“Hollywood”

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“Hollywood”
“Hollywood”
Estratto da Enrico Beltramini, Il lato hollywoodiano dell’azienda, NÒVA24 REVIEW Giugno/2007
L’industria cinematografica degli esordi si affidava ai principi di produzione “fordisti”, in voga nei primi
anni Venti in un vastissimo spettro di settori. I film cosiddetti “di genere” erano prodotti come le automobili
in una sorta di catena di montaggio. Uno dei pionieri, la Universal Film Manufacturing Company, produceva
più di 250 film all’anno. Agli inizi della diffusione commerciale del cinematografo, i film erano venduti a
metro, indipendentemente dal contenuto, il che dimostrava un evidente orientamento alla produzione seriale
di massa. Nei primi anni Trenta, un piccolo numero di colossi del cinema, tra i quali Warner Brothers,
Paramount, MetroGoldwyn-Mayer e Twentieth Century Fox, controllava l’intero settore cinematografico. Le
loro organizzazioni erano strutturate gerarchicamente e pensate per supervisionare e regolare ogni aspetto del
processo produttivo, dalla scelta del soggetto alla distribuzione. Poi nei primi anni Cinquanta l’industria
cinematografica fu colpita da due shock esterni che costrinsero a riorganizzarsi sulla base dei principi
reticolari attualmente in uso.
Infatti, una sentenza antitrust della Corte Suprema degli Stati Uniti costrinse le maggiori case di produzione a
cedere le proprie catene di sale cinematografiche. L’impossibilità di controllare l’utente finale al botteghino
insieme all’avvento della televisione ebbe un effetto nefasto sulla redditività delle case di produzione.
L’industria cinematografica dovette modificare il suo approccio alla produzione. I maggiori studios
cominciarono a sperimentare la produzione di volumi più ridotti di film che però fossero capaci di catturare
l’attenzione del pubblico. Una produzione, quindi, più attenta, complessa e costosa aiutata dalla pubblicità e
dalla promozione. L’aumento dei costi provocato dall’abbassamento dei volumi di produzione e dalla
differenziazione dei prodotti fece aumentare il rischio finanziario e rese meno certo il ritorno
dell’investimento.
Il sistema di produzione cinematografica a rete emerse negli anni Cinquanta, come risposta parziale al
bisogno di disporre di professionalità diverse per ciascun progetto e di ripartire il rischio in caso di un suo
fallimento.
Gli studios più importanti cominciarono a ricercare al di fuori del proprio ambito le professionalità e le
risorse necessarie alla realizzazione del film, acquisendole solo in funzione del singolo progetto. In tal modo,
iniziarono a proliferare case di produzione indipendenti, costituite da artigiani e artisti ex dipendenti degli
studios. Oggi, i pochi grandi studios sopravvissuti producono raramente film in proprio: tendono, invece, ad
agire da investitori, fornendo ai produttori indipendenti le risorse finanziarie necessarie in cambio del diritto
di distribuzione del prodotto finale nelle sale cinematografiche e, in seguito, in televisione, videocassetta,
dvd. Intorno ad ogni produzione cinematografica si raccoglie un gruppo di società di produzione
specializzate e di appaltatori indipendenti, ciascuno dei quali contribuisce al successo dell’impresa
apportando le proprie competenze e le proprie esperienze. Nel loro insieme, queste entità costituiscono una
rete, la cui vita è limitata alla durata del progetto.
Sceneggiatura, casting, scenografie, riprese, costumi, mixaggio sonoro, masterizzazione, edizione e sviluppo
delle pellicole vengono eseguiti da agenti indipendenti che lavorano in partnership temporanea con una casa
di produzione altrettanto autonoma. Assemblando le competenze di diverse società specializzate, il
produttore può trovare l’esatta combinazione di talenti e capacità per trasformare ogni specifico progetto in
un film di successo. A loro volta, le singole società specializzate minimizzano il rischio assumendo
contemporaneamente commesse differenti, in diversi segmenti di mercato, con configurazioni organizzative
“ad hoc”.