Nella biografia di Fedro tutto è incerto: la patria, la condizione
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Nella biografia di Fedro tutto è incerto: la patria, la condizione
FEDRO Nella biografia di Fedro tutto è incerto: la patria, la condizione sociale, le vicende della vita. Le scarne notizie che abbiamo su di lui si ricavano per lo più da allusioni presenti nelle sue opere, specialmente nei prologhi e negli epiloghi dei libri delle Fabulae, talora di non facile interpretazione. Fedro stesso afferma di essere nato sul monte Pierio, luogo di nascita delle Muse, che a quel tempo faceva parte della Macedonia; però sembra anche alludere come sua patria alla Tracia, vantata come terra di poeti. L’anno della nascita viene generalmente indicato intorno al 15 a.C. Di condizione servile, fu portato a Roma in giovanissima età, ma non sappiamo donde gli fosse venuta la condizione di schiavo e per quali casi fosse giunto a Roma. Fu schiavo e poi liberto di Augusto (27 a.C.-14 d.C.), come indica il titolo della sua opera nel codice principale: Phaedri Augusti liberti liber fabularum, «Libro delle favole di Fedro, liberto di Augusto» (altri codici invece riportano il titolo: Phaedri Augusti liberti Fabulae Aesopiae, «Favole esopiche di Fedro, liberto di Augusto»). Probabilmente esercitava l’incarico di precettore, che continuò anche durante il principato di Tiberio (14-37). Sotto questo imperatore però fu perseguitato da Seiano, il potentissimo prefetto del pretorio che Fedro aveva messo in ridicolo nei suoi scritti, sottolineandone la perfidia e la vanagloria. Nelle favole giunte a noi non ne vediamo alcuna veramente notevole per acredine ed evidenza di allusione personale: forse le favole incriminate furono soppresse dall’autore, o non entrarono a far parte della raccolta che ci è rimasta. Fedro comunque fu condannato in un processo in cui, come dice nel proemio del III libro, Seiano era stato accusatore, testimone e giudice (probabilmente era solo l’accusatore, ma con testimoni e giudice ligi al suo volere); ebbe a subire umiliazioni e forse anche la povertà, ma dopo la caduta in disgrazia e la condanna a morte di Seiano, avvenuta nel 31, poté continuare a scrivere indisturbato i rimanenti anni del principato di Tiberio e poi sotto Caligola (37-41) e Claudio (41-54), all’epoca del quale viene datata la sua morte, verso la metà del I secolo. Fedro è il grande favolista della tradizione romana: scrisse 5 libri di Fabulae, ma di tanta produzione ce ne sono pervenute soltanto 93, oltre a 32 contenute in un manoscritto dell’umanista Niccolò Perotti (sec. XV), scoperto nell’Ottocento e dette quindi Appendix Perottina; alcune raccolte medievali, inoltre, gli attribuiscono un’altra quarantina di favole in prosa. Formatosi sulla tradizione e su rifacimenti di Esopo, Fedro ben presto acquistò indipendenza e originalità rielaborando in modo personale alcune favole o traendo ispirazione per crearne di nuove, arricchendole di significati politici e di allusioni sociali, ma soprattutto dando ai testi dignità letteraria attraverso una veste poetica: infatti le Fabulae sono in versi senari giambici, un metro che ha una cadenza vicina al linguaggio parlato. Nel prologo del primo libro l’autore indica lo scopo del suo lavoro, che oltre a rallegrare deve fornire un utile insegnamento per la vita: Duplex libelli dos est: quod risum movet // et quod prudenti vitam consilio monet. (I, Prologo, 3-4) «Due sono i pregi di questo libretto: e cioè che fa ridere e che insegna a vivere con saggi consigli». I protagonisti delle favole sono svariati; si tratta però per lo più di animali, attraverso le cui voci e ragionamenti l’autore dà un giudizio sulle vicende della vita ed esprime il proprio impegno morale per il miglioramento dell’individuo e della società. E così in Fedro troviamo lupi prepotenti che rimangono impuniti, agnelli timidi ed esposti alla violenza, volpi astute e sagge, cani fedeli o sciocchi, rane invidiose, asini filosofi e rassegnati alle bastonate o superbi e vili, corvi vanitosi e così via, i quali altro non riflettono che il più vasto spettacolo del mondo degli uomini rappresentando altrettanti tipi umani, con i loro vizi e i loro difetti. Ne deriva un’allegoria della vita umana, osservata dal punto di vista del popolo e delle classi inferiori in cui – e ricordiamo che l’autore ne aveva esperienza diretta – i deboli, gli oppressi, gli umili hanno sempre la peggio e il più delle volte non hanno scampo, mentre i potenti, i ricchi, gli oppressori regolarmente trionfano. Una difesa contro le prepotenze appare possibile soltanto se si seguono alcune regole di prudenza, non fidandosi troppo degli altri e facendo uso della propria ragione con intelligenza, persino anche con astuzia. L’opera è comunque pervasa da una grande malinconia, se non anche da un sostanziale pessimismo, derivato dalla profonda conoscenza dell’animo umano e della realtà. Per la schiettezza e semplicità dell’espressione, lo stile puro, la lingua, nella sua semplicità, tersa e incisiva, i dialoghi di grande efficacia nel rapido incalzare delle battute, ma soprattutto per l’elevato contenuto morale, che trascende i tempi, l’opera di Fedro godette di grande fortuna presso i posteri alimentando, attraverso i rifacimenti e le imitazioni medievali, gran parte della favolistica didascalica posteriore; ricordiamo in particolare il francese Jean de La Fontaine, vissuto dal 1621 al 1695. Riportiamo qui di seguito alcune favole di Fedro; per un opportuno confronto, aggiungiamo l’elaborazione in francese di La Fontaine, con la traduzione in inglese e la resa poetica di Emilio De Marchi (1851-1901). V. anche le letture: La favola nella letteratura greca. La favola nella letteratura latina: Fedro. 1. Il lupo e l’agnello Un lupo, fermamente intenzionato a divorare un agnello, gli muove delle accuse che invano quello dimostra infondate: i prepotenti trovano sempre un pretesto per opprimere i più deboli e per trovare una giustificazione alle loro sopraffazioni. Ad rivum eundem lupus et agnus venĕrant, siti compulsi; superior stabat lupus, longēque inferior1 agnus. Tunc fauce imprŏbā latro incitatus2 iurgii causam intŭlit. «Cur», inquit, «turbulentam fecisti mihi 5 aquam bibenti?». Lanĭger contra timens: «Qui3 possum, quaeso,4 facere quod querĕris,5 lupe? A te decurrit ad meos haustus6 liquor». Repulsus ille veritatis viribus: 10 «Ante hos sex menses7 male», ait, «dixisti mihi».8 Respondit agnus: «Equĭdem9 natus non eram». «Pater hercle10 tuus», ille inquit, «male dixit mihi». Atque ita correptum lacĕrat iniusta nece.11 Haec propter illos scripta est homines fabula,12 15 qui fictis causis innocentes opprĭmunt. Fedro, I, 1 1 superior... longēque inferior: «più in alto... e di gran lunga più in basso»; propriamente, superior e inferior sono degli aggettivi; osserva l’uso del comparativo, fra due elementi; osserva, inoltre, l’avverbio longe usato per rafforzare il comparativo. 2 fauce imprŏbā latro incitatus: «quel ladrone, spinto dalla gola malvagia». 3 Qui: ablativo arcaico che sta per quomŏdo, interrogativo: «come», «in che modo». 4 quaeso: «di grazia»; è una forma verbale usata come formula di cortesia; analogamente, in italiano abbiamo prego (dal verbo pregare), in francese s’il vous plaît (verbo plaire), in spagnolo por favor (v. favorecer), in inglese please (v. please), in tedesco bitte (v. bitten). 5 quod querĕris: «ciò di cui ti lamenti». 6 ad meos haustus: «alla mia bocca»; propriamente, «ai miei sorsi». 7 Ante hos sex menses: «Prima di questi sei mesi», cioè «Sei mesi fa». 8 male... dixisti mihi: «hai parlato male di me»; in latino male dicere (o maledicere) regge il dativo. 9 Equĭdem: composto di e, prefisso intensivo e quidem, si usa per lo più col verbo alla prima persona singolare, con le altre persone si usa la forma semplice quidem. 10 hercle: «per Ercole!»; è un’interiezione (forma sincopata da hercule), in questo caso indica la stizza del lupo per le argomentazioni dell’agnello che dimostrano infondate le sue accuse; nessuna argomentazione, però, varrà a impedirgli di mettere in atto la prepotenza. 11 correptum lacĕrat iniusta nece: correptum è un participio congiunto: «sbrana l’agnello (dopo averlo) afferrato...», oppure rendi con due coordinate: corrĭpit et lacĕrat...: «afferra (l’agnello) e lo sbrana con un’ingiusta morte». 12 Haec... fabula: ordina: Haec fabula scripta est propter illos homines. V. anche la lettura: La favola nella letteratura latina: Fedro. Ecco la resa in francese di La Fontaine, con la traduzione in inglese. Le Loup et l’Agneau La raison du plus fort est toujours la meilleure: nous l’allons montrer tout à l’heure. Un Agneau se désaltérait dans le courant d’une onde pure. Un Loup survient à jeun qui cherchait aventure, et que la faim en ces lieux attirait. «Qui te rend si hardi de troubler mon breuvage?», dit cet animal plein de rage: «tu seras châtié de ta témérité». «Sire», répond l’Agneau, «que votre Majesté ne se mette pas en colère; mais plutôt qu’elle considère que je me vas désaltérant dans le courant, plus de vingt pas au-dessous d’Elle, et que par conséquent, en aucune façon, je ne puis troubler sa boisson». «Tu la troubles», reprit cette bête cruelle, «et je sais que de moi tu médis l’an passé». «Comment l’aurais-je fait si je n’étais pas né?», reprit l’Agneau, «je tette encor ma mère». «Si ce n’est toi, c’est donc ton frère». «Je n’en ai point». «C’est donc quelqu’un des tiens: car vous ne m’épargnez guère, vous, vos bergers, et vos chiens. On me l’a dit: il faut que je me venge». Là-dessus, au fond des forêts le Loup l’emporte, et puis le mange, sans autre forme de procès. La Fontaine The Wolf and the Lamb The strongest is always right: we will prove it shortly. A Lamb was quenching it’s thirst in a clear stream; a starving Wolf suddently appears, looking for a meal, brought here by hunger. «How dare you foul my water hole?», said the Wolf full of righteous fury: «you will be chastised for you temerity». «Sire», replies the Lamb, «Your Majesty need not be angry; but rather consider that I am drinking more than twenty feet downstream from him; therefore in no way could I spoil his water». «Oh, yes you do», growled the cruel beast; «and I heard that you spoke ill of me last year». «How could I, if I were not yet born?», the Lamb persisted, «I am still nursing». «If it were not you, then it must have been your brother». «I don’t have any». «Then it was one of your lot; because you are always pestering me, you, your shepherds and your dogs. So I have been told: I must avenge myself». With that, deep in the forest, the Wolf carried off the Lamb, and ate it, without further ado. Ed ecco il testo di La Fontaine nella traduzione poetica di Emilio De Marchi. Il Lupo e l’Agnello La favola che segue è una lezione che il forte ha sempre la miglior ragione. Un dì nell’acqua chiara d’un ruscello bevea cheto un Agnello, quand’ecco sbuca un Lupo maledetto, che non mangiava forse da tre dì, che pien di rabbia grida: «E chi ti ha detto d’intorbidar la fonte mia così? Aspetta, temerario!». «Maestà», a lui risponde il povero innocente, «s’ella guarda, di subito vedrà ch’io mi bagno più sotto la sorgente d’un tratto, e che non posso l’acque chiare della regal sua fonte intorbidare». «Io dico che l’intorbidi», arrabbiato risponde il Lupo digrignando i denti, «e già l’anno passato hai sparlato di me». «Non si può dire, perché non era nato, ancora io succhio la mammella, o Sire». «Ebbene sarà stato un tuo fratello». «E come, Maestà? Non ho fratelli, il giuro in verità». «Queste son ciarle. È sempre uno di voi che mi fa sfregio, è un pezzo che lo so. Di voi, dei vostri cani e dei pastori vendetta piglierò». Così dicendo, in mezzo alla foresta portato il meschinello, senza processo fecegli la festa. E. De Marchi 2. La volpe e il corvo Una volpe, vedendo un corvo con un pezzo di formaggio nel becco, riesce a portarglielo via ricorrendo a una smaccata adulazione: i vanitosi si lasciano ingannare facilmente da scaltri adulatori, che approfittano di questa loro debolezza per raggiungere i loro scopi. Qui se laudari gaudet verbis subdŏlis, fere1 dat poenas2 turpi paenitentiā.3 Cum de fenestra corvus raptum caseum comesse vellet,4 celsa resĭdens5 arbore, vulpes hunc vidit, deinde sic coepit loqui: 5 «O qui tuarum, corve, pennarum est nitor!6 Quantum decōris corpore et vultu geris!7 Si vocem haberes, nulla prior ales foret».8 At ille stultus,9 dum vult10 vocem ostendere, emisit ore caseum, quem celerĭter 10 dolosa vulpes avidis rapuit dentibus.11 Tunc demum ingemuit corvi deceptus stupor.12 Hac re probatur quantum ingenium valet;13 virtute semper praevălet sapientiă. Fedro, I, 13 1 fere: avverbio: «in genere», «per lo più». 2 dat poenas: «paga il fio», «sconta la punizione». 3 turpi paenitentiā: «con pentimento accompagnato da scorno». 4 Cum de fenestra... vellet: ordina: Cum corvus vellet comesse (forma atematica da comĕdo, «mangiare») caseum («un pezzo di formaggio») raptum («che aveva rapito», lett. «rapito») de fenestra («da una finestra»). 5 resĭdens: «standosene appollaiato». 6 O qui... est nitor!: «O corvo, qual è lo splendore...!». 7 Quantum... geris: «Quanta bellezza mostri...»; lett. «quanto di bellezza», genitivo di quantità. 8 Si vocem... foret: «Se avessi la voce, nessun alato sarebbe superiore (a te)»; è un periodo ipotetico del terzo tipo, o dell’irrealtà, cioè indica che la volpe finge di ritenere il corvo assolutamente privo di voce, per indurlo così a farla sentire; la forma foret equivale a esset. 9 ille stultus: «quello stolto», o anche: «quello, da stolto». 10 dum vult: «mentre voleva»; è il presente storico retto da dum. 11 avidis rapuit dentibus: in verità avida è la volpe, non i denti; questo scambio di riferimento dell’aggettivo si dice ipàllage. 12 corvi deceptus stupor: «lo stupido corvo ingannato», lett. «la stupidità ingannata del corvo»; anche qui, osserva che deceptus andrebbe riferito al corvo, non a stupor (ipàllage). 13 quantum… valet: è una proposizione interrogativa indiretta, che di norma richiede il congiuntivo (valeat). Gli ultimi due versi però probabilmente non sono di Fedro, la morale è già stata data all’inizio. V. anche la lettura: La favola nella letteratura latina: Fedro. Ecco la resa in francese di La Fontaine, con a fianco la traduzione in inglese. Le Corbeau et le Renard Maître Corbeau, sur un arbre perché, tenait en son bec un fromage. The Crow and the Fox Master Crow perched on a tree, was holding a cheese in his beak. Maître Renard, par l’odeur alléché, lui tint à peu près ce langage: «Hé! bonjour, Monsieur du Corbeau. Que vous êtes joli! que vous me semblez beau! Sans mentir, si votre ramage se rapporte à votre plumage, vous êtes le Phénix des hôtes de ces bois». A ces mots le Corbeau ne se sent pas de joie; et pour montrer sa belle voix, il ouvre un large bec, laisse tomber sa proie. Le Renard s’en saisit, et dit: «Mon bon Monsieur, apprenez que tout flatteur vit aux dépens de celui qui l’écoute: Cette leçon vaut bien un fromage, sans doute». Le Corbeau, honteux et confus, jura, mais un peu tard, qu’on ne l’y prendrait plus. La Fontaine Master Fox attracted by the smell said something like this: «Well, Hello Mister Crow! How beautiful you are! how nice you seem to me! Really, if your voice is like your plumage, you are the phoenix of all the inhabitants of these woods». At these words, the Crow is overjoyed; and in order to show off his beautiful voice, he opens his beak wide, lets his prey fall. The Fox grabs it, and says: «My good man, learn that every flatterer lives at the expense of the one who listens to him. This lesson, without doubt, is well worth a cheese». The Crow, ashamed and embarrassed, swore, but a little late, that he would not be taken again. Ed ecco il testo di La Fontaine nella traduzione poetica di Emilio De Marchi. Il Corvo e la Volpe Sen stava messer Corvo sopra un albero con un bel pezzo di formaggio in becco, quando la Volpe tratta al dolce lecco di quel boccon a dirgli cominciò: «Salve, messer del Corvo, io non conosco uccel di voi più vago in tutto il bosco. Se è ver quel che si dice che il vostro canto è bel come son belle queste penne, voi siete una Fenice». A questo dir non sta più nella pelle il Corvo vanitoso: e volendo alla Volpe dare un saggio del suo canto famoso, spalanca il becco e uscir lascia il formaggio. La Volpe il piglia e dice: «Ecco, mio caro, chi dell’adulator paga le spese. Fanne tuo pro’ che forse la mia lezione vale il tuo formaggio». Il Corvo sciocco intese e (un po’ tardi) giurò d’esser più saggio. E. De Marchi 3. La rana e il bue Una rana, vedendo un bue, prova invidia per la sua mole imponente: perciò si gonfia per superarlo, ma perisce miseramente; bisogna saper accettare i propri limiti! Inops, potentem1 dum vult2 imitari, perit. In prato quondam rana conspexit bovem et tactă invidiā tantae magnitudinis3 rugosam inflavit pellem:4 tum natos suos 5 interrogavit, an5 bove esset latior. Illi negarunt.6 Rursus intendit7 cutem maiore nisu et simili quaesivit modo, quis maior esset.8 Illi dixerunt bovem.9 10 Novissime indignata, dum vult validius inflare sese,10 rupto iacuit corpore. Fedro, I, 24 1 Inops, potentem: osserva la finezza dell’accostamento debole-potente, che ci richiama l’immagine manzoniana del “vaso di terra cotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro”. 2 dum vult: in questo caso dum è usato in un contesto di presente, per cui va reso col presente indicativo anche in italiano. 3 tantae magnitudinis: è genitivo oggettivo, in quanto costituisce l’oggetto del verbo in cui si può trasformare il nome da cui dipende: invidia «di così enorme grossezza» > invidiava “così enorme grossezza”. 4 rugosam… pellem: vien da pensare che, tese per bene le grinze, questa pelle forse potrebbe superare le dimensioni del bue. 5 an: «se»; introduce l’interrogativa indiretta che lascia la risposta incerta, di norma introdotta dalla particella enclitica -ne. 6 negarunt: forma sincopata per negaverunt: «negarono», cioè «dissero di no». 7 intendit: la forma può essere presente o perfetto indicativo: in questo caso è perfetto, come il quaesivit della coordinata che segue. 8 quis maior esset: «chi fosse il più grosso (dei due)», interrogativa indiretta; nel confronto fra due, qui indicato dal comparativo, di norma invece di quis si usa uter. 9 bovem: «il bue»; propriamente è una proposizione ellittica del predicato, corrisponde a maiorem esse bovem: «che il più grosso era il bue». 10 dum vult validius inflare sese: qui il dum col presente indicativo è usato in un contesto di passato (presente storico), reso in italiano con «mentre» e l’imperfetto: «mentre voleva gonfiarsi più fortemente»; sese è la forma raddoppiata del pronome personale di terza persona riflessivo: nello sforzo... sembra essersi gonfiato anche il se! V. anche la lettura: La favola nella letteratura latina: Fedro. Ecco la resa in francese di La Fontaine, con a fianco la traduzione in inglese. La Grenouille qui veut se faire aussi grosse que le Boeuf Une Grenouille vit un Boeuf qui lui sembla de belle taille. Elle, qui n’était pas grosse en tout comme un oeuf, envieuse, s’étend, et s’enfle, et se travaille, pour égaler l’animal en grosseur, disant: «Regardez bien, ma soeur; est-ce assez? dites-moi; n’y suis-je point encore?». «Nenni». «M’y voici donc?». «Point du tout». «M’y voilà?». «Vous n’en approchez point». La chétive pécore s’enfla si bien qu’elle creva. Le monde est plein de gens qui ne sont pas plus sages: tout bourgeois veut bâtir comme les grands seigneurs, tout petit prince a des ambassadeurs, tout marquis veut avoir des pages. The Frog who Aspired to Become as Big as the Ox A Frog espied an Ox that seemed to her of a noble size. She, no bigger than an egg, envious, stretches, puffs up and labours to match the animal in size, saying: «Hey watch me sister; is this enough? tell me; am I there yet?». «No way!». «How about now?». «Not at all». «Is that it?». «You aren’t even close». The puny, pretentious creature swelled up so much that she croaked. The world is full of people who aren’t too wise: people with some money wish to build like royalty, every minor prince has ambassadors, every marquis wants servants. La Fontaine Ed ecco il testo di La Fontaine nella traduzione poetica di Emilio De Marchi. La Rana e il Bove Grande non più d’un ovo di gallina vedendo il Bove e bello e grasso e grosso, una Rana si gonfia a più non posso per non esser del Bove più piccina. «Guardami adesso», esclama in aria tronfia, «son ben grossa?». «Non basta, o vecchia amica». E la rana si gonfia e gonfia e gonfia infin che scoppia come una vescica. Borghesi, ch’è più il fumo che l’arrosto, signori ambiziosi e senza testa, o gente a cui ripugna stare a posto, quante sono le rane come questa! E. De Marchi 4. La volpe e la cicogna Una volpe invita a cena una cicogna e le offre un brodino in un piatto; la cicogna le rende la pariglia servendole del cibo sminuzzato in un fiasco: chi la fa, dice il proverbio, l’aspetti! Nulli nocendum:1 si quis2 vero laesĕrit, multandum simili iure fabella admŏnet.3 Vulpes ad cenam dicitur ciconiam prior invitasse4 et illi in patina liquidam 5 posuisse sorbitionem,5 quam nullo modo gustare esuriens potuĕrit ciconia.6 Quae vulpem cum revocasset,7 intrito cibo plenam lagonam posuit:8 huic rostrum insĕrens satiatur ipsa et torquet convivam9 fame. 10 Quae cum lagonae collum frustra lambĕret, peregrinam sic locutam volŭcrem accepĭmus:10 «Sua quisque11 exempla debet aequo animo pati».12 Fedro, I, 26 1 Nulli nocendum: sott. est, perifrastica passiva impersonale; nulli, qui con valore di pronome, è il dativo retto dal verbo noceo, non dativo d’agente: «Non si deve far del male a nessuno». 2 si quis: osserva la forma del pronome semplice quis, invece di aliquis, con la congiunzione si. 3 Multandum… admŏnet: ordina e completa: (Haec) fabella admŏnet (eum) multandum (esse) simili iure; eum multandum esse è una perifrastica passiva subordinata all’infinito; simili iure è complemento di modo; perciò: «che deve essere punito allo stesso modo», «che deve essere ripagato con la stessa moneta»; in pratica, il principio dell’“occhio per occhio, dente per dente”. 4 Vulpes… invitasse: ordina: Dicitur vulpes invitasse prior ad cenam ciconiam; osserva la forma personale, cioè col nominativo + infinito, invece dell’accusativo, che si ha con i verbi dicor, feror, trador ecc. nelle forme del presente e derivate; osserva anche il comparativo prior («per prima»), perché si stabilisce il confronto fra due; invitasse è una forma sincopata per invitavisse. 5 liquidam… sorbitionem: di per sé sorbitio significa già «bevanda», «brodo»; per giunta è detta anche liquida, cioè molto fluida; la volpe, cioè, ce l’ha messa tutta per impedire alla cicogna di gustarsi quella leccornìa. 6 quam nullo… ciconia: ordina: quam ciconia, quamvis esuriens, (non) potuĕrit gustare nullo modo; quam... (non) potuĕrit è una proposizione relativa con valore consecutivo; nella traduzione si aggiunge una negazione, che anticipa quella espressa da nullo modo. 7 Quae… revocasset: quae è nesso relativo, rendi con una congiunzione e un determinativo: sed ea (analogamente, al v. 10); revocasset è una forma sincopata per revocavisset. 8 intrito… posuit: ordina: (ei) posuit lagonam plenam cibo intrito: «(le) apparecchiò un fiasco pieno di cibo sminuzzato»; cibo intrito è complemento di abbondanza; intritus è composto di in + tero, «tritare»; da qui deriva anche tritĭcum, «frumento», destinato per sua natura a essere “tritato”. 9 convivam: riferito alla volpe, quindi femminile: «la convitata». 10 peregrinam… accepĭmus: ordina e completa: accepĭmus volŭcrem peregrinam («l’uccello migratore», cioè «la cicogna») locutam (esse) sic. 11 quisque: ricorda che questo pronome si usa dopo il pronome personale sui, sibi, se e il possessivo riflessivo suus (come in questo caso), dopo un pronome relativo o interrogativo, dopo un superlativo e dopo un numerale ordinale (aumentato di una unità). 12 debet… pati: osserva l’idea di necessità, resa con debeo invece che con la perifrastica passiva. La conclusione della cicogna corrisponde a proverbi del tipo: “Chi la fa, l’aspetti»; “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”. V. anche la lettura: La favola nella letteratura latina: Fedro. Ecco questa favola resa in francese da La Fontaine, con la traduzione poetica di Emilio De Marchi. Le Renard et la Cigogne Compère le Renard se mit un jour en frais, et retint à dîner commère la Cigogne. Le régal fût petit et sans beaucoup d’apprêts: le galant pour toute besogne, avait un brouet clair; il vivait chichement. Ce brouet fut par lui servi sur une assiette: la Cigogne au long bec n’en put attraper miette; et le drôle eut lapé le tout en un moment. Pour se venger de cette tromperie, à quelque temps de là, la Cigogne le prie. «Volontiers», lui dit-il, «car avec mes amis La Volpe e la Cicogna Signora Volpe un bel dì fece il gesto di invitare la Cicogna a desinare. Il pranzo fu poco ricco e modesto, anzi quasi non c’era da mangiare. Tutto il servizio e il costrutto si ridusse a una broda trasparente servita in un piatto. Or capirete se, a causa di quel becco che sapete, la Cicogna poté mangiar niente. Ma la Volpe in un lampo spazzò tutto. je ne fais point cérémonie». A l’heure dite, il courut au logis de la Cigogne son hôtesse; loua très fort la politesse; trouva le dîner cuit à point: bon appétit surtout; Renards n’en manquent point. Il se réjouissait à l’odeur de la viande mise en menus morceaux, et qu’il croyait friande. On servit, pour l’embarrasser, en un vase à long col et d’étroite embouchure. Le bec de la Cigogne y pouvait bien passer; mais le museau du sire était d’autre mesure. Il lui fallut à jeun retourner au logis, honteux comme un Renard qu’une Poule aurait pris, serrant la queue, et portant bas l’oreille. Trompeurs, c’est pour vous que j’écris: attendez-vous à la pareille. La Fontaine Per trar vendetta dell’inganno, anch’essa la Cicogna invitò la furba amica, che accettò senza complimenti. La Volpe, a cui non manca l’appetito, andò pronta all’invito. Vide e lodò il pranzetto preparato, tagliato a pezzi in una salsa spessa, che mandava un profumo delicato. Ma il pranzo fu servito per dispetto in fondo a un vaso a collo lungo e stretto. Ben vi attingeva col becco la Cicogna dentro la fessura, ma non così la Volpe, per via del muso tondo e non adatto per il vaso di piccola misura. A pancia vuota e piena di vergogna, se ne partì quell’animale ghiotto mogio mogio, la coda fra le gambe, come una vecchia volpe malandrina che si senta rapir da una gallina. Vuol dimostrare questa favoletta che chi la fa l’aspetta. E. De Marchi Poesie di Trilussa, con protagonisti delle favole di Fedro Scrisse poesie con protagonisti tratti dalle favole di Fedro anche Carlo Alberto Salustri (18711950), più conosciuto con lo pseudonimo di Trilussa, anagramma del cognome. Le poesie del Trilussa sono in dialetto romanesco; i personaggi sono trattati in modo originale e ironico, talora scanzonato e con una venatura satirica. Ecco alcuni esempi. L’agnello infurbito Un lupo che beveva in un ruscello vidde, dall’antra parte de la riva, l’immancabile agnello. «Perché nun venghi qui?», je chiese er lupo. «L’acqua, in quer punto, è torbida e cattiva e un porco ce fa spesso er semicupo. Da me, che nun ce bazzica er bestiame, er ruscello è limpido e pulito…». L’agnello disse: «Accetterò l’invito, quanno avrò sete e tu non avrai fame». Trilussa L’agnello prudente «Che ne pensi de me?», chiese un lupo a l’agnello. Naturalmente, quello se n’uscì con un beee… «Spieghete mejo, sbrighete…». «Ah», dice, «no davero! Me sento troppo debole pe’ diventà sincero». Trilussa Er Somaro e er Leone Un Somaro diceva: «Anticamente, quanno nun c’era la democrazzia, la classe nostra nun valeva gnente. Mi’ nonno, infatti, per avé raggione se coprì co’ la pelle d’un Leone e fu trattato rispettosamente». «So’ cambiati li tempi, amico caro»: fece el Leone «ormai la pelle mia nun serve più nemmeno da riparo. Oggi, purtroppo, ho perso l’infruenza, e ogni tanto so’ io che pe’ prudenza me copro co’ la pelle de somaro!». Trilussa Er Cane moralista Più che de prescia er Gatto agguantò la bistecca de filetto che fumava in un piatto, e scappò, come un furmine, sur tetto. Lì se fermò, posò la refurtiva e la guardò contento e soddisfatto. Però s’accorse che nun era solo perché er Cagnolo der padrone stesso, vista la scena, j’era corso appresso e lo stava a guardà da un muricciolo. A un certo punto, infatti, arzò la testa e disse ar Micio: «Quanto me dispiace! Chi se pensava mai ch’eri capace d’un’azzionaccia indegna come questa? Nun sai che nun bisogna approfittasse de la robba artrui? Hai fregato er padrone! Propio lui che te tiè drento casa! Che vergogna! Nun sai che la bistecca ch’hai rubbato peserà mezzo chilo a ditte poco? Pare quasi impossibbile ch’er coco nun te ciabbia acchiappato! Chi t’ha visto?», «Nessuno...». «E er padrone?», «Nemmeno...». «Allora», dice, «armeno famo metà per uno!». Trilussa Er Cane Lupo e la Pecorella Un Cane Lupo, fijo naturale d’un lupo e d’ una cagna, fu preso da un mercante de campagna che lo messe de guardia in un casale. Lì conobbe una Pecora e ogni tanto, quanno che l’incontrava in mezzo ar prato, parlaveno der tempo ormai passato e l’occhi je s’empiveno de pianto. «Te vojo fa’ conosce mamma mia», je disse un giorno er Cane, «la vedrai: è la cagna più bona che ce sia. Spesso me fa le prediche e me dice: “Se vôi vive felice tratta le pecorelle come tante sorelle… E Dio, che vede tutto, ricompensa o prima o poi qualunque bon’azzione…”». «Beene!», belò la Pecora, «ha ragione: ma papà? che ne pensa?». Trilussa Rimedio Un Lupo disse a Giove: «Quarche pecora dice ch’io rubbo troppo... Ce vô un freno per impedì che inventino ‘ste chiacchiere...». E Giove je rispose: «Rubba meno». Trilussa