Fratel Ettore - Il folle di Dio
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Fratel Ettore - Il folle di Dio
Pasquale Anziliero Fratel Ettore Boschini Il folle di Dio Verona 2015 Ed. camilliani.it -1- -2- Indice generale Introduzione..........................................................................7 Seguire il Buon Dio "stressa"............................................11 La Vita..................................................................................12 Nato contadino....................................................................12 Scoppia la guerra................................................................13 Nel difficile dopoguerra......................................................14 La decisione della vita........................................................15 Una nuova avventura..........................................................16 Il “rovescio” della grande città...........................................16 Nasce il primo rifugio.........................................................18 La "benedizione".................................................................19 Come in famiglia................................................................21 Una vita spesa per gli altri..................................................22 Una giornata con fratel Ettore...........................................23 Un sole tiepido fa capolino tra le nuvole grigie..................23 In via Sammartini................................................................24 Tenere il passo di fratel Ettore............................................25 Così trascorrono i giorni.....................................................26 La personalità......................................................................27 -3- Un "pasticcione".................................................................27 Un uomo scomodo..............................................................28 Preso da sacro furore...........................................................29 La spiritualità......................................................................32 Innamorato di Maria di Nazareth........................................32 Per Maria a Cristo...............................................................33 La devozione al Rosario.....................................................34 Azione e contemplazione....................................................35 Il "modello" Camillo de Lellis............................................36 Fratel Ettore fondatore?......................................................36 Milano e la sua Chiesa........................................................37 L'"Angelo dell'anno"...........................................................38 Sono solo un pover'uomo....................................................39 La forza di un uomo fragile...............................................40 La "cartina di tornasole".....................................................40 Un uomo indocile................................................................41 La radice della forza...........................................................43 Il camilliano dei barboni....................................................44 I rifugi-modello...................................................................47 I Rifugi - Un tetto e un piatto di minestra...........................47 Il futuro fra continuità e novità.........................................49 Due associazioni.................................................................50 Le "nuove pennellate".........................................................51 Gli Amici volontari e “santi”.............................................53 Carla Rocca.........................................................................54 -4- Sabatino Jefuniello..............................................................55 Enrica Plebani.....................................................................57 Roberto Dubini...................................................................59 Francesco Bossi e Luigi Menghistu....................................59 Vite esemplari.....................................................................60 Se tutti fossero santi come lui!...........................................62 Aneddoti...............................................................................63 Fratel Ettore sarà beato.....................................................68 Bibliografia..........................................................................70 Gli ebook di www.camilliani.it...........................................71 Altri ebook disponibili solo in PDF...................................72 Credits..................................................................................73 -5- -6- Introduzione Introduzione “Il folle di Dio”, “il prete dei barboni”, “padre dei poveri”, sono solo alcuni appellativi che descrivono Fratel Ettore Boschini, conosciuto per la sua opera a favore dei senza fissa dimora. La semplicità disarmante che contraddistingueva Fratel Ettore è l'insegnamento più grande, che ci costringe ad andare alla radice dell'umano. La sua persona e la sua opera erano, e sono tutt’oggi, una provocazione e un richiamo forte all’attenzione e alla vicinanza al prossimo, soprattutto se debole, malato e povero. Un suo grande estimatore, il Cardinal Martini di lui scrive: “Ho avuto così modo di ammirare una carità, un disinteresse, uno spirito di sacrificio veramente eroici, che non si tiravano indietro di fronte a nessuna difficoltà. ... Un religioso così – mi verrebbe voglia di dire “un gigante della carità” – fa onore al Vangelo e alla bontà della nostra gente e merita che le sue azioni e iniziative siano ricordate tra le più significative di questi anni nel campo dell’emarginazione. Fratel Ettore ha offerto una preziosa testimonianza di grande umiltà, di dedizione disinteressata, di coraggio, di fede straordinaria e di continua preghiera, d’illimitata fiducia nella Provvidenza, di singolare amore e devozione alla Madonna, di cui distribuiva la corona del Rosario a tutti. Fratel Ettore era diventato una specie di «istituzione della carità verso gli ultimi, verso “gli ultimi degli ultimi”». A lui «tutta la città di Milano e soprattutto i più poveri devono moltissimo».” -7- Introduzione Parlare o scrivere di un santo non è facile, si rischia di ripetere agiografie già note o, peggio, di cadere in banalità. Tante sono le sfaccettature della sua vita, o meglio della sua anima, anche quando si è avuta l'avventura di conoscerlo e vivere insieme qualche episodio del suo esistere tra noi. Quest'ebook vuole essere un'agile e breve presentazione della figura di fratel Ettore, non ha la pretesa di essere una biografia esaustiva, piuttosto sono dei frammenti della storia di un santo che ha vissuto in un secolo furibondo. Non ritengo di aver conosciuto a sufficienza questo mio confratello, per descriverne la vita e la spiritualità, penne più illustri ne hanno già dipinta una bella figura. Ritengo di essere stato fortunato ad incrociare i miei passi con i suoi. Il mio primo incontro con fratel Ettore avvenne nel 1982, allora ero al seminarietto del Duomo di Milano, una domenica mattina mentre ci recavamo alla sacrestia capitolare, accompagnando il Cardinal Martini che avrebbe celebrato la S. Messa, ad attenderci c'era questo strano personaggio con una veste nera ed una croce rossa sul petto, la statua della Madonna di Fatima tra le braccia, e alcuni “amici”, quelli che noi chiamiamo “barboni”. Allora il Duomo era in ristrutturazione, e in quell'area si entrava difficilmente, ma lui c'era, mi colpì lo scambio di saluti che ebbe con il Card. Martini, capii che dovevano conoscersi bene, e che quella figura così particolare, svolgeva un servizio importante per la Chiesa. Poi quando nel 1987 entrai nel seminario dei camilliani gli incontri divennero più frequenti. Nei miei anni di cappellano alla San Pio X, ho avuto l'onore di incontrare vari personaggi della "Milano bene" che mi hanno raccontato diversi aneddoti su fratel Ettore che hanno caratterizzato la loro vita. Ho avuto anche l'onore di essere cappellano di Fratel Ettore durante qualcuno dei suoi ricoveri. Diverse volte mi sono recato presso il rifugio di via Sammartini sollecitato da una sua inattesa telefonata che -8- Introduzione diceva: "... dai vieni ho più di 100 persone che aspettano un prete per la S. Messa". Ricordo gli anni in cui in varie occasioni sono stato ad Affori a celebrare la S. Messa prefestiva o domenicale alle donne ucraine, russe, rumene,... che erano giunte a Milano in cerca di fortuna per le loro famiglie. Ricordo un dirigente del Comando dei Vigili Urbani della zona Stazione Centrale che mi raccontava quando in alcune occasioni fratel Ettore faceva delle processioni, alcune autorizzate altre non proprio, in quelle autorizzate veniva sempre pianificato il percorso, i vigili tentavano di dirottarlo dalle arterie principali, che lui aveva scelto, su strade laterali meno trafficate e un'auto dei vigili apriva il corteo, capitava così che qualche volta questa svoltava a sinistra come stabilito e imperterrito fratel Ettore proseguiva dritto o svoltava dall'altro lato, perché incurante del traffico aveva deciso così. Ricordo ancora l'entusiasmo di Mike Buongiorno che parlando dei vari aiuto dati a Fratel Ettore descriveva la sua disarmante semplicità e, con emozione, raccontava di quella volta che fratel Ettore incurante del palinsesto della trasmissione fece alzare tutto lo studio e invitò il pubblico a recitare un'Ave Maria. Ricordo le visite di personaggi illustri e non, i medici che lo cercavano e lui che magari aveva lasciato il ricovero per alcune ore, “cose inderogabili da fare... esco un attimo”, ... Ricordo, quando prima dell'ultimo ricovero in S. Pio X era giunto a Roma stremato cercando riposo e conforto in Casa Generalizia. Vi era arrivato con una Fiat 127 scassatissima, la lasciò parcheggiata davanti alla gradinata della chiesa di S. Maria Maddalena, era priva della mascherina anteriore e del paraurti posteriore, e per di più carica di bidoni del latte che per l'occasione contenevano l'olio di Bucchianico destinato alla casa di Seveso. Fui subito chiamato quando i carabinieri si presentarono alla porta chiedendoci di spostare la macchina, che loro l'avevano riconosciuta (dall'immancabile statua della Madonna, posta sul tetto) ma molti turisti l'avevano segnalata, intasando il centralino del 112, come una sospetta -9- Introduzione autobomba, era ancora alta la soglia d'allerta dopo l'11 settembre e i vari attentati che si erano susseguiti in Europa. Poche ore dopo Fratel Luca Perletti, allora segretario generale, giunse con il referto degli esami di Fratel Ettore, i valori così alterati consigliavano un ricovero. Forse conscio del suo stato Fratel Ettore volle essere accompagnato a Milano ma soprattutto voleva che qualcuno lo accompagnasse con la sua macchina. Solo l'idea di un simile viaggio con un "mezzo” precario come il suo mi inorridiva, per di più sapendo che dovevo trasportare un malato non in buone condizioni. Alla nostra proposta di un viaggio su un comodo treno la sua reazione fu quella di molte altre volte, volle fare di testa sua, fu così che io arrivai a Milano in treno e lui vi giunse poche ore dopo accompagnato da uno dei suoi "amici", con quella scassatissima 127 che io ritenevo non avrebbe nemmeno raggiungo il Raccordo Anulare. Vi colsi un forte insegnamento sulla fiducia in Dio e alla Beata Vergine che fratel Ettore nutriva in ogni momento della sua vita. Fratel Ettore era così un cuore grande e una testa cocciuta, guai a tentar di fargli cambiare idea. Non era un personaggio facile, sicuramente unico e straordinario, qualche volta indisponente, ma sempre perché prima di tutto dava spazio a Nostro Signore e alla Madonna, che lui era capace di vedere nei volti dei poveri più poveri. Capite bene come questi e altri miei ricordi, le testimonianze dei miei confratelli, non sono sufficienti a dipingere il ritratto di un personaggio assai complesso, per questo motivo ho attinto a diverse fonti bibliografiche per creare un'ebook agile per tutti coloro che non ne hanno sentito parlare, oppure ne hanno sentito parlare ma non hanno avuto la fortuna di conoscerlo, cercando, di dipingere un profilo di questo “gigante della carità”. - 10 - Seguire il Buon Dio "stressa" «Vorrei convincervi che sono soltanto un pover'uomo. Un uomo che per tutta la vita ha fatto soltanto la volontà di Dio, spesso senza neppure rendersene conto. Dal Signore ho ricevuto grazie straordinarie, ma non posso vantarmi di aver sempre corrisposto perfettamente alle grandi grazie ricevute» (Fratel Ettore Boschini). Nelle ultime ore della sua vita, fratel Ettore Boschini così confessava alla fedele collaboratrice Suor Teresa Martino: «Devo ammettere di aver accumulato tremendi stress da contadino, e tremendi stress di lavoro a Venezia, e tremendi stress con i poveri. Devo confessare di essere diventato terribilmente sensibile e nervoso, ma con un bacio chiedo perdono». La spiacevole sensazione di tensione mista a nervosismo ed angoscia, che usiamo chiamare stress, era tipica del nostro Camilliano. Non era il genere di vita a determinarla, ma la sua particolare sensibilità, quel suo essere contemporaneamente sicurissimo di quanto stava per intraprendere con decisione solitaria che non ammetteva commenti, e la ricerca autentica e fedele della volontà di Dio, una volontà che - per incapacità umana - non riusciamo a vedere chiara ed univoca subito, d'un colpo, ma comprendiamo, nella maggior parte dei casi, per gradi, un passo dopo l'altro. Fratel Ettore ha avuto una vita ricca di piccoli colpi di scena. In fondo, anche in lui vi è stato un certo contenuto di “teatralità”: possedeva quello che noi chiameremmo il “senso dello spettacolo”, la capacità di attirare l'attenzione e la simpatia. Difficile dirgli di no. - 11 - La Vita Nato contadino Nato il 25 marzo 1928 a Belvedere di Roverbella, in provincia di Mantova, un paesino della pianura lombarda, Ettore Boschini era il primo figlio maschio di una giovane coppia di contadini intelligenti, avveduti e in un certo senso benestanti. Il nonno Boschini era stato il primo ad introdurre nella zona, con successo, la coltivazioni degli alberi di pesco. La vita tranquilla dei Boschini, quando Ettore ha appena quattro anni, viene sconvolta da una grave carestia che li costringe a lasciare i poderi di famiglia e la casa che avevano abitato per tanti anni, tutti insieme, per trasferirsi in una vicina contrada, Malavicina. Com'è tipico della gente lombarda, papà Boschini non perde tempo a piangersi addosso: si rimbocca le maniche e, insieme con la moglie, ricomincia da capo. Nella nuova casa sono andati a vivere anche i genitori di lui, i nonni, anch'essi rimasti senza beni. In totale, un bel peso sulle spalle di un giovane uomo. A dieci anni, terminate le elementari, per aiutare i suoi Ettore viene mandato da certi parenti a Monzambano come garzone di stalla, lavoro piuttosto duro per un bambino! Ettore sente nostalgia acuta della sua famiglia, della mamma in particolare: una donna mite, buona, che sfacchina tutto il giorno senza un lamento, per tener dietro alla famiglia. Per il piccolo Ettore quei giorni sono difficili: ma non molla, sa di essere necessario anche per far crescere i fratelli. Un'infanzia triste, si potrebbe azzardare. Non nell'opinione di fratel Ettore: un'infanzia povera, la definisce lui, ma non triste. Ricorda: «Eravamo molto uniti fra di noi. Solidali l'uno con l'altro. E questo legame, anche quando ero molto gio- 12 - La Vita vane, mi ha sempre dato la forza di accettare le situazioni in cui mi trovavo coinvolto». Scoppia la guerra I ritorni a casa erano rari, ma colmi di felicità. A Natale bastava il pranzetto speciale ammannito dalla mamma (un paio di polli, qualche mandarino e qualche pezzo di torrone) perché tutto brillasse. Ettore è adolescente quando scoppia la Seconda guerra mondiale. Come contadino, andava “a giornata” dove gli capitava, sobbarcandosi qualsiasi fatica pur di raggranellare qualcosa. Tempo cupo e doloroso quello della guerra: fame, paura... Per Ettore c'è un cruccio in più: aveva «perso l'innocenza dell'infanzia» - come ha dichiarato lui stesso – ed era diventato «uno scavezzacollo». Vivendo insieme con ragazzi più grandi di lui, nelle stalle, fra il bestiame, aveva imparato a bestemmiare: e lo faceva di gusto. Niente più “dottrina” il pomeriggio della domenica, ma scorrerie per i campi con i coetanei. A soffrirne in modo particolare era la mamma, donna di sicura fede; ma anche il babbo. Così ha raccontato fratel Ettore alla giornalista Giuliana Pelucchi (autrice della bella biografia: Fratel Ettore - Un gigante della carità, Edizioni Paoline, 2004): «Quando tornavo a casa, mio padre e mia madre volevano che raccontassi loro quanto ci aveva insegnato il prete. Cercavo di cavarmela inventando qualcosa. Ma i miei genitori si accorgevano delle mie bugie e mi facevano saltare la cena». Metodi educativi duri, che oggi farebbero sorridere ed inorridire nello stesso tempo, ma che hanno formato personalità solide. La fine della guerra coincide con il ritorno alla fede di Ettore, complice un pellegrinaggio al santuario della Madonna della Corona a Spiazzi di Caprino Veronese. Era un'iniziativa popolare, per ringraziare la Madre di Dio per gli scampati pericoli bellici. Viaggio in camion (allora niente pullman gran turismo), canti e preghiere lungo il percorso. - 13 - La Vita Racconta ancora Ettore: «Giunti davanti alla statua della Vergine, il posto mi aveva molto colpito e avevo provato un'emozione strana. Che non so spiegare». Soltanto verso sera, dopo aver partecipato a tutte le funzioni, il giovane Ettore sente il desiderio di rientrare da solo in chiesa a pregare, rivolgendosi con fiducia e semplicità a quella che poi, nella vita, continuerà a chiamare "cara Mamma...". Dopo quel pellegrinaggio la vita di Ettore Boschini cambia “da così a così”: niente più bestemmie e ripresa della pratica religiosa: «Ho incominciato a leggere qualsiasi libro religioso mi capitasse tra le mani. Il Vangelo soprattutto: cercavo di comprendere gli insegnamenti di Gesù». Nel difficile dopoguerra Il dopoguerra è drammatico - come per la maggior parte degli italiani - anche per la famiglia Boschini. Non c'è pane per tutti e i figli vanno a lavorare lontano da casa. Ettore va dapprima presso uno zio, poi trova una sistemazione come garzone di stalla. Le sorelline vanno "a servizio" come domestiche a Milano. È una vita di fatiche: il fisico di Ettore comincia a mostrare le prime crepe. Il trattamento ingiusto inflittogli dai padroni lo induce alla ribellione: se ne va sbattendo la porta. Questo gesto dignitoso gli costerà un lungo periodo di disoccupazione. Sarà comunque una prova che inciderà sul resto della sua vita. Dal punto di vista spirituale, Ettore continua la sua strada in salita: la devozione dei “primi venerdì” del mese ispirata a santa Margherita Maria Alacoque lo affascina. Certo, per il garzone di stalla costretto a vivere lontano dai centri abitati, era difficile mantenere fede alla promessa di comunicarsi ogni primo venerdì del mese. Un giorno capita che non riesce a raggiungere in tempo la chiesa. Ma mentre se ne torna sconsolato all'alpeggio, fa un incontro "fatale": un uomo dalla tonaca nera, con una grande croce rossa sul petto. Era fra- - 14 - La Vita tel Guido Coser, il primo Camilliano che Ettore abbia mai incontrato. La salute del giovane peggiora. Il mal di schiena che lo tormenta rivela un'ernia del disco. Al tempo non esistevano cure chirurgiche: l'unica soluzione era l'immobilizzazione in un pesante busto di gesso. Ettore non è ovviamente in grado di lavorare: gli resta così molto tempo per sé, per pensare e pregare. E, non appena in grado, per occuparsi degli altri degenti dell'ospedale in cui è ricoverato. È un primo segnale della svolta che in seguito prenderà la sua vita. La decisione della vita Tornato nel calore della famiglia, comprende che il matrimonio non è la sua strada. Altro è ciò che Dio vuole da lui. Sente il richiamo alla vita religiosa. Chiede consiglio al parroco che lo invita ad un tempo di riflessione e di preghiera, trascorso il quale Ettore decide: entrerà fra i Camilliani, perché «aiutano i malati». Il fisico di Ettore non è robusto; la vita del Camilliano, impegnato a seguire i malati in corsia, è tutt'altro che "riposante". Il Padre provinciale, che deve esaminare la richiesta del giovane, è perplesso. Ma trova una soluzione: Ettore entrerà all'ospedale Alberoni di Venezia dove si curano le malattie ossee e dove potrà così rimettere in ordine anche la sua schiena. Potrà curare gli ammalati e nello stesso tempo anche se stesso. Ma la trafila non è finita: la situazione economica della famiglia diventa di giorno in giorno sempre più pesante, tanto da consigliare il ritorno di Ettore fra i suoi per dare un mano. Non deve, però, restarci molto a casa, perché - grazie a Dio la situazione si rimette presto in sesto. Così il 6 gennaio 1952, giorno dell'Epifania, Ettore può ripartire per Venezia, con la benedizione della mamma, per compiere il prenoviziato e nel mese di ottobre iniziare a San Giuliano di Verona il noviziato. Il 24 ottobre dell'anno successivo (1953), in un clima di festa Ettore emette i voti temporanei. - 15 - La Vita Tornato ad Alberoni (Venezia), fratel Ettore passa di servizio in servizio. I ricoverati sono anche giovani afflitti da distrofia muscolare, una terribile malattia che rende inerti braccia e gambe, talvolta anche la testa, lasciando però assolutamente lucidi. Il dolore impotente di quei giovani è per fratel Ettore una salutare scuola, che mette a dura prova la sua acuta sensibilità e la sua "passione" per il prossimo. Una nuova avventura Per vent'anni fratel Ettore vive senza cedimenti accanto ai suoi malati con uno zelo che gli fa meritare, nel 1973, il premio alla bontà intitolato a "Giovanni XXIII". Ma dopo tutti questi anni trascorsi ad Alberoni, un'altra svolta. Tra la fine del '73 e l'estate del '74 fratel Ettore frequenta alla San Pio X di Milano il corso di infermiere professionale. Ottenuto il diploma, i superiori gli propongono di fermarsi presso la Casa di cura San Camillo per qualche mese come infermiere. Ma nell'estate del '75 viene richiamato a Venezia, tra i suoi ragazzi “raggomitolati” di Alberoni. Un grande lavoro, quello che il semplice ex contadino fa tra quei poveretti. Ma questa volta è allo stremo delle forze. Chiede di essere trasferito, e viene assegnato alla casa di Predappio, dove si curano malati psichiatrici. I venticinque anni di lavoro in corsia avevano provato il suo fisico; ora la vicinanza con i malati psichiatrici aggrava ulteriormente il malessere da cui Ettore si sentiva imprigionato. Così viene inviato a Dimaro, in provincia di Trento. Per Ettore è come cadere dalla padella nella brace. Un mese dopo decide di ritornare a casa per recuperare il coraggio e ritemprare le energie... Fino a quando padre Giannino Martignoni lo chiama alla Clinica San Camillo di Milano. È il mese di luglio 1976. Inizia la straordinaria avventura milanese. Il “rovescio” della grande città L'esperienza precedente gli aveva lasciato insicurezze, angoscia, la paura di aver sbagliato tutto nella vita. Paura di non - 16 - La Vita essere capace di avere un buon rapporto con i pazienti. Paura del giudizio di chi lavorava con lui. Da questa situazione lo “libera” un altro fratello, Giovanni Balgera, un uomo come lui semplice, disponibile, molto amato nella Casa di cura. Con l'aiuto di fratel Giovanni, Ettore recupera la stima di sé, la sicurezza. C'è però un nuovo ostacolo. Per Ettore è logico che il malato, oltre ad avere buone cure mediche, debba avere anche buone cure spirituali. Questo irrita profondamente qualche collega non credente che reagisce con violenza. Nuovo conflitto, risolto brillantemente dal suo superiore, padre Giannino Martignoni. Fratel Ettore si occuperà delle cure domiciliari ai malati la cui famiglia ne facesse richiesta. A tutti i malati fratel Ettore dona la sua dedizione totale e la sua fede "spudorata". Cura e prega; meglio se il malato e la famiglia si uniscono alle sue preghiere. Nei suoi andirivieni di famiglia in famiglia, percorrendo le strade di Milano ad ore “inconsuete”, a fratel Ettore capita di incontrare strani personaggi: uomini e donne senza fissa dimora, quelli che un saggio francese ha chiamato “cani perduti senza collare”. Uomini e donne con vite difficili alle spalle, persone “normalissime” che ad un certo punto la vita ha scaricato (oppure che hanno essi stessi “scaricato” dalle proprie spalle una vita che non diceva loro più niente). Erano quelli che il buon cuore milanese chiamava (e chiama) con una certa dose d'affetto i “barboni”. Guardando quei visi devastati, fratel Ettore si domandava perché fossero così ridotti, quali erano le loro storie. Avrebbe potuto mai fare qualcosa per loro? L'idea gli viene un giorno, mentre passa davanti al dormitorio pubblico più popolare di Milano. All'ingresso una lunga fila di disperati, carichi di sacchetti di plastica in cui sono racchiuse tutte le loro ricchezze, che attendono l'apertura delle porte per trovare un letto per la notte. Povera gente che durante il giorno aveva percorso le strade della città stendendo la mano per ricevere qualche spicciolo, disperati che trova- 17 - La Vita vano consolazione, spesso, in un "cartone" di vino da pochi soldi... Era l'altra faccia della città, quella che pochi conoscevano. Nasce il primo rifugio Il pensiero di quei poveretti praticamente perseguita fratel Ettore per alcuni mesi, fino al primo Natale, in cui decide, con il permesso del suo superiore, padre Giannino Martignoni, di andare al dormitorio con un po' di panettoni e di vino. È una piccola festa..., dalla quale però uno dei poveretti sembra escluso. Porta scarpe troppo vecchie e indurite che gli fanno assai male. Fratel Ettore non trova altra soluzione che regalargli le proprie scarpe e calze, tornando in comunità con quelle del "barbone"... Ma quel Natale non finisce così: l'indomani mattina un altro religioso camilliano celebra nei corridoi del dormitorio la prima Messa che in quel luogo fosse mai stata celebrata. Il direttore del dormitorio, impressionato dalla commossa partecipazione al rito degli ospiti, chiede ai Camilliani di occuparsi regolarmente dell'assistenza religiosa. Fratel Ettore organizza, poi, la preparazione e la distribuzione gratuita di un pasto caldo ogni sera, aiutato - in questo compito - da Sabatino Jefuniello, il primo dei "suoi" volontari, un'altra figura straordinaria. Era appena l'inizio di un'avventura che nemmeno la morte di fratel Ettore ha concluso. La Stazione Centrale di Milano, come tutte le stazioni ferroviarie delle grandi città, da sempre era punto di raccolta di poveri e disperati d'ogni tipo. La comunità di San Camillo è vicinissima alla Stazione: qui cominciano ad arrivare poveri che vengono sfamati, forniti di abiti e medicine. Ma non basta. Fratel Ettore prende a recarsi nelle sale d'aspetto della stessa stazione, quelle dove si raccolgono i più poveri, con sacchi di panini e pentoloni di minestra per togliere almeno l'assillo della fame. Rimane, però, il problema della notte, trascorsa dai più avvolti in una coper- - 18 - La Vita ta sdrucita o in giornali, negli angoli bui della stazione, sulle panche dei corridoi o nei vagoni sui binari morti... È a questo punto che balza fuori l'idea di chiedere ai responsabili delle Ferrovie se per caso non vi fosse qualche stanzone che si sarebbe potuto adibire a rifugio. Vengono offerti due stanzoni, privi di finestre, sotto un cavalcavia, dove sopra passano i binari dei treni. Sono in uno stato pietoso, ma in poco tempo, con tanta buona volontà e soprattutto l'aiuto di Sabatino, fratel Ettore riesce a farne una prima "casa" per i senza dimora. Il 1 ° gennaio 1979 Mons. Libero Tresoldi, vescovo ausiliare di Milano, padre Giannino Martignoni, superiore alla Clinica San Camillo, e l'on. Vittorino Colombo inaugurano il Rifugio di via Sammartini. La notizia che sotto i vecchi archi della Stazione Centrale un frate ospita i poveri più poveri della città si diffonde in un baleno. Ne parlano i giornali, la radio, la televisione. I due stanzoni diventano dormitorio, cucina, refettorio. In fondo al più grande, su una specie di rialzo, viene allestito un altare dove quotidianamente si celebra la Santa Messa. Via Sammartini diventa il centro di una vasta opera di solidarietà: il bene è contagioso ed il grande cuore di Milano non può smentirsi! Gli ospiti diventano sempre più numerosi; ai "barboni" locali si aggiungono gli stranieri senza permesso di soggiorno, i malati di mente che non hanno altro punto di riferimento, una piccola folla eterogenea e difficile da amministrare... Fratel Ettore non perde il coraggio. La sua speranza e la sua forza sono sempre il Signore e la santissima Madre sua, Maria. La "benedizione" Un giorno, inattesa, giunge la visita del Card. Carlo M. Martini, arcivescovo di Milano, una lunga visita, un'intera giornata che il presule vuole trascorrere fra gli ospiti, pregando con loro, ascoltandoli con affettuosa attenzione. - 19 - La Vita All'ora di pranzo il Card. Martini chiede a fratel Ettore un camice bianco, come quello indossato dal Camilliano: è per servire gli ospiti, fra i quali poi, con semplicità, resta a mangiare. Fra quei commensali c'è anche un ragazzo zairese, vispo, intelligente, al quale Martini offre una borsa di studio. Per fratel Ettore quella visita è una benedizione ed una sorta di conferma: cristiani, musulmani, atei..., nessuno è escluso da quella piccola "corte" dove, dopo i disinganni, l'indifferenza, le disgrazie, c'è posto per una fraterna solidarietà. Ad aiutare fratel Ettore arrivano nuovi volontari, gente che prega e lavora silenziosamente. Ma presto si pongono altri problemi. L'eterogeneità degli ospiti (uomini e donne, vecchi emarginati, tossicodipendenti, ex ricoverati negli istituti psichiatrici, alcolisti, extracomunitari più o meno clandestini...) non permetteva che potessero restare in quei due stanzoni di via Sammartini. A questo punto diventa urgente trovare altre soluzioni. «La c'è la Provvidenza!», potrà dire fratel Ettore, come il più noto personaggio manzoniano. Una signora di Seveso, Adalgisa Pontiggia, offre di vendere a fratel Ettore - ma in pratica quasi li regala - uno stabile ed un terreno nella cittadina brianzola. Qui, con l'aiuto del sindaco e delle autorità comunali, ma anche di alcuni industriali locali, nasce Casa Betania. E dopo Casa Betania, altri rifugi dapprima in Italia e poi all'estero, in un vero e proprio "contagio" di carità. Fratel Ettore segue instancabile tutto e tutti, anche se la sua salute è sempre più fragile, il suo volto sempre più segnato, i capelli sempre più bianchi e la schiena sempre più curva e dolente. Per i suoi ospiti non è un benefattore, è un padre ed una madre insieme, tenero, accogliente ma anche severo educatore. Nei rifugi è proibito ubriacarsi, litigare. Ciononostante, a volte deve intervenire la Polizia per sedare piccole risse in cui volano anche pugni e schiaffi. - 20 - La Vita Come in famiglia Fratel Ettore cerca, insomma, di essere un educatore che tenta di recuperare al decoro, ad una vita normale tutta questa povera gente. Una grande città è spesso crudele e indifferente. Fratel Ettore riesce a coinvolgere tanti fra i più fortunati, che offrono mezzi per organizzare piccole attività di lavoro. Sono gli stessi ospiti, poi, ad essere coinvolti nella conduzione delle case, nella preparazione dei pasti, nel riordino delle stanze, un po' come in famiglia. Ecco, fratel Ettore vuole dare il senso della famiglia, della comunità a gente che la vita ed i suoi disinganni costringono ad essere individualista. «Nessun uomo deve essere solo sulla terra»: è il principio base di fratel Ettore, perché «la vita ha senso solo se ci si accorge di chi ci sta accanto e può aver bisogno di noi». Un principio educativo, questo, e nello stesso tempo "terapeutico". La solidarietà di chi fornisce mezzi di sussistenza non manca mai; diverso è per i volontari: la situazione in cui si trovano ad operare è difficile, ed anche chi inizia con ottima volontà, dopo un po' di tempo cede le armi. Ai già gravi problemi, negli anni Ottanta, si aggiungono anche quelli della tossicodipendenza e dell'Aids. Dopo via Sammartini e Casa Betania, c'è il Villaggio delle Misericordie a Milano Affori; Nostra Signora di Loreto vicino a Bucchianico, patria di san Camillo; la Sacra Famiglia a Grottaferrata (Roma). I confini d'Italia non bastano: in uno dei suoi viaggi in America Latina fratel Ettore scopre la Colombia con la sua capitale, Santa Fé de Bogotà, curiosa città idealmente spaccata in due: l'una poverissima, l'altra ricchissima. E nella parte povera tanti sbandati, poveracci senza famiglia e senza tetto da aiutare, da sfamare, da alloggiare. Dunque, altri tre rifugi della Comunità Nazareth. La vita di fratel Ettore continua ad essere un cumulo di impegni, di preoccupazioni, di avventure umane cui danno sollievo e sostegno una fede illimitata nella misericordia del Si- 21 - La Vita gnore e la preghiera costante. Fratel Ettore è un innamorato fedelissimo della Beata Vergine, della quale porta in giro, con orgoglio, grandi statue ed immagini. Una vita spesa per gli altri Del suo corpo, stanco e malridotto, sembra curarsi sempre di meno. A volte è costretto a farsi ricoverare in una delle due Case di cura camilliane di Milano: la San Pio X o la San Camillo. Ma se qualche urgenza lo richiama, se gli è appena appena possibile, lascia il letto e corre via, con il suo viso sempre più solcato di rughe, con la sua talare nera sempre più sdrucita. La sua vita è una “vita spesa” senza risparmio per gli altri, per ciascuno che può aver bisogno di lui. Ad un certo punto, accanto a lui, il Signore mette una presenza stabile, forte e sicura: suor Teresa Martino. La sua è una vita “consumata” per gli altri senza risparmio. Così fino all'ultimo giorno, abbandonato alla volontà di Dio e nello stesso tempo desideroso di vivere, vivere ancora per portare avanti la sua “baracca”. Dice infatti poco prima di chiudere gli occhi: «Se il Signore mi dà vita, vorrei fare una grande festa il 25 ottobre del 2005» (in ricordo della sua professione religiosa). Il povero asino si è ribellato, il povero frate si è accasciato» il 20 agosto 2004. - 22 - Una giornata con fratel Ettore Nonostante la fragilità fisica, le malattie, l'età, tenere il passo di fratel Ettore durante una sua giornata sfiancava pure i più giovani. Ecco come Renzo Agasso, in uno scritto di qualche anno fa, racconta una giornata-tipo del Camilliano. Balza dal lettuccio, fratel Ettore, il riposo è finito. Afferra la tonaca nera da la croce scarlatta, la indossa in fretta e fila in cortile. Un sole tiepido fa capolino tra le nuvole grigie. Si parte per Seveso, Casa Betania. La chiesa quadrata in vetro e cemento; dietro un ampio cortile, il capannone dove dormono i poveri. Altre costruzioni, letti e brandine. Eccoli quelli che i giornali chiamano "barboni": uomini e donne dall'età indefinita, i capelli ingrigiti dagli stenti, dimessi ma dignitosi, i vestiti in ordine. Fra loro s'aggirano premurosi i volontari di fratel Ettore, accudiscono il vecchio che non si regge in piedi, la donnetta fuori di testa, l'ex ubriacone attaccabrighe. Arriva il Camilliano e gli si fanno intorno, lui li saluta per nome. Passa fra i letti del dormitorio, s'informa della salute di uno, rimbocca le coperte a un altro. Lo chiama un vecchio: «Fratel Ettore, ho tutte le ossa che mi fanno male, non riesco a stare in piedi». E lui: «Guarda me, ho le ossa più malandate delle tue, certe mattine ho paura che si rompano eppure sono qui: coraggio, in piedi, ce la farai». E lo solleva, mentre l'altro protesta: «No, no». Lo sostiene per le ascelle, finché il vecchio mette una gamba dietro l'altra, e cammina. «Vieni, andiamo in salone a fare un brindisi col vino bianco e i biscotti». Corre la voce, e si radunano tutti, arrivano i bicchieri, un vassoio di dolci, caraffe di vino. I volontari distribuiscono la merenda - 23 - Una giornata con fratel Ettore imprevista, ma prima fratel Ettore, in mezzo al salone, alza le braccia, chiude gli occhi e dice: «Innanzitutto ringraziamo il Signore per questo giorno che abbiamo vissuto. Preghiamo insieme: Padre nostro...». Salgono al cielo le preghiere dei poveri. Fratel Ettore passa fra loro a distribuire il vino. La festicciola continua, lui sparisce e ricompare diverse volte. Chiama a raccolta i suoi: «In chiesa, è l'ora del vespro». Entrano tutti e siedono intorno alla statua della Madonna di Fatima. Fratel Ettore impugna il microfono e guida il canto, rispondono le voci dolenti dei poveri, mentre l'ultimo raggio di un pallido sole penetra dalle enormi vetrate. Tengono in mano il libro delle preghiere. Il Camilliano parla per un poco, poi conclude: «Ci ritroveremo ancora qui dopo cena, prima di andare a dormire, per dire di nuovo grazie al Signore del giorno che ci ha fatto vivere». Calano le ombre della sera sulla città della diossina. Era un luogo di morte, Ettore degli ultimi ne ha fatto un inno alla vita. In via Sammartini A quest'ora una lunga fila di poveri si dirige verso il rifugio di via Sammartini. S'apre il cancelletto e tornano ad animarsi i due immensi capannoni. Nel primo i tavoli pronti per la cena, i letti nell'altro. Sui muri bianchi stanno scritti i dieci comandamenti: «Non avrai altro Dio...; Onora il padre e la madre; Non dire falsa testimonianza; Non commettere atti impuri; Non desiderare la donna d'altri; Non desiderare la roba d'altri». Ogni notte gli occhi dei poveri si chiudono su quelle scritte. È il promemoria di fratel Ettore per i suoi ospiti. Dopo cena passano nel secondo capannone, il letto pulito almeno per una notte. Nel centro dello stanzone lunghe file di sedie rivolte verso l'altare. Sì, la camera da letto dei poveri è anche la loro chiesa. In fondo, dietro una porta scorrevole, s'intravede il tabernacolo sotto un'enorme scritta: «Gloria a Dio e pace all'uomo. Ama il Signore e il prossimo». Lì si celebra la messa, di lì fratel Ettore parla, predica, prega. - 24 - Una giornata con fratel Ettore Al mattino via tutti, di nuovo a vagare senza meta per Milano. Chi tornerà, chi no. Nuovi poveri verranno, il rifugio non è mai deserto. Fuori, palpita Milano. La scritta che indica il rifugio, i vasi di fiori e le immagini sacre, sono tracce di umanità nella metropoli indifferente. S'inseguono le automobili davanti alla casa della speranza. In alto, sul tetto del rifugio, sferragliano e fischiano i treni in partenza e in arrivo alla Centrale. Il posto dei poveri è un'oasi nel deserto di cemento. «Io sono il pane della vita», ha scritto il Camilliano dentro il rifugio. Ma gli affamati stanno fuori. Tenere il passo di fratel Ettore... Tener dietro a fratel Ettore, che impresa. Ha riposato un po' alla San Pio X, dove i confratelli gli riservano una stanzetta. Non c'è più, lo segnalano ad Affori. II Villaggio delle Misericordie è un cantiere infinito. Lui ha deposto la tonaca e indossa una maglietta bianca con la Madonna disegnata. Ci sono i muratori, gente che va e viene, sta dietro a tutti, incita, grida, comanda. Arriva un camion e l'autista lo insegue: «Fratel Ettore, bisogna caricare prima di sera sennò come faccio a partire?». «Eccomi, eccomi. Forza, Robertino! Ragazzi, venite tutti: c'è da caricare il camion per la Bosnia». Già, i poveri per i più poveri. «Siamo già andati più di settanta volte, laggiù hanno davvero bisogno, sono disperati, abbiamo un carico di latte, brandine, materassi, detersivi, forse stanotte partirò anch'io, vedremo. Forza, ragazzi, che i poveri aspettano». Ettore e i suoi amici piegano la schiena e in breve le ricchezze dei poveri sono sul camion, destinazione Bosnia. Come la vedova del Vangelo, hanno dato il niente che possedevano. Fratel Ettore non si stanca di ripeterlo: «Noi siamo ricchi». Torna dai muratori, grida ordini nel telefonino, poi chiama tutti: «Basta, facciamo una pausa». Scompare nella cucina, torna con un bottiglione di vino e i bicchieri di pla- 25 - Una giornata con fratel Ettore stica: «Beviamo qualcosa». Scherza, e il telefonino appeso alla cintola non dà tregua. Alla fine: «Coraggio, è rimasto un goccio di vino, chi lo finisce? Dai, Antonio, non fare il timido: una volta ne avresti scolato un bottiglione da solo». Una risata e via, di nuovo al lavoro fino all'ora della preghiera e della cena. Così trascorrono i giorni... Sul pulmino che andrà in Bosnia con il camion stanno caricando una statua della Madonna. «Lei viene sempre con noi». Qualcuno propone: «Facciamo una foto prima di partire». «Sì, va bene, venite tutti qui. Un momento però». Fratel Ettore scompare e torna con la tonaca nera e la croce rossa sul cuore. Si mette in posa fra i suoi poveri. «La Madonna!», e corre al pulmino, prende la statua e torna tenendola fra le braccia. «Ecco, adesso ci siamo tutti, puoi scattare». È di nuovo sera, fratel Ettore ancora in movimento. Saluta due giornalisti passati a trovarlo. «Avete in tasca un rosario? No? Aspettate». Rincorre un collaboratore: «Hai un rosario? Dammelo». Chiama una donna che porta un pentolone: «Dammi il tuo rosario, fai in fretta». Quella estrae la coroncina bianca, e il Camilliano torna dai giornalisti: «Eccovi un rosario ciascuno, tenetelo in tasca. E usatelo!». Non fanno in tempo a dir grazie. La tonaca nera è già lontana. I poveri attendono. Renzo Agasso - 26 - La personalità Come per i tanti fondatori di opere benefiche di cui è fortunatamente disseminata la storia italiana, anche per fratel Ettore le realizzazioni rappresentavano uno specchio di sé, delle proprie caratteristiche, del proprio modo di essere come uomo e come religioso, del proprio rapporto con il Signore. Buttare un occhio, quindi, sui suoi comportamenti serve a comprendere meglio il senso e gli effetti sociali ed ecclesiali delle sue realizzazioni. Un "pasticcione" Fratel Ettore è stato un grande realizzatore, non un grande organizzatore. Ogni sua iniziativa è nata un po' caoticamente, spesso senza un programma preciso, ma solo come risposta pragmatica ai bisogni che via via si andavano evidenziando. L'intuizione diventava allora progetto concreto che si realizzava con una molteplicità di espressioni. Pensando al suo aspetto dimesso ed alla sua semplicità, c'è una caratteristica del Camilliano che può sembrare incredibile, mentre era invece straordinariamente funzionale: quella di aver intuito l'aiuto che poteva venirgli dall'uso dei mass media e, quindi, la sua capacità di “pubblicizzarsi”. A suo modo, era un personaggio. Così lo ricorda padre Angelo Brusco, suo compagno di noviziato e poi Superiore generale dell'Ordine Camilliano: «I mezzi di comunicazione sociale non l'hanno ignorato. Ha partecipato a trasmissioni televisive di carattere nazionale con un alto indice di audience. Ai cronisti di Milano non sfuggivano le sue iniziative e le sue prese di posizione. Aveva facile accesso al Vaticano, sollevando tensioni presso gli uomini della sicurezza incapaci di trattenerlo. Frequenti erano gli incontri con il Card. Martini che... aveva colto la bontà della persona e dei progetti di fra- 27 - La personalità tel Ettore, anche se non ne ignorava la singolarità dei modi... Non vi sono dubbi che fratel Ettore volesse essere visibile, sbandierando le imprese compiute e i riconoscimenti ricevuti... Non solo aderiva ad ogni proposta di intervista, ma spesso era lui stesso a sollecitare i giornali a interessarsi su quanto egli compiva, attirando spesso l'accusa di protagonismo e narcisismo». In questa situazione, non potevano mancare le critiche da diverse parti. La visibilità lo faceva tacciare di protagonismo; il suo modo di aiutare i poveri era criticato come forma di assistenzialismo poco incisivo per la risoluzione dei problemi sociali... Una critica, quest'ultima, che veniva rivolta anche ad altri soggetti, come Madre Teresa di Calcutta, come Marcello Candia, l'industriale milanese che aveva utilizzato ogni sua ricchezza per aiutare i poveri più poveri del Brasile... Anche le processioni cittadine da lui organizzate, la distribuzione a piene mani di rosari e immaginette facevano arricciare il naso. Perfino le relazioni con i confratelli Camilliani erano spesso problematiche, anche se i tre Superiori generali con i quali fratel Ettore ha avuto a che fare «non hanno avuto esitazioni nel riconoscere la validità del particolare modo con cui egli interpretava e realizzava il carisma dell'Ordine». Un uomo scomodo Più problematico il rapporto con il Provinciale ed i superiori della comunità cui apparteneva. A questo proposito, testimone fedele e obiettivo è padre Brusco, il quale afferma: «I loro interrogativi e le loro reazioni erano ben comprensibili se si tiene conto che fratel Ettore muoveva le sue pedine creando continuamente sorprese cui essi, come pure i confratelli della comunità, dovevano far fronte. Il suo modo di osservare l'obbedienza e la vita comunitaria (non quella fraterna!) - che andava fuori dagli schemi ordinari -, come pure l'appellarsi ai superiori maggiori o al padre spirituale per giustificare certe sue scelte, non era senza ripercussioni sui suoi - 28 - La personalità superiori immediati... Chi vedeva fratel Ettore da lontano, e non capiva il suo sogno, non poteva non essere influenzato negativamente da questi e altri aspetti, certamente creatori di disagio, ma di secondaria importanza se visti nell'insieme della sua vita ed attività». Come ha affermato padre Frank Monks, quando era Superiore generale dell'Ordine, fratel Ettore «suscitava reazioni positive e negative, perché l'uomo di Dio non sempre è capito da tutti. Non era sempre facile comprenderne il pensiero, perché i santi non pensano sempre a modo nostro». Fratel Ettore è stato certamente un uomo scomodo non soltanto per l'Ordine religioso cui apparteneva, ma per l'intera comunità civile: il suo operare era allo stesso tempo critica feroce per le negligenze nei confronti di chi è considerato "diverso", ed invito pressante a cambiare rotta, ad intervenire, a sporcarsi le mani con chi la società cerca di rifiutare e, a volte, nascondere. Fratel Ettore era consapevole - in certo senso - di questo suo modo di essere. Un giorno ebbe a dire: «Penso che quest'opera per gli ultimi, i diseredati, gli emarginati, sia stata proprio voluta dal Signore. Egli fa cose ben più grandi anche solo con una mascella d'asino, dunque perché stupirci se ha fatto queste belle cose con un poveraccio come me?». Ed è vero. Dio non sceglie, per le sue opere, i migliori - dal punto di vista umano - i più dotati, i più attrezzati culturalmente e spiritualmente. È Pietro, povero pescatore, uomo rozzo, persino traditore del Maestro, che Gesù sceglie per guidare la sua Chiesa! Non c'è da meravigliarsi, dunque, se per avviare una grande opera benefica Dio abbia voluto "incaricare" un santo "pasticcione" come fratel Ettore. Preso da sacro furore «Per rimanere con i più poveri tra i poveri, bisogna avere una grande voglia di lottare. Io combatto e combatterò finché il Signore mi lascerà un briciolo di energia, per marciare - 29 - La personalità con gli ultimi e prendermi sulle spalle la loro croce» (Fratel Ettore Boschini). Non contento di assistere gli emarginati e i senza tetto di Milano e dintorni da tempo andava frullando nella mente di fratel Ettore l'idea di allargare il raggio d'azione dove gli "ultimi" e i cenciosi sono una moltitudine. Così, ascoltando la voce del cuore, nel mese di luglio del 2000 è partito per l'America Latina: destinazione Bogotà, capitale della Colombia, costantemente stretta nella morsa dell'indigenza e dove la "vita" non è tenuta in nessuna considerazione. Preso da sacro furore e in compagnia dell'inseparabile statua della Madonna, arrivato nella grande città, dopo pochi giorni riesce a raggiungere un accordo con il proprietario dell'unica casa disponibile situata nella Plaza Santa Maria de las Cruces, quasi all'ombra dell'imponente chiesa omonima e a pochi passi dal Seminario camilliano, per dare un tetto ai primi ospiti che raccoglie dalla strada. Non importa che al momento la casa fosse poco più che fatiscente, che avesse bisogno di restauri prima di essere abitata. Fratel Ettore è abituato a non andare troppo per il sottile quando è nell'emergenza. Se il risultato estetico non è dei migliori, non fa niente, l'importante è dare un tetto a chi è nella necessità. Subito si dà da fare, rimbocca le maniche, s'improvvisa muratore per dividere gli spazi, aiutato dai giovani studenti camilliani del seminario. Come al solito pare non aver bisogno di progetti per dare un po' di decoro a quello che dovrà diventare il cenacolo dell'accoglienza: gli basta poco. Sfamare, curare i malati, andarli a cercare, lavarli, vestirli è da sempre la sua passione. I suoi ospiti sono persone rifiutate che hanno fallito la scommessa con la vita e non hanno altro posto dove andare. La promozione umana resta l'obiettivo principale per alleviare la loro disperazione e riportarli ad un livello di vita dignitoso. Un obiettivo talvolta impossibile quando le richieste superano le capacità di aiuto e quando troppe mani si tendono insieme a chiedere ciò che le forze di un uomo solo non - 30 - La personalità hanno la possibilità di donare. Ma la fiducia non gli ha mai fatto difetto e il coraggio di sperare nemmeno. Ha già subìto anche l'esperienza della violenza, è stato picchiato per non aver ceduto il cellulare a un gruppo di disperati la notte che accompagnava all'ospedale un disgraziato. E gli è andata bene, cavandosela solo con qualche ammaccatura. Però ha potuto rendersi conto che le notti di Bogotà sono un po' diverse da quelle di Milano già di per sé tristi, e che la vita di una persona in certe circostanze può valere molto meno di un cellulare. - 31 - La spiritualità Innamorato di Maria di Nazareth «Vorrei dire a tutti che con l'aiuto di Dio e l'amore della Vergine nessuno potrà mancare di compiere il proprio dovere cristiano. Nulla è impossibile a Dio, disse l'Angelo a Maria al momento dell'Annunciazione. Così capiterà anche a noi se con la fede della Vergine diremo si alle varie richieste di Dio» (Fratel Ettore). La devozione per la Vergine è stata il dato distintivo di fratel Ettore, una devozione "spudorata", irrefrenabile, coinvolgente. La sua preghiera preferita era il rosario, che recitava come un innamorato recita versi alla sua bella. A volte girava con agganciata al tetto della sua autovettura, a dire il vero un po' sgangherata, una grande statua della Madonna che veneriamo a Fatima. E nessuno poteva fare a meno di notarlo. In chi non lo conosceva, questo modo di fare poteva suscitare ilarità, stupore. Ma non appena gli si parlava, non si poteva fare a meno di lasciarsi trascinare nel vortice del suo stesso innamoramento, forse un po' esagerato. «Evidentemente le statue non erano che un segno del suo profondo amore per la Madre del Signore che si esprimeva nello sgranare rosari e nel cantare toccanti canzoni. Nella devozione verso la Vergine Immacolata la sua spiritualità acquistava toni fortemente affettivi. Tra tutti i santuari, lo attirava maggiormente quello di Fatima, forse per gli accenti di riparazione che permeano i messaggi rivolti dalla Vergine ai tre giovani veggenti» (A. Brusco, Con tenerezza di madre e cuore di profeta, Vita Nostra n. 247, luglio-settembre 2004). Per fratel Ettore, Maria era "la mamma" del Salvatore e sua, e di tutti gli uomini e le donne del mondo. In questo modo non perdeva mai di vista il Cristo Gesù; e la misericordia del- 32 - La spiritualità la Madre era la traccia che lo conduceva al cuore misericordioso del Figlio. Maria, per fratel Ettore, non era mai separata dal Figlio, ragione della Sua stessa vita e ragione di vita anche del discepolo Ettore. Infatti, è nel discepolato fedele di Maria che Ettore trova la strada del suo discepolato; è nel cuore misericordioso della Madonna che Ettore trova il "modello" del suo agire per gli altri, per i poveri, per i "dimessi" dalla società. Per Maria a Cristo Maria e Gesù: il binomio fondamentale che ha guidato tutta la vita di fratel Ettore. Maria e Gesù: protagonisti di un amore che Ettore non voleva tenere per sé, ma voleva che altri sentisse intorno alle proprie spalle, come scudo e baluardo, come "coperta" che difende e protegge dal freddo del male. Il suo modo di testimoniare la profondità di questi moti precisi e profondi dell'animo, era semplice, spontaneo, quasi fanciullesco, come il suo modo di essere. Distribuiva rosari e immaginette del Sacro Cuore senza risparmio e senza curarsi troppo se chi le riceveva era credente o no. In fondo Ettore credeva nella forza evocativa delle immagini che non potevano non smuovere i cuori, che un giorno o l'altro non potevano non interrogare le coscienze. Poi, se nulla succedeva, beh, allora non era affar suo ma del Signore! Scrive ancora, nel saggio sopra citato, padre Angelo Brusco che ha accompagnato per un tratto il cammino di fratel Ettore: «Ciò che ha confermato in me la certezza della sua profonda vita nello Spirito è stata la continuità del suo slancio spirituale: nei momenti belli come in quelli oscuri e drammatici, si esprimeva nella preghiera costante, nell'offerta della propria sofferenza, nell'azione di grazie. Sul suo modo di pregare e di far pregare si poteva anche discutere e certe pratiche e manifestazioni si prestavano facilmente alla critica. Ciò che, però, non poteva essere negato, era l'autenticità dei sentimenti che lo muovevano». - 33 - La spiritualità La devozione al Rosario La vita nello Spirito di fratel Ettore è stata anche la manifestazione della sua paternità; un "senso della paternità" che egli ricavava dall'attenzione al Vangelo, Parola letta, meditata, adorata e proclamata con la forza del testimone verace. Quindi Parola tradotta in gesti usuali. Parola "mangiata" ogni giorno nel pane e nel vino eucaristici. Anche il Rosario, quasi un "biglietto da visita" del Camilliano, era un percorso breve nella storia della salvezza, alla scuola del Maestro, la cui vicenda è interamente rivissuta nei Misteri. Nel Rosario fratel Ettore riviveva la vita di Gesù e Maria, sentiva la voce dello spirito, s'inginocchiava davanti alla misericordia del Padre. Era il suo "breviario", la sua consolazione. Per questo non lo teneva soltanto per sé: come "oggetto evocativo" regalava una coroncina a tutti quelli che incontrava per dire loro il bene di Maria e Gesù. Il Card. Tettamanzi nell'omelia per le esequie disse: «Mi pare che la testimonianza di fratel Ettore sia inconfutabile: lui ha creduto a queste parole, e le ha rese "carne della propria carne e sangue del proprio sangue". Si è fatto ultimo con gli ultimi. Non li ha solo "accolti". Li ha anche "cercati", cercati per amore e per fede, come immagini vive e palpitanti del Figlio di Dio fattosi uomo e resosi misteriosamente presente in ogni povero e sofferente, in quanti hanno fame e sete, sono forestieri e nudi, malati e carcerati» (cfr. Matteo 25, 35ss). «"Padre dei poveri", così qualche giornale ha definito fratel Ettore. Per la verità, c'è da dire che la Bibbia riferisce questo appellativo solo a Dio, il Pater pauperum per eccellenza. Ma fratel Ettore è stato, con tutta la sua carica di umanità e per un dono grande di Dio e del suo amore, una trasparenza particolarmente luminosa, credibile ed efficace dell'infinita, misericordiosa e compassionevole paternità di Dio». - 34 - La spiritualità Azione e contemplazione L'azione, anche frenetica, in fratel Ettore nasceva dalla contemplazione, non fatta nel segreto di un tempio, ma per le strade, nella vita convulsa delle grandi città. Scrive padre Brusco: «Non vi sono dubbi che la sua carità verso i poveri e gli ammalati non poteva che nascere da un cuore abitato dall'amore del Signore. Pensando a questo mi è venuta in mente l'immagine del razzo che Urs von Balthasar usa per descrivere il duplice movimento spirituale della vita cristiana e che, a mio parere, ha trovato una bella realizzazione nell'esistenza di fratel Ettore: "Ripido vola il raggio di fuoco dell'amore verso il cielo, si concentra, scoppia (nell'attimo dell'estasi), e mille scintille discendono rapide e sempre più rapide verso la terra: Dio manda te, lacerato a pezzi, ti rimanda ai suoi fratelli"». L'immagine di von Balthasar è suggestiva. Ma fratel Ettore non avrebbe mai pensato di esserne una realizzazione vivente. Il suo vivere nello Spirito aveva i toni della semplicità, della sapienza del cuore che a volte ignora le profondità teologiche. Il suo sogno era di spartire con chi incontrava, non soltanto la vita materiale, ma proprio quella vita nello Spirito di cui egli stesso si nutriva. Scrive ancora padre Brusco: «Nelle iniziative di carità egli puntava non solo a salvaguardare la dignità delle persone, ma anche a promuovere la loro salvezza, appellandosi alla misericordia divina. La filantropia diventava così carità non solo perché motivata soprannaturalmente, ma anche perché mirava alla realizzazione completa della persona, destinata alla salvezza». Certo, i suoi modi di fare non erano esenti da critiche. «Da alcuni è stato notato che egli forzava un po' troppo nello stimolare i suoi poveri, e non solo quelli, alla conversione. Anche in quei casi erano il suo stile e la sua personalità che davano toni e accenti particolari a un'intenzione di grande autenticità. Nel suo amore a Cristo misericordioso vi era anche quella dimensione riparatrice rintracciabile nella maggior parte delle anime mistiche, così profondamente unite al Si- 35 - La spiritualità gnore da avvertire l'ansia di riparare le offese che vengono fatte all'oggetto del proprio amore» (padre Angelo Brusco). Il "modello" Camillo de Lellis Nei visceri materni di Maria fratel Ettore trova la risposta alle sue domande di redenzione universale, trova la realizzazione del suo sogno. Maria è amata da fratel Ettore perché, Madre del Signore, è la stella polare di san Camillo de Lellis, di cui aveva attentamente studiato la biografia e gli insegnamenti, cercando di riprodurne, nella propria vita, i tratti caratteristici. «Del Fondatore egli ha imitato in modo particolare l'amore verso gli ultimi, la mobilità che gli consentiva di correre là dove emergevano bisogni urgenti, la visione di fede che lo portava ad inginocchiarsi davanti al malato. A volte... mi è sembrato di notare in fratel Ettore un certo mimetismo, cioè la volontà di fare propri in maniera un po' studiata gli atteggiamenti puntuali di san Camillo. Ciò, tuttavia, non toglieva nulla alla sua sincera volontà di fare del Fondatore un modello di vita» (A. Brusco, op. cit.). Fratel Ettore fondatore? Fratel Ettore aveva il senso dei suoi limiti, ma desiderava che le sue opere non cadessero nel nulla una volta che lui fosse scomparso. Uno dei suoi progetti era quello di fondare un istituto religioso come diretta derivazione dalla sua spiritualità e - è lecito supporlo - ispirato da una visione di Maria come Madre della Chiesa, di una comunità, quindi. Non si può, allora, pensare a fratel Ettore senza occuparsi di quest'altro suo sogno, che soltanto parzialmente si realizzerà. Nello spiegare i motivi della parziale realizzazione ci viene ancora in aiuto padre Angelo Brusco: «Nel tentare di realizzare tale progetto egli ha proceduto con quel tipico disordine che spesso caratterizzava le sue iniziative. Forse era sua convinzione che avrebbe potuto raggiungere quell'obiettivo come era stato capace di creare, una dopo l'altra, le sue case - 36 - La spiritualità di accoglienza. Purtroppo ha dovuto scontrarsi con una realtà diversa: le norme canoniche assai precise, la difficoltà della promozione vocazionale, la mancanza di risorse formative per gli eventuali candidati... Il suo stesso modo di procedere spesso affrettato e, qualche volta anche semplicistico, non gli è stato di aiuto. Dopo aver pensato a un istituto di uomini e di donne, ha optato per accogliere unicamente donne. Non essendovi vocazioni in Italia, ha tentato la via della Colombia, sperando di portare in Italia un numero significativo di donne aperte a questa vocazione. L' impresa non poteva evidentemente avere successo, perché una vocazione alla vita consacrata ha bisogno di essere coltivata e verificata con un serio discernimento... ». La continuità dell'opera di fratel Ettore è stata comunque assicurata, perché in parte il suo sogno di "fondatore" si è realizzato in suor Teresa Martino. Milano e la sua Chiesa Milano è una città "stravagante". Apparentemente i suoi abitanti sono travolti da una frenetica attività, che dà pochi spazi al riposo e non ne riserva affatto alla riflessione, tanto meno alla spiritualità. Una città percorsa dal desiderio di fare soldi, i mitici "dané", di accumulare potere, di vivere alla grande occupandosi unicamente della propria immagine. Tutto questo è vero, Milano ed i suoi abitanti sono in gran parte così. Ma la Milano col "coeur-in-man", con il cuore nelle mani, generosa, attenta, non è stata sepolta dall'arroganza e dall'indifferenza, esiste, e come se esiste! È una città, come ha affermato il suo arcivescovo - il Card. Dionigi Tettamanzi - nell'omelia ai funerali di fratel Ettore, «che ha le sue contraddizioni, come peraltro avviene per tutte le grandi e moderne città, ma che si presenta come estremamente vivace, dinamica e operosa nel volontariato nei riguardi dei poveri, dei deboli, degli anziani, dei malati, dei diseredati e disperati». - 37 - La spiritualità È questa la Milano che ha amato fratel Ettore, che gli ha dato sostegno finanziario e morale quasi da subito, la stessa Milano dove - alla fine dell'Ottocento - cattolici e socialisti facevano a gara nell'aiutare quei diseredati che un secolo dopo fratel Ettore avrebbe fatto diventare suoi fratelli. È questa la Milano alla quale fratel Ettore “ha fatto scuola”. Quante istituzioni e quante persone hanno accolto la sua lezione di carità e l'hanno seguito e aiutato! Lo spontaneo afflusso alla sua salma da parte di tante persone d'ogni ceto sociale, d'ogni paese e d'ogni fede, è una splendida testimonianza». L'"Angelo dell'anno" Una testimonianza andata oltre la morte: infatti la "Milano solidale" ha conferito un premio speciale "alla memoria" a fratel Ettore. Ogni anno la città festeggia i propri campioni di generosità con un premio dal titolo evocativo: Angelo dell'anno, consegnato a coloro che si sono segnalati nel servizio del prossimo. Giunto alla sua sesta edizione, nel 2005 ha insignito fratel Ettore di questo speciale riconoscimento. Nella cerimonia di premiazione l'applauso più lungo e commosso è stato riservato proprio al Camilliano. Così ancora una volta è emerso il volto bello e generoso della città. Perché proprio fratel Ettore? Perché è stata la sua semplicità, la sua fede "gridata" a coinvolgere anche i cuori più duri, a risvegliare le coscienze. L'ha sottolineato lo stesso Card. Martini che ha sempre apprezzato e sostenuto fratel Ettore. Così Martini ha scritto al suo successore, Dionigi Tettamanzi, non appena appresa la notizia della morte del religioso camilliano: «Ho avuto modo di ammirare una carità, un disinteresse, uno spirito di sacrificio veramente eroici, che non si tiravano mai indietro di fronte a nessuna difficoltà. Un religioso così - mi verrebbe voglia di dire "un gigante della carità" - fa onore al Vangelo e alla bontà della nostra gente e merita che le sue azioni e iniziative siano ricordate tra le più significative di questi anni nel campo dell'emarginazione». - 38 - La spiritualità Sono solo un pover'uomo... Anche fratel Ettore era conscio del suo "debito" verso la Parola, perché così si era più volte espresso: «Vorrei convincervi che sono soltanto un pover'uomo. Un uomo che per tutta la vita ha fatto soltanto la volontà di Dio, spesso senza neppure rendersene conto. Dal Signore ho ricevuto grazie straordinarie, ma non posso vantarmi di aver sempre corrisposto perfettamente alle grandi grazie ricevute. Questo lo dico perché nessuno, ripeto nessuno, anche l'ultimo dei miei ospiti, si senta inferiore a me o possa pensare di non poter fare anche lui cose simili a quelle che io, per grazia di Dio e per lo straordinario amore della Madre, ho compiuto...». In ordine di tempo, in questo nostro tempo così tormentato e affascinante, fratel Ettore è l'ultimo esempio della predilezione divina per i semplici, il "segno" attuale della parola di Gesù che ringrazia il Padre perché non ai sapienti ed ai potenti, ma ai piccoli ed agli umili rivela sé e il suo mistero. - 39 - La forza di un uomo fragile «Se dovessi raccontare della mia salute, vi trovereste a dover credere che in tutta la mia vita per ben pochi giorni ho goduto di totale salute. Posso dirvi che la sofferenza non mi ha mai abbandonato. Ma ho accettato tutto con serenità perché a grandi grazie di Dio fanno sempre da contrappeso grandi croci» (Fratel Ettore). Vorrei dire a tutti che con l'aiuto di Dio e con l'amore della Vergine nessuno potrà mancare di compiere il proprio dovere di cristiano. La fede, la speranza e la carità sono le tre virtù che convivono. Nulla è impossibile a Dio, disse l'angelo a Maria al momento dell'Annunciazione. Così capiterà anche a noi, se con la fede della Vergine diremo sì alle svariate richieste che Dio ci fa ogni giorno. Anche se queste richieste richiedono umiliazioni, fatica, dolore, morte». Così ha detto di sé fratel Ettore. Ed è vero: era un uomo fragile, dalla salute malferma fin dalla giovinezza. Ma questo non gli ha impedito di lavorare, di impegnarsi fisicamente fino alla fine, senza risparmio. Lo sanno bene i suoi confratelli delle Case di cura milanesi San Pio X e San Camillo, che l'accoglievano con fraterno amore tutte le volte che il suo fisico cedeva. Che s'arrabbiavano anche (e poi cedevano le armi), ogni volta che quel loro "matto" fratello si alzava, si rivestiva e se ne andava senza che i medici gliene avessero dato il permesso, perché c'era qualche situazione da sistemare, qualche povero da "riscattare". La "cartina di tornasole" Si dice che la morte è la cartina di tornasole della vita, vale a dire la riprova di come si è vissuto: chi ha vissuto bene, muore anche bene. E morire bene non è uguale a non aver paura della morte, a non soffrire nel sapere di lasciare la vita. Mori- 40 - La forza di un uomo fragile re bene è "morire da vivi" - come ha detto un filosofo -, è morire avendo accolto e consumato in pieno tutta la propria esistenza. Per chi crede in Gesù, il Cristo di Dio, morire bene è morire nella consapevolezza di fare la volontà del Signore, di accoglierlo senza riserve anche negli estremi istanti. È la coscienza che non da noi viene il bene, ma dal Signore che si serve di noi per essere visibilmente presente nella storia, nella quotidianità. Morire bene per il cristiano è morire come il Crocifisso, che vive fino all'ultimo la sua umanità totale, così "totale" da accogliere il senso dell'abbandono perfino del Padre («Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato... »). È quindi lasciarsi purificare, nell'ora della prova, dalla paura, dal dolore stesso. Nell'omelia funebre di fratel Ettore il Card. Tettamanzi ha così commentato: «Il Signore che l'ha purificato in continuità, attraverso le tante prove e sofferenze della vita - quelle morali, in particolare - e che ha portato a compimento questa purificazione con la leucemia che ha consumato il fisico di fratel Ettore, ma non la sua volontà e passione di vivere e di vivere per gli altri, il Signore lo accolga ora - misericordioso e benigno - nella pace imperturbabile e nella gioia piena di quel Regno ch'egli riserva ai suoi servi buoni e fedeli. A fratel Ettore, che non si è mai risparmiato nel dare il cibo e la casa a tanti poveri, Dio doni il cibo che non perisce - quello della vita eterna - e doni la sua casa, ossia il suo stesso cuore, come luogo di protezione, di amore e di beatitudine». Un uomo indocile La sofferenza è stata assidua compagna di fratel Ettore per tutto il corso della sua vita: ogni tanto era costretto a rallentare il ritmo della sua attività per prendersi cura della sua salute. Cosa che avveniva, naturalmente, presso le Case di cura camilliane. - 41 - La forza di un uomo fragile Non nascondeva mai il peso della sofferenza, ma la univa sempre a quella del Cristo Gesù da cui si attendeva grazie per le prove subite. Anche quando stava male, i tratti fondamentali del suo carattere, la sua ferrea volontà non mancavano di mostrarsi. Dice padre Brusco: «Nella malattia si mostrava spesso indocile, contravvenendo facilmente alle direttive dei medici e del personale infermieristico». Uomo semplice, fratel Ettore, ma certamente dotato di un carattere tenace, di una volontà di ferro, che la certezza di essere dalla parte del Signore rendeva ancora più forte. Tutti, a Milano, anche i più lontani dalla fede in Cristo, hanno rispettato e amato quest'uomo dolce e violento insieme, violento della violenza di chi è sicuro nella propria fede. Tutti a Milano, alla sua morte, abbiamo pensato di avere un "santo" in più in cielo, che possa intercedere per il bene della città, dei cittadini, soprattutto dei più poveri. L'ha riconosciuto anche il Card. Tettamanzi che ha affermato: «Sì, noi vogliamo pregare per fratel Ettore. Ma sentiamo che è soprattutto lui che ora può e vuole pregare per tutti noi, per tutti i poveri e i sofferenti che ha incontrato, per tutti i poveri e i sofferenti che continuano ad abitare le nostre città e i nostri paesi. Lui è nell'intimità gioiosa di Dio, ma il suo cuore ha impressi indelebili i segni del tanto dolore quaggiù incontrato e consolato. Preghi, allora, perché il Signore faccia sentire a tutti i poveri, gli emarginati e sofferenti della vita e a tutti quelli che hanno perso la speranza, che lui, fratel Ettore, non li ha affatto abbandonati e che altri - con il loro impegno di assistenza, di cura e di affetto - continueranno a rivelare il volto di un Dio amico dell'uomo, di un Padre che non dimentica nessuno dei suoi figli. La nostra preghiera e quella di fratel Ettore sono, per tutti noi, una straordinaria professione di fede nel significato, misterioso sì ma consolante, che per i credenti in Cristo ha la morte. Essa, in realtà, non spezza i legami, non cancella la comunicazione, non spegne il dialogo - 42 - La forza di un uomo fragile dei pensieri e degli affetti tra quanti si trovano sulle due diverse sponde dell'unico grande fiume della vita!». La radice della forza Quale eredità lascia fratel Ettore? Lo spiega ancora il porporato di Milano: «Questa è la stessa eredità che, per primo, fratel Ettore ha attinto, a piene mani, dalla Parola di Dio, luce e forza della sua vita, nei suoi gesti grandi e piccoli, noti e sconosciuti. È l'eredità attinta soprattutto dal Vangelo, da quel Vangelo vivente e personale che è Gesù Cristo stesso, Gesù crocifisso che dona tutto se stesso per amore. Oh, quella croce rossa che lui, figlio di san Camillo, con semplicità e fierezza ha sempre voluto mostrare a tutti! Non è forse il segno più eloquente e forte che è lì, soltanto lì, nel Corpo dato e nel Sangue sparso del Signore sulla croce, la sorgente e la forza per una vita di dedizione instancabile e disinteressata ai poveri e agli afflitti, quale è stata la vita di fratel Ettore?». - 43 - Il camilliano dei barboni Così ricorda l’impegno di fratel Ettore, quello che è stato a lungo il suo superiore, padre Giannino Martignoni, che per una dolorosa coincidenza morì, inaspettatamente, il 21 agosto 2004, il giorno dopo fratel Ettore. «… Vagabondi di elezione o sbandati senza dimora, poveracci dalla nascita o falliti della vita per cause varie, uomini e donne, ragazzi, giovani, adulti, anziani; milanesi o immigrati da ogni parte d’Italia; stranieri di razze varie, capitati a Milano più o meno clandestinamente; persone separate dal coniuge o dalla famiglia, o coppie irregolari; gente sfiduciata, gente disperata, gente alla ricerca di ogni mezzo per sopravvivere o che ha tentato la fuga nell’alcool o nella droga. In comune, questa variegata popolazione aveva la miseria e la solitudine; aveva il bisogno elementare di un pezzo di pane, di un letto e un giaciglio per la notte, di cambiarsi gli indumenti e lavarsi dopo mesi che non lo poteva fare. Uomini e donne che non pretendevano altro che un aiuto materiale e, avendo perso ogni considerazione di se stessi, non si sognavano neppure che qualcuno potesse dare loro un po’ di attenzione e di calore umano. Fratel Ettore li ha raccimolati qua e là, alcuni incontrandoli per caso lungo le strade della città, altri andandoli a scovare negli angoli o nelle sale d’aspetto della Stazione Centrale. A ciascuno diceva: «"Amico, vieni con me a prendere qualcosa di caldo…»". Parecchi di loro li aveva visti più volte al mattino spintonarsi in disordinata fila davanti alla porta della casa religiosa di Via Boscovich per ricevere un paio di panini e un frutto, o ripresentarsi al pomeriggio per vestiti e medicine. - 44 - Il camilliano dei barboni Più di una volta fratel Ettore s’era prestato a questo servizio. Ma aveva constatato che ciò non era sufficiente. Bisognava fare in modo che questa gente potesse mangiare al coperto, e non sul marciapiede, e trovasse aiuto in tante altre necessità, importanti quanto elementari. Cominciò col recarsi ogni sera con un pentolone di minestra calda in Stazione Centrale, col distribuire biglietti per l’alloggio notturno al dormitorio pubblico di viale Ortles. Qui –la notte di Natale del 19’7– aveva scoperto questa massa informe di gente abbandonata: portò il panettone e lo spumante e chiamò un prete per la Messa di mezzanotte. Poi ci tornò ogni sera con cibarie e rosari. Ma girando in città per il ministero dei malati a domicilio incontrava per la strada volti sempre nuovi, disorientati e affamati. Sulle panchine dei parchi o sugli scaloni della Stazione c’era sempre qualche ubriaco sfinito o qualche vecchio piagato che non si muoveva da giorni. All’ospedale non li accettavano, all’ospizio dei vecchi non ci volevano andare. «"Amico, vieni con me…»". Si diede da fare per trovare un hangar, una cascina o una casa abbandonata da requisire. Trovò solo sorrisi di sorpresa, di comprensione o di commiserazione. Alla fine convinse il Capostazione e mise in moto il Ministero dei Trasporti, fin che ottenne due grandi magazzini sottostanti ai binari della ferrovia. In uno di questi saloni -– senza finestre –- adattò cucina e tavoli da pranzo; nell’altro mise una fila di divani usati su tre lati e un altare sullo sfondo; all’entrata sistemò docce, servizi igienici, una lavatrice industriale, magazzino di vestiti e medicine. Il giorno di capodanno del 1979 invitò il Vescovo ausiliare Mons. Tresoldi per la Santa. Messa e per l’inaugurazione di un’opera che tanti continuavano a giudicare una pazzia. In breve il "Rifugio di via Sammartini" divenne il punto d’incontro e di soccorso per tutti gli sbandati della città. A centinaia ogni giorno accedevano alla mensa per i tre pasti: - 45 - Il camilliano dei barboni chi aveva bisogno sostitutiva scarpe e vestiti o si faceva medicare; altri avevano problemi più pesanti: pratiche giudiziarie e posto di lavoro o biglietto di ritorno in Marocco o in Siria. In mezzo a questi ospiti cominciarono a mischiarsi i visitatori: autorità, giornalisti, curiosi, persone disposte a dare un aiuto immediato. Tutti si imbattevano nell’altra faccia dell’umanità: uno spettacolo imprevisto e scioccante, un concentrato di situazioni umane drammatiche o penose, da far venire i brividi. Ma non in tutti prevalse la paura. Non tutti si accontentarono di un’emozione, di un articolo sul giornale, di far pervenire la cesta di pane o un pacco di indumenti usati. Qualcuno fu colpito da quel Frate che faceva sul serio, che lavorava giorno e notte in un’attività convulsa. Non poteva far tutto da solo, bisognava dargli una mano in modo continuativo. - 46 - I rifugi-modello Il sostantivo che designa meglio le opere di fratel Ettore è "rifugio". Il "rifugio" infatti rappresenta un approdo per chi è in gravi difficoltà, ma con la speranza che la situazione muti e il "rifugiato" possa tornare a vivere al massimo possibile la propria dignità di creatura. In questo senso, forse con metodi non sempre indovinati, l'opera di fratel Ettore è stata non solo assistenziale, ma anche educativa e redentiva. Alla sua morte, come già si è detto sopra, fratel Ettore ha lasciato nove rifugi. I Rifugi - Un tetto e un piatto di minestra «Penso che quest'opera per gli ultimi, i diseredati, gli emarginati, sia stata proprio voluta dal Signore. Egli fa cose ben pigi grandi, anche solo con una mascella d'asino, dunque perché stupirci se ha fatto queste belle cose con un poveraccio come me?» (Fratel Ettore). Per chi non ha niente nella vita, un tetto sopra la testa, quattro mura che riparino dal freddo e dal caldo, un letto su cui sdraiarsi la notte ed un piatto di minestra è tutto quanto si possa desiderare di meglio. Ciò che normalmente consideriamo il minimo indispensabile per campare, per molte persone - inconsapevoli vittime di un progressivo degrado diventa il massimo. Dalla biografia di fratel Ettore abbiamo appreso come l'idea di mettere in piedi un "rifugio" non sia stata la prima: anzitutto egli ha cercato di assistere il maggior numero possibile di diseredati, dando loro da mangiare, di che vestirsi, cure mediche... I rifugi di fratel Ettore non sono soltanto dei "ripari", sono soprattutto comunità di vita. Singolari comunità però, dove si fa fatica a riconoscere un'autorità, dove magari si litiga e ci si picchia persino... Ma l'intento di fratel Ettore è sempre stato - 47 - I rifugi-modello quello di rieducare uomini e donne ad una vita di relazione, quegli uomini e quelle donne che, forse per aver ricevuto più sberle che carezze nella vita, si erano richiusi in sé, che rifiutavano il mondo esterno, celebrando magari questo rifiuto con una bottiglia di vino e annegando nella stessa il disperato bisogno di compagnia di cui ogni essere umano ha necessità. I rifugi sono nati uno dopo l'altro, spesso in maniera abbastanza avventurosa. Alla morte di fratel Ettore se ne contano nove, di cui sei in Italia e tre a Bogotà (la capitale della Colombia). Probabilmente, se la vita di fratel Ettore non fosse stata così repentinamente troncata, si sarebbero aggiunti altri rifugi, soprattutto all'estero, nei Paesi più poveri della terra che egli, di tanto in tanto, visitava sulle orme degli altri missionari camilliani. - 48 - Il futuro fra continuità e novità «La morte di fratel Ettore è stata il compimento di una vita consumata nell'amore di Dio, dei malati e dei poveri. Il messaggio da lui lanciato si espanderà, mantenendo vivo nell'Ordine Camilliano il profumo della carità verso chi soffre, che egli ha praticato con la tenerezza di una madre e la forza di un profeta» (Padre Angelo Brusco). Quali gli scopi fondamentali delle opere di fratel Ettore? Sinteticamente possono essere riepilogati in tre punti significativi: 1) dar da mangiare, vestiti puliti, medicine ai poveri più poveri dei grandi centri abitati, quelli in cui più facilmente si è vittime di emarginazione, di abbandono: questo come primissimo soccorso; 2) ridare dignità umana a queste povere persone, a prescindere dalla loro appartenenza di genere, razza, religione; 3) ri-educarli (o addirittura educarli) ad una vita spirituale, attraverso la preghiera comune e una vita comunitaria che tenga conto dello Spirito di Dio. Per questo, ogni sede dell'opera ha una cappella, un luogo di preghiera che sia "segno" visibile di questa preoccupazione. Da via Sammartini, da Casa Betania e dagli altri rifugi, sono passati centinaia di ospiti; qualcuno si è anche fermato per dare una mano. Ai barboni, ai senza tetto, ai senza fissa dimora, negli anni si sono aggiunti i malati psichici, i tossicodipendenti, i portatori del virus Hiv, gli immigrati più o meno clandestini; tutti con una caratteristica in comune: l'essere stati in un certo senso espulsi o rifiutati dalla società del benessere, oppure d'averne "dato le dimissioni" per incapacità a sopportarne i ritmi e gli stili. La morte di fratel Ettore ha reso attuale una preoccupazione che era già del Camilliano: come - 49 - Il futuro fra continuità e novità continuare affinché non si perda lo spirito iniziale, ma allo stesso tempo ci sia attenzione alle novità che i cambiamenti sociali (oggi particolarmente rapidi) mettono in evidenza? Due associazioni Attualmente esistono due associazioni, che di fatto hanno preso il seguito delle opere. Una, i Missionari del Cuore Immacolato di Maria al servizio dei più poveri nello spirito di san Camillo, è di natura laica; l'altra - le Discepole di San Camillo - è attualmente anch'essa di diritto civile, ma ha iniziato un cammino di impegno e di formazione per essere riconosciuta dalla Chiesa come congregazione, allorché sussisteranno le condizioni per ottenere questo riconoscimento. Mons. Piantanida (a Milano, vicario episcopale per la vita consacrata) si è attivato individuando i primi passi concreti da fare per l'erezione di una associazione pubblica di fedeli e dare inizio così all'iter canonico necessario alla fondazione di un istituto religioso. L'associazione pubblica di fedeli è già un'associazione canonica e dipende dal Vescovo della diocesi di appartenenza. Sia i Missionari sia le Discepole hanno oggi come presidente a vita suor Teresa Martino: in questo è stata rispettata la volontà di fratel Ettore. Per quanto riguarda la costituenda congregazione, quando ciò avverrà, sarà retta dal diritto canonico ed a questo dovrà fare riferimento. Ciò per quanto riguarda gli aspetti tecnico-giuridici, importantissimi, ma non i soli cui fare attenzione. Fondamentale è il valore dell'unione spirituale ed organizzativa dell'opera perché continui ad essere il "sogno" di fratel Ettore, secondo lo stile che lui vi ha impresso. È previsto che la futura congregazione abbia due rami: donne nubili consacrate e uomini celibi consacrati, che emetteranno voti di castità, povertà e obbedienza. A questa sarà affidata la responsabilità e la direzione effettiva e totale dell'opera di fratel Ettore. Per quanto riguarda l'Associazione dei Missionari del Cuore Immacolato di Maria, resterà invariata nei suoi fini ed avrà la - 50 - Il futuro fra continuità e novità stessa spiritualità dell'associazione canonica, vissuta però nello stato di vita laicale. Le "nuove pennellate" Da osservatori esterni, possiamo aggiungere che, come per ogni opera che ha visto morire il proprio fondatore, anche per quella di fratel Ettore sarà forse necessario rivisitarne di tanto in tanto il preludio e la storia; ciò potrà aiutare a mantenere fede a quello che possiamo definire il "carisma originario", radicato in quello Camilliano, ma anche trovare quelle "pennellate" che lo rendono attuale, incarnato nella storia. Leggendo ogni presenza nelle linee della provvidenzialità, si deve anzi sollecitare suor Teresa a mettere nell'impresa in cui Dio l'ha coinvolta tutte le doti d'intelligenza, di capacità pratica, di creatività, nell'ascolto dello Spirito e in obbedienza alla Sua volontà. Questo, del resto, era ciò che ha fatto di fratel Ettore... fratel Ettore! Ci saranno sempre i nostalgici («Ah, ma fratel Ettore questo non l'avrebbe fatto..., questo l'avrebbe fatto così!»), gli incontentabili («Siamo sempre allo stesso punto!»), i profeti di sventura («Così non può andare avanti...!»). Oggi il segreto è di non agire da soli, ma di agire in équipe, quindi quanto più si incrementerà la vita comunitaria, quanto più i responsabili non agiranno da soli ma coinvolgeranno un numero allargato di persone competenti e di buona volontà, quanto più si cercherà di essere "servi inutili" ma profetici, tanto più l'opera troverà le sue strade non soltanto per sopravvivere, ma per progredire. Di fronte ad un'opera come quella di fratel Ettore, occorre che la grande città non venga meno nel suo appoggio economico e di competenze. C'è stata un'intera generazione che ha preso come suoi i problemi socioassistenziali che il Camilliano ha affrontato. Questa generazione sta invecchiando ed è destinata a scomparire: è importante, allora, che vi siano gli eredi di questo impegno solidale. Occorre che una più giovane generazione senta come sua questa responsabilità. - 51 - Il futuro fra continuità e novità Che Milano non manchi! La nostra società, così come è oggi strutturata, parrebbe indifferente, attratta come sembra da quella che potremmo definire, un po' banalmente, "la bella vita" di agi, di ricchezze, l'immagini piacevoli. Questa è però un'apparenza che nella maggior parte dei casi viene smentita da gesti di inaudita generosità. Più che in altri tempi - almeno così pare a chi scrive - questi gesti devono essere "pro-vocati", cioè quasi chiamati fuori dal cuore e dalla mente di chi li compie. Sta all'opera aiutare questa "pro-vocazione" in maniera attenta, saggia, produttiva. C'è comunque una responsabilità della cittadinanza, soprattutto milanese, che non deve far mancare all'opera di fratel Ettore e di suor Teresa il suo abbraccio caldo, il suo "coeurin-man", com'era stato ed è nelle tradizioni ambrosiane. L'augurio è che sia così. - 52 - Gli Amici volontari e “santi” Quasi subito dopo l'apertura dei primo rifugio -quello ormai "mitico" di via Sammartini- attorno a fratel Ettore, a Milano, incominciarono a radunarsi dei volontari. Persone eccezionali, sicuramente, poiché dovevano convivere con lui che, al di là delle apparenze, era un tipo "duro" che sapeva quel che voleva e lo voleva fatto come a lui garbava. Da solo fratel Ettore non ce l'avrebbe mai fatta. Ogni servizio da lui richiesto ai volontari era difficile, delicato. Gli ospiti dei rifugi sono persone dalle vicende complesse; agli alcolisti, ai malati mentali e ai classici barboni, si sono aggiunti nel tempo i malati di Aids, gli immigrati d'ogni nazionalità. Gente povera sotto tutti i punti di vista. Ai volontari è richiesto di condividere buona parte di queste vite in tutti i sensi: dall'invito pressante a fare una doccia, al trovare biancheria, abiti, scarpe; al trovare le cure mediche appropriate, un ricovero ospedaliero quando occorre. Alcuni devono essere cuochi, altri dispensieri. Tutti devono essere capaci di ascolto, di un ascolto affettuoso delle avventure di vita più tristi o mirabolanti. Molti si sono succeduti in via Sammartini, a Seveso, negli altri rifugi in Italia e in Colombia. Ma se la solidarietà di chi ha sostenuto economicamente fratel Ettore non è mai mancata, più difficile (quasi impossibile) è stato trattenere a lungo i volontari che avrebbero dovuto affiancarlo nell'opera di sostegno, di rieducazione degli ospiti nelle varie comunità. Reggere l'impatto con storie tanto dolorose è a volte troppo stressante e persino rischioso per la salute psichica del volontario. Qualcuno ha detto: «Fratel Ettore è sicuramente un santo, ma è anche un grande confusionario che non sa organizzarsi e - 53 - Gli Amici volontari e “santi” organizzare!». Ed era vero: spesso le sue imprese erano caotiche. E non era facile, soprattutto per i più giovani, tenere il ritmo in tale situazione. Ricordare tutti coloro che hanno dato un po' del loro tempo, delle loro competenze a volte anche d'alto livello, del loro cuore, sarebbe impresa quasi disperata. E si rischierebbero brutte figure con chi non fosse menzionato. Ci sono però alcune storie che vale la pena rivivere: storie che nella loro "unicità" sono davvero esemplari e alludono a quelle non raccontate. Carla Rocca Sorella di Francesco Rocca, a lungo sindaco di Seveso, Carla era una bella signora con una vita serena, un buon lavoro, tanti amici... Eppure, quel tipo di vita non la soddisfaceva del tutto: era in ricerca di qualcosa che la coinvolgesse in maniera più profonda e decisa. Aveva sentito parlare di fratel Ettore, il Camilliano che si era installato ai Dossi di Seveso con la sua gente poverella; qualcuno dei barboni l'aveva perfino incontrato la domenica a Messa. Come gli altri abitanti della cittadina brianzola, provava per loro un sentimento ambiguo, un misto di repulsione e di pietà, di desiderio d'aiutarli e di non vederli più. Aderendo all'invito di un'amica, un giorno si reca con lei a Casa Betania. Così Carla ha raccontato la sua avventura a Giuliana Pelucchi, autrice del bel saggio Fratel Ettore - Un gigante della carità (edizioni Paoline, Milano, 2004). «Tra le molte stanze di casa Pontiggia una da sempre era stata adibita a cappella e fratel Ettore, sin dai primi tempi, la considerò il cuore della sua attività. Sapevo di questo: a Seveso se ne parlava. Quando, con la mia amica, entrai per la prima volta nella cappella, subito mi sentii turbata da quel mondo che non avevo mai conosciuto così da vicino. Fratel Ettore se ne stava ritto accanto all'altare, con il rosario in mano. Aveva gli occhi chiusi e lentamente sgranava la corona del rosario recitando ad alta voce le Ave Maria. Attorno a lui vecchi, handicappati, donne dimesse. In un angolo, a testa - 54 - Gli Amici volontari e “santi” china, tre ragazzi che pregavano con devozione. Alla fine del rosario cominciai a parlare con loro e scoprii l'estrema povertà in cui si viveva a Casa Betania. Erano i primi tempi del Camilliano a Seveso e ancora non si era attivata quella catena di solidarietà fraterna con cui la città avrebbe dimostrato di aver superato preoccupazioni e pregiudizi nei suoi confronti». Questo il primo impatto di Carla che, dotata di automobile, si mise a disposizione per accompagnare i nuovi amici all'ospedale o dovunque avessero necessità di recarsi. Così la bella signora della borghesia brianzola iniziò ad occuparsi degli ospiti di Casa Betania, sentendosi sempre più coinvolta. La conoscenza personale con fratel Ettore avvenne dopo qualche tempo ed in maniera curiosa, mentre l'eclettico Camilliano "stava facendo il muratore", lavorando cioè di cemento e cazzuola in cima ad un pilastro. Carla ricorda che, quando suonò una campanella che invitava alla preghiera, fratel Ettore scese dal pilastro, si riassettò la veste nera, si sdraiò - sfinito - per terra e cominciò a pregare a bassa voce. Poi, finalmente, si accorse di lei, la salutò e le disse: «Spero che non si stanchi troppo presto di noi...». Era fatta: fratel Ettore aveva "stregato" anche lei! Nel suo servizio a Seveso, Carla ha avuto modo di verificare nel concreto i piccoli-grandi "miracoli" dell'instancabile, divina Providenza. Più di una volta, infatti, lei presente, si verificarono episodi incredibili, come il giorno in cui c'era una cambiale in scadenza ma mancavano i soldi per onorarla. «Preghiamo la Madonna - aveva detto fratel Ettore - ci penserà lei!». Ebbene, i soldi arrivarono in una busta anonima, in misura superiore a quanto necessario. Sabatino Jefuniello Nel 1978 fratel Ettore incontra Sabatino, nel corso di una riunione con alcuni giovani durante la quale si parla della situazione tragica dei suoi "ospiti". Passati alcuni giorni da - 55 - Gli Amici volontari e “santi” quell'incontro, Sabatino si presenta alla portineria della Casa di cura San Camillo (ancora non c'era il primo rifugio). Era un ragazzo di ventisette anni, originario del Sud (Galatina in Puglia, per la precisione), che aveva trovato a Milano un discreto lavoro come fattorino. Si considerava, perciò, un fortunato e voleva fare qualcosa per chi viveva più faticosamente di lui. Si mise a disposizione di fratel Ettore per aiutarlo a dar da mangiare ai poveri che bussavano alla porte della Casa di cura. Con il giovane nacque subito una profonda intesa. Sabatino però ancora non conosceva la tragica realtà della Stazione Centrale di Milano: uomini che avevano perduto ogni dignità, insofferenti di qualsiasi rapporto, abbrutiti spesso dall'alcool, talmente sporchi da aver appiccicati addosso gli indumenti..., una situazione che avrebbe spaventato qualsiasi essere umano ragionevole, ma non Sabatino. Ricorda fratel Ettore: «Lavoravamo insieme con entusiasmo. Al di là delle nostre forze fisiche. Sabatino non si lamentava mai. Era un giovane allegro. Riusciva persino a scherzare con i nostri poveri. Non si perdeva mai d'animo...». Con accanto il giovane Jefuniello, fratel Ettore trova la forza per richiedere un posto da adibire a rifugio - il primo - per i suoi singolari "amici". Ed è proprio da Sabatino che parte l'idea degli stanzoni sotto gli archi della ferrovia. Ed è ancora la singolare capacità di relazioni di Sabatino a coinvolgere interi gruppi parrocchiali nell'avventura del rifugio di via Sammartini, inaugurato il 1 ° gennaio 1979. Sabatino intanto aveva abbandonato il suo lavoro per stare accanto a fratel Ettore, con totale disponibilità. E così continuò per cinque anni, fino alla morte avvenuta il 30 agosto 1982 a causa di una brutta polmonite buscata per aver portato la cena agli amici di viale Ortles (il dormitorio pubblico di Milano) in una freddissima sera durante un violento temporale. «Era buono, umano, cristiano e mariano. Disponibile con tutti e amato da tutti. Fu molto di più di un aiutante prezioso. - 56 - Gli Amici volontari e “santi” Divenne un autentico testimone dell'amore di Cristo per i sofferenti». Questo diceva fratel Ettore di Sabatino. Che, fra l'altro, fu uno dei fondatori dell'associazione "Missionari del Cuore Immacolato di Maria al servizio dei più poveri nello spirito di san Camillo" fondata da fratel Ettore per riunire, appunto, volontari ed amici. Anche il Card. Martini ha avuto espressioni toccanti per questo giovane uomo, nell'omelia tenuta durante la Messa nel trigesimo della sua morte: «Ho potuto cogliere, quando ho avuto la notizia della sua morte, che si trattava della scomparsa tra noi, per essere accolto presso Dio, di un profeta del nostro tempo. Forse questa parola è troppo grande, ci sono dei profeti che scrivono, che parlano, che si fanno conoscere, diciamo i profeti maggiori, e poi ci sono i profeti minori che sono forse quelli che più fanno per il mondo, cioè quelli che non parlano molto, quelli che si fanno poco conoscere, ma che vivono seriamente la vita evangelica. Sono tanti questi discepoli: Sabatino è stato uno di questi, è stato mandato in questa città per essere segno umile, discreto della presenza del Signore». Enrica Plebani Dopo Sabatino, Enrica. È una giovane donna poco più che ventenne, quando s'affaccia per la prima volta al rifugio di via Sammartini. Siamo nel 1987. Alle spalle ha anche lei una vita difficile, ma non appena si rende conto delle tragedie che stanno dietro gli ospiti di fratel Ettore decide di donarsi completamente al loro servizio. Via Sammartini e Casa Betania diventano subito la sua casa. Generosa, instancabile, fedele ai suoi impegni, si prodiga senza risparmio e distribuisce a piene mani gioia e speranza. È stimolo e forza non soltanto per fratel Ettore e per i suoi poveri, ma anche per gli altri volontari, per tutti quelli che vengono in contatto, in un modo o nell'altro, con lei. È molto malata, ma non confida a nessuno il suo precario stato di salute e continua il suo impegno senza mai dare a vede- 57 - Gli Amici volontari e “santi” re stanchezza, debolezza. Muore nel febbraio 1990, dopo infinite sofferenze causatele da un linfosarcoma gastrico. «La sua forza», scriverà fratel Ettore, «derivava dalla sua fede, e si evidenziava in un sorriso luminoso. Il sorriso che si proietta sul volto di coloro che la vivono profondamente. Ne ho fatto a lungo l'esperienza, tanto da chiederglielo quand'ero in momenti di grande sofferenza. "Enrica", le dicevo, "Sorridimi". E lei mi illuminava di virtù e di purezza, sino a farmi pensare che, dopo Maria santissima, la mamma celeste, e Carolina, la mia mamma naturale, lei fosse la mia mamma acquisita». Così ancora fratel Ettore ricorda l'ultimo Natale di Enrica: «Non conoscevo la sua profonda sofferenza. Non sapevo che la mia malattia, una bronchite quasi cronica durante l'inverno, avrebbe potuto scatenare in lei ben più della brutta broncopolmonite che mi colpì pochi giorni più tardi. Quanto corremmo in quella fine di dicembre per aiutare molti nostri fratelli e sorelle di Milano, italiani e stranieri, affinché anch'essi potessero godere del fuoco d'amore che, a Natale, si sprigiona per ogni dove... Dappertutto Enrica volava con la macchina, sospinta più dalla profonda fede che dalla sua forza fisica sempre più limitata e precaria, e annunciava: "Presto sarà Natale. Verrà celebrata una Messa per voi. Venite, adoriamo..."». In una delle ultime lettere inviate dall'ospedale Sacco dove era ricoverata, così Enrica scrive a fratel Ettore: «Grazie, fratel Ettore, per questo splendido Natale che ho potuto condividere con te e con i tuoi poveri nella sofferenza, nella stanchezza, ma ancor più nell'immensa gioia dell'attesa e dell'accoglienza. Grazie, Gesù, Giuseppe e Maria, che avete permesso che anch'io oggi potessi accogliervi, amarvi, consolarvi, sorridervi, abbracciarvi e baciarvi, incontrandovi nel volto dei consacrati, sacerdoti e laici. Nei volti dei bambini, degli oppressi, degli emarginati, dei sofferenti, dei delinquenti, dei ladroni. Grazie perché anche oggi mi avete donato tutto il vostro amore e il vostro calore. Grazie della grazia - 58 - Gli Amici volontari e “santi” che ho potuto condividere con te, Ettore, fratello mio in Gesù Cristo nostro Signore... ». Per Sabatino Jefuniello ed Enrica Plebani è in corso il processo canonico di beatificazione. Roberto Dubini Quella di Roberto Dubini sembra una vita ritagliata da un film. Colpito non sa nemmeno lui bene da quale folgorazione, decise all'improvviso di andare in giro per il mondo. Approda nella Legione Straniera e come legionario è paracadutato in Ciad a combattere Gheddafi. Ferito gravemente, è rimpatriato. L'idea di tornare nella Legione Straniera non gli sorride più. Scappa, ma viene convinto a fare il mercenario con un'alta paga, purché accompagni clandestini dall'Italia fino al confine della Svizzera tedesca. Alla quindicesima "missione" qualcuno lo "brucia". Catturato dagli svizzeri, è condannato per direttissima. Scarcerato, torna a Milano e diventa uno di quei "randagi" che fratel Ettore scopre alla Stazione Centrale. Così diventa un suo fedelissimo collaboratore. Francesco Bossi e Luigi Menghistu Ventinove anni, un solido impiego come bancario, Francesco Bossi un bel giorno lascia tutto per dedicarsi agli "ospiti" del rifugio di via Sammartini. Così racconta lui stesso la sua "avventura": «Ogni giovedì trascorrevo la notte assistendo soprattutto quelli che restavano fuori dal rifugio. Un bel momento mi sono detto: voglio vivere dal di dentro, fino in fondo, questa esperienza. Così sono andato dal mio direttore generale e gli ho chiesto sei mesi di aspettativa. Lì per lì non ha dato peso alla mia richiesta. Mi ha consigliato di ripensarci e di ritornare da lui dopo qualche tempo. Riteneva che stessi facendo un colpo di testa. L'ho spuntata... Se non avessi dato uno strappo alle mie abitudini, se non mi fossi immerso in questa realtà fino in fondo, - 59 - Gli Amici volontari e “santi” non avrei compreso un aspetto fondamentale di ciò che si sta facendo in via Sammartini. Nel rifugio non si aiuta soltanto il prossimo, ma si sta costruendo una vera comunità... ». Luigi Menghistu era figlio di padre italiano e mamma dell'Asmara. Nel 1979 incontra fratel Ettore che gli fa la sconvolgente proposta di aiutarlo a tempo pieno. Per un giovanotto ben integrato, non è certamente il massimo. Eppure Luigi accetta diventando responsabile della comunità di Varenna. Certamente per lui si è trattato di una scelta contro corrente, almeno a partire dalle normali logiche di vita. Una scelta che forse disturba le nostre coscienze sopite, che ridicolizza le nostre astuzie per conciliare Cristo con i nostri comodi. Ma sappiamo anche che le nostre logiche non sono quelle evangeliche, secondo le quali Dio “ha rovesciato i potenti dai troni e innalzato gli umili”. Vite esemplari Carla, Sabatino, Enrica, Roberto, Francesco, Luigi e tanti altri: vite diversamente esemplari, fra i tanti che hanno aiutato fratel Ettore a mandare avanti le sue "imprese". E che continuano ancora oggi, lui scomparso, ad occuparsi dei suoi "ospiti", dei suoi amici più cari. "Santi" (sì, in certo senso lo sono anche i tuttora viventi), della santità quotidiana che forse non arriverà mai ad essere ufficialmente riconosciuta e proclamata, ma che serve a noi tutti per essere felici, di quella contagiosa felicità che solo l'amore di Dio può darci. Non possiamo però qui dimenticare - tra i tanti - la generosa collaborazione - durata tre anni - di un gruppetto di Figlie di San Camillo guidate dalla superiora suor Agnese, e dei religiosi camilliani, che pure sono stati collaboratori ammirevoli della sua opera, nelle persone di padre Claudio, padre Adriano, padre Albino e padre Riccardo. Desideriamo soltanto riferire quanto lo stesso Ettore ha avuto modo di riconoscere: «La presenza dei miei confratelli mi ha sempre dato motivo di credere che l'opera è del Signore, e che le ispirazioni avute - 60 - Gli Amici volontari e “santi” e seguite erano espressioni della volontà di Dio. Senza il sostegno del mio Ordine, non sarei riuscito a dare ciò che mi ripromettevo». - 61 - Se tutti fossero santi come lui! Padre Angelo Brusco, già superiore generale dell’Ordine Camilliano, in un suo saggio in memoria di fratel Ettore nella rivista dell’Ordine “Vita nostra” (luglio-settembre 2004), ricorda questo curioso episodio.: «…Interessante è la testimonianza resa, nel 1970, dalla signorina Margot Wagner, luterana, residente a Bassano del Grappa. Ricoverata neall’ospedale maggiore di Verona, cosi si è rivolta al cappellano, P. Antonio Barzaghi: “Reverendo, ho visto ancora la croce rossa che lei porta sulla veste. Poco tempo fa, viaggiando in treno da Peschiera a Vicenza, ho incontrato un vostro Sacerdote (cosi l’ha definito) giovane che andava a Venezia. È un santo sacerdote che mi ha subito colpito, tanto da averlo sempre presente alla sera nelle mie preghiere. Oh! se tutti gli uomini fossero santi come lui, oggi non ci sarebbero guerre. In treno vi erano dei giovanotti, con tanto di cappelli lunghi e basettoni. Erano maleducati, irriverenti: parlavano male... Quel santo sacerdote era li mortificato; mi faceva compassione. Avrei voluto consolarlo... Quando, con un sorriso si portò fra quei ragazzi, dicendo loro: abbiate un po’ di rispetto almeno per la veste che porto..., dobbiamo volerci bene, essere buoni., ecc. Poi diede loro dei libretti sulla Madonna. Ne diede anche a me due o tre. Ma io, reverendo, non li ho ancora letti, perché noi non ci crediamo alla Madonna. Insomma ha conquistato quei giovani e quando questi sono scesi a Verona, fu un salutarsi, un muoversi di mani..., tutti contenti. Proprio, mi ha lasciato una bella impressione, e lo ricordo volentieri nelle mie preghiere. È un santo sacerdote!”». - 62 - Aneddoti Devotissimo a Maria, angosciato quando rubarono la statua davanti al dormitorio di via Sammartini, si mise a girare per Milano su una scassatissima automobile con la sacra immagine legata sul tettuccio, mentre da un megafono usciva la sua voce che recitava il rosario. Come quell’altra volta, ricorda il sindaco di Seveso, Tino Galbiati, che fratel Ettore, arrabbiato perché non gli venivano concessi i permessi per ampliare il centro, girò per due giorni le strade del paese con l’auto con sopra la Madonna, finché i permessi non giunsero. Allo scoppio della guerra nei Balcani portò la sua Mamma Celeste in piazza Duomo, la pose sui gradini, si inginocchiò e cominciò a sgranare la corona, fra lo stupore della folla, per chiedere la fine della guerra. *** Al Gay Pride si mescolò alle lesbiche e agli omosessuali chiedendo a Maria di intercedere per loro e, dopo aver pregato brandendo la statua della Vergine e ponendosi di fronte al corteo, come il ragazzo di Tienammen davanti al carro armato, gridava “Convertitevi!”. Ai più queste scene apparivano patetiche. Perché fratel Ettore era sorretto dalla fede ma soprattutto da una ingenuità beata e testarda, tipica dei santi. *** Lo dimostrò anche nell’ottobre del 1989 quando il Coro della Scala partì per una tournee in Unione Sovietica. Ai coristi diede centinaia di Bibbie, perché le nascondessero nelle valigie e le distribuissero a Mosca e Leningrado. A uno di loro, il Frate che credeva nella Provvidenza, consegnò un regalo per Gorbaciov, un’icona di San Michele, con la - 63 - Aneddoti raccomandazione: “Portalo al fratello Michele per il suo onomastico e digli che prego per lui”. Il corista obbedì. Il vice ministro che prese in consegna il donò ringraziò… a solo due settimane dal crollo del Muro di Berlino e dal disfacimento dell’Unione Sovietica. *** Non c’era ricorrenza significativa che non lo vedesse raggiungere piazza Duomo con i suoi mezzi alternativi ed il suo seguito di umanità sofferente, megafono alla mano per il rosario e due volontari a distribuire immaginette della Vergine Maria. Era, la sua, un’autentica evangelizzazione di strada, tanto più dirompente e scandalosa perché giungeva a sorprendere la fretta un poco indifferente della metropoli. Ben presto fratel Ettore stesso, diventa meta di pellegrinaggi altrui, da madre Teresa all’Abbé Pierre. Lui non si ferma, va in visita al Papa, torna in stazione, va fra i terremotati; durante la guerra nell’ex-Iugoslavia, a metà anni Novanta, aiuterà con più di duecento viaggi di Tir carichi di aiuti umanitari e i Savoia si terranno obbligati a fargli visita per ringraziarlo. *** La prima volta che incontrò Giovanni Paolo II, nel gennaio del 1979 in piazza San Pietro, fratel Ettore Boschini gli offrì in dono una statua a grandezza naturale raffigurante la Madonna di Fatima. Era identica a quella che il camilliano portava ovunque con sé, testimonianza visibile di uno smisurato amore per la Vergine. E anche a papa Wojtyla venne da sorridere quando gli raccontarono che, per trasportare quella statua dalla stazione Termini sino al Vaticano, fratel Ettore aveva dovuto acquistare un ulteriore biglietto dell’autobus, perché il conducente lo aveva intenzionalmente provocato dicendogli che l’oggetto era troppo ingombrante e che sottraeva il posto a un altro passeggero. *** Di simili aneddoti mariani è costellata l’intera sua avventura umana. - 64 - Aneddoti Di fatto fratel Ettore elesse sin dagli inizi la Madonna come patrona della propria opera e volle esprimere concretamente la gratitudine per la costante protezione di Maria mediante tre repliche di luoghi cari alla devozione popolare: nella casaalloggio di Bucchianico c’è la riproduzione a dimensioni reali della Santa Casa di Loreto, a Seveso c’è una cappella identica a quella di Fatima e a Grottaferrata si trova una grotta realizzata sul modello di quella di Lourdes. *** Controcorrente sempre, capace di sorprendere e di disorientare con quella forza segreta che gli veniva da lunghe ore trascorse immerso in preghiera. Quando un sacerdote camilliano in partenza per l’America Latina gli chiese una statuetta della Madonna da portare in missione, fratel Ettore andò ad acquistarne una da un amico scultore, alta quasi due metri, pesantissima, in marmo bianco, magnificamente scolpita. Costo, cinque milioni di vecchie lire. E quasi altrettanto occorreva spendere per imballarla e spedirla oltre Oceano. Quando l’economo di Casa Betania a Seveso -il quartiere generale delle sue opere di misericordia- fu informato della spesa, assalì fratel Ettore con parole di fuoco: “Ma come, dobbiamo pagare un conto di cento milioni, tra pochi giorni per i lavori qui alla casa e tu vai a spenderne altri dieci per una statua”. Ma lui non si fece intimorire: “È una missione che sta muovendo i primi passi. Hanno il diritto di avere una bella immagine di Maria”. Quella sera stessa una signora mai vista prima bussò alla porta e consegnò un assegno di alcune centinaia di milioni, sufficiente per la statua, per pagare i lavori e per altre spese ancora. *** La casa di Bogotà, la sua missione in Colombia, l’ha pagata Luis Gabriel. Naturalmente quella casa fratel Ettore l’aveva fermata con il conto in banca sotto zero. Un giorno andando a messa con i suoi poveri, incontra per strada un uomo ap- - 65 - Aneddoti poggiato al muro che tiene sul viso uno straccio, (quell’uomo si chiamava Luis-Gabriel, ha fatto una morte santa). Pensandolo ubriaco lo invita a bere un tinto, così si chiama il caffè a Bogotà. Quando il povero si stacca dal muro per seguirlo e toglie lo straccio dal viso, fratel Ettore non trattiene un urlo…Luis ha solo mezza faccia, il resto gliel’ha mangiata il cancro. Lo convince a seguirlo in un ospedale da dove viene cacciato insieme al povero: “È uno di strada, non lo vogliamo. E poi che serve curarlo? Ha poco da vivere”. Come una mamma se lo porta a casa e sembra non sentire il fetore che emana quel povero viso devastato. Lo netta del pus, stacca brandelli di pelle marcia, lo fascia con amore e gli dà un bacio. Il giorno dopo dall’Italia gli comunicano che un benefattore ha donato 90 milioni. Il costo della casa. Non era uno che “chiedeva” fratel Ettore. Soldi meno che mai. La Provvidenza (scrivi “Provvidenza” sempre con la maiuscola, diceva, perché significa Dio!), ci pensava da sola: si chiama “Rotary” o con qualunque altro nome. No, era lui, fratel Ettore, ad andare incontro alle altrui necessità. Era lui a fare offerte al Papa, accompagnandole con un bigliettino pieno di candore: “Dai poveri per i più poveri del Papa”; oppure offerte per le missioni dell'Ordine Camilliano; o aiuti di tutti i generi ad altre Comunità religiose. *** Se vi erano richieste, le sue erano di tutt’altra natura. Come quando fece irruzione ad un convegno sulla solidarietà milanese, pieno di nomi importanti, portandosi dietro un centinaio di ucraine: “Se volete davvero fare qualcosa di utile – gridò – ciascuno di voi ne assuma una come colf. Adesso!”. Era un grand’uomo che ha stupito Milano con la sua semplicità, umiltà e determinazione. Era uno che apriva strade impensabili ad altri e le percorreva tutte, fino in fondo, con passione. Aveva una fiducia cieca nella Provvidenza. *** - 66 - Aneddoti “L’altro giorno” ha raccontato una volta “eravamo senza pane. Stavo uscendo per andarlo a cercare quando ne è arrivato un camion pieno”. “E chi te lo ha mandato?” “Non lo so. Secondo me Maria Vergine”. - 67 - Fratel Ettore sarà beato La Conferenza Episcopale Lombarda (Cel), composta dai vescovi delle 10 diocesi di Lombardia, presieduta dall’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, il 15 febbraio 2013 ha approvato l’avvio dell’iter canonico per l’introduzione della causa di beatificazione di fratel Ettore Boschini (promossa dalla Diocesi di Milano). Un santo è per molti un esempio: ha vissuto nell’imitazione di Gesù, ha operato miracoli e ora siede nei cieli avendo raggiunto la perfezione umana. I santi seguono una vita per molti aspetti folle: rifiutano i beni terreni, mortificano il proprio corpo e accettano il dolore come un dono. Un po’ matto Fratel Ettore lo era: come tutti i santi, a cominciare dal nostro fondatore S. Camillo de Lellis, entrato spesso in conflitto con le autorità religiose del tempo per il suo stile “scandaloso” di prendersi cura dei malati. Inevitabile, dunque, che anche fratel Ettore Boschini, quattro secoli dopo, abbia dovuto incontrare contrasti ed opposizioni nel suo originale tentativo di reinterpretare il carisma camilliano. Quel coraggio che manca ai più, non è mancato a fratel Ettore. Qui sta il segreto del suo fascino. Non è facile essere coerenti con le richieste del vangelo. Chi si misura con esse, sa che esigono abnegazione, spirito di servizio, dimenticanza di se stessi. Fratel Ettore ha conosciuto il vangelo sia con le gioie che esso offre sia con le rinunce che domanda ai suoi discepoli. Non esitava a sacrificare qualsiasi ora delle 24 giornaliere per soccorrere e accogliere chi non era accolto da nessuno. Il suo esempio ricorda che nessun cristiano può sentirsi a suo agio finché ci sono sofferenti, le cui pene potrebbero essere - 68 - Fratel Ettore sarà beato alleviate da un gesto di altruismo. Non si può godere il sapore del pane e la quiete del riposo, finché si sa che molti ne sono senza. Fratel Ettore ha dato tutto se stesso e ha dato molto se si pensa anche in termini quantitativi al denaro che fluiva sulle sue mani, sempre aperte per ricevere e dare. Ma prima del denaro era il cuore che ispirava la sua opera. Educato allo spirito evangelico e alla scuola di S. Camillo, sentiva la sofferenza altrui come fosse propria. Il suo era uno stile originale e inimitabile come lo è il profeta. Siamo grati per la lezione che ci ha lasciato, ricordandoci che la generosità non è mai fuori moda e che i poveri – lo ripeteva di frequente richiamando S. Camillo – sono pupilla e cuore di Dio. - 69 - Bibliografia La mia prima fine del mondo. Inseguendo fratel Ettore dei poveri. Fant Emanuele, 2014, Monti Fratel Ettore. I miei giorni con il profeta degli ultimi. Martino Teresa, 2014, San Paolo Edizioni Vieni con me. La vita e la spiritualità di Fratel Ettore. Allegri Roberto, 2014, Piemme Ho incontrato Dio in una baracca: La mia avventura fra i disperati di fratel Ettore. Longoni Rosaria, 2011, Rizzoli Un povero tra i poveri - Fratel Ettore Boschini, Rivista Missione Salute, 2005 Fratel Ettore. Un gigante della carità. Pelucchi Giuliana, 2004, Paoline Editoriale Libri Fratel Ettore una vita per gli ultimi. Moia Luciano, 2004, Edizioni Camilliane - 70 - Gli ebook di www.camilliani.it - I Valori e il cuore dell’uomo - Lettere a San Camillo de Lellis - Questa pianticella si spargerà in tutto il mondo - Liturgia delle Ore – proprio dell’Ordine - Piccola Guida per umanizzare il mondo della salute - “Una donna a servizio di chi soffre” - SdD Germana Sommaruga - Doveva essere tutta Sua – La dimensione mariana di S. Camillo - “All’insegna dell’Amore” Beata M. D. Brun Barbantini - “La forza nella fragilità” Beata G. Vannini - “Vivere e morire d’amore” SdD Nicola D’Onofrio - “Tutto di Dio nel quotidiano” Beato E. Rebuschini - “La regola vivente” P. Rocco Ferroni - Preghiere del Sito - La mediazione materna di Maria - Togliti i Sandali - “L’Apostolo di Lima” Beato L. Tezza - Venite a me - La comunità camilliana in preghiera - I Religiosi Camilliani ad Alberoni - Il Cristiano uomo di Fede, Speranza, Carità - Credere nei Sogni - San Camillo de Lellis - 71 - Gli ebook di www.camilliani.it Altri ebook disponibili solo in PDF - Messe Proprie - Vita del P. Camillo de Lellis (Ciccatelli) - Scritti di S. Camillo de lellis (Vanti) - Storia dell’Ordine Camilliano (1550-1699) - La vita per Cristo - I Camilliani a Milano - 72 - Credits ebook v. 2.0 creato da camilliani.it Verona – Marzo '15 – Ed. 1.0 [email protected] www.camilliani.it - 73 -