in Colombia, l’ha pagata
Luis Gabriel. Naturalmente quella casa fratel Ettore l’aveva
fermata con il conto in banca sotto zero. Un giorno andando
a messa con i suoi poveri, incontra per strada un uomo ap-
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Aneddoti
poggiato al muro che tiene sul viso uno straccio, (quell’uomo
si chiamava Luis-Gabriel, ha fatto una morte santa).
Pensandolo ubriaco lo invita a bere un tinto, così si chiama il
caffè a Bogotà. Quando il povero si stacca dal muro per seguirlo e toglie lo straccio dal viso, fratel Ettore non trattiene
un urlo…Luis ha solo mezza faccia, il resto gliel’ha mangiata
il cancro. Lo convince a seguirlo in un ospedale da dove viene cacciato insieme al povero: “È uno di strada, non lo vogliamo. E poi che serve curarlo? Ha poco da vivere”. Come
una mamma se lo porta a casa e sembra non sentire il fetore
che emana quel povero viso devastato. Lo netta del pus, stacca brandelli di pelle marcia, lo fascia con amore e gli dà un
bacio. Il giorno dopo dall’Italia gli comunicano che un benefattore ha donato 90 milioni. Il costo della casa.
Non era uno che “chiedeva” fratel Ettore. Soldi meno che
mai. La Provvidenza (scrivi “Provvidenza” sempre con la
maiuscola, diceva, perché significa Dio!), ci pensava da sola:
si chiama “Rotary” o con qualunque altro nome. No, era lui,
fratel Ettore, ad andare incontro alle altrui necessità. Era lui a
fare offerte al Papa, accompagnandole con un bigliettino pieno di candore: “Dai poveri per i più poveri del Papa”; oppure
offerte per le missioni dell'Ordine Camilliano; o aiuti di tutti i
generi ad altre Comunità religiose.
***
Se vi erano richieste, le sue erano di tutt’altra natura. Come
quando fece irruzione ad un convegno sulla solidarietà milanese, pieno di nomi importanti, portandosi dietro un centinaio di ucraine: “Se volete davvero fare qualcosa di utile –
gridò – ciascuno di voi ne assuma una come colf. Adesso!”.
Era un grand’uomo che ha stupito Milano con la sua semplicità, umiltà e determinazione. Era uno che apriva strade impensabili ad altri e le percorreva tutte, fino in fondo, con passione. Aveva una fiducia cieca nella Provvidenza.
***
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Aneddoti
“L’altro giorno” ha raccontato una volta “eravamo senza
pane. Stavo uscendo per andarlo a cercare quando ne è arrivato un camion pieno”. “E chi te lo ha mandato?”
“Non lo so. Secondo me Maria Vergine”.
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Fratel Ettore sarà beato
La Conferenza Episcopale Lombarda (Cel), composta dai vescovi delle 10 diocesi di Lombardia, presieduta dall’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, il 15 febbraio 2013
ha approvato l’avvio dell’iter canonico per l’introduzione
della causa di beatificazione di fratel Ettore Boschini (promossa dalla Diocesi di Milano).
Un santo è per molti un esempio: ha vissuto nell’imitazione
di Gesù, ha operato miracoli e ora siede nei cieli avendo raggiunto la perfezione umana. I santi seguono una vita per
molti aspetti folle: rifiutano i beni terreni, mortificano il proprio corpo e accettano il dolore come un dono.
Un po’ matto Fratel Ettore lo era: come tutti i santi, a cominciare dal nostro fondatore S. Camillo de Lellis, entrato spesso
in conflitto con le autorità religiose del tempo per il suo stile
“scandaloso” di prendersi cura dei malati. Inevitabile, dunque, che anche fratel Ettore Boschini, quattro secoli dopo,
abbia dovuto incontrare contrasti ed opposizioni nel suo originale tentativo di reinterpretare il carisma camilliano.
Quel coraggio che manca ai più, non è mancato a fratel
Ettore. Qui sta il segreto del suo fascino. Non è facile essere
coerenti con le richieste del vangelo. Chi si misura con esse,
sa che esigono abnegazione, spirito di servizio, dimenticanza
di se stessi. Fratel Ettore ha conosciuto il vangelo sia con le
gioie che esso offre sia con le rinunce che domanda ai suoi
discepoli. Non esitava a sacrificare qualsiasi ora delle 24
giornaliere per soccorrere e accogliere chi non era accolto da
nessuno.
Il suo esempio ricorda che nessun cristiano può sentirsi a suo
agio finché ci sono sofferenti, le cui pene potrebbero essere
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Fratel Ettore sarà beato
alleviate da un gesto di altruismo. Non si può godere il
sapore del pane e la quiete del riposo, finché si sa che molti
ne sono senza.
Fratel Ettore ha dato tutto se stesso e ha dato molto se si
pensa anche in termini quantitativi al denaro che fluiva sulle
sue mani, sempre aperte per ricevere e dare. Ma prima del
denaro era il cuore che ispirava la sua opera. Educato allo
spirito evangelico e alla scuola di S. Camillo, sentiva la sofferenza altrui come fosse propria.
Il suo era uno stile originale e inimitabile come lo è il profeta.
Siamo grati per la lezione che ci ha lasciato, ricordandoci che
la generosità non è mai fuori moda e che i poveri – lo ripeteva di frequente richiamando S. Camillo – sono pupilla e
cuore di Dio.
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Bibliografia
La mia prima fine del mondo. Inseguendo fratel Ettore dei poveri.
Fant Emanuele, 2014, Monti
Fratel Ettore. I miei giorni con il profeta degli ultimi.
Martino Teresa, 2014, San Paolo Edizioni
Vieni con me. La vita e la spiritualità di Fratel Ettore.
Allegri Roberto, 2014, Piemme
Ho incontrato Dio in una baracca: La mia avventura fra i disperati di fratel Ettore.
Longoni Rosaria, 2011, Rizzoli
Un povero tra i poveri - Fratel Ettore Boschini,
Rivista Missione Salute, 2005
Fratel Ettore. Un gigante della carità.
Pelucchi Giuliana, 2004, Paoline Editoriale Libri
Fratel Ettore una vita per gli ultimi.
Moia Luciano, 2004, Edizioni Camilliane
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Gli ebook di www.camilliani.it
- I Valori e il cuore dell’uomo
- Lettere a San Camillo de Lellis
- Questa pianticella si spargerà in tutto il mondo
- Liturgia delle Ore – proprio dell’Ordine
- Piccola Guida per umanizzare il mondo della salute
- “Una donna a servizio di chi soffre” - SdD Germana Sommaruga
- Doveva essere tutta Sua – La dimensione mariana di S. Camillo
- “All’insegna dell’Amore” Beata M. D. Brun Barbantini
- “La forza nella fragilità” Beata G. Vannini
- “Vivere e morire d’amore” SdD Nicola D’Onofrio
- “Tutto di Dio nel quotidiano” Beato E. Rebuschini
- “La regola vivente” P. Rocco Ferroni
- Preghiere del Sito
- La mediazione materna di Maria
- Togliti i Sandali
- “L’Apostolo di Lima” Beato L. Tezza
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- I Religiosi Camilliani ad Alberoni
- Il Cristiano uomo di Fede, Speranza, Carità
- Credere nei Sogni
- San Camillo de Lellis
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- Vita del P. Camillo de Lellis (Ciccatelli)
- Scritti di S. Camillo de lellis (Vanti)
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- La vita per Cristo
- I Camilliani a Milano
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Verona – Marzo '15 – Ed. 1.0
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