Relazione di 7 minuti, di Emilia Angelucci Il giorno 26 Novembre

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Relazione di 7 minuti, di Emilia Angelucci Il giorno 26 Novembre
Relazione di 7 minuti, di Emilia Angelucci
Il giorno 26 Novembre 2014 mi sono recata al il Teatro Verdi di Padova per assistere allo spettacolo
teatrale intitolato 7 Minuti.
7 Minuti si ispira ad una storia realmente accaduta in una fabbrica tessile della Francia meridionale
nella regione dell’Alvernia e, più precisamente, nel dipartimento dell'Alta Loira. Si tratta della
vicenda che colpì le operaie della Maison Lejaby d’Yssingeaux le quali nel 2012, dopo l’acquisto
della società da parte di Alan Prost (ex capo di La Perla e Chantelle), occuparono la fabbrica nel
tentativo di mantenere il loro posto di lavoro. Il nuovo padrone, infatti, aveva deciso di chiudere lo
stabilimento, considerato sacrificabile nel suo progetto di risanamento economico dell'azienda. L'
occupazione si concluse con la chiusura ma le donne, oltre ad aver imparato a lottare, riuscirono ad
attirare su di loro una grande attenzione mediatica, ottenendo finanziamenti sufficienti ad aprire una
boutique on-line.
Questa vicenda colpì molto lo scrittore Stefano Massini, spesso impegnato nella realizzazione di
una drammaturgia che si interroghi sulle ingiustizie e che quindi potremmo definire civile, come
spiega in un'intervista:“Ci sono storie che ti vengono a cercare. Sembra che facciano davvero di
tutto per essere raccontate, per essere scritte. La storia delle operaie di Yssingeaux mi ha dato la
caccia per vari mesi. Non potevo aprire un quotidiano o cliccare su una web-page senza trovarmi di
nuovo davanti quei visi femminili, assortiti di ogni età, impegnate in una difesa epica, antica eppure
modernissima, della propria dignità di lavoratrici”.
La rappresentazione teatrale però si scosta dalla vicenda originale in quanto ci racconta le
vicissitudini della Picard & Roche, un'azienda tessile composta da duecento operaie, che viene
comprata da una società più grande. Un pomeriggio, i nuovi capi convocano le undici operaie che
compongono il consiglio di fabbrica e chiedono di parlare con Bianca, la loro rappresentante. Dopo
lunghe ore di discussione, Bianca torna dalle sue colleghe in qualità di portavoce spiegando che
entro mezzogiorno del giorno dopo dovranno dare una risposta alla nuova proposta: rinunciare a 7
dei 15 minuti della loro pausa oppure rifiutare, con la probabilità però che qualcuna venga
licenziata. Il consiglio esulta: non c’è dubbio che sia preferibile vedersi togliere 7 minuti di pausa
che il posto di lavoro ma Bianca, l'operaia più anziana con trent'anni di lavoro alle spalle, è l'unica a
rimaner perplessa sulla richiesta ed è per questo che innesca subito un dibattito costringendo le
colleghe ad una riflessione:“ Non guardate solo quello che c'è scritto, ma anche quello che non c'è
scritto”, spiega loro.
Questa la scintilla dà inizio ad una profonda discussione capace di suscitare nelle operaie la
consapevolezza che, rinunciando a questo loro diritto, subiranno una sconfitta senza pari e
perderanno la cosa più importante che hanno: la dignità personale.
Durante tutto lo spettacolo gli spettatori si trovano di fronte ad undici donne che, dal tramonto
all'alba, si battono, litigano e discutono sulla propria sorte. Chi guida questa autocoscienza
collettiva è appunto Bianca, che poco alla volta riesce a dimostrare alle altre dieci operaie le ragioni
della sua opposizione, fino ad ottenere l'appoggio di cinque colleghe. Si crea una situazione in cui
tocca ad una sola decidere quale delle due parti avrà la maggioranza dei voti. Sorprendente l’idea di
un finale aperto, che cala il sipario sulle parole dell’ultima donna votante: “Sono pronta, ho
deciso…”, offrendo così al pubblico la possibilità di essere il dodicesimo votante, che entra
direttamente a far parte della storia.
Il testo è un dialogo a molte voci con un linguaggio secco, quotidiano, vero e coinvolgente, molto
attento e preciso nel descrivere i rapporti ed i percorsi di vita delle undici donne. Sono tutte diverse
tra loro, ma capaci di raccontarci un'umanità che tenta disperatamente di reagire all'incertezza del
futuro. Ogni donna, infatti, si confronta con le compagne riportando il proprio vissuto, personalità e
convinzioni.
L'autore, dopo essersi interrogato su come e dove ambientare questo dramma contemporaneo,
decide di far svolgere la vicenda durante una riunione di fabbrica, un luogo fisso ma ricco di
simbologie. E' così che arriviamo alla scenografia, curata da Gianluca Amodio, che opta per l'iper-
realismo, in modo da poter amplificare la veridicità del testo. Un unico ambiente dunque, lo
spogliatoio della fabbrica, arredato con armadietti a sinistra e a destra, un tavolo con poche sedie al
centro, due panche addossate alla parete di fondo. Presenti anche grandi finestre, di cui una (quella
che dà sull'interno della fabbrica), si apre sul muro di fondo, mentre le altre tre sono sul tetto. Sul
pavimento è segnata una scritta blu e rossa che percorre tutta la stanza da sinistra verso destra: è il
nome della fabbrica, Picard & Roche. Le attrici quindi si muovono in uno spazio reale: qui si
vestono, lasciano i loro oggetti personali prima di iniziare il turno e ritornano alla fine della faticosa
giornata lavorativa, prima di tornare alle loro case. E' proprio questo ambiente sociale, culturale ed
economico, tipico di molte fabbriche in Europa, a rendere la storia unica, in quanto rappresenta un
episodio in particolare, ma anche accomunante la realtà attuale di molti operai.
Le luci, di cui si occupa Marco Palmieri, sono anch'esse ideate per rendere la scena il più possibile
realistica. Vengono sfruttate le finestre sul soffitto per rappresentare il giorno e le le luci al neon per
la notte; in questo modo, viene resa l'idea dello scorrere del tempo.
Per quanto riguarda i costumi, ogni personaggio veste con lo stile che più si addice alla sua
personalità con l’aggiunta del camice da lavoro, tranne che per una giovane impiegata. Solo Aneta,
la segretaria, veste in modo differente indossando un tailleur. La volontà della costumista di rendere
lo spettacolo quanto più verosimile ci viene direttamente raccontata da Ottavia Piccolo (Bianca),
durante un'intervista in camerino, prima della recita. Al giornalista che le chiede se andrà in scena
con il semplice trucco che porta all'arrivo in teatro, risponde:“deve essere un trucco così, come nella
vita, quindi non ho molto da fare visto che faccio un'operaia”. Anche questi elementi aiutano a
capire come gli spettatori siano indotti a sentirsi vicini alle undici operaie e come sia facile mettersi
in relazione con loro, sentirsi parte del gruppo, interrogandosi sulle scelte da compiere.
Il regista Alessandro Gassmann spiega che è stato spinto a mettere in scena questo spettacolo
dall'originalità del testo, dall'alta qualità di scrittura di Massini e dai rapporti che si creano tra le
protagoniste. Infatti alle attrici, scelte al termine di una lunga serie di provini, chiede una recitazione
fisica che sottolinei la diversità dei personaggi con il modo diverso di “stare” in scena. Egli vuole
concentrare l’attenzione su queste donne che hanno vite diverse e che appartengono a culture e
religioni diverse: “dal punto di vista drammaturgico ogni personaggio deve fare il proprio percorso,
dare opinioni”, spiega durante un'intervista. Gassmann riesce perfettamente a dar voce alle undici
diverse personalità realizzando un'analisi molto profonda, quasi intima, di tutti gli aspetti caratteriali
di ognuna. Il lavoro è così ben riuscito che, dopo aver visto lo spettacolo, riusciamo ad attribuire un
aggettivo ad ognuna delle operaie, identificandoci con alcune e non trovandoci in accordo con altre.
Bianca, come sopra già detto, è la più anziana del gruppo ed è lei che, dopo aver riportato alle
colleghe le volontà dei capi, mette sul piatto della bilancia la possibilità di confrontarsi e di
discutere. Tuttavia non è una grande leader ma piuttosto una sorta di mamma che guarda più
lontano delle proprie figlie, che intravede pericoli dove le compagne colgono solo vantaggi, che
vuole parlare e non solo protestare o accettare. Durante la durata dello spettacolo verrà contestata,
accusata di essersi venduta ai padroni ma anche ascoltata, compresa e seguita nella sua scelta di
votare contro la proposta di togliere i 7 minuti dalla pausa. Al fianco di Bianca troviamo tre ragazze
molto giovani, due operaie ed un'impiegata, che rappresentano le nuove ed ingenue generazioni dal
futuro incerto: “ ho ventidue anni, se lo perdo non ne trovo un altro”, dichiara una delle giovani
operaie. Sono approdate nel mondo del lavoro in una situazione di precarietà senza aver avuto il
tempo di imparare a distinguere le ingiustizie dalla “normalità” lavorativa, senza aver capito cosa
significa la parola “dignità”. Non è un caso che il voto mancante, l'undicesimo voto in una
situazione di parità, spetti proprio all'impiegata giovane e superficiale, e che non venga svelato
perché si chiude il sipario. Siamo noi le nuove generazioni che devono costruirsi il futuro, che
devono prendere atto della realtà del mondo del lavoro e, rimboccandoci le maniche, iniziare a
posizionare i tasselli per avere un impiego sicuro in cui non vengono minacciati i diritti
fondamentali. Un altro ruolo importante è occupato dalle tre extracomunitarie: l’immigrata africana
Fatù, la segretaria polacca Aneta e la ragazza turca di nome Sevgi. Fatù ci spiega, durante un
monologo molto suggestivo accompagnato da un sottofondo di canti africani, come si vive in un
mondo governato dalla paura: “io so cos'è la paura … non ci sono regole, basta salvarsi”. Inoltre, la
compresenza di donne appartenenti a diverse culture e religioni ci fa comprendere quanto il
problema accomuni tutti, quanto la crisi sia generalizzata. Ci si accorge quanto questa sia una
guerra fra poveri al cospetto di un “padrone” sempre più anonimo, cinico ed esigente col quale,
volenti o nolenti, tutti prima o poi devono fare i conti. Mancano da citare le ultime quattro
protagoniste: una donna molto timida che piano piano capirà l'importanza della affermazioni di
Bianca, una madre e moglie dalla voce squillante e tesa che non cambierà mai il suo voto
favorevole alla proposta perché assillata dalla paura di perdere il posto di lavoro, la madre di una
delle ragazze (amica di Bianca e sua collega da molti anni) ed infine la più mascolina tra le
protagoniste, che fin dall'inizio dello spettacolo inizia a riflettere sulla possibilità di resistenza e sul
senso della giustizia.
Questo spettacolo è stato in grado di penetrare in modo molto forte nella mia coscienza, tanto da
farmi riflettere molto sulla precarietà del mondo del lavoro che stiamo affrontando o dovremo
affrontare. I giorni dopo lo spettacolo ho discusso a lungo con i miei genitori, con gli amici che
sono già entrati nella realtà lavorativa e con i ragazzi che, come me, stanno ancora studiando.
Stiamo sempre più prendendo atto dell'incertezza che avvolge il nostro futuro, capace di limitare i
nostri progetti, sogni e la nostra autonomia rispetto alla famiglia. La precarietà, in altre parole, ha
costruito di fronte a noi un muro difficile da abbattere e che ci impedisce di proseguire. Facendo un
piccolo sondaggio mi sono accorta che la maggioranza delle persone che mi circonda ha un lavoro
precario o sta ancora studiando con la speranza che la laurea aiuti a trovare un posto di lavoro fisso.
E ancora, molti lavoratori sono sopraffatti dalla paura che, una volta scaduto il contratto, non venga
rinnovato; perciò accettano condizioni di lavoro che limitano i diritti e calpestano la dignità come
lavori senza contratto, otto ore di lavoro continuato senza la pausa spettante di diritto oppure
trentasei ore settimanali di lavoro effettivo di cui solo ventiquattro pagate. Questi sono solo alcuni
degli infiniti casi di ingiustizie che vediamo alla televisione, di cui sentiamo alla radio, che ci
vengono raccontati ogni giorno.
7 Minuti riesce a riassumere in un'unica opera teatrale tutte queste storie diverse tra loro, tanti
frammenti di vita di persone che ogni giorno combattono per veder realizzati i loro diritti
fondamentali quali, appunto, il diritto al lavoro sancito dal primo articolo della nostra Costituzione.
Lo spettacolo riesce a raccontarci tutto ciò senza mai assumere toni di propaganda di comizio o
senza indicarci i mezzi per uscire da questa realtà perché, in fondo, neanche le protagoniste hanno la
loro verità, la cercano discutendo e confrontandosi. E ci lasciano nell'incertezza, ci invitano a
riflettere e trovare da soli i modi e i mezzi per farci strada in questa difficile contemporaneità. In
conclusione, mi sembra d' obbligo citare le parole di Alessandro Gassmann: “il teatro può davvero
essere luogo di denuncia senza mai rinunciare alla produzione di emozioni; questo ho fatto finora e
continuerò a fare con 7 minuti”.