Gli effetti sull`ambiente delle centrali per il teleriscaldamento a

Transcript

Gli effetti sull`ambiente delle centrali per il teleriscaldamento a
 Gli effetti sull’ambiente delle centrali per il teleriscaldamento a biomassa Giuseppe Tomassetti Roma 21/02/2013 Perché questo documento? In diverse zone d’Italia la notizia delle proposte di realizzare impianti che brucino legno per produrre acqua calda da distribuire per il riscaldamento, provoca immediate proteste e formazione di comitati contro i temuti inquinamenti locali. Da una parte i promotori usano parole gergali, quali “biomassa”, che ai cittadini risultano nuove e subito pericolose, perché pensano ai rifiuti; dall’altro gli oppositori utilizzano qualsiasi argomento pur di stimolare l’attenzione e suscitare avverse partecipazioni. Obiettivo di questo documento è quello di: • precisare il significato delle varie proposte; • differenziare le tecnologie; • identificare i rischi potenziali e i benefici attesi; • indicare le dimensioni dei problemi e le diverse responsabilità. Che cosa si intende per biomassa? Si usa la parola biomassa perché è contenuta nelle leggi di incentivazione. Sono biomasse tutte le sostanze che derivano da processi di vita sia vegetale che animale. Si tratta dunque di un nome estremamente generico che include un numero sterminato di materiali che possono essere ricondotte a 3 grandi famiglie: 1. le biomasse solide; 2. le biomasse liquide; 3. le biomasse gassose. Le biomasse solide comprendono sia quelle vegetali che quelle animali. Le prime vanno dalle alghe alle piante erbacee al legno, le seconde comprendono gli animali viventi e i loro residui. Le biomasse liquide derivano da spremitura o fermentazione delle biomasse solide. Esse comprendono gli oli vegetali, i grassi animali e vegetali e i vari alcoli. (es. olio di oliva o di colza, alcool etilico ecc..) Le biomasse gassose derivano dalla fermentazione di biomasse solide o liquide. (es. metano dalle paludi e dalla digestione dei liquami zootecnici ecc..) Le biomasse solide e liquide hanno un uso primario come cibo e come materiale per diversi scopi (carta, legno per mobili, fibre per tessuto). A fine vita utile tali prodotti vanno a finire per la maggior parte nei rifiuti urbani; in Italia si considera che i rifiuti urbani siano per il 50% costituiti da biomasse. (principalmente carta, residui di cibo, fibre tessili) Per motivi di marketing si parla di biolio o biodiesel e non più di olio vegetale (distinto da olio minerale o petrolio), di biogas e non di gas di fermentazione o di palude (distinto da metano da giacimento), di bioetanolo e non di alcool (distinto da alcool di sintesi). 1 Vantaggi dell’impiego energetico delle biomasse Le biomasse sono costituite chimicamente da carbonio, idrogeno e ossigeno con percentuali molto ridotte di altri elementi chimici. Da un punto di vista chimico sono quindi molto simili ai petroli e ai carboni, sostanze che si ritiene siano derivate dall’effetto di temperatura, pressione e tempo su depositi di biomasse che lentamente si fossilizzano. Nel processo di fossilizzazione le biomasse “naturali”, cioè derivanti da processi vitali, perdono idrogeno ed ossigeno (acqua) e si trasformano in idrocarburi, che sono quindi sostanze non rinnovabili nella scala dei tempi della vita umana. Da un punto di vista della composizione chimica è possibile l’impiego energetico delle biomasse naturali in modo simile all’uso dei combustibili fossili; sono però meno concentrate e richiedono maggior attenzione per essere utilizzate; in compenso hanno tre caratteristiche fondamentali: 1. sono rinnovabili nella nostra scala di tempo della vita umana (quindi non si esauriscono); 2. bruciando le biomasse rimettono la stessa quantità di anidride carbonica che è stata assorbita dalla sintesi clorofilliana che ha prodotto la biomassa stessa. Non hanno effetti climalteranti; 3. sono distribuite abbastanza omogeneamente sulla superficie terrestre e quindi favoriscono lo sviluppo del territorio dove sono utilizzate in alternativa ai combustibili fossili, concentrati in alcune aree e quindi, per l’Italia, importati. Sostanzialmente l’impiego energetico delle biomasse fresche e rinnovabili ha i 3 vantaggi evidenziati sopra rispetto alle fonti fossili tradizionali. Il modo più semplice per sfruttare le potenzialità di un combustibile è la combustione con l’aria; la combustione, fenomeno molto complesso, sia per le biomasse fossili che per quelle rinnovabili, pone dei problemi di tipo ambientale che vanno affrontati con attenzione in entrambi i casi. Rapporto tra l’attività umana e l’ambiente Le attività umane hanno un effetto e un impatto sia sull’ambiente vicino a chi opera che su un ambiente più allargato. Con riferimento all’Italia sono state in genere superate, salvo poche situazioni particolari, le attività che danneggiavano in tempi brevi la vita fisica della comunità dove si svolgevano; esempio tipico di questa situazione è il tema delle piogge acide legate alle emissione di anidride solforosa, esse ormai non sono più rilevanti poiché i combustibili petroliferi sono desolforati in raffineria e le grandi centrali a carbone desolforano i fumi prima di scaricarli in atmosfera. Oggi ci si preoccupa della qualità delle acque, dell’aria e dei cibi come parametri importanti per la salute fisica delle persone attraverso normative che fissano dei valori limite di alcune sostanze definite inquinanti. In Italia un parametro che risulta frequentemente fuori norma è quello delle polveri in atmosfera. Tale problema assume particolare rilevanza nella val Padana per la conformazione geografica che 2 blocca i venti nel periodo invernale riducendo, i ricambi d’aria. Le polveri derivano da tutte le attività dell’uomo (sigarette comprese), dall’agricoltura e dalle combustioni. Altri aspetti riguardano la tutela dell’atmosfera nella sua globalità; in particolare è stato affrontato il problema del danno derivante dalla fascia di ozono da parte di prodotti contenti cloro, mentre è in corso una campagna per il controllo del riscaldamento globale con studi per la riduzione delle emissione delle sostanze che aumentano l’effetto serra in atmosfera (principalmente anidride carbonica CO2 e metano CH4). Questa campagna è promossa dall’Unione Europea, pur essendo il suo contributo relativamente meno rilevante, nella speranza che gli altri Paesi si adeguino e che l’Unione Europea possa acquisire una leadership tecnologica. Meno formalizzato è il tema della conservazione del territorio, sia negli aspetti fisici, quali la gestione idrogeologica delle zone montane boschive, che gli aspetti sociali, per il mantenimento delle attività economiche diffuse nei territori. Anche dal punto di vista del rapporto con l’ambiente i diversi impieghi delle biomasse hanno impatti così diversi che non è possibile generalizzare sulla loro valenza. Gli usi energetici delle biomasse più diffusi in Italia La combustione del legno è stata per millenni fonte di energia a disposizione dell’uomo. Ancora oggi è il combustibile più utilizzato in alcuni Paesi soprattutto per la cottura dei cibi. Successivamente sono stati introdotti il carbone di legna e il carbone fossile per gli usi industriali, quali la siderurgia. In Italia gli usi energetici delle biomasse più diffusi sono: 1. Riscaldamento di ambienti con caminetti, stufe e caldaie per il settore residenziale impiegando sia legna a ciocchi che legno sminuzzato che pastiglie o pellet; 2. riscaldamento urbano tramite acqua calda prodotta in caldaie centralizzate alimentate da legno sminuzzato (chips) e distribuita attraverso una rete di teleriscaldamento; 3. produzione di calore per usi industriali mediante caldaie a vapore; 4. produzione di energia elettrica (a volte anche calore) mediante cicli termodinamici alimentati da caldaie con legno sminuzzato; 5. produzione di biogas mediante fermentazione anaerobica di reflui o miscele di biomasse animali e vegetali; il biogas è impiegato per produrre energia elettrica e calore. 6. produzione di energia elettrica e di calore in motori diesel, mediante oli vegetali (generalmente olio di palma) o grassi animali; 7. miscelazione con i combustibili fossili tradizionali, per gli automezzi; in particolare di oli vegetali nei combustibili per i motori diesel e di bioetanolo nelle benzine; Tale elenco ha l’obiettivo di evidenziare che la parola “biomassa” per l’energia fa riferimento ad una generalità di prodotti che devono essere analizzati ognuno nelle proprie caratteristiche. Tale presupposto non può essere sottovalutato in quanto non è possibile valutare una proposta di impiego di una biomassa senza entrare nella sua specificità. 3 Stanno emergendo altre possibili applicazioni, in particolare il biogas delle fermentazioni potrebbe essere purificato ed immesso nella rete del gas naturale, diventando così biometano. Grandi prospettive si aprono a processi di produzione di prodotti chimici, compresi i combustibili, a partire da biomasse, con i processi della “chimica verde”. Lo sviluppo di queste tecnologie potrà portare forti evoluzioni nelle attività dell’agricoltura con la produzione di materie base per l’industria, evoluzione delle quali ancora oggi non è definibile la prevalenza delle colture (alghe, sostanze erbacee, legno, colture su terreni marginali, o dedicati ecc..). Mentre oggi l’impiego energetico delle biomasse si basa principalmente sull’utilizzo di sottoprodotti, le attività industriali della chimica verde porteranno prevedibilmente allo sviluppo di coltivazioni dedicate. Nel seguito il presente documento si occuperà del riscaldamento per uso residenziale specificatamente al punto 1. e 2. dell’elenco precedente. Aspetti ambientali legati all’impiego delle biomasse per riscaldamento Per affrontare un tema così complesso ed ancora in fase di definizione occorre analizzare separatamente i vari aspetti quali: 1. la dimensione del problema; 2. la tipologia di inquinanti; 3. le tecnologie di preparazione del combustibile; 4. le tecnologie di combustione; 5. le metodologie di prova; 6. la gestione e la manutenzione; 7. benefici derivanti dalla gestione del bosco; 8. benefici socio-­‐economici sul territorio; 9. benefici per la riduzione dei gas climalteranti; Questi temi verranno affrontati mettendo in risalto le differenze tra gli impianti singoli all’interno dei nuclei familiari e le centrali di teleriscaldamento a servizio di una comunità. 1. La dimensione del problema La dimensione del problema riguarda sia il numero di impianti, sia le quantità di biomassa in gioco, sia le tendenze. L’impiego della legna per il riscaldamento in Italia è rimasto sempre presente nelle aree montane e agricole non metanizzate e ha ripreso una sua dinamica di crescita dagli anni ‘80 in funzione dell’aumento della fiscalità sul gasolio e del progresso tecnologico. Le informazioni statistiche in Italia sul consumo di legna sono carenti. Il numero di impianti nelle famiglie italiane è solamente stimato da indagini campionarie. 4 Il numero di caminetti aperti è stato stimato dell’ordine di 5 milioni, ci sono poi alcune centinaia di migliaia di caminetti chiusi o termocamini, qualche decina di migliaia di caldaie e poi si stimano, dalle vendite, circa 1,5 milioni di impianti a pellet. Il consumo di legna a ciocchi è stimato intorno ai 20-­‐24 milioni di tonnellate, per la metà non acquistato ma approvvigionato autonomamente, cui aggiungere materiale sfuso come sansa e gusci; il consumo di pellet è stimato sui 2 milioni di tonnellate. Le reti di teleriscaldamento Fiper (rete di teleriscaldamento a biomassa combustibile) hanno consumato 7-­‐800.000 t di biomassa (2010) equivalenti a circa 0,14/0,16 Mtep. Va ricordato che molti termovalorizzatori alimentano reti di teleriscaldamento bruciando rifiuti considerati biomassa al 50%. La stima di queste biomasse è pari a 0,1 Mtep, corrispondente alle biomasse presenti in circa un milione di tonnellate di rifiuti. Dal punto di vista ambientale si osserva che gli inceneritori dispongono di sistemi complessi (abbattimenti di zolfo, azoto, composti clorurati, mercurio) per le emissioni e che gli impianti di teleriscaldamento sono controllati periodicamente dall’Arpa regionale e rispondono alle normative previste. Nessuna attività di controllo è svolta, invece, sugli impianti familiari al di fuori della provincia di Bolzano, area nella quale gli spazzacamini comunali provvedono sistematicamente alla manutenzione e alla pulizia delle caldaie e delle canne fumarie. Nel resto d’Italia operano qualche centinaio di spazzacamini. 2. La tipologia di inquinanti Le emissioni nell’atmosfera caratteristiche degli impianti che bruciano legno sono: a) le polveri minerali o incombusti solidi (particolato) b) i composti organici volatili (COV) Le polveri sono note al largo pubblico attraverso le sigle PM10 e PM2,5. Il supermento delle soglie previste causa l’intervento del Comune con il blocco del traffico. La sigla PM (Particulate Matter o Materia Particolata) indica le particelle che passano al di là di un filtro con diametro dei fori, rispettivamente di 10 e 2,5 millesimi di millimetro; i valori di soglia si riferisco al peso di particelle raccolte su un filtro in un definito arco temporale, indipendentemente dalla composizione delle particelle stesse. Le emissioni di particolato dalla combustione della legna sono una conseguenza naturale della presenza di sali minerali, (calcio e potassio) nella struttura del legno e nella esistenza di composti organici volatili che, emessi come vapori, possono dare luogo a formazione di particelle secondarie, diventando nuclei di condensazione di sostanze presenti in atmosfera. La pericolosità delle particelle è legata agli effetti che hanno sul sistema respiratorio. Le particelle più grandi si fermano già nel naso a differenza di quelle più piccole che possono riuscire a 5 penetrare negli alveoli polmonari. Il peso totale delle particelle raccolte è un segnale indiretto della pericolosità, ma è la misura che viene utilizzata perché è la più semplice da effettuare nei sistemi di misurazione automatici installati nei centri cittadini e urbani. Gli effetti delle particelle negli alveoli possono essere legati sia alla loro struttura fisica che alla loro composizione chimica. Calcio e potassio hanno un effetto irritante su occhi e gola, incombusti e COV possono avere effetti mutageni. Misure su cavie hanno indicato che le polveri provenienti da combustione, completa e ben regolata, di legna hanno effetti meno rilevanti rispetto a quelle derivanti da motori diesel. Le polveri, essendo porose, funzionano da nucleo di aggregazione dei vapori di ogni tipo (COV compresi) e per effetto degli ultravioletti ed ozono finiscono per costituire la base dello smog fotochimico o inquinamento secondario. Le emissioni di particelle primarie o ceneri volanti e di COV, , sono intrinsecamente legati alle tecnologie di combustione e alla tecnologia di depurazione dei fumi. Esse sono ancora molto elevate, nelle combustioni all’aperto (es. incendi delle stoppie, dei campi o dei boschi); sono ugualmente elevate nei fuochi all’interno delle abitazioni, senza particolare forma di regolazione della combustione, quali i camini tradizionali e i sistemi a tre pietre delle capanne africane. Le emissioni di particelle sono più ridotte nelle combustioni chiuse con regolazione di aria primaria e secondaria. Nelle grandi caldaie, con controlli automatici di combustione, si ha sia una minore produzione di particelle, sia un forte abbattimento delle stesse grazie ai sistemi di filtraggio elettrostatico o a tessuto. Sostanzialmente le emissioni di particolato dipendono dalla tipologia di combustibile, dall’apparato e dalle modalità di gestione, per cui è impossibile indicare un riferimento generico come emissioni tipiche dalla combustione delle biomasse. Le particelle emesse dalla biomassa si sommano in atmosfera con quelle dovute alle erosioni dei suoli, all’usura delle strade, ai motori a combustione interna, agli incendi e alle emissioni delle varie attività industriali. Attualmente i sistemi di controllo si sono raffinati e si spera possano permettere di caratterizzare le particelle e di individuare le loro diverse sorgenti. Le attività di ricerca, che sono in corso, tendono ad una maggiore selettività negli interventi di controllo e di normativa. 3. Le tecnologie di preparazione del combustibile La prima questione è la preparazione del combustibile solido, legata alla modalità di caricamento dell’impianto di combustione: negli apparecchi a caricamento manuale la biomassa è a pezzi o a ciocchi, negli apparecchi a caricamento automatico la biomassa deve essere sminuzzata e quindi abbiamo le pastiglie o pellet, i minuzzoli o chips, infine il materiale polverizzato. La seconda questione riguarda l’essiccazione o stagionatura, perché la riduzione dell’umidità aumenta il potere calorifico e le temperature di combustione. 6 Per gli usi familiari il legno a ciocchi è fatto stagionare da un anno per l’altro; il legno secco fa meno fumo e meno polveri, anche in apparecchi molto semplici. Le pellet sono prodotte da legno polverizzato ed essiccato a fondo, compresso in cilindretti di diametro 6-­‐8 mm, con potere calorifico di circa 4100/4400 kcal/kg. I gusci ed i semi spezzettati o macinati (sansa esausta) hanno un comportamento assimilabile a quello dei pellet. I chips sono prodotti per sminuzzamento con coltelli o frese, da piante, in genere appena tagliate e quindi conseguentemente sono molto umidi; i chips sono depositati all’aperto presso gli utilizzatori; il loro potere calorifico è di 1800/2000 kcal/kg e sono bruciati a temperature attorno ai 900°C, curando di evitare la fusione delle ceneri. E’ possibile essiccarli col calore dei fumi ma questa scelta comporterebbe specifiche più complesse nei refrattari e nei ricicli interni dei fumi. 4. Le tecnologie di combustione Per effetto della composizione chimica delle sostanze vegetali (carbone, idrogeno, ossigeno più minerali) la combustione delle biomasse avviene con modalità diverse rispetto agli altri combustibili. Nella combustione delle sostanze vegetali si susseguono diverse fasi: l’essicazione, la fuoriuscita dalla struttura di sostanze volatili ed infine la combustione del carbonio residuo. La struttura dell’apparecchiatura e in particolare degli ingressi dell’aria di combustione, deve assicurare la combustione completa sia delle sostanze volatili che del residuo carbonioso. Questi fenomeni sono regolati da tre “T”: Temperatura, Tempo e Turbolenza. Le Temperature devono essere abbastanza alte al fine di favorire la combustione completa ma non eccessivamente per evitare la fusione delle ceneri. La combustione delle polveri comunque necessita di un certo Tempo di permanenza nella zona a temperatura adeguata. Infine va garantito il mescolamento dell’aria esterna con i fumi. (Turbolenza) Le varie apparecchiature dai caminetti aperti, alle stufe in ceramica, alle stufe, ai caminetti chiusi o termocamini, le caldaia a caricamento manuale a ciocchi, le caldaie a pellet o a cippato, le caldaie a griglia mobile (cippato), a letto fluido (per materiale polverizzato) sono le varie tecnologie sviluppate per bruciare bene le biomasse. Le biomasse solide hanno un rilevante contenuto di metalli alcalino-­‐terrosi, quali potassio e calcio, e contenuti ridotti di tanti altri elementi. Questi metalli bruciando producono ossidi che costituiscono la base delle ceneri; le particelle più pesanti, aggregate per coalescenza ed iniziali fusioni, rimangono nella caldaia, mentre le particelle più piccole sono trascinate via dalle fiamme e se, non fermate da zone di calma o filtri, escono coi fumi. Le ceneri minerali possono inglobare particelle carboniose non completamente bruciate. Ceneri minerali ed incombusti costituiscono la base delle polveri emesse a caldo; esse sono misurate con la tradizionale tecnologia di aspirare parte del fumo su un disco di carta da filtro. Le polveri hanno anche un effetto secondario, come tutte le altre polveri, La combustione delle biomasse solide avviene per fasi, prima c’è l’essiccazione dell’acqua, poi per effetto della temperatura la loro struttura si decompone in sostanze gassose, poi si ha la 7 combustione del carbonio residuo. Le sostanze gassose (alcoli, aldeidi, chetoni, ossido di carbonio, ecc..) in larga parte bruciano con l’aria, globalmente molto in eccesso; la loro combustione è lenta e richiede temperature abbastanza alte per cui una certa parte possono non bruciare ed uscire coi fumi allo stato gassoso. Esse andranno poi ad associarsi alle polveri esistenti costituendo lo smog secondario con effetti anche mutagenici. Le tecnologie di combustione sono evolute in varie filiere in funzione del tipo di materiale bruciato, della taglia dell’impianto ed infine della funzione riscaldamento degli ambienti o riscaldamento di fluidi di processo. La presenza di elevati tenori di ceneri agisce in modo diverso nelle varie taglie, nei piccoli apparecchi ci si preoccupa sia dell’intasamento dei passaggi dei fumi, sia delle polveri trascinate all’esterno; nelle grandi caldaie ci si preoccupa della loro possibile fusione con intasamento della griglia e depositi aderenti sugli scambiatori. I caminetti aperti, alimentati a ciocchi, scaldano l’ambiente dove si trovano per irraggiamento delle fiamme, i rendimenti sono attorno al 10-­‐15% se l’aria è presa dall’esterno e non dal locale. Le stufe sono focolari chiusi, tipicamente in ceramica, che scaldano l’ambiente, ove si trovano, per convezione dalle loro superfici esterne, con rendimenti attorno al 40%. I termocamini sono focolari chiusi ma col fuoco visibile, alimentati manualmente a ciocchi, assimilabili ad una caldaia, con una circolazione forzata, ad acqua o ad aria, che distribuisce il calore in vari locali; il rendimento può arrivare attorno al 50%. Le caldaie da riscaldamento domestico, a caricamento manuale a ciocchi o meccanico da pellet o materiale sfuso, per taglie fino al centinaio di kW, hanno un crogiolo/bruciatore, un sistema di regolazione dell’aria primaria e di quella secondaria di combustione e uno scambiatore sui fumi raffreddato ad aria od acqua. Per taglie superiori si ha normalmente un caricamento meccanico (pellet o chips) su una griglia sulla quale avviene la combustione, una zona di refrattario alimentata da aria secondaria per la combustione dei prodotti di decomposizione della biomassa, eventualmente con riciclo dei fumi. Due differenze emergono subito tra le caldaie a biomassa rispetto alle caldaie a gas o gasolio. La prima riguarda la combustione che non si svolge completamente nella zona di primo miscelamento. Occorre prevedere, nell’architettura della caldaia a biomassa, una seconda zona, nella quale si abbia un efficace miscelamento fra i prodotti di decomposizione e nuova aria, chiamata secondaria, e un volume sufficiente per dar tempo alle reazioni di completarsi. Occorre infine predisporre pareti tutte calde, di refrattario, in modo che non vi siano punti ove i prodotti di decomposizione possano restare incombusti. Particolarmente efficaci sono le tipologie di caldaie a ciocchi a fiamma rovescia. La seconda differenza riguarda la regolazione della potenza, quando il termostato dell’ambiente da scaldare avverte che si deve interrompere o ridurre la fornitura di calore, se la caldaia è a caricamento meccanico, basta interrompere la portata di combustibile o ridurla ad un minimo e corrispondentemente, con un certo ritardo, si può interrompere o ridurre la portata di aria primaria, (la riaccensione utilizzerà uno starter incandescente). Se invece la caldaia è a caricamento manuale, il legno che rimane all’interno, per il calore delle porzioni ardenti, 8 continuerà a decomporsi ed i prodotti della decomposizione debbono essere bruciati altrimenti essi condenseranno nelle parti fredde, la fuliggine e si avrà emissione di incombusti nell’atmosfera. Sono disponibili due tecnologie per affrontare questo problema, una è incorporata nella caldaia ed è basata su un sensore di ossigeno che regola la portata della aria secondaria, secondo le necessità nelle varie fasi dell’esercizio, indipendentemente da quella primaria; una seconda è basata su una scelta impiantistica per cui, la caldaia opera sempre alla potenza nominale, mentre il calore non richiesto dall’edificio viene accumulato in un apposito serbatoio che ha funzione di polmone fra impianto ed edificio. Questa tecnologia è prevista da anni dalle norme, è vincolante per i finanziamenti del conto energia termico, ma finora raramente applicata in Italia. Per taglie maggiori le caldaie sono provviste di sensori di composizione dei fumi per la regolazione indipendente delle due diverse arie di combustione e di ventilatori per il riciclo dei fumi per la gestione delle variazioni di potenza. Sono state sviluppate tecnologie per la riduzione delle emissioni a valle della caldaia; per i caminetti, da decenni, negli USA, erano previsti catalizzatori per facilitare il completamento della combustione; in Europa, si è preferito puntare sullo sviluppo del controllo della combustione, per piccoli impianti sono proposti filtri elettrostatici, sostenuti anche dalla provincia di Trento. Per gli impianti di potenze superiori al MW sono ormai standard un primo abbattimento del particolato più grossolano con cicloni, seguito poi da filtri elettrostatici o filtri a manica. 5. Le metodologie di prova e la misurazioni delle emissioni La definizione della metodologia di prova delle emissioni era tradizionalmente legata alla misura dell’efficienza energetica, per cui in laboratorio anche le emissioni sono misurate a funzionamento costante. Queste prove, quindi, sono abbastanza significative se riferite alle caldaie industriali o delle grandi reti di teleriscaldamento accese e spente una sola volta l’anno ma sono poco rappresentative del comportamento delle caldaie domestiche che hanno un transitorio di accensione e spegnimento almeno ogni giorno, per di più spesso hanno un’alimentazione dell’aria esterna con interruttore tutto o niente (on/off). La normativa attuale sulla misurazione delle emissioni sta evolvendo (almeno nei laboratori per la qualificazione) da un sistema di misura di prelievo di fumo caldo su filtro, che trascurava i COV, ad un prelievo su fumo raffreddato in un sistema di diluizione tale da far condensare e raccogliere anche i vapori presenti. I sistemi tradizionali di misurazione delle particelle sono pensati per le grandi ciminiere, dove vengono effettuate negli interventi periodici dell’ASL, mentre non sono adatti per effettuare misure per gli impianti domestici per i quali si dispone solo di prove di laboratorio su prototipi di fabbricazione utilizzati con legna ben secca e con funzionamento a regime. Nell’attuazione del provvedimento d’incentivazione “Conto Energia Termico”, Decreto Ministeriale 28/12/2012 Tabella 11, si richiede un valore limite del particolato misurato o direttamente in 9 modo da tener conto dei vapori organici condensabili (COV) o indirettamente, aggiungendo alla misura tradizionale una quota derivata dalla misura del carbonio totale. 6. La gestione e la manutenzione Le caldaie di teleriscaldamento con potenza elevata (> 500 kW) sono gestite da personale addetto ed hanno strumenti online per il monitoraggio, il controllo e la regolazione della combustione (aria primaria, aria secondaria e riciclo dei fumi); inoltre bruciano un combustibile con delle proprietà abbastanza costanti. Negli impianti domestici è in genere un membro della famiglia che si occupa dell’apparecchio di riscaldamento, le cui prestazioni energetiche ed ambientali possono essere rappresentate da un tavolo a tre gambe; dipendono da quali biomasse sono effettivamente utilizzate, dallo stato effettivo di efficienza sia della caldaia che della canna fumaria e dalle modalità di conduzione effettiva. Per quanto riguarda la qualità della legna le indagini passate indicavano che almeno la metà dei 20 milioni di tonnellate ipotizzate erano auto raccolte con forte presenza di fascine e potature, prodotti entrambi con molte ceneri. L’attuale penetrazione nel mercato di pellet ha notevolmente migliorato la situazione ma non è noto quanto si tratti di nuovi utenti delle biomasse o di famiglie che hanno sostituito i vecchi impianti con uno più moderno. La gestione e la manutenzione delle caldaie industriali e delle reti di teleriscaldamento sono effettuate dagli addetti nei grandi impianti; nel settore domestico, invece, queste pratiche sono affidate alla persona che all’interno del nucleo familiare gestisce il riscaldamento. Il punto più critico delle emissioni è legato alla manutenzione della canna fumaria da cui derivano ogni anno sia migliaia di incendi di tetti e di morti per il riflusso nell’ambiente abitato di ossido di carbonio. Le nuove norme tedesche prevedono che lo spazzacamino incontri periodicamente e istruisca la persona della famiglia che gestisce l’impianto. Per quanto riguarda la modalità della conduzione effettiva molti impianti di teleriscaldamento hanno serbatoi di accumulo dell’acqua calda che permettono di regolarizzare il regime delle caldaie, mentre, nel settore residenziale, pur essendo previsto dalla norma EN 303/3 l’adozione del serbatoio è del tutto ignorata con frequenti accensioni e spegnimento dell’aria primaria al quale seguono fasi di emissioni di COV che vengono bruciati solo parzialmente. Prendendo a riferimento i dati forniti dall’ University of Applied Sciences di Lucerna, esperienze indicano che le emissioni di COV arrivano a 600 mg/MJ nei camini aperti e nelle vecchie caldaie, mentre scendono tra 4 e 6 mg/MJ nelle moderne caldaie automatiche. Le emissioni di polveri molto al di sopra dei 100 mg/MJ scendono a 50 mg/MJ nelle stufe a pellet moderno, e poi a 30 mg/MJ nelle caldaie con filtri. Maggiori dettagli sono forniti nell’Appendice Tecnica. 10 7. Benefici derivanti dalla gestione del bosco Lo sviluppo dell’impiego energetico delle biomasse, se basato correttamente sull’uso delle risorse locali e non sulle importazioni da Paesi lontani, rimette in moto le varie attività di gestione dei boschi e delle aree marginali (es. golene fluviali). In Italia, come nel resto d’Europa, i boschi sono fortemente cresciuti (20/30% in superficie) negli ultimi 50 anni, non solo perché non sono stati tagliati ma anche per la riforestazione naturale delle aree collinari abbandonate. L’abbandono della gestione dei boschi, ante guerra, utilizzati per la produzione di carbone di legna, causato anche dalla parcellizzazione della proprietà, ha portato ad un inconveniente ambientale e uno socio – economico. Da una parte si è avuto l’invecchiamento dei boschi, l’abbandono dei pendii più ripidi e delle strade forestali, dall’altra non ha reso possibile, alle poche aziende forestali sopravvissute, l’accesso alle tecnologie di esbosco con attrezzature più moderne e lo sviluppo di posti di lavoro più qualificati. I boschi invecchiati sono più attaccabili dai parassiti e dagli insetti e il sottobosco infestato impedisce la crescita di nuove piante. Nei pendii le piante molto pesanti finiscono per strappare blocchi di terreni con le loro radici innescando frane e dissesti. Intereventi di diradamento e di selezione senza danneggiare il manto erboso permettono il rafforzamento delle piante giovani e il rinnovo della massa legnosa. Ben diverso si presenta il paesaggio di quei Paesi dove la manutenzione dei boschi è una pratica obbligatoria a responsabilità dei Comuni, che la gestiscono equilibrando la valorizzazione paesaggistica con l’utilizzo del legname. Il rilancio delle forniture di legname a scopo energetico ha incentivato le coltivazioni di media rotazione (medium – short rotation) nei terreni di pianura non vocati alla coltivazione tradizionale. Da queste considerazioni deriva che un rilancio delle domanda della legna da ardere, se seguita e gestita in accordo con le autorità forestali, dà un contributo di forte miglioramento alla conservazione dell’ambiente in montagna e riduce i costi per il dissesto idrogeologico. 8. Benefici socio-­‐economici sul territorio Si è sempre detto che l’Italia è ricca di boschi poveri, perché di difficile accesso e con piante con forme irregolari. L’abbandono della coltura dei boschi ha portato alla sparizione dell’unica attività economica – produttiva della media montagna, che non può accedere né alle attività turistiche né alle attività industriali dei fondo valle. Anche le attività di segheria sono sopravvissute utilizzando quasi esclusivamente tronchi importati. L’esperienza degli ultimi dieci anni nelle aree alpine mostra che le imprese di teleriscaldamento hanno assicurato un mercato garantito della produzione di legno per uso energetico, a prezzi via via crescenti all’attivarsi del mercato; hanno rilanciato le aziende boschive esistenti. Queste hanno accresciuto il loro bagaglio di attrezzature per l’esbosco, hanno destinato alla cippatura le piante 11 malate e irregolari e tutte le ramaglie, facilitandone il trasporto, mentre hanno destinato al legname da opera le piante più adatte. La sola T.C.V.V.V. ha acquistato nella stagione 2011 2012 circa un milione e centomila euro di materiali da imprese boschive locali. Il fenomeno, lento e complesso, trattiene i giovani sul posto con occasioni di lavoro con ricadute positive sull’economia locale. Questo è un tema che interessa molto Regioni attente alla diversificazione delle produzioni agricole, in particolare la Lombardia ha sviluppato un consorzio distretto agro-­‐energetico della forestazione a taglio rapido e fluviale e della gestione dei boschi nelle zone montane, integrando così le attività di biogas nelle zone vocate all’allevamento. 9. Benefici per la riduzione dei gas climalteranti Le biomasse nella loro fase di combustione rilasciano la CO2 che hanno assorbito nella fase di crescita. L’esbosco e la cippatura assorbono una certa quota di energia fossile per le macchine impiegate per lo scopo. Più complesso è il problema del trasporto che è legato non tanto alla distanza ma al mezzo impiegato (per cui una nave che arrivi dal Canada è meno impattante dei chilometri da percorrere su autocarro tra il porto e la localizzazione della centrale). Da dati ISTAT risulta negli ultimi anni un’importazione di 3 milioni di tonnellate di biomassa legnosa per uso energetico, da confrontare con i 25 milioni tonnellate (BEN 2011) e le stime ben superiori. Di quest’importazione circa la metà è costituita da pellet, il resto prevalentemente da cippato per le grandi centrali elettriche, consumi per altro in calo dal 2009, perché al calare degli incentivi (i certificati verdi) gli impianti senza cogenerazione e senza filiera corta diventano economicamente sempre meno interessanti. Il materiale proveniente dalle segherie deriva generalmente da legname importato per gli usi da opera. Nel complesso i consumi energetici per esbosco, lavorazione sul posto, trasporti intermedi, pezzatura o cippatura, trasporti all’utente dei tronchi interi o già sminuzzati sono legati alla logistica dei cantieri di esbosco, della commercializzazione e all’organizzazione dell’utenza. Globalmente si può considerare che l’energia da biomassa legnosa sia pressoché rinnovabile, infatti, le stime indicano che meno del 10% della produzione di CO2 sia addebitabile al ciclo dell’uso della legna per riscaldamento. Gli usi termici delle biomasse legnose nell’applicazione di teleriscaldamento sono oggi incentivati attraverso il meccanismo dei certificati bianchi o titoli di efficienza energetica che valgono tra i 200 e i 250 € per TEP per 5 anni. Contributo che incide sul costo dell’energia finale ai consumatori in modo estremamente più limitato di quanto pesino al fotovoltaico e all’eolico. E’ in attuazione un programma denominato Conto Energia Termica (CET) che supporta gli impianti di taglia sotto i 500 kWt con obblighi di stretti vincoli ambientali. L’impiego di biomasse risulta quindi la soluzione delle rinnovabili economicamente più sostenibile. 12 Conclusioni Il documento ha presentato diversi aspetti dell’approvvigionamento e dell’impiego delle biomasse per usi termici. Le ricadute ambientali negative sulla qualità dell’atmosfera sono bene evidenti e costituiscono un problema per certi aspetti incancrenito per la mancanza di volontà e per la scarsa capacità operativa delle amministrazioni locali di far sostituire i milioni di impianti obsoleti esistenti. La grande quantità di impianti esistenti rende scarsamente efficace interventi legislativi forzatamente mirati solo alla qualità dei nuovi impianti. Il contrasto fra i milioni di impianti obsoleti e i nuovi impianti che rispettino le norme attuali rende senza senso un argomentazione che riguarda in maniera generica le biomasse per uso termico. E’ necessario che le Amministrazioni sviluppino delle campagne d’intervento per favorire il rinnovo del parco. Per quanto riguardo, invece, gli impianti oggi in esercizio, hanno normative sulle emissioni confrontabili con quelli dei grandi impianti a combustibili fossili di origine petrolifera. In particolare per quanto riguarda gli impianti di teleriscaldamento di taglia 10/20 MWt al servizio delle piccole città non metanizzate, essi sono pienamente rispondenti alle normative sulle emissioni, migliorano la qualità dell’aria perché sostituiscono migliaia di punti di combustione indipendenti e mai controllati e grazie alla possibilità di una stretta collaborazione tra la fornitura di legno locale e le aziende forestali locali favorisce lo sviluppo del territorio da un punto di vista di valorizzazione delle produzioni locali e della prevenzione del dissesto idrogeologico. La messa in esercizio del Conto di Energia Termico può essere un’occasione per gli enti locali per intraprendere una politica di rottamazione degli impianti obsoleti. 13 APPENDICE TECNICA Per affrontare un tema complesso quale quello delle emissioni legate all’uso delle biomasse solide, occorre analizzare separatamente e tecnicamente vari aspetti quali: • la dimensione del problema; • la tipologia di inquinanti; • le tecnologie di preparazione del combustibile; • le tecnologie di combustione; • le metodologie di prova; • la gestione e manutenzione. Per alcuni dei sopracitati temi si riportano contenuti maggiormente tecnica Tecnologie di combustione Le tecnologie di combustione sono evolute in varie filiere in funzione del tipo di materiale bruciato, della taglia dell’impianto ed infine della funzione riscaldamento degli ambienti o riscaldamento di fluidi di processo. La presenza di elevati tenori di ceneri agisce in modo diverso nelle varie taglie, nei piccoli apparecchi ci si preoccupa sia dell’intasamento dei passaggi dei fumi, sia delle polveri trascinate all’esterno; nelle grandi caldaie ci si preoccupa della loro possibile fusione con intasamento della griglia e depositi sugli scambiatori. I caminetti aperti, alimentati a ciocchi, scaldano l’ambiente dove si trovano per irraggiamento delle fiamme, i rendimenti sono attorno al 10-­‐15% se l’aria è presa dall’esterno e non dal locale. Le stufe sono focolari chiusi, tipicamente in ceramica, che scaldano l’ambiente, ove si trovano, per convezione dalle loro superfici esterne, con rendimenti attorno al 40%. I termocamini sono focolari chiusi ma col fuoco visibile e con chiusura apribile così da permettere la cottura alla brace, alimentati manualmente a ciocchi, assimilabili ad una caldaia, con una circolazione forzata, ad acqua o ad aria, che distribuisce il calore in vari locali; il rendimento può arrivare attorno al 50%. Le caldaie da riscaldamento domestico, a caricamento manuale a ciocchi o meccanico da pellet o materiale sfuso, per taglie fino al centinaio di kW, hanno un crogiolo/bruciatore, un sistema di regolazione dell’aria primaria e di quella secondaria di combustione, uno scambiatore sui fumi raffreddato ad aria od acqua. Nei modelli più recenti le regolazioni sono condotte da un processore per cui il gestore si limita a spingere il bottone di accensione. Per taglie superiori si ha normalmente un caricamento meccanico (pellet o chips) su una griglia sulla quale avviene la combustione, una zona di refrattario alimentata da aria secondaria per la combustione dei prodotti di decomposizione della biomassa, eventualmente con riciclo dei fumi. 14 Emergono subito due differenze delle caldaie a biomassa rispetto alle caldaie a gas o gasolio. La prima riguarda il completamento della combustione che non si svolge completamente nella zona di primo miscelamento, occorre prevedere, nell’architettura della caldaia, una seconda zona, nella quale si abbia un efficace miscelamento fra i prodotti di decomposizione e nuova aria, chiamata secondaria, un volume sufficiente per dar tempo alle reazioni di completarsi, infine con pareti tutte calde, di refrattario, in modo che non vi siano punti ove i prodotti di decomposizione possano raffreddarsi e restare incombusti. Particolarmente efficaci sono le tipologie di caldaie a ciocchi a fiamma rovescia. La seconda differenza riguarda la regolazione della potenza, quando il termostato dell’ambiente da scaldare avverte che si deve interromper o ridurre la fornitura di calore, se la caldaia è a caricamento meccanico, basta interrompere la portata di combustibile o ridurla ad un minimo e corrispondentemente, con un certo ritardo, si può interrompere o ridurre la portata di aria primaria, (la riaccensione utilizzerà uno starter incandescente). Se invece la caldaia è a caricamento manuale, il legno che rimane all’interno, per il calore delle porzioni ardenti, continuerà a decomporsi ed i prodotti della decomposizione debbono essere bruciati altrimenti essi condenseranno nelle parti fredde, la fuliggine e si avrà emissione di incombusti nell’atmosfera; sono disponibili due tecnologie per affrontare questo problema, una è incorporato nella caldaia ed è basata su un sensore di ossigeno che regola la portata della aria secondaria, secondo le necessità nelle varie fasi dell’esercizio, indipendentemente da quella primaria; una seconda è basata su una scelta impiantistica per cui, la caldaia opera sempre alla potenza nominale, mentre il calore non richiesto dall’edificio viene accumulato in un apposito serbatoio che ha funzione di polmone fra impianto ed edificio. Questa tecnologia è prevista da anni dalle norme, è vincolante per i finanziamenti del conto energia termico, ma finora raramente applicata in Italia. Per taglie maggiori le caldaie sono previste di sensori di composizione dei fumi per la regolazione indipendente delle due diverse arie di combustione e del riciclo dei fumi, per la gestione mediante processore delle variazioni di potenza. Sono state sviluppate tecnologie per la riduzione delle emissioni a valle della caldaia; per i caminetti, da decenni, negli USA erano previsti catalizzatori per facilitare il completamento della combustione; in Europa, si è preferito puntare sullo sviluppo del controllo della combustione, per piccoli impianti sono proposti filtri elettrostatici, sostenuti anche dalla provincia di Trento. Per gli impianti di potenze superiori al MW, sono ormai standard un primo abbattimento del particolato più grossolano con cicloni, seguito poi da filtri elettrostatici o filtri a manica. Le metodologie di prova L’attenzione delle norme italiane e dei nostri fabbricanti è ancora concentrata sui rendimenti e non sulle emissioni. Le prove sono concentrate sul funzionamento nominale a regime costante e non su un ciclo di utilizzo che sia rappresentativo di come poi l’utilizzatore medio impiega gli apparecchi. Nella pratica i rendimenti sono ridotti e le emissioni aumentate quando si tiene conto 15 anche delle fasi di accensione e spegnimento, molto lunghe, durante le quali il calore è dissipato. Per attivare interventi, forzatamente drastici e costosi verso i cittadini che hanno finora visto la legna come un modo per risparmiare, che i cittadini possano percepire a loro favore, sarà necessario un realistico bagno nella realtà delle periferie italiane e partire da lì. La prova delle emissioni era finora svolta con il prelievo del fumo caldo, isocinetico per non perdere le particelle pesanti mentre l’attenzione alle polveri sottili prevede metodologie del tutto diverse, tese a catturare e misurare gli incombusti gassosi promuoventi lo smog secondario. Si propone di prelevare il fumo, diluirlo con aria fredda in un tubo lungo 9 metri e misurare il particolato raccolto alla fine. Questa è una misura da laboratorio, ottima per lo sviluppo di nuovi apparecchi, non è certo pensabile di impiegarla per controllare gli apparecchi esistenti, apparecchi sui quali non sono mai state effettuate campagne di misura, col sistema tradizionale, sia per il costo, ben diverso dal costo del controllo sulle caldaie a gas, sia perche gli impianti non sono predisposti per l’accesso delle sonde. Allora occorrerà individuare dei criteri di controllo più applicabili e più accettati dai cittadini, sui quali basare un realistico programma di rottamazione degli impianti esistenti ed una crescita culturale degli operatori del settore impiantistico e dei consumatori. La gestione e la manutenzione Le prestazioni energetiche ed ambientali di un impianto di combustione di biomassa solida possono essere rappresenta da un tavolo a tre gambe. Dipendono da tre fattori fondamentali: • biomasse effettivamente utilizzate; • stato effettivo di efficienza della caldaia e della canna fumaria; • modalità effettiva di conduzione. Senza una diversificata e costosa campagna di misure e monitoraggio su cosa succede presso i consumatori non è possibile impostare un programma realistico di miglioramento della situazione attuale. La natura non fa salti, tanto meno lo fanno le persone ed ancor meno le strutture amministrative e di controllo. 1. Qualità della biomassa: I laboratori di prova delle aziende di caldareria fanno arrivare, per le loro prove, tir dalla Svezia con legno di faggio essiccato, quasi senza scorza. Il cittadino italiano se compra legna dai depositi acquista quercia o leccio con due centimetri di scorza che si trasformerà in ceneri. Se usa le sue potature o si auto-­‐approvvigiona nei boschi avrà legni di ogni tipo, con parti tarlate o marce ed anche i rametti, legati a fascina (le fascine con forte rapporto superficie/volume bruciano tutte insieme), con rapporti fra aria primaria e bisogni di secondaria diversi che bruciando ciocchi . Nelle 16 case isolate di campagna il camino sempre acceso rischia di esser visto come un comodo inceneritore di rifiuti, come indicano le misure in provincia di Trento. Indubbiamente l’introduzione del pellet ha molti aspetti positivi; l’Italia è il maggior mercato europeo, da noi si compra a sacchetti sigillati, con piccolo deposito magari all’aperto ed alla pioggia, mentre nei Paesi tedeschi si compra all’ingrosso con deposito interrato. Il pellet non costa molto di più della legna da ardere a parità di potere calorifico (probabilmente è un effetto della logistica molto più efficiente), gli apparecchi costano poco, sono costruiti in Italia e garantiscono rendimenti, pulizia e sicurezza. Ogni indirizzo per produrre pellet in Italia dovrebbe essere benvenuto. E’ necessaria un’organizzazione diversa che negli altri Paesi, da noi mancano le grandissime segherie lungo i fiumi dell’Est, ma ogni attività per creare mercato per il legno dei nostri boschi è da incentivare. Si può produrre un pellet forestale, meno bello e più scuro di quello importato ma molto più appetibile della legna da ardere? sarà possibile creare dei centri di lavorazione della legna di terzi in cambio di pellet? Bisogna cominciare a pensare ad una incentivazione che superi il conto energia e che promuova la disponibilità di biomasse nazionali con vantaggi occupazionali ed ambientali molto rilevanti, piuttosto che incentivare i consumatori che già hanno il vantaggio della bassa fiscalità e che poi, cercando il prezzo più basso, finiscono per fare importare biomasse da Paesi più vocati alla loro produzione raccolta. 2. Stato effettivo di efficienza degli impianti Misurare la qualità degli apparecchi nelle condizioni di uso è difficile e costoso; imporlo per legge è velleitario e alla fine diseducativo per la mancata applicazione. Come proposto dal CTI dal 2002, i prodotti in commercio andrebbero provati in laboratorio in condizioni ben rappresentative di quelle delle varie tipologie d’utenza. I controlli sul campo debbono essere realisti ma effettivi, riguardare la presenza di apparecchi non qualificati, l’impiantistica per gli aspetti prima accennati del serbatoio polmone o della sonda dell’ossigeno, poi la pulizia della canna fumaria. Lo schema dello spazzacamino comunale della provincia di Bolzano, andrebbe esteso, conservando la qualità senza creare situazioni vessatorie. Ad una serie di interventi e di controlli ambientali, deve però essere attivo un verificatore che si sporca le mani e non un ignorante in giacca e cravatta. La Regione Lombardia ha vietato l’attivazioni degli impianti di riscaldamento, al di sotto dei 300 metri di quota, con informazioni basate sulla estrapolazione di dati di letteratura, ma non si conoscono dati di misure sul campo, né si promuovono soluzioni efficienti come fatto in Piemonte. 3. L’esercizio e la manutenzione Negli impianti a pellet il gestore dell’esercizio può limitarsi alla regolazione della potenza e dell’eccesso d’aria, secondo le effettive necessità, riducendo così il trascinamento di polveri. Negli impianti a caricamento manuale il ruolo del gestore rimane fondamentale, è lui che pulisce la caldaia ogni giorno, scaricandone la cenere. Controlla che gli ingressi dell’aria secondaria non siano intasati, almeno settimanalmente pulisce le superfici dello scambiatore, almeno mensilmente toglie la cenere fine dalla cassa dei fumi, sceglie la legna da caricare nelle varie fasi, 17 quale alla partenza, dispone i cicchi paralleli, limitando i meati liberi. Nelle ultime norme tedesche è espressamente indicato che l’incaricato dei controlli debba incontrare e parlare periodicamente con la persona alla quale è affidata l’operazione della caldaia. La manutenzione è un altro aspetto importante, per effetto delle temperature i refrattari si corrodono, le parti metalliche si corrodono e soprattutto si infragiliscono e si deformano per cui vanno periodicamente sostituite. Le canne fumarie sono parte essenziale dell’impianto termico, nella fase di avvio esse sono fredde per cui gli incombusti gassosi possono condensare sulla loro superficie (la fuliggine facile a prender fuoco) mentre ceneri possono accumulare nelle curve e nei tratti orizzontali. Le norme altoatesine prevedono più pulizie annuali alle canne fumarie delle abitazioni, si tratta di norme molto vecchie (1966) la cui motivazione iniziale era di sicurezza antincendio, non ambientale; nel resto di Italia queste pulizie sono in genere pluriennali, non programmate ma a chiamata per problemi emersi. La canna fumaria fa parte del’edificio per cui il manutentore della società costruttrice della caldaia non se ne occupa, ove esiste lo spazzacamino comunale questi può avere tendenza ad entrare nella regolazione della caldaia, tema di competenza della ditta fornitrice. 18