tesi di laurea - W W W . T E L E S A . ORG
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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA LAUREA IN TECNICHE DI LABORATORIO BIOMEDICO TESI DI LAUREA RUOLO PROGNOSTICO DEL KI–67 NEGLI ADENOMI IPOFISARI GH-SECERNENTI REALATORE: CHIAR.MO PROF. LIBERO LAURIOLA CORRELATORE: CHIAR.MO PROF. STIGLIANO EGIDIO CANDIDATA: CUDEMO GIUSEPPINA ANNO ACCADEMICO 2008 – 2009 INDICE Introduzione…………………………...………………………….…2 Rilievi Anatomici…………………………………………………...4 Rilievi Anatomopatologici……………………………...……….….5 Presentazione Clinica: Aspetto clinico da effetto massa………………………………..….8 Aspetti clinici da alterazione funzionale…….……………..……….10 Gigantismo-Acromegalia………….………………….………….....13 Iter Diagnostico: Valutazione endocrinologica………………….…14 Tecniche di neuroimaging………………...……..…………………16 Valutazione di Laboratorio…………..……………………………..23 Il Nostro Studio………………………..……………………………25 Immunoistochimica……………………..…………….………..…..28 Analisi Statistica……………………………………….…….……..30 Risultati Clinici…………………………….……...………………..32 Conclusioni…………………………………………..……………..33 Appendice: Nozioni Tecniche……………………………………………….…35 Bibliografia………………………………………………………..55 Ringraziamenti………………….………………..….…………….61 1 INTRODUZIONE Contenuto: il Ki-67, antigene nucleare espresso dalle cellule proliferanti, è una proteina nucleare (negli esseri umani è codificata dal gene MKI67) presente in due isoforme di 345 e 395 kDa rispettivamente. Esso è espresso durante tutte le fasi attive del ciclo cellulare (G1, S, G2 e fasi-M), ma è assente in cellule a riposo (G0). Durante l’interfase, l'antigene può essere esclusivamente rilevato nel nucleo, mentre durante la fase mitotica la maggior parte della proteina è localizzata sulla superficie dei cromosomi. Questo marker è connesso con un comportamento maligno ed una prognosi sfavorevole nei tumori umani. Obiettivo: L'obiettivo dello studio è di valutare la rilevanza in termini prognostici dell’indice Ki-67 in un gruppo di pazienti con acromegalia che hanno subito un intervento chirurgico transfenoidale per adenoma ipofisario GH-secernente. Materiali e Metodi: Abbiamo selezionato 68 pazienti acromegalici operati presso il nostro ospedale, durante un periodo di 5 anni. L’indice Ki-67 è stato determinato mediante immunoistochimica su campioni di tessuto ottenuti da ciascun adenoma dopo l'intervento chirurgico. I pazienti che non sono completamente guariti dopo l'intervento chirurgico hanno iniziato la terapia medica con analoghi 2 della somatostatina (SSA). Sono stati sottoposti a periodici controlli duranti il follow up con risonanza magnetica e dosaggi ormonali. Risultati: 28 dei 68 pazienti sono stati curati dopo l'intervento chirurgico (41%). Quaranta pazienti sono stati trattati con SSA, 13 sono stati considerati non controllati dalla terapia. La risonanza magnetica ipofisaria ha mostrato una recidiva in 25 dei 68 pazienti dopo 6 mesi. Nessuna correlazione è stata trovata tra l’indice Ki-67, l'età, le dimensioni del tumore e i livelli plasmatici di GH o di IGF-I. I tumori descritti come invasivi del seno cavernoso hanno un indice Ki-67 elevato, rispetto ai tumori non invasivi (P <0,01). L’indice Ki-67 è stato significativamente più basso nei tumori di pazienti guariti dopo un intervento chirurgico rispetto ai pazienti considerati non guariti (P <0.01) e nei tumori in pazienti controllati dalla terapia con SSA rispetto ai pazienti considerati non controllati (P <0,05). Conclusioni: L’indice Ki-67 può prevedere i risultati clinici nella gestione post-chirurgica dei pazienti acromegalici. E’ pertanto importante la determinazione immunoistochimica del Ki-67 ai fini della valutazione prognostica e dell’ulteriore iter terapeutico degli adenomi ipofisari GH-secernenti. 3 RILIEVI ANATOMICI L'ipofisi, detta anche ghiandola pituitaria o, più semplicemente, pituitaria, è un organo impari mediano, posto alla base dell'encefalo (ipotalamo), all'interno della sella turcica. Essa si compone di tre parti: 1. anteriore o ghiandolare o adenoipofisi, deputata alla secrezione della quasi totalità degli ormoni detti, appunto, ipofisari; 2. posteriore o nervosa o neuroipofisi, deputata all'immissione in circolo, principalmente, dell'ossitocina e dell'ormone antidiuretico (ADH); 3. pars intermedia, interposta tra le due. L'ipofisi è situata nella sella turcica, la quale si trova nella porzione mediale della fossa cranica media. La sella turcica è una incavatura del corpo dell'osso sfenoide che costituisce, anche con le sue grandi ali, la porzione anteriore del pavimento della fossa (il resto è dato dalla faccia anteriore della rocca petrosa del temporale). L'ipofisi è racchiusa nella cavità sellare; al di sopra il tentorio della sella, una plicatura della dura, la separa dai lobi frontali, su cui scorre circolarmente il seno circolare (intercavernoso) il quale si trova immediatamente avanti all'origine 4 del peduncolo ipofisario [peduncolo che collega l'ipofisi alle aree ipotalamiche dell'encefalo], il chiasma del nervo ottico; lateralmente è in contiguità con i due seni cavernosi, destro e sinistro, che contengono, oltre ad alcuni nervi oculomotori e branche del trigemino, anche la porzione intracranica dell'arteria carotide interna; infero-anteriormente un sottile strato di osso compatto la separa dal seno sfenoidale, cavità pneumatica del corpo dello sfenoide che comunica con il rinofaringe (parte posteriore delle cavità nasali) tramite l'ostio sfenoidale. RILIEVI ANATOMOPATOLOGICI Gli adenomi ipofisari possono essere classificati in base a diversi criteri (funzionali, anatomoradiologici, istologici, immunoistochimici, ultrastrutturali e clinicopatologici). In clinica, vengono abitualmente impiegate le classificazioni funzionali, che tipizzano l'adenoma in base alla sindrome ormonale prodotta, mentre i radiologi impiegano classificazioni basate sui parametri anatomoradiologici (dimensione e grado di invasione del tumore). In anatomia patologica, gli adenomi ipofisari possono essere classificati in base alle caratteristiche tintoriali delle cellule, in base alle caratteristiche al microscopio elettronico ed in base ai risultati 5 delle reazioni immunoistochimiche. Quest’ultimo approccio è quello piu’ seguito, in quanto permette di riconoscere gli ormoni prodotti dalle cellule dell'adenoma, anche nei casi in cui i livelli di ormoni circolanti siano troppo scarsi per essere dosati nel sangue o siano funzionalmente inattivi. Comunque, per favorire l'interazione multidisciplinare i risultati dello studio anatomopatologico vengono integrati con i dati clinici, funzionali e radiologici, nell' ambito di una classificazione clinicopatologica, che tiene conto dell'aspetto del tumore, della sintomatologia e dell'attività endocrina. 6 La Patologia della Ghiandola Ipofisaria L'adenoipofisi può essere interessata da una patologia neoplastica primaria o, molto più raramente, da metastasi di altri tumori. I tumori ipofisari primari sono per lo più rappresentati da adenomi, che hanno una prevalenza nella popolazione generale di 200 casi per milione di persone. Gli adenomi ipofisari sono tumori benigni che originano da uno dei vari tipi cellulari presenti nell'ipofisi, e rappresentano il 10-15% dei tumori intracranici ed in particolare quasi il 90% delle lesioni espansive sellari, con una prevalenza di circa 0,02-0,03%. Il 10% circa della popolazione sana è portatrice di un adenoma occulto: questo spiega l'eventualità non rara di un riscontro radiologico casuale di tumore ipofisario (incidentaloma) in soggetti del tutto asintomatici. Accanto a questi dati, che si riferiscono a casistiche cliniche, studi condotti su riscontri autoptici non selezionati, hanno dimostrato che gli adenomi ipofisari hanno una prevalenza variabile dal 3 al 27%. L'età media dei pazienti con adenomi ipofisari è nel 65-70% dei casi compresa tra i 30 e i 50 anni. Le neoplasie ipofisarie colpiscono prevalentemente il sesso femminile, in un rapporto tra sesso femminile e maschile pari a 2:1. 7 PRESENTAZIONE CLINICA: ASPETTO CLINICO DA EFFETTO MASSA Gli aspetti clinici da effetto massa comprendono: Sintomi visivi I più comuni sintomi visivi sono rappresentati da deficit campimetrici e dalla riduzione dell'acuità visiva. Il caratteristico difetto del campo visivo consiste nell'emianopsia bitemporale, causata dalla compressione del contingente di fibre dei nervi ottici che si incrociano a livello del chiasma. In alcuni casi si può avere la comparsa di uno scotoma giunzionale che consiste in uno scotoma centrale unilaterale associato ad una quadrantopsia temporale superiore controlaterale. Disfunzione ipotalamica ed ipofisaria L'ipotalamo controlla il bilancio idrico, la temperatura corporea ed ha un'importante influenza sul ritmo sonno-veglia, sulle emozioni, sul comportamento e sullo stato di coscienza. Di conseguenza, lesioni che interessano l'ipotalamo possono rendersi responsabili dell'alterazione di numerose funzioni fisiologiche dell'organismo e di disordini neurologici ed endocrinologici; l'interessamento dell'eminenza mediana, ad esempio, può interferire con la capacità di sintesi degli ormoni ipofisiotropi, nonché con il loro 8 trasporto all'adenoipofisi; si possono inoltre avere: diabete insipido, ipogonadismo, ipotiroidismo, anomalie della secrezione dell'ACTH, del GH e della prolattina. Paralisi dei nervi cranici L'invasione del seno cavernoso e l'interessamento del III, IV e VI nervo cranico, può determinare paralisi dei muscoli oculari estrinseci, parziale o completa. Anche le branche oftalmica e mascellare del V nervo cranico possono essere interessate determinando parestesie e dolore nei rispettivi territori di distribuzione. Idrocefalo Se un adenoma ipofisario presenta sviluppo sovrasellare tale da determinare ostruzione a carico dei forami di Monro del terzo ventricolo, si avrà idrocefalia con conseguente cefalea, papilledema fino alla letargia e al coma. Cefalea Qualsiasi massa in regione parasellare può provocare cefalea, determinando compressione delle terminazioni dolorifiche, oppure determinando un aumento della pressione intracranica. Gli adenomi ipofisari possono rendersi responsabili di cefalea dovuta ad uno stiramento del diaframma sellare innervato dalla prima branca del nervo trigemino. Interessamento del tessuto cerebrale circostante. 9 Adenomi con estensione parasellare possono raggiungere dimensioni tali da comprimere il parenchima cerebrale adiacente, in particolare i lobi frontali e temporali. L'interessamento del lobo frontale può determinare modificazioni della personalità, perdita di memoria, abulia; la compressione del lobo temporale può essere responsabile di crisi comiziali. ASPETTI CLINICI DA ALTERAZIONE FUNZIONALE Dal punto di vista funzionale, gli adenomi ipofisari sono suddivisi in due gruppi: secernenti (o funzionanti) e non secernenti (non funzionanti). Negli adenomi secernenti, le manifestazioni cliniche dipendono dalla secrezione ormonale interessata. 10 11 La maggior parte degli adenomi non funzionanti (circa il 25%), soprattutto se di piccole dimensioni, rimane silente; in alcuni casi, comunque, il progressivo aumento volumetrico determina importanti problemi ormonali e neurologici. I problemi ormonali sono generalmente rappresentati da difetti secretivi, che possono essere limitati ad una o più tropine ipofisarie, fino al deficit totale, definito "panipopituitarismo". I pazienti con deficit completo presentano quadri complessi, caratterizzati, generalmente, da lieve sovrappeso, cute pallida e sottile con fini rughe, capelli sottili e fragili, caduta dei peli pubici ed ascellari, ridotta forza muscolare, tendenza all'ipoglicemia a digiuno e disturbi del comportamento (depressione, irritabilità); inoltre, nella donna si manifestano alterazioni del ciclo mestruale (riduzione o assenza del ciclo); nell'uomo, calo della libido e deficit erettile. Le lesioni espansive dell'asse ipotalamo-ipofisario (tra queste gli adenomi ipofisari) possono determinare un difetto di secrezione di ADH (adiuretina o vasopressina) con conseguente Diabete Insipido, caratterizzato da poliuria e polidipsia (il paziente arriva a bere ed urinare fino a 10-15 lt/die). 12 GIGANTISMO-ACROMEGALIA Gli adenomi ipofisari GH secernenti rappresentano circa il 20-25% degli adenomi ipofisari e sono nella maggior parte dei casi dei macroadenomi (70-80%); la secrezione di elevati livelli dell'ormone della crescita (GH) e del fattore di crescita GH-dipendente (IGF-1) provoca gigantismo nei bambini ed acromegalia negli adulti. L'eccesso di GH, infatti, causa un aumento di volume delle ossa e dei tessuti molli. La maggior parte dei pazienti mostra un progressivo ingrossamento delle mani e dei piedi (a causa del quale si rende necessario allargare anelli e cambiare il numero di scarpe), un allargamento del naso, una accentuazione delle bozze frontali, un ingrandimento della lingua e della mandibola (prognatismo), un approfondimento del timbro della voce, che si fa più "grave". La cute è ispessita, sudata, seborroica. Compaiono spesso artropatie, affaticamento muscolare, parestesie alle 13 mani (sindrome del tunnel carpale), fasi di apnea durante il sonno. In molti pazienti si manifesta ipertensione arteriosa ed intolleranza al glucosio, fino al diabete mellito clinicamente conclamato. Vi è ingrandimento dei visceri interni, compresi il fegato, i reni ed il cuore (la cardiomegalia insieme all'ipertensione arteriosa può portare ad una insufficienza cardiaca, aggravata dall'insufficienza respiratoria dovuta alle modificazioni della cassa toracica). ITER DIAGNOSTICO:VALUTAZIONE ENDOCRINOLOGICA La secrezione degli ormoni ipofisari non è costante nel tempo, ma segue alcuni ritmi che possono essere "circadiani" (cioè con secrezione che variano nelle diverse ore del giorno), "circamensili" (come avviene classicamente per gli ormoni che regolano il ciclo mestruale) o "circannuali" (con variazioni stagionali). Per questo motivo la valutazione della secrezione ormonale non può essere eseguita su un unico prelievo basale, ma sono necessari più prelievi eseguiti in diversi momenti nel corso della giornata ed in condizioni di riposo (per evitare interferenza dello stress sulla secrezione di alcuni ormoni). 14 Inoltre alcune alterazioni ormonali non sono evidenti in condizioni basali e diventa necessario ricorrere ad alcuni test per evidenziarle. La diagnosi di ipo- od iperfunzione ipofisaria viene pertanto eseguita oltre che con prelievi basali, come di norma eseguiti al mattino a digiuno, anche con prelievi eseguiti nel corso della giornata (per esempio ore 12, ore 16, ore 20). Più spesso si utilizzano test di stimolo o di inibizione che consistono nella somministrazione endovenosa di sostanze ormonali, normalmente secrete dal nostro organismo, che regolano la secrezione delle tropine ipofisarie; alcuni di questi ormoni hanno un'azione di stimolo, altri di inibizione. In seguito alla somministrazione di tali sostanze vengono eseguiti alcuni prelievi venosi nei tempi prestabiliti (per esempio dopo 30', 60', 90' dalla somministrazione) per valutare la risposta ormonale. Generalmente per una valutazione completa della secrezione ipofisaria è necessaria l'esecuzione di più test, sia per la definizione diagnostica pre-intervento che per il follow-up post-intervento o in corso di terapia medica. 15 TECNICHE DI NEUROIMAGING L'indagine diagnostica può essere condotta utilizzando le due più recenti tecniche di neuroimaging: la Tomografia Computerizzata (TC) e la Risonanza Magnetico Nucleare (RMN). Fig.3: casi di adenoma ipofisario, alla RMN in proiezione frontale, di dimensione crescente da sinistra a destra: 0.9 cm, 2 cm, 2.5 cm di diametro massimo. Le frecce rosse indicano il tessuto dell'adenoma, le verdi l chiasma dei nervi ottici, le gialle il peduncolo ipofisario. Nella lesione più voluminosa il chiasma e il peduncolo non sono più distinguibili. Tomografia computerizzata L'indagine TC nello studio delle lesioni ipofisarie riveste attualmente un ruolo secondario per lo studio della regione sellare mentre mantiene un ruolo importante per lo studio delle strutture anatomiche naso-sfenoidali ai fini del planning pre-chirurgico per via endoscopica. L'indagine viene eseguita mediante scansioni secondo il piano assiale a stato sottile ad alta definizione con ricostruzioni secondo i piani coronale e sagittale. 16 L'esame TC, inoltre, rappresenta uno strumento indispensabile per lo studio ed il planning pre-chirurgico per l'utilizzo del sistema di neuronavigazione. La TC assume un ruolo limitato alla migliore documentazione di eventuali calcificazioni lesionali o modificazioni ossee indotte dalla lesione stessa. Risonanza Magnetico Nucleare Il Gold standard dell'imaging diagnostico per lo studio della regione sellare è rappresentato dall'indagine RMN, meglio se effettuata con alti campi. L'esame viene eseguito con sequenze assiali, coronali e sagittali SE e TSE pesate in T1 e T2 a strato sottile e completato con acquisizioni T1 pesate dopo infusione di mezzo di contrasto (mdc). Per lo studio dei microadenomi possono essere utilizzate sequenze dinamiche ottenute con tecnica TSE e GE 2D o 3D durante e dopo somministrazione bolo di mdc alla dose di 0.5 mmol/Kg. Gli adenomi ipofisari vengono classificati in microadenomi (dimensioni < 10 mm) e in macroadenomi (> 10 mm.). I microadenomi si evidenziano solitamente nelle immagini RMN T1 pesate come aree di relativa ipointensità e non sempre sono presenti segni indiretti di effetto massa, quali spostamento controlaterale del 17 peduncolo e della neuroipofisi. Raramente possono essere isointensi o iperintensi. Nelle immagini T2 pesate il segnale dei microadenomi è variabile (nell'80% dei prolattinomi e adenomi ACTH secernenti è iperintenso, nei 2/3 degli adenomi GH secernenti iso-ipointenso). I macroadenomi hanno caratteristiche di segnale RMN simile ai microadenomi; quando l'adenoma è molto voluminoso l'ipofisi residua può non essere visualizzabile. Lo studio RMN permette inoltre di definire con precisione l'eventuale espansione del macroadenoma in sede craniale attraverso il diaframma nella cisterna sovrasellare e la sua estensione laterale nel seno cavernoso. Altrettanta importanza ai fini chirurgici riveste la precisa definizione dell'estensione della lesione verso la fossa cranica media in sede extradurale, posteriormente in sede retroclivale ed inferiormente nel seno sfenoidale. La somministrazione di mdc riveste un ruolo fondamentale nell'imaging diagnostico delle lesioni della sella ed appare fondamentale nelle diagnosi di adenomi aumentando la sensibilità RMN del 5-10%. Utile appaiono gli studi dinamici basati sui diversi tempi di impregnazione del tessuto ghiandolare sano e del parenchima 18 neoplastico. Nel caso di macroadenomi l'utilizzo del mdc consente una migliore valutazione dell'estensione extrasellare e soprattutto dell'infiltrazione del seno cavernoso. L'utilizzo di mdc trova inoltre implicazione per la valutazione del residuo tumorale post-chirurgico. Terapia medica Il fine della terapia medica di queste lesioni è di ridurre i livelli ormonali eccessivi associati con gli adenomi secernenti, e in alcuni casi, la riduzione delle dimensioni tumorali. La terapia medica degli adenomi ipofisari si avvale di neurofarmaci e di analoghi a lunga durata di neuroormoni inibitori, che oltre ad essere efficaci sugli stati ipersecretivi, permettono talvolta di ridurre il volume dell'adenoma stesso. Il trattamento medico può essere l'approccio di prima scelta (per es. per l'adenoma prolattinosecernente) oppure può essere di supporto alla terapia chirurgica quando questa non è definitiva. I farmaci utilizzati sono diversi e la scelta dipende dal tipo di adenoma secernente. 19 Adenoma GH-secernente I Farmaci utilizzati sono: • bromocriptina • octerotide • lanreotide • pegvisomat I farmaci consentono di ottenere una riduzione dei valori di GH e IGF-1 nel 75-80% dei casi ed una normalizzazione nel 40-50%, determinando un rapido miglioramento clinico e nel 30% dei casi anche una riduzione volumetrica dell'adenoma. VALUTAZIONE DI LABORATORIO Livelli plasmatici di GH, misurati con metodi radioimmunologici, (Radim, Pomezia, Italia) sono solitamente elevati nell'acromegalia e costituiscono il modo più semplice per valutare l'ipersecrezione di GH. Il sangue deve essere prelevato in condizioni basali prima che il paziente faccia colazione; nei soggetti normali i livelli basali di GH sono < 5 ng/ml nei maschi da 0.1 a 10 ng/ml nelle donne e da 1 a 20ng/ml nel bambino. Aumenti transitori del GH sono normali e devono essere distinti dalle ipersecrezioni patologiche. La risposta a 20 un carico orale di glucoso rimane il test standard per la diagnosi di acromegalia. Nei soggetti normali la secrezione viene soppressa a < 5 ng/ml 90 min dopo la somministrazione di 75 g di glucoso PO. Livelli compresi tra 5 e 10 ng/ml non sono dirimenti e valori più alti confermano la diagnosi di un eccesso di GH. La maggior parte dei pazienti acromegalici presenta valori considerevolmente più elevati. I livelli plasmatici basali di GH sono importanti anche per seguire nel tempo la risposta alla terapia. In tutti i pazienti con sospetta acromegalia deve essere misurata la concentrazione plasmatica del fattore di crescita insulino-simile I (IGF-I), conosciuto anche come somatomedina C. Solitamente, i livelli di IGF-I sono notevolmente elevati (da tre a dieci volte) negli acromegalici e inoltre possono essere utilizzati per controllare la risposta alla terapia. Livelli normali di IGF-I negli adulti variano per lo più da 125 a 460 ng/ml (da 400 a 2000 UI/l) e si riducono con l'età. Terapia chirurgica Un po' di storia Le origini della terapia chirurgica degli adenomi ipofisari risalgono al secolo XIX. Nel 1886, a Londra, sir Victor Horsley effettuava il primo intervento di ipofisectomia, 21 per via transcranica. Nel 1907 due austriaci, Hans Schloffer a Innsbruck, eAnton Freiherr von Eiselsberg a Vienna, introdussero la via diretta transfenoidale. Un altro viennese, Oscar Hirsch, nel 1909, suggeriva la via transetmoidale. Ma fu Harvey Williams Cushing, al Johns Hopkins di Baltimora, a tentare, con successo, l'accesso transfenoidale sublabiale presentano, nel 1911, una casistica di ben 50 adenomi operati. Nel 1962, Hardy introdusse, nella chirurgia ipofisaria transfenoidale, l'utilizzo del microscopio operatorio. Nei venti anni successivi si è avuta una ottimizzazione dell'approccio sublabiale transettale transfenoidale, che è tuttora utilizzato in molti Centri. Un'ulteriore evoluzione delle tecniche di chirurgia transnasale è stata realizzata negli anni '90 grazie all'introduzione dell'endoscopia chirurgica. Il passo decisivo è stato compiuto da Jho e Carrau nel 1993 con messa a punto di un approccio endoscopico endonasale transfenoidale, realizzato attraverso una sola narice. L'asportazione degli adenomi ipofisari può essere condotta per via transcranica o per via transfenoidale; quest'ultima, praticata con 22 l'ausilio del microscopio operatorio, ha rappresentato negli ultimi 30 anni l'approccio chirurgico di scelta per le lesioni dell'ipofisi. Terapia Radiante Nel trattamento degli adenomi ipofisari, la radioterapia (RT) è considerata l'opzione terapeutica di seconda scelta. E' generalmente proposta dopo la chirurgia, nelle situazioni di asportazione chirurgica parziale della neoplasia; nel trattamento delle recidive tumorali; quando le condizioni cliniche del paziente non consentono l'intervento chirurgico; allorché il tumore infiltra profondamente a livello della regione ipotalamica o del seno cavernoso; infine, insieme alla terapia medica, la RT rappresenta l'unica chance terapeutica nel caso in cui il malato rifiuti l'intervento chirurgico. IL NOSTRO STUDIO La cura dell’ acromegalia si ottiene dopo l'intervento chirurgico nella maggior parte dei pazienti con microadenomi, ma solo nel 50% dei pazienti con macroadenomi(1-4). I pazienti con macroadenomi hanno bisogno di ulteriore terapia per ottenere il controllo biochimico della malattia(5). Diversi parametri possono aiutare a predire il risultato clinico dei pazienti trattati, come 23 le dimensioni del tumore, invasività locale, ei livelli di GH preoperatorio(6-7). L'antigene nucleare Ki-67 è legato al potenziale di crescita in molti tumori umani. Alcuni autori riportano una correlazione tra l’espressione del Ki-67, l'invasività del tumore e l’incidenza delle recidive(8-11). Tuttavia il ruolo del Ki-67 come fattore prognostico nei pazienti acromegalici rimane indefinito. In questo studio, abbiamo indagato il possibile valore prognostico del Ki-67, sia nei risultati clinici post terapia chirurgica che nella risposta alla eventuale terapia medica. Pazienti Il protocollo dello studio è stato approvato dal Comitato Etico dell’Università Cattolica: tutti i pazienti hanno firmato un modulo di consenso informato. La popolazione dello studio consiste in 68 pazienti con diagnosi di acromegalia (età media alla diagnosi 42 ± 11 anni, range 21-68 anni), 24 uomini e 44 donne, diagnosticati tra il 2000 e il 2005 presso l'Istituto di Endocrinologia e conseguentemente operati presso il Dipartimento di Neurochirurgia dell'Università Cattolica di Roma. La diagnosi biochimica di acromegalia è basata sui criteri riportati in tabella(12): 24 Criteri di esclusione dallo studio consistono in una precedente storia di trattamento medico con analoghi della somatostatina (SSA), agonisti della dopamina o antagonista del GH prima dell'intervento chirurgico, o la radioterapia. La risonanza magnetica ipofisaria (MRI) ha mostrato la presenza di un macroadenoma (diametro massimo> 10 mm) in 53 pazienti e un microadenoma (diametro massimo <10 mm) in 15 pazienti. I tumori ipofisari sono stati classificati in tre gruppi in base alle dimensioni del tumore: - gruppo 1 con diametro massimo di 10 mm o inferiore; - gruppo 2 con diametro massimo superiore a 10 mm e 20 mm o inferiore; - gruppo 3 con diametro massimo superiore a 20 mm. I tumori ipofisari sono stati descritti come aventi un'estensione extrasellari in 15 casi, parasellari in sei, para-e soprasellare in quattro, 25 e soprasellare in cinque casi. Invasione del seno cavernoso è stato descritto al MRI in 16 casi. Un approccio chirurgico trans-sfenoidale è stato perseguito in 67 pazienti, mentre un approccio pterionale è stata utilizzata in un paziente con un macroadenoma con estensione soprasellare. Valutazione post-chirurgica Rivalutazione biochimica è stata effettuata dopo 6-12 sett dal test di tolleranza al glucosio orale (OGTT) e il dosaggio di IGF-I nel siero. Nel follow-up, la MRI è stata effettuata dopo 6 mesi e poi una volta all'anno. I pazienti sono stati considerati guariti secondo i criteri di Cortina(13): 26 I pazienti che sono stati considerati come non curati chirurgicamente hanno iniziato la terapia medica con long-acting octreotide SSA 20 mg ogni 4 sett, e la dose è stata aumentata fino a 30 mg ogni 3 sett in pazienti non controllati. I pazienti sono stati considerati come non controllati sulla base del quadro clinico, se i livelli di GH dopo OGTT erano superiori a 1 ng / ml, e se i livelli plasmatici di IGF-I erano superiori secondo l’ età e sesso rispetto ai soggetti normali. I pazienti con una malattia persistente sono stati rivalutati ogni 6 mesi attraverso il dosaggio sierico di IGF-I e OGTT. Il follow up post chirurgico variava da 12-48 mesi. 27 IMMUNOISTOCHIMICA Tutti i campioni di tessuto sono stati esaminati per gli ormoni dell'ipofisi anteriore [GH, prolattina (PRL), FSH, LH, TSH, ACTH] in immunoistochimica, seguendo le procedure standard: Dopo fissazione in formalina ed inclusione in paraffina, si ottenevano sezioni di 5 micron di spessore da tutti i tumori che erano successivamente deparaffinate, reidratate, e sottoposte a smascheramento antigenico mediante trattamento in microonde in tampone citrato, pH 6 per 15 min. 28 Abbiamo utilizzato il kit Perox-DAB (HSL60-DAB; Sky-Tek, Logan, UT). Le sezioni del tumore sono stati incubate con un anticorpo primario per 18 ore in una camera umida a 4 C; la diaminobenzidina è stata utilizzata come cromogeno, seguita da un debole contrasto nucleare. L'anticorpo monoclonale MIB-1 contro l'antigene Ki-67(Dako Glostrup, Danimarca) era diluito secondo le istruzioni del produttore( 1:100 ). Preimmune mouse IgG (Sigma-Aldrich Corp., St. Louis, MO) è stato utilizzato come controllo negativo. Ki-67/MIB-1 è stata valutata, in ogni caso, in almeno cinque aree rappresentative del tumore, ciscuna contenente circa 1000 cellule. Le immagini sono state acquisite con una fotocamera digitale Nikon Coolpix 5000, montata su un microscopio Zeiss Axioscope. 29 FIG 1: Immunoistochimica per Ki-67 e sezioni colorate con ematossilina-eosina di due adenomi ipofisari GH-secernenti. A1 : Indagine immunoistochimica per Ki-67(X400); sezione di tumore ipofisario GH-secernente con alta attività proliferativa. A2: Ematossilina eosina B1: Indagine immunoistochimica per Ki-67(X400) di tumore ipofisario GH-secernente con bassa attività proliferativa. B2: Ematossilina-eosina(X400) ANALISI STATISTICA I dati sono espressi come media ± SD. L'analisi statistica è stata effettuata utilizzando il software Minitab per Windows (Minitab Inc., State College, PA). I risultati sono stati analizzati per differenze statisticamente significative utilizzando il test di Mann-Whitney e il test 2, se del caso. P <0.05 è stato considerato significativo. RISULTATI CLINICI I livelli di GH dopo OGTT preoperatoria erano 20 ± 22 ng / ml e sono notevolmente diminuiti dopo l'intervento chirurgico (3 ± 5 ng / ml, P <0.01). La media preoperatoria dei livelli di IGF-I era 721 ± 266 ng / 30 ml. Tali valori sono notevolmente diminuiti dopo l'intervento chirurgico (309 ± 191 ng / ml, P <0.01). L’ intervento chirurgico è stato considerato come riuscito in 28 dei 68 pazienti (41%) (gruppo A) (Tabella 1). Tra i 40 pazienti trattati con SSA, 27 sono stati considerati come controllati (gruppo B) e 13 come non controllati (gruppo C) (Tabella 1). Residua neoplasia o recidiva di malattia è stata individuata alla RMI dopo 6 mesi in 25 dei 68 pazienti (37%). L’immunoistochimica per il KI-67 è stata eseguita su tutti e 68 campioni, con un valore medio di 1,5 ± 1,3%. Mentre il tessuto ipofisario normale era completamente privo di immonoreattività per il Ki-67. Relazioni tra Ki-67 e le caratteristiche cliniche Nessuna correlazione è stata trovata tra l’indice Ki-67, l'età, il livello di GH pre e post-chirurgico OGTT, o i livelli plasmatici di IGF-I. Tuttavia, i tumori nei pazienti guariti dopo un intervento chirurgico 31 hanno mostrato un livello significativamente (P <0,01) inferiore del valore del Ki-67 (1.1 ± 0.8%) (gruppo A), rispetto ai pazienti considerati non guariti (1.8 ± 1.5%) (Fig. 1 ). Tumori di pazienti controllati dalla terapia con SSA hanno mostrato una basso indice di Ki-67 (P <0,05) (1.5 ± 1.2%) (gruppo B), rispetto ai pazienti considerati non controllati (2.4 ± 1.9%) (gruppo C) (Tabella 1). D'altra parte, il Ki-67 non è risultato significativamente diverso sulla base delle dimensioni del tumore (1.2 ± 1.1% per il gruppo 1, 1.2 ± 0.6% per il gruppo 2; 2,2 ± 2,1% per il gruppo 3) e l'estensione del tumore (1,8 ± 1,8% per i tumori extrasellari e 1,5 ± 1,1% per i tumori intrasellari, rispettivamente). Tuttavia, i tumori descritti come invasivi del seno cavernoso avevano un valore maggiore di Ki-67 (2.5 ± 2.1%), rispetto ai tumori non invasivi (1.1 ± 0.7%) (p <0.01). Tra i 40 pazienti considerati non guariti dalla chirurgia, il Ki-67 non ha un valore molto diverso rispetto ai tumori di pazienti con persistenza o con ripresa di malattia nel follow-up (2 ± 1,7%), rispetto a coloro che non hanno (1.7 ± 1.3%). 32 CONCLUSIONI In questo studio, abbiamo evidenziato che negli adenomi ipofisari l’indice di marcatura Ki-67 è significativamente più alto nei campioni di tumore dei pazienti acromegalici non curati dalla la chirurgia e dalla terapia. Tra questi soggetti, il Ki-67 può discriminare in modo significativo tra i pazienti che rispondono alla terapia medica e quelli che non rispondono. In linea con i dati in letteratura precedenti, lo studio conferma che l’indice Ki-67 non cambia in base alle dimensioni del tumore o la sua estensione (14, 15). Losa et al. (16) hanno trovato risultati opposti. Questa discrepanza potrebbe essere dovuta ad un diverso equilibrio tra la frazione di crescita dell’adenoma e la perdita delle cellule tumorali per apoptosi nel determinare la grandezza del tumore ipofisario. Inoltre, le dimensioni del tumore possono essere influenzate dal tasso di crescita dell’ adenoma. Precedenti studi avevano valutato la relazione tra indice Ki-67 e il potenziale invasivo degli adenomi ipofisari di GH-secernenti. 33 Luchi et al. (15) ha osservato che i tumori con un alto grado di invasività del seno cavernoso hanno livelli elevati di antigene Ki-67. Questo risultato è stato confermato nello studio di Losa et al. (16). In conclusione, questo studio suggerisce che: 1) Nei pazienti con acromegalia, l’ indice di marcatura Ki-67 rappresenta un utile indicatore prognostico dopo adenomectomia; 2) L’indice Ki-67 è in grado di identificare i pazienti acromegalici che hanno maggiori probabilità di risposta alla terapia medica con SSA 3) L’indice Ki-67 può fornire ulteriori informazioni per il follow-up e l'inizio della terapia medica. 34 APPENDICE: NOZIONI TECNICHE L'istologia studia la morfologia dei tessuti, e le cellule che li compongono, sia da un punto di vista morfologico che funzionale. Strumento essenziale per l'istologia è il microscopio ottico che permette l'osservazione diretta dei tessuti che si vogliono studiare. Perché tale osservazione sia possibile, tuttavia, questi devono essere lavorati e trattati in vari modi: devono essere tagliati in sezioni sottilissime a poter essere osservati in controluce, devono essere colorati in vari modi, così da poter essere più facilmente riconoscibili e distinguibili, e devono infine essere trattati in modo da prevenirne la decomposizione e permetterne la conservazione per analisi successive. Un tessuto che sia stato in questo modo trattato prende il nome di preparato istologico. Fissazione Per prevenirne la decomposizione, i tessuti destinati all'analisi microscopica vengono trattati tramite un processo chiamato fissazione. La fissazione è resa necessaria dal fatto che, una volta asportati dall'organismo di appartenenza, i tessuti perdono rapidamente le loro proprietà chimiche e fisiche, sia a causa della variazione di temperatura e di pH, sia per l'azione dei microrganismi 35 che, una volta asportato il tessuto, immediatamente attaccano ed invadono il materiale biologico. Tramite la fissazione si riesce a ritardare, quando non ad impedire, questi processi, e a questo scopo i tessuti appena prelevati vengono trattati con composti chimici quali alcoli o aldeidi (formalina), i quali, appunto, fissano le molecole presenti nel tessuto nello stato chimico e nella posizione in cui si trovano in vivo. Una fissazione ottimale sarà quella che produce la migliore morfologia con il tempo minimo richiesto per conservare l’antigene. I campioni di tessuto dovrebbero essere di piccole dimensioni ed essere immersi in un adeguato volume di fissativo il più rapidamente possibile. Se il campione di tessuto non viene fissato rapidamente o è troppo spesso per permettere la completa penetrazione del fissativo, la sua conservazione risulterà impropria e le porzioni di tessuto non esposte al fissativo mostreranno una intensa colorazione non specifica. La formaldeide e’ il miglior fissativo usato in istologia. E’ un gas incolore, molto solubile in acqua, che viene commercializzato in soluzione acquosa alla concentrazione di circa il 40% con il nome di formalina. 36 Poiché la formaldeide agisce lentamente, le sue soluzioni acide o troppo concentrate possono causare interferenze con le strutture e danni alla morfologia tissutale. Per la microscopia, la formalina dovrebbe essere fresca, avere una concentrazione compresa tra il 4 e il 10% ed essere tamponata a pH 7,0-7,6. Col tempo la formaldeide dà luogo a polimeri di paraformaldeide o di triossimetilene che formano depositi di precipitato bianco che devono essere eliminati per filtrazione prima dell’uso. La formaldeide viene ossidata dall’ossigeno atmosferico ad acido formico, che acidifica fortemente la soluzione (pH 4). Per una buona riuscita dei preparati è opportuno neutralizzare la formalina impiegata nelle miscele fissative mediante l’aggiunta di un eccesso di polvere di carbonato di calcio, lasciar riposare per alcuni giorni e infine decantare. La formaldeide possiede un elevato grado di penetrazione, non provoca eccessivo indurimento dei tessuti, non dissolve i lipidi. A causa dei suoi caratteristici legami crociati essa è un buon fissativo soprattutto per i piccoli antigeni, come gli ormoni. Per ottenere una buona morfologia e prevenire lo smascheramento degli antigeni, il tempo di fissazione è critico, dovrebbe essere il più breve possibile e risulta tra 2 e 24 ore a seconda delle dimensioni dei pezzi. Tessuti 37 fissati per periodi più lunghi non sono danneggiati dalla lunga permanenza in formalina e possono ancora mostrare una colorazione intensa in funzione della concentrazione di antigene presente. Uno degli effetti della iperfissazione è la formazione di un eccesso di legami aldeidici che può mascherare l’antigene e prevenire l’accesso dell’anticorpo ad esso. Disidratazione Dopo la fissazione i campioni di tessuto dovrebbero essere sciacquati vigorosamente per eliminare l’eccesso di fissativo che può causare artefatti di colorazione. Quindi possono essere disidratati, chiarificati e inclusi. La disidratazione avviene attraverso il passaggio del tessuto in una serie di alcoli a concentrazione progressivamente crescente, dal 50% al 100%, per tempi di permanenza in ciascuna concentrazione variabili, a seconda delle a seconda delle dimensioni del pezzo. Prima di procedere all'inclusione è dunque necessario allontanare la componente acquosa utilizzando dell'alcol, che è anch'esso insolubile in paraffina: una volta allontanata l'acqua, si procede alla rimozione dell'alcol attraverso sostanze quali toluene o xilolo. Quest'ultimi sono solubili in paraffina e quindi si può procedere alla inclusione. 38 Chiarificazione I liquidi solubili nei mezzi di inclusione, e denominati diafanizzanti, sono numerosi e comprendono lo xilene, comunemente usato nei laboratori per le procedure di routine, Il toluene che indurisce meno dello xilene ed evapora più lentamente. Attualmente trovano impiego alcuni agenti che sostituiscono a tutti gli effetti gli altri diafanizzanti. Si tratta di prodotti di origine naturale costituiti da miscele di solventi clorurati stabilizzati che hanno la caratteristica di essere non tossici, poco volatili, ininfiammabili e privi dell’odore pungente caratteristico dei solventi aromatici. I tempi di permanenza nei diafanizzanti, in funzione delle dimensioni del pezzo, non devono essere troppo lunghi. Quando i campioni ne sono completamente imbevuti, acquistano un aspetto trasparente (diafano). Questa caratteristica permette di riconoscere se il pezzo è stato completamente disidratato. Se dopo una adeguata chiarificazione è rimasta acqua nei pezzi, la loro parte centrale rimane invece opaca e bianchiccia. In tal caso è opportuno effettuare una nuova disidratazione, perché una quota di acqua è ancora presente nelle aree opache. 39 Prima di procedere all'inclusione è dunque necessario allontanare la componente acquosa utilizzando dell'alcol, che è anch'esso insolubile in paraffina: una volta allontanata l'acqua, si procede alla rimozione dell'alcol attraverso sostanze quali toluene o xilolo. Quest'ultimi sono solubili in paraffina e quindi si può procedere alla inclusione. Infiltrazione Consiste nella permanenza del pezzo chiarificato nel mezzo di inclusione fuso per un periodo sufficientemente lungo da consentirne la penetrazione nei più profondi interstizi del campione dapprima occupati dalle molecole di acqua e poi progressivamente sostituite da concentrazioni crescenti di alcoli e infine da agenti diafanizzanti. Lo scopo di questi passaggi è quello di trasformare i tessuti, che hanno composizione ed elasticità diverse, in una massa omogenea affinché, durante il taglio, la lama non incontri differenze di consistenza. Inclusione del pezzo Un altro processo molto importante ai fini dello studio cellulare è l'inclusione: i tessuti biologici infatti, per essere tagliati dello spessore adatto all'osservazione microscopica devono essere inseriti (inclusi) in materiali più resistenti, che possano fungere da sostegno. Esistono diversi materiali adatti allo scopo: la paraffina, un composto ceroso 40 di natura lipida, usato nell'allestimento di preparati istologici per la microscopia ottica. Per evitare deformazioni del campione durante il taglio, la paraffina deve possedere alcune caratteristiche di durezza. Per questa ragione spesso si utilizzano paraffine combinate con composti plastici (histowax, paraplast) le quali, essendo molto purificate, presentano infiltrazione ottimale e maggiore consistenza al taglio. A temperature superiori ai 62°C, questi additivi cominciano a formare polimeri molto difficili da rimuovere, che possono causare striature alla lama del microtomo. Per prevenirne la formazione e consentire una conservazione ottimale del tessuto e dell’antigene, i bagni di paraffina dovrebbero essere mantenuti a temperature non superiori ai 57°C. Per risultati migliori, però, si consiglia l’inclusione in paraffina pura,perché essa può essere completamente e facilmente rimossa dal tessuto al momento della colorazione. I preparati per microscopia elettronica prevedono invece l’inclusione in resine che consentono il taglio di sezioni più sottili di quanto (fino a 0,2 - 2 µm), le quali hanno il vantaggio di presentare migliori dettagli morfologici e consentire la localizzazione degli antigeni sia a livello di microscopia ottica che elettronica. 41 Le principali resine per inclusione sono rappresentate dalle resine epossidiche e dai metacrilati. Le resine epossidiche come l’epon o l’araldite polimerizzano in modo omogeneo producendo una eccellente conservazione dei dettagli strutturali. Il pezzo ben impregnato viene posto in una apposita formella di materiale plastico o metallico e ricoperto con il mezzo d’inclusione fuso al quale può essere aggiunto un supporto che funga da base di aggancio per il microtomo. Il tutto viene lasciato solidificare. Taglio al microtomo Perché un tessuto possa essere osservato al microscopio ottico, deve essere sufficientemente sottile da permettere alla luce di attraversarlo. Per ottenere questo risultato, prima dell'esame microscopico i frammenti adenomi ipofisari inclusi in paraffina vengono sezionati in “fette” cioè sezioni sottilissime dell’ordine di 3-4µm.A seconda delle esigenze, ne sono disponibili sostanzialmente due tipi: microtomo a slitta e microtomo a rotazione. E’ possibile con un microtomo ottenere sezioni che contengono uno strato unico di cellule, evitando così che la sovrapposizione di più strati cellulari possa disturbare la visione. 42 La raccolta delle sezioni Per migliorare la consistenza del mezzo di inclusione, prima del taglio il blocchetto di paraffina può essere raffreddato a -20°C. La sezione prima di essere adagiata sul vetrino viene fatta passare in una vaschetta riempita di acqua calda e questo per evitarne “l’arricciamento.” Quindi possono essere conservate a temperatura ambiente. Reidratazione dei preparati inclusi Prima della colorazione le sezioni devono essere deparaffinate e reidratate mediante immersioni sequenziali di 10-20 minuti ciascuna in solventi organici che sciolgono la paraffina e progressivamente sono sostituiti da mezzi solubili in acqua. Un fondo di colorazione non specifico dovuto ad una incompleta rimozione dei residui di paraffina è facilmente riconoscibile come una colorazione pallida che si estende oltre i confini del campione e spesso maschera la colorazione specifica. Per una completa rimozione, i vetrini, prima di essere deparaffinati, dovrebbero essere posti per 20-30 minuti in una stufa ad una temperatura appena sotto il punto di fusione del materiale usato per l'inclusione, ma comunque non superiore a 60°C, per prevenire la denaturazione dell'antigene e il danno alla morfologia cellulare. Dalla 43 stufa i vetrini vengono essere immersi direttamente in un bagno di xilene fresco prima che la paraffina solidifichi di nuovo. Successivamente i vetrini vengono passati in una serie decrescente di etanolo 100%, etanolo 95%, etanolo 70% e 50% e portati all’acqua distillata. Dopo la deparaffinatura le sezioni non dovrebbero essere lasciate essiccare. Colorazione Un altro passaggio fondamentale per permettere lo studio dei tessuti al microscopio è la colorazione; i tessuti infatti sono nella maggior parte dei casi incolori, perché costituiti in gran parte di acqua, privi di pigmenti e trasparenti, tanto da risultare pressoche’ invisibili al microscopio ottico. Sono state perciò scoperte o realizzate, fin dalla nascita dell'istologia scientifica, una serie di sostanze coloranti, capaci appunto di colorare le cellule, o le diverse parti di una cellula, in modo da renderle immediatamente visibili e distinguibili. Al giorno d'oggi sono note moltissime sostanze di questo tipo, che possono essere divise in due grandi gruppi in base ai meccanismi con cui si legano ai diversi componenti cellulari, meccanismi che dipendono dal pH: i coloranti basici, che si legano alle molecole con pH inferiore a 7 (acide) come il DNA, i coloranti acidi, che si legano alle molecole con 44 pH superiore a 7 (basiche) come gran parte delle proteine citoplasmatiche. Nelle analisi istologiche vengono normalmente utilizzate coppie di coloranti basici/acidi, che colorano in modo diverso le diverse parti cellulari:un classico esempio è la colorazione con ematossilina/eosina una delle più comuni in laboratorio: l'ematossilina, basica, colora il nucleo in blu, l'eosina, acida, colora il citoplasma in rosa. Esistono comunque molti altri composti, in grado di colorare organelli cellulari anche molto specifici. Immunoistochimica L’immunoistochimica consente l’ identificazione e localizzazione di antigeni e costituenti tissutali e cellulari, in situ. Alla base della metodica c’è la reazione fra un anticorpo primario opportunamente scelto e lo specifico antigene, cioè la sostanza che si vuole visualizzare nel tessuto in esame. Il complesso antigeneanticorpo può essere visualizzato con vari sistemi di rivelazione diversi, per cui si parla di: Metodo di immunofluorescenza: se si utilizzano anticorpi marcati con sostanze fluorescenti (fluoro cromi). 45 La visualizzazione della reazione antigene-anticorpo avviene con il microscopio a fluorescenza. Metodo immunoenzimatico Se si utilizzano anticorpi coniugati con enzima (per ossidasi) che in presenza di un opportuno substrato (DAB) e di un cromogeno produrrà un prodotto di reazione colorato (osservazione al microscopio ottico). L’immunoistochimica è la tecnica dotata di maggiore sensibilità e precisione rispetto all’immunofluorescenza il cui risultato non è stabile nel tempo e tende a decadere per effetto della luce. Le reazioni enzimatiche possono essere analizzate con un microscopio ottico convenzionale a luce diretta; possiedono una colorazione permanente, che permette la documentazione fotografica anche a distanza di tempo e possono essere combinate con le colorazioni istologiche convenzionali per valutare la colorazione specifica nel contesto morfologico (contro colorazione). Gli enzimi comunemente utilizzati in immunoistochimica sono la fosfatasi alcalina da mucosa di vitello,(alcaline phosphatase,AP) la beta-galattosidasi che viene espressa dal gene lac+ e la per ossidasi da rafano (horse-radish peroxidase,PDO), molecola di piccole dimensioni, che non interferisce con il legame degli anticorpi ai siti adiacenti e si può ottenere in forma altamente purificata, quindi il 46 rischio di contaminazione è ridotto al minimo. I metodi di immunoistochimica utilizzati per localizzare l’ antigene possono essere diretti, fare uso di coniugati (indiretti), utilizzare immunocomplessi o sfruttare l’affinità tra avidina e biotina. Ciascuno di essi presenta vantaggi e svantaggi che devono essere opportunamente valutati prima della scelta della procedura più efficace per le propie esigenze. L’amplificazione aumenta la sensibilità e cioè permette la rivelazione di quantità più piccole di antigene con la stessa quantità di anticorpo. METODO DIRETTO Il modo più semplice per localizzare un antigene è quello di utilizzare un anticorpo diretto specificamente contro di esso. Esso potrà essere facilmente identificato se sarà un anticorpo coniugato. La coniugazione è un processo che lega chimicamente alcuni tipi di marcatori su una molecola di anticorpo. Un ampia varietà di coniugati è disponibile per l’uso in varie colorazioni istochimiche dirette e indirette. Questi possono essere fluorocromi come fluoresceina o rodamina; o enzimi come la per ossidasi, la fosfatasi alcalina, o la beta–galattosidasi; o sostanze elettron dense come l’oro colloidale. Sfortunatamente nel processo chimico di coniugazione piccole quantità di anticorpo di coniugazione e di marcatore possono venire 47 distrutte. Questo può far diminuire la sensibilità e la specificità di questi reagenti. Nel metodo diretto l’anticorpo specifico è legato chimicamente al fluoro cromo o all’enzima. Il reagente coniugato viene applicato al campione e raggiungerà l’antigene. Viene poi applicato un substrato che produrrà un prodotto terminale colorato che precipita nel sito e renderà visibile l’antigene localizzato. La tecnica diretta può essere effettuata rapidamente e con una bassa probabilità di reazione non specifica. Il principale ostacolo è costituito dalla difficoltà di ottenere un differente anticorpo coniugato per ogni antigene da localizzare. Se l’anticorpo non può essere ottenuta in forma coniugata deve coniugarlo l’utilizzatore stesso. METODO DIRETTO O CON CONIUGATI Nel metodo indiretto l’antigene da ricercare viene fatto reagire con un anticorpo non coniugato. Successivamente il complesso antigene-anticorpo che si è formato verrà fatto reagire con immunoglobuline di specie animale diversa da quella da cui è stato prodotto l’anticorpo primario e coniugata con una molecola di marcatore. 48 La reazione finale risulterà più intensa perché l’antigene tissutale si combina con con una molecola di anticorpo ognuna delle quali si legherà (fungendo a sua volta da antigene), con molecole di anticorpo coniugato. Il metodo indiretto risulta più versatile rispetto a quello diretto perché può essere utilizzata con vantaggio una varietà di anticorpi primari prodotta nella stessa specie animale quando è disponibile un unico anticorpo secondario coniugato con il marcatore. E’ piu’ semplice coniugare un solo anticorpo diretto contro IgG di una sola specie animale. Comunque i tempi richiesti sono doppi rispetto al metodo diretto e i rischi che si verifichino reazioni non specifiche sono più elevati. SUBSTRATI E CROMOGENI Un enzima (E) è un catalizzatore che agisce sul substrato per accelerare la sua conversione a prodottto mediante la formazione di un complesso intermedio enzima-substrato come indicato nella seguente reazione: ENZIMA+SUBSTRATO→ENZIMA-SUBSTRATO→ENZIMA+PRODOTTO In questa reazione non viene consumato ma può reagire con altre molecole di substrato per formare altre molecole di prodotto. 49 Una singola molecola di enzima può dunque trasformare più molecole di substrato in prodotto. L’aumentata sensibilità delle tecniche immunoenzimatiche rispetto alla immunofluorescenza è dovuta proprio a questa possibilià di amplificazone progressiva. Una molecola fluorescente può cedere soltanto una piccola quantità di luce visibile,mentre un enzima può produrre molte molecole colorate se sono disponibili abbastanza substrato e tempo di azione. A seconda degli enzimi utilizzati , numerosi sono i cromogeni che fungono da substrato e possono agire come donatori di elettroni nella reazione enzimatica dando origine ad un prodotto di reazione finale colorato che localizzerà l’antigene mediante la formazione di un precipitato nelle immediate vicinanze del punto in cui è avvenuta la reazione. Per l’uso delle tecniche di immunoistochimica, quindi, è indispensabile che il prodotto terminale colorato precipiti nel sito in cui esso stato prodotto. I cromogeni che formano prodotti terminali solubili non possono dunque essere utilizzati utilmente per queste tecniche. 50 CROMOGENI PER LA PEROSSIDASI Un’ampia varietà di cromogeni può essere utilizzata come substrato della per ossidasi (POD). Essa è catalizza una reazione tra un appropriato substrato donatore di elettroni, che si ossida formando un prodotto finale di reazione costituito da una molecola colorata, e il perossido di idrogeno (H202) che sarà ridotto a acqua (H20 ). POD+H202+CROMOGENO→REAZIONE-ENZIMATICA→MOLECOLA COLORATA+POD+H20 Se nella soluzione substrato la concentrazione di H202 risulta insufficiente, essa non consentirà alla reazione di procedere fino al completamento. Al contrario un eccesso di H202 inibirà l’enzima e impedirà la formazione di colore. La concentrazione finale non dovrebbe superare lo 0.06%. Di solito viene utilizzata una concentrazione di 0.03% che è pari a 0.1 ml di H202 al 3 % in 10 ml di soluzione substrato. Le concentrazioni e i tempi di incubazione possono essere aggiustati per ottimizzare la colorazione. Una volta che il perossido di idrogeno è stato aggiunto al cromogeno, la soluzione è stabile solo per un breve periodo. 51 Per risultati ottimali il substrato di reazione dovrebbe essere preparato fresco subito prima dell’uso; con il tempo il cromogenosi frammenta e la soluzione comincia a cambiare colore;essa quindi dovrebbe essere scartata e se ne dovrebbe preparare una fresca. 3,3-Diamminobenzidina tetraidrocloruro(DAB) La 3,3-diaminobenzidina(DAB) è il substrato di scelta per la immoperossidasi. Produce un intensa colorazione marrone resistente all’alcool. I vetrini colorati possono essere disidratati,montani in mezzi di montaggio con i metodi convenzionali e conservati a lungo,perché la reazione produce un precipitato di colore marrone , non solubile in acqua o alcool. La DAB inoltre è elettrondensa e ciò la rende utile per studi di immonoperossidasi ultrastrutturali. La soluzione stock (aliquote di 7,7mg disciolti in 0.2 ml di Tris-HCL pH 7.7) può essere conservata a -70°C. La soluzione di lavoro (0,2 ml stock + 10 ml Tris-HCl + 25 ml di H202 3%) dovrebbe essere preparata immediatamente prima dell’uso e filtrata se si verifica una precipitazione. Porre 4-6 gocce su ciascun campione ed incubare per 5 minuti a temperatura ambiente. Risciacquare con acqua e contro colorare con ematossilina. 52 La colorazione marrone indicherà l’avvenuta reazione antigeneanticorpo. Vetrini per immunoistochimica L’aderenza delle sezioni sul vetrino risulta molto importante soprattutto se la rivelazione prevede numerose incubazioni e relativi lavaggi. Per prevenire il rischio che le frequenti manipolazioni possano provocare il distacco e la perdita del materiale sono disponibili in commercio dei vetrini polarizzati o anche detti a carica positiva e verranno sottoposti ad indagine immunoistochimica. Essi prevengono il distacco del tessuto durante pretrattamenti energici come la digestione enzimatica o il trattamento con forno a microonde. 53 LE DILUIZIONI DEI REAGENTI La concentrazione di uno specifico anticorpo per ml di soluzione è chiamata titolo anticorpale, più elevato è il titolo anticorpale è più è elevata sarà la diluizione da utilizzare. Per raggiungere risultati significativi, gli anticorpi devono essere usati, diluiti in maniera ottimale per un appropriato tempo di incubazione. Se un anticorpo ad una determinata concentrazione causa una intensa colorazione di fondo, dovrebbe essere ulteriormente diluito. Le diluizioni ideali di ogni anticorpo dipendono da vari fattori e devono essre determinate dalle condizioni di ciascun laboratorio. Se ad una certa concentrazione di anticorpo si effettua una incubazione di 5-10 minuti a 37 °C alla stessa temperatura allungando il tempo di incubazione, l’anticorpo può essere usato più diluito. 54 BIBLIOGRAFIA 1. Bernasconi V. 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J Clin Endocrinol Metab 81:2356 59 RINGRAZIAMENTI Desidero esprimere un particolare ringraziamento e gratitudine al Prof. Libero Lauriola e al Dott. Egidio Stigliano per l’amore con cui svolgono il loro lavoro, trasmettendolo a noi studenti. Un ringrziamento, inoltre, va al Dott. Valerio Vellone, al Dott. Marco Filipponi e a tutto lo staff dell’Istituto di Istologia e Citologia del Policlinico “A. Gemelli”, tutti dediti ad insegnarmi come farebbe una grande famiglia nei confronti della propria figlia. 60