Nella biografia di Fedro tutto è incerto: la patria, la condizione

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Nella biografia di Fedro tutto è incerto: la patria, la condizione
FEDRO
Nella biografia di Fedro tutto è incerto: la patria, la condizione sociale, le vicende della vita. Le
scarne notizie che abbiamo su di lui si ricavano per lo più da allusioni presenti nelle sue opere,
specialmente nei prologhi e negli epiloghi dei libri delle Fabulae, talora di non facile
interpretazione.
Fedro stesso afferma di essere nato sul monte Pierio, luogo di nascita delle Muse, che a quel tempo
faceva parte della Macedonia; però sembra anche alludere come sua patria alla Tracia, vantata come
terra di poeti. L’anno della nascita viene generalmente indicato intorno al 15 a.C. Di condizione
servile, fu portato a Roma in giovanissima età, ma non sappiamo donde gli fosse venuta la
condizione di schiavo e per quali casi fosse giunto a Roma.
Fu schiavo e poi liberto di Augusto (27 a.C.-14 d.C.), come indica il titolo della sua opera nel
codice principale: Phaedri Augusti liberti liber fabularum, «Libro delle favole di Fedro, liberto di
Augusto» (altri codici invece riportano il titolo: Phaedri Augusti liberti Fabulae Aesopiae, «Favole
esopiche di Fedro, liberto di Augusto»).
Probabilmente esercitava l’incarico di precettore, che continuò anche durante il principato di
Tiberio (14-37). Sotto questo imperatore però fu perseguitato da Seiano, il potentissimo prefetto del
pretorio che Fedro aveva messo in ridicolo nei suoi scritti, sottolineandone la perfidia e la
vanagloria. Nelle favole giunte a noi non ne vediamo alcuna veramente notevole per acredine ed
evidenza di allusione personale: forse le favole incriminate furono soppresse dall’autore, o non
entrarono a far parte della raccolta che ci è rimasta.
Fedro comunque fu condannato in un processo in cui, come dice nel proemio del III libro, Seiano
era stato accusatore, testimone e giudice (probabilmente era solo l’accusatore, ma con testimoni e
giudice ligi al suo volere); ebbe a subire umiliazioni e forse anche la povertà, ma dopo la caduta in
disgrazia e la condanna a morte di Seiano, avvenuta nel 31, poté continuare a scrivere indisturbato i
rimanenti anni del principato di Tiberio e poi sotto Caligola (37-41) e Claudio (41-54), all’epoca del
quale viene datata la sua morte, verso la metà del I secolo.
Fedro è il grande favolista della tradizione romana: scrisse 5 libri di Fabulae, ma di tanta
produzione ce ne sono pervenute soltanto 93, oltre a 32 contenute in un manoscritto dell’umanista
Niccolò Perotti (sec. XV), scoperto nell’Ottocento e dette quindi Appendix Perottina; alcune
raccolte medievali, inoltre, gli attribuiscono un’altra quarantina di favole in prosa.
Formatosi sulla tradizione e su rifacimenti di Esopo, Fedro ben presto acquistò indipendenza e
originalità rielaborando in modo personale alcune favole o traendo ispirazione per crearne di nuove,
arricchendole di significati politici e di allusioni sociali, ma soprattutto dando ai testi dignità
letteraria attraverso una veste poetica: infatti le Fabulae sono in versi senari giambici, un metro che
ha una cadenza vicina al linguaggio parlato.
Nel prologo del primo libro l’autore indica lo scopo del suo lavoro, che oltre a rallegrare deve
fornire un utile insegnamento per la vita: Duplex libelli dos est: quod risum movet // et quod
prudenti vitam consilio monet. (I, Prologo, 3-4) «Due sono i pregi di questo libretto: e cioè che fa
ridere e che insegna a vivere con saggi consigli».
I protagonisti delle favole sono svariati; si tratta però per lo più di animali, attraverso le cui voci e
ragionamenti l’autore dà un giudizio sulle vicende della vita ed esprime il proprio impegno morale
per il miglioramento dell’individuo e della società. E così in Fedro troviamo lupi prepotenti che
rimangono impuniti, agnelli timidi ed esposti alla violenza, volpi astute e sagge, cani fedeli o
sciocchi, rane invidiose, asini filosofi e rassegnati alle bastonate o superbi e vili, corvi vanitosi e
così via, i quali altro non riflettono che il più vasto spettacolo del mondo degli uomini
rappresentando altrettanti tipi umani, con i loro vizi e i loro difetti. Ne deriva un’allegoria della vita
umana, osservata dal punto di vista del popolo e delle classi inferiori in cui – e ricordiamo che
l’autore ne aveva esperienza diretta – i deboli, gli oppressi, gli umili hanno sempre la peggio e il più
delle volte non hanno scampo, mentre i potenti, i ricchi, gli oppressori regolarmente trionfano.
Una difesa contro le prepotenze appare possibile soltanto se si seguono alcune regole di prudenza,
non fidandosi troppo degli altri e facendo uso della propria ragione con intelligenza, persino anche
con astuzia. L’opera è comunque pervasa da una grande malinconia, se non anche da un sostanziale
pessimismo, derivato dalla profonda conoscenza dell’animo umano e della realtà.
Per la schiettezza e semplicità dell’espressione, lo stile puro, la lingua, nella sua semplicità, tersa e
incisiva, i dialoghi di grande efficacia nel rapido incalzare delle battute, ma soprattutto per l’elevato
contenuto morale, che trascende i tempi, l’opera di Fedro godette di grande fortuna presso i posteri
alimentando, attraverso i rifacimenti e le imitazioni medievali, gran parte della favolistica
didascalica posteriore; ricordiamo in particolare il francese Jean de La Fontaine, vissuto dal 1621 al
1695.
Riportiamo qui di seguito alcune favole di Fedro; per un opportuno confronto, aggiungiamo
l’elaborazione in francese di La Fontaine, con la traduzione in inglese e la resa poetica di Emilio De
Marchi (1851-1901).
V. anche le letture:
La favola nella letteratura greca.
La favola nella letteratura latina: Fedro.
1. Il lupo e l’agnello
Un lupo, fermamente intenzionato a divorare un agnello, gli muove delle accuse che invano quello
dimostra infondate: i prepotenti trovano sempre un pretesto per opprimere i più deboli e per
trovare una giustificazione alle loro sopraffazioni.
Ad rivum eundem lupus et agnus venĕrant,
siti compulsi; superior stabat lupus,
longēque inferior1 agnus. Tunc fauce imprŏbā
latro incitatus2 iurgii causam intŭlit.
«Cur», inquit, «turbulentam fecisti mihi
5
aquam bibenti?». Lanĭger contra timens:
«Qui3 possum, quaeso,4 facere quod querĕris,5 lupe?
A te decurrit ad meos haustus6 liquor».
Repulsus ille veritatis viribus:
10
«Ante hos sex menses7 male», ait, «dixisti mihi».8
Respondit agnus: «Equĭdem9 natus non eram».
«Pater hercle10 tuus», ille inquit, «male dixit mihi».
Atque ita correptum lacĕrat iniusta nece.11
Haec propter illos scripta est homines fabula,12
15
qui fictis causis innocentes opprĭmunt.
Fedro, I, 1
1
superior... longēque inferior: «più in alto... e di gran lunga più in basso»; propriamente, superior e inferior sono degli
aggettivi; osserva l’uso del comparativo, fra due elementi; osserva, inoltre, l’avverbio longe usato per rafforzare il
comparativo. 2 fauce imprŏbā latro incitatus: «quel ladrone, spinto dalla gola malvagia». 3 Qui: ablativo arcaico che sta
per quomŏdo, interrogativo: «come», «in che modo». 4 quaeso: «di grazia»; è una forma verbale usata come formula di
cortesia; analogamente, in italiano abbiamo prego (dal verbo pregare), in francese s’il vous plaît (verbo plaire), in
spagnolo por favor (v. favorecer), in inglese please (v. please), in tedesco bitte (v. bitten). 5 quod querĕris: «ciò di cui ti
lamenti». 6 ad meos haustus: «alla mia bocca»; propriamente, «ai miei sorsi». 7 Ante hos sex menses: «Prima di questi
sei mesi», cioè «Sei mesi fa». 8 male... dixisti mihi: «hai parlato male di me»; in latino male dicere (o maledicere) regge
il dativo. 9 Equĭdem: composto di e, prefisso intensivo e quidem, si usa per lo più col verbo alla prima persona
singolare, con le altre persone si usa la forma semplice quidem. 10 hercle: «per Ercole!»; è un’interiezione (forma
sincopata da hercule), in questo caso indica la stizza del lupo per le argomentazioni dell’agnello che dimostrano
infondate le sue accuse; nessuna argomentazione, però, varrà a impedirgli di mettere in atto la prepotenza. 11 correptum
lacĕrat iniusta nece: correptum è un participio congiunto: «sbrana l’agnello (dopo averlo) afferrato...», oppure rendi
con due coordinate: corrĭpit et lacĕrat...: «afferra (l’agnello) e lo sbrana con un’ingiusta morte». 12 Haec... fabula:
ordina: Haec fabula scripta est propter illos homines.
V. anche la lettura: La favola nella letteratura latina: Fedro.
Ecco la resa in francese di La Fontaine, con la traduzione in inglese.
Le Loup et l’Agneau
La raison du plus fort est toujours la meilleure:
nous l’allons montrer tout à l’heure.
Un Agneau se désaltérait
dans le courant d’une onde pure.
Un Loup survient à jeun qui cherchait aventure,
et que la faim en ces lieux attirait.
«Qui te rend si hardi de troubler mon breuvage?»,
dit cet animal plein de rage:
«tu seras châtié de ta témérité».
«Sire», répond l’Agneau, «que votre Majesté
ne se mette pas en colère;
mais plutôt qu’elle considère
que je me vas désaltérant
dans le courant,
plus de vingt pas au-dessous d’Elle,
et que par conséquent, en aucune façon,
je ne puis troubler sa boisson».
«Tu la troubles», reprit cette bête cruelle,
«et je sais que de moi tu médis l’an passé».
«Comment l’aurais-je fait si je n’étais pas né?»,
reprit l’Agneau, «je tette encor ma mère».
«Si ce n’est toi, c’est donc ton frère».
«Je n’en ai point». «C’est donc quelqu’un des tiens:
car vous ne m’épargnez guère,
vous, vos bergers, et vos chiens.
On me l’a dit: il faut que je me venge».
Là-dessus, au fond des forêts
le Loup l’emporte, et puis le mange,
sans autre forme de procès.
La Fontaine
The Wolf and the Lamb
The strongest is always right:
we will prove it shortly.
A Lamb was quenching it’s thirst
in a clear stream;
a starving Wolf suddently appears, looking for a meal,
brought here by hunger.
«How dare you foul my water hole?»,
said the Wolf full of righteous fury:
«you will be chastised for you temerity».
«Sire», replies the Lamb, «Your Majesty
need not be angry;
but rather consider
that I am drinking
more than twenty feet
downstream from him;
therefore in no way
could I spoil his water».
«Oh, yes you do», growled the cruel beast;
«and I heard that you spoke ill of me last year».
«How could I, if I were not yet born?»,
the Lamb persisted, «I am still nursing».
«If it were not you, then it must have been your brother».
«I don’t have any». «Then it was one of your lot;
because you are always pestering me,
you, your shepherds and your dogs.
So I have been told: I must avenge myself».
With that, deep in the forest,
the Wolf carried off the Lamb, and ate it,
without further ado.
Ed ecco il testo di La Fontaine nella traduzione poetica di Emilio De Marchi.
Il Lupo e l’Agnello
La favola che segue è una lezione
che il forte ha sempre la miglior ragione.
Un dì nell’acqua chiara d’un ruscello
bevea cheto un Agnello,
quand’ecco sbuca un Lupo maledetto,
che non mangiava forse da tre dì,
che pien di rabbia grida: «E chi ti ha detto
d’intorbidar la fonte mia così?
Aspetta, temerario!». «Maestà»,
a lui risponde il povero innocente,
«s’ella guarda, di subito vedrà
ch’io mi bagno più sotto la sorgente
d’un tratto, e che non posso l’acque chiare
della regal sua fonte intorbidare».
«Io dico che l’intorbidi», arrabbiato
risponde il Lupo digrignando i denti,
«e già l’anno passato
hai sparlato di me». «Non si può dire,
perché non era nato,
ancora io succhio la mammella, o Sire».
«Ebbene sarà stato un tuo fratello».
«E come, Maestà?
Non ho fratelli, il giuro in verità».
«Queste son ciarle. È sempre uno di voi
che mi fa sfregio, è un pezzo che lo so.
Di voi, dei vostri cani e dei pastori
vendetta piglierò».
Così dicendo, in mezzo alla foresta
portato il meschinello,
senza processo fecegli la festa.
E. De Marchi
2. La volpe e il corvo
Una volpe, vedendo un corvo con un pezzo di formaggio nel becco, riesce a portarglielo via
ricorrendo a una smaccata adulazione: i vanitosi si lasciano ingannare facilmente da scaltri
adulatori, che approfittano di questa loro debolezza per raggiungere i loro scopi.
Qui se laudari gaudet verbis subdŏlis,
fere1 dat poenas2 turpi paenitentiā.3
Cum de fenestra corvus raptum caseum
comesse vellet,4 celsa resĭdens5 arbore,
vulpes hunc vidit, deinde sic coepit loqui:
5
«O qui tuarum, corve, pennarum est nitor!6
Quantum decōris corpore et vultu geris!7
Si vocem haberes, nulla prior ales foret».8
At ille stultus,9 dum vult10 vocem ostendere,
emisit ore caseum, quem celerĭter
10
dolosa vulpes avidis rapuit dentibus.11
Tunc demum ingemuit corvi deceptus stupor.12
Hac re probatur quantum ingenium valet;13
virtute semper praevălet sapientiă.
Fedro, I, 13
1
fere: avverbio: «in genere», «per lo più». 2 dat poenas: «paga il fio», «sconta la punizione». 3 turpi paenitentiā: «con
pentimento accompagnato da scorno». 4 Cum de fenestra... vellet: ordina: Cum corvus vellet comesse (forma atematica
da comĕdo, «mangiare») caseum («un pezzo di formaggio») raptum («che aveva rapito», lett. «rapito») de fenestra («da
una finestra»). 5 resĭdens: «standosene appollaiato». 6 O qui... est nitor!: «O corvo, qual è lo splendore...!». 7
Quantum... geris: «Quanta bellezza mostri...»; lett. «quanto di bellezza», genitivo di quantità. 8 Si vocem... foret: «Se
avessi la voce, nessun alato sarebbe superiore (a te)»; è un periodo ipotetico del terzo tipo, o dell’irrealtà, cioè indica
che la volpe finge di ritenere il corvo assolutamente privo di voce, per indurlo così a farla sentire; la forma foret
equivale a esset. 9 ille stultus: «quello stolto», o anche: «quello, da stolto». 10 dum vult: «mentre voleva»; è il presente
storico retto da dum. 11 avidis rapuit dentibus: in verità avida è la volpe, non i denti; questo scambio di riferimento
dell’aggettivo si dice ipàllage. 12 corvi deceptus stupor: «lo stupido corvo ingannato», lett. «la stupidità ingannata del
corvo»; anche qui, osserva che deceptus andrebbe riferito al corvo, non a stupor (ipàllage). 13 quantum… valet: è una
proposizione interrogativa indiretta, che di norma richiede il congiuntivo (valeat). Gli ultimi due versi però
probabilmente non sono di Fedro, la morale è già stata data all’inizio.
V. anche la lettura: La favola nella letteratura latina: Fedro.
Ecco la resa in francese di La Fontaine, con a fianco la traduzione in inglese.
Le Corbeau et le Renard
Maître Corbeau, sur un arbre perché,
tenait en son bec un fromage.
The Crow and the Fox
Master Crow perched on a tree,
was holding a cheese in his beak.
Maître Renard, par l’odeur alléché,
lui tint à peu près ce langage:
«Hé! bonjour, Monsieur du Corbeau.
Que vous êtes joli! que vous me semblez beau!
Sans mentir, si votre ramage
se rapporte à votre plumage,
vous êtes le Phénix des hôtes de ces bois».
A ces mots le Corbeau ne se sent pas de joie;
et pour montrer sa belle voix,
il ouvre un large bec, laisse tomber sa proie.
Le Renard s’en saisit, et dit: «Mon bon Monsieur,
apprenez que tout flatteur
vit aux dépens de celui qui l’écoute:
Cette leçon vaut bien un fromage, sans doute».
Le Corbeau, honteux et confus,
jura, mais un peu tard, qu’on ne l’y prendrait plus.
La Fontaine
Master Fox attracted by the smell
said something like this:
«Well, Hello Mister Crow!
How beautiful you are! how nice you seem to me!
Really, if your voice
is like your plumage,
you are the phoenix of all the inhabitants of these woods».
At these words, the Crow is overjoyed;
and in order to show off his beautiful voice,
he opens his beak wide, lets his prey fall.
The Fox grabs it, and says: «My good man,
learn that every flatterer
lives at the expense of the one who listens to him.
This lesson, without doubt, is well worth a cheese».
The Crow, ashamed and embarrassed,
swore, but a little late, that he would not be taken again.
Ed ecco il testo di La Fontaine nella traduzione poetica di Emilio De Marchi.
Il Corvo e la Volpe
Sen stava messer Corvo sopra un albero
con un bel pezzo di formaggio in becco,
quando la Volpe tratta al dolce lecco
di quel boccon a dirgli cominciò:
«Salve, messer del Corvo, io non conosco
uccel di voi più vago in tutto il bosco.
Se è ver quel che si dice
che il vostro canto è bel come son belle
queste penne, voi siete una Fenice».
A questo dir non sta più nella pelle
il Corvo vanitoso:
e volendo alla Volpe dare un saggio
del suo canto famoso,
spalanca il becco e uscir lascia il formaggio.
La Volpe il piglia e dice: «Ecco, mio caro,
chi dell’adulator paga le spese.
Fanne tuo pro’ che forse
la mia lezione vale il tuo formaggio».
Il Corvo sciocco intese
e (un po’ tardi) giurò d’esser più saggio.
E. De Marchi
3. La rana e il bue
Una rana, vedendo un bue, prova invidia per la sua mole imponente: perciò si gonfia per
superarlo, ma perisce miseramente; bisogna saper accettare i propri limiti!
Inops, potentem1 dum vult2 imitari, perit.
In prato quondam rana conspexit bovem
et tactă invidiā tantae magnitudinis3
rugosam inflavit pellem:4 tum natos suos
5
interrogavit, an5 bove esset latior.
Illi negarunt.6 Rursus intendit7 cutem
maiore nisu et simili quaesivit modo,
quis maior esset.8 Illi dixerunt bovem.9
10
Novissime indignata, dum vult validius
inflare sese,10 rupto iacuit corpore.
Fedro, I, 24
1
Inops, potentem: osserva la finezza dell’accostamento debole-potente, che ci richiama l’immagine manzoniana del
“vaso di terra cotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro”. 2 dum vult: in questo caso dum è usato in
un contesto di presente, per cui va reso col presente indicativo anche in italiano. 3 tantae magnitudinis: è genitivo
oggettivo, in quanto costituisce l’oggetto del verbo in cui si può trasformare il nome da cui dipende: invidia «di così
enorme grossezza» > invidiava “così enorme grossezza”. 4 rugosam… pellem: vien da pensare che, tese per bene le
grinze, questa pelle forse potrebbe superare le dimensioni del bue. 5 an: «se»; introduce l’interrogativa indiretta che
lascia la risposta incerta, di norma introdotta dalla particella enclitica -ne. 6 negarunt: forma sincopata per negaverunt:
«negarono», cioè «dissero di no». 7 intendit: la forma può essere presente o perfetto indicativo: in questo caso è perfetto,
come il quaesivit della coordinata che segue. 8 quis maior esset: «chi fosse il più grosso (dei due)», interrogativa
indiretta; nel confronto fra due, qui indicato dal comparativo, di norma invece di quis si usa uter. 9 bovem: «il bue»;
propriamente è una proposizione ellittica del predicato, corrisponde a maiorem esse bovem: «che il più grosso era il
bue». 10 dum vult validius inflare sese: qui il dum col presente indicativo è usato in un contesto di passato (presente
storico), reso in italiano con «mentre» e l’imperfetto: «mentre voleva gonfiarsi più fortemente»; sese è la forma
raddoppiata del pronome personale di terza persona riflessivo: nello sforzo... sembra essersi gonfiato anche il se!
V. anche la lettura: La favola nella letteratura latina: Fedro.
Ecco la resa in francese di La Fontaine, con a fianco la traduzione in inglese.
La Grenouille qui veut se faire aussi grosse que le
Boeuf
Une Grenouille vit un Boeuf
qui lui sembla de belle taille.
Elle, qui n’était pas grosse en tout comme un oeuf,
envieuse, s’étend, et s’enfle, et se travaille,
pour égaler l’animal en grosseur,
disant: «Regardez bien, ma soeur;
est-ce assez? dites-moi; n’y suis-je point encore?».
«Nenni». «M’y voici donc?». «Point du tout». «M’y voilà?».
«Vous n’en approchez point». La chétive pécore
s’enfla si bien qu’elle creva.
Le monde est plein de gens qui ne sont pas plus sages:
tout bourgeois veut bâtir comme les grands seigneurs,
tout petit prince a des ambassadeurs,
tout marquis veut avoir des pages.
The Frog who Aspired to Become as Big as the Ox
A Frog espied an Ox
that seemed to her of a noble size.
She, no bigger than an egg,
envious, stretches, puffs up and labours
to match the animal in size,
saying: «Hey watch me sister;
is this enough? tell me; am I there yet?».
«No way!». «How about now?». «Not at all». «Is that it?».
«You aren’t even close». The puny, pretentious creature
swelled up so much that she croaked.
The world is full of people who aren’t too wise:
people with some money wish to build like royalty,
every minor prince has ambassadors,
every marquis wants servants.
La Fontaine
Ed ecco il testo di La Fontaine nella traduzione poetica di Emilio De Marchi.
La Rana e il Bove
Grande non più d’un ovo di gallina
vedendo il Bove e bello e grasso e grosso,
una Rana si gonfia a più non posso
per non esser del Bove più piccina.
«Guardami adesso», esclama in aria tronfia,
«son ben grossa?». «Non basta, o vecchia amica».
E la rana si gonfia e gonfia e gonfia
infin che scoppia come una vescica.
Borghesi, ch’è più il fumo che l’arrosto,
signori ambiziosi e senza testa,
o gente a cui ripugna stare a posto,
quante sono le rane come questa!
E. De Marchi
4. La volpe e la cicogna
Una volpe invita a cena una cicogna e le offre un brodino in un piatto; la cicogna le rende la
pariglia servendole del cibo sminuzzato in un fiasco: chi la fa, dice il proverbio, l’aspetti!
Nulli nocendum:1 si quis2 vero laesĕrit,
multandum simili iure fabella admŏnet.3
Vulpes ad cenam dicitur ciconiam
prior invitasse4 et illi in patina liquidam
5
posuisse sorbitionem,5 quam nullo modo
gustare esuriens potuĕrit ciconia.6
Quae vulpem cum revocasset,7 intrito cibo
plenam lagonam posuit:8 huic rostrum insĕrens
satiatur ipsa et torquet convivam9 fame.
10
Quae cum lagonae collum frustra lambĕret,
peregrinam sic locutam volŭcrem accepĭmus:10
«Sua quisque11 exempla debet aequo animo pati».12
Fedro, I, 26
1
Nulli nocendum: sott. est, perifrastica passiva impersonale; nulli, qui con valore di pronome, è il dativo retto dal verbo
noceo, non dativo d’agente: «Non si deve far del male a nessuno». 2 si quis: osserva la forma del pronome semplice
quis, invece di aliquis, con la congiunzione si. 3 Multandum… admŏnet: ordina e completa: (Haec) fabella admŏnet
(eum) multandum (esse) simili iure; eum multandum esse è una perifrastica passiva subordinata all’infinito; simili iure è
complemento di modo; perciò: «che deve essere punito allo stesso modo», «che deve essere ripagato con la stessa
moneta»; in pratica, il principio dell’“occhio per occhio, dente per dente”. 4 Vulpes… invitasse: ordina: Dicitur vulpes
invitasse prior ad cenam ciconiam; osserva la forma personale, cioè col nominativo + infinito, invece dell’accusativo,
che si ha con i verbi dicor, feror, trador ecc. nelle forme del presente e derivate; osserva anche il comparativo prior
(«per prima»), perché si stabilisce il confronto fra due; invitasse è una forma sincopata per invitavisse. 5 liquidam…
sorbitionem: di per sé sorbitio significa già «bevanda», «brodo»; per giunta è detta anche liquida, cioè molto fluida; la
volpe, cioè, ce l’ha messa tutta per impedire alla cicogna di gustarsi quella leccornìa. 6 quam nullo… ciconia: ordina:
quam ciconia, quamvis esuriens, (non) potuĕrit gustare nullo modo; quam... (non) potuĕrit è una proposizione relativa
con valore consecutivo; nella traduzione si aggiunge una negazione, che anticipa quella espressa da nullo modo. 7
Quae… revocasset: quae è nesso relativo, rendi con una congiunzione e un determinativo: sed ea (analogamente, al v.
10); revocasset è una forma sincopata per revocavisset. 8 intrito… posuit: ordina: (ei) posuit lagonam plenam cibo
intrito: «(le) apparecchiò un fiasco pieno di cibo sminuzzato»; cibo intrito è complemento di abbondanza; intritus è
composto di in + tero, «tritare»; da qui deriva anche tritĭcum, «frumento», destinato per sua natura a essere “tritato”. 9
convivam: riferito alla volpe, quindi femminile: «la convitata». 10 peregrinam… accepĭmus: ordina e completa:
accepĭmus volŭcrem peregrinam («l’uccello migratore», cioè «la cicogna») locutam (esse) sic. 11 quisque: ricorda che
questo pronome si usa dopo il pronome personale sui, sibi, se e il possessivo riflessivo suus (come in questo caso), dopo
un pronome relativo o interrogativo, dopo un superlativo e dopo un numerale ordinale (aumentato di una unità). 12
debet… pati: osserva l’idea di necessità, resa con debeo invece che con la perifrastica passiva. La conclusione della
cicogna corrisponde a proverbi del tipo: “Chi la fa, l’aspetti»; “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
V. anche la lettura: La favola nella letteratura latina: Fedro.
Ecco questa favola resa in francese da La Fontaine, con la traduzione poetica di Emilio De Marchi.
Le Renard et la Cigogne
Compère le Renard se mit un jour en frais,
et retint à dîner commère la Cigogne.
Le régal fût petit et sans beaucoup d’apprêts:
le galant pour toute besogne,
avait un brouet clair; il vivait chichement.
Ce brouet fut par lui servi sur une assiette:
la Cigogne au long bec n’en put attraper miette;
et le drôle eut lapé le tout en un moment.
Pour se venger de cette tromperie,
à quelque temps de là, la Cigogne le prie.
«Volontiers», lui dit-il, «car avec mes amis
La Volpe e la Cicogna
Signora Volpe un bel dì fece il gesto
di invitare la Cicogna a desinare.
Il pranzo fu poco ricco e modesto,
anzi quasi non c’era da mangiare.
Tutto il servizio e il costrutto
si ridusse a una broda trasparente
servita in un piatto. Or capirete
se, a causa di quel becco che sapete,
la Cicogna poté mangiar niente.
Ma la Volpe in un lampo spazzò tutto.
je ne fais point cérémonie».
A l’heure dite, il courut au logis
de la Cigogne son hôtesse;
loua très fort la politesse;
trouva le dîner cuit à point:
bon appétit surtout; Renards n’en manquent point.
Il se réjouissait à l’odeur de la viande
mise en menus morceaux, et qu’il croyait friande.
On servit, pour l’embarrasser,
en un vase à long col et d’étroite embouchure.
Le bec de la Cigogne y pouvait bien passer;
mais le museau du sire était d’autre mesure.
Il lui fallut à jeun retourner au logis,
honteux comme un Renard qu’une Poule aurait pris,
serrant la queue, et portant bas l’oreille.
Trompeurs, c’est pour vous que j’écris:
attendez-vous à la pareille.
La Fontaine
Per trar vendetta dell’inganno, anch’essa
la Cicogna invitò la furba amica,
che accettò senza complimenti.
La Volpe, a cui non manca l’appetito,
andò pronta all’invito.
Vide e lodò il pranzetto preparato,
tagliato a pezzi in una salsa spessa,
che mandava un profumo delicato.
Ma il pranzo fu servito per dispetto
in fondo a un vaso a collo lungo e stretto.
Ben vi attingeva col becco la Cicogna
dentro la fessura,
ma non così la Volpe,
per via del muso tondo e non adatto
per il vaso di piccola misura.
A pancia vuota e piena di vergogna,
se ne partì quell’animale ghiotto
mogio mogio, la coda fra le gambe,
come una vecchia volpe malandrina
che si senta rapir da una gallina.
Vuol dimostrare questa favoletta
che chi la fa l’aspetta.
E. De Marchi
Poesie di Trilussa, con protagonisti delle favole di Fedro
Scrisse poesie con protagonisti tratti dalle favole di Fedro anche Carlo Alberto Salustri (18711950), più conosciuto con lo pseudonimo di Trilussa, anagramma del cognome. Le poesie del
Trilussa sono in dialetto romanesco; i personaggi sono trattati in modo originale e ironico, talora
scanzonato e con una venatura satirica. Ecco alcuni esempi.
L’agnello infurbito
Un lupo che beveva in un ruscello
vidde, dall’antra parte de la riva,
l’immancabile agnello.
«Perché nun venghi qui?», je chiese er lupo.
«L’acqua, in quer punto, è torbida e cattiva
e un porco ce fa spesso er semicupo.
Da me, che nun ce bazzica er bestiame,
er ruscello è limpido e pulito…».
L’agnello disse: «Accetterò l’invito,
quanno avrò sete e tu non avrai fame».
Trilussa
L’agnello prudente
«Che ne pensi de me?»,
chiese un lupo a l’agnello.
Naturalmente, quello
se n’uscì con un beee…
«Spieghete mejo, sbrighete…».
«Ah», dice, «no davero!
Me sento troppo debole
pe’ diventà sincero».
Trilussa
Er Somaro e er Leone
Un Somaro diceva: «Anticamente,
quanno nun c’era la democrazzia,
la classe nostra nun valeva gnente.
Mi’ nonno, infatti, per avé raggione
se coprì co’ la pelle d’un Leone
e fu trattato rispettosamente».
«So’ cambiati li tempi, amico caro»:
fece el Leone «ormai la pelle mia
nun serve più nemmeno da riparo.
Oggi, purtroppo, ho perso l’infruenza,
e ogni tanto so’ io che pe’ prudenza
me copro co’ la pelle de somaro!».
Trilussa
Er Cane moralista
Più che de prescia er Gatto
agguantò la bistecca de filetto
che fumava in un piatto,
e scappò, come un furmine, sur tetto.
Lì se fermò, posò la refurtiva
e la guardò contento e soddisfatto.
Però s’accorse che nun era solo
perché er Cagnolo der padrone stesso,
vista la scena, j’era corso appresso
e lo stava a guardà da un muricciolo.
A un certo punto, infatti, arzò la testa
e disse ar Micio: «Quanto me dispiace!
Chi se pensava mai ch’eri capace
d’un’azzionaccia indegna come questa?
Nun sai che nun bisogna
approfittasse de la robba artrui?
Hai fregato er padrone! Propio lui
che te tiè drento casa! Che vergogna!
Nun sai che la bistecca ch’hai rubbato
peserà mezzo chilo a ditte poco?
Pare quasi impossibbile ch’er coco
nun te ciabbia acchiappato!
Chi t’ha visto?», «Nessuno...».
«E er padrone?», «Nemmeno...».
«Allora», dice, «armeno
famo metà per uno!».
Trilussa
Er Cane Lupo e la Pecorella
Un Cane Lupo, fijo naturale
d’un lupo e d’ una cagna,
fu preso da un mercante de campagna
che lo messe de guardia in un casale.
Lì conobbe una Pecora e ogni tanto,
quanno che l’incontrava in mezzo ar prato,
parlaveno der tempo ormai passato
e l’occhi je s’empiveno de pianto.
«Te vojo fa’ conosce mamma mia»,
je disse un giorno er Cane, «la vedrai:
è la cagna più bona che ce sia.
Spesso me fa le prediche e me dice:
“Se vôi vive felice
tratta le pecorelle
come tante sorelle…
E Dio, che vede tutto, ricompensa
o prima o poi qualunque bon’azzione…”».
«Beene!», belò la Pecora, «ha ragione:
ma papà? che ne pensa?».
Trilussa
Rimedio
Un Lupo disse a Giove: «Quarche pecora
dice ch’io rubbo troppo... Ce vô un freno
per impedì che inventino ‘ste chiacchiere...».
E Giove je rispose: «Rubba meno».
Trilussa