Il sindacato? Scelga tra scorciatoie e gesti coraggiosi

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Il sindacato? Scelga tra scorciatoie e gesti coraggiosi
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Interventi
«Il sindacato? Scelga tra scorciatoie e gesti coraggiosi»
Dietro la scomparsa dei diritti, l’assenso muto della generazione di garantiti
di Michela Murgia*
Lo confesso proprio qui,
come un punto di partenza:
sono stata una lavoratrice
precaria troppo a lungo per
aver maturato con il sindacato un rapporto di reale fiducia. Gli organi tradizionali di
rappresentanza non avevano
cittadinanza nelle terre del
lavoro invisibile dove camminavamo io e i miei colleghi: erano inesistenti laddove
si perpetravano le vessazioni
e ci apparivano troppo rigidi
nelle strutture e nei metodi
per potersi adattare al nostro
pericolante equilibrio contrattuale. Noi, che stentavamo persino a confessarci l’un
l’altro quanto quel modo di
lavorare ci precarizzasse le
scelte e i sogni, non avremmo mai concepito per noi
stessi una rappresentanza
sindacale: sarebbe equivalso a dire che qualcosa non
andava, e la negazione del
dissenso era parte non scritta
del nostro contratto. Del resto, lamentarsi delle condizioni di lavoro nella provincia sarda con i più alti tassi
di disoccupazione dell’isola
sarebbe sembrato a tutti di
cattivo gusto, a prescindere
da quanto ci pagassero o ci
vessassero, e quindi tacevamo. Al massimo ci licenzia-
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vamo, ma senza dire mai il
vero motivo. Ognuno di noi
aveva la percezione chiara
della propria solitudine davanti alla difficoltà, ed era
convinto che l’unica mano su
cui poteva contare stesse attaccata all’estremità del proprio braccio. Fu una scuola
formidabile per apprendere
una volta per tutte che l’organizzazione di meccaniche individualiste produce - in maniera automatica e in tempi
sorprendente brevi - una generazione di individui che si
concepiscono come unica misura di sé stessi. È sufficiente
frantumare i fronti, generare
interessi diversi in categorie
omogenee, per fare in modo
che ogni movimento del sistema produttivo induca le
persone a concentrare le forze solo sulla propria sopravvivenza. Una volta normalizzati e resi organici anche gli
spazi tradizionali di organizzazione del contrasto, prime
tra tutti le forze sindacali, chi
si sentirebbe abbastanza eroe
da affrontare i mulini a vento? Ed è di eroi che abbiamo
bisogno per ottenere quello
che avevamo già? Basterebbe
essere solidali, ma è raro che
nascano solidarietà in mondi
come quello in cui stiamo vivendo, che è precario non più
solo per i precari; il contratto
Dicembre 2010
individuale genera individualisti, persone incapaci di pensare al plurale anche quando
sono in gioco beni collettivi,
e questo individualismo si
allarga ben oltre il contesto
strettamente
professionale.
Noi, privi di una memoria
storica sulle lotte sindacali,
non avevamo gli strumenti
per capire che il call center,
con le sue postazioni a isola
dove lavorare contemporaneamente non ha mai voluto
dire lavorare insieme, era la
metafora del nostro modo di
stare al mondo: non talenti
unici, come volevano farci
credere nelle sezioni di formazione motivazionale, ma
semplicemente, tragicamente
soli. I nuovi contratti hanno
generato una mutazione antropologica che prescinde dal
lavoro in sé, perché hanno
intaccato, prima ancora che
i diritti, i livelli di coscienza
dei nuovi lavoratori. Per consentire la scomparsa dei diritti
per alcuni c’è voluto l’assenso
muto di tutta una generazione
di lavoratori garantiti, e più
da più parti è sorto il dubbio
che il sindacato davanti a
queste dinamiche abbia buttato a mare la sua parte più
socialmente conflittuale per
salvare sé stesso come organizzazione. L’accordo di Pomigliano ha confermato che
questo pensiero non era solo
un sospetto, e oggi il timore
è che la diga, crepata nella
sua colonna portante, ceda
rovinosamente lasciandosi a
valle molti più sommersi che
salvati. Eppure qualcosa da
salvare c’è: la mia generazione non ha ancora rinunciato
del tutto a cercare interlocutori, a immaginare sostegno nei padri e nei fratelli
maggiori, a sognare di poter
nuovamente pronunciare la
parola “noi” senza sentirci dentro l’eco vuota della
retorica. La partita è aperta
finché il sindacato sceglie di
restare nella storia di questo
paese senza scorciatoie né
calcoli di piccolo cabotaggio.
Ogni volta che farà gesti coraggiosi troverà al suo fianco anche i nuovi lavoratori,
quelli meno garantiti. Ma
dovrà essere capace di insegnare loro ancora una volta
che gli unici diritti che abbiamo sono quelli che siamo
in grado di difendere.
*scrittrice