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E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI LA BATTAGLIA DI MONTECASSINO NEL CINEMA RELATORE Chiar.mo Prof. CAMPARI ROBERTO CORRELATORE Chiar.mo Prof. PAPAGNO GIUSEPPE LAUREANDA: BOZZI ELISA Matr. n°° 106302 ANNO ACCADEMICO 2002 - 2003 1 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 2 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Ringraziamenti: la mia famiglia, Valter Severgnini per la grafica, i gestori e i collaboratori del sito internet www. dalvolturnoacassino. it e in particolare Mauro Lottici, Nadia Ziliani per la consulenza linguistica, Maximiliano Morsia per l’aiuto tecnico, le amiche che mi hanno aiutato nel recupero del materiale. 3 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 4 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. INDICE INTRODUZIONE p. 9 1. IL CINEMA E LA STORIA 1.1. Che cos’è un film storico? 13 1.2. L’uso dei film come documenti storici 15 1.3. Dal documentario alla fiction 19 1.4. La nuova storia del cinema 23 2. IL CINEMA DI GUERRA 2.1. Che cos’è il cinema bellico? 25 2.2. Il rapporto tra immagine e guerra 28 2.3. Il cinema hollywoodiano e la guerra 30 2.4. Il cinema di guerra italiano dopo il secondo conflitto mondiale 41 2.5. Il cinema di guerra tedesco dopo il secondo conflitto mondiale 48 3. LA CAMPAGNA D’ITALIA ( 1943 – 1945 ): GLI SBARCHI 3.1. La svolta del 1943 53 3.2. Le decisioni di Casablanca 54 3.3. Gli sbarchi alleati in Italia 56 5 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 4. LA CADUTA DEL FASCISMO 4.1. La fine del governo Mussolini 61 4.2. Il governo Badoglio 62 5. LA SITUAZIONE ITALIANA 5.1. La Repubblica di Salò 64 5.2. La linea Gustav 65 6. GLI ALLEATI VERSO ROMA 6.1. L’area dei combattimenti 67 6.2. L’inizio della prima battaglia ( 17 gennaio – 7 febbraio 1944 ) 68 6.3. Lo scontro di Sant’ Angelo in Theodice e il fiume Rapido 69 6.4. La resistenza delle difese tedesche 71 7. IL BOMBARDAMENTO DI MONTECASSINO 7.1. Il bombardamento dell’Abbazia ( 15 – 18 febbraio 1944 ) 73 7.2. La seconda battaglia ( 15 – 23 marzo 1944 ) 76 8. L’OPERAZIONE DIADEM 8.1. La terza battaglia ( 11- 19 maggio 1944 ) 79 8.2. Lo scontro finale 80 6 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 9. ESERCITI COBELLIGERANTI 9.1. Gli Italiani e le truppe alleate 83 9.2. I Polacchi a Cassino 85 9.3. I reggimenti Gurkha 86 9.4. Altre immagini della guerra 87 9.5. Il salvataggio delle opere d’arte dell’abbazia di Montecassino 94 10.L’ORDINE BENEDETTINO 10.1. Vita di San Benedetto da Norcia 10.2. Diffusione del monachesimo benedettino 99 102 11.LA BATTAGLIA DI MONTECASSINO NEL CINEMA 11.1. Introduzione ai film principali 109 11.2. The story of G.I. Joe 111 11.2.1. Gli Stati Uniti alla fine del secondo conflitto mondiale 114 11.2.2. Analisi del film 118 11.3. Montecassino 161 11.3.1. L’Italia del dopoguerra 162 11.3.2. Analisi del film 165 11.4. Die Gruenen Teufel von Montecassino 235 11.4.1. La situazione tedesca dopo il secondo conflitto mondiale e fino agli anni Cinquanta 236 7 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 11.4.2. Analisi del film 242 11.5. Pellicole secondarie 317 12.APPENDICI 12.1. Appendice 1: L’abbazia di Montecassino 321 12.2. Appendice 2: Il volantino del 14 febbraio 1944 329 12.3. Appendice 3: La dichiarazione dell’Abate Diamare 331 12.4. Appendice 4: The death of Captain Waskow 333 12.5. Appendice 5: Riley Tidwell ’ s homecoming 337 CONCLUSIONI 347 8 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. INTRODUZIONE Gli studi specifici sul rapporto tra cinema e storia, che risalgono agli anni Sessanta, hanno dato un contributo fondamentale allo studio del cinema e soprattutto alla comprensione di quanto il film può essere utile nello studio della storia. Il film storico infatti non offre solo una rappresentazione dell’epoca nella quale è ambientato, ma è anche profondamente legato all’epoca che lo ha prodotto. Per quanto riguarda nello specifico i film di guerra, essi erano normalmente utilizzati per creare un’opinione pubblica riguardo ad una questione. In periodi di guerra erano utilizzati come strumenti di propaganda fruibili dalle masse, in tempo di pace facevano riflettere su certi episodi accaduti o cercavano di creare un nuovo modo di vedere il passato. Per quanto riguarda la Seconda Guerra mondiale, la cinematografia di tutto il mondo ha prodotto una quantità immensa di pellicole, che hanno più o meno affrontato tutti gli episodi del conflitto, dal 1939 al 1945. Alcuni fatti sono trattati in numerosi film, come per esempio lo sbarco in Normandia, altri invece sono stati trascurati per vari motivi, come la battaglia di Montecassino. La battaglia di Montecassino fu un fatto tragico della Seconda Guerra Mondiale in Italia. Si svolse tra il gennaio e il maggio del 1944 e faceva parte di una serie di combattimenti su quella che veniva definita la Linea Gustav, il fronte più lungo della guerra in Italia, dove furono impegnati eserciti delle più svariate nazionalità: Indiani, Nepalesi, Neozelandesi, Polacchi, Nordafricani, Canadesi,… 9 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La lotta fu influenzata da diversi fattori, come il territorio montagnoso, il maltempo, la preparazione dei soldati tedeschi, ma alla fine divenne l’anticamera della liberazione di Roma da parte degli Alleati anglo – americani. E’ da sottolineare il fatto che questa battaglia fu caratterizzata da un episodio drammatico che ebbe rilevanza internazionale: il bombardamento dell’abbazia di Montecassino, fondata nel 529 d.C. da San Benedetto da Norcia. Era in questo luogo che il Santo aveva creato la Regola Monachorum, fondamento di tutto il monachesimo occidentale. Essendo il monachesimo benedettino diffuso in ogni angolo del pianeta, il bombardamento ebbe una eco enorme, perché con lui se ne andava un monumento di inestimabile valore storico, artistico e morale. Nonostante l’importanza che ebbe la battaglia di Montecassino dal punto di vista storico, il cinema è stato avaro di pellicole sulle sue vicende. Esistono in tutto tre film che parlano diffusamente della battaglia e la cosa più interessante è che fanno parte di tre cinematografie differenti. Il più vicino agli eventi, cronologicamente parlando, è The story of G.I. Joe, girato a Hollywood da William Wellman nel 1945, quindi a meno di un anno di distanza dai fatti narrati; seguono Montecassino di Arturo Gemmiti del 1946, sempre molto vicino all’episodio, e ,infine, Die gruenen Teufel von Monte Cassino, film tedesco del 1958 girato da Harald Reinl. In realtà la prima pellicola non tratta interamante della battaglia in questione, ma parte dalla guerra in Africa per arrivare alla campagna d’Italia e, in particolare, alla battaglia di Cassino. Ogni film affronterà quindi la storia dal suo punto di vista, poiché diverse sono le loro nazionalità e il contesto storico in cui sono stati realizzati. 10 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Per gli Americani il fatto fu un errore di calcolo quando presero la decisione di bombardare il monastero, un fatto increscioso che, insieme alla lungaggine dei combattimenti e alle tante vittime, probabilmente contribuì a far sì che la battaglia non venisse più affrontata in altri film. Per gli Italiani fu una perdita enorme nel patrimonio nazionale e una tragedia che costò la vita a migliaia di persone rifugiate nel monastero. Per i Tedeschi uno degli episodi più felici di tutta la guerra, poiché il patrimonio artistico di Montecassino esiste ancora grazie al loro intervento, e perché sulla linea Gustav diedero filo da torcere all’esercito alleato. Lo scopo di questo lavoro è di capire in che modo i tre film in questione affrontino la battaglia dal punto di vista storiografico, scoprendo fino a che punto la finzione cinematografica sia influenzata dalla verità storica. Sarà interessante osservare i punti di vista così differenti delle tre pellicole, i fatti su cui si soffermano di più e quelli, invece, che vengono falsati o modificati, e soprattutto il perché di queste operazioni. Per fare questo è stato di vitale importanza l’apporto dei diari di guerra dei monaci che hanno vissuto all’interno del monastero fino a dopo il bombardamento e i diari degli ufficiali, sia tedeschi che alleati, che tante pagine hanno scritto su questo periodo. Allo stesso modo è stata indispensabile la visione dei documentari d’epoca, che mostrano le immagini reali di quegli scontri, e che spesso vengono montate in questi film insieme al girato del regista per la rappresentazione delle scene di guerra vera e propria. Si è cercato, nella raccolta del materiale, di non tralasciare i diversi punti di vista che riportano i fatti, attingendo dalle tre storiografie in questione, mentre nella prima parte il 11 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. lavoro è stato svolto soprattutto sulle cinematografie dei Paesi di produzione dei film nei periodi in cui questi sono stati prodotti. Nel testo, per meglio mostrare i fatti, sono state riprodotte sia fotografie dell’epoca che immagini tratte dalle pellicole con macchina fotografica digitale, mentre in appendice si trovano alcuni documenti di grande importanza nell’economia del discorso, alcuni proprio dal punto di vista storico, altri da quello filmico. 12 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 1. IL CINEMA E LA STORIA 1.1. Che cos’è un film storico? Molti studiosi hanno provato a definire il genere cinematografico del film storico, che tanta importanza ha avuto fin dalla nascita del cinema e che continua ad averne ai giorni nostri. Per Pierre Sorlin, importante storico francese che si è dedicato allo studio dei film come documenti, il concetto di film storico, con le sue peculiarità, è un accordo tra chi lo produce e il pubblico che ne fruisce; la caratteristica principale dei film storici “ è che vengono definiti in base a una disciplina del tutto esterna al cinema;infatti non esiste un termine specifico per definirli, e quando ne parliamo ci riferiamo allo stesso tempo al cinema e alla storia”1.Il passato nel film deve essere storico,non vago, riconoscibile, dal pubblico che lo guarda , che, appartenendo alla stessa società, ha in comune una cultura e un patrimonio storico. Guido Fink, storico del cinema che ha preso parte al dibattito sul rapporto tra cinema e storia , afferma che “ la verità- e non la pedestre rassomiglianza o la prigione avvilente dell’accaduto – rimane la sola via feconda…Il film storico costituisce un doppio viaggio nel passato- nell’epoca messa in scena e nell’epoca nella quale il film fu realizzato”2. La leggenda cavalca al fianco della storia, nella luce magica e diffusa di un’aureola; ma la verità segue un sentiero solitario… Quando si voglia portare sullo schermo la storia, occorre seguire il solitario sentiero della verità, che non sempre è comodo… 1 P.Sorlin, La storia nei film.Interpretazioni del passato, p.19 Il dibattito tra gli storici francesi è raccolto nel libro Passato ridotto.Gli anni del dibattito su cinema e storia, a cura di G.M.Gori (citazione di Fink p. 121 ) 2 13 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Parlo ai lettori europei, e soprattutto italiani, che so scaltriti in questo problema dalle grandi discussioni che nel periodo romantico ebbero luogo sul tema del romanzo storico. L’Italia soprattutto possiede il magistrale trattato di Alessandro Manzoni sui componimenti misti di storia e invenzione. Il dissidio è sempre lo stesso e si perpetua nel caso del film storico: fino a qual punto l’artista possa, con la propria libertà di creatore, lasciar spaziare la fantasia, a fin dove invece debba sottostare al rigore della verità. Queste parole di Cecil B. DeMille sono citate da Claudio Montesanti nel congresso tenutosi a Roma dal 22 al 24 giugno 1962 sul tema “Il film storico italiano e la sua influenza sugli altri Paesi”, per iniziativa della FIAF ( Federazione internazionale degli archivi del film), organismo che raggruppa le cineteche di tutto il mondo3. Nello stesso convegno Yvette Biro, cineasta ungherese, affermò: Riconducendo la storia sul piano della vita quotidiana e dando alla vita quotidiana prospettive storiche , il cinema, attraverso la sua nuova drammaturgia,esprime una tendenza nuova e interessante, quella di collegare nel modo più naturale l’evoluzione storica ai drammi individuali. In tal senso forse non è esagerato affermare che, nel nostro linguaggio quotidiano, abbiamo attribuito al concetto di film storico, un’accezione un po’ riduttiva. In realtà la storicità non consiste obbligatoriamente nell’evocare il tempo passato, nell’esprimersi “al passato”, ma piuttosto nell’esprimere questo nuovo rapporto tra l’universo e l’individuo.4 Queste sono solo alcune delle definizioni date dai critici che si sono interessati all’argomento. 3 4 Gli atti del convegno sono riportati sul numero speciale 1-2 1963 della rivista Bianco e nero. Il passo è tratto da P.Pintus, Storia e film .Trent’anni di cinema italiano( 1945 – 1975 ), p. 9. 14 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Il genere storico fu linfa vitale per il cinema delle origini, che giocava sulla fascinazione del “realmente accaduto”. Soprattutto avvenne nel cinema italiano degli anni Dieci, quando si poterono sfruttare i paesaggi bellissimi e le masse di disoccupati come comparse. In realtà per questi film fu coniata la definizione di “film in costume”, valida per tutti i film che piegano la storia a semplice pretesto adatto al massimo sfruttamento delle possibilità sceniche del cinema5. 1.2. L’uso dei film come documenti storici Il primo a sollevare il problema dell’archiviazione dei film e del loro possibile uso come documenti storici fu il cineasta polacco B. Matuszewski, che già nel 1898 pubblicò a Parigi un opuscolo dal titolo: “ Une nouvelle source pour l’ histoire. Création d’un dépôt de cinématographie historique”, che in seguito ampliò nel volume “ La photographie animée, ce qu’elle est, ce qu’elle doit être”. Secondo la sua teoria gli archivi fotografici e cinematografici sarebbero stati gli storici del futuro.6 Lo stesso sogno fu ripreso da diversi cineasti, tra cui David W. Griffith, che auspicava che nel futuro i film avrebbero preso il posto dei libri di storia.7 Nel 1947 fu la volta di Kracauer, che pubblicò “ Cinema tedesco. Dal “Gabinetto del Dottor Caligari” a Hitler.”8con il sottotitolo “Storia psicologica del cinema tedesco”. Egli sosteneva che attraverso la storia del cinema si potevano ricavare le disposizioni psicologiche profonde di un popolo in una fase specifica della sua storia.9Secondo Kracauer c’era un rapporto profondo fra l’evoluzione del cinema e l’evoluzione della società.Affronta quindi il problema della periodizzazione in modo più preciso di quanto 5 In G.M.Gori, Passato ridotto, p. 12. In P.Ortoleva, Cinema e storia. Scene dal passato,p. 1 7 P.Sorlin, op.cit., p.XLVII. 8 Pubblicato in Italia da Mondadori nel 1977. 9 P.Ortoleva, op.cit., p.44. 6 15 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. era mai stato fatto, mettendo in parallelo la produzione cinematografica con la storia della Germania, a partire dalla Repubblica di Weimar per arrivare al nazismo, cercando anche di isolare i generi narrativi più ricorrenti. Fu ,in sostanza, uno dei primi studiosi di cultura di massa che, nonostante le critiche ricevute, innovò profondamente il rapporto tra cinema e storia. Gli anni Cinquanta videro altri teorici confrontarsi con nuovi metodi di visione dei film. Warshow teorizzò la necessità da parte dei critici di vivere in primo luogo l’esperienza spettatoriale come atto conoscitivo complesso, fondendosi con il pubblico a cui un certo film è indirizzato10. Morin , dal canto suo, cerca di limitare il divario che esiste tra fiction e documentario, teorizzando la doppia natura reale e fantastica del cinema, da cui deriva che un’analisi del film dal solo punto di vista della realtà uccide l’effetto cinema11. E’ finalmente negli anni Sessanta che il film comincia ad essere usato come documento storico. Le diffidenze riguardo alle fonti filmiche cominciano a cadere, si inizia a considerare anche la testimonianza storica non verbale, che dapprima veniva scartata per la difficoltà che si incontrava a tradurre le immagini in testo senza banalizzare e per la consapevolezza che la verità proposta poteva essere incerta a causa della manipolazione dovuta al montaggio e alla messa in scena. Il primo tentativo di usare il film come fonte storica fu di Antonio Mura, che nel 1967 pubblica Film, storia e storiografia12, ma la sua esperienza è limitata ai film di documentazione, soprattutto al materiale grezzo, in cui cerca i frammenti di realtà. 10 R. Warshow, The Immediate Experience, Atheneum, New York 1971, citato in P. Ortoleva, Cinema e storia, p.54. 11 E. Morin, Sociologia del cinema ( 1954 ) , citato in P. Ortoleva, p.75 12 In P. Ortoleva, op. cit., p.9. 16 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Parallelamente in Inghilterra inizia tra gli studiosi britannici un dibattito sul tema, raccolto da P. Smith e pubblicato nel 1976 con il titolo The Historian and film. Ma è in Francia che, sempre negli anni Sessanta, questo dibattito viene approfondito13.La svolta metodologica e teorica avviene grazie a due fattori fondamentali: la nascita della Nouvelle Histoire e della mode- rétro. Ad aprire la strada alla Nouvelle Histoire è la pubblicazione delle Annales di Bloch e Febvre, due storici che considerano le fonti tradizionali inadeguate per documentare l’esistenza umana. Secondo la loro teoria tutte le fonti sono lecite quando lo storico le sa interrogare, anche la fonte filmica14. Dall’ altra parte “ il ripiegamento più o meno nostalgico su tutto quanto è passato, è del passato”,15la cosiddetta mode-rétro appunto, fenomeno tipico dei momenti di crisi che si manifesta qui in due modi: nei film che si fanno a partire dagli anni Settanta ( Novecento , L’albero degli zoccoli,…)e nella gran quantità di rassegne, retrospettive appunto, che portarono a un largo consumo del cinema del passato. Il convergere di questi due elementi favorisce una crescita di interesse verso il rapporto tra cinema e storia. Purtroppo il ricorso di fonti audiovisive nello studio della storia rimane, la maggior parte delle volte, semplice dichiarazione d’intenti, salvo poche eccezioni, di cui fanno parte Marc Ferro e Pierre Sorlin. Ferro è uno storico divenuto cineasta e responsabile dei film prodotti dalla Hachette – Paté ( Immagini della storia). Secondo lo studioso “ il primo compito dello storico è di restituire alla società la storia di cui gli apparati istituzionali la espropriano”.Deve ascoltare e filmare la gente comune e aiutare la società a prendere coscienza della 13 G.M.Gori (a cura di), Passato Ridotto.Gli anni del dibattito su cinema e storia. Sull’argomento sono da tenere in considerazione anche i volumi di M. Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, e di F. Braudel, Storia, misura del mondo. 15 G.M.Gori ( a cura di), Passato Ridotto, p.10. 14 17 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. mistificazione operata a apparati monopolizzatori che hanno la facoltà di essere l’unica fonte della storia16. Ferro teorizza il cinema come “agente” della storia in quanto “ i suoi pionieri intervengono nella storia con film documentari o narrativi che, […] sotto la copertura della rappresentazione, indottrinano e glorificano”. Il cinema e la storia per Ferro si potrebbero coniugare su tre terreni solamente: film come fonte; film come “agente”, cioè soggetto storico degno dell’attenzione della ricerca, in particolare storico- politico; film come strumento di narrazione del passato. Inizia nel 1967 la sua lettura storica del film e la lettura cinematografica della storia. Ferro teorizza inoltre diversi modi per guardare il film storico: una positivista, in cui il film viene controllato da un’équipe di esperti che ne verificano l’attendibilità e l’aderenza alle fonti; un’altra in cui si considera permesso ogni tipo di compromesso e sovversione che sia funzionale all’ideologia del film; un’ultima che propone l’uso del supporto romanzato, e dove l’ordine delle riprese sorge dall’immaginario storico. Sorlin, dal canto suo, vuole fornire gli strumenti di lettura del genere cinematografico del film storico per analizzare l’autorappresentazione della società . Ma il passato per Sorlin è più che altro un pretesto per riorganizzare il presente: il film storico proietta nel passato problemi attuali, in altri casi costruisce una storia immaginaria; in altri ancora il passato è il rifugio delle contraddizioni del presente. Ritorna quindi la concezione di duplice viaggio nel passato, quello messo in scena e quello in cui il film è stato prodotto. Il film storico, per poter essere considerato tale, deve essere un film di finzione, con un passato riconoscibile e una base comune nel pubblico, che deve conoscere l’avvenimento di cui si parla, questo deve appartenere al patrimonio storico del gruppo. 16 M.Ferro, Cinema e storia.Linee per una ricerca, p.87. 18 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Sorlin cerca di proporre un tipo di analisi che consideri i vari elementi che compongono il film. Dai diversi tipi di voce narrante, che spesso compare in questo genere di pellicole, al tempo narrativo, che deve essere simbolico, ovvero deve contenere date importanti, al tempo di montaggio, alle prove che il regista sparge per il film per renderlo collocabile in un determinato momento storico ( giornali, lettere, foto,…). Il visibile è quel che appare fotografabile e presentabile sugli schermi in un’epoca data…Il cinema[…] mostra non già “il reale”, ma i frammenti del reale che il pubblico accetta e riconosce. Per un altro verso contribuisce ad allargare il territorio del visibile, a imporre immagini nuove.17 Grazie a questi storici il film storico ha conquistato sempre più importanza per lo studio e l’insegnamento della storia nelle scuole18. 1.3. Dal documentario alla fiction La grande invenzione del cinema risale alla fine del XIX secolo. Con esso nascono i cinegiornali, filmati brevi che mostravano al pubblico fatti importanti e personaggi. Fino al 1910, infatti, le sale cinematografiche non avevano una vera e propria programmazione: il pubblico entrava in sala per vedere una serie di filmati che di volta in volta proponevano eventi diversi. Erano per lo più eventi annunciati, come parate, feste, discorsi, mai fatti improvvisi, in quanto il cineoperatore, con tutta la sua attrezzatura non avrebbe potuto in un tempo ragionevole documentare episodi che iniziavano e finivano nel giro di poco tempo ( come, per esempio, una rivolta ), si potevano al massimo scattare delle fotografie. Nel 1908, essendo quello degli Stati Uniti il mercato più prolifico, le società che detenevano i brevetti si accordarono e fondarono 17 18 P.Sorlin, Sociologia del cinema,p. 253-254, citato in P.Ortoleva ,p. 40. P. Ortoleva, op.cit., cap.V. 19 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. la Motion Picture Patents Company, che aveva il monopolio della produzione e delle vendite in quel Paese.19 Il modello di questi cinegiornali non cambiò mai fino al 1960. Nel 1913, in Inghilterra, le prime associazioni decisero di darsi un regolamento di autocensura, per evitare qualsiasi eccesso che potesse nuocere all’affluenza di pubblico verso le sale: era il British Board of Film Censors. Dopo la prima Guerra Mondiale, le società europee non resistettero, e quelle americane conquistarono anche questo mercato. Già allora si producevano anche i cosiddetti film storici, ovvero film di finzione che proponevano fatti storici. E’ noto infatti che nel 1914 D.W.Griffith girò The birth of a nation ( Nascita di una nazione), che percorreva la vita di due famiglie americane durante la guerra civile, e che aprì le porte a quello che fu l’argomento più battuto dalla cinematografia statunitense. In Europa invece gli argomenti preferiti erano, per la Francia, la Rivoluzione Francese, mentre per l’Italia, il Risorgimento. In quel periodo però il pubblico italiano non aveva molto interesse per le battaglie per l’unificazione, essendo l’opinione pubblica contraria all’intervento dell’Italia nell’imminente guerra.20L’Inghilterra invece fu un caso a parte, con la sua grande industria documentaristica. Durante i regimi totalitari si sperimentano le grandi potenzialità che i film, sia fiction che documentari, hanno sulle masse. Diceva Trockij nel 1923: Il fatto che fino ad ora non abbiamo messo le mani sul cinema, prova fino a che punto siamo inetti, incolti, per non dire stupidi. Il cinema è uno strumento che si impone da sé, il miglior strumento di propaganda.21 19 P. Sorlin, La storia nei film, p.10. P. Sorlin, op.cit., p.38-39. 21 M. Ferro, op. cit , p.26. 20 20 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. I film di propaganda sono anche quelli che interessano di più gli studiosi, che ne analizzano il carattere politico e le ideologie, l’estetica con la quale certe tematiche vengono affrontate, le semplificazioni e le forzature. Le classi dominanti conoscono bene queste qualità del cinema e lo utilizzano per mostrare al popolo la realtà così come dovrebbe essere e per riscuotere il massimo consenso. Agli inizi degli anni Quaranta negli ambienti politici e cinematografici italiani si diffonde il grido d’allarme: “ Troppi film storici!”.Nel 1941 alla Camera il ministro della cultura popolare Pavolini e nel 1943 il suo successore Polverelli lamentano troppi film sull’Ottocento e auspicano una svolta verso l’attualità.22 Con la seconda Guerra Mondiale i film storici continuano ad essere prodotti. Già i film sulla guerra cominciano a presentarsi a guerra appena conclusa o addirittura ancora in corso ( nel caso specifico Montecassino di A. Gemmiti esce nel 1947 ,mentre del 1945 è The story of G.I.Joe di W. Wellman ), dando luogo a una storiografia nel suo farsi. Dice Sorlin : “ I film sono documenti di prima qualità, perché mostrano come gli Italiani vedevano se stessi, come consideravano che il mondo li vedesse” , e questo accade sempre nel film storico, che usa il passato per evocare il presente23. La nascita e lo sviluppo del neorealismo nell’immediato dopoguerra dà grande impulso a questo genere di film, che mettono, sullo sfondo di grandi storie, le vite comuni di persone semplici e vere. L’influenza è immediata e si fa sentire all’estero, fino negli Stati Uniti, dove si sviluppa negli anni Cinquanta il fenomeno delle teleplays: qui il neorealismo zavattiniano è ripreso per dare luce a storie che cercano di rendere 22 G.M.Gori, Insegna col cinema, p.143. L’autore riferisce le parole di questo dibattito: “ Il nostro cinema si è troppo rifugiato nell’Ottocento, cioè in un mondo lontano che non rappresenta più la nostra sensibilità.”, a cui fa riferimento anche J. Gili, Film storico e film in costume, in R. Redi, Cinema italiano sotto il fascismo , Marsilio, Venezia, 1979. 23 P. Sorlin, op. cit, p.169. 21 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. spettacolare la vita di tutti i giorni ( Chayefsky, Mosel, Rose, Seding, sono alcuni dei registi specializzati in questo genere ) .24 Negli anni Sessanta c’è l’incontro di questo genere cinematografico con la storia, come già ricordato. La storia comincia ad entrare in modo massiccio nella televisione, poiché i documentari storici occupano in modo economico e vantaggioso la programmazione, con la conseguenza che gli storici non sono più gli unici a disporre di questo tipo di materiale, ma anche che aumenta il costo dei documentari audiovisivi per l’alta richiesta25. Anche le fiction a carattere storico continuano ad essere prodotte, ma con diversi problemi, poiché i governi sanno benissimo che la rappresentazione cinematografica rispecchia le idee del cineasta che la realizza e di chi vi lavora, e, pur non essendo asserviti a un regime come in passato, l’autore agisce comunque al servizio di una causa26. Esemplare per questo discorso si rivela la censura preventiva in Italia attuata dalla Legge Andreotti del 1949, con la quale l’allora sottosegretario allo spettacolo cercò di frenare soprattutto i film neorealisti e storici. Sul finire degli anni Quaranta e con l’inizio dei Cinquanta Andreotti attaccò in particolar modo Ladri di biciclette ( 1948 ) e Umberto D. ( 1952 )27, entrambi di Vittorio De Sica, e lo fece con una frase molto semplice: “ I panni sporchi si lavano in casa”, il che voleva significare che era meglio evitare di ricordare che in Italia esistevano ancora sacche di povertà e disperazione. 24 P.Pintus, op. cit., p.18. P. Sorlin, op. cit., p.5. 26 M. Ferro, op. cit, p.10 27 Andreotti, nell’attacco su Libertas a Vittorio De Sica, diceva: “E se è vero che il male si può combattere anche duramente mettendo a nudo gli aspetti più crudi, è pur vero che se nel mondo si sarà indotti – erroneamente – a ritenere che quella di Umberto D. è l’Italia della metà del secolo ventesimo, De Sica avrà reso un pessimo servizio alla sua patria, che è anche la patria di Don Bosco, del Forlanini e di una progredita legislazione sociale.” , in P. Pintus, op. cit., p 43. 25 22 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Fino ai giorni nostri il genere storico è stato molto battuto dai cineasti, con la differenza che oggi gli storici si interessano ad esso come a qualsiasi altro tipo di documento da studiare e con la consapevolezza che “un periodo storico non può essere rappresentato se il pubblico non è disposto ad interessarsi ad esso.28 1.4. La nuova storia del cinema Gli studiosi di storia sociale individuano nel fenomeno- film la mentalità collettiva, il pensiero medio della società. Anche Sorlin afferma che per capire un film è indispensabile considerare sempre la storia della mentalità della società che lo produce. 29 Il film costruisce il suo pubblico, definisce a chi vuole rivolgersi, anche se ogni opera può essere letta in vari modi, non solo da gente con cultura diversa, ma anche da gente che appartiene allo stesso ambito culturale a distanza di tempo.30Per questo è importante per lo storico fondersi col pubblico a cui un certo film è indirizzato, per capirlo. Il film inoltre è sempre realizzato da un’équipe di maestranze che si unisce, anche ideologicamente, per dar vita a un prodotto, e ha una sua storia, che si compie durante la lavorazione31. La nuova storia del cinema ha ridefinito l’oggetto dell’analisi. Al centro di questi studi non ci sono più soltanto il film in sè e il suo “autore”, ma i fenomeni sociali che precedono e accompagnano la produzione e la 28 P.Sorlin, op.cit., p.38. P.Ortoleva, op.cit., p.31. 30 M. Ferro, op. cit, p.16. 31 M. Ferro, op. cit., p.15. 29 23 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. ricezione del testo: l’apparato produttivo, la macchina distributiva, la pubblicità e la creazione di aspettative, l’accoglienza.32 Per collocare un film concretamente nel suo tempo è importante metterlo a confronto con altri che si accomunano per le condizioni di produzione e di distribuzione. Ortoleva a riguardo costituisce due “serie”di film: una “orizzontale” costituita da testi coevi connessi fra loro da omogenee condizioni produttive, convenzioni espressive, pubblico a cui si rivolgono; una “verticale” che mette a confronto testi filmici prodotti a distanza di tempo fra loro, ma sulla base di luoghi e convenzioni comuni.33 Di enorme importanza inoltre è il tentativo di insegnare la storia col cinema, introducendolo nelle aule scolastiche come oggetto di studio, alla stregua di qualsiasi altro documento storico.34 Esistono già notevoli risultati in questo senso, soprattutto dopo il decreto di riforma n° 682 del 4 novembre 1996, che modifica a tutto vantaggio del Novecento la scansione dei periodi storici affrontati nei programmi scolastici.35 32 P. Ortoleva, op. cit., p.17. P. Ortoleva, op. cit., p.119. 34 P.Ortoleva, op. cit, capitolo V. 35 Interessante per questo discorso l’esperienza di molte scuole, per citarne una l’istituto Pacioli di Crema, che con il progetto Cinema 2000 ha costituito una sua cineteca storica, grazie al professor Massimo Lori, e utilizza i film per lo studio degli avvenimenti storici. Il sito web di riferimento è www.pacioli.net. 33 24 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 2. IL CINEMA DI GUERRA 2.1. Che cos’è il cinema bellico? Il termine guerra deriva dalla parola germanica “werra” , che significa lotta, mischia, contesa, ma collettiva e organizzata1. Sul piano giuridico è l’uso delle forze armate da parte di uno Stato per raggiungere un fine imposto o permesso dal diritto internazionale, che non definiva quando una guerra era vietata, portando alla conclusione che ogni guerra poteva essere legittima. Sono generalmente definiti film di guerra quelli che trattano di battaglie per lo più contemporanee, del XX secolo , con qualche puntata alle guerre dell’Ottocento. Il cinema ha parlato delle guerre avvenute fin dall’antichità, ma film che narrano le vicende dell’Impero Romano o del Medioevo vengono piuttosto definiti film storici, o storico- epici, con fatti e personaggi ormai consacrati alla storia. Si parla di film bellici quando i conflitti narrati, poiché relativamente vicini ai nostri giorni, possono trasmettere un ideale o un’emozione che per gli altri casi si ferma alla semplice constatazione di spettacolarità2. I film di guerra sono sostanzialmente di quattro tipi: • i film a carattere interamente documentario; • i film a soggetto di guerra, dove grande importanza acquisisce il contenuto ideologico; • i film di rievocazione o ricostruzione; • i film a sfondo bellico, dove la guerra non si vede, ma crea l’atmosfera e determina gli eventi. 1 2 L.L.Ghirardini, Il cinema e la guerra, p.11. L.L.Ghirardini, op. cit. , p. 22. 25 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Nei periodi di guerra il cinema diventa strumento di propaganda, soprattutto nei Paesi a regime totalitario, dove l’iniziativa privata viene del tutto soppressa e l’unica forma di cinema è quella che cerca di convincere il pubblico della necessità della guerra, installando l’odio per il nemico. Nei Paesi non a regime totalitario l’iniziativa privata rimane, ma bloccata pesantemente dalla censura, che riflette le direttive degli organi del governo. Tra i film di guerra hanno importanza particolare quelli cosiddetti patriottici o nazionalistici, che esaltano la nostra guerra, non la guerra in generale, come necessaria per la salvezza della civiltà.3 In entrambe le situazioni politiche , comunque, ebbero vita difficile i film a istanza pacifista, perché mostravano il lato tragico della guerra, denunciavano gli orrori e le stragi, anziché fornire epiche immagini sull’eroicità dei soldati che sacrificavano la loro vita per la patria. Già durante la prima Guerra Mondiale si poteva distinguere fra film bellicisti e pacifisti, in quanto sia le nazioni belligeranti che i pacifisti avevano capito l’importanza del cinema come strumento di propaganda. Dice Samuel Fuller, regista esperto di film di guerra, in un suo intervento su “American Film” del novembre 1976: “ Il film muto divenne l’agente pubblicitario della guerra. Surclassando i giornali, le riviste, i discorsi, i film commossero il mondo, facendo sì che il pubblico ridesse, piangesse, impazzisse, si aggregasse, combattesse. La magia del cinema rese la morte eroica, le mutilazioni autentiche, le mezze verità Vangelo.”4 3 L.L. Ghirardini, op. cit. , p.28. F. Montini, E il cinema prese il fucile contro la guerra, da Cineforum, mensile di cultura cinematografica,anno 22 num. 9 settembre 1982, p. 13. La citazione è tratta da “ Guerra da filman” apparso sulla rivista “American Film”. 4 26 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Progressivamente il cinema pacifista si è diversificato da quello bellicista , ha smesso di esserne semplicemente il negativo. Francesco Rosi , per esempio, reputa pacifista tutto il Neorealismo italiano, in quanto i film di Visconti, De Sica e Rossellini cercavano di affratellare gli uomini e, attraverso la critica delle ingiustizie sociali, stimolavano un’azione pacifica e costruttiva. Da un punto di vista quantitativo, i film di guerra superavano abbondantemente i film sulla pace, e questo probabilmente perché il cinema preferisce raccontare lo straordinario ( la guerra ) piuttosto che il normale ( la pace ). Ma la guerra è anche fatta di immagini che vengono trasmesse alle generazioni che non l’hanno mai vissuta, e queste immagini derivano principalmente dal cinema. Per questo il ruolo della cinematografia è fondamentale e di grande responsabilità, come rileva il critico Pietro Pintus: “ In un mondo mediologicamente omogeneizzato, lo spettro della guerra finisce con l’assumere, in immagini, il fascino sinistro dell’alta sofisticazione tecnologica e dà spazio all’amplificazione competitiva di un apocalittico quanto dissennato war game”.5 I film di guerra sono documenti necessari per capire un periodo storico, in quanto riflettono le tendenze del pubblico e le direttive dall’alto, sono il corrispettivo ideologico del governo. Il pubblico in particolar modo influenza anche i film di propaganda, che vengono modificati a seconda di chi dovrà guardarli. 5 F. Montini, art. cit., in Cineforum, anno 22 num. 9 settembre 1982, p. 16. Sempre in questa pagina è riportato un altro intervento di Fuller su “American Film”: “ Se ogni nazione facesse i film di guerra che indicassero i veri motivi che l’hanno spinta a entrare nel conflitto, ciò farebbe comprendere ad ogni soldato perché combatte. Questa comprensione non salverebbe la sua vita , ma c’è da sperare che qualcosa di essa potrebbe trasmettersi alle generazioni future, fino al punto che l’uomo non sarà più così facilmente e rapidamente indotto a farsi sparare in testa, plagiato da dittatori, politici, bandiere, tamburi, parate.” 27 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Non è quindi il punto di vista estetico che deve interessare principalmente chi studia un film di questo genere, poiché, come dice Balàsz “ nel cinema non è l’arte la cosa più importante.6 2.2. Il rapporto tra immagine e guerra E’ bene ricordare ora com’è nato il sodalizio tra mezzi di comunicazione e guerra, e per fare questo bisogna tornare indietro al 1854, ai tempi della guerra di Crimea e all’assedio di Sebastopoli. In quella città russa, tenuta sotto scacco dalle truppe anglo- francesi, è presente un noto testimone, Lev Tolstoj, capitano in seconda. E’ tra una pausa e l’altra dei vari combattimenti, direttamente sul campo di battaglia, che egli scrive i suoi Racconti di Sebastopoli, rivelando per la prima volta “in diretta” la drammaticità della guerra. Anche sull’altro fronte vi è una grossa novità: a bordo di un carro coperto che reca sulla facciata l’insegna “Photografic van”, arriva l’inglese Roger Fenton, attrezzato per il procedimento a lastre umide e fornito di una tenda da adibire a camera oscura. Sarà il primo fotografo di guerra. Purtroppo non c’è ancora la possibilità di documentare la battaglia vera e propria, a causa dei lunghi tempi di posa e delle apparecchiature complicate. Da quel momento in avanti non ci saranno guerra o conflitti senza la presenza dapprima di fotografi, in seguito di cineoperatori, infine di troupes televisive.7 La prima guerra ad avere una documentazione fotografica quasi esauriente fu la guerra di Secessione americana ( 1861- 1865 ). Non vengono ancora documentate le battaglie, i fotografi si tengono alla larga, ma il loro contributo iconografico sarà indispensabile per 6 7 L.L.Ghirardini, op. cit. , p. 30. L’immagine va alla guerra, in Cineforum , anno 22-num. 9 settembre 1982, p.17. 28 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. la realizzazione di film hollywoodiani che trattano l’argomento, primo fra tutti Via col vento di Victor Fleming del 1939. Da allora una schiera di fotografi itineranti andranno a documentare gli orrori della guerra, talvolta creando anche falsi che spesso fanno il giro del mondo ( per esempio durante la breccia di Porta Pia non ci sono fotografi a documentare, ma le foto circolano lo stesso, grazie agli operatori che nei giorni successivi hanno vestito e istruito comparse per creare la scena).8 Durante i conflitti Mondiali del Novecento i cineoperatori sono già sul fronte a documentare la vita dei soldati, le battaglie, le crudeltà, nei cosiddetti Combat film, come quello realizzato da John Huston durante la Campagna d’Italia ( 1943- 1945 ) della Seconda Guerra Mondiale, e intitolato The battle for S. Pietro, girato durante i combattimenti sulla linea Gustav. Negli Stati Uniti la produzione cinematografica era seguita con attenzione dall’alto comando militare quando lo stesso Pentagono non diventava produttore e distributore di film.9 Da allora in avanti ogni conflitto è documentato dalle immagini che le troupes televisive catturano per diffondere al grande pubblico. Infatti con la guerra totale si passa dal segreto militare ( verità differita dal campo di battaglia ) alla sovraesposizione della diretta, poiché con i bombardamenti strategici, tutto è ormai nelle vicinanze delle città, e non sono più in pochi ad essere spettatori sopravvissuti dai combattimenti, ma la massa. Le reti televisive americane diffondono informazioni 24 ore su 24, ma senza commento, solo immagini, che sono la materia prima della visione, il più affidabile possibile.10 8 Cineforum, anno 22 – num. 9 settembre 1982, p.18- 19. P.Virilio, Guerra e cinema.Logistica della percezione, p. 20. 10 P. Virilio, op. cit. , p. 93. 9 29 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 2.3. Il cinema hollywoodiano e la guerra Nel corso del secondo conflitto mondiale, il cinema hollywoodiano trattò moltissimo il tema bellico o antinazista. Il governo e gli interventisti ritenevano che film di questo genere avrebbero potuto spronare la gente a combattere e cercarono perciò di incoraggiarli in ogni modo. Si calcola che fra il 1942 e il 1945, Hollywood, la più importante "fabbrica cinematografica" del mondo, abbia prodotto circa cinquecento lungometraggi a tema bellico, per non parlare poi di quelli che, sullo stesso argomento, vennero girati anche negli anni a venire. La proliferazione di film sul tema è imputabile in parte al desiderio degli Americani di capire di più su questo conflitto, in cui si erano trovati a combattere, loro malgrado, dal 1941, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor. Le sofferenze e i disagi che la popolazione era costretta a sopportare erano numerosi e riuscire a trovare una risposta ai propri quesiti era desiderio comune; il cinema poteva essere un valido aiuto: le case produttrici non si lasciarono sfuggire l’occasione che per loro era pochissimo umanitaria e molto economica e cominciarono a trattare la guerra in tutte le sue sfumature. Nel 1934, Hollywood, sotto la pressione di molti addetti ai lavori e di molti cattolici, dopo i disagi della Grande Depressione, era arrivata a stilare un codice di autoregolamentazione, in base al quale dovevano essere girati solo film di evasione: il cinema, d’ora in poi, avrebbe dovuto essere esclusivamente occasione di divertimento. Le tematiche sociali subirono una brusco calo di interesse da parte di produttori e registi: la gente aveva il diritto di divertirsi, almeno al cinema.Non potendo considerare la guerra un soggetto leggero o spensierato, per affrontarlo Hollywood andava contro le disposizioni di qualche anno prima, ma, questa volta, precisi ordini vennero dall’alto; governo e studios si accordarono: Roosevelt e gli interventisti, decisi a prendere parte al 30 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. conflitto mondiale, capirono che il cinema era un mezzo insostituibile per trascinare l’America a combattere e fecero di tutto per sfruttarlo a dovere. 11 Del resto, pare che il presidente avesse una dote innata di comunicare e fosse abilissimo ad utilizzare i mass media a suo vantaggio. Non bisogna scordare poi che negli anni Trenta e Quaranta il cinema aveva un potere unico sulle masse. La gente veniva influenzata dal cinema e Roosevelt dimostrò di averlo compreso benissimo. Il presidente decise di circondarsi di una valentissima équipe di collaboratori, che avrebbero dovuto svolgere una funzione di mediazione fra la sua politica e Hollywood, tra cui i famosi e apprezzati giornalisti : Elmer Davis, commentatore radiofonico (messo a capo dell’Ufficio di Informazioni militari), Lowell Mellett (a guidare l’Ufficio pellicole dell’OWI (Office of War Information). Con l’aiuto dell’OWI che, per trattare di cinema, si appoggiava al "Bureau of Motion Pictures", il governo cominciò a plasmare il contenuto dei film; gli ufficiali responsabili imponevano determinati soggetti, ne proibivano altri, pretendevano di leggere tutte le sceneggiature, intervenendo e apportando modifiche. Spesso nascevano equivoci e incomprensioni con gli scrittori dei dialoghi e con i registi, ma il governo esigeva piena libertà di azione: prima che si iniziasse la lavorazione di qualsiasi lungometraggio, il via libera doveva venire dall’OWI. E’ da ricordare fra l’altro, che nel corso del conflitto molti sceneggiatori si unirono, dando corpo alla "Hollywood Writers’ Mobilization", un organismo indipendente animato dall’unico desiderio di vincere la guerra; il governo era contento di potere contare sempre sul loro appoggio: essi scrivevano discorsi, opuscoli, sceneggiature di film, tutti di netto orientamento interventista e militarista. Nel frattempo, gli equilibri 11 C.Koppes e G.Black, La guerra di Hollywood. Politica, interessi e pubblicità nei film della Seconda Guerra Mondiale, p. 21-26. 31 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. politici e le prese di posizione naziste cominciavano a creare dei problemi ai produttori hollywoodiani che, fino alla fine degli anni Trenta, dipendevano economicamente dal mercato mondiale (il 40% degli incassi proveniva infatti d’oltreoceano). I nazisti iniziarono col chiedere che tutti gli impiegati non ariani venissero licenziati: gli studios obbedirono in parte, licenziando solo i loro dipendenti in Germania. Seguirono poi, nel Reich, le "Leggi di Norimberga" : furono proibiti i film interpretati da attori ebrei e si stabilì che solamente venti lungometraggi americani potessero essere proiettati in Germania. Il 17 agosto 1940, vietarono del tutto i film americani nel territorio sotto il loro controllo. Man mano che questi provvedimenti aumentavano e che il pericolo della guerra per l’America cresceva, gli studios assunsero un netto atteggiamento interventista, in linea con la politica del Presidente. Oltretutto, l’OWI rilasciava i permessi di esportazione delle pellicole e controllava la loro proiezione nelle zone libere o liberate dall’invasione nazista: visto che dall’estero, come già ricordato, arrivava una notevole parte del guadagno, i produttori trovavano utile obbedire alle direttive governative. L’OWI non si limitava a dare dei consigli generici a Hollywood. Nel 1942 infatti, stilò addirittura un "Manuale informativo del governo per l’industria cinematografica". I produttori di film, prima di cominciare la lavorazione di un’opera, si sarebbero dovuti quesiti12,non proprio cinematografici: soffermare su questa lunga serie di "1-Questo film ci aiuterà a vincere la guerra? 2-Quali informazioni belliche si richiedono per chiarire, drammatizzare o interpretare il problema? 3-Se si tratta di un film d’evasione, danneggerà lo sforzo bellico creando una falsa 12 Koppes- Black, op. cit., p 78. 32 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. immagine dell’America, dei suoi Alleati, o del mondo in cui viviamo? 4-Il film usa semplicemente la guerra come sfondo solo per incassare più soldi, non contribuendo con alcunché di significativo allo sforzo bellico e magari riducendo gli effetti che potrebbero avere altri film di maggiore impegno? 5-Contribuisce con qualcosa di nuovo alla nostra comprensione del conflitto mondiale e delle varie forze che vi sono coinvolte, o il soggetto è già stato sufficientemente sfruttato? 6-Quando il film raggiungerà la massima distribuzione, rifletterà le condizioni così come saranno e riempirà un bisogno di quel preciso momento, o sarà già superato? 7-Il film è veritiero o hanno ragione i giovani d’oggi di dire che sono fuorviati dalla propaganda?” Le polemiche sollevate dagli isolazionisti, arrivarono rapide e pesanti: accusarono Hollywood di produrre film propagandistici e incolparono il governo di plagiare gli studios.Per gli oppositori non c’era ragione di intervenire in questa guerra. Comunque, fino all’attacco di Pearl Harbor, non si può ancora parlare di film di guerra veri e propri, con uomini impegnati in imprese belliche, su campi di battaglia e in operazioni di prima linea, a meno che non si tengano in considerazione quei pochissimi film (come I fucilieri delle Argonne –The Fighting 69th- di William Keighley del 1940 o Il sergente York ( Sergeant York) di Howard Hawks del 1941) in riferimento però alla prima guerra mondiale. Fino al 1941 compaiono piuttosto opere antinaziste: Confessione di una spia nazista (Confessions of a Nazy Spy), del 1939, di Anatole Litvak, è al proposito un film molto significativo, che racconta la storia di agenti del governo a caccia di nazisti. Litvak, con questo film, innescò nel pubblico un vero e proprio incubo da spia. 33 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La palma al merito, nel genere antinazista, va però a The great dictator (Il grande dittatore) di Charlie Chaplin.13 L’attore e regista inglese scelse di prendere Hitler a soggetto di un suo film sul finire degli anni Trenta, quando gli mostrarono alcune fotografie con il capo dei nazisti durante un discorso. Chaplin riconobbe in Hitler alcuni tratti somatici tipici del suo personaggio. Decise dunque di girare un film interpretando il doppio ruolo di oppresso e oppressore, un barbiere ebreo e il capo dei nazisti. Come è tipico di Chaplin, il soggetto è trattato in chiave comica, una comicità però, venata di satira pungente e di riflessioni drammatiche e dolorose,e il discorso vale soprattutto per quanto riguarda la critica del nazismo e del razzismo. La guerra, infatti, combattuta in nome della salvaguardia della democrazia, è sacrosanta e doverosa, i soldati non sono invitati a gettare le armi, bensì a combattere in nome della libertà.14 Alcune sequenze sono puramente "comiche",altre invece più angoscianti. Alcuni cammei rimarranno sicuramente nella memoria del cinema, come quando il dittatore balla, lento ma esaltato, sul preludio del Lohengrin di Wagner, facendo volteggiare in aria un pallone che rappresenta il mondo, che alla fine gli scoppia fra le mani; significativamente contrapposta a questa danza, c’è quella del barbiere ebreo, sulla marcia ungherese di Brahms. Chaplin, fin dall’inizio del film, prende delle posizioni chiare contro il nazismo; questa infatti è la didascalia di apertura: "Questa storia si svolge tra le due guerre mondiali, in un periodo in cui la pazzia prese il sopravvento, la libertà fu calpestata e l’intera umanità gravemente bistrattata ". La chiave comica fu utilizzata in altri film sull’argomento, in modi diversi: Lubitsch tentò di ridere dei nazisti con Vogliamo vivere ( To Be or not To Be )del 1942, 13 Già nel 1918 Chaplin aveva fatto una feroce satira della guerra con Shoulders arms (Charlot soldato), in cui criticava sia il Kaiser Guglielmo che gli alleati Poincarè e il re d’Inghilterra. In L. L. Ghirardini, op. cit. ,p. 269. 14 L.L.Ghirardini, op. cit., p.270. 34 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. ricostruendo ironicamente la presa della Cecoslovacchia, ma sollevò delle polemiche; molti infatti sostenevano che era immorale ridere di una situazione che stava mietendo migliaia di vittime. Walt Disney poi realizzò un’opera antinazista nel 1943, Il volto del Fürher, in cui compariva Paperino nelle insolite vesti di un oppositore del nazismo. L’idea di immettere l’antinazismo in film di divertimento, fu del resto sempre sostenuta anche dall’OWI: "La via più facile per instillare un’idea propagandistica nelle menti di molte persone è di contrabbandarla attraverso film d’intrattenimento, perché chi li vede non si rende conto che le state propagandando". Anche Alfred Hitchcock, arrivato ad Hollywood dall’Inghilterra, realizza con Il prigioniero di Amsterdam ( Foreign Correspondent )del 1940, un interessante film antinazista. Questo ed altri del periodo (come ad esempio Maschere e pugnali – Cloak and Dagger- del 1946 di Fritz Lang, o La casa della novantaduesima strada –The House on 92nd St.-di Henry Hathaway) si avvicinano molto al genere poliziesco, attraverso intrighi e trame di spionaggio (del resto sono gli anni in cui il genere noir prende piede). Il soggetto bellico compariva perciò con una frequenza sempre crescente: il governo lo imponeva, la gente lo gradiva e i produttori, incassando, lo mettevano un po’ ovunque. La guerra poteva fare da sfondo ad una storia d’amore, o accompagnare le vicissitudini di qualche eroe solo contro tutti. Perfino Tarzan nel 1942, si trovò a combattere a fianco degli alleati, in Il trionfo di Tarzan ( Tarzan Triumphs) 15 Talvolta la guerra era vista dall’angolazione di chi ne subiva le conseguenze senza prenderne parte, come in Da quando te ne andasti ( Since You Went Away)di John Cromwell del 1944, dove sono messe in luce le difficoltà di alcune donne che attendono il ritorno dei loro uomini. Anche La signora Miniver (Mrs Miniver ), di W. Wyler del 15 Koppes- Black, op. cit.,p.72. 35 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 1942 si inserisce nello stesso genere, trattando di una famiglia inglese che subisce i disagi del conflitto. Altre volte capita che elementi fantastici entrino in film di guerra, come in Joe il pilota ( A Guy Named Joe ) di Victor Fleming del 1943, dove il protagonista, morto durante un combattimento, ritorna come fantasma, visto dal pubblico ma non dagli altri personaggi. Spesso l’intento persuasivo è implicito (ma proprio per questo più sottile e incisivo), perché alcuni film sono ambientati in anni antecedenti a quelli del conflitto mondiale; come ad esempio in Il sergente York 16 di Howard Hawks, del 1941, in cui Gary Cooper interpreta la parte di un contadino del Tennessee obiettore di coscienza, che sentendo il dovere di combattere diventa un eroe: un chiaro messaggio rivolto a tutti i giovani esitanti ad imbracciare le armi. Altri film privilegiano maggiormente il tema della resistenza, come Il giuramento dei forzati (Passage to Marseille, 1944) di Michael Curtiz, Anche i boia muoiono (Hangmen Also Die, 1943) e Il prigioniero del terrore (Ministry of Fear,1945), entrambi di Fritz Lang. 17 Ma il film più noto, a tema resistenziale, è sicuramente Casablanca18( M. Curtiz , 1942 ): facendo leva sul fascino di Humphrey Bogart e Ingrid Bergman e sul romanticissimo leit-motiv al pianoforte, ottenne un successo davvero notevole . Questo film, incentrato sulla resistenza, voleva dimostrare che, anche se il nemico è forte, le coscienze degli oppressi possono restare salde e vigili. Una delle scene più toccanti è al proposito quella in cui, nel locale gestito da Rick (il gelido Humphrey), tutti si alzano in piedi a cantare La Marsigliese, sfidando l’ira dei tedeschi: lo spirito di libertà e indipendenza dei popoli 16 L.L.Ghirardini, op. cit., p.220-221. Lang , di nazionalità austriaca, inizia la sua carriera di regista in Germania per l’UFA.Nel 1934 si trasferisce negli Stati Uniti, come molte altre personalità della cultura tedesca. 18 Koppes- Black, op. cit., p. 318- 321. 17 36 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. non si può sopraffare. Messaggi dunque, di incitamento, di rafforzamento delle coscienze, di spinta ad agire. Quello che emerge limpido e chiaro, però, è che almeno fino alla fine del decennio, non compaiono film di critica alla guerra, o per lo meno antimilitaristi. L’intento di convincere il pubblico sulla necessità del conflitto era evidente. Anche l’esercito , e non solo il governo, cercava di utilizzare il cinema per sostenersi. Decise quindi di affidare a Frank Capra19 la regia di sette film da mostrare alle reclute, che documentassero la presa di potere nazista e fascista in Europa, e militarista in Giappone. Capra, già celebre per Accadde una notte ( It Happened One night)e Mr. Smith va a Washington (Mr. Smith Goes to Washington), era entrato nell’esercito americano dopo Pearl Harbor ed era riuscito ad ottenere il grado di colonnello. In questi documentari, strutturalmente un po’ schematici e ripetitivi, emergono tratti tipici della sua produzione: il didascalismo per esempio, ossia il desiderio di insegnare, di trasmettere soprattutto alla gioventù, valori positivi. Interessante è l’excursus storico che Capra compie di ogni nazione trattata, dal punto di vista del popolo. Il primo dei sette film che girò,Why we fight- Vigilia di guerra, vinse nel 1942 un Oscar come migliore documentario e Roosevelt, visto l’enorme successo, decise di distribuirlo nelle sale. Ci sono delle caratteristiche che emergono comuni, in quasi tutti i film sulla guerra realizzati nel periodo bellico: l’immagine del nemico per esempio; i lungometraggi furono sempre molto critici nei confronti del nazismo. Importante è però sottolineare come Hollywood tenesse a distinguere tedeschi buoni da tedeschi cattivi.20 L’OWI cercò sempre di separare il concetto di nemico ideologico, da quello di nemico razziale: non erano una razza o un paese intero a comportarsi male, ma alcune persone fedeli di 19 20 Koppes- Black, op. cit., p.318- 319. L.L. Ghirardini, op. cit, p. 240 37 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. un’ideologia sbagliata. Non aveva senso quindi ispirare odio nei confronti delle masse. Ben diversamente il cinema si comportò con i nemici giapponesi, che non erano trattati come uomini, individualmente, ma nella loro totalità, come una razza spietata e crudele. In Little Tokyo, USA21 ( Twentieth Century Fox, 1942 ) si cercava addirittura di giustificare l’arresto di tutti i discendenti giapponesi. In Gung Ho! 22( Universal, 1943) i giapponesi venivano rappresentati come orde di selvaggi. Frank Capra in Know Your Enemy- Japan (1945)23 paragonava i giapponesi a delle "copie ottenute da uno stesso negativo". Gli americani non sopportavano i loro nemici asiatici: nel 1944 un sondaggio accertò che il 13 % degli americani voleva uccidere tutti i giapponesi e nel 1945, dopo Hiroshima e Nagasaki, il 22 % disse che avrebbe preferito che fossero state sganciate più bombe atomiche sul Giappone. Koppes e Black hanno avanzato l’ipotesi interessante che questa differente rappresentazione, nei film, dei nemici europei e asiatici, sia dipesa dalla diversità dei luoghi in cui la guerra venne combattuta: in Europa ci si batteva in zone civilizzate, in città e campagne abitate e quindi anche i nemici erano visti come uomini. Sul versante Pacifico invece, la guerra si svolgeva in luoghi inospitali, che facevano considerare i nemici alla stregua di selvaggi. Pure l’immagine degli americani risulta piuttosto statica, anche se, come è ovvio, diametralmente opposta a quella dei giapponesi; quando sono in guerra, questi bravi ragazzi pensano spesso a moglie e figli (frequenti i flashes back e i sogni), combattono conservando nel loro cuore l’ideale della famiglia, per lasciare un mondo migliore alle generazioni future. Vengono sottolineati valori tipicamente americani come la semplicità, la lealtà, il coraggio. Altri film vogliono insistere invece sulle imprese valorose ed eroiche compiute dai 21 Koppes- Black, op. cit., p. 87. Koppes- Black, op. cit., p.293- 294 23 Koppes- Black, op. cit., p. 279- 280. 22 38 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. soldati americani, pronti, con coraggio e temerarietà, anche a rischiare la vita: così è per I forzati della gloria ( The Story of G. I. Joe ) del 1945 di Wellmann, I sacrificati ( They Werw Expendable )del 1945 di Ford e Montgomery, Forze aeree/ Arcipelago in fiamme ( Air Force )del 1943 di Hawks. C’è chi poi ha voluto criticare l’immagine delle donne nei film di guerra, spesso dipinte come totalmente dipendenti dall’uomo, soprattutto psicologicamente, prive di desideri e aspirazioni. Frustranti erano anche i ruoli interpretati dai neri durante questo periodo- e non solo nei film di guerra -,sempre gli stessi: donne robuste addette ai lavori domestici (tipo la Mami di Via col vento), braccianti occupati nelle faccende più umili, abili ballerini di tip tap. "In generale i neri sono presentati come fondamentalmente diversi dalle altre persone, senza alcuna parte di rilievo nella vita della nazione, persone che non offrono nulla, non contribuiscono, non s’aspettano nulla": questo compare in un’analisi dell’OWI del 1943.24 Il governo cercò di opporsi a tale rappresentazione delle persone di colore, controproducente per la guerra: anche i neri, che comunque costituivano una percentuale importante della popolazione americana, dovevano essere stimolati dal cinema a combattere; dovevano quindi essere impiegati in ruoli significativi. C’era dunque un preciso interesse politico nel tentativo di migliorare l’immagine dei neri nei film: rendere più valido il loro apporto alla guerra. Di fatto però non si riuscì, negli anni della guerra, a proporre delle modifiche significative; uno studio della Columbia University del 194525 rilevò che, nei film usciti durante la seconda guerra mondiale, il 75% dei neri erano figure stereotipate, il 13% prive di rilievo e solo il 12% erano positive. L’unica soluzione, se così si può dire, che 24 25 Koppes-Black, op. cit., p. 201 Koppes- Black, op. cit., p. 207. 39 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. si riuscì a trovare, fu quella di eliminare i ruoli interpretati dai neri, riducendo però in questo modo le possibilità di lavoro agli attori di colore: ossia, per evitare di vedere i neri nella stesse parti trite e ritrite, li si toglieva del tutto. Nei lungometraggi girati durante il periodo bellico, si possono dunque riscontrare dei messaggi costanti, delle caratteristiche comuni che rimbalzano identiche di film in film. Non mancarono casi in cui la personalità del regista riuscì comunque ad esprimersi in modo netto e deciso ( Il grande dittatore, per esempio); più frequentemente però si assistette alla produzione di opere schematiche e ripetitive, animate unicamente dallo scopo di presentare quella guerra come un evento positivo, 40 portatore di bene. E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 2.4. Il cinema di guerra italiano dopo il secondo conflitto mondiale Il primo film italiano di qualche rilievo fu La presa di Roma di Filoteo Alberini del 1905, pellicola di genere storico che narrava le gesta del 1870. Già da allora si capì che la guerra era un elemento dotato di grandi capacità spettacolari. Si produssero film bellici durante la prima Guerra Mondiale ( La guerra e il sogno di Momi del 1916, Maciste alpino del 1917),ma il pubblico di allora voleva vivere la guerra come esperienza sentimentale e culturale. Sull’opposto versante della documentazione molti furono gli operatori mandati al fronte26. Con l’avvento del fascismo si celebravano le guerre coloniali ( Kiff Tebby di Mario Camerini del 1928 ), e arrivando in prossimità del secondo conflitto mondiale la produzione di pellicole di genere bellico aumentò ( Le scarpe al sole di Marco Elter del 1935, Il grande appello di Camerini del 1936, dello stesso anno Squadrone bianco di Augusto Genina e del 1938 Luciano Serra pilota di Goffredo Alessandrini) , fino a toccare il suo culmine durante la guerra. Nell’immediato periodo postbellico e per tutto il decennio successivo, l’Italia produsse una buona quantità di film di questo genere, tra di loro divisibili in vari filoni che toccano ogni aspetto del conflitto appena concluso, e non solo quelli che riguardano da vicino le vicende vissute dal popolo e dagli eserciti italiani. Per vent’anni dopo la guerra vengono realizzati film di montaggio, ovvero opere che trattano l’argomento bellico assemblando spezzoni documentari provenienti da tutto il mondo , come nel caso del primo di questi film, Guerra alla guerra di Romolo Marcellini e Giorgio Simonelli del 1946. Prodotto dalla Orbis Film, società legata alla Chiesa, il documentario dimostra come l’assemblaggio delle immagini rifletta la volontà 26 G. P. Brunetta, Storia del cinema italiano 1895- 1945, Roma, Editori Riuniti, 1979, pp. 190- 191. 41 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. dei cineasti di mettere in buona luce la figura di papa Pio XII non citando neppure l’olocausto, che si svolse sotto il suo pontificato27. Altre volte, invece, non si ha una vera e propria presa di posizione, come nel caso di Continenti in fiamme, realizzato da Cesare Rivelli nel 1955 con materiale derivante dai cinegiornali di tutta Europa. Ma questo genere di film trova la scarsa adesione del pubblico, che è restio a rivivere quei momenti, e preferisce i film di fiction, che cominciano ad affrontare le diverse fasi della guerra. Il primo film del dopoguerra che tratta delle battaglie combattute sul fronte africano è Teheran, una coproduzione italo- inglese del 1946 realizzata da William Freshman e Giacomo Gentilomo. Affrontando il tema dell’attentato progettato dai nazisti contro Roosevelt, inaugura un filone che avrà seguito negli anni Sessanta con film come Attentato ai tre grandi e Uccidete Rommel!. Le pellicole degli anni Cinquanta sulla guerra in Africa riprendono le velleità eroiche dei film di guerra fascisti, creando una continuità ideologica col passato: si tratta di La pattuglia dell’Amba Alagi ( Flavio Calzavara, 1953), Divisione Folgore ( Duilio Coletti, 1954), El Alamein ( Guido Malatesta, 1957). Solo negli anni Sessanta ci sarà un cambiamento di rotta verso gli aspetti più personali dei personaggi, che trasformano i combattimenti in una sorta di guerra privata, e questa influenza arriva dagli Stati Uniti, che con la Guerra Fredda e la fine del maccartismo, danno una svolta al cinema bellico.28 Per quanto riguarda il fronte greco e quello orientale, rimane a livello di progetto L’armata Sagapò, che denuncia il comportamento delle truppe italiane nei confronti delle donne greche, e che costa a Renzo Renzi, critico che scrive per la rivista “ Cinema 27 Il saggio di M. Flores contenuto in La cinepresa e la storia, dal titolo Storia e falsificazione filmica ( p. 74 ) offre un approfondimento sulla non oggettività dei film di montaggio. 28 L.L.Ghirardini, op. cit., p. 16. 42 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Nuovo” , una denuncia, un arresto e un processo da parte del Tribunale Militare di Milano solo per averne parlato in un suo articolo29. Nel 1956 Osvaldo Langini, su questo argomento, realizza Ciao Pais!, che richiama Le scarpe al sole di Marco Elter del 1935, mentre della fine della cavalleria italiana nelle steppe della Russia parla Carica Eroica, di Francesco De Robertis del 1952. La campagna d’Italia, iniziata con gli sbarchi alleati del 1943 e conclusa con la liberazione dell’intera penisola nel 1945, fu trattata con continuità nei film dagli anni Quaranta in avanti, con i primi esempi già nelle pellicole della Repubblica di Salò. Il primo film del dopoguerra su questo argomento è Montecassino di Arturo Gemmiti del 1946. Prodotto dalla Pastor Film, altra società legata alla Chiesa, affronta l’episodio del bombardamento della celebre abbazia benedettina con intenti neorealistici e documentari30. Dello stesso anno è Ultimo amore di Luigi Chiarini, che risulta però essere un film sentimentale ambientato durante la guerra, mentre del 1948 è La grande strada di Vittorio Cottafavi, che apre la via al melodramma di ambientazione bellica. Durante gli anni Cinquanta vengono prodotti, sempre riguardo ai combattimenti in Italia, Trieste mia ( Mario Costa, 1951), Penne nere ( Oreste Biancoli, 1952), e Napoli ’43, episodio diretto da Roberto Rossellini per il film Amori di mezzo secolo del 1953, mentre gli anni Sessanta vedono il già citato spostamento di punto di vista dall’aspetto corale della guerra agli episodi personali31. Mentre lo sbarco in Normandia e l’occupazione della Germania sono argomenti affrontati solo a partire dagli anni ’60, già dagli anni ’40 trova larga diffusione quel filone di film che affrontano la guerra sui mari. Punto di forza della propaganda 29 R.Renzi, L’armata Sagapò, in “ Cinema Nuovo”, n. 4, 1 febbraio 1953, p.73. G. Casadio, La guerra al cinema , p. 47, e AA.VV, La cinepresa e la storia , p.129. 31 Il primo film di questo genere è Tiro al piccione, di Giuliano Montaldo del 1961. 30 43 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. cinematografica durante il fascismo, nel periodo postbellico ritorna con la stessa enfasi nei “ film di propaganda militarista legata alla politica imposta dalla Guerra Fredda”32. Questo filone è inaugurato nel 1941-42 da Roberto Rossellini e Francesco De Robertis con i film La nave bianca, Uomini sul fondo, e Alfa Tau! ,e nel dopoguerra le pellicole di questo tipo servivano ad esaltare gli atti eroici e a giustificare la guerra, ponendo la Marina Militare al di sopra di tutte le Forze Armate. Furono soprattutto Francesco De Robertis e Duilio Coletti a portare avanti questo discorso, il primo con Fantasmi del mare del 1948 e Mizar del 1953, il secondo con I sette dell’Orsa Maggiore nel 1952 e La grande speranza nel 1954. Il ciclo si chiude nel 1963 con Finché dura la tempesta di Bruno Vailati. Influenzato dalle “spy stories” del cinema americano ( La casa della 92^ strada,di Hathaway del 1946; Maschere e pugnali di Fritz Lang dello stesso anno ), anche il cinema italiano cominciò a parlare di servizi segreti negli anni Cinquanta: sono di De Robertis Uomini ombra del 1954 e La donna che venne dal mare del 1957, mentre Coletti nello stesso anno gira Londra chiama Polo Nord. Un capitolo a parte è occupato dai film che trattano dei campi di prigionia tedeschi e alleati, ben distinti dai campi di sterminio nazisti. I primi sono descritti in film che hanno anche momenti divertenti e spettacolari, pur non arrivando alla commedia pura, come Natale al campo 119 di Pietro Francisci del 1947 e Gli Italiani sono matti di Duilio Coletti del 195833. Per i campi di sterminio, invece, il discorso è del tutto differente, in quanto i film che ne parlano, rigorosamente drammatici, servono per tenere viva la memoria dell’olocausto. 32 G. Casadio, op. cit., p.81. Il tema che affronta, cioè gli scherzi perpetrati dai prigionieri italiani in un campo di prigionia americano, era già in Stalag 17 di Billy Wilder. In G. Casadio, op. cit., p.103. 33 44 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Il primo fu L’ebreo errante di Goffredo Alessandrini del 1948, ma bisognerà aspettare fino al 1960 per vederne un secondo, Kapò di Gillo Pontecorvo. Il gruppo di film più consistente del dopoguerra è però quello che tratta della Resistenza. I registi del dopoguerra appartengono per lo più alla generazione formatasi in epoca fascista, cresciuta con la rivista “ Cinema” di Vittorio Mussolini; ma se prima i problemi di libertà d’espressione erano consistenti, adesso questa libertà è maggiore. Vengono prodotti quindi film dichiaratamente antifascisti, sia di fiction che documentari. Il primo documentario , girato a ridosso del 25 aprile 1945, è Aldo dice 26x1 di Fernando Cerchio e Carlo Borghesio, che integra materiale autentico e ricostruzioni, che hanno per protagonisti gli stessi partigiani negli stessi luoghi in cui si sono svolte le azioni, a cui seguono Giorni di gloria del 1945 di Visconti- Pagliero- Sarandrei- De Santis e Tragica alba a Dongo di Vittorio Crucillà del 1949- 50. Per quanto riguarda i film di finzione, con la nascita del film resistenziale inizia una nuova cinematografia italiana, che sfocia nel 1945 nel neorealismo, una vera e propria rivoluzione per quanto riguarda i soggetti, la recitazione, le ambientazioni; è la gente della strada questa volta a recitare la sua tragedia, non più gli attori professionisti. I nuovi registi iniziano a proporre film diversi dalle solite commedie di stampo statunitense, per parlare della Resistenza in modo più realista ( Roma città aperta di Rossellini del 1945, che inaugura ufficialmente il neorealismo) o meno realista ( Due lettere anonime di Mario Camerini, già famoso per le sue commedie sotto il regime, del 194534). 34 R Campari, Fascismo e Resistenza: i generi filmici, in La cinepresa e la storia, p.91. 45 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Del 1945 è anche il primo film che cerca di unire il musical al tema resistenziale, cioè O sole mio di Giacomo Gentilomo, ispirato probabilmente ad alcuni musical di guerra americani35. La maggior parte delle pellicole sulla Resistenza risalgono al 1946: Avanti a lui tremava tutta Roma di Carmine Gallone, Un giorno nella vita di Alessandro Blasetti, Pian delle stelle di Giorgio Ferroni, Il sole sorge ancora di Aldo Vergano, Caccia tragica di Giuseppe De Santis, Il bandito di Alberto Lattuada ( già famoso in epoca fascista per le sue prove calligrafiche ), Il corriere di ferro di Francesco Zavatta, Vivere in pace di Luigi Zampa, fino ad arrivare a Paisà di Rossellini, l’unico vero prototipo di film neorealista. Il cinema neorealista nasce dalla Resistenza e finisce quando la spinta ideale ed emotiva che la sosteneva si affievolisce, travolta dai giochi della politica36. Nel 1948 si ha una svolta nei film del genere: i temi sono diversi, meno rievocativi e rivolti a ricercare spunti e riflessioni su tematiche particolari. Di quell’anno Lo sconosciuto di San Marino di Waszynski e Cottafavi, e Gli uomini sono nemici di Ettore Giannini. Il filone continua con La fiamma che non si spegne ( primo film che parla di Salvo D’Acquisto ) di Vittorio Cottafavi del 1949 , Ombre su Trieste di Flavio Bianchi del 1951, Achtung! Banditi! di Carlo Lizzani dello stesso anno, e nel 1952 Nessuno ha tradito di Roberto Bianchi Montero e Gli ultimi dieci minuti di Lionello De Felice ( episodio del film Cent’anni d’amore ). La stagione delle rievocazioni fatte all’indomani degli avvenimenti raccontati è ormai finita : la sconfitta elettorale delle sinistre nel 1948, la svolta politica su un fronte centristico e conservatore che rende inattuali i temi resistenziali e la Guerra Fredda, che suggerisce agli intellettuali di dedicarsi ad altro, fanno passare l’entusiasmo per il 35 36 R. Campari, op. cit., p.91. G. Casadio, op. cit., p. 180. 46 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. genere che per un lungo periodo viene dimenticato. Bisognerà infatti aspettare il 1959 per avere un nuovo film sulla Resistenza, Il generale Della Rovere ancora di Rossellini. 47 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 2.5. Il cinema di guerra tedesco dopo il secondo conflitto mondiale Il cinema del dopoguerra in Germania rimane ancorato a quello del III Reich, soprattutto perché la maggioranza degli operatori cinematografici avevano già lavorato dal 1933 al 1945, cioè sotto il regime nazista. Con la sconfitta della Germania ebbe fine anche l’esperienza della casa produttrice unitaria UFI, che era dapprima vicina allo Stato e in seguito di sua proprietà. Era questo il maggior strumento di intrattenimento e propaganda dello Stato fascista. Nella Repubblica Federale Tedesca ( BDR – Bundesrepublik Deutschland), ovvero la parte della Germania rimasta in mano agli Alleati, si notò, già subito nell’immediato dopoguerra, una rinascita del cinema, che aveva principalmente fini economici, propagandistici e didattici, puntava cioè alla “rieducazione e alla democratizzazione antifascista”.37 Dal 1946 si iniziò la ricostruzione di sale e studi, e si stabilì che le licenze per la produzione dei film non potevano essere concesse alle società, secondo i criteri in uso per la rieducazione antinazista e per la sicurezza politica. I film proiettati dal 1946 al 1948 sono 312 stranieri, 84 riedizioni di film tedeschi del Reich giudicati non pericolosi, e solo 38 nuove produzioni delle due Germanie. Il cinema tedesco è incapace di combattere con la concorrenza delle altre cinematografie, non ci sono regole che favoriscano la produzione nazionale; i film sono prodotti solo per il mercato interno e cominciano a svilupparsi dei generi cinematografici in grado di captare gli stati d’animo degli spettatori in modo abbastanza immediato. 37 G.P. Brunetta, Storia del cinema mondiale, volume III: l’Europa, Cinema tedesco 8occidentale) 19451960, di Imbert Schenk, p 652. 48 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Nella Repubblica Democratica Tedesca ( DDR – Deutsche Demokratische Republik) ,ovvero la porzione di territorio in mano all’Unione Sovietica, l’amministrazione militare favorisce la riedizione e il doppiaggio dei film russi, solamente a fini didatticoideologici. Nel 1945 a Berlino viene fondato il “Filmaktiv”, formato da cinque Tedeschi emigrati a Mosca e dal regista Wolfgang Staudte, che ha come fine la creazione di una casa di produzione tedesca autonoma, la Deutsche Film – AG (DEFA) , l’unica ad avere la licenza nella zona di occupazione sovietica. Il primo lungometraggio tedesco del dopoguerra fu proprio un film di critica al nazismo, Gli assassini sono tra noi, girato da W. Kautner nel 1946. Nel 1947 il Ministero sovietico per la produzione cinematografica si impadronisce della DEFA con la conseguenza che la ripresa in questo ambito fu fortemente rallentata. Ritornando al discorso sui generi cinematografici, la Germania produce, prima e dopo la sua divisione, numerosi Heimatfilm ( film di contenuto patriottico- sentimentale), Problemfilm, Arztfilm ( film di argomento medico), film storici, di guerra, di denuncia sociale, commedie e film gialli, con un unico periodo di calo verso la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta per la diffusione della televisione. I film di guerra sono in aumento verso la metà degli anni Cinquanta, in quanto negli anni precedenti la situazione era ancora talmente precaria e legata ai traumi della guerra da non ispirare nei cineasti alcuna speranza da poter accendere nel proprio pubblico.38 La rinascita avviene in corrispondenza del riarmo ed è favorita dalla sovranità nazionale della BDR, coinvolta nella Guerra Fredda. Finora il cinema e i Tedeschi hanno sempre cercato di prendere le distanze dalla storia, che diventa per loro fonte di colpe e 38 U. Barbaro, Il cinema tedesco. 49 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. vergogne, ma nonostante tutto i cineasti tedeschi provano a fare cadere tutte le responsabilità di quanto è accaduto, prima e durante la guerra, su Hitler e sulle alte sfere dello Stato e del partito nazionalsocialista, falsando abbondantemente la realtà39. Nel 1954- 55 viene prodotto 08/15 Kaputt di Paul May , sul romano di Hans Helmut Kirst , di cui protagonista è il soldato semplice Asch , che rispecchia la mentalità razionale tedesca degli anni ’50, e rappresenta l’immagine diffusa dalle nuove forze armate federali. La tendenza di questo e altri film è pacifista, si accusa la crudeltà della guerra cercando di mascherare un forte antibolscevismo e anticomunismo, soprattutto nelle pellicole ambientate sul fronte orientale.Insieme a quest’opera si può citare, sempre nello stesso filone antimilitarista, Der Hauptmann von Koepenick ( Il capitano Koepenick) di H. Kautner del 195640. Nel 1959 viene realizzato Die Bruecke (Il ponte) di Bernhard Wicki, in cui si presenta l’accusa più radicale dello stereotipo nemico-amico e la descrizione dell’ambiente cittadino in epoca nazista. Molti film di questi anni lasciano da parte la fedeltà storica per far sì che lo spettatore si scrolli di dosso il peso degli incubi del passato. Sono film di denuncia contro le barbarie della guerra che riversano tutta la colpa “su quel Fuehrer il cui nome ieri i tedeschi usavano persino per salutarsi ( Heil Hitler! Anziché Guten Morgen)”41.Fanno parte di questo filone Die gruenen Teufel von Monte Cassino ( I diavoli verdi di Monte Cassino) di Harald Reinl del 1958, dove i soldati tedeschi vengono presentati sotto una nuova luce positiva; Soldatensender Calais ( Ferro e fuoco in Normandia) del 1961 di Paul May, con lunghi brani autentici sullo sbarco; ancora la pellicola di Frank Wisbar Stalingrad ( Stalingrado) del 1958. 39 L. L. Ghirardini, op. cit. ,p.102- 103. U. Barbaro, op. cit. 41 L. L. Ghirardini, op. cit. , p. 105. 40 50 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Alcuni film rimangono ambigui, sospesi tra l’atto di accusa e la sottile esaltazione: Kirmes ( La storia di un disertore) , di W. Staudte del 1960, realizzato nella BDR dopo molti anni di lavoro nella DDR, dove aveva già girato nel 1950 Der Rat der Goetter ( Il consiglio degli Dei), rimane il più rappresentativo. Si producono pellicole sulla resistenza contro Hitler ( episodi per lo più inventati), soprattutto a livello militare, operata dagli alti ufficiali dell’esercito: Division Brandenburg ( Canaris) di Alfred Weidenmann, del 1954-55 e Der Teufels General ( Il Generale del diavolo), di H. Kautner del 1955. Sono esperienze individuali che rappresentano l’impotenza degli eroi: ogni tentativo di resistenza è vano, se anche questi uomini potenti hanno fallito. Ancora L’antinazismo è presente in altre pellicole:Kinder, Mutter und ein General (All’est si muore) di Laslo Benedek del 1955; Nachts wenn der Teufel kam ( Ordine segreto del Terzo Reich) di Robert Siodmak del 1958, dove il nazismo rappresenta l’espressione umana delle forze diaboliche; U-Boot 55 di Frank Wisbar del 1958, velata accusa all’antisemitismo e al militarismo. In alcune opere il tema dell’antifascismo è politicamente motivato, in particolare nella descrizione degli ultimi giorni di Hitler e del suo attentato, compiuto il 20 luglio 1944. Il primo film su questo soggetto è Der letzte Akt ( L’ultimo atto) di Georg Wilhelm Pabst del 1953, cui fanno seguito due pellicole uscite entrambe nel giugno 1955, Es geschah am 20 Juli ( Accadde il 20 luglio) di G. W. Pabst, che ricostruisce la giornata dell’attentato, e Der 20 Juli ( Operazione Walkiria) di Falk Arnach, che critica il comportamento della Wermacht, tema che risultava provocatorio nel 1955, perché si tendeva a dare la colpa di tutto a Hitler e a ai suoi gerarchi nazisti. 51 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Con l’arrivo degli anni Sessanta i film di guerra continuavano ad essere prodotti, con un boom negli anni Settanta. Dal 1962 il cinema tedesco comincia a slegarsi dal passato. E’ proprio il 28 febbraio del 1962 che i giovani cineasti riuniti al festival Oberhausen pubblicano la loro dichiarazione : è necessario creare un nuovo cinema tedesco di lungometraggio con libertà proprie, senza convenzioni , indipendente dalla commercializzazione. E’ da questa data che si può finalmente parlare del Nuovo Cinema Tedesco. 52 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 3. LA CAMPAGNA D’ITALIA (1943-1945) : GLI SBARCHI 3.1. La svolta del 1943 Tra il 14 e il 24 gennaio 1943, il presidente americano Franklin D.Roosvelt e il primo ministro inglese Winston Churchill, assieme ai massimi responsabili militari dei loro Paesi, si incontrarono a Casablanca1, in Marocco, per definire le strategie militari da adottare nell’anno appena iniziato. Il 1942 aveva infatti visto un grande mutamento nel corso della guerra: le truppe Alleate avevano conseguito le prime decisive vittorie sulle truppe dell’Asse2 e miravano a spostare i fronti di combattimento in Europa e nella stessa Germania. Nel novembre dello stesso anno 100.000 soldati angloamericani sbarcarono sulle coste dell’Africa francese portando a termine la prima impegnativa operazione di assalto anfibia della guerra ( operazione Torch), con lo scopo di eliminare ogni influenza dell’Asse su quella zona e farne la base per le future operazioni in Europa. L’intera operazione fu affidata al comando del generale Dwight D. Eisenhower, che considerava l’invasione dell’Italia il primo passo per indebolire Hitler e minacciare da sud la stessa Germania, e permise agli angloamericani di cementare la loro alleanza e di preparare la strada all’invasione dell’ Italia. Nelle intenzioni di Roosvelt e Chrchill l’operazione Torch avrebbe anche mostrato allo stesso Stalin la solidità dell’alleanza, dimostrando che le truppe 1 Liddle Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale, pp. 616 – 617. Nel novembre 1942 le truppe tedesche, stremate dal freddo, subirono la controffensiva sovietica e l’armata del maresciallo Von Paulus, che occupava Stalingrado, fu sacrificata dagli ordini di Hitler di resistere ad oltranza fino a quando non capitolò (2 febbraio 1943) e fu ricacciata al di là del Don, in Liddle Hart, op. cit., pp. 350 – 378. In Africa le truppe inglesi del generale Montgomery, il 23 ottobre 1942, ebbero la meglio sulle truppe italo-tedesche, ad El Alamein, che iniziarono a ritirarsi in Libia dall’inizio di novembre, in Liddle Hart, op. cit., pp. 415 – 425. Sul fronte del Pacifico gli Stati Uniti riuscirono ad arrestare l’espansione del Giappone riportando importanti vittorie nel Mar dei Coralli, nei pressi delle isole Midway e a Guadalcanal, nelle isole Salomone, in Liddle Hart, op. cit., pp. 485,489 – 496 e 501 – 509. 2 53 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. angloamericane avevano aiutato l’Unione sovietica, impegnata all’interno del proprio paese in durissime battaglie, costringendo Hitler a trasferire uomini e mezzi verso il fronte mediterraneo. 3.2. Le decisioni di Casablanca A Casablanca i capi delle potenze alleate, Churchill e Roosvelt, si riunirono per pianificare una possibile spinta delle azioni militari verso il territorio tedesco. Alla conferenza non partecipò Stalin, impegnato- ufficialmente - a combattere contro i tedeschi all’interno dei confini della sua nazione, desideroso- in realtà- di studiare le mosse degli alleati per presentare in seguito una proposta politica più vicina agli interessi sovietici. La decisione che caratterizzò maggiormente questo incontro africano tra i capi di Stato fu quella di portare la guerra in Europa passando per la Sicilia. L’isola infatti distava solo 145 Km dalle coste tunisine e rappresentava una via di comunicazione naturale tra l’Africa e l’Europa e una importante testa di ponte per il controllo di buona parte del Mediterraneo. Mentre il governo inglese non ebbe alcuna riserva su questa strategia, gli americani, guidati in questa occasione militarmente dal capo di Stato Maggiore George C.Marshall, avrebbero preferito attaccare direttamente la Germania, senza perdere tempo con la conquista di avamposti periferici. Ebbero comunque la meglio le posizioni di Churchill, seguito anche da Roosvelt: era necessario distogliere le truppe tedesche dal fronte russo e preparare l’ingresso alleato in Europa, sfruttando anche l’euforia degli eserciti per la vittoria sul fronte africano e la disponibilità di uomini e mezzi a poca distanza dal nuovo teatro dei combattimenti. 54 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. I capi di Stato Maggiore scelsero il generale Dwight D. Eisenhower come comandante supremo dell’operazione siciliana, il generale Harold Alexander sarebbe invece stato il vicecomandante delle operazioni di sbarco. Il suo XV Gruppo di armate aveva alle dipendenze la VII Armata americana del generale Patton e la VIII Armata inglese del generale Montgomery. L’inizio dell’operazione Husky, come fu chiamato in codice lo sbarco in Sicilia, fu fissato per il 10 luglio. Figura 1. Propaganda fascista contro gli Alleati Figura 2. Porto di Sousse (Tunisia): preparativi per l'invasione dell'Italia 55 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 3.3. Gli sbarchi alleati in Italia Figura 3. Gli sbarchi alleati in Italia (1943 – 1944) L’invasione della Sicilia ebbe inizio sulle spiagge di Gela, con gli americani di Patton, e di Pachino e Siracusa per le truppe inglesi. Il 10 luglio, giorno dello sbarco, furono occupate Gela e Siracusa, cinque giorni dopo Augusta cadde in mano agli Inglesi, il 22 luglio gli Americani entrarono a Palermo e si misero in marcia verso Messina per aggirare le truppe tedesche che tenevano impegnati gli Inglesi nella piana di Catania e a ridosso dell’Etna . Il 17 agosto l’evacuazione dei tedeschi e degli italiani dall’isola era 56 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. fatto compiuto. Il dilagare degli Alleati fu favorito dalla scarsa combattività delle truppe italiane, convinte che la lotta fosse inutile, soprattutto dopo il 25 luglio, quando il fascismo si dissolse e si diffuse l’aspirazione alla pace immediata. I tedeschi erano giunti in Sicilia da un paio di mesi, quando il capo di Stato Maggiore Ambrosio si decise ad accettare il loro incomodo aiuto. Giunsero in Sicilia la divisione corazzata delle SS , Hermann Goering3 , ed il terzo Panzergrenadier, ma il loro ruolo fu poco più di un ostacolo rallentatore. A Salerno lo sbarco alleato avvenne il 9 settembre 19434. Mentre in Sicilia non si trovò una resistenza organizzata sulle spiagge, qui la quinta armata5 fu accolta da un fuoco di sbarramento. Il comandante in capo Eisenhower aveva ritenuto inopportuno ammorbidire la zona con bombardamenti aerei e navali preliminari sui centri abitati: da poche ore era stato annunciato l’armistizio con l’Italia e gli Anglo-americani facevano grande affidamento sulle truppe italiane e non volevano irritare le popolazioni con bombardamenti. Purtroppo le cose non andarono come previsto: l’esercito italiano si dissolse dopo l’armistizio dell’8 settembre e fece mancare totalmente la sua presenza sul campo, mentre non ci fu la sorpresa dello sbarco e la quinta armata americana fu costretta per giorni a rimanere sul litorale salernitano e sulle vie litoranee sotto il fuoco dei tedeschi che bombardavano dai quartieri alti e dalle colline impedendo l’arrivo di nuove truppe e di rifornimenti. Mentre tra il 9 e il 15 settembre i combattimenti imperversavano sul litorale, l’armata di Montgomery risaliva velocemente la penisola dalla Calabria. Il 16 settembre il corpo di sbarco salernitano e le truppe provenienti dal sud si unirono: fu la fine della battaglia. 3 La Divisione fu fondata nel 1933 dal reparto di controllo poliziesco per la repressione delle attività comuniste, fu poi ampliata e motorizzata. Fu sempre costituita solamente da volontari. 4 Operazione Avalanche (valanga), in I grandi fatti, p.1 e in Liddle Hart, op . cit., pp.645 – 654. 5 Armata americana guidata del generale Mark Clark, che nel suo libro Calculated risk (trad. V Armata Americana) definisce questo sbarco “ quasi un disastro” 57 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Nei giorni successivi, dopo aver riorganizzato i vari corpi, le truppe alleate proseguirono verso Napoli. La città venne liberata il giorno 1 ottobre, i tedeschi si erano già ritirati, non senza però prima mettere a ferro e fuoco tutto, “fecero tutto il possibile per distruggere i servizi pubblici, compresi l’elettricità, i trasporti e la rete idrica…l’acqua era stata deliberatamente inquinata, i preziosi archivi della città dati alle fiamme e molti edifici pubblici minati…in modo da causare le massime perdite alla popolazione civile”.6 Il 9 ottobre fu raggiunto il fiume Volturno, ma occorse fino al 17 gennaio per arrivare al confine tra Lazio e Campania. Iniziava il logoramento del fronte Garigliano-Cassino. Per alleggerire questa situazione statica venne organizzato, il 22 gennaio 1944, un nuovo sbarco ad Anzio di tre Divisioni americane e una inglese. L’obiettivo dell’operazione7 era quello di tagliare la via Appia e la via Casilina alle spalle delle truppe tedesche obbligandole a ritirarsi a nord, con il fine ultimo di raggiungere Roma8. Il generale Lucas diresse lo sbarco preferendo consolidare le posizioni piuttosto che andare alla conquista del vuoto di fronte a lui. Anzio risulta essere un episodio anomalo nell’economia della campagna in Italia: per occupare la Sicilia furono necessari 37 giorni, solamente 21 per cacciare i Tedeschi a Salerno, 132 per risolvere la situazione ad Anzio. Il controspionaggio tedesco non era a conoscenza dell’avvenimento e dalle 2 di notte all’alba del 22 gennaio il porto di Anzio si riempiva di natanti americani mentre la 6 Il passo è tratto da G.A.Shepperd, La campagna d’Italia 1943-1945, p. 179. Anche il generale Clark , nella sua opera già citata, racconta l’episodio e la strana sensazione provata dalle truppe che in pochissimo tempo riuscirono a liberare la prima grande città italiana (p.214-215 ). 7 Operazione Shingle ( spiaggia ). In 14 giorni la marina alleata sbarcò ad Anzio 70000 uomini, 380 carri armati, 4000 autocarri e 13900 automezzi leggeri. Il generale Lucas, duramente criticato da Churchill per l’eccessiva prudenza, fu sostituito il 27 febbraio con Truscott, in I grandi fatti, p.4 e in Liddle Hart, op. cit., p. 739. 8 In un telegramma di Churchill a Stalin si legge : “Abbiamo lanciato contro le forze tedesche che difendono Roma una grande offensiva”( in Marcello di Falco, Gli sbarchi in Italia, p.3 ) 58 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. spiaggia di Lavinio accoglieva una Divisione dell’esercito inglese. Solo gli abitanti di Anzio e Nettuno erano a conoscenza del fatto, contrariamente ai comandi tedeschi, ai carabinieri di Roma e agli abitanti dei paesi limitrofi, che nel giro di poche ore cessarono di esistere sotto il fuoco del bombardamento alleato. I bombardamenti preventivi infatti questa volta ci furono, per evitare l’errore dello sbarco precedente, e Cisterna ,Velletri e Lanuvio furono in poche ore rasi al suolo, lasciando le popolazioni completamente allo sbando. Il 16 febbraio sferrarono l’attacco alla Hermann Goering, senza però alcun risultato. Gli scontri avvennero soprattutto corpo a corpo, senza la possibilità di impiego di armi a lunga gittata. L’attacco dell’ 11 maggio fu quello risolutivo per le truppe alleate: costrinsero i Tedeschi ad arretrare sotto il fuoco che diede il colpo di grazia ai pochi muri rimasti in piedi di Cisterna (occupata il 24 maggio) , Lunuvio e Velletri (occupate il 31 maggio ). L’esercito si unì finalmente con le truppe che , passato il Garigliano, avevano occupato e superato Terracina. I Tedeschi si ritirarono in Abruzzo. Nel pomeriggio del 4 giugno l’ 88^ Divisione corazzata americana entrava nei quartieri a sud di Roma, mentre le zone oltre il fiume Tevere caddero in mano agli alleati nelle prime ore del giorno seguente. Figura 4. Flotta alleata davanti alla Sicilia 59 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 5. Manifesto di propaganda tedesca che ironizza sulla lentezza dell'avanzata alleata in Italia Figura 6. Propaganda fascista su "Il Tempo" 60 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 4. LA CADUTA DEL FASCISMO 4.1. La fine del governo Mussolini Il 1943 fu l’anno della svolta politica in Italia. Gli alleati avevano cominciato dalla Sicilia la loro marcia di liberazione della penisola dalle forze nazifasciste. Al fine di tutelare la monarchia e limitare i danni del tracollo militare, il re Vittorio Emanuele III decise che era giunto il momento di liberarsi del duce1. Già dal gennaio di quell’anno il re prese la decisione di riportare i poteri supremi nell’ambito delle prerogative reali, valendosi della collaborazione di un ristretto gruppo di persone, tra cui il duca Pietro d’Acquarone , Galeazzo Ciano e Dino Grandi2. Il duce , dopo aver incontrato Hitler a Feltre il 19 luglio, si recò a Roma , dove il re gli chiese un più consistente impegno militare dei tedeschi in Italia , pena l’uscita del Paese dalla guerra . Il duce convocò il Gran Consiglio del Partito nazionale fascista il 24 luglio, per discutere sulla condotta politica da adottare. Avvertito da Roberto Farinacci della volontà di Dino Grandi di redigere un ordine del giorno contro di lui, Mussolini decise di non scendere a compromessi, affermando che non avrebbe mai lasciato la carica di supremo comandante militare e politico dell’Italia . Il Consiglio nazionale fascista si riunì in un clima di grande tensione3 e , quello che era stato in passato uno strumento di amplificazione e diffusione delle decisioni incontrastate del duce, fece per la prima volta valere il suo peso politico, decretando la morte politica di Mussolini, l’elezione di un nuovo capo del governo e la reintroduzione del re nella vita politica del Paese. 1 Liddle Hart, op., cit, p. 633. Già stretti collaboratori di Mussolini. 3 G. Cavallotti, La caduta del fascismo, in I grandi fatti, pp. 9 – 14. 2 61 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 4.2. Il governo Badoglio Figura 1. Il proclama di Vittorio Emanuele III rivolto agli Italiani il 25 luglio 1943 Nel corso della seduta Dino Grandi prese l’iniziativa di sfiduciare Mussolini, mozione che fu approvata il giorno dopo a maggioranza4. Il re, di fronte alla crisi di regime, nominò il maresciallo Pietro Badoglio capo del governo e fece arrestare Mussolini. La caduta del fascismo fece gravare sull’Italia la minaccia della reazione tedesca e , nonostante Badoglio ribadisse la lealtà italiana verso l’alleato tedesco, il Fuehrer maturò immediatamente l’intenzione di assumere il controllo militare della penisola. Badoglio, che il 26 luglio aveva formato il suo governo, iniziò a rimuovere gli apparati della dittatura: il suo doveva essere un regime conservatore ma non fascista. I tedeschi iniziavano ad assumere il controllo militare in Italia5, mentre Badoglio avviò trattative segrete con gli Alleati . L’armistizio fu chiesto , firmato il 3 settembre e annunciato ufficialmente la sera dell’8 settembre 19436. 4 5 19 sì, 7 no, una astensione e , fra i sì , anche quello del genero del duce, Galeazzo Ciano. Operazione Walkiria 62 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. I capi militari italiani videro disgregarsi il loro esercito per mano dei Tedeschi7 e in pochi giorni le truppe hitleriane invasero l’Italia e ne presero possesso dalle Alpi a Napoli, dove gli Alleati non erano ancora arrivati, nonostante avessero già cominciato l’attacco alla “inespugnabile fortezza Europa”8. Il 9 settembre il re e Badoglio abbandonarono Roma e si rifugiarono a Pescara e poi a Brindisi, in zona occupata dagli Alleati, dove si insediò il governo. Figura 2.Firma dell'armistizio tra truppe italiane e alleate. Cassibile (Siracusa), 3 settembre 1943. Figura 3. Manifesti di propaganda fascista contro il tradimento dell'8 settembre 6 In I grandi fatti, pp. 17 – 24 Operazione Achse. Le truppe italiane che si trovavano sotto il controllo tedesco furono disarmate e internate, mentre altre si disciolsero autonomamente. Solo la flotta navale riuscì a consegnarsi nelle mani degli Alleati nell’isola di Malta, ad eccezione della corazzata Roma affondata dai Tedeschi, in Liddle Hart, op. cit., pp. 653 – 654. 8 Così la propaganda nazista definiva il continente europeo prima degli sbarchi alleati in Italia (cfr. Valentino Rossetti, Attacco alla fortezza Europa, in www. dalvolturnoacassino . it ) 7 63 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 5. LA SITUAZIONE ITALIANA 5.1. La Repubblica di Salò Di fronte alla defezione italiana , la reazione tedesca fu immediata: i soldati del Reich occuparono Roma combattendo contro l’esercito italiano, a cui si unirono elementi popolari, dando vita al primo atto armato della resistenza. Le truppe italiane all’estero ebbero una sorte tragica: internate nei campi di concentramento o sterminate in massa, come avvenne nei presidi delle isole dell’Egeo. Hitler diede ordine di arrestare a Roma il nuovo capo del governo , il re e il principe ereditario che, però, fuggirono. Il Fuehrer, in gran segreto, elaborò anche un piano per liberare il duce dalla prigionia. Questi, prelevato da Villa Savoia a Roma, era stato trasferito a Ponza, alla Maddalena e, i primi di settembre, sul Gran Sasso. Il colonnello delle SS Herbert Kappler, capo dei servizi di polizia nella Roma occupata, apprese la notizia e la passò al generale Kurt Student, responsabile delle operazioni di liberazione di Mussolini. L’11 settembre i paracadutisti tedeschi occuparono senza difficoltà Campo Imperatore e liberarono l’ostaggio che, accusando la monarchia di tradimento, proclamò la Repubblica Sociale Italiana ( RSI ), che comprendeva i territori occupati dai nazisti. La sede del governo fu stabilita a Salò, sul lago di Garda, mentre il cosiddetto “regno del sud” di Vittorio Emanuele III, ottenuto lo stato di cobelligeranza dagli alleati, dichiarò guerra alla Germania. 64 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 5.2. La linea Gustav L’Italia si trovava spaccata in due: a nord i nazifascisti, che furono antagonisti nella guerriglia partigiana, a sud gli Alleati, che iniziarono, dopo gli sbarchi in Sicilia, la risalita dello stivale con l’obiettivo di liberare Roma. A metà agosto del 1943 l’invasione della Sicilia era stata ultimata. Il 3 settembre le truppe angloamericane sbarcarono in Calabria e in seguito nel golfo di Salerno. Il 17 settembre 1943 la linea del fronte correva da Salerno e la costa campana fino a Sapri, per ripiegare a nord lungo le coste del golfo di Taranto e fino a Bari. Il I ottobre buona parte dell’Italia a sud della linea Napoli-Foggia era sotto il controllo alleato. I tedeschi cercarono quindi di fermarne l’avanzata verso nord all’altezza della linea Invernale1. Furono realizzati anche due raddoppi: la linea Gustav, in corrispondenza della valle del Liri2, e la linea Hitler 3. Il ripiegamento dei tedeschi sulla linea Gustav fu completato ai primi di gennaio del 1944, dopo lo sfondamento alleato della prima linea4. In queste circostanze si tenne la lunga lotta di logoramento intorno a Cassino (gennaio- marzo 1944) ,che vide la piena vittoria degli Alleati solo nel mese di maggio. 1 Linea Sangro-AltoVolturno-Garigliano Monte Morrone- riva destra del fiume Rapido- Sant’Ambrogio- Bosco di Castelluccio 3 Monte Cairo- Piedimonte San Germano- Aquino- Pontecorvo- Formia 4 In questa fase dei combattimenti fu definita linea Gustav quella segnata dai fiumi Sangro- RapidoGarigliano. In Cassino, 1944: un Abbazia all’inferno. 2 65 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 66 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 6. GLI ALLEATI VERSO ROMA 6.1. L’area dei combattimenti La città di Cassino si trovava sulla via Casilina, nel punto in cui essa attraversa il fiume Rapido. La strada costeggiava la collina di Montecassino, alta 516 metri, sulla cui cima era situato l’imponente monastero fondato da San Benedetto da Norcia nel 529, per poi curvare verso nord- ovest lungo la valle del Liri in direzione Piedimonte San Germano e Arce. Prima della ricostruzione del centro abitato cittadino, avvenuta dopo la guerra, la collina di Montecassino penetrava a cuneo nella struttura urbana1, formando con l’abitato un’unica linea difensiva. In questo scenario si svolse, tra gennaio e maggio 1944, il complesso di combattimenti che prese il nome di battaglia di Cassino (o di Montecassino ). Gli Alleati avevano deciso di attaccare i Tedeschi in questo settore , per togliere forze alla loro difesa in previsione dello sbarco di Anzio, e di sfondare la linea Gustav all’imbocco della valle del Liri , per arrivare a Roma dopo il ricongiungimento con le forze sbarcate ad Anzio. Più di ogni alta battaglia, quella di Montecassino fu combattuta nelle condizioni delle battaglie della Prima Guerra mondiale: attacchi frontali, logoramento delle forze, trincee piene di fango, una difesa costantemente avvantaggiata rispetto alle forze dell’invasione, mitragliatrici e artiglieria pesante al posto di aerei e carri armati. Tutto questo dovuto a diversi elementi: errori di valutazione dei comandanti alleati, il 1 La forma ricordava lo scafo di una nave, la cui prua era costituita dalla Rocca Ianula, un castello medievale che nel 1944 era ancora in buono stato di conservazione. F. Majdalany, Cassino. Ritratto di una battaglia, pp. 5 – 10. 67 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. persistente maltempo2, la particolare conformazione geologica della zona e la tenacia dei difensori tedeschi. 6.2. L’inizio della prima battaglia ( 17 gennaio – 7 febbraio 1944 ) Figura 1. LA PRIMA BATTAGLIA. L'offensiva generale sul fronte principale combinata con lo sbarco sul litorale di Anzio. (Da F. Majdalany, "Cassino. Ritratto di una battaglia", p. 61 Nel primo tentativo di sfondare il fiume Rapido, gli Alleati condussero due attacchi diversificati sui lati del fronte: mentre la V Armata americana attaccava a nord della strada Colli a Volturno- Atina , tra l’11 e il 12 gennaio, all’altra estremità del fronte , il 2 Il generale Clark (op.cit. ) descrive così la situazione: “ Era una strada aspra da capo a fondo. La pioggia che rigava il parabrezza della jeep non contribuiva a rendere più piacevole il quadro che avevo in mente. Sarebbe stata anche una strada fangosa.” 68 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 17 gennaio, scattò l’attacco del 10° Corpo d’armata britannico.3 Dopo un bombardamento di artiglieria durato quattro ore, alle 21 le fanterie si mossero in avanti. Lungo la costa tirrenica, la 5^ Divisione inglese, spostata dal settore adriatico, doveva conquistare Minturno e proseguire per la valle dell’Ausente. Altri obiettivi alleati nella parte centrale del fronte erano Castelforte e un ponte presso Sant’Ambrogio, per predisporre le postazioni di copertura per l’attacco del 20 gennaio , che sarebbe stato guidato dal 2° Corpo americano. 6.3. Lo scontro di Sant’Angelo in Theodice e il fiume Rapido La 5^ Divisione inglese riuscì senza difficoltà ad occupare gli avamposti tedeschi. Il 18 gennaio furono conquistati i paesi di Minturno e Tufo. La difesa tedesca si era consolidata e gli Alleati rinforzarono le teste di ponte già conquistate. Il feldmaresciallo Kesselring, preoccupato per i progressi nemici, inviò il 5° Corpo paracadutisti del generale Kurt Student nello stesso settore del Garigliano. Lasciò il settore di Cassino sotto la responsabilità del 14° Panzerkorps comandato dal generale Frido von Senger und Etterlin.4 Il 20 gennaio la 29^ Panzergrenadier contrattaccò lungo la direttrice Ausonia – Coreno e nel pomeriggio riuscì a spingere la 56^ Divisione inglese oltre Castelforte. La sera stessa la 36^ Divisione del 2° corpo statunitense attaccò le posizioni tenute dalla 15^ Panzergrenadier intorno al paese di Sant’Angelo in Theodice. Il terreno si rivelò subito difficoltoso: Il fiume Rapido toccava in quel punto i 10 metri di larghezza e le sue acque 3 Generale McCreery. In F. Majdalany, op. cit. , pp.59 – 62. Le azioni belliche a cui prese parte il generale Etterlin sono narrate nel suo libro Combattere senza paura e senza speranza, Longanesi. Per quanto riguarda invece il generale Student, furono poste alle sue dipendenze la 29^ e la 90^ Panzergrenadier Division e la 94^ Divisione di fanteria. 4 69 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. veloci e il letto di rocce e sassi ne rendevano problematico l’attraversamento. I tedeschi erano posizionati sull’altra riva e tenevano la situazione perfettamente sotto controllo. Le acque impetuose ruppero le imbarcazioni d’assalto americane e le artiglierie tedesche spazzarono via le passerelle, facendo strage dei nemici che arrivavano a riva. La 36^ Divisione perse non meno di 16815 uomini fallendo completamente il proprio obiettivo. Il 22 gennaio fu il giorno dello sbarco ad Anzio, ma la situazione sulla linea Gustav rimaneva difficile: gli angloamericani impegnati a Cassino , stabilita una stretta testa di ponte sul Rapido, non riuscirono comunque a progredire, né l’afflusso delle truppe tedesche verso Anzio cambiò la situazione favorendo l’avanzata alleata verso nord. Questi sferrarono un altro attacco il 24 gennaio: il Corpo di spedizione francese del generale Alphonse Pierre Juin6 avrebbe dovuto conquistare il monte Cairo e la 3^ Divisione algerina espugnò, con gravi perdite, la vetta del monte Belvedere, fondamentale per la conquista del Cairo. La sera del 24 la 34^Divisione americana 7cercò ancora di stabilire una testa di ponte oltre il Rapido, ma i tedeschi allagarono l’intera valle con la distruzione di una diga. .Il 30 gennaio la Divisione Ryder riuscì finalmente a far costruire una testa di ponte oltre il Rapido8 e ad occupare il villaggio di Caira. 5 La cifra è riportata dal generale Clark in Maximum risk, dove specifica che 141 sono i morti, 663 i feriti e 877 i dispersi. Le due Compagnie che riuscirono ad oltrepassare il fiume furono affrontate dai veterani del 104° reggimento Panzergrenadier, che ne respinsero l’attacco. 6 I suoi uomini, sfondata la linea Gustav, si resero protagonisti di atti di violenza e soprusi contro la popolazione civile. 7 Divisione Ryder, dal nome del suo comandante. Solo due Compagnie, il 25 gennaio, attraversarono il fiume, mentre il 4°Reggimento tunisino della 3^ Divisione algerina fu spazzato via dal colle Abate da poco conquistato. In F. Majdalany, op. cit., p.85. 8 Dal 168° Reggimento. 70 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La battaglia continuò per diversi giorni in mezzo alla nebbia, al fango, al freddo e sotto una pioggia battente. Gli attacchi erano condotti a livello di compagnia, per conquistare una collinetta dopo l’altra. 6.4. La resistenza delle difese tedesche La prima battaglia di Cassino si concluse in febbraio: all’inizio del mese il 133° Reggimento americano arrivò alla periferia della cittadina di Cassino e tentò di penetrarvi, ma senza successo. Due punti chiave, a nord dell’abbazia benedettina, furono conquistati dagli Alleati e ripresi dai tedeschi dopo scontri furibondi9 . Il 5 febbraio una truppa d’assalto del 135°Reggimento di fanteria avanzò fino alle mura del Monastero di Montecassino: la 34^ Divisione americana si trovava quel giorno a soli tre chilometri di distanza dalla via Casilina. Il giorno stesso il 133°Reggimento si avventò dalla valle del Rapido contro la città di Cassino e Quota 193 ( Rocca Ianula ), ma senza successo. Il generale inglese Harold Alexander dispose il trasferimento della 2^ Divisione neozelandese , della 4^ Divisione indiana10 e della 78^Divisione fanteria inglese dal fronte adriatico, ormai fermo, a quello tirrenico, dove si ricongiunsero con il neocostituito Corpo d’armata neozelandese. La 34^ Divisione americana, ormai esaurita, lasciò il campo. Benché l’artiglieria e i mortai avessero provocato morti in entrambi gli schieramenti, la prima battaglia di Cassino si concluse con un netto successo difensivo tedesco. 9 Colle Sant’Angelo e il monte Calvario, meglio conosciuto come Quota 593, punto chiave tattico del massiccio di Montecassino, che fu di nuovo perso il 7 febbraio. In F. Majdalany, op. cit., pp. 86 – 89. 10 Indiani e Neozelandesi facevano parte del 2° Corpo d’armata neozelandese del generale Bernard Cyril Freyberg e si erano già distinti per la loro combattività sul fronte africano. In F. Majdalany, op. cit., p. 97. 71 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 72 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 7. IL BOMBARDAMENTO DI MONTECASSINO 7.1. Il bombardamento dell’Abbazia ( 15 – 18 febbraio 1944 ) Figura 7. Attacco a tenaglia da nord e da sud della 4^ Divisione indiana e della 2^ Neozelandese L’assalto decisivo al monte del monastero fu previsto dal generale Freyberg per il 15 febbraio. I tedeschi avevano rispettato l’accordo di lasciare l’abbazia fuori dalle operazioni militari, ma la mole grandiosa e sinistra dell’edificio incuteva nelle truppe che avrebbero dovuto attaccare l’altura, un vero timore reverenziale. Di fronte alla nuova impresa sia il comandante Tucker della 4^ Divisione indiana, che i generali Freyberg e Alexander, si trovavano d’accordo sul fatto che un bombardamento aereo preventivo andava fatto. Non c’erano infatti prove che i tedeschi si nascondessero all’interno del sacro edificio, ma la collina pullulava comunque di soldati della Wehrmacht. La psicosi di Montecassino era aumentata da una serie di cartelli che i Tedeschi avevano lasciato in giro, che recitavano: “voi siete sotto l’osservazione del nemico, non siate sciocchi”.1 Oltretutto un aereo di ricognizione alleato, sorvolando 1 Da Valentino Rossetti, Il bombardamento del monastero, www. dalvolturnoacassino. it 73 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. l’Abbazia, aveva asserito di aver visto sul convento delle antenne radio, che invece erano parafulmini2. Anche un’intercettazione radio male interpretata potrebbe essere stata une delle cause del bombardamento. Il controspionaggio alleato colse la frase di uno dei militari di guardia presso il monastero che disse : “ Wo ist der Abt? Ist er noch im Kloster?”. Un ufficiale alleato tradusse così: “ Dov’è il gruppo? E’ ancora nel convento?”,senza tenere conto del fatto che “Abt” ,abbreviazione abitualmente usata per “Abteilung” (gruppo o battaglione ) è femminile (“die Abt” ), mentre “der Abt” ,essendo maschile, non poteva che significare “abate”. Il soldato chiese quindi semplicemente al commilitone se l’Abate si trovava ancora nel monastero o no. I tedeschi avevano già provveduto nel tardo autunno del 1943 a portare in salvo l’inestimabile patrimonio artistico che era conservato all’interno dell’abbazia. Il colonnello Schlegel, ex comandante di brigata nella divisione Hermann Goering, provvide a far imballare e trasportare dai suoi uomini a Castel Sant’Angelo, in territorio Vaticano, gli insostituibili tesori d’arte, dell’Archivio di fama mondiale e della millenaria Biblioteca di Montecassino3. Al fatto venne data notevole enfasi e grande rilievo propagandistico.4 La decisione di bombardare il monastero ormai era stata presa, nonostante il parere contrario di Clark, che poi fu colui che, a malincuore, dovette dare materialmente l’ordine del bombardamento. Il 14 gli Alleati cercarono di informare sia i profughi che i monaci dell’imminente bombardamento, attraverso una pioggia di manifestini sia in italiano che in inglese. 2 Ibidem. Citazione dal settimanale Die Oesterreichische Furche ,Vienna, 3 novembre – 1 dicembre 1951. 4 Sul salvataggio delle opere d’arte del monastero sono interessanti i diari di guerra degli ufficiali tedeschi e dei monaci, nonché gli scambi epistolari riportati nel volume di E.Grossetti e M.Matronola, Il bombardamento di Montecassino,diario di guerra. 3 74 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Nella mattina di giovedì 15 febbraio 1944 cominciò l’attacco dei bombardieri alleati.5 Il bombardamento si protrasse per buona parte della giornata e , alla fine, dell’edificio non rimanevano che i contrafforti dell’ala occidentale, i sotterranei e la cripta, con il suo intricato labirinto di cunicoli. Non si poté stabilire con certezza quanti civili rimasero vittime dell’azione, perché purtroppo non si conosceva il numero degli sfollati che avevano cercato asilo nell’edificio sacro. Il bombardamento si rivelò del tutto inutile, poiché i Tedeschi si appostarono tra le rovine del colle, martoriato a tal punto che i carri armati alleati non poterono proseguire con un attacco deciso. L’unico battaglione che tentò un attacco dopo il bombardamento fu il Royal Sussex 6, ma senza ottenere risultati. Un’altra offensiva si svolse fra il 17 e il 18 febbraio, quando i neozelandesi e gli indiani superarono il fiume Rapido. Il 18 febbraio il 28°Battaglione Maori arrivò fino alla stazione di Cassino ma fu ricacciato indietro.La stessa sorte ebbero anche gli attacchi al monte Calvario e al colle dell’abbazia benedettina. Figura 8. L'abbazia di Montecassino dopo il bombardamento 5 Il cielo sopra l’abbazia si popolò di 142 aerei B-17,le temibili fortezze volanti, e 82 bombardieri medi B-52 e B-26, che sganciarono 500 tonnellate di bombe esplosive e incendiarie. A parte la divisione indiana, che corse seri rischi, tutti i soldati alleati accolsero i bombardieri con applausi e scene di giubilo: era la soluzione che serviva per sconfiggere i soldati tedeschi che pensavano fossero annidati al l’interno dell’edificio. In Cassino 1944. Un’abbazia all’inferno, pp. 99 – 105. Per una visione interna ai fatti si possono leggere i diari dei monaci che si trovavano nell’edificio, in Grossetti – Matronola, op. cit. 6 7^ Brigata, 4^ Divisione indiana. F. Majdalany, op. cit., p.104. 75 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 7.2. La seconda battaglia ( 15 – 23 marzo 1944 ) Figura 9. La seconda battaglia di Cassino. (Da F. von Senger und Etterlin, "Combattere senza paura e senza speranza") Cinque settimane di durissimi combattimenti avevano procurato modesti vantaggi agli Alleati che non erano ancora riusciti a penetrare nella valle del Liri: la città di Cassino e il monte del monastero erano ancora nelle mani dei Tedeschi. Il generale Alexander decise un nuovo attacco, articolato in bombardamenti aerei e incursioni di artiglieria, per spianare meglio la strada alla fanteria e ai mezzi corazzati. Il 2°Corpo americano fu ritirato e trasportato nella zona di Alife, rinforzato dall’88^ Infantry Division, arrivata direttamente dagli Stati Uniti. Le sue posizioni furono rilevate dal Corpo di spedizione francese e i Neozelandesi assunsero tutta la responsabilità del settore del monte Calvario. Per quanto riguarda i Tedeschi, la 90^ Panzergranadier Division fu sostituta dai paracadutisti della 1^ Divisione, coperti a nord dalla 44^ Divisione Hoch und Deutschmeister. 76 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. A partire dalle 8,30 del 15 marzo 1944 i bombardieri alleati rasero al suolo l’abitato di Cassino e la Rocca Ianula. Non tutti i lanci però andarono a segno e si contarono morti e feriti anche tra le fila degli Alleati. In seguito iniziarono anche le artiglierie a far fuoco sulla città e sulla collina. Dopo questo fuoco di preparazione Neozelandesi e Indiani scattarono all’attacco: i primi riuscirono a conquistare Rocca Ianula (Quota 193 ) ma non ad attraversare la via Casilina e avanzare in direzione sud. Cassino divenne una enorme barriera anticarro, per le condizioni in cui si trovava il terreno, ci volle l’intervento dei bulldozer per aprire un varco verso il centro cittadino. I combattimenti avvenivano metro per metro per strappare al nemico posizioni che poi, nel giro di poco tempo, venivano perse. Il 16 marzo le truppe indiane, aiutate dai fucilieri Gurkha, avanzarono, anche se di poco, sul colle dell’abbazia. I Neozelandesi combattevano ferocemente contro i paracadutisti tedeschi per il controllo della stazione di Cassino, che cadde in mano alleata il 19. Ci furono scontri nei pressi di Rocca Ianula e i Maori riuscirono ad avanzare lungo la via Casilina. La sera del 19 gli Alleati avevano compiuto discreti progressi all’interno di quello che una volta era centro abitato, ma dopo due giorni di stallo e il fallimento del tentativo neozelandese di cacciare i Tedeschi, il generale Alexander decise di sospendere le operazioni e di aspettare la primavera per sferrare l’attacco decisivo alla linea Gustav.7 7 Harold Alexander elogia la resistenza dei paracadutisti tedeschi in una lettera al primo ministro Winston Churchill, che desidera avere spiegazioni sulla mancata risoluzione delle operazioni militari. In Valentino Rossetti, La seconda battaglia, www.dalvolturnoacassino.it. 77 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 78 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 8. L’OPERAZIONE DIADEM 8.1. La terza battaglia ( 11 – 19 maggio 1944 ) Figura 1. LA TERZA BATTAGLIA. La V e l'VIII armata sfondano le linee e iniziano la vittoriosa avanzata su Roma. Nei circa due mesi di pausa dalle operazioni, gli Alleati diedero il via all’operazione Strangle, un’ offensiva aerea che aveva come scopo lo sconvolgimento delle linee tedesche colpendo strade, ponti , ferrovie e basi logistiche di varie città ( Firenze, Pisa, Arezzo, Terni, Perugia e Viterbo). Alla fine di aprile le Divisioni alleate erano 21, contro le 14 tedesche. Anche gli Italiani si unirono agli Alleati, trasformando il Primo raggruppamento motorizzato nel Corpo italiano di liberazione. Il generale John Harding1 assegnò, in previsione della battaglia finale, il settore di Cassino a tre Corpi d’armata: il 1°canadese, il 2°polacco e il 13°britannico. Il fronte del 1 Capo di Stato maggiore del 15°Gruppo d’armate. 79 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Garigliano avrebbe dovuto essere attaccato dai Francesi2 e il settore costiero dagli Americani3. Il compito più importante di quella che fu chiamata operazione Diadem fu affidato all’8^ Armata britannica del generale Oliver Leese4, che avrebbe dovuto sfondare la valle del Liri e creare disturbo in un’area a est e nord-est di Roma, mentre altri reparti avrebbero contemporaneamente agito attraverso i monti Aurunci, i colli albani e Anzio. L’attacco prese il via alle ore 23 dell’11 maggio 1944, cogliendo di sorpresa le truppe tedesche. Più di 2000 pezzi di artiglieria aprirono il fuoco su tutta la linea e allo spuntare del giorno stormi di bombardieri alleati attaccarono in modo massiccio le retrovie nemiche. I Polacchi conquistarono il monte Calvario, ma solo per un giorno, mentre i Francesi avanzarono sugli Aurunci, guadagnando lentamente posizioni ai danni dei nemici. 8.2. Lo scontro finale Il 13 maggio l’88^ Divisione americana entrò a Santa Maria Infante, mentre i Francesi conquistarono l’importante posizione di monte Maio e i Polacchi continuarono l’assedio al monte Calvario. Il lato a sud di Cassino era saltato e le truppe di Juin sboccarono nella valle del Liri, aprendo una breccia nella linea Gustav. Nella notte tra il 14 e il 15 maggio i Tedeschi cercarono di riorganizzarsi , ma l’artiglieria alleata ebbe il sopravvento, anche grazie alle buone condizioni meteorologiche che permisero l’utilizzo dei bombardieri americani. 2 Comandati dal generale Juin. 2 ° Corpo d’armata americano. 4 Sostituì alla guida di questo raggruppamento il generale Montgomery, impegnato a preparare e comandare le truppe anglo-canadesi per lo sbarco in Normandia ( Operazione Overlord , 6 giugno 1944 ). 3 80 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Il 16 maggio i canadesi avanzarono dalla testa di ponte sul fiume Gari e si spinsero oltre Pignataro. Gli Inglesi si avvicinarono ad Equino e gli Americani avanzarono in direzione di Itri. I Polacchi sferrarono un altro violento attacco alla collina del monastero, questa volta però con successo: la battaglia durò dieci ore e alla fine il generale Wladyslaw Anders5 gettò nella mischia anche un battaglione di meccanici, furieri e autisti, ma senza risultati. I Tedeschi furono indotti alla ritirata in seguito a cedimenti su tutto il fronte, alle 10,30 del mattino del 18 maggio 1944 il 12° Reggimento lanceri Podolskich arrivò sulla sommità della collina del monastero e issò la bandiera polacca e la Union Jack britannica. La linea Gustav era definitivamente sfondata e la lotta per Cassino terminata.6 Figura 2. Autocolonna alleata verso Roma 5 Capo delle truppe polacche Dopo la fine dei combattimenti i Marocchini, con il consenso del generale Juin, si abbandonarono ad ogni genere di violenza ai danni della popolazione civile, che non era mai stata ostile nei loro confronti. Testimonianza di questi fatti è recata nel libro di Alberto Moravia La Ciociara. Secondo l’associazione vittime civili di guerra , più di 25000 persone subirono angherie di questi soldati. In Arcese – Mortari, Lo sfondamento della linea Gustav, www. dalvolturnoacassino.it. 6 81 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 82 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 9. ESERCITI COBELLIGERANTI 9.1. Gli Italiani e le truppe alleate Dopo l’8 settembre 1943 le autorità militari italiane cercarono di raccogliere truppe da affiancare agli angloamericani che stavano risalendo la penisola. Il 28 settembre dello stesso anno gli Alleati autorizzarono la creazione di un’unità motorizzata di 5000 uomini, che prese il nome di 1° Raggruppamento motorizzato, sotto il completo controllo alleato. Per la prima volta furono chiamati l’8 dicembre ad affiancare gli americani1. L’assalto fallì con numerose perdite, ma fu portato a termine con successo qualche giorno più tardi, il 16 dicembre. Ritornò al fronte il 10 febbraio presso la linea Gustav con il Corpo di spedizione francese e in seguito,il 26 marzo, passò sotto le dipendenze della 5^Divisione polacca Kresova del 2°Corpo d’armata polacco. Il 31 marzo le truppe italiane conquistarono il monte Marrone, nell’alta valle del Volturno, e furono indispensabili alle poche truppe alleate che restarono in Italia nonostante la prospettiva dello sbarco in Normandia. Il 1°Raggruppamento, dopo la riorganizzazione in Corpo italiano di liberazione (CIL ), fu trasferito sul fronte adriatico. Le ottime prove che stavano dando i soldati italiani convinsero gli Alleati a permettere un nuovo rafforzamento con la creazione dei Gruppi di combattimento, non dotati però di mezzi corazzati ne’ organizzati in divisione.2 1 36^Infantry Division del 2°Corpo d’armata americano che andava all’attacco della postazione di monte Lungo, vicino alla statale 6 che conduce a Cassino. In Valentino Rossetti, La terza battaglia, www.dalvolturnoacassino.it. 2 Il Gruppo Cremona liberò Adria il 26 aprile 1945 e subito dopo Caverziere, Chioggia, Mestre e Venezia. Anche i Gruppi Folgore, Legnano e Mantova si distinsero in operazioni pericolose che diedero risultati positivi. 83 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Gli Alleati affidavano però soprattutto alle truppe italiane compiti di gestione e organizzazione degli approvvigionamenti, non fidandosi completamente della loro fedeltà , anche se il loro contributo fu spesso prezioso. Figura 3. Soldati italiani fatti prigionieri Figura 4. Soldati italiani 84 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 9.2. I Polacchi a Cassino Un contributo fondamentale per la buona riuscita delle operazioni alleate sulla linea Gustav fu dato anche dalle truppe polacche del 2°Corpo, costituito da reparti addestrati e organizzati in URSS dopo il trattato di amicizia che fu firmato dallo Stato sovietico per arginare l’avanzata tedesca ad oriente. Era per la maggior parte costituito da ex prigionieri di guerra e dipendeva dall’autorità militare sovietica, che l’ aveva finanziato e equipaggiato, ma i rapporti con la nazione furono sempre difficili. I suoi uomini furono ripartiti tra la 5^ e la 6^ Divisione di fanteria sovietica . Nel 1941 il suo utilizzo divenne motivo di tensione tra il governo polacco in esilio e Stalin. 33000 uomini passarono sotto il comando britannico e nacque così il 2° Corpo polacco che si distinse a Cassino. Nel novembre 1943 fu trasferito in Palestina, quindi in Egitto ed infine in Italia, dove restò fino alla fine della guerra , per poi tornare in Gran Bretagna , dove fu smobilitato. Figura 5. Fanti polacchi su Montecassino 85 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 9.3. I reggimenti Gurkha I primi reparti Gurkha entrati a far parte delle forze britanniche furono quelli arruolati nella campagna himalayana ( 1814 – 1815 ), ma fu solo nel 18163che gli inglesi acquisirono il diritto pieno di arruolare i soldati nepalesi. Il loro status nell’esercito anglo-indiano fu da subito particolare: il Nepal infatti non faceva parte dell’impero e queste truppe erano a tutti gli effetti mercenarie. Provenivano dalle tribù delle montagne e già nel 1816 fu possibile trasformare in reggimenti i tre battaglioni arruolati l’anno precedente. Nel 1857 contribuirono alla soppressione della rivolta delle forze native della Compagnia delle Indie orientali, dando prova di fedeltà, e dopo il 1860 presero parte a tutte le più importanti campagne belliche inglesi. Durante il primo conflitto mondiale combatterono in Francia, Turchia, Persia e Palestina, mentre nel secondo operarono su tutti i fronti: Birmania, Medio Oriente, Nordafrica, Grecia e Italia.4 Nel 1947 i dieci reggimenti Gurkha vennero ripartiti tra le neonate forze armate indiane e quelle britanniche. Figura 6. Due soldati Gurkha Figura 7. Fregio da basco: due kukri 3 Trattato di Sagauli. I soldati Gurkha erano caratterizzati dalla divisa inglese e, sul fianco, portavano un coltello denominato Kukri. 4 86 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 9.4. Altre immagini della guerra… Figura 1. Abitato di Cassino sotto le bombe Figura 2. Gli Alleati entrano a Cassino Figura 3. Il Generale Clark a Roma Figura 4. Colle e abitato di Cassino Figura 5. Cassino e i resti dell’abbazia 87 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 6. Soldati tedeschi Figura 7. Soldati Gurkha Figura 8. Goumier marocchino Figura 9. Soldato canadese Figura 10. Prigionieri tedeschi a Castelforte 88 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 11. Bandiera polacca su Montecassino Figure 12 e 13. Abbazia dopo le bombe, lato ovest. 89 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 14. Chiostro d’ingresso dopo il bombardamento Figura 15. Resti della basilica 90 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 16. I soldati tedeschi occupano le macerie di Montecassino dopo il bombardamento 91 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 17. Soldato tedesco sotto i resti dell’abbazia 92 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 18. Soldato davanti a Montecassino 93 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 9.5. Il salvataggio delle opere d’arte dell’abbazia di Montecassino. Figura 19. L’Abate Diamare col colonnello Schlegel e altri monaci. Da destra si riconoscono Don Tommaso Leccisotti e don Martino Matronola Figura 20. L’Abate Diamare con i suoi monaci benedice e saluta il primo gruppo di partenti 94 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 21. Don Eusebio Grossetti tra i soldati che confezionano le casse Figura 22. Casse con i libri della biblioteca pronte per la partenza 95 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 23. 8 dicembre 1943 – Arrivo dei camion tedeschi con l’archivio di Montecassino a Castel Sant’Angelo, provenienti da Spoleto 96 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 24. Consegna dell’archivio di Montecassino a Castel Sant’Angelo. Il colonnello Schlegel consegna simbolicamente una pergamena a Don Atanasio Mueller Figura 25. Un mappamondo secentesco e alcuna capsule dell’archivio di Montecassino vengono introdotti a Castel Sant’Angelo 97 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 26. Un camion tedesco entra a Castel Sant’Angelo 98 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 10. L’ORDINE BENEDETTINO 10.1. Vita di San Benedetto da Norcia Prima e pressoché unica testimonianza sulla vita di San Benedetto costituita dai Dialoghi che papa Gregorio Magno scrisse tra il 593 e il 5941. San Benedetto nasce a Norcia, in Umbria , nel 480, da nobile famiglia2. Da ragazzo viene mandato a Roma per intraprendere studi di lettere e diritto, ma, sconvolto dalla perversione che attanagliava la città, fuggì per servire Dio dapprima in solitudine e, in seguito, nel recinto di diversi monasteri. Si ritira all’inizio in una grotta a 50 km da Roma, a Enfile ( oggi Affile ),e, in seguito,a Subiaco, in quello che da allora prende il nome di Sacro Speco, dove sperimenta la vita ascetica di stile orientale. E’ aiutato solamente da un monaco dei dintorni, Romano, che provvedeva al suo sostentamento. Il suo ritiro dura tre anni, alla fine dei quali ricomincia ad inserirsi nel mondo. Cominciano infatti ad accorrere da lui numerosi uditori e viene convocato dalla comunità monastica di Vicovaro per sostituire l’abate appena deceduto. Dopo lunghe esitazioni accetta il compito, con la speranza di riformare la vita e i costumi fin troppo liberi di quei monaci. Ma il ritorno forzato a un monachesimo di tipo primitivo costò a Benedetto il tentativo di avvelenamento da parte di quei monaci che avevano tanto insistito per averlo come guida3. Ritornato a Subiaco raccoglie attorno a sé numerosi discepoli, che gli chiedono “ l’abito e il favore di vivere la sua vita”4. Non costituisce un vero monastero, ma forma nella sua caverna i primi tredici monaci che vengono poi mandati nelle vicinanze a costituire un 1 Secondo libro dei Dialoghi. La difficile situazione che sta vivendo l’Italia e la Chiesa a causa dell’invasione longobarda fa si che papa Gregorio decida di mostrare ai fedeli una serie di personaggi, vescovi, monaci o laici, capaci di far indietreggiare le forze del male appoggiandosi su una fede totale nell’onnipotenza di Dio. 2 La Gens Anicia che vive tra Roma e Norcia, di cui parla Ivan Gobry, Storia del monachesimo, pag. 667. 3 Ivan Gobry, Storia del monachesimo, pag. 672. 4 Ivan Gobry, op.cit. 99 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. eremitaggio. Con questo procedimento Benedetto si trova nel giro di poco tempo a capo di dodici piccoli monasteri. Ma la persecuzione nella zona non cessa, soprattutto a causa di un sacerdote del luogo, e Benedetto decide di trasferirsi nelle vicinanze di Cassino, assieme ai più fidati tra i suoi discepoli, tra cui i fanciulli Mauro e Placido, che si distingueranno anche per i loro miracoli . Sulla cima della collina di Cassino, forse donata ai monaci dal proprietario Tertullo, si trovava un bosco consacrato a Venere e due templi dedicati a Giove e ad Apollo5. I monaci distruggono tutto e iniziano a costruire al posto del tempio di Apollo un oratorio di San Martino, padre del monachesimo occidentale, e sulle rovine dell’altare sacrificale innalzano un altare a San Giovanni, modello degli eremiti. Scrive Dante Alighieri, parafrasando Gregorio Magno: “ Quel monte a cui Casino è ne la costa fu frequentato già in su la cima da la gente ingannata e mal disposta; e quel son io che su vi portai prima lo nome di colui che ’ n terra addusse la verità che tanto ci sublima; e tanta grazia sopra me relusse, ch’io ritrassi le ville circunstanti da l’empio colto che ’l mondo sedusse.”6 Al monastero accorrono personalità di vario genere, ansiose di entrare in contatto con la santità del suo fondatore, tra cui il re Totila, probabilmente nell’ottobre del 546, che fu 5 6 Secondo Gobry “ questo luogo era la vestigia pagana più celebre e più tenace di tutta la regione”. Paradiso, Canto XXII, v. 37- 45. 100 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. rimproverato da Benedetto per il male compiuto e a cui fu predetta l’entrata nell’Urbe e la sua morte. Ben fu seguito nella sua opera evangelizzatrice dalla sorella gemella Scolastica, che fondò un monastero nell’agro aquinate a Piumarola e che incontrava il fratello a Montecassino una volta l’anno. Dopo l’ultimo incontro Benedetto vede lo spirito di Scolastica dirigersi verso il cielo sotto forma di candida colomba , così si rende conto della sua morte. E’ nel monastero di Montecassino che San Benedetto redige la Regola Monachorum, che caratterizzerà la vita di molte delle comunità monastiche nate dopo di lui. La regola probabilmente era un adattamento di una regola precedente, detta Regola del maestro7, ma la sua intuizione fondamentale fu quella di capire che era necessario non di preparare i monaci alla vita solitaria, ma a quella comunitaria. La Regola di San Benedetto è divenuta celeberrima col motto “ ora et labora” ( prega e lavora ), che ben illustra le caratteristiche principali del nuovo monachesimo. San Benedetto muore il 21 marzo 547 nell’oratorio di San Martino, attorniato dai suoi monaci, alzando le braccia al cielo. Nel 1947 papa Pio XII chiamò San Benedetto “Padre d’Europa” e il 24 ottobre 1964, in occasione della consacrazione della basilica di Montecassino, ricostruita dopo la distruzione della guerra, papa Paolo VI lo proclama “Patrono d’Europa”. 7 San Gregorio Magno non fa accenno a questo fatto per non sminuirne l’importanza. 101 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 10.2. Diffusione del monachesimo benedettino Il fenomeno monastico ha origine due secoli prima di San Benedetto e nasce in Egitto e in Palestina. In Occidente si diffonde con figure come San Martino di Tours, San Girolamo, Cassiano, San Patrizio e con ideali che rispecchiano il genere di vita condotto da Sant’Antonio nel IV secolo, tutto dedicato a preghiera e penitenza, in forma eremitica o cenobitica. La copiosa produzione letteraria di vite, sermoni, regole e dialoghi influenzerà anche San Benedetto nella stesura della sua Regola. La comunità monastica, secondo la regola benedettina, è unica, indipendente e autosufficiente8.I monaci provvedono al sostentamento della loro comunità attraverso lavori di tipo artigianale e, solo di rado, coltivando la terra . Grande importanza assume anche, all’interno delle Sante Case, l’opera di raccolta, copiatura e diffusione dei grandi classici della letteratura greca, latina e cristiana, al fine di formare adeguatamente i confratelli. In un primo periodo la Regola risulta poco conosciuta, è il periodo delle cosiddette “ regulae mixtae”, formate da norme desunte da diverse regole. Nel 577 il monastero di Montecassino fu abbattuto per la prima volta dai Longobardi e i monaci si rifugiarono a Roma, iniziando la diffusione della Regola dapprima nel territorio ristretto di Lazio e Umbria (esistevano ancora i dodici cenobi fondati da San Benedetto), in seguito in tutta Italia e nel resto del mondo. La Regola varca i confini della penisola nel 596, quando San Gregorio manda in Inghilterra quaranta monaci romani del monastero del Celio, insieme a Sant’Agostino, 8 Gregorio Penco, L’ordine benedettino in Roberto Bosi ( a cura di ), Gli ordini religiosi: storia e spiritualità. 102 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. per convertire quei popoli. Da questo momento la diffusione della Regola di San Benedetto e del Vangelo procedono di pari passo, mediante i monasteri fondati nel nord dell’Europa, che si adoperano per la diffusione della Regola e per l’evangelizzazione delle popolazioni germaniche, soprattutto grazie ai monaci celti e anglosassoni. Fino al Mille le consuetudini utilizzate nei vari conventi erano delle più varie; nel sud Italia dal VI secolo i monasteri osservano la tradizione cenobitica greca di San Basilio il Grande9. Negli ultimi decenni dell’VIII secolo Carlo Magno comincia ad imporre a tutti i monaci la Regola benedettina, al fine di favorire la disciplina e l’uniformità, attuando un’unificazione dapprima religiosa e poi anche politica del suo impero. La riforma monastica fu severa soprattutto in Aquitania, regno di Ludovico il Pio, figlio di Carlo Magno. L’opera di unificazione delle regole conventuali fu affidata al monaco visigoto Benedetto di Aniane, che nell’817 convocò ad Acquisgrana un sinodo di abati e monaci per imporre a tutti i monasteri una normativa generale, insieme alla Regola benedettina.10 Alla metà del IX secolo la crisi politica e militare dell’impero porterà disordine anche nel mondo monastico: fallisce la riforma di Benedetto d’Aniane ma non si dimenticano i suoi principi ispiratori. Continua infatti, soprattutto nelle campagne, l’opera dei monaci per strappare ai culti idolatrici i contadini e il desiderio di sottrarsi all’autorità vescovile attraverso l’istituto giuridico dell’esenzione si fa sempre più forte. Per il momento il monachesimo benedettino non riesce a raggiungere l’Irlanda , che ha una sua tradizione monastica legata a San Colombano, e la Spagna. In Inghilterra , invece, come si è già detto, la regola arrivò e probabilmente fu proprio là ad essere 9 G. Tabacco, Il cristianesimo latino altomedievale, in G. Filoramo e D. Menozzi, Storia del cristianesimo, p.66. 10 G. Tabacco, op.cit. 103 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. fondato il primo convento benedettino fuori dall’Italia, ad opera di Sant’Agostino, che divenne anche il primo arcivescovo di Canterbury. Continuano le fondazioni in Francia e in Belgio. In Germania la figura principale è quella di san Bonifacio, nominato dal papa “Episcopus Germaniae” e evangelizzatore di Baviera, Assia ,Turingia e Sassonia. A lui si deve la fondazione del monastero di Fulda. In Italia, nel frattempo, era risorto il monastero di Montecassino ( nel 717 ), mentre grande importanza acquistarono le contemporanee abbazie di Farfa, Nonantola, San Vincenzo al Volturno e Novalesa. In tutto questo fiorire di abbazie spicca, nel 910, la fondazione del monastero di Cluny, di stampo benedettino, in Borgogna, a opera del duca d’Aquitania Guglielmo il Pio11.Questa fondazione aveva la grossa particolarità di dipendere direttamente dalla sede Apostolica romana, instaurando un rapporto privilegiato tra papa e abate di Cluny, che veniva definito “re dei monaci”12. A partire dal secolo XI si ha il più grande sviluppo dei centri monastici, con una compenetrazione sempre più stretta tra vita monastica e strutture feudali13. Alla crisi del cenobitismo, dovuta ai troppi interessi economici dei monasteri, si contrappone la diffusione delle correnti eremitiche e di movimenti monastici rigoristici e riformati. Il punto di riferimento per questo rinnovamento è ancora la Regola di San Benedetto, che viene ripresa e riportata al suo rigore iniziale. Appartiene a questa corrente San Romualdo, che, con il suo eremitismo itinerante, parte dai Pirenei e arriva in Italia, fondando eremi e monasteri lungo il tragitto, tra cui il più 11 G. Tabacco, op. cit. I primi abati furono San Bernardo, Sant’Odone, San Maiolo ,Sant’Odilone, Sant’Ugo, figure importantissime che diffusero l’ “Ordo cluniacensis” in tutta Europa, consolidando la cristianità medioevale e rafforzando l’autorità papale. Un approfondimento a riguardo è dato da G.M.Cantarella nel volume I monaci di Cluny. 13 G. Penco, op.cit. 12 104 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. importante quello di Camaldoli. Da qui proviene la comunità dei camaldolesi, che aveva la particolarità di unire eremo e cenobio. Tendono a nascere organismi supernazionali, veri e propri Ordines, che seguono osservanze proprie. Si completa l’evangelizzazione dei popoli germanici, cui si aggiunge la conversione dei popoli slavi, ad opera di Sant’Adalberto da Praga e dei discepoli di San Romualdo. Questa è anche l’epoca in cui raggiunge il suo apogeo la cosiddetta “teologia monastica”, ossia la riflessione sapienziale sui misteri della fede che porta a compimento il precedente sviluppo del pensiero cristiano, ad opera di personalità come Sant’Anselmo d’Aosta, Giovani di Fécamp, San Pier Damiani, ma soprattutto San Bernardo.14 Accanto ai movimenti eremitici nascono altri nuovi filoni monastici: in Francia quello fondato da Guglielmo da Volpino, in Italia quello di Vallombrosa, fondato da San Giovanni Gualberto, quello di Montevergine, fondato da San Guglielmo da Vercelli, e quello fondato in Puglia da San Giovanni di Matera e detto congregazione di Pulsano. Ma il più importante movimento nato in questo periodo è quello Cistercense, che trae origine da San Roberto15 che, al fine di ripristinare la Regola benedettina originale, fonda nel 1098 il monastero di Citeaux.16Gli insegnamenti di San Benedetto tornano ad essere quelli dell’origine, grazie ai monaci bianchi di Citeaux che si contrappongono anche nel colore del saio ai neri di Cluny. Lungo tutto il XII secolo la congregazione ebbe enorme diffusione e con essa anche la Regola benedettina. 14 G.Penco, op.cit. Al fondatore succedono San Bernardo, Sant’Alberico e Santo Stefano Harding, autore della Carta caritatis,testo base della legislazione cistercense. 16 G.G.Merlo, Il cristianesimo latino bassomedievale, in G.Filoramo e D.Menozzi, op.cit. 15 105 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Il Basso Medioevo vide la crisi dei centri monastici, anche a causa dello sviluppo dei nuovi ordini mendicanti, ma non scomparvero, anzi, fra ‘200 e ‘300 le congregazioni continuarono comunque a pullulare un po’ dappertutto.17 Tra ‘300 e ‘400 il male peggiore fu il decadimento morale, a cui cercarono di porre rimedio movimenti monastici su scala regionale o nazionale. I più importanti: Santa Giustina da Padova, Valladolid in Spagna e Bursfeld in Germania. Il primo in particolare, attraverso una riforma cattolica monastica, precorse di un secolo le deliberazioni del Concilio di Trento ( 1545 – 1563 ). Salvato dalla decadenza dal nobile abate veneziano Ludovoico Barbo, la sua rinascita portò grande affluenza di monaci e la formazione di una federazione di conventi di pari diritti. Fu punto di riferimento per tutte le Congregazioni monastiche riformate tra ‘400 e ‘500, rimanendo però esclusivamente italiano. Con l’annessione di Montecassino del 1504 prese il nome di Congregazione Cassinese. Ma l’epoca moderna vede anche il monachesimo benedettino indebolito in alcune zone d’Europa dalla Riforma Protestante18, anche se tutelato dalle deliberazioni del Concilio di Trento, che attuò un consistente rinsaldamento della disciplina. Le Congregazioni benedettine tendono ad aumentare, dando impulso agli studi sacri: nascono i Maurini nel 1621 ( Congregazione francese di San Mauro ) a cui si contrappongono i Trappisti dell’abate Rancé, ramo riformato dell’Ordine cistercense. A Venezia, invece, il venerabile Pietro Mechitar19 nel 1700 fonda la Congregazione dei Mechitaristi, adottando la Regola di San Benedetto e dando vita a un attivo focolaio di cultura armena. 17 Silvestrini nelle Marche, Celestini in Abruzzo, Olivetani in Toscana. P.Christoph, La storia della chiesa, p.406 19 Di provenienza armena, cerco invano di fondare un monastero anche a Costantinopoli, in G.Penco, op.cit. 18 106 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Nel ‘700 i monasteri prendono parte alle dispute dottrinali, come quella del Giansenismo. Con la Rivoluzione francese quasi tutte le comunità monastiche vennero soppresse o disperse, e con loro il patrimonio culturale e artistico di cui erano in possesso. La restaurazione dell’epoca post-napoleonica invece diede nuova vita alle Congregazioni monastiche. Il processo fu favorito anche dalla cultura romantica dell’epoca, caratterizzata dal recupero del medioevo con la sua tradizione cristiana e monastica. In Francia importante fu l’esperienza di Prospero Guéranger, che si stabilì nel monastero di Solesmes e diede vita alla nuova Congregazione solesmense. A questa si ispirarono anche altre nuove Congregazioni benedettine nate nell’Ottocento: quella di Beuron, fondata dai fratelli Wolter in Germania, che diede vita a numerosi monasteri in tutta Europa e si occupò della ripresa della Congregazione benedettina brasiliana. Alla fine del XIX secolo fu fondata anche la Congregazione tedesca di Sant’Ottilia per le missioni in Asia e in Africa. L’abate Pier Francesco Casaretto riformò la Congregazione Cassinese che divenne dapprima Congregazione Cassinese “di prima osservazione” e in seguito Congregazione Sublacense. Nel 1855 e 1866 il governo italiano impose nuove soppressioni . Grande novità dell’inizio dell’800 fu l’espansione del monachesimo benedettino negli Stati Uniti d’America, dapprima con i Trappisti francesi e in seguito con i Benedettini bavaresi e svizzeri. Il loro scopo era fornire assistenza ai connazionali emigrati. Nello stesso periodo l’Ordine raggiunge anche l’Australia, dove viene fondata l’abbazia Nuova Norcia. Alla fine dell’800 ci fu un nuovo moto di ripresa anche in corrispondenza del XIV centenario della nascita di San Benedetto ( 480 – 1880 ), quando tutti gli abati del 107 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. mondo si riunirono per la prima volta a Montecassino, dando origine a una Confederazione Benedettina guidata da un abate primate. Il numero dei monaci e delle monache crebbe rapidamente passando dai 2000 del 1880, ai 6500 nel 1940, agli 11400 del 195520. Nel nostro secolo, segnato dalla distruzione nel 1944 , durante la Seconda Guerra Mondiale, dell’abbazia di Montecassino, da parte delle truppe angloamericane, il monachesimo di San Benedetto ha raggiunto veramente un’espansione mondiale, contribuendo alla rinascita religiosa e alla celebrazione del Concilio Vaticano II “mediante l’apporto al movimento liturgico, biblico, patristico, ecumenico”21. In questo modo si spiega l’ampia eco che ebbe l’infausto bombardamento del ’44 in tutti gli angoli del mondo, e il perché soprattutto, subito dopo la guerra, il monastero fu ricostruito ( al 1945 risale la posa della prima pietra ) “dov’era, com’era”, secondo la volontà dell’abate ricostruttore Idelfonso Rea. Finanziato esclusivamente dallo Stato Italiano e con il contributo degli italiani all’estero, fu assunto a simbolo nazionale di cristianità e nel giro di un decennio risorse in tutto il suo splendore, secondo il motto “succisa virescit”, che aveva caratterizzato ogni ricostruzione dello sfortunato monastero, che dalla sua fondazione fu abbattuto ben quattro volte. 20 21 G.Penco, op. cit. G.Penco, op. cit. 108 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 11. LA BATTAGLIA DI MONTECASSINO NEL CINEMA 11.1. Introduzione ai film principali Il mondo cinematografico è stato avaro di produzioni sulla battaglia di Montecassino. La sterminata filmografia sulla seconda Guerra Mondiale, sia italiana che straniera, affronta gli avvenimenti accaduti durante la campagna d’Italia (1943- 1945) in numerose pellicole, alcune delle quali si avvicinano anche al luogo e al periodo della battaglia di Montecassino ( S. Pietro Infine, Volturno, Anzio, la presa di Roma) . Ma i film che trattano diffusamente della battaglia in questione sono solamente tre e appartenenti a filmografie diverse. In ordine cronologico si possono ricordare: • The story of G.I. Joe ( I forzati della gloria ), Di William Wellman, USA, 1945 ; • Montecassino , di Arturo Gemmiti, Italia , 1946 ; • Die gruenen Teufel von Montecassino ( I diavoli verdi di Montecassino), di Harald Reinl, Germania ( ex Repubblica Federale Tedesca) , 1958. Mentre il film italiano e quello tedesco sono totalmente incentrati sulla battaglia, il film americano tratta in generale della Campagna d’Italia , ma soffermandosi anche sulla battaglia di Montecassino. Infatti, se sia gli Italiani che i Tedeschi avevano buoni motivi per ricordarsi di quel tragico fatto, gli Americani, analizzando storicamente gli avvenimenti, ebbero maggiori vittorie su altri fronti, e qui inoltre si macchiarono dell’inutile bombardamento del monastero. Per quanto riguarda la pellicola di Gemmiti il fatto storico è rivissuto attraverso gli occhi di monaci e profughi che subirono la tragedia, mentre i Tedeschi si fecero vanto nella pellicola di Reinl di aver salvato l’immenso patrimonio artistico della storica abbazia benedettina. 109 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 110 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 11.2. THE STORY OF G.I. JOE ( I forzati della gloria – William Wellman, 1945 ) Locandine della edizione originale americana del film Il film The story of G.I. Joe fu girato nel 1945 da William Wellman, regista hollywoodiano, nel periodo in cui la guerra stava volgendo al termine. Il momento storico dava al regista la possibilità di realizzare un’opera realistica, poiché si poteva rappresentare quello che realmente era stato e le condizioni talvolta disperate in cui i soldati erano costretti a combattere. 111 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La pellicola si basava sui reportage di Ernie Pyle1 ( Ernest Taylor Pyle), giornalista del Washington Daily News, che ottenne un premio Pulitzer nel 1944 proprio per le sue storie sui semplici fanti, che sostenevano l’urto della guerra nelle peggiori condizioni. Seguiva le truppe nei loro spostamenti, viveva come i soldati semplici, accompagnato però dalla sua macchina da scrivere, e morì come uno di loro, ucciso da un cecchino giapponese nel 1945 a Okinawa.2 Wellman lavorò sul materiale di Pyle e ne fece una grandiosa opera, con un notevole grado di realismo, a cui si aggiungono diversi spezzoni documentari tratti dal documentario The battle for San Pietro3, girato da John Huston durante la battaglia di San Pietro Infine, sulla linea Gustav, montati in modo magistrale. Il film fu prodotto da Lester Cowan e interpretato, nei ruoli principali, da Robert Mitchum (capitano Walker) e Burgess Meredith (Ernie Pyle). Molti erano gli attori sconosciuti, tra cui circa centocinquanta veterani, che la produzione utilizzò per sei settimane, prima che partissero per il Pacifico.4 1 Nato il 3 agosto del 1900 a Dana, nell’Indiana, Pyle cominciò a scrivere le storie dei militari ancora prima della seconda guerra mondiale. Partì poi per il fronte insieme all’esercito americano e viaggiò in Africa e in Europa. Nel 1945 decise di partire per il Pacifico, dove trovò la morte il 18 aprile 1945 a Ie Shima (Ryukyu Islands). Le informazioni sono tratte da diversi siti che trattano del giornalista ed in particolar modo: www. americanwriters. org, www. duff. net, www. outwestnewspapers. com. 2 C. Koppes e G. Black, La guerra di Hollywood. Politica, interessi e pubblicità nei film della seconda guerra mondiale, p. 336. 3 Le Forze armate americane chiesero la collaborazione di registi di Hollywood, tra cui Frank Capra, William Wiler e John Huston, poiché le truppe alleate stavano risalendo velocemente la penisola italiana. Huston fu inviato in Italia per girare un documentario su quella che doveva essere l’imminente liberazione di Roma, ma la situazione cambiò. I Tedeschi bloccarono gli Alleati sul fiume Liri e Huston ricevette un nuovo ordine: fare un lavoro che spiegasse agli Americani perché la guerra si era fermata tra Roma e Napoli. Fu arruolato nel 143°Reggimento fanteria del Texas , trascorse un periodo in Gran Bretagna per poi arrivare a Napoli. Infine giunse a San Pietro Infine con la sua troupe cinematografica, dove, dopo quindici giorni di combattimento, furono i primi ad entrare. Il documentario, nella versione in cui si vide all’epoca, era modificato da un taglio di circa venti minuti imposto dal Capo di Stato maggiore dell’esercito americano George C. Marshall, poiché ritenuto troppo crudo. Furono tolti tutti i militari americani morti e riconoscibili e le sequenze che si dilungavano troppo sui civili italiani, perché ritenute poco interessanti 4 Koppes – Black, op. cit., p. 336. 112 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. I forzati della gloria venne distribuito negli USA il 6 ottobre del 19455 ( in Italia solo nel 1949 ) ed ebbe quattro nomination all’Oscar, senza vincerne nessuno: sceneggiatura ( Leopold Atlas, Guy Endore, Philip Stevenson ), canzone ( “Linda” di Ann Ronell ), musica ( Ann Ronell, Louis Applebaum ) e Robert Mitchum come attore non protagonista6. All’epoca Mitchum aveva vent’otto anni, ventidue film alle spalle e grazie a questa produzione riuscì a far slittare la sua chiamata alle armi fino a quando ormai la guerra era quasi finita. Grazie anche alla regia di Wellman, questa produzione indipendente distribuita dalla United Artists fu il suo trampolino di lancio.7 Il film narra le vicende di una compagnia di fanteria dalla Tunisia allo sbarco in Sicilia, alle battaglie di liberazione nel sud Italia, fino ad arrivare a Montecassino e, in seguito, a Roma. C’è quindi una grande diversità rispetto agli altri film che parlano della battaglia di Montecassino, poiché qui il discorso è più vasto, affronta buona parte della campagna d’Italia, ma comunque interessante, soprattutto nella parte in questione. Inoltre è l’unico film prodotto negli Stati Uniti che tratti in modo abbastanza diffuso di questo episodio, ma questa volta solamente dal punto di vista dei soldati americani, cioè dei G.I., i fanti semplici. Quello di Wellman è considerato uno dei migliori film hollywoodiani di guerra usciti nel 1945. Lo scrittore James Agee, all’epoca critico cinematografico, lo definì “a tragic and eternal work of art” e in termini altrettanto entusiastici ne parlò Samuel Fuller, che 5 J. Basinger, The World War II combat film. Anathomy of a genre, p. 294. I dati sono tratti dall’articolo di Morando Morandini I forzati della gloria, apparso nella pubblicazione Eroi, duri e avventurieri. Il cinema d’azione, supplemento alla rivista Ciak n. 6, giugno 2002. 7 Ibidem 6 113 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. riteneva brutta la maggior parte dei film di guerra, ma che apprezzava invece gli antieroi di questa pellicola8. Il film , introvabile in lingua italiana, è stato analizzato nella versione originale in lingua inglese. 11.2.1. Gli Stati Uniti alla fine del secondo conflitto mondiale Gli Stati Uniti entrarono in guerra nel 1941, dopo l’attacco Giapponese a Pearl Harbor, e condussero le sorti della guerra fino alla vittoria definitiva del 1945. Gli ultimi anni di guerra furono segnati da una serie di importanti vittorie su tutti i fronti. Alleati di Gran Bretagna e Unione Sovietica nel comune tentativo di debellare il male fascista che imperversava in Europa, nel 1944 sbarcarono in Normandia e liberarono la Francia. In quegli anni il presidente degli Stati Uniti era Franklin Delano Roosvelt, che insieme a Stalin e Churchill era alla guida dell’alleanza. I tre grandi si incontrarono a Mosca nell’ottobre del 1944, per decidere sulle sorti dell’Europa dopo la guerra e in seguito, nel febbraio 1945 a Yalta, in Crimea, dove fu decisa la suddivisione della Germania in quattro zone di influenza (una era riservata alla Francia) e la sua massiccia denazificazione. Mentre si svolgeva questa conferenza, era già scattata l’offensiva finale, che nel giro di pochi mesi avrebbe portato al crollo del Terzo Reich. Il 7 maggio 1945 fu firmato l’atto di capitolazione delle forze armate tedesche, che decretò la fine della guerra in Europa. 8 “Odio l’eroismo fasullo,quel genere di eroismo ipocrita che inventiamo per i nostri ragazzi affinché i loro genitori, rientrati in casa, si sentano rassicurati sulla guerra gentile e pulita che il loro figlio sta combattendo…Faccio film di guerra perché ho incontrato uomini meravigliosi e attraverso di loro posso raccontare la mia avversione per la guerra.” In M. Morandini, art. cit. Samuel Fuller riprende anche una scena di questi film, in cui i civili italiani escono dai loro rifugi er ringraziare i G.I. di aver liberato il loro paese, nel suo The big red one. In J. Basinger, op. cit., p. 141. 114 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Ma i combattimenti proseguivano nel Pacifico9, dove il Giappone resisteva ancora e gli Stati Uniti avevano cominciato una lenta riconquista delle posizioni perdute. I nemici si rifiutavano di arrendersi e la drastica decisione per cessare i combattimenti fu dettata dal nuovo presidente degli Stati Uniti (Roosvelt era morto il 12 aprile 1945) Harry Truman, che decise di impiegare la nuova arma totale, la bomba atomica. Il 6 agosto fu sganciato il primo ordigno su Hiroshima, tre giorni dopo una nuova bomba colpì Nagasaki. Il 15 agosto l’imperatore Hiroito offrì agli Alleati la resa senza condizioni10. Gli Stati Uniti divennero in questo periodo la guida materiale e “spirituale” di tutto l’occidente, poiché cominciava a prendere forma il cosiddetto “mito americano”. Di matrice soprattutto americana fu l’ispirazione di base dell’Organizzazione della Nazioni Unite, creata nella conferenza di San Francisco (aprile – giugno 1945) con l’obbiettivo di salvare le generazioni future dal flagello della guerra e di impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli.11 Il problema principale che toccava gli Stati uniti subito dopo la guerra non era quello della ricostruzione, poiché il loro territorio non era stato flagellato dai combattimenti, ma della riconversione: occorreva cioè riconvertire il sistema economico, indirizzato negli ultimi anni alla produzione bellica, a scopi di pace. Truman cercò di portare avanti la politica riformista roosveltiana, con un atto chiamato Fair Deal, ma con poco successo. Egli mirava a mantenere saldo il legame tra operai ed agricoltori per dare al paese una dinamica democrazia sociale ed economica. Ma i prezzi 9 Liddel Hart, op. cit., p.700. Ibidem, p. 970. 11 Giardina – Sabatucci – Vidotto, Manuale di storia.3.L’età contemporanea, pp. 691 – 694. 10 115 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. agricoli cominciarono a scendere e i salari continuavano ad aumentare12. L’abolizione dei controlli sulle attività industriali e il forte deficit del bilancio statale (gravato dalle spese militari e da quelle per gli aiuti all’estero) provocarono un forte aumento dei costi della vita e sfociarono in una serie di manifestazioni sindacali. La fine della seconda guerra mondiale e l’inizio della Guerra Fredda modificò notevolmente il clima politico e sociale negli Stati Uniti. Il secondo “Red Scare” cominciò a diffondersi pochi anni dopo la conclusione della seconda guerra mondiale. La “questione comunista” provocò nel corpo sociale degli Stati Uniti la lacerazione e la frattura etico-psicologico-politica più grave dal tempo della guerra civile; l’anticomunismo e il timore di infiltrazioni, congiure e atti di spionaggio contro la sicurezza del paese raggiunsero toni molto marcati che ricordavano quelli del primo dopoguerra, l’epoca appunto della “prima paura rossa” ma che, diversamente da allora, avevano adesso qualche giustificazione; le condizioni di libertà e il processo di svolgimento della vita pubblica in una democrazia tradizionale come gli Stati Uniti permisero l’affermazione e il successo di demagoghi che arbitrariamente si servirono del potere così acquisito per cercare di conculcare le libertà che pretendevano di difendere. Durante il New Deal, nel fervore riformatore e nella necessità di una sia pur preliminare programmazione, l’accesso di comunisti a posti di responsabilità del governo federale non era stato impedito, e così era avvenuto anche negli anni di guerra in cui era stata stabilita l’alleanza con l’URSS, in una sorta di solidarietà morale e ideologica antifascista. Questo clima si deteriorò rapidamente con la morte di Roosevelt e la fine della guerra. Gli sviluppi della politica internazionale che portarono alla Guerra Fredda furono accompagnati, se non addirittura preceduti, da fatti interni agli Stati Uniti 12 Allan Nevis e Henry Steele Commager, Storia degli Stati Uniti, Einaudi, Torino, 1980, pp.548 – 549. 116 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. e al semicontinente nordamericano che dimostrarono la realtà dell’infiltrazione comunista-sovietica. 13 L’America aveva prodotto film bellici durante tutto il conflitto a scopi principalmente di propaganda, per elogiare le imprese militari e il coraggio dei suoi soldati. In un clima politico come quello descritto, un film come I forzati della gloria risulta essere una particolarità. Infatti, seppur raccontando storie di vittorie, si presenta anomalo per il suo antiideologico e spesso desolato ritratto della guerra. Non si è trovato nessun documento dell’OWI (Ministero dell’informazione bellica) riguardo a questo film, ma sembra improbabile che sia stato approvato da un ente che riteneva l’esperienza militare un esercizio di autoperfezionamento e che glorificava le imprese eroiche dei militari. Non avrebbe potuto accettare il fatto che questi militari non morivano in modo eroico, ma in maniera del tutto casuale.14 13 14 Francesco Cappella, Il mondo fra due blocchi, www. cronologia. it. Koppes – Black, op. cit., pp. 338 – 340. 117 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 11.2.2. Analisi del film Locandine del film: la prima è dell’edizione italiana, la seconda di quella tedesca. I titoli di testa del film sono su uno sfondo nero con al centro la stella che caratterizza l’esercito americano. La musica, che molta importanza ha in questa produzione, e che, come già detto, ha avuto anche la nomination ai premi Oscar, parte da subito, dapprima con un coro maschile che canta a cappella, poi con un pezzo strumentale di impronta tipicamente militare, con delle percussioni che ricalcano il tono di una marcia. 118 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La campagna in Africa Le vicende del film iniziano in Africa, in un paesaggio desertico, dove una colonna di camion carica di soldati sta per partire. Da subito si crea un’atmosfera amichevole tra i giovani, anche grazie a un piccolo cane che vorrebbero portare con loro. L’animale è stato ribattezzato A-Rab , il contrasto è stridente tra la situazione dura della guerra e l’atteggiamento dolce che hanno i militari verso di lui. L’umanità di questi uomini è una delle caratteristiche principali di questo film, che dà grande spazio ai personaggi. Infatti i militari, che affrontano i combattimenti contro i Tedeschi dall’Africa all’ Italia, sono i soldati semplici della fanteria americana, quelli che hanno vissuto la guerra nel modo più terribile. Come sottolinea Ernie Pyle in una battuta del film parlando del G.I., cioè del soldato di fanteria: “ He lives so miserable and dies so miserable”15. I visi dei ragazzi si rattristano quando il loro comandante cerca di portare loro via il cucciolo, ma alla fine anche lui si intenerisce e decide di tenerlo come mascotte della truppa. Il cane, in quadrato dall’alto, passa fra le mani di tutti i soldati, in una specie di trionfo. Il comandante in questione è Robert Mitchum nel ruolo di Walker, che passa di grado nel corso del film, e diventa “captain” dopo essere stato “lieutenant”. Il personaggio su cui è ricalcato il capitano Walker si chiama in realtà Henry T. Waskow, comandante della 36^ Divisione di fanteria americana, di cui parla Pyle in alcuni dei suoi famosi articoli16. Esisteva nella 36^ Divisione un comandante di nome 15 Trad: il soldato semplice vive miseramente e muore miseramente. Il capitano Waskow era di Belton, nel Texas e le notizie su di lui sono ricavate dal sito www. west. net. In particolare sono interessanti i due articoli che lo riguardano scritti da Pyle che lo riguardano ( riportati in appendice): The death of Captain Waskow e Riley Tidwell ’s homecoming. Nel primo si narra della morte del capitano, che viene ripresa fedelmente nel film I forzati della gloria, il secondo invece è 16 119 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Fred L. Walker17, un generale messo a capo della divisione nel 1941, che guidò le operazioni del gruppo per tutta la Campagna d’Italia, ma dai racconti dello stesso Pyle non ha niente a che fare con il protagonista del film. In questa prima sequenza si incontra subito anche il personaggio di Ernie Pyle, interpretato da Burgess Meredith (figura 1), cioè il cronista americano inviato al fronte che affronta tutta la campagna con i ragazzi e che sarà la voce narrante dell’intero film. Si capisce che il rapporto è stretto fra questi personaggi, perché all’arrivo del giornalista i ragazzi lo salutano, lo chiamano per nome e iniziano a scherzare con lui, come se fosse uno di loro. Figura 1. Burgess Meredith è Ernie Pyle Inizia un breve viaggio nel deserto, dove l’atmosfera è allegra e rilassata e dove anche i due protagonisti hanno la possibilità di confrontarsi in un breve dialogo, dove anche Walker dice a Pyle che è contento di riaverlo con lui. Le immagini dei soldati sui camion sono spesso controluce, come qui ad esempio, come se si cercasse di cancellarne l’identità, che si fa invece viva e ben definita nelle scene che li riguardano più da vicino. un’intervista ad un reduce della 36^ Divisione, che parla, fra le altre cose, del suo incontro con Robert Mitchum e Burgess Meredith che stavano realizzando il film in questione. 17 Thirty – Sixth Infantry Division, www. rra. dst. tx. us. 120 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La sequenza successiva si svolge di notte, in un accampamento dove i soldati stanno riposando. L’elemento fondamentale della sequenza è la musica, diffusa da una radio accesa da uno dei soldati. Si parte con uno swing, che accompagna un lungo piano sequenza sulle tende dei ragazzi, inquadrate una per una, dove a coppie si riposano e parlano tra di loro a bassa voce. Il soldato che ha acceso la radio è l’unico seduto ad ascoltare, con la coperta sulle spalle nella fredda notte del deserto. A lui si avvicina Pyle, mentre alla radio inizia a parlare la voce suadente di una donna, che il giovane chiama “actress Sally”. La macchina da presa passa in rassegna i visi dei soldati, mentre la voce della radio fa corrispondere a ciascuno il nome di una donna, incoraggiando poi proprio la 18^ Infantry Division18, conosciuta da tutti, “ French, British…” , e augurando loro buona fortuna. Ora la vista sull’accampamento è totale e si alza un grido di ringraziamento per le parole dell’attrice, che conclude dicendo di sconfiggere i Tedeschi e di farlo anche per le loro donne, che sono a casa ad aspettarli. Inizia in sottofondo la canzone candidata all’oscar Linda di Ann Ronell, mentre continuano ad essere inquadrati i visi dei soldati, che iniziano ora a parlare di donne. La musica è qui un elemento infradiegetico importante, perché ha una forte influenza sullo stato d’animo dei ragazzi, che sembra essere un misto di malinconia e speranza, ben espressa dall’ultima battuta di un soldato: “I dream in technicolor”. Inizia poi una sequenza di guerra. E’ giorno e i soldati sono ripartiti sui loro camion. Si odono degli spari e tutti si girano per guardare. Nessuno parla, ora la loro espressione è preoccupata, molto diversa da quella serena che si respirava durante la notte appena 18 Come già accennato la Divisione in questione è la 36^, non la 18^, secondo proprio gli articoli di Pyle. Il numero della divisione e il nome del comandante sono di pura finzione filmica, ma fedelmente ricalcati su persone reali. In www. west. net. Inoltre analizzando la storia militare della guerra, non risulta di una 18^ Divisione di fanteria che abbia compiuto le azioni qui descritte, che appartengono invece alla 36^ Divisione Texas. In Liddel Hart, op. cit. 121 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. trascorsa. Si sentono degli aerei, tutti scendono dal camion, mentre Walker resta a bordo a sparare. Gli aerei se ne vanno, tra la gioia dei soldati che iniziano con gesti e parole contro il nemico che è appena fuggito. Ma ad un tratto la musica diventa drammatica e fa capire che in realtà qualcosa è successo. Tutti si girano per guardare nella stessa direzione, i loro visi si fanno tristi e si può capire che qualcuno è morto, ed in particolare il ragazzo che veniva sempre inquadrato con il cagnolino, poiché ora A-Rab viene consegnato ad un altro fante. Il cadavere non viene mostrato dalla cinepresa, se non da molto lontano quando l’autocolonna riparte seguita da un’ambulanza che si ferma a raccoglierlo. Significativa è la battuta di Walker, che fa capire la rassegnazione di chi in vita sua di morti ne ha già visti tanti: “The first is always the worst”19, rivolto a Pyle, mentre il cane continua a piangere. Una nuova sosta permette alla macchina da presa di inquadrare tutti gli uomini in panoramica, mentre scendono da un costone per guadare un fiume. Sono tantissimi, e dall’alto danno l’idea delle formiche brulicanti in un formicaio. La musica è ancora quella trionfale dell’inizio. Con loro c’è ancora Pyle, che abbandona un po’ del suo bagaglio e si unisce alla fila, ma stando all’esterno, in una posizione vicina al gruppo ma differente, che rappresenta la sua condizione: nonostante la sua vita sia con i fanti non è uno di loro, è diversa la considerazione che la gente ha di lui. 19 Trad: il primo è sempre il peggiore 122 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Cambia improvvisamente il paesaggio. Ora la pioggia è scrosciante , ai bordi delle strade ci sono infinite file di palme ( quindi dobbiamo supporre di essere ancora in Africa ) e i soldati camminano a piedi. Ad un certo punto smette di piovere e Pyle si siede un momento per riposarsi. Si avvicina un soldato di nome McLuskie, che, pieno di speranza, gli dice che vinceranno la guerra con una mano sola. Parte allora la voce fuori campo di Pyle, che commenta la battuta del ragazzo: “Winning the war single handed – continua con un elenco di nomi dei soldati, raccontando come tutti abbiano dovuto lasciare la loro vita normale per andare in guerra – here they are, guns in their hand facing a deadly enemy in a strange faraway land. This was their baptism of fire.”20 Continua poi con un elenco delle attività dei soldati prima di essere mandati al fronte. Come si può intuire le condizioni climatiche sono sempre molto difficoltose, al limite della resistenza umana, e questo rende ancora di più l’idea della durezza della guerra. Inizia poi una battaglia. E’ notte, all’interno di una grotta dove sembra sia situato il comando americano non c’è comunicazione. Pyle è seduto davanti ad una cartina e ancora una volta la sua voce fuori campo commenta quello che sta accadendo: “ In was chaos, at final. Crawling by the brink of possible death, in the night, afraid. Each boy facing the worst moment of his life. Alone. It was a battle without a land, and it was going against us.”21 Da una scala sta scendendo il capitano Walker con due uomini. All’improvviso scoppia un ordigno e la perfetta coordinazione in cui i tre si muovono fa capire che per loro ormai è all’ordine del giorno mettere in pericolo la loro vita. Il luogo in cui si trovano è 20 Trad: Vincere la guerra con una mano sola. Eccoli, pistola tra le mani fronteggiando un nemico mortale in una terra straniera. Questo era il loro battesimo del fuoco. 21 Trad: Alla fine arrivò il caos. Sul punto di poter morire da un momento all’altro, di notte, spaventati. Ogni ragazzo fronteggiava il peggior momento della sua vita. Da solo. Era una lotta senza quartiere, ed era contro di noi. 123 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. molto buio, completamente isolato dal mondo esterno, e questo dimostra ancora le pessime condizioni in cui vivevano i soldati. Purtroppo devono abbandonare il rifugio per ritirarsi, bruciano le carte geografiche per ordine di un anziano generale e abbandonano il rifugio. La guerra è più difficile di quanto pensassero, infatti lo stesso generale dice: “I wonder when we’re gonna start wining this war.”22, mentre un altro soldato ritorna sconvolto da una missione e con gli occhi sbarrati dice: “Captain Walker, never seen anything like in my life.”23 Dopo aver inquadrato il rifugio vuoto è ancora il momento dei fanti per strada. Le condizioni climatiche ora sono ottime, c’è il sole, ma il loro morale è a terra per l’ultima sconfitta. La musica, che continua ad essere un elemento importantissimo, è triste, il loro passo è lento e la voce di Pyle commenta ancora: “American boys beaten, beaten badly. One of the few times in our history. It was a bitter humiliating experience and Joe McLuskie was wondering what the folks back in Cleveland were thinking of him now.”24 L’avventura in Africa è terminata e la truppa si appresta a sbarcare in Italia. A proposito della situazione in Africa Pyle scrive diversi reportage che ne spiegano la grande e inaspettata difficoltà.25 Inoltre spiega il perché di queste sconfitte. I motivi sono principalmente due secondo Pyle: il primo era che le truppe americane mandate in Africa erano truppe in erba, senza 22 Trad: mi piacerebbe sapere quando cominceremo a vincere questa guerra. Trad: Capitano walzer non ho mai visto niente di simile in vita mia. 24 Trad: i ragazzi americani erano stati battuti, duramente battuti. Una delle poche volte nella nostra storia. Era un’esperienza amara ed umiliante e Joe McLuskie si chiedeva cosa avrebbe pensato di lui ora la gente di Cleveland. 25 “Merchant Marine officers who have been here a couple of days are astonished by the difference between what they thought the situation was and what it actually is. They say people at home think the North African campaign is a walkway and will be over quickly; that our losses have been practically nil; that the French here love us to death, and that all German influence has been cleaned out. If you think that, it is because we newspapermen here have failed at getting the finer points over to you.” Il passo è preso dall’articolo Political situation in Africa was ticklish and confusing, www. private – art. com. 23 124 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. esperienza, che dovevano scontrarsi contro militari esperti; il secondo era che non si conosceva con precisione quanti soldati i francesi avrebbero mandato per resistere.26 La trentaseiesima Divisione Texas, a cui fa riferimento il film, pur chiamandola 18^, fu mandata in Algeria nell’aprile del 1943, ad Oran, dopo pochi mesi di addestramento.27 In un passo molto bello e significativo di Ernie Pyle scritto in Tunisia, proprio quando si trovava insieme ai ragazzi della 36^ divisione Texas, si legge un vero e proprio elogio per questi uomini comuni, che combattevano nelle peggiori condizioni. Amavano chiamarsi “the God – damned28 Infantry”, la fanteria maledetta da Dio, e vengono descritti proprio come i derelitti, come i ragazzi del fango, del gelo e del vento. Non hanno comodità, e imparano continuamente a vivere senza il necessario. Ma alla fine sono proprio i ragazzi senza i quali la guerra non può essere vinta. A proposito ancora della 36^ Divisione, lasciarono l’Africa nel settembre del 1943,29 quando furono accorpati alla V Armata Americana del generale Clark per sbarcare a Salerno tra l’8 e il 19 di quel mese, continuando in seguito i combattimenti proprio sul fronte di Cassino. Come si noterà in seguito, quando Pyle parla della Divisione, dirà che spera di ricongiungersi al più presto ai ragazzi di Walker, già sbarcati in Sicilia e in altri luoghi, 26 “In Tunisia, for instance, we seem to be stalemated for the moment. The reasons are two. Our Army is a green army, and most of our Tunisian troops are in actual battle for the first time against seasoned troops and commanders. It will take us months of fighting to gain the experience our enemies start with. In the second place, nobody knew exactly how much resistance the French would put up here, so we had to be set for full resistance. That meant, when the French capitulated in three days, we had to move eastward at once, or leave the Germans unhampered to build a big force in Tunisia”. In www. private – art. com. 27 La Divisione precedente era stata catturata presso Java, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941 , ed aveva trascorso tutta la guerra nei campi di prigionia giapponesi. Molti dei soldati morirono durante la costruzione della ferrovia che portava a Burma. Thirty – Sixth Infantry Division, www. rra. dst. tx. us. 28 “ I love the infantry because they are the underdogs. They are the mud-rain-frost-and-wind boys. They have no comforts, and they even learn to live without the necessities. And in the end they are the guys that wars can't be won without.” In E. Pyle, God damned Infantry, www. journalism. indiana. edu. 29 Thirty – sixth Infantry Division, www. rra. dst. tx. us 125 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. commettendo un errore storico. Ma nell’economia della storia il fatto di accrescere le loro imprese aumenta la loro dimensione eroica. La campagna in Italia La scena successiva mostra Pyle nell’azione di scrivere alla sua macchina. L’atmosfera è tragicomica, poiché risulta buffo vedere il giornalista che scrive in continuazione, anche mentre mangia o mentre si lava, ma allo stesso tempo ci mostra anche un uomo provato dalla guerra, con gli abiti sporchi, che cerca di dare sollievo ai suoi piedi, stremati dalla fatica di lunghe marce, immergendoli in una bacinella colma d’acqua, che diviene anche un toccasana per le loro condizioni igieniche. Durante queste azioni si sente la sua voce fuori campo, come se stesse leggendo ad alta voce quello che scrive: “As we look back on our first defeat, and the bloody victories which followed, we realize that only battle experience can make a combat soldier. Killing is a rough business. Man live rough and talk rough. In a year I’ve been in a lot of places, learned to love a lot of men, but I always reserved one special place in my heart for the boys that I have started with. Everybody else have a company, I feel I had one too: Company C 18 23 […] I haven’t seen ‘em in a long time and now I’ll set up to find them again. They have been through a lot by now, conquest of Sicily, murderous landings. Now they’re part of the force hammering down the long hard road to Rome.”30 30 Trad: Se guardiamo indietro alla nostra prima sconfitta, e alle sanguinose vittorie che sono seguite, comprendiamo che solo l’esperienza in battaglia può formare un soldato da combattimento. Uccidere è un compito violento. Gli uomini vivono violentemente e parlano violentemente. In un anno sono stato in molti posti, ho imparato a voler bene a molti uomini, ma ho sempre riservato un posto speciale nel mio cuore per i ragazzi con cui ho cominciato. Chiunque altro ha una compagnia, anch’io credo di averne una: la Compagnia C 18 23… Non li ho visti per molto tempo e adesso cercherò ancora di trovarli. Saranno lontani adesso, avranno conquistato la Sicilia, avranno affrontato sbarchi massacranti, ora fanno parte delle forze che si stanno battendo lungo la difficoltosa strada per Roma. 126 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. In seguito tornano ad essere protagonisti gli uomini di Walker, in una sequenza che cerca di enfatizzare la dimensione umana dei ragazzi, lontani per un momento dal pensiero della guerra e vicini ai loro affetti più cari. In una lunga strada ombreggiata dagli alberi i soldati chiacchierano, si siedono per riposarsi e si sente la musica di un’armonica a bocca che suona allegramente. E’ il momento in cui arriva la posta per i soldati. Tutti si assiepano attorno alla jeep che la porta, impazienti di avere tra le mani un segno che li leghi ancora al loro mondo. Alcuni ricevono lettere, altri doni (figura 2), come il soldato che scartando il pacco si trova fra le mani un paio di pantofole, ma il momento più significativo è quello vissuto dal sergente Steve Warnicki: alla lettura della sua lettera segue l’urlo “I’m a father!” e nel pacco allegato trova un disco con la voce del figlioletto che lo chiama papà. Ma sorge un problema: lui non ha un giradischi per ascoltarlo. Da questo momento per lui la guerra sarà anche la ricerca di un apparecchio che gli permetta, attraverso la voce del figlio, di ristabilire un contatto con casa.31 Figura 2. Un soldato riceve in dono per posta una cravatta 31 J. Basinger, op. cit., p. 141. 127 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Lo sconforto invece si legge sul viso del capitano quando gli viene detto che non c’è posta per lui. In seguito, alla domanda di Pyle se è sposato, lui risponde: “Sì e no. Io volevo una cosa, lei ne voleva un’altra, se n’è andata. Capitolo chiuso.” E proprio in questo frangente infatti Pyle giunge alla sua compagnia, dov’è come sempre circondato da tutti i ragazzi che lo considerano uno di loro. Ricomincia la marcia (figura 3), che li conduce in un paese dove si svolge una delle sequenze di combattimento più belle dell’intero film. Figura 3. Pyle si riunisce alla sua compagnia in Italia I soldati sembrano combattere contro un nemico invisibile32 e si spostano di casa in casa, tra edifici già bombardati, dove la presenza dei Tedeschi si nota solo a causa dei loro spari. E’ significativo il modo in cui è stata ricostruita in studio la città (figura 4), con caratteristiche che danno proprio l’idea dell’italianità, come la chiesa romanica diroccata e il grande monumento di stampo romano che domina la piazza (sembrerebbe una statua di Giulio Cesare). 32 Koppes – Black, op. cit., p. 337. 128 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 4. La città ricostruita in studio dove si svolge la battaglia Walker, Pyle e Warnicki stanno nascosti nella loro postazione (figura 5), mentre un altro soldato, entrando in un edificio, incontra una ragazza italiana (figura 6). Anch’egli è italo- americano, con compiti principalmente di interprete, e la scena d’amore che segue fra i due è un’altra tappa della ricerca continua dei rapporti umani da parte di questi giovani33. Figura 5. Walker e Pyle nascosti 33 Figura 6. La ragazza italiana J. Basinger, op. cit., p. 141. 129 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Walker e il sergente entrano in una chiesa diroccata ( il secondo appoggia il suo disco su una mensola prima di entrare), mostrata per intero dalla cinepresa in piano sequenza in tutta la sua desolazione. La musica extradiegetica accresce la suspense della scena. Il capitano inizia a urlare: “Schifosi crauti maiali!” nel tentativo di far uscire allo scoperto i nemici nascosti. Il trucco funziona e un Tedesco esce alla luce, ucciso subito dai due in una bella sparatoria che ricorda molti film western. Il simbolismo della scena è forte, poiché il nemico, cadendo, porta con sé la statua di un angelo, e forse è un modo per paragonare i Tedeschi a degli angeli caduti e divenuti diavoli. “Strano posto per ammazzare della gente, vero?” dice il sergente, e si inginocchia a pregare davanti all’altare. Un tedesco gli spara e colpisce il suo elmetto, cerca di scendere per la cella campanaria ma Walker lo uccide. Come fa notare il testo di Koppes e Black, nessuno parla, non ci sono discorsi istrionici sul cancellare i selvaggi dalla faccia della terra.34 Lo schermo si oscura e si sente la voce di un bambino che grida “W gli Americani !”, le campane suonano a festa e riparte la musica trionfale dell’inizio, seguita da un mix di altre musiche sempre gioiose. Il paese è stato liberato, i civili escono per le strade e parlano in italiano. Alcuni guardano le loro case distrutte, altri si avvicinano alla tavola in cui i soldati distribuiscono loro il cibo. Un uomo viene catturato e linciato dalla folla inferocita, ma i soldati intervengono. Un bambino cerca delle sigarette ad un soldato americano, che però gli da solamente una stecca di cioccolato, ma questo basta per avere la sua riconoscenza: il bambino lo prende per mano e si allontana con lui. 34 Koppes – Black, op. cit., p. 337 130 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Sono ancora le vicende umane a farla da protagoniste, quelle stesse scene che verranno riprese in seguito dal già citato regista Samuel Fuller in un omaggio a Wellman nel suo film The big red one ( Il grande uno rosso, 1980)35. La scena successiva sotto le docce serve solo per accrescere i sentimenti di cameratismo tra i ragazzi. Segue la ricerca da parte di Warnicki di un fonografo per ascoltare la voce di suo figlio. Si imbatte in un gruppo di italiani che non capiscono quello che chiede e finiscono per cantare tutti in coro quando il sergente accenna qualche nota per far capire che gli serve un giradischi. Ne trova uno in una casa abbandonata (figura 7), mentre si trova fuori col cane, col quale parla come se fosse una persona. Non funziona, ma lo prende lo stesso, è l’unica speranza che ha di ascoltare le prime parole del suo bambino. Figura 7. Warnicki, col cane A-Rab, trova un fonografo in una casa abbandonata Non lontano da loro Pyle viene trasportato a forza davanti ad un sacerdote, che sta celebrando il matrimonio fra due soldati (figura 8). Anche la sposa porta la tuta mimetica, ma tutta la sequenza, interrotta da una raffica di colpi di un aereo che passa, è un inno all’umanità., che si conclude con il bel gesto dei soldati di riservare alla nuova coppia un carro con l’iscrizione Bride suite. 35 J. Basinger, op. cit., p. 142. 131 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 8. Il matrimonio Il giorno dopo la compagnia è di nuovo in marcia e questa volta la destinazione è Cassino. Nessuno si aspetta gli eventi drammatici che stanno per succedere e la lunghezza dei combattimenti, tant’è che uno dei soldati dice: “At this rate we’ll be in Rome in three days!”36. Montecassino L’arrivo dei soldati nei pressi di Montecassino è scandito dal suono delle campane del monastero, che conferiscono subito un’aria di sacralità alla zona. La prima inquadratura sembra incorniciata da un albero ricurvo in primo piano, mentre dietro ad esso passano i soldati a piedi e sullo sfondo, in lontananza si nota subito la collina con l’abbazia benedettina. La fila dei soldati è guidata dal capitano Walker, che, vedendo l’edificio sul colle si ferma e lo indica ai suoi ragazzi (figura 9), che si siedono subito dopo per riposarsi. 36 Trad: a questo ritmo saremo a Roma in tre giorni. 132 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 9. La Compagnia arriva davanti alla collina di Montecassino Segue un dialogo con Pyle riguardo al monastero: Walker: “Good old monastery up there, so peaceful. They don’t think there was a war within a thousands miles.” Pyle: “ In a thousand years.” Walker: “Maybe you’re right about the crooks pulling all back way to Rome. I don’t get though. If they wanted to slug it up here, they could make it plenty though.”37 Ma subito l’ipotesi che i Tedeschi si siano ritirati verso Roma fatta da Walker viene smentita dall’inizio delle esplosioni, che si pongono in contrasto anche con quanto affermato nel dialogo tra i protagonisti sulla pace di quel luogo. I ragazzi si gettano a terra e vengono colpiti dai sassi sollevati dalle esplosioni . Ovunque c’è fumo e polvere, e il capitano Walker cerca di mettersi in contatto con il posto di comando per avere disposizioni (figura 10). La scena mostra i due ai capi estremi della linea telefonica in una serie di primi piani dal ritmo concitato, che ben rappresentano l’agitazione che coglie gli uomini i quei momenti. 37 Trad: Walker: “Che bel monastero antico là in alto, così ricco di pace. Non possono credere che ci sia una guerra più vicina di mille miglia.” Pyle: “ E prima di mille anni” Walker: “ Forse avevi ragione, i Tedeschi sono arretrati fino a Roma. Eppure non capisco: se avessero voluto attaccare quassù, non avrebbero avuto problemi.” 133 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 10. Walker si mette in contatto col Comando. In alto a destra si intravede il monastero Walker: “[…]You know that building up on top of the mountain?” Soldato: “The monastery?” Walker: “ You can call it that if you want to, but I call it in military terms an observation post. If you want to get us killed, you’d better give up the business.” Soldato: “I’ve an order about it: religious shrine.” Walker, dopo l’ennesima esplosione: “Do you call religion what they do?”38 Si fa già strada quindi l’idea che tra le mura del monastero, culla del monachesimo occidentale, si annidino i soldati Tedeschi. Walker fa capire subito la sua opinione a riguardo, che risulta essere quella di tutti i soldati alleati che, credendo erroneamente a quanto già detto, preferivano salvare la loro vita piuttosto che l’edificio. Il periodo raccontato in questa parte del film è l’inverno del 1943, quando gli uomini di Clark stavano già combattendo da mesi per raggiungere la strada statale numero 6 Casilina, che attraversava la valle del Liri e portava direttamente a Roma. I Tedeschi dal 38 Trad: Walker: “Conosci quella costruzione sulla cima della montagna?” Soldato: “Il monastero?” Walker: “ Puoi chiamarlo così se vuoi, ma in termini militari io lo chiamerei un posto di osservazione. Se vuoi che ci uccidano tutti, puoi anche rinunciare al lavoro.” Soldato: “Ho un ordine a proposito: monumento religioso.” Walker: “ E lo chiami religioso quello che stanno facendo?” 134 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. canto loro si erano arroccati i quel territorio impervio e rallentavano con tutte le loro forza l’avanzata degli Alleati.39 Il 20 ottobre dello stesso anno il comando alleato, sotto precise istruzioni delle autorità museali italiane, decisero di evitare a ogni costo il bombardamento dell’antica abbazia di Montecassino, e il messaggio via radio non fu criptato, di modo che anche i Tedeschi potessero sentirlo.40 Infatti il monastero fu dichiarato zona neutrale, fino al 5 gennaio, quando ormai i combattimenti erano troppo vicini per poter rispettare il divieto assoluto di attaccare l’edificio. La sequenza successiva, come la maggior parte di tutte quelle ambientate a Cassino che seguiranno, si svolge sotto la pioggia (figura 11). Questa particolare condizione atmosferica si protrasse per lungo tempo e costrinse le parti in causa a sospendere i combattimenti fino a gennaio del 1944, quando iniziò la vera e propria battaglia di Montecassino. Figura 11. Soldati sotto la pioggia battente A proposito di questo maltempo, scrive Pyle sulle condizioni dei soldati: “Le nostre truppe stanno sopportando sofferenze inconcepibili. Le valli di terra nera e fertile sono piene di fango, ci si sprofonda fino al ginocchio. Migliaia di 39 40 F. Ficarra, Cassino, 1944. Un’abbazia all’inferno, p. 62. Ibidem, p. 28. 135 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. uomini non sono stati asciutti per settimane. Altre migliaia si buttano a dormire di notte, in montagna, alla diaccio, con temperature sotto zero e la neve fine fine che gli cade addosso. Cercano riparo tra le pietre e dormono negli anfratti, dietro le rocce e nelle cavità. Vivono come gli uomini della preistoria, e nelle mani, invece della mitragliatrice, sarebbe più giusto che stringessero una clava.”41 Gli uomini della 36^ Divisione Texas, nel gennaio del 1944, presero anche parte alla prima battaglia di Cassino, dove combatterono sul Fiume Rapido. Questo episodio, che si svolse tra il 20 e il 22 di gennaio, fu una vera e propria tragedia per i soldati americani della Divisione Texas. Furono decimati dalla corrente, dalle barche che affondavano e dai nemici che aspettarono i pochi sopravvissuti al varco, cioè sull’altra sponda. Si calcola che in due giorni le vittime della battaglia ammontavano a 1681, tra morti, feriti e dispersi.42 Il già citato generale Walker, a capo della 36^ divisione espresse fin da subito i suoi dubbi sull’operazione, ma fu costretto comunque ad obbedire agli ordini.43 Gli uomini di Walker - Mitchum, sotto una pioggia battente, scavano delle trincee, in mezzo al fango, completamente bagnati. Ma per Pyle la pioggia non è un ostacolo alla ricerca di un appoggio dove sedersi e riposarsi, anche a costo di bagnarsi completamente. Alcuni soldati tornano da un giro di ricognizione, in un momento in cui la pioggia non scende. Uno di loro si lamenta delle continue pattuglie e esprime nella sua battuta quello che i soldati provavano nei confronti del monastero. La sua mole incombeva minacciosa 41 In F. Ficarra, op. cit., pp. 62 – 63. La cifra è quella riportata dal generale Clark nel suo libro Maximum risk. 43 “Non conosco un solo caso nella storia militare in cui sia riuscito un attacco che comporti l’attraversamento di un fiume incorporato nella linea principale di resistenza del nemico.” In F. Ficarra, op. cit., pp. 73 – 74. 42 136 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. (figura 12), piena di pericoli, e i soldati ne avevano paura: “Patrol, patrol, patrol. One more patrol and I get nuts! I’d feel lot happier if that monastery wasn’t looking down my throat.”44 Figura 12. La mole minacciosa di Montecassino E nel medesimo momento, mentre camminano tra le macerie, si sentono le campane di Montecassino. Inizia un’altra serie di deflagrazioni e gli uomini tornano tra il fumo, barcollanti. Si infilano in piccole grotte, coricandosi per terra in mezzo al fango per entrare. Quello è il loro rifugio, come la tana di un animale selvatico, che riporta alle parole di Pyle nella pagina precedente. Il sergente Warnicki si infila nella grotta di Walker per riferire della ricognizione. Come si può notare, nonostante sia il comandante del gruppo, Walker vive esattamente come i suoi soldati. Nella grotta l’uomo è seduto dietro ad un piccolo tavolo, il soffitto è bassissimo, non consente di alzarsi in piedi. L’unico “privilegio” che ha nei confronti dei suoi ragazzi è di essere da solo. Nella sequenza successiva il sergente entra nel rifugio dove si trovano anche gli altri soldati (figura 13). E’ una grotta buia, fatta di terra, con una piccola tenda di fortuna 44 Trad: pattuglie, pattuglie, pattuglie. Ancora una pattuglia e vinco le noccioline! Sarei molto più felice se quel monastero non mi stesse col fiato sul collo. 137 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. all’ingresso per non far entrare troppa pioggia. I giacigli dei soldati sono lungo le pareti (figura 14) e l’illuminazione è molto scarsa. Figura 13. Warnicki nel rifugio dei soldati Figura 14. Un altro soldato si riposa Warnicki si lamenta per il mal di schiena e poi prende il giradischi. Pone il disco con la voce di suo figlio, che porta letteralmente sul cuore avvolto in un pezzo di stoffa, ma l’apparecchio non funziona. Sul suo viso si legge una grande delusione, che ancora una volta mostra la grande umanità dei personaggi. La descrizione data in questo modo del distacco di un padre dalla sua famiglia è molto più credibile di tanti dialoghi sentimentali e verbosi.45 Si sentono ancora delle esplosioni all’esterno, la grotta trema e i soldati cercano di ripararsi come possono. Inizia un dialogo importante tra due di loro proprio sulla sorte del monastero. Il primo dice: “There goes that monastery again. Every one knows it’s being used for an observation post, why in the devil don’t they bomb it?”, e l’altro gli risponde: “I’m a catholic, and I say bomb it. I’ve got a wife and a kid. Think I wanna die for a piece of stone?”46 45 Koppes – Black, op. cit., p. 337. Trad: Soldato 1 “ E’ ancora quel monastero. Sanno tutti che lo stanno usando come posto di osservazione, perché, per Dio, non lo bombardano? Soldato 2 “ Io sono cattolico e dico: bombardatelo! Ho una moglie e un figlio. Pensate che voglia morire per un pezzo di pietra? 46 138 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Questo è lo stato d’animo con cui affrontano la situazione i soldati di Walker. Ed è comprensibile che preferiscano che venga bombardato il monastero piuttosto di rischiare la vita. Dopotutto le voci che i Tedeschi fossero rifugiati là si facevano sempre più insistenti, ed avevano più ragione di crederci e di temere i soldati che si trovavano sul campo di battaglia piuttosto che gli alti ranghi che decisero di farlo. Quella di questi ragazzi è una reazione più che naturale, poiché in pericolo è la loro vita, cioè la vita di mariti e padri di famiglia, che hanno come unica consolazione il pensiero dei loro cari in America. All’esterno della grotta molti soldati sono seduti per terra e si guardano impauriti quando sentono le bombe che esplodono. Sono i rinforzi appena arrivati per supportare il gruppo di Walker, che li sistema nei vari plotoni e li manda subito in ricognizione. Se si pensa che alla fine di gennaio la 36^ Divisione Texas è stata decimata durante la prima battaglia di Cassino sul fiume Rapido, in quello che veniva ormai definito “two – day nightmare”, si può dedurre che i nuovi arrivati siano stati mandati per rimpiazzare i morti e i dispersi. Quindi l’azione che si sta svolgendo in questo momento si potrebbe collocare tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, se non fosse per il fatto che una delle prossime sequenze racconta il Natale al fronte. E’ meglio quindi non azzardare l’ipotesi del Rapido, se si cerca la linearità cronologica della storia. Inizia una nuova missione. I soldati, sotto la pioggia, sincronizzano gli orologi e si incamminano in mezzo al fango. Pyle resta da solo con il cane e augura loro buona fortuna. Dopo di che l’azione torna al chiuso, nella grotta dei soldati, la stessa dove dormiva anche Pyle. Il giornalista è all’interno quando cominciano a rientrare i primi soldati. Ne 139 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. manca uno, ma nessuno parla di lui. Nonostante tutto l’atmosfera e una serie di gesti dei suoi commilitoni fanno capire la situazione. Il cane inizia a piangere, viene inquadrata sul muro la foto della moglie di Murphy (la coppia che si è sposata al fronte), Pyle la stacca e un soldato cancella il suo nome dall’elenco dei pagamenti e assegna i suoi soldi alla vedova. Nonostante sia passato molto tempo dall’inizio della guerra i ragazzi di Walker non si sono ancora abituati a veder morire i loro compagni. Pyle esce per andare in una sorta di redazione, dove lo aspettano festanti tre colleghi giornalisti che si complimentano con lui per aver vinto il premio Pulitzer47. Ma l’uomo da poca importanza alla cosa e si dirige subito verso la sua macchina da scrivere (figura 15). Quello che gli importa di più in questo momento è di comporre il necrologio per Murphy, perché la morte di un amico è più importante di un premio giornalistico. Un altro segno di profonda umanità. E’ interessante notare come il giornalista non nomini neanche Montecassino, ma collochi il suo pezzo semplicemente “somewhere in Italy”. Figura 15. Pyle davanti alla sua macchina da scrivere 47 Vinto da Pyle realmente nel 1944. 140 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Infatti, potendo leggere alcuni dei pezzi originali di Pyle dall’Italia, si nota che la collocazione risulta sempre molto vaga, parla solamente dell’Italia, ma senza specificare paesi o città.48 La macchina da presa riprende il particolare delle sue mani che battono sui tasti, del foglio che sta scrivendo e termina con una dissolvenza che introduce una nuova sequenza. Nella sequenza successiva la musica è ancora importante per creare l’atmosfera, ma soprattutto fa capire la collocazione temporale dei fatti che stanno succedendo. E’ Natale e la radio sta mandando una canzone tipica (musica infradiegetica). Alla fine della canzone la solita voce suadente di donna fa gli auguri ai soldati. In un momento come questo si fa sentire ancora di più la nostalgia di casa: i militari sono rintanati nel loro rifugio, consumano il loro povero rancio e parlano di come vorrebbero essere a casa per festeggiare il Natale con le rispettive famiglie. Warnicki riprova a far andare il giradischi con la voce di suo figlio, ma invano. Il capitano Walker è il personaggio principale della sequenza, perché è grazie a lui che i ragazzi potranno essere felici per un momento in un Natale così triste. Si dirige dai suoi superiori fucile alla mano e minaccia in modo scherzoso il soldato che mantiene i contatti. I due sono vicini ad un tavolo, Mitchum punta l’arma al ragazzo e avanza una semplice pretesa: che anche i suoi uomini abbiano del tacchino da mangiare. Se lo mangiano gli ufficiali, perché loro non potrebbero mangiarlo? Pyle segue la scena rimanendo sulla porta, e una volta ottenuto il tacchino, insieme a vino e sigari, sarà lui a 48 Alcuni passaggi si possono trovare in lingua originale sul sito www. journalism. indiana. edu. 141 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. consegnarli agli uomini facendo una graditissima sorpresa49. I soldati si gustano il pasto di Natale, ma il capitano Walker riceve l’ordine di organizzare un’altra ricognizione. Walker: “Captain Walker speaking…I see…We have just one prisoner or two and, naturally Sir, we’ll try to get as many as we can. Replacements? No, they’re not here yet. Yes Sir. Another patrol.”50 Subito si offre volontario Warnicki, ma Walker è contrario perché di pattuglie ne ha già fatte abbastanza. Ma il sergente insiste con una spiegazione molto semplice che rivela anche la mancanza delle persone care: “Every step forward is a step closer, Sir, to home.”51 A questa spiegazione Walker cede, capendo la volontà del soldato e l’importanza che per lui ha la missione, e gli ordina di portargli dieci prigionieri. Il prigioniero col quale la pattuglia ritorna è soltanto uno, e nel frattempo arrivano anche i rinforzi richiesti. La sequenza successiva si svolge di sera. Nella grotta dei soldati l’atmosfera è rilassata, anche grazie al tacchino del capitano, che ha fatto provare loro per un momento la sensazione di avere una vita normale. Infatti c’è una brusca differenza tra quanto succede all’interno e quanto all’esterno. Fuori le esplosioni sono continue e fanno tremare le pareti del rifugio, mentre dentro i soldati scherzano. Lo scoppio degli ordigni 49 In alcuni scritti dei reduci della campagna in Italia si può trovare proprio qualche episodio legato alla cena a base di tacchino, che nella tradizione americana si consuma soprattutto il giorno del Ringraziamento. Per questi ragazzi doveva essere un ritorno ad una parvenza di normalità. Ecco alcuni spezzoni: “The company was provided with some frozen turkeys for the traditional Thanksgiving Day meal. The frozen birds arrived and we set them out to thaw. Well, a strong Italian wind blew in and scattered our turkeys everywhere. After reclaiming them from the Italian countryside, the cooks got down to the business at hand. We decided to make dressing to go along with the meal; however, several key ingredients were missing. So, we improvised. We had to make do with what we had, so cornmeal, powdered eggs, and several other substitutes ended up making the dressing to make the Thanksgiving Day meal complete.” E ancora un altro reduce dice: “Fortunately, we were relieved from our position on what was called at the time, "Million Dollar Mountain" and were served a hot turkey meal when we reached the bottom.” In Thanksgiving in Italy, www. ezboard. com. 50 Trad: Parla il capitano Walker…ho capito…abbiamo solo uno o due prigionieri e naturalmente Signore cercheremo di prenderne il più possibile. Rinforzi? No, non sono ancora qui. Sì Signore, un’altra pattuglia. 51 Trad: Ogni passo in avanti è un passo che ci avvicina a casa, signore. 142 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. è un’occasione per ridere di uno di loro che ogni volta che cerca di parlare viene ammutolito dal frastuono. Un’altra scena comica è quella in cui la grotta si satura di un terribile odore e i ragazzi si guardano a vicenda per capire da dove provenga. Non si perde di vista quindi la normale vita militare, che è quella vissuta dai soldati al di fuori della battaglia. E nonostante sia alquanto misera, i militari non si lasciano scoraggiare e riescono ancora a trovare dentro di loro la forza di continuare a sorridere. Nel frattempo l’azione si sposta nella grotta di Walker, per una scena tanto bella quanto commuovente. Pyle entra con una coscia di tacchino per il capitano (figura 16), che non ne ha tenute per sé. Figura 16. Pyle porta a Walker la coscia di tacchino Walker ha sul tavolo una bottiglia di grappa, che offre a Pyle, e sta scrivendo qualcosa. Sta cancellando i nomi dei caduti e aggiungendo quelli dei nuovi arrivati. Ironizza dicendo a Pyle che non è l’unico scrittore, ma quello che scrive lui sono le lettere alle famiglie dei caduti in battaglia, alle mogli, alle madri, alle fidanzate. Walker è leggermente alterato dall’alcol e inizia a commentare anche sui nuovi arrivati, così giovani e inesperti, hanno la barba appena accennata. E ancora parlano di casa, di come deve essere bello il clima in New Mexico in quel periodo e della condizione famigliare di Walker e di quello che farà dopo la guerra. 143 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La battuta che segue del capitano è importante: “Why don’t you create something good out of all this energy? All these men, they’re the best Ernie, the best”52 Ma Pyle non risponde, non ce n’è bisogno di fronte ad un uomo così umano e legato ai suoi ragazzi. Risponde dopo un po’, ma ha lasciato passare troppo tempo, Walker è già addormentato . E’ comunque utile notare la sua battuta, che diventa una delle più significative dell’intero film: “Even the Air force, up there they approach death differently. When they die, their clean shaven, well fed. But the G.I., he lives so miserable and he dies so miserable.”53 La vita miserabile dei G.I. viene messa sul piatto della bilancia da Pyle, la loro vita è tanto desolante come la loro morte, di fronte alla quale sono persone di serie B. Qualsiasi altro soldato ha più onore di loro, anche nella morte. Il discorso è importante per capire la realtà dei personaggi e per frenare qualsiasi eccitamento riguardo alla guerra e all’eroismo dei combattenti.54 La guerra è questa, vissuta tra il fango e gli stenti, non quella dei film di propaganda pieni di retorica e di eroismo. Anche se per certi versi questo è un film di propaganda, ma si capirà il perché solo dopo aver visto il bombardamento del monastero. Concludendo il discorso sulla vita miserabile dei soldati semplici Pyle aspetta la risposta di Walker, che però si è già addormentato, perché anche lui fa parte di quella schiera di uomini che ogni giorno deve affrontare l’inferno. Ma ecco arrivato il giorno del bombardamento. Per i soldati di Walker inizia come tutti gli altri giorni. 52 Trad: Se potessimo solo creare qualcosa di buono da tutta questa energia. Tutti questi uomini, Ernie, sono i migliori. 53 Trad: Guarda l’aviazione, loro hanno un approccio diverso con la morte. Quando muoiono sono puliti, rasati e ben nutriti. Ma i fanti, vivono miseramente e muoiono miseramente. 54 J. Basinger, op. cit., p. 141. 144 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. E’ l’alba e un soldato fa ritorno da solo da non si sa dove. Walker lo vede e lo rimprovera per essersi allontanato senza dire nulla e per di più da solo. E’ protettivo nei confronti dei suoi ragazzi, è quasi un padre per loro, anche se ha praticamente la loro età55. Ed è un genitore severo, visto che ordina a quel soldato di mettersi subito a scavare una trincea, sotto lo sguardo ironico dei sui compagni. Ma la giornata cambia improvvisamente, si sentono gli aerei passare e la voce fuori campo di Pyle spiega la situazione da subito. Pyle: General Eisenhower made this decision: “Bomb the monastery”, he said, “if we must choose between destroying a famous building and sacrificing our own men’s lives, then our own men’s lives count infinitely more” Here was one of the grand ironies of war. The very rubble of the monastery became a fortress for the enemy. They Stuck us cold. We were right back where we’d started from.56 Quindi è il 15 febbraio 1944 e il generale Eisenhower, capo delle forze armate alleate, decide di bombardare il monastero. Infatti i comandanti alleati, cosi come i semplici soldati, si erano convinti ormai da tempo che il tiro dell’artiglieria tedesca era talmente preciso da far supporre che si trovasse in una posizione privilegiata. E quale posizione era migliore dell’abbazia benedettina, che già nel XIX secolo era stata utilizzata come fortezza e che quindi 55 Pyle, nel testo riportato in appendice sulla morte del capitano Waskow, dice che è in his middle twenties , quindi ha circa 25 anni. www. kwanah. com. 56 Il generale Eisenhower prese la sua decisione: “Bombardare il monastero. Se dobbiamo scegliere tra distruggere un famoso edificio e sacrificare le vite dei nostri stessi uomini, le vite dei nostri uomini sono infinitamente più importanti”. Questa era una delle grandi ironie della guerra. Le macerie del monastero erano diventate una fortezza per i nemici. Eravamo in trappola. Ci trovavamo ancora al punto di partenza. 145 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. probabilmente ne conservava le caratteristiche? In realtà la posizione dei Tedeschi era sì rialzata, ma le loro postazioni si trovavano sul monte Cifalco, non a Montecassino.57 Le varie fanterie degli eserciti alleati avevano già provato a risalire la collina, ma senza risultati, anzi, con grosse perdite. Il generale Freyberg, che comandava il contingente neozelandese, sosteneva che non si potesse sostenere un attacco frontale contro una posizione così avvantaggiata, bisognava prima ammorbidire la zona tramite un bombardamento. Fece così la sua richiesta al generale Clark della V Armata, che conduceva le operazioni di guerra in Italia.58 Per Clark la decisione non fu facile da prendere. Il generale Eisenhower il 29 dicembre aveva dichiarato che le operazioni di guerra si sarebbero svolte nel rispetto delle istituzioni culturali e la propaganda tedesca stava cercando in tutti i modi di far risultare quella alleata una battaglia contro la cultura occidentale. Inoltre i giornali Inglesi e americani iniziarono una campagna di sensibilizzazione verso la vita dei soldati, a costo di sacrificare un monumento. Clark si trovò così alle strette. Freyberg ebbe anche il consenso del generale Alexander, e il capo della V Armata si trovò sulle spalle il peso di future perdite umane. La sicurezza che i Tedeschi fossero nel monastero non era assoluta, ma ormai bastava anche un “ragionevole dubbio” per decidere di bombardare.59 Il generale Clark autorizzò il bombardamento il 12 febbraio e solo tre giorni dopo l’abbazia fu rasa al suolo da tonnellate di bombe sganciate da fortezza volanti e bombardieri medi, senza che al suo interno ci fosse l’ombra di un Tedesco. Ritornando al film, i soldati sentono il rumore dei velivoli, alzano la testa incitati dal soldato che stava scavando all’aperto (figura 17), iniziano ad urlare , a ridere, ad imprecare, in una serie di primissimi piani che sottolineano tutta la loro gioia. Anche la 57 F. Ficarra, op. cit., pp. 87 – 89. Ibidem. 59 Ibidem, p. 97. 58 146 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. vista collettiva risulta significativa, poiché tutti si trovano nella stessa posizione (figura 18), come se stessero assistendo ad uno spettacolo. Alle immagini dei ragazzi vengono alternate immagini documentarie del monastero sotto le bombe, tra il fumo e la polvere, che nel giro di qualche inquadratura muta il suo stato da caposaldo del monachesimo occidentale a cumulo di macerie e cadaveri. Figura 17. Il primo soldato a vedere gli aerei Figura 18. Altri soldati guardano l'attacco aereo Per quanto riguarda il discorso sulla propaganda è facile pensare che questa scena cerchi di legittimare un’azione insensata e folle come quella del bombardamento facendo sì che il pubblico si immedesimi con i soldati. Infatti quei ragazzi avevano forse ragione ad esultare, poiché il monastero era per loro sinonimo di covo di Tedeschi e molti G.I. avevano già perso la vita a causa loro. La reazione sorpresa dei fanti è giustificata dal fatto che i reparti di fanteria non furono avvisati dell’anticipazione del bombardamento, che doveva avvenire il giorno 16 febbraio, e molti di loro rischiarono la vita, primi fra tutti gli Indiani, che si trovavano già in posizione avanzata.60 60 F. Majdalany, Cassino. Ritratto di una battaglia, p. 143. Il colonnello Glennie, comandante in capo del Royal Sussex esclamò: “L’hanno detto ai monaci, l’hanno detto al nemico, ma non a noi!”. 147 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La scena così com’è impostata può risultare un facile invito al pubblico perché applaudisse e gioisse insieme a quei ragazzi.61 L’azione fu drammatica e si seppe da subito che era uno sbaglio colossale, ma bisognava in qualche modo affrontarla, magari ottenendo il consenso del pubblico. Comunque il bombardamento fu mostrato in America solamente in questo film. Il Capitano Walker passeggia solitario e non prende parte alla gioia dei suoi militari. Alcuni lo guardano da dentro la grotta e l’inquadratura che ne esce, con i rami di un albero intrecciati in primo piano, sembra la vista di un prigioniero dentro la gabbia.. Si ritorna alla vita normale. Tre soldati sono appostati su una roccia. Sono sporchi, stanchi e balza agli occhi il viso di uno dei tre, poco più che ragazzo. Anche Warnicki torna dall’ultima missione. E’ stremato e barcollante, sullo sfondo ha l’abbazia distrutta e la musica diventa drammatica e fa presagire qualcosa di brutto. Entra nella grotta e come sempre, dopo essersi lamentato per il mal di schiena, prende il giradischi. I soldati all’interno non parlano, sono anche loro stanchi e coperti di fango. Questa volta il giradischi funziona, la cinepresa lo riprende in primo piano, e il sergente riesce a sentire la voce di suo figlio. Ma la sua condizione psicologica ormai logorata dalla guerra non gli permette di sopportare l’emozione: l’uomo sembra impazzire, i suoi occhi diventano spiritati, inizia a ripetere la parole del figlio e a dire altre frasi sconnesse ( “I kill him!”). Scappa di corsa verso l’esterno ma gli altri lo raggiungono. Lui cerca di picchiare tutti fino a quando non arriva ancora Walker a risolvere la situazione. Lo atterra con un pugno e lo fa portare in infermeria, preoccupandosi ancora una volta del bene dei suoi uomini ( “All right men, let’s do something about it.” 62 ). 61 62 Koppes – Black, op. cit., p. 338. Trad: Ok ragazzi, facciamo qualcosa per lui. 148 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. I ragazzi imbracciano il fucile di nuovo e si allontanano di schiena (figura 19). L’immagine è caratterizzata da un chiaroscuro molto contrastato, spesso i giovani rimangono in controluce. Sullo sfondo Montecassino sta ancora fumando e i soldati si nascondono tra le piante della collina, si vedono solo le loro teste. Stanno andando alla conquista del colle. Figura 19. Soldati si incamminano alla conquista del colle del monastero Analizzando i fatti storici, non fu certo la 36^ Divisione a salire verso la cima della collina per liberare la zona dai Tedeschi. Infatti la Divisione Texas, insieme con la 34^ Divisione, perse buona parte dei suoi uomini durante la battaglia sul Rapido e per il 6 febbraio gli attacchi americani erano già terminati. 63 Il generale Alexander decise quindi di spostare l’VIII Armata dall’Adriatico a Cassino, per venire in aiuto della V del generale Clark. Dell’VIII Armata facevano parte la 2^ Divisione Neozelandese del generale Freyberg e la 4^ Divisione Indiana di Glennie. Nel frattempo sia la 36^ che la 34^ Divisione americane decisero che dopo la guerra si sarebbero rivolte al Congresso per il trattamento che avevano ricevuto al fronte. Avevano affrontato solo due settimane e mezzo di combattimento, poiché furono 63 F. Majdalany, op. cit., p. 97. 149 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. mandate al macello sul fiume Rapido. E visto lo stato d’animo delle truppe, avvilito dalla guerra, non si poteva passare sopra a tutto questo, soprattutto per il fatto che la 36^ Divisione era in rivolta ed era ben convinta a fare valere le sue ragioni.64 La 36^ Divisione Texas, interpretata dalla 18^ Divisione di fanteria del capitano Walker del film, uscì in realtà di scena, non continuò a combattere sul fronte di Cassino. Prima di liberare la collina del monastero passarono ancora tre mesi di duri combattimenti. Nella seconda battaglia di Cassino (15 – 23 marzo) ci provarono Indiani e Neozelandesi, ma senza risultati importanti. Gli scontri furono poi interrotti fino a maggio per volere del generale Alexander, che fece della terza e ultima battaglia di Montecassino (11 – 19 maggio) la sua opera d’arte. Al contrario di quanto fece Freyberg, che cercò di colpire il nemico frontalmente per risparmiare tempo65 , Alexander circondò l’ostacolo con l’intento di far sì che i tedeschi utilizzassero il maggior numero di forza in Italia, in vista dello sbarco in Normandia.66 Schierò il I Corpo d’Armata Canadese, il II Polacco e il XIII Britannico, mentre il II Americano fu utilizzato sul settore costiero. La prima breccia nella linea Gustav fu opera delle truppe del generale Juin e risale al 13 maggio, mentre l’occupazione del colle dell’abbazia fu compiuta solo il 18 maggio dal Corpo polacco dei lanceri Podolskich del generale Anders.67 Tornando al film, inizia ora una sequenza di guerra, la seconda per importanza, ricca però questa volta di immagini documentarie. 64 F. Majdalany, op. cit., pp.110 – 111. Tattica assolutamente inefficace a causa delle posizioni avvantaggiate e ben arroccate dei Tedeschi. F. Majdalany, op. cit., p. 216. 66 F. Majdalany, op. cit., p. 221. 67 F. Majdalany, op. cit., p. 251 65 150 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. I cannoni sparano, ci sono scene di combattimento, i soldati si nascondono tra gli alberi. Molti sono i primissimi piani dei protagonisti, chiaramente non documentari, che rendono intensa l’azione e danno importanza agli uomini che la stanno compiendo. A tutte queste scene si alternano le immagini della collina del monastero bersagliata dai colpi, che colloca tutta la fase dei combattimenti alla conquista del colle. La voce off di Ernie Pyle è presente anche in questa occasione: “Machines had done their best and it wasn’t enough. Now came the time, as it comes in every war, the greatest fighting machine of them all, the infantry soldier, had to go in and slug it up.”68 Dalle parole di Pyle si capisce che i soldati della fanteria erano veramente quelli che si buttavano nella mischia per risolvere la situazione. Erano meglio della macchine, e questo paragone fa riflettere, in quanto si capisce come durante il combattimento la loro umanità debba quasi essere negata. Continuano i combattimenti, gli unici soldati ad essere ripresi in primo piano sono i protagonisti del film, che si cerca di camuffare tra le sequenza documentarie, ed in modo eccellente. Walker ed un altro soldato spuntano dalle rocce e lanciano delle granate, nella scena ripresa sulla prima locandina originale su sfondo blu. La granata scoppia, tutta la sequenza è caratterizzata dal solo rumore dei colpi.. Altri soldati sono tra le rocce e lanciano delle granate e sparano col fucile. Il capitano Walker è inquadrato dal basso sulla collina, sta risalendo arrampicandosi tra le rocce. L’inquadratura enfatizza la risalita degli uomini sulle pendici della collina rese ancora più impraticabili dalla guerra. Ad un certo punto l’uomo alza un braccio e fa segno ai suoi ragazzi di seguirlo. Parte la musica iniziale del film, che rassicura lo spettatore sul 68 Trad: Le macchine avevano fatto del loro meglio ma non era abbastanza. Adesso era arrivato il momento, come succede in ogni guerra, in cui le migliori macchine da guerra, i soldati di fanteria, devono partire all’attacco. 151 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. trionfo della missione, anche se non è mostrata realmente. La musica è ancora importantissima, quindi, perché fa intuire qualcosa che le immagini non mostrano. La sequenza successiva conferma quanto è avvenuto, poiché mostra i soldati già sulla strada per Roma. L’inquadratura è particolare, perché il cartello che indica Roma è molto basso, dei soldati vengono inquadrati solo dalle gambe in giù mentre passano davanti all’indicazione, ma la musica ci conferma ancora che sono i protagonisti. La fila prosegue per un po’, Pyle è con loro (figura 20), altri militari sono già accampati. La musica è ancora quella dolce dell’armonica a bocca e dalla luce fioca si può dedurre che sia il tramonto. Pyle cerca un’altra volta la sua compagnia, probabilmente è rimasto indietro, e trova i ragazzi già seduti per terra a riposare. Figura 20. Pyle e i soldati sulla strada per Roma Mentre passano tutti lo salutano e un soldato gli da il benvenuto dopo Cassino. E’ la prima volta che si sente nominare durante il film. Trova i suoi compagni, tra loro c’è ancora il cane, e si siede con loro. Come sempre la conversazione è amichevole e si passa subito alle battute. 152 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Ad un certo punto l’atmosfera festosa si annulla di colpo e tutti ammutoliscono. La cinepresa inquadra la collina davanti a loro, dalla quale cominciano a scendere i muli che trasportano i cadaveri dei caduti in battaglia. La scena è solenne, la musica extradiegetica è malinconica e accompagna la processione dei muli, che scendono a valle, vengono scaricati da due soldati e ripartono. Ad un certo punto la musica cambia, diventa carica di suspense. La cinepresa inquadra la collina e in controluce il mulo con il cadavere. Si intuisce dalla tensione dell’immagine che è uno dei protagonisti del film.. Sullo sfondo i soldati sono già in marcia, ma si fermano per vedere chi arriverà questa volta. Il mulo giunge a valle, due soldati della compagnia sollevano l’uomo, e ancora prima che venga inquadrato, la macchina da presa inquadra la soldatessa vedova di Murphy che dice con voce bassa e tremante: “He’s the Captain” Nell’inquadratura successiva Walker è sorretto da due soldati per essere tolto dal dorso del mulo. L’immagine richiama certe “deposizioni di Cristo” cinquecentesche, ed in questo caso il paragone con il personaggio di Gesù può essere calzante. Anche Walker è morto giovane e ha avuto la sua passione durante la guerra, mentre i suoi ragazzi sembrano i suoi discepoli, che vanno a piangere sul suo cadavere. Inizia la struggente processione di soldati che si avvicinano al corpo del capitano per dargli l’ultimo saluto e una lunga serie di primi piani (figura 21) segue il primo dedicato al volto di Walker coricato per terra (figura 22). 153 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 21. Un soldato guarda triste il cadavere Figura 22. Il capitano Walker morto Pyle arriva per primo, insieme ad un altro soldato. Non dice niente, ma i suoi occhi si avvicinano al pianto. Si fermano in piedi, mentre altri si alzano da dov’erano e si avvicinano. Alcuni scuotono solamente la testa, altri gli parlano come se fosse ancora vivo (“ I’m sorry old man”), mentre il soldato italo – americano si siede vicino a lui e gli prende la mano (figura 23). A mano a mano che i soldati finiscono di salutarlo si rimettono in marcia verso una nuova battaglia. Figura 23. Il gesto di affetto di un soldato Pyle ha gli occhi pieni di lacrime e presto si allontana seguendo la fila. Un altro soldato inizia a fare le veci del capitano e da l’ordine di mettersi in marcia, e tutti ripartono, passando da parte al capitano e mandandogli l’ultimo saluto con uno 154 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. sguardo triste. Il soldato italo – americano è ancora seduto vicino a lui, gli lascia la mano, lo guarda per un po’ con occhi tristi e alla fine si china sopra di lui (figura 24). Prima gli sistema il colletto della giacca, poi gli accarezza dolcemente il viso, mostrando tutto il suo affetto verso quell’uomo, fatto insolito in un film di guerra, che normalmente esalta la virilità dei soldati.69 Figura 24. Lo stesso soldato ancora con Walker Come già accennato, la sequenza della morte di Walker è ripresa da un passo di Ernie Pyle che descrive la morte del Capitano Waskow, ovvero il personaggio sul quale è ricalcato l’ufficiale interpretato da Mitchum70. Secondo quanto scrive Pyle, la scena si svolse esattamente nello stesso modo, con il corpo di Waskow che arriva sul dorso di un mulo e i suoi ragazzi che si avvicinano per dargli l’ultimo saluto. Dal testo si evince quanto quest’uomo sia stato importante per i 69 70 Koppes – Black, op. cit, p. 339. The death of Captain Waskow, il testo integrale è riportato in appendice. 155 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. suoi soldati. Un sergente disse a Pyle: “After my own father, he came next”.71"He always looked after us," disse un altro, "He'd go to bat for us every time."72 L’unica incongruenza che si riscontra, al di là del nome, sta nel fatto che l’articolo di Pyle è datato 10 gennaio 1944, mentre invece nel film il capitano è morto dopo la fine dell’ultima battaglia di Cassino, cioè non prima del 19 maggio 1944. La morte del capitano si ricollega al discorso di Pyle sul fatto che i G.I. vivono miseramente e muoiono miseramente. Il trasporto della salma avviene assolutamente senza cerimonie, su un mulo, e quando arriva nessuno sa com’è morto, è successo e basta. 73 Ecco la grande tragedia della guerra vissuta da soldati semplici, che danno la vita per una causa, che magari non scelgono neanche, e se muoiono nessuno se ne accorge, tranne i più cari amici. Vivono come un numero e muoiono nello stesso modo. La morte del leader fa parte del genere bellico e avviene sempre alla fine del film. Quando fu girato The story of G.I. Joe Robert Mitchum era ancora un esordiente, quindi la sua morte nella storia risulta veramente una morte comune, non si carica di quella dimensione di personaggio che caratterizza gli attori hollywoodiani nel pieno della gloria. L’ultima sequenza del film vede i soldati di nuovo in marcia verso nuove battaglie (figure 25 e 26). 71 Trad: veniva subito dopo il mio vero padre. Trad: Si è sempre preso cura di noi, avrebbe anche combattuto per noi ogni volta. 73 J. Basinger, op. cit., p. 141. 72 156 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 25. Il soldato italo- americano in marcia Figura 26. Altri soldati verso l'orizzonte Pyle è inquadrato in primissimo piano sullo sfondo di un grande cimitero militare, con le sue croci bianche che si stagliano contro il cielo sereno (figura 27). Figura 27. Pyle sulla strada per Roma La visione rende drammatico il finale, se si aggiunge poi lo sguardo intenso e triste di Burgess Meredith, alla cui voce fuori campo è lasciata l’ultima battuta: 157 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. This is our war and we will carry it with us we go from one battleground to another, until it’s all over. We will win. I hope we can rejoice with victory but humbly, and all together we will try, try out of the memory of our anguish, to reassemble our broken world into a place so firm and so fair that another Great War can never again be possible. And for those beneath the wooden crosses, there is nothing we can do except, perhaps, to pause and murmur: “Thanks, pal, thanks”.74 Niente eroismi quindi, o esaltazione della vittoria. Si gioirà, certo, ma ricordandosi sempre di quelli che sono morti e con l’unica volontà di costruire un mondo nuovo, senza guerre. L’angolo di visuale risulta molto differente rispetto a tanti film che Hollywood produsse in questo periodo, tesi soprattutto all’esaltazione della forza e delle vittorie dei soldati americani. Un discorso come quello di Pyle, dove si può gioire, ma con umiltà, non fu sicuramente molto apprezzato a livello di propaganda. La figura del corrispondente di guerra – voce narrante, da a tutta la storia un taglio particolare e ci introduce in un doppio salto nel passato: quello in cui Pyle narra e quello in cui scrive, che corrisponde allo svolgersi delle azioni. La sua voce tranquilla e il suo linguaggio informale creano una sorta di distanza tra lo spettatore e i personaggi, crea una sorta di filtro attraverso il quale le azioni possono essere viste da una distanza che permette di capirne l’importanza storica. E’ la voce della storia, sempre presente coni suoi commenti per tutta la durata del film. 74 Trad: Questa è la nostra guerra e ce la fatichiamo da un campo di battaglia ad un altro fino a quando non sarà finita. Alla fine vinceremo. Mi auguro che gioiremo della vittoria, ma con modestia. E tutti insieme proveremo ad uscire dalla memoria del nostro dolore, per ricostruire il nostro mondo spezzato in un posto così bello e tranquillo che non sarà mai più possibile un’altra grande guerra. E per quelli sotto le croci di legno non c’è niente che possiamo fare, tranne, forse, fermarci e mormorare “grazie, amico, grazie.” 158 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. The story of G.I.Joe affronta la battaglia di Montecassino quindi con un taglio particolare. E’ solo una delle tante citate durante il film, che si confondono le una con le altre, poiché non vengono mai specificati i nomi di paesi o città. Nemmeno Montecassino è citato, ma risulta comunque inconfondibile per la presenza del monastero e per l’importante episodio del suo bombardamento. L’esperienza è qui vissuta solo ed esclusivamente attraverso gli occhi dei soldati. La loro vita in mezzo al fango e al gelo dell’inverno sulla linea Gustav, la gioia di veder abbattere l’abbazia, l’impegno nella battaglia. Sono semplici fanti, non hanno a che fare con nessuno se non con i loro nemici. I pochi Tedeschi che si vedono compaiono solo in combattimento o come prigionieri, mentre non c’è nessun contatto con chi si trovava nel monastero, come fu anche in realtà. I soldati vedono solo l’abbazia dal basso, è una specie di spauracchio, di luogo inquietante in cui il nemico si rifugia. Fa sentire la sua voce con il rintocco delle sue campane e aggredisce i soldati a colpi di artiglieria. E’ già stato appurato che quei colpi provenivano da un'altra posizione, ma non per i soldati, che continuamente sentivano la minaccia del nemico, accresciuta anche dalle voci sempre più frequenti che i Tedeschi fossero là dentro. Dal punto di vista storico non c’è grande aderenza ai fatti accaduti, le vicende si scambiano o vengono taciute75. Anche se senza troppi riferimenti, l’episodio di Montecassino assume un’importanza particolare nel film. E’ quello più lungo e più toccante, quello in cui la forza dei soldati 75 Si vedono per esempio i soldati della 18^ ( 36^) Divisione combattere nell’ultima battaglia di Cassino per la liberazione del monastero, quando invece l’unica da loro combattuta fu la prima, quella sul Rapido. 159 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. viene messa alla prova, sia fisicamente per le dure battaglie, sia moralmente per il logoramento psicologico ( è qui che il sergente Warnicki perde la ragione). Il film risulta quindi meno interessante dal punto di vista storico piuttosto che dal punto di vista umano. Anche se, storicamente parlando, è interessante la rappresentazione dello stato di euforia dei soldati di fronte al bombardamento di Montecassino, che in tanti libri sulla battaglia è descritto. Vederlo rappresentato è comunque più toccante, soprattutto per il contrasto che si crea tra la tragedia e la reazione gioiosa. Anche se, alla fine, non si può che capire i soldati, che dopo tutto erano solo le vittime del sistema, la cosiddetta “carne da cannone”. L’espressione è ricorrente nei libri che parlano di questa battaglia, con questo film però se ne capisce a fondo anche il significato. Figura 28. Meredith - Pyle in abiti da soldato 160 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 11.3. MONTECASSINO ( Arturo Gemmiti, 1946 ) Figura 1. La locandina del film Montecassino Il film Montecassino è stato realizzato da Arturo Gemmiti nel 1946, quindi poco tempo dopo i fatti narrati. Noto anche come Montecassino nel cerchio di fuoco, è tratto dal libro di Don Tommaso Leccisotti1 , monaco benedettino del monastero di Montecassino che visse la storia in prima persona, come testimone e superstite del bombardamento. La critica dell’epoca scriveva riguardo al film : Realizzazione tecnicamente molto accurata che fonde in un insieme suggestivo le fasi ora sentimentali ora drammatiche ora documentarie della vicenda. 1 Montecassino, Montecassino 1983. Il diario di guerra di Tommaso Leccisotti, che comprende il periodo che va dal 14 ottobre 1943 al 20 febbraio 1944, è contenuto anche nel volume Il bombardamento di Montecassino di Grossetti e Matronola, Montecassino 1997,p. 109. 161 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Il finale invito all’amore, alla bontà, alla fede, riassume l’atmosfera morale del film che è ricco di elementi positivi. La visione è ammessa anche in sale di oratori, collegi e scuole.2 Prodotto dalla Pastor, casa di produzione legata alla chiesa, e distribuito dalla Scalera, il film è infatti un’accurata ricostruzione che parte dall’ottobre del 1943 e continua fino al bombardamento del febbraio 1944. Molte sono le particolarità di questa pellicola: i fatti narrati sono ripresi con estrema cura e precisione dal documento di Leccisotti, i personaggi del film in molti casi assomigliano fisicamente a quelli reali3, le immagini del film sono alternate e montate con spezzoni di documentari nei punti che mostrano l’uso delle armi, e questo è ben riconoscibile ad occhio nudo, in quanto la grana delle due pellicole è molto diversa. 11.3.1. L’Italia del dopoguerra L’ambiente politico in cui il film viene prodotto è, come già detto, quello dell’Italia del dopoguerra. 4 Dopo la Liberazione il ministero Bonomi fu sostituito dal gabinetto presieduto da Ferruccio Parri, del quale fecero parte i sei principali partiti nazionali: alla sinistra i socialisti del PSIUP (Partito socialista italiano di unità proletaria) e i comunisti del PCI, guidati dal segretario Palmiro Togliatti; l’altro grande partito di massa era la Democrazia Cristiana. Forte soprattutto nel mondo rurale (grazie all’azione fiancheggiatrice della Federazione Italiana coltivatori diretti ), la DC si presentava poi 2 “ Segnalazioni cinematografiche” del CCC, 1947, vol. XXIV/12, p. 136, in AA.VV.,La cinepresa e la storia, p. 129. 3 Per esempio il personaggio dell’ Abate Diamare, interpretato da Alberto Carlo Lolli, è preciso fin nei particolari, come i nei che ha sulla guancia destra e che ben si riconoscono nelle numerose fotografie del volume di Grossetti – Matronola. 4 A. De Bernardi- S. Guarracino, Storia del mondo contemporaneo, pp.472 – 473. 162 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. agli imprenditori e ai ceti medi come baluardo contro il comunismo, sostenuta anche dall’appoggio di Papa Pio XII e delle parrocchie. Il governo Parri era completato dal Partito Liberale, dal Partito d’azione e da esponenti del Partito repubblicano. La destra era rappresentata invece dal movimento dell’ “Uomo qualunque” a cui si aggiunse, nel 1946, il Movimento sociale italiano. Nel novembre del 1945 divenne presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, la figura di maggior spicco della DC, che formò un governo di coalizione, con il segretario socialista Pietro Nenni vicepresidente e Palmiro Togliatti ministro della giustizia. Durante il ministero De Gasperi si tennero, il 2 giugno 1946, le votazioni per l’Assemblea costituente e quelle per il referendum istituzionale, che fu favorevole alla repubblica. Le elezioni per la Costituente assegnarono il ruolo di primo partito alla DC, che spinsero De Gasperi a formare un gabinetto monocolore democristiano, allargato solo in seguito. Era in questa situazione che si stava sviluppando in Italia il movimento cinematografico del Neorealismo, che già nel 1945 aveva dato i natali a quel capolavoro di Roberto Rossellini che è Roma città aperta5. Una delle caratteristiche principali di questo filone è proprio l’estremo realismo con cui i fatti realmente accaduti vengono trattati e vengono spesso affrontati dalla gente comune, che trova in questi prodotti per la prima volta, una propria eroicità. Sono i drammi della gente comune ad interessare i registi neorealisti, inseriti però nel contesto di sofferenza che rappresenta la guerra.6 5 6 AA.VV., La cinepresa e la storia, p. 119. G. Casadio, La guerra al cinema, p. 180. 163 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Ma il governo democristiano, varando nel 1949 la legge Andreotti, tentò anche su queste produzioni una censura preventiva, poiché era contrario alla diffusione di un’immagine “sbagliata” della condizione nazionale.7 Su uno sfondo di questo tipo è facile capire come un film come Montecassino di Gemmiti possa essere stato prodotto. Innanzitutto la tematica cristiana, tanto cara alla classe governante, assicurava un prodotto fruibile da tutti, e dava inoltre lo spunto per riflettere sull’immane tragedia dell’abbazia benedettina, la cui ricostruzione si deve totalmente ai fondi dello Stato italiano, che già nel 1945 pose la prima pietra. I protagonisti dell’opera, accanto ai monaci, sono i profughi che si ritirarono nel Sacro recinto per ripararsi dalla guerra, ma che proprio qui trovarono la morte. Sono persone dei più differenti ceti sociali, che trovano un punto di unione in questa terribile esperienza, ed è grazie alle loro vite che viene costruito il film. E’ la gente comune, insieme ai monaci benedettini, a raccontare i fatti dall’interno. E la ricostruzione filmica, come già accennato, è molto fedele alla realtà di chi è sopravvissuto ed ha potuto raccontarla. Il film è quindi un omaggio alle vittime di questa tragedia, e un messaggio di guerra alla guerra e di speranza per il futuro. E’ da notare che i soldati tedeschi rappresentati nel film, sono comunque ritenuti in parte responsabili del disastro, se non come esecutori materiali del bombardamento, come coloro che hanno “deciso” la morte di tutte quelle persone con il continuo rimando dello sgombero. Il film assume quindi una visione piuttosto imparziale dei fatti ad ogni parte viene assegnata la sua porzione di colpa, che è costata la vita a migliaia di 7 P. Pintus, op. cit., p.43. 164 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. persone, secondo quanto si può verificare nei diari dei monaci sopravvissuti al bombardamento.8 11.3.2. Analisi del film Il film è facilmente divisibile in un’ introduzione e in nove parti scandite dalle date che compaiono sullo schermo e che chiariscono lo svolgersi dei fatti. Introduzione Mentre la cinepresa inquadra le rovine del convento dopo il bombardamento, in seguito ai titoli di testa, sullo schermo scorrono queste parole: Dalla documentata storia di ieri e dalla tragica realtà vissuta, narrata dai superstiti dell’Abbazia, è tratto questo film. Ai personaggi di cui intravediamo i volti, Marco, Maria, Carmela, Alfredo e cento altri, di cui non si ricordano i nomi, ma che furono coinvolti nell’immane tragedia di Montecassino, è dedicato questo film. Il film parte quindi da subito con l’intento di rassicurare il pubblico sulla veridicità dei fatti narrati, attraverso un’area semantica di verità: la storia di ieri è “documentata” e la realtà è “vissuta” Mentre la cinepresa si allontana e si inizia ad udire distintamente una musica religiosa, sempre sullo schermo inizia un breve riassunto storico delle vicissitudini del monastero, che dalla sua fondazione nel 529, ha subito più di una distruzione. Da subito si ha 8 Grossetti – Matronola, Il bombardamento di Montecassino, Edizioni Cassinesi. 165 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. l’impressione di trovarsi in un luogo tanto sfortunato quanto prodigioso, che grazie alla forza della sua cristianità è riuscito ogni volta a rinascere più forte9: Da quattordici secoli il Monastero di Montecassino diffonde la sua luce sul mondo. Due volte distrutto e saccheggiato da milizie longobarde e saracene prima del 1000, crollato nel terremoto del 1349, fu sempre riedificato dalla pietà degli uomini a simboleggiare, con crescente splendore, la civiltà cristiana. Raso al suolo il 15 febbraio 1944 dalla furia devastatrice della guerra, risorge ancora perché immortale è il suo spirito10: quello stesso spirito di carità e fraternità che illuminò la vita del suo fondatore, S. BENEDETTO DA NORCIA, e che, dopo tanto sangue e dolore, dovrà illuminare la vita dei popoli nell’espiazione e nella ricostruzione. La sequenza successiva inizia con la vista delle macerie sullo sfondo. La cinepresa passa ad inquadrare una collina con delle croci che indicano delle sepolture. Osservandole si può notare che una è pulita e dritta, mentre la seconda è storta, ricoperta di vegetazione e ad essa è legata una bandiera nera con una croce bianca al centro. Da subito si può quindi intuire la varietà dei personaggi che su quel colle sono sepolti, e che , nonostante tutto, sono degni di carità cristiana e quindi di sepoltura gli uni accanto agli altri. Nella realtà le vittime della battaglia, fossero essi soldati, civili o monaci, sono state sotterrate in cimiteri ben distinti e l’unico cimitero militare che si trova vicino all’abbazia è quello polacco, poiché i soldati di questa nazione hanno liberato, dopo 9 Secondo il motto Succisa virescit, oggi rappresentato dall’immagine simbolica di una quercia secolare, che benché schiantata dalla bufera, rinasce sempre con intatto vigore. In Abbazia di Montecassino, Montecassino, Pubblicazioni cassinesi, 2002. 10 La posa della prima pietra della ricostruzione risale al 1945. 166 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. lunghi combattimenti, il colle con il sacro edificio, ormai divenuto nascondiglio dei paracadutisti tedeschi.11 Un movimento di macchina sposta lo sguardo verso il precipizio sul cui ciglio si trovano le croci (figura 2), sul fondo una strada percorsa da una processione di monaci. Una voce fuori campo inizia a parlare: “ I miei fratelli ritornano…”. Si capisce subito che chi sta parlando è un monaco, ma è il dialogo successivo che ne rivela l’identità: “ Vedi Capitano Richter, sulla mia tomba sono nate le primule”, la cinepresa inquadra la prima croce con ai piedi i fiori appena sbocciati. Una seconda voce, con forte accento tedesco gli risponde: “ Le tue primule Don Eusebio, io non so se qualche fiore potrà nascere sulla mia”. Le due voci fuori campo svelano la loro identità, sono del Capitano Richter e di Don Eusebio, i due defunti a cui appartengono le croci inquadrate all’inizio della sequenza. Figura 2. Le due croci e sul fondo del precipizio la processione Fin da questo inizio, quindi, si capisce che, nell’economia della storia, monaci e soldati tedeschi hanno grande importanza, come si dimostrerà nel seguito del film. Nello 11 Oltre mille furono i soldati polacchi che persero la vita nei combattimenti precedenti alla liberazione di Montecassino, avvenuta il 18 maggio 1944. Sul monte, a loro memoria, s’innalza un obelisco in travertino con la seguente iscrizione: Noi soldati polacchi abbiamo dato il corpo all’Italia, il cuore alla Polonia e l’anima a Dio per la nostra e altrui libertà. In Abbazia di Montecassino, op. cit. 167 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. specifico Don Eusebio è Don Eusebio Grossetti, monaco benedettino del monastero di Montecassino. Dall’inizio di novembre del 1943 il religioso tenne un diario degli avvenimenti, dietro raccomandazione di don Angelo Pantoni prima della sua partenza per Roma, fino a pochi giorni prima della sua morte, che avvenne per malattia il 13 febbraio 1944. Don Martino Matronola, oggi Abate di Montecassino, lo continuò fino al giorno dei bombardamenti. Il quaderno rimase sepolto sotto le macerie ma fu fortunatamente ritrovato, trascritto e integrato con nuovi particolari da don Martino stesso, che in quel periodo era segretario dell’Abate Diamare e quindi più al corrente di quello che succedeva in quel periodo.12 Per quanto riguarda invece il capitano medico Richter, non c’è traccia dell’esistenza di un personaggio reale con questo nome, anche se, dall’analisi dei fatti che seguono, si può evincere che si trattasse in realtà del capitano medico Becker, che grande importanza ebbe anche nelle operazioni di salvataggio del patrimonio storico – artistico dell’abbazia.13 Cambia l’inquadratura, ora il monastero è visto dal punto di vista della prima croce – personaggio, che assume il ruolo di narratore della storia. Suonano le campane, ma la musica è solo immaginata, si dimostra essere, contro la prima sensazione, extradiegetica: “ Nei nostri cuori non hanno mai smesso di suonare a mattutino”. Con un flashback l’inquadratura ora si sposta all’interno di un cortile del monastero, ma prima della distruzione, tutto è ancora integro, e mentre la voce di Don Eusebio continua la sua narrazione, la cinepresa si sposta inquadrando diversi angoli del monastero. Riprende il dialogo fra i due, parlano questa volta della guerra, “ la tragedia che qui abbiamo vissuto, milioni di donne, uomini, bambini di tutto il mondo.” Il 12 Grossetti – Matronola, op. cit., p.6. Il suo memoriale sullo sgombero di Montecassino, viene pubblicato per la prima volta, nella traduzione italiana che egli stesso fece fare in Germania, in Grossetti – Matronola, op. cit., p.235. 13 168 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. dramma di Montecassino non è quindi un fatto esclusivo, perché la guerra ha colpito le popolazioni di tutto il mondo essendo anche questo conflitto definito appunto “mondiale”. Il riferimento alle sofferenze della popolazione civile è quindi più che esplicito. Dalla scalinata che sovrasta il cosiddetto chiostro del Bramante14 scendono i monaci e la voce fuori campo torna a narrare da prima del bombardamento ( “la vita qui scorreva tranquilla…”). Da questo momento il susseguirsi dei fatti sarà quello che va dall’autunno del 1943 al febbraio del 1944. La cinepresa passa all’interno del monastero, dove un monaco sta dipingendo il ritratto di un bambino (figura 3), e sempre la voce fuori campo rivela di essere quel monaco ( “ io stavo dipingendo quando la voce della guerra fugò la nostra pace”). Un altro monaco sta scrivendo uno spartito davanti all’organo. Il monastero, sede di un immenso tesoro, continuava ancora ad essere un punto di associazione per quei monaci che amavano l’arte e in esso potevano studiarla e ricrearla, seppure a livello amatoriale, come appunto Don Eusebio15. Figura 3. Don Eusebio davanti al suo dipinto 14 Abbazia di Montecassino, op. cit. F. Ficarra, op. cit., p. 37, conferma che don Eusebio si dilettava di pittura e fu incaricato di scegliere le opere d’arte da mettere in salvo. 15 169 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Si ode forte il rumore delle bombe, la macchina da presa inquadra un sismografo che si muove rapidamente, mentre Don Eusebio si avvicina a controllare. L’atmosfera è tesa. E’ la prima avvisaglia della battaglia che si sta combattendo e che non lascerà indenne il monastero. I parte : 16 ottobre 1943 La scena si svolge all’interno di una stanza del monastero. E’ il 16 ottobre, giorno in cui le operazioni di salvataggio delle opere d’arte ebbe inizio. In quel giorno cominciò ad arrivare anche il materiale per costruire le casse in cui sarebbero state riposte le opere, e per svolgere questo compito furono reclutati soldati, monaci ( alcuni diffidenti non aiutarono nell’operazione dicendo apertamente: “Io non voglio aiutare a depredare il monastero”) e civili. Il film mostra un monaco e un soldato tedesco che parlano di portare le opere d’arte a Roma.16 La passeggiata dei due tra le stanze del convento mostra il lavoro che si sta svolgendo proprio in quel momento: la cinepresa allarga e inquadra alcuni soldati tedeschi mentre impacchettano dei quadri (figura 4). Figura 4. I militari tedeschi impacchettano i quadri 16 Secondo il diario di Tommaso Leccisotti i tedeschi iniziarono le operazioni di spostamento del patrimonio culturale del monastero proprio sabato 16 ottobre ( in Grossetti – Matronola, op. cit. , p. 110 ). 170 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Don Eusebio ferma un soldato che sta portando via il quadro fatto da lui, che si rivela essere una Madonna con bambino. Il militare si sposta verso destra per andare a chiedere istruzioni, poiché il battaglione Goering cercò di portar via il più possibile, ovvero tutto ciò che era trasportabile, pur non sapendo che i monaci, non fidandosi completamente di loro, nascosero in loco molti oggetti preziosi.17 Seguendo lo spostamento del soldato, la cinepresa inquadra in primo piano una donna col suo bambino, lo stesso del ritratto dipinto dal monaco: si capisce da subito che saranno due personaggi importanti della storia. Ma si crea anche un alone di inquietudine, come se quel ritratto nelle vesti di Gesù fosse un presagio delle sofferenza di quel bambino. Don Eusebio rientra in scena. Alla domanda della donna di poter rimanere nel convento, il monaco risponde che solo i malati gravi possono restare, mentre gli altri civili devono andare via. Poi invita la donna a seguirlo per mostrarle qualcosa all’esterno. Nella seconda sequenza un cortile interno del monastero è inquadrato dall’alto, sotto il portico delle persone stanno camminando mentre si sente la voce di un soldato tedesco. Dal basso viene inquadrata una balconata, i tre personaggi entrano in scena da destra su di essa. E’ il loro il punto di vista sul cortile, la posizione privilegiata di chi guarda dall’alto: al di sotto le persone che devono lasciare il monastero, al di sopra chi può invece rimanere, cioè Don Eusebio, che invita la donna e il bambino a seguire i coloni che stanno lasciando il monastero, dove rimarranno solo l’Abate, cinque monaci e qualche fratello converso. Nella terza sequenza la cinepresa inquadra la gente che sale sulla collina precedendone la fila. La visione è dall’alto e crea un senso di oppressione, come se quelle persone 17 Secondo il diario di don Eusebio Grossetti furono nascoste nei sotterranei le casse di S.A.R. il Principe del Piemonte, le cassette contenute nella cassa del Museo Numismatico di Siracusa e il “Tesoro” di San Gennaro., in Grossetti – Matronola, op. cit., p. 19. 171 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. fossero schiacciate dal peso degli eventi. Lo sgombero avvenne il 29 novembre18, giorno in cui tutti i civili furono costretti a lasciare gli edifici adiacenti al monastero, dopo che avevano in essi trovato rifugio in seguito al bombardamento che colpì la città di Cassino il giorno 10 ottobre. Ad aggravare la situazione dei profughi si aggiungeva anche la pioggia incessante che, dalla metà di novembre colpì quelle zone rendendole simili ad un acquitrino.19 Torna la voce fuori campo che spiega la situazione: “ Come se millenni di civiltà fossero scomparsi, la gente era costretta a rifugiarsi nelle caverne, nei boschi, nelle capanne – la macchina da presa inquadra una capanna circondata da alberi - , negli anfratti del monte, illudendosi che l’esodo avrebbe avuto la durata di pochi giorni. E vennero invece le piogge e i freddi autunnali a rendere ancora più dura quella vita”. Qui la cinepresa inquadra una pozzanghera illuminata dal sole con una barchetta di carta spinta dal vento, una mano entra in scena e la raccoglie. L’immagine ha un forte richiamo a certi film espressionisti della tradizione tedesca, che riuscivano a rendere il senso di malessere anche solo con un particolare del corpo. La quarta sequenza è ambientata in una modesta casa, entra un uomo dalla porta e viene in avanti verso la cinepresa, guarda verso la donna che si trova alla sua destra, la stessa del monastero, vicino al letto del suo bambino ammalato. L’uomo va a sedersi vicino al fuoco, dove si trovano altri uomini. “ Maledetta la guerra” dice, mentre un uomo più anziano gli risponde che lui ha fatto “quell’altra”, riferendosi alla prima guerra 18 La data dell’evacuazione non risulta precisa nei diari dei monaci, ma viene comunque riportata da Matronola, che la trova nel diario di un ragazzo che ha aiutato proprio in quei giorni. Solo nel 1985 don Martino scoprirà che quel giovane malato sarebbe diventato Governatore della Banca d’Italia: era il Dott. Paolo Baffi, in Grossetti – Matronola, op. cit., p.35. 19 F. Majdalany, Cassino, ritratto di una battaglia,p.30. 172 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. mondiale, “ma era diversa”20. La donna viene inquadrata in primissimo piano, l’illuminazione è contrastata, drammatica come la scena che si sta svolgendo, abbassa gli occhi e guarda il suo bambino, anch’esso in primissimo piano, che tossisce. Nella battuta che segue la donna rispecchia lo stato d’animo dei profughi in quei momenti difficili: “ Credevo che fosse qualche giorno di rimanere qui, ora sono delle settimane”. La gente vicino al fuoco la guarda, tra di loro si alza l’uomo di prima e si dirige verso di lei. Segue un’alternanza di primi piani tra i personaggi in questione, si parla di riportare il bambino malato al monastero, mentre un altro uomo esprime un altro parere comune tra i profughi, come si vedrà in seguito, e cioè come faccia comodo ai frati starsene lì, “si sono fatti persino mandare le guardie tedesche.” La donna ha il suo bambino in braccio mentre si appresta accompagnata dall’uomo (Marco) ad uscire per andare al monastero. La prima parte termina con una dissolvenza. II parte : 12 dicembre 1943 Sotto all’indicazione della data si configura della gente che cammina nel bosco, mentre riprende la musica di sottofondo. La voce fuori campo spiega che i profughi stanno tornando al monastero. Fuori dal portone inizia il dialogo tra alcuni di loro e i soldati tedeschi posti a guardia dell’entrata (figura 5), mentre Marco critica il fatto che i monaci se ne stanno a cantare mentre fuori c’è la guerra. Questo tipo di battute è molto diffuso lungo soprattutto la prima metà del film, quando i civili sono ancora all’esterno 20 Secondo i diversi testi consultati, da Clark a Majdalany, da Etterlin a Liddle Hart, le battaglie che si svolsero nei pressi di Cassino erano in tutto e per tutto simili a quelle della prima Guerra Mondiale, soprattutto per il grande utilizzo della fanteria, dovuta anche alle condizioni ambientali che non permettevano l’utilizzo di mezzi pesanti. 173 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. del monastero e sentono la loro condizione di pericolo molto distante da quella dei monaci, al sicuro dentro le spesse mura dell’Abbazia di Montecassino. Figura 5. Civili e soldati tedeschi davanti al monastero La scena si svolge davanti alle spesse mura del convento, che risultano in questo caso essere una vera barriera tra la salvezza e la morte, una sorta di dimora divina illuminata da una luce molto forte che la fa sembrare ancora più irreale. La cinepresa inquadra in primo piano un monaco che guarda fuori dalla porta e rientra. La macchina da presa si sposta alle spalle dei personaggi, assiepati davanti alla porta, e non smette di inquadrare il portone, da cui esce Don Eusebio, che si dirige verso il bambino malato. La madre lo informa che suo figlio Gianfranco sta male, il monaco lo riconosce e lo chiama “ il piccolo Bambin Gesù”, riferendosi al quadro che stava dipingendo all’inizio, dove Gianfranco era stato ritratto nelle vesti di Gesù bambino in braccio alla Madonna. La mamma alla fine lo porta dentro, ma questa volta l’immagine è molto più simile ad una pietà con Maria che tiene fra le braccia il figlio morente. La seconda sequenza è ambientata vicino alle mura del monastero, dove Marco e Don Eusebio parlano della guerra. I due hanno chiaramente una visione opposta su come affrontarla, per il religioso è importante solamente pregare, mentre per Marco questo 174 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. non basta, anzi, rientra tra le attività considerate comode e poco pericolose, soprattutto ora che in cielo cominciano a vedersi gli aerei21. La terza sequenza si apre proprio con gli aerei di cui parlava Marco: volano in cielo e sono ripresi a loro volta da un aereo. Il rombo è forte, i velivoli volteggiano in cielo, inizia la battaglia: vengono inquadrate le mitragliatrici davanti agli aerei e un aereo colpito mentre in fiamme precipita. L’inquadratura si sposta poi all’interno di un aereo, dove un uomo è intento a sparare e rimane di spalle, e alternativamente la macchina riprende la terra vista dall’aereo con i colpi che cadono dall’alto. Immagini di questo tipo sono frequenti durante il film e sono sicuramente tratte da filmati documentari, non girate appositamente per la fiction. La pellicola usata sembra infatti diversa e riconoscibile ad occhio nudo. Inoltre sono sempre le stesse immagini che tornano per tutto il film, montate in modo diverso, quelle immagini che caratterizzano i documentari dell’epoca. Le immagini di guerra montate in questo punto della storia non sono ancora riferibili alla battaglia di Montecassino vera e propria, che inizierà solo a gennaio, ma a uno dei tanti attacchi che si svolgevano quotidianamente sulla linea Gustav, anche molto vicino al monastero. Per questo motivo il giorno 12 dicembre un capitano tedesco, inviato dal Comando Supremo del Sud ( generale Kesselring ), giunse al monastero con la notizia che era stata decisa una zona di 300 metri al di fuori del monastero interdetta a qualsiasi militare.22Anche i tre gendarmi posti a guardia del monastero avrebbero dovuto riparare nelle grotte circostanti23. La richiesta era stata fatta dalla Santa Sede ed accettata di buon grado dal comando tedesco, che in questo modo manteneva agli occhi di tutti la 21 Don Eusebio, nel suo diario, scrive di quel giorno: “ La solita azione di artiglieria: aviazione assai limitata per il tempo non buono”. In Grossetti – Matronola, op. cit., p. 39. 22 Grossetti – Matronola, op. cit., p. 39. 23 Fatto che irritò profondamente i militari in questione, che minacciavano i monaci di rappresaglie poiché li incolpavano della decisione. In Grossetti – Matronola, op. cit., p.40. 175 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. facciata di difensore dell’edificio, ma che in realtà pensava che, se gli Alleati avessero distrutto l’abbazia, sarebbe stato un errore ancora più grande, non essendo postazione militare tedesca.24 Nella quarta sequenza viene inquadrato il monastero dal basso, in quella posizione di superiorità che tanto spaventava gli eserciti angloamericani. La voce fuori campo spiega che all’interno si trovavano solo i malati, mentre la popolazione era tutta intorno. L’alternanza di primi piani è ancora tra il piccolo Gianfranco e sua madre. La donna piange mentre una mano accarezza il bambino coricato: è la mano di Don Eusebio. Un bambino che guarda la scena in penombra dietro le sbarre del letto di Gianfranco, la mamma piange sul figlio mentre una dissolvenza ci porta al ritratto fatto da Don Eusebio: si passa dalla realtà fisica del piccolo a quella spirituale racchiusa nell’immagine dipinta. L’atmosfera è rarefatta, quasi irreale, il bambino sembra dormire, ma si intuisce la sua morte ancora prima che la voce narrante la confermi. “Forse quel ritratto non era stato dipinto invano”, Don Eusebio prende un taglierino aggiusta una sfumatura, taglia la parte di tela col viso del bambino e lo regala a “quella madre disperata che era soltanto una delle tante”, per tornare un'altra volta al tema della guerra come tragedia umana e universale. Nella quinta sequenza la cinepresa inquadra la scalinata interna dell’Abbazia, è buio. Buona parte dell’inquadratura è occupata dalla statua di San Benedetto, che si trova alla base di una scalinata e sovrasta con la sua magnificenza soprattutto spirituale i piccoli uomini che salgono le scale. In un interno un monaco è inquadrato di spalle davanti a un leggio, le persone sono già sedute, altre ancora entrano, mentre la voce off dice che quello era il più triste Natale 24 F. Ficarra, op. cit., p.59. Allo scopo di immortalare l’abbazia e di testimoniare su una possibile barbarie da parte delle truppe alleate, furono mandati, il 19 dicembre, due fotografi dell’ufficio di propaganda tedesco. 176 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. mai vissuto da quella gente. La storia è quindi avanzata fino al 25 dicembre. Nella cripta, riconoscibile dai mosaici raffiguranti San Benedetto e Santa Scolastica, l’abate sta celebrando la messa25, mentre il coro continua a cantare e la voce fuori campo sottolinea questo fatto. Nella sesta sequenza un’autocolonna di soldati tedeschi con camionette, moto, artiglieria, viene inquadrata da diverse angolazioni mentre passa sulle strade fuori e dentro all’abitato. La voce off racconta: “Un’agguerritissima divisione tedesca giungeva a dare il cambio alle stanche truppe che avevano fino ad allora presidiato Cassino. L’infernale rumore delle armi toglieva a quel giorno sacro tutta la sua gloria.” Mentre comprendiamo che è ancora Natale, vengono inquadrati i mezzi che passano tra le case, sulle strade, tra gli alberi, alcuni soldati a piedi sono ripresi dal basso all’alto, mentre il sottofondo è sempre quello degli spari. Anche in questa sequenza soldati e armamenti sono sicuramente tratti da filmati documentari. Oltre a questo episodio è da ricordare, negli stessi giorni, lo sgombero dei civili dell’abbazia, ordinato da Senger, che, mentre rassicurava i monaci sul rispetto che avrebbero avuto verso la zona neutrale, disponeva i suoi uomini fin sotto le mura dell’abbazia.26 III parte : 5 gennaio 1944 Mentre compare sullo schermo la scritta con la data, un soldato toglie a colpi di canna di fucile un cartello che reca scritto NEUTRALE ZONE. Nel diario di guerra di Don Eusebio Grossetti e di Don Martino Matronola, il giorno mercoledì 5 gennaio leggiamo: 25 26 Notizia confermata in Grossetti – Matronola, op. cit., p. 46. Grossetti – Matronola, op. cit., p. 47. 177 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Tristissima fra tristi giornate. Stamane è ritornato verso le 8.30 il solito interprete della nuova Divisione. Ha chiesto di parlare col P. Abate, cui ha comunicato penosissimi ordini. Ha dichiarato che per il Comando Supremo del Sud la zona di 300 m. non esisteva più; che tutti i civili senza alcuna eccezione dovranno evacuare; a tale scopo sarebbero venuti in giornata i camion tedeschi…27 La decisione fu presa perché ormai la battaglia si faceva sempre più prossima al monastero e diventava sempre più pericoloso sostare in esso. Infatti nel diario del giorno 4 gennaio di don Eusebio si legge: “ In un minuto sono passate almeno 25 palle sibilanti solo su Montecassino senza contare il resto del fronte.”28 La prima sequenza si svolge in interno, in una stanza del monastero. La luce è fioca ma diffusa. I personaggi in scena sono l’Abate, seduto, e quattro monaci ai suoi lati, in una disposizione che si vede spesso durante il film, come a voler proteggere il loro padre abate. Oltre la scrivania davanti a loro stanno in piedi due soldati tedeschi, che leggono le nuove regole: tutti i civili e i monaci devono lasciare il convento, la zona neutrale è caduta, ed è necessario inoltre vendere il bestiame (figura 6). Figura 6. Incontro fra i monaci e i militari tedeschi 27 28 E. Grossetti – M.Matronola, op. cit., p. 52 E. Grossetti – M.Matronola, op. cit., p. 52 178 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La cinepresa passa su un primo piano intenso dell’Abate, che protesta perché altri ufficiali superiori avevano garantito il 12 dicembre la protezione ai monaci rimasti a custodire il sepolcro di San Benedetto29. I due soldati, si scoprono essere un interprete e un ufficiale inferiore. La seconda sequenza è girata in esterno. Marco si avvicina a un muro e sente una voce che parla tedesco, la cinepresa si sposta verso il soldato che sta parlando: è inquadrato dal basso in primo piano, come per rendere l’idea della sua forza prevaricatrice, opposta alla ragazza che sta percuotendo, che tiene in braccio un agnello, da sempre considerato uno dei simboli della pace, quindi in una situazione come quella rappresentata diventa animale simbolico. Essa è ripresa dall’alto, trovandosi in una posizione di sottomissione rispetto al primo. L’alternanza dei primi piani sui due personaggi finisce quando Marco interviene per soccorrere la ragazza. Si azzuffa con il soldato e cadono per terra. I soldati tedeschi vengono quindi caratterizzati in senso negativo, sono crudeli con ogni genere di persone, anche le più deboli e indifese. Nella sequenza successiva inizia lo sgombero dei profughi, ordinato il giorno 5 gennaio dal comando tedesco. In questo momento quindi si può stabilire che la data è 6 o 7 gennaio, poiché in quei giorni sono avvenuti gli sgomberi e nel diario di don Eusebio si trova un valido motivo a questo atto compiuto in fretta e furia: “Pare che il fronte sia ormai vicino. Oggi molti intensi combattimenti e bombardamenti su Cervaro – Aquilone – Trocchio. La smania di evacuazione dimostra che i tedeschi hanno dovuto o devono cedere terreno.”30 Un camion è sulla sinistra e un militare tedesco fa salire la gente con i bagagli, poi si dirige verso un altro camion . Un automezzo parte, viene ripreso il suo interno con i 29 30 La notizia è confermata ancora dal diario di Grossetti – Matronola, p. 39 Sono località nelle vicinanze di Montecassino. In Grossetti – Matronola, op. cit., p. 57. 179 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. profughi seduti, tra di loro un uomo ben vestito viene inquadrato in primo piano. Normalmente quando ad un personaggio vengono dedicate inquadrature così dettagliate si sa che diventerà importante nell’economia della storia. La macchina da presa torna ad una finestra del monastero, dove viene scostata una tenda, segno che qualcuno è rimasto all’interno del convento. Infatti i monaci hanno ottenuto di poter rimanere a loro rischio e pericolo e con loro i malati dell’infermeria e tre famiglie di questi.31 In seguito si vede ancora la ragazza con l’agnello, che non è partita. Un autocarro è davanti al convento e parte, mentre la ragazza lo segue di corsa. Ora il paesaggio è quello di una strada alberata, percorsa da un camion. La visione passa all’interno e la cinepresa assume il punto di vista del conducente, che vede un posto di blocco di soldati e gli si avvicina. Sul retro i soldati fanno scendere a forza la gente, con la solita crudeltà che li contraddistingue, uomini e donne, mentre l’uomo elegante avvicina un Tedesco per mostrargli un foglio di un’organizzazione di cui fa parte, è un avvocato. Questo personaggio viene in questo modo caratterizzato in modo piuttosto negativo, con l’atteggiamento tipico di chi usa la sua posizione per ricevere un trattamento di favore, ma con i soldati tedeschi non funziona, perché sembrano odiare tutti indistintamente. Il militare seccato gli dice, nella sua lingua madre, che deve raggiungere i suoi “colleghi” e lo spinge insieme alle altre persone. La quarta sequenza torna ad occuparsi della ragazza con la pecora, in un’alternanza di storie di gente vera che mostra la guerra dal suo punto di vista, con le sue esperienze personali, perché la guerra non è solo costruita da grandi fatti, e Gemmiti pare averlo capito, cogliendo la lezione del Neorealismo. Viene inquadrato uno zaino per terra, passa la giovane e lo raccoglie, la cinepresa la precede fino a quando non si ferma per 31 E. Grossetti – M. Matronola, op. cit., p. 55. 180 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. leggere il nome del proprietario scritto su una targhetta, “Soldato Marco Silveri”. L’oggetto ritrovato spezza la tristezza di quei momenti, ridona nuova gioia al volto della giovane. Alle sue spalle arriva un monaco che la chiama Carmela e la avvisa che portano via la gente anche dall’infermeria. Quindi possiamo intuire che la ragazza faceva parte di quelle tre famiglie che erano rimaste insieme ai malati. La quinta sequenza si svolge all’interno dell’infermeria. I personaggi sono un soldato tedesco, due monaci, un uomo e un bambino. I due religiosi, tra cui Don Eusebio, restano fermi mentre il militare cammina tra i letti e incita i malati ad alzarsi, con estrema crudeltà, senza rispetto alcuno per la gente che sta soffrendo. Questi soldati tedeschi sono stereotipati e vengono rappresentati nello stesso modo in cui si vedono in tutti i film in cui compaiono: il passo deciso, la voce alta e lo sguardo freddo. Lascia subito dopo la stanza sul fondo, seguito da Don Eusebio. La sequenza successiva è preceduta da una dissolvenza che sta a indicare il trascorrere del tempo tra l’episodio precedente e l’arrivo di un nuovo personaggio - chiave all’infermeria. L’azione ha inizio in un grande interno semibuio, una porta aperta sul fondo fa entrare un po’ di luce. Arriva un militare che subito si presenta, trovandosi davanti a Don Eusebio: è il Capitano medico Richter, la seconda voce fuori campo ascoltata all’inizio del film. Don Eusebio gli fa strada, si avvicinano alla cinepresa e la sorpassano. L’inquadratura passa all’interno della camerata, un’infermiera è seduta sul letto e il fondo della stanza è chiuso da una parete di vetro spesso, oltre la quale si delineano le sagome dei due, che subito entrano, mentre la donna si alza di scatto.E’ interessante notare lo spostamento che fa la cinepresa tra esterno ed esterno della camerata e il modo in cui i due uomini vengono inquadrati davanti e dietro la vetrata, quasi un gioco di ombre cinesi. 181 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La musica diventa drammatica e concitata, come se stesse per succedere qualcosa di molto grave. I due passano tra i letti e si fermano vicino ad alcuni di essi (figura 7). Figura 7. Don Eusebio e il capitano medico Richter nella camerata “ La guerra, padre, non permette sentimentalismi” dice l’ufficiale tedesco, confermando da subito l’indole comune a questi militari. Una dissolvenza ( che indica ancora il salto temporale ) introduce la settima sequenza, con Don Eusebio e il Capitano Richter che passeggiano nei cortili, inquadrati in un lungo piano sequenza. I due iniziano a parlare della guerra, inutile per il primo, inevitabile per il secondo, e vengono a trovarsi sotto la statua di San Benedetto, dove si fermano. Ancora una volta la statua sovrasta i personaggi, ma mentre prima i profughi passavano lontani da essa, qui i due personaggi sono proprio sotto, come se la statua volesse proteggerli e illuminarli. Infatti in seguito si scoprirà che Richter è ben diverso dagli altri suoi connazionali. La cinepresa continua il suo percorso tra scalinate, cortili, porticati e giardini interni, in una sequenza di pura documentazione estetica del sacro edificio, mentre la voce di Don Eusebio, fuori campo, inizia una lunga battuta sull’inutilità della guerra: “Solo gli spiriti senza fede credono nella forza materiale. Il forte che vince rimane solo e intristisce, 182 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. vede tutto nemico intorno, e opprime. Non ricorda che uccidere un nemico è anche uccidere un uomo e che ogni scintilla è parte della vita del mondo e di ciascuno, così come ogni opera d’uomo è ricchezza di tutti. E anche chi distrugge paga poi per ricostruire, non vi è scelta.” E’ ancora presente nelle sue parole il tema della ricostruzione, che qui a Montecassino era cominciata già nel 1945 ad opera dello stato italiano. “ Sì padre, ma c’è chi a volte dimentica anche il comune destino e la fratellanza umana” risponde Richter, parlando di argomenti che difficilmente si sentono nelle parole di ufficiali nazisti. Si nota quindi che il personaggio, che all’inizio si è presentato con modi alquanto bruschi, ha di fondo un’indole positiva. L’ottava sequenza riporta la cinepresa fuori dal monastero. Un soldato è in piedi vicino a una scarpata, si dirige verso sinistra mentre la cinepresa si sposta a destra e in piano sequenza inquadra il paesaggio e altri soldati sulla scarpata, mentre sul fondo ci sono delle persone (prigionieri) che lavorano le pietre. L’immagine è nebbiosa, l’atmosfera rarefatta e quasi sospesa nel tempo. Ancora una volta i Tedeschi – oppressori sono collocati in una posizione di superiorità sia morale che materiale: sono sopra la rupe mentre i prigionieri sono sotto, e sono i “padroni” mentre i profughi italiani sono i servi – prigionieri (figura 8) . Figura 8. Soldati tedeschi sulla scarpata 183 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La cinepresa si sposta sul fondo del burrone e ci mostra che i personaggi al lavoro sono gli stessi portati via col camion dal monastero, in particolare Marco e l’avvocato, che in mezzo a tutti hanno un ruolo di rilievo. Il primissimo piano alternato dei due ci introduce al dialogo cruciale con il quale decidono di fuggire all’alba, tornando poi subito al lavoro. Con un'altra dissolvenza parte la nona sequenza : è l’alba e due persone sono inquadrate dall’alto mentre scappano, il punto di vista è quello dei soldati sulla scarpata. La voce off parla dell’annullamento del rapporto tra esseri umani a causa della guerra, proprio mentre la cinepresa inquadra i soldati dal basso che si affacciano al precipizio e iniziano a sparare: sono proprio loro i principali artefici di questo annullamento. L’atmosfera è buia e nebbiosa ed è interessante il continuo spostamento di punto di vista, tra quello dei soldati e quello dei fuggitivi, che mantiene alta la suspense e il ritmo concitato della scena. I fuggiaschi sono ora dietro a dei cespugli mentre in alto a destra, in lontananza, restano i tre soldati che sparano, nella ormai consueta posizione di superiorità. I due uomini iniziano a correre nella palude, e Marco viene colpito proprio mentre passa davanti alla macchina da presa. La musica è concitata. Marco cade e la cinepresa stacca sull’avvocato, che va avanti oltrepassando una barriera di piante e cespugli. La continua alternanza tra i due personaggi aumenta il ritmo della sequenza. I soldati scendono dalla collina, mentre altri soldati, radunati sotto un albero e ripresi solamente in controluce, quindi non riconoscibili, si mettono alla caccia dei fuggiaschi. La scena resta vuota e dominata solo dal grande albero al centro, che sembra evocare proprio la quercia simbolo del monastero di Montecassino con il motto “Succisa virescit”. 184 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Nel frattempo la cinepresa inquadra l’avvocato in piano americano, che è tornato a soccorrere Marco, che a sorpresa non è morto.Con un’azione del genere viene contraddetto quello che la voce narrante ha dichiarato poco fa, cioè che con la guerra viene meno il rapporto tra esseri umani. L’avvocato infatti rischia la vita per tornare indietro e salvare Marco. L’immagine è molto scura e la musica si interrompe. L’avvocato in primo piano esce dal buio e chiama qualcuno. Viene inquadrato in primissimo piano un uomo e poi un altro che lo riconoscono ( “Ma è l’avvocato!”), la camera li inquadra leggermente dal basso mentre l’avvocato chiede loro aiuto. Anche in questo caso i due uomini appena incontrati sono in posizione di superiorità rispetto all’avvocato, che ha bisogno di loro. Il ferito è ora nascosto dietro ad un muro, oltre il quale passano i Tedeschi. Uno si ferma ma nessuno lo vede, quindi procedono tra gli alberi inquadrati stavolta dall’alto, perché adesso è qualcun altro che li sta guardando per potersi muovere. All’interno della casa, dove i due fuggiaschi hanno trovato rifugio, la gente è molta, l’atmosfera è tesa, sono in arrivo i soldati, tutti corrono, si spegne l’unico fuoco che illuminava la stanza , escono dalla porta. Nella decima sequenza gli aerei alleati volano in cielo, a indicare una svolta nelle operazioni belliche. E’ proprio nell’intervallo che intercorre tra il 5 e il 22 gennaio, date che delimitano questa parte del film, che inizia la battaglia di Montecassino, e precisamente il 17 gennaio. In questa data le truppe inglesi del decimo Corpo d’Armata tentarono di oltrepassare il fiume Rapido, che nasce sui monti dell’Abruzzo, fiancheggia il costone di Montecassino da est, scende nella piana e confluisce nel Liri. Da questa confluenza prende il nome di Garigliano e l’attacco in questione avvenne proprio alla 185 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. sua foce.32 Purtroppo l’operazione non diede i risultati sperati: i Tedeschi ostacolarono in tutti i modi le truppe alleate, che durante questi primi giorni di battaglia ebbero una notevole perdita di vite umane.33Ma il film di Gemmiti non si sofferma sull’episodio della battaglia, continuando piuttosto ad interessarsi ai profughi e ai monaci che, in qualche modo, sono legati al monastero di Montecassino. La cinepresa inquadra una scena concitata che ha per protagonisti i militari tedeschi, che reagiscono alla vista degli aerei alleati in cielo. Un ragazzo italiano si nasconde sotto una scala, ma viene subito trovato da un militare.Tra i due c’è un breve ma significativo scambio di battute. Il soldato chiede al giovane: “Quanti anni hai?”, in italiano con accento tedesco, e il giovane gli risponde: “16”, al che l’altro gli fa notare: “ Io a 16 anni combattevo già, tu no.” E’ eloquente il fatto che i militari tedeschi cominciassero prestissimo a combattere, il regime toglieva loro anche la possibilità di essere ragazzi. Lo spinge avanti nella direzione in cui correvano gli altri, dopo aver visto due aerei. Su una collina con due alberi, gli spari si infrangono sul suolo. Due soldati si buttano a terra urlando, il ragazzo fa la stessa cosa ed è inquadrato più da vicino, si copre la testa con le braccia e si gira verso la cinepresa. Quella guerra che non era ancora arrivata a toccare materialmente i profughi dell’abbazia ora è presente, con il suo carico di paura e di violenza. La macchina da presa riprende poi un soldato semisdraiato che cerca di tenere a bada un cagnolino bianco; nel frattempo il ragazzo si alza e scappa in mezzo a degli alberi. Il cane, prende il bastone con la bocca, mentre il militare estrae una pistola e gliela punta: la violenza non risparmia nessun essere vivente. Il ragazzo continua ad arrampicarsi, si 32 F. Ficarra, op. cit., pp. 69 – 70. Le cifre sono riportate nel libro Maximum Risk del generale Marc Clark, comandante della Quinta Armata Americana. 33 186 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. sente uno sparo e inizia ad urlare poiché si accorge che il suo cane è stato ucciso, scivola ma continua a salire, mentre dall’alto è inquadrato il soldato che si alza e corre verso di lui con la pistola in mano. Il ragazzo continua ad arrampicarsi allontanandosi sempre di più, il punto di vista è quello del soldato che sta sotto di lui, che si arrampica a sua volta ed è visto con gli occhi del ragazzo che lo precede. Le bombe continuano a scoppiare nel campo vicino a loro, ma il giovane non si ferma e si nasconde dietro un masso dal quale può vedere più sotto il soldato che si avvicina. Ancora una volta è da notare l’alternanza di punti di vista tra i due personaggi della scena, che crea, grazie al montaggio veloce, un ritmo serrato e incalzante. Il giovane spinge la pietra dietro alla quale si sta riparando, questa rotola e uccide il militare sotto di lui. In preda alla disperazione urla forte per aver ucciso quell’uomo, perché l’umanità è rimasta in queste persone, nonostante tutto. La undicesima sequenza offre uno spaccato della guerra vera e propria, probabilmente un collage di scene tratte da filmati documentari. La prima inquadratura è per un lanciafiamme, subito dopo un soldato si prepara a sparare, si passa ad una postazione da mortaio e in seguito a dei soldati che scendono di corsa da una collina e ancora mortai nascosti dalla vegetazione. Alcuni soldati si arrampicano, vengono di nuovo ripresi dei mortai e poi dei carri armati che scendono dal colle. Altri soldati corrono, altri sparano, altri sono a terra. Di nuovo la cinepresa posa la vista sui mortai, una bomba esplode e altri mortai iniziano a sparare tutti assieme. Durante tutta questa sequenza il solo rumore che si sente è quello della battaglia, mortai che sparano e bombe che scoppiano, mentre il ritmo rapido delle immagini lascia solo il tempo di capire che la situazione si fa sempre più pericolosa e la guerra sempre più cruenta, e il tutto è confermato dalla voce off, che per la prima volta parla della battaglia di Cassino in modo specifico: “ Nella 187 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. valle di Cassino la guerra stava assumendo forme sempre più aspre e violente, erano senza dubbio le prime azioni che precedevano una grande offensiva. Quasi per miracolo fra le mura del monastero le creature umane sembravano ancora tali. I loro pensieri e le loro azioni erano ancora conformi alla vita normale”. Qui la cinepresa torna ad inquadrare il monastero di Montecassino (figura 9), prima da un aereo, poi da terra, da sotto il suo colle, dove si ha una visione completa dell’edificio. Figura 9. Monastero di Montecassino La dodicesima sequenza torna a svolgersi tra le mura dell’ abbazia. Una donna è seduta dietro ad una scrivania e si guarda in un piccolo specchio, la cinepresa inquadra la sua immagine riflessa. Carmela entra nella stanza , si toglie il foulard, viene inquadrato lo specchio e l’immagine della ragazza che si riflette, ma appena si vede tutto il viso l’altra donna gli ruba lo specchio. L’azione in sé è molto comune, ma in un contesto come questo è interessante vedere come le persone cerchino di continuare a mantenere una vita pressoché normale e un aspetto umano. Nella stanza entra una persona, se ne sente dapprima la voce, le due si girano verso la porta dalla quale vedono entrare il capitano Richter34 insieme a don Eusebio. I due si 34 Leggendo i diari di guerra dei monaci i questione non si hanno tracce di queste visite del capitano medico Richter – Becker. Il capitano Becker infatti ha avuto un ruolo importante nello sgombero del patrimonio artistico dell’abbazia, ma non in altre occasioni. Questo lato del capitano Richter quindi, così 188 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. trovano nell’anticamera dove già c’erano le donne, mentre la cinepresa li precede in una seconda stanza, nella quale entrano da una porta situata sul fondo. L’inquadratura questa volta mostra in campo totale l’intera camerata dell’infermeria, per poi iniziare con una serie di primi piani dei personaggi presenti. La cinepresa si sofferma sull’ufficiale a vicino al letto, che allunga la mano per offrire del cibo al piccolo malato, ma questo non accetta subito il dono. E’ evidente il sentimento di astio e diffidenza che animava questi profughi nei confronti dei soldati tedeschi. Si alternano i primi piani del ragazzo, del religioso e del militare, che si guardano a vicenda, poi il giovane abbassa lo sguardo verso il bambino, che finalmente accetta l’offerta dell’ufficiale. Don Eusebio allora dice al Capitano Richter la stessa battuta che questi a sua volta gli aveva detto: “La guerra non permette sentimentalismi, Capitano.”, ma anche l’ufficiale sembra aver cambiato idea, visto che sta portando del cibo ai malati. I due camminano tra i letti :“ E’ cominciata una grande offensiva, padre, e presto la guerra sarà qui”, “Qui?” risponde allarmato Don Eusebio, “No, qui no, a Cassino!” lo rassicura il Capitano Richter, che si china su un altro letto per dare del cibo al un'altra malata. La sequenza si chiude con una dissolvenza. IV parte : 22 gennaio 1944 Il 22 gennaio 1944 è il giorno dello sbarco di Anzio. Le truppe alleate combattevano ormai da tre mesi 35 sulla linea Gustav, ma le operazioni andavano a rilento e i risultati tardavano ad arrivare. Venne per questo motivo organizzato uno sbarco ad Anzio, che si affine e legato a don Eusebio, pare essere del tutto inventato, poiché neanche nel suo diario, dove annota qualsiasi visita compiuta al convento, se ne trova accenno. 35 Era il 9 ottobre 1943 quando raggiunsero il fiume Volturno 189 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. trovava a nord della Gustav e che, oltre a creare una testa di ponte in territorio tedesco, avrebbe distolto l’attenzione nemica da quel fronte, tenendo occupati uomini e mezzi. Purtroppo ci vollero ben 132 giorni per risolvere la situazione ad Anzio, che risultò un episodio del tutto anomalo nell’economia della campagna in Italia. Tornando al film, nella prima sequenza alcune persone si dirigono verso il monastero: esse sono convinte che alle sue soglie la guerra si sarebbe fermata. Dei bambini sono inquadrati mentre si staccano dal gruppo per salire su una piccola altura dalla quale si vede il monastero, che da lontano risulta una sorta di terra promessa per la popolazione “esiliata” dalla propria città. Montecassino, nella seconda sequenza, viene colpito al suo esterno da alcune bombe ed è qui ripreso in campo totale. Secondo il diario di Don Eusebio dovrebbe trattarsi del giorno 23 gennaio, quando alcune granate colpirono il monastero sia all’interno che all’esterno. La voce off commenta: “ La prima offensiva sul fronte di Cassino fu di tale violenza ed i colpi così numerosi che anche il monastero subì i primi danni”. Intanto nel cortile esplode un ordigno e i monaci sono indaffarati a preparare le loro cose per rifugiarsi nei sotterranei. Tutta la scena è commentata dalla voce fuori campo e accompagnata da una musica dal ritmo concitato. Viene inquadrato un porticato sotto il quale passano di spalle i monaci, ognuno con in mano qualcosa. Cambia l’inquadratura e si vede una porta in fondo al portico, i monaci entrano e nonappena l’ultimo ha varcato la soglia una bomba scoppia vicino all’uscio. Si comincia veramente a capire che anche quell’edificio sacro e gli uomini al suo interno sono in serio pericolo. Nella terza sequenza si torna a narrare la vita dei civili all’interno del monastero. Carmela e l’altra donna (Maria) sono in un interno, le due si girano al rumore dello 190 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. scoppio e subito dopo viene inquadrata una finestra che va in frantumi. Entrano nella stanza sia Marco che l’avvocato, insieme ad un uomo ferito. Nella stanza è presente anche Don Eusebio36. La quarta sequenza torna a mostrare le immagini della guerra in modo documentario.Si parte con le bombe che cadono sulla collina, i cannoni vengono inquadrati da diverse distanze e la cinepresa si muove ogni volta che sparano, poi altre bombe sul paesaggio, alberi in fiamme, e di nuovo i cannoni con le stesse immagini già viste, alberi in fiamme, bombe che scoppiano e l’immagine di Montecassino in una coltre di fumo. Queste sequenza documentarie diventano sempre più frequenti, proprio per significare che la guerra stava diventando sempre più violenta e sempre più vicina a Montecassino. Il susseguirsi a breve distanza di queste scene crea la tensione che si scioglierà nel successivo bombardamento dell’edificio. “ Il 23 gennaio si seppe dello sbarco ad Anzio37, la guerra si chiuse ancora di più attorno a queste mura, Montecassino è la terra di nessuno. Non più gendarmi o guardie dal monastero, ma un ordine, che nessuno all’infuori dei monaci vi si potesse rifugiare – la cinepresa è fissa sul portone chiuso del convento - , ma la porta si apriva sempre, per la continua opera di assistenza alle spaurite creature che vivevano nelle grotte lì intorno”. La porta si apre, escono quattro monaci, di cui il primo è Don Eusebio e ultimi due portano in mano grosse ceste di vimini. Il portone dell’abbazia è un elemento essenziale dell’edificio dal punto di vista simbolico, in quanto rappresenta l’entrata dei rifugiati verso la speranza di sopravvivenza, e reca inoltre l’iscrizione latina PAX (pace). Oltre a questo bisogna ricordare che questo portone fu uno dei pochi elementi rimasti in piedi dopo il bombardamento. 36 All’epoca dei fatti Don Eusebio era già gravemente malato. Nessuno si aspettava questo sbarco, né le truppe tedesche né gli abitanti della zona, che videro semplicemente la spiaggia di Anzio riempirsi di natanti Angloamericani. In Liddle Hart, op. cit., p. 739. 37 191 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Nella quinta sequenza è inquadrato l’esterno di una grotta, sulla cui soglia si notano due figure: sono una donna con suo figlio. La madre si gira dapprima verso la cinepresa e poi verso il figlio, che le dice : “Mamma, quando ci andiamo dentro?”, la mamma di spalle gli risponde: “E chi lo sa?”. In questa scena i profughi sono rappresentati alla stregua di animali feriti, che escono dal loro rifugio solo per procurarsi il cibo necessario alla sopravvivenza. Sono tornati ad uno stile di vita primitivo, con le grotte come uniche case. Molte persone iniziano ad uscire dalla caverna mentre la madre resta seduta al suo posto, la cinepresa riprende la scena in lontananza, poi si avvicina e inquadra delle persone che passano tra gli alberi e altre tra le rocce. Alle loro spalle si trova uno spiazzo tra gli alberi dove i profughi hanno già raggiunto i monaci. La cinepresa continua a seguire queste persone in piano sequenza. Si parte con un primo piano dei monaci che distribuiscono del pane per passare poi ad una donna, sempre in primo piano: è da notare la differenza delle espressioni tra quella serena e rassicurante dei monaci e quella diffidente e piena d’astio della donna e di altri personaggi in seguito.Essa racchiude nelle sue parole un pensiero, già trovato nel corso del film, molto diffuso fra la gente: “ Loro se ne stanno al sicuro e noi qui ci pigliamo le granate”, rivolta ai monaci, mentre un altro uomo, che entra in scena di spalle, dice: “Nel monastero sai quanti sotterranei sicuri ci saranno!”. Don Eusebio sente quelle parole e mostra il suo viso attonito in primissimo piano, poi china il capo e si volta per allontanarsi; è ancora l’espressività dei volti che domina la scena. L’atmosfera è soleggiata, il cielo è pulito e si crea un specie di contrasto tra la bellezza del paesaggio e la condizione della popolazione. Il religioso incontra un bambino (figura 10), il primo visto nella grotta con sua madre, gli da un pezzo di pane, ma questo gli dice: “Abbiamo 192 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. paura qua”, Don Eusebio lo accarezza sulla testa per rassicurarlo e fargli coraggio, e se ne va di spalle con un altro monaco. Figura 10. Don Eusebio dona un pezzo di pane ad un bambino La sesta sequenza parte dalla dissolvenza di quella precedente che con un salto spaziotemporale mostra i monaci già nel cortile dell’abbazia mentre tornano e, passando sotto ad un porticato, Don Eusebio e un altro religioso parlano tra loro, e dal dialogo si capisce che il primo non sta bene, ma non accetta il fatto che la gente debba rimanere fuori dal monastero e continua a fare di tutto per aiutare quegli sventurati. La scena termina con una dissolvenza. Consultando i diari dei monaci si può dedurre che questo episodio dev ’ essere avvenuto prima del 27 gennaio, giorno in cui Don Eusebio Grossetti iniziò la sua permanenza a letto fino alla morte, avvenuta il giorno 13 febbraio.38 La settima sequenza mostra la malattia di Don Eusebio, inquadrato nel suo letto. Apre gli occhi, ruota il capo e la visuale si allarga all’Abate (figura 11), che è seduto al suo capezzale.39 Fra i due inizia un dialogo e i primi piani si alternano. Don Eusebio chiede 38 Grossetti – Matronola, op. cit., p.70. Secondo il diario di Don Eusebio Grossetti la sua malattia si mostra in modo più grave dal 29 gennaio, data nella quale la scrittura del documento passa nelle mani di Don Martino Matronola, in Grossetti – Matronola, op. cit., p. 71. 39 193 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. all’Abate se non si possono fare entrare i civili, ma questi dice che “ l’ordine dei tedeschi è di non fare entrare nessuno”. Il campo si allarga e la cinepresa mostra Don Eusebio coricato e l’Abate vicino a lui, circondato da tre monaci, uno dei quali precisa che quello che si rischia è un nuovo sgombero o una deportazione, mentre l’Abate Diamare conferma che la guerra minaccia ormai le mura del monastero. L’atmosfera malinconica della sequenza è accresciuta dalla luce soffusa, che illumina dolcemente le figure e da una musica particolarmente drammatica. Figura 11. L'Abate Diamare al capezzale di don Eusebio Nell’ottava sequenza tornano le immagini della guerra vera e propria. Una collina è sotto il bombardamento, una fila di carri armati percorrono una strada, viene inquadrato un carro armato alleato che si appresta a sparare, vari cannoni in diverse posizioni fanno partire i colpi su tutti i lati, il cielo in lontananza si popola di aerei, un altro cannone inizia a far fuoco, di nuovo gli aerei e dall’alto si inquadrano le scie dei proiettili che vengono esplosi verso terra. Vengono qui per la prima volta inquadrati due cadaveri, dopo di che si passa ad una strada ripresa dall’alto, dal punto di vista degli aerei, dai quali vengono sganciate le bombe che cadono sulla pianura sottostante. Poi ancora dei cannoni e la pianura in fumo dopo l’esplosione degli ordigni, si sente solo il loro 194 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. rumore, il fischio dei proiettili e il rombo dei bombardieri ( la sequenza è poi ripetuta altre due volte con le stesse immagini). Nei giorni che interessano questa parte del film si stava ancora combattendo la prima battaglia di Montecassino. La 3^ Divisione algerina del comandante Juin conquista il monte Belvedere per arrivare al monte Cairo, mentre gli americani, dopo un altro tentativo fallito di creare una testa di ponte oltre il Rapido, vi riuscirono, occupando il villaggio di Caira.40 Come nei casi precedenti, anche qui le immagini della guerra sono immagini di repertorio, non c’è nessun riferimento specifico alle battaglie che si stanno combattendo. Solo la voce narrante riesce a collocare delle immagini così generiche in momenti così precisi, ma non ci sono elementi che facciano capire che quegli spezzoni siano davvero stati girati a Cassino. Per di più è da considerare che il film in questione è del 1946, quindi probabilmente i filmati originali di quei fatti non erano ancora in circolazione. Ma nonostante il dubbio che possano non essere riprese di Cassino, resta comunque il fatto che il primo interesse del regista non è quello di rappresentare la battaglia passo passo, ma far rivivere il dramma del monastero. Quindi ogni immagine di guerra è efficace, anche perché sono caratterizzate da una certa somiglianza e senza elementi veramente caratterizzanti è difficile capire a quale battaglia si riferiscano. Dai filmati d’epoca consultati potrebbero anche essere riferiti alla battaglia specifica, ma sono troppo generali per averne la certezza. Il fatto che per la prima volta vengano mostrati corpi senza vita significa che ormai il conflitto aveva raggiunto proporzioni e violenza incredibili. 40 F. Majdalany, op. cit., p.85. 195 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Si presentano ancora gli alberi in fiamme, l’atmosfera fumosa, mentre la voce fuori campo spiega la situazione : “ Giù nella valle si combatteva con ferocia senza pari, ogni mezzo era messo in azione per distruggere, uccidere, annientare. Sotto il tiro delle artiglierie che cercavano di annullarsi a vicenda, i profughi erano ridotti al limite estremo della resistenza umana e un giorno un gruppo di donne si presentò alla porta del monastero”.41 Quest’ultima immagine introduce già la quinta parte del film. V parte : 5 febbraio 1944 La prima sequenza è ripresa fuori dal portone del monastero, l’aria è piena di fumo e un gruppo di donne corrono verso l’ingresso, di spalle, urlano e bussano per farsi aprire. Intanto una ordigno esplosivo cade vicino al monastero. La cinepresa torna sulle donne, inquadrate solo dalle spalle, mentre continuano a bussare (figura 12). Il portone si apre e spunta un monaco. Ancora la volta il portone assume un compito essenziale, dare la salvezza. Figura 12. Le donne bussano al convento La cinepresa inquadra la collina sotto al monastero con una lunga fila di persone in controluce che vi si dirigono per trovare protezione, mentre dietro di loro due bombe 41 Grossetti – Matronola , op. cit., p. 78. 196 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. sono esplose e il fumo persiste (figura 13). La scena è tranquilla, sia il vociare delle persone che gli spari sono in lontananza, al contrario della situazione reale, dove le bombe ormai arrivavano ovunque, fin dentro il monastero, non lasciando un attimo di pace. Ma questo silenzio potrebbe essere letto in senso simbolico dal punto di vista dei profughi, che vedono il monastero come una sorta di rifugio privilegiato e intoccabile e non odono nessuna guerra nei suoi pressi. Figura 13. I civili risalgono verso il monastero Questa volta il padre Abate, secondo don Martino, è stato ben felice di accoglierli, anche se tra di loro si nascondevano certamente “persone di dubbia fama e saccheggiatori”42, e anche se purtroppo c’era ormai la consapevolezza che il monastero non era più un luogo sicuro. In quei giorni la battaglia si stava facendo sempre più prossima al monastero, per questo anche quei civili rifugiati nelle grotte chiesero asilo ai monaci, che in quel giorno videro anche un altro episodio particolare succedere vicino alle mura dell’edificio: per la prima 42 Grossetti – Matronola, op. cit., p.78. 197 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. volta una pattuglia di soldati americani43 arrivò lì vicino e prese prigionieri dei militari tedeschi, ma fu poi costretta ad allontanarsi sotto i colpi della difesa tedesca.44 Viene inquadrato il portone, la gente entra di corsa, mentre altri salgono lungo il sentiero del colle. Si passa all’interno del monastero, dove i profughi continuano a correre. Ora la scena si sposta sulla gradinata davanti alla Basilica, dove otto monaci stanno scendendo: l’Abate è l’unico ben in luce e il più avanti come posizione, perché rappresenta la più alta autorità del convento, qui evidenziata anche in senso simbolico. Ma anche gli altri, scendendo, entrano in luce. Attraverso un loggiato i profughi raggiungono il chiostro alla base di questa gradinata e, oltrepassando la statua di Santa Scolastica, salgono e di nuovo vengono inquadrati dal basso i monaci a figura intera. Se pensiamo al tipo di inquadrature che durante tutto il film ha girato il regista, anche in questo caso i monaci sono ripresi dal basso verso l’alto perché si trovano in posizione di superiorità rispetto ai profughi, che sono lì per chiedere il loro aiuto. La gente si assiepa attorno a loro, la cinepresa inquadra da lontano tutti i civili che salgono, poi si allontana ulteriormente lasciando sempre meno spazio ai monaci, che vengono relegati in un angolo a sinistra in alto dello schermo, quasi schiacciati e sopraffatti dal numero di civili arrivati: da questa inquadratura così significativa si può capire da subito che per i religiosi sarà un’impresa assai ardua aiutare tutti quei profughi. All’esterno del monastero cade una bomba e all’interno la gente comincia a correre e libera la scalinata. 43 Scambiati dai monaci per soldati italiani a causa dell’elmetto simile che portavano, in Grossetti – Matronola, op. cit., p.77. 44 F. Ficarra, op. cit., p. 82. 198 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La seconda sequenza è ambientata in interni. La cinepresa è posizionata davanti ad una porta e le persone che corrono dentro la stanza vengono inquadrate di spalle, mentre un monaco a sinistra dà loro indicazioni su dove dirigersi. Attraverso un arco si vede un corridoio e la situazione è la stessa, i profughi lo percorrono velocemente per trovare riparo. Sul lato opposto all’arco c’è una grande finestra che fa entrare molta luce, alcune persone si introducono nella stanza attraverso l’arco. La macchina da presa inquadra infine una grande ambiente con il soffitto a volte, molto buio, dove i profughi si sistemano per terra. Si tratta sicuramente dei sotterranei, dove sia i civili che i monaci hanno trovato rifugio in quel periodo45, e, precisamente, della falegnameria, sotto alla biblioteca, della portineria, della posta e del corridoio della curia.46 La terza sequenza si svolge di notte, si sente una musica di sottofondo, sicuramente extradiegetica, e la cinepresa inquadra diversi particolari del monastero. All’interno della camerata è buio, una luce fioca sulla destra fa intravedere una figura umana sul fondo, mentre in primo piano si accende una candela che illumina tre persone coricate per terra, una donna e due uomini, uno dei quali ha acceso la candela. Il film ritorna sulle vicende della gente comune quelle che fin qui hanno interessato di più il regista, insieme a quelle dei monaci, trascurando invece le ricostruzioni belliche vere e proprie. Uno di questi uomini comincia una breve conversazione con gli altri, dicendo che i carri armati stanno sparando proprio davanti all’abbazia, mentre il secondo sostiene che i carri si trovano davanti al monastero ma stanno sparando in un’altra direzione. La realtà 45 Secondo il diario di Don Martino Matronola le persone che hanno trovato rifugio quel giorno tra le mura del monastero erano almeno 800, e altre 200 circa si erano riparate nella conigliera, in Grossetti – Matronola, op. cit., p.78. 46 Grossetti – Matronola, op. cit., p. 78. 199 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. storica è che i carri armati tedeschi si trovavano davvero sotto le mura del monastero e da lì attaccavano gli Alleati che si trovavano invece più in basso.47 In seguito vengono inquadrate in primo piano una donna con la sua bambina, solo i loro visi sono in luce, rischiarati dalla candela. La bambina chiede cosa siano i carri armati e la mamma le risponde che sono dei mostri. Questa breve scena è di gusto prettamente espressionista, sia per la luce livida che illumina drammaticamente i visi delle due, sia per la battuta che viene detta, dove i carri armati vengono accostati a delle creature mostruose che uccidono le persone innocenti. Una breve inquadratura è poi dedicata ai carri armati che sparano nel buio. Inizia la narrazione della voce fuori campo: “Dopo un breve periodo di innaturale calma le notti si erano riempite di incubi per i poveri rifugiati. Favoriti dal buio, i carri armati germanici salivano fin sotto le mura del monastero e, spostandosi rapidamente tra colpo e colpo, davano agli Alleati l’impressione che la montagna fosse difesa da innumerevoli batterie, protette dalle sacre mura del monastero.” La scena si è spostata ancora all’interno dell’enorme sala di rifugio dei profughi e il sottofondo è sempre musicale extradiegetica. La musica accresce proprio la drammaticità del fatto. La gente è seduta per terra, viene inquadrato un gruppo familiare come una sorta di sacra famiglia rinascimentale e carica di simbologia, con il padre in piedi, la madre seduta e il bambino in braccio, messi in relazione da un preoccupato gioco di sguardi, e quando tutti e due guardano il piccolo, questo viene inquadrato in primo piano, ma solo il viso è illuminato. Una sorta di Gesù bambino che avrà la sua fine segnata a breve distanza di tempo. 47 F. Majdalany, op. cit., p. 87. 200 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Vengono poi ripresi due uomini che parlano, a loro si aggiunge un terzo che commenta: “ Dall’altra parte crederanno che qui ci sia un sacco di cannoni”.La quarta sequenza si apre con una scena di battaglia: nel buio si vedono i bagliori degli ordigni esplosivi, i cannoni sparano in penombra, si sente solo il loro rumore, altre bombe esplodono sulla collina, una raggiunge il muro del monastero. Segue un’altra immagine di cannoni, un nuovo ordigno cade vicino al monastero. Si passa all’interno dell’abbazia, dove la deflagrazione della bomba spalanca una finestra nella stanza da letto dove si trova un malato, coricato sotto un grande crocifisso, e altre due persone.La guerra ormai è pienamente arrivata al monastero. La persona più a sinistra in piedi, un monaco, sobbalza per l’esplosione, arriva un bambino e subito richiudono la finestra. La cinepresa inquadra la persona a letto: è Don Eusebio, vicino a lui è seduto il Capitano medico Richter (figura 14). Nella realtà dei fatti un ufficiale medico tedesco arriva al monastero due giorni dopo la data indicata nel film per occuparsi dei malati, è un Tenente medico che si occupa del posto della Croce Rossa di S. Agata per i militari tedeschi, ma non se ne conosce il nome.48 Figura 14. Don Eusebio e il capitano medico Richter 48 Grossetti – Matronola, op. cit, p. 80. 201 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. L’ufficiale lo informa che “tra le macerie di Cassino si combatte ancora casa per casa”49. I due iniziano a dialogare. Richter (figura 15) dice non hanno mezzi per aiutare la gente che muore, mentre la constatazione del religioso è che un medico è in fondo simile a un monaco, non deve coltivare odio o desiderio di vendetta, e il Capitano è d’accordo con tutto questo. Subito dopo Don Eusebio (figura 16) lascia cadere la testa a destra e un altro monaco corre vicino al suo letto. Don Eusebio ricomincia a parlare, dicendo che i carri armati tedeschi sono pericolosi perché salgono di notte fin sotto le mura, ma il Capitano, il cui primo piano è alternato a quello del monaco, dice che questo non è possibile. Nega quindi quella che sappiamo essere la verità, perché già dichiarata dalla voce off e mostrata dalle telecamere. La sequenza si chiude con Richter che si gira e se ne va, lasciando lo spazio ad una ennesima dissolvenza. Figura 15. Il capitano medico Richter Figura 16. Don Eusebio a letto 49 Gli alleati arrivarono nella città di Cassino solo nei primi giorni di febbraio, ma la lotta fu estremamente dura e tenne impegnati i vari schieramenti fino a maggio. Quando il capitano dice che a Cassino si combatteva casa per casa si riferisce al fatto che i pesanti bombardamenti sulla zona, già resa difficoltosa dal persistente maltempo, avevano reso impossibile l’utilizzo, per gli alleati, dei mezzi corazzati, a causa dei crateri formatisi nel suolo e delle macerie che impedivano qualsiasi tipo di passaggio. Era in questi anfratti che si rintanavano i paracadutisti tedeschi, che portarono la lotta su un livello di corpo a corpo, per conquistare la zona metro dopo metro. In F. Majdalany, op. cit., pp. 89 – 93. 202 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Nella quinta sequenza si vedono e sentono nuove esplosioni, mentre una macchina si ferma davanti al portone del convento e, circondato dal fumo, il Capitano sale, sparendo inghiottito da esso. L’immagine è resa particolarmente inquietante da questa coltre di fumo che cela buona parte dell’inquadratura e il presagio che qualcosa stia per succedere si fa sempre più vivo. Dopo una dissolvenza che ci fa intuire il passare del tempo, l’automobile è inquadrata mentre percorre una strada tra le bombe, poi si ferma e l’ufficiale scende (figura 17). Un cannone spara e la macchina, colpita, esplode. Un uomo in primo piano viene sbalzato dallo scoppio, ma l’atmosfera è fumosa e non si riconosce l’identità. Un albero viene inquadrato mentre cade, nello stesso momento l’uomo casca per terra e il primo piano rivela che si tratta del Capitano Richter. L’albero si schianta sul suo viso e rimane in primo piano. La suspense è mantenuta fino alla fine, sia grazie alla nebbia che grazie all’inquadratura che non mostra mai, fino all’ultimo, il personaggio in questione. L’episodio, essendo il personaggio del Capitano Richter inesistente, risulta inventato. Figura 17. L'automobile del capitano Richter 203 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Una dissolvenza ci introduce nella sesta sequenza, dove la cinepresa torna ad occuparsi della situazione all’interno del monastero, sono ancora i profughi a fare da protagonisti alla vicenda. Si sentono degli spari. Due uomini stanno parlando tra di loro e il primo dice di aver ucciso della gente sul Carso50, l’inquadratura passa in primissimo piano sul viso di suo figlio ( il ragazzo a cui i tedeschi hanno ucciso il cane), che gli chiede se ne ha uccisi tanti; si alternano poi i primi piani dei due, con il padre che dice al giovane che non ha provato alcun fastidio a togliere loro la vita. Il figlio abbassa la testa: anche lui ha ucciso un soldato tedesco, ma la reazione non è stata sicuramente fredda e distaccata ( III parte, X sequenza ). VI parte : 13 febbraio 1944 Nella prima sequenza una voce recita una preghiera, la scena è illuminata da una luce di ispirazione espressionista: una scala sulla destra è rischiarata da una porta che riflette il suo chiarore sul muro, un’ombra entra nel rettangolo illuminato, poi una persona accede a sinistra. La visione è drammatica e inquietante e la preghiera fa supporre da subito che sia successo qualcosa. La voce off avvisa che il monastero è stato colpito da un’epidemia di tifo e anche la sua stessa condizione si è aggravata51. L’inquadratura ora si sposta su Don Eusebio, coricato a letto, mentre i monaci e l’Abate recitano le preghiere (figura 18). 50 51 Probabilmente si riferisce alla prima guerra mondiale. Notizia confermata da Grossetti – Matronola, op. cit., p.87. 204 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 18. I monaci pregano per don Eusebio Dalle scale scende il solito ragazzo del cane, che si preoccupa per lui. La cinepresa si avvicina al letto: in scena sono rimasti Don Eusebio, l’Abate e due monaci che si preparano per l’eucaristia (figura 19). La dissolvenza che segue non cambia la situazione, la macchina da presa resta ferma su Don Eusebio in primissimo piano, che si volta a sinistra e guarda il ragazzo. Don Eusebio inizia a parlare e dice che il monastero è in rifugio di anime e prima o poi la gente ci tornerà in pellegrinaggio. In primo piano l’Abate si toglie gli occhiali, il ragazzo, sempre in primo piano dietro alla balaustra, inizia a piangere (figura 20): Don Eusebio è morto, la scena è avvolta dal buio completo. Figura 19. L'abate e i monaci con don Eusebio 205 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 20. Il ragazzo piange per don Eusebio La seconda sequenza inizia con degli spari che illuminano appena con il loro bagliore la notte. Questi sono i giorni che precedono il bombardamento. Le operazioni belliche si sono notevolmente placate. Il 13 febbraio un violento temporale colpì la zona, ma gli esperti garantirono il giorno dopo che il tempo si sarebbe mantenuto bello per almeno 24 ore. Fu così fissato il momento del bombardamento, che richiedeva cielo sereno, alla mattina del 15 febbraio.52 Anche all’interno del monastero è buio, una stanza è illuminata solo da poche candele, Marco prepara lo zaino per partire. Entra Carmela dal fondo e si avvicina all’uomo. I due si trovano faccia a faccia, e la ragazza cerca di convincerlo a non partire o, al limite, a portarla con sé; dopo il secco rifiuto dell’uomo, Carmela si gira verso la cinepresa, ma senza guardarla. Marco rivolge lo sguardo invece alla ragazza e le dice: “la vita è fatta per viverla, non per morire, Dio l’ha fatta così…Maledetta guerra! Se prima o poi il mondo sarà diverso, potrebbe anche essere bello.” Marco si alza e se ne va, la cinepresa rimane fissa, in scena resta Carmela, il suo viso è triste come triste è la musica di sottofondo. Sequenza di questo tipo servono a mantenere vivo l’interesse verso le 52 F. Majdalany, op. cit., p.130. 206 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. piccole storie dei personaggi principali, che nonostante la guerra riescono ancora ad avere il coraggio di provare dei sentimenti. La terza sequenza si svolge all’esterno del monastero. E’ inquadrato il muro con il portone d’ingresso, la scia dei proiettili si taglia nell’oscurità da sinistra a destra, mentre un altro mortaio è inquadrato, sempre al buio, nell’atto di sparare. Marco è accucciato, si sposta e quando sente gli spari si butta a terra ; immediatamente la cinepresa riprende l’arma che sta sparando.53 Marco striscia nell’erba in uno spazio leggermente illuminato, ma restando comunque controluce. La musica crea suspense. Raggiunge la tenebra. Carmela corre fuori dal Monastero e va verso la cinepresa, si ferma, guarda giù dalla collina. La macchina da presa inquadra ora la vegetazione, dove Marco è nascosto e invisibile agli occhi della ragazza. E’ molto buio e la musica ha un ritmo concitato. Mentre Carmela, fuori scena, grida il nome di Marco, questo è inquadrato in piano americano e, udendo la voce, si ferma e si volta. Carmela corre verso di lui, un mortaio fa fuoco, la ragazza sobbalza e poi cade a terra. Il mortaio spara ancora e, nell’inquadratura successiva, Marco è già vicino a Carmela, coricata per terra. La serie di inquadrature appena descritta ha un ritmo serrato e veloce, indispensabile per rendere la drammaticità del momento e il susseguirsi rapido degli eventi. Viene illuminato il viso di lei, Marco la solleva ed escono di scena. La deposita a terra in silenzio e la mano della ragazza si muove sulla spalla di lui, è ancora viva e facendosi forza si solleva. La cinepresa inquadra i due in primo piano mentre si abbracciano e la ragazza pronuncia ancora il nome di Marco. La giovane che chiede all’uomo: “Marco, hai visto morire molta gente?”, Marco ha tra le braccia Carmela, la sua testa resta di spalle. Il capo si rovescia, cambia l’angolo di visuale e la cinepresa li inquadra di 53 Immagine documentaria. 207 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. profilo. Carmela è morta e Marco alza gli occhi al cielo. La sequenza si chiude con una dissolvenza. Le battute che riguardano la morte sono sempre più frequenti, come auspicabile in un momento così drammatico, in cui la morte è sempre più vicina ai civili e ai monaci del monastero. In esse si parla sia della morte provocata che della morte subita e diventa uno dei punti fissi delle conversazioni tra gli uomini, insieme alle supposizioni sulle operazioni belliche. Chiaramente nei diari dei monaci non si parla nello specifico di questi personaggi, ma essi si fanno emblemi e rappresentanti di tutte le persone che si sono trovate a combattere con la morte a Montecassino. VII parte : 14 febbraio 1944 Nella prima sequenza la cinepresa inquadra il cielo, popolato di aerei, si sente solo il loro rumore. D’un tratto il cielo comincia a riempirsi di volantini sganciati dall’alto, piovono ovunque sul colle e uno viene inquadrato in particolare su una grossa pietra ancora fumante (figura 21). Figura 21. Un volantino caduto su una pietra Il 14 febbraio, infatti, gli Alleati cercarono di avvisare i nemici e i residenti nel monastero, che avrebbero bombardato l’edificio, ma non furono creduti. Contro la 208 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. popolazione preoccupata si schierarono i militari tedeschi, che ritenevano quel messaggio un semplice bluff. Invece i comandanti alleati, primi fra tutti Freyberg, responsabile del Corpo di spedizione neozelandese, Tucker, della IV Divisione indiana, e Alexander, capo delle truppe inglesi54, decisero seriamente di attaccare l’abbazia, commettendo innumerevoli errori di valutazione, primo fra tutti il fatto che al suo interno non si trovavano soldati tedeschi.55 Dopo una dissolvenza ritroviamo il volantino, ma questa volta in primo piano, nelle mani di un uomo che lo sta leggendo (figura 22): “Amici Italiani, finora abbiamo cercato di evitare il bombardamento di Montecassino, ma i Tedeschi hanno saputo trarne vantaggio. Ora la battaglia si è ancora più stretta intorno al sacro recinto; noi, a malincuore, siamo costretti a puntare le nostre armi contro lo stesso monastero. Abbandonate subito il monastero; il nostro avviso è urgente ed è dato per il vostro bene. 56 LA V ARMATA” . Durante la lettura del volantino viene inquadrato l’avvocato che lo sta leggendo, la cinepresa è fissa su di lui, dopo inizia ad allontanarsi, pur non cambiando inquadratura, e mostra tutta la gente riunita attorno all’uomo. La fine del comunicato57 coincide con una nuova dissolvenza. 54 F. Majdalany, op. cit., pp. 119 – 127. Alle 21.30 del 12 febbraio il tenente generale John Harding, capo di stato maggiore di Alexander, riferì per telefono la decisione del suo stato maggiore: “Il generale Alexander ha deciso che il monastero debba essere bombardato se il generale Freyberg ritiene che sia una necessità militare. Si rammarica che il monastero venga distrutto, ma ha fiducia nel giudizio del generale Freyberg. Se vi sono ragionevoli probabilità che l’edificio venga usato a scopi militari, il generale ritiene che la sua distruzione sia giustificata.”Non servivano più le prove, bastavano ragionevoli probabilità, secondo il giudizio di Freyberg. In F. Ficarra, op. cit., pp. 96 –97. 56 L’apparato iconografico di Grossetti – Matronola contiene anche la fotografia di uno di questi volantini. Il testo è qui leggermente modificato, ma non in modo sostanziale. La copia del documento originale è riportata in appendice. 57 Nel diario Grossetti – Matronola, questa è la reazione dei monaci: “Il nostro cuore è pieno di sgomento nel leggere tale volantino lanciato dai … Liberators. Anch’essi hanno gettato giù la maschera.”, p. 88. 55 209 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 22. Il volantino nelle mani dell'avvocato La seconda sequenza è ambientata all’esterno del monastero, sul colle. Si sente una voce fuori scena: “ Die Italiener von Kloster” (trad. gli Italiani del monastero), e spunta la canna di una mitragliatrice. Alcune persone scendono dal colle, il primo della fila è l’avvocato, che porta in mano una bandiera bianca, simbolo di tregua e della volontà di dialogare con l’oppressore. Sullo sfondo, ma più in alto rispetto a loro, il monastero li sovrasta, quasi li domina, con le sue mura che sono già pesantemente danneggiate. Una voce tedesca li ferma, l’avvocato alza le braccia e passa la bandiera bianca all’uomo che sta dietro di lui. L’avvocato cammina in avanti con le braccia alzate: “Parlare, zu sprechen”, ma la richiesta non è stata accolta ed un’altra mitragliatrice è inquadrata in dettaglio nell’atto di sparare, anche se non si vede chi la sta usando. L’avvocato è riuscito a ripararsi e subito spunta la sua testa da un cespuglio. Anche gli uomini che erano con lui sono salvi, al riparo coricati per terra, il terreno è ancora fumoso a causa delle munizioni esplose. E’ uno di questi uomini ora a prendere la parola: “Non sparate, parlare Kommandatur, importante!”. Ma da parte tedesca c’è un netto rifiuto: un’altra volta la minaccia è rappresentata dal particolare della canna del fucile, pronta a ucciderli, se necessario. Ma il soldato che lo imbraccia risponde: “Nicht parlare, kaputt”. La cinepresa torna sull’avvocato, che abbassa gli occhi e fa per girarsi, più in 210 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. alto, sulla collina, si trovano gli altri uomini. I tre si alzano, lasciano per terra la bandiera bianca e poi se ne vanno: la tregua ormai è irraggiungibile e la bandiera può essere abbandonata, e con lei tutte le speranze. La voce fuori campo commenta l’accaduto: “La bandiera bianca, simbolo di tregua, ormai era inutile, e Cassino era stretta in un cerchio di fuoco. La strategia militare imponeva che la tragedia dei civili avesse un epilogo sensazionale e di grande rilevanza.”, nel frattempo sono inquadrati i tre uomini che scappano, alternati ad una mitragliatrice che fa fuoco. La sequenza termina con una dissolvenza. La seconda sequenza è ambientata fuori dalle mura del monastero, dall’interno, attraverso le numerose finestre, arrivano le voci dei profughi, che cercano di fare capire ai soldati lì fuori di leggere i manifestini, non vogliono morire lì dentro e soprattutto vogliono poter parlare con il comando.58 Le spesse mura del monastero sembrano in questa immagine quelle di una prigione, ed in effetti i profughi erano entrati per salvarsi la vita, ma ora non possono più uscire, pena l’uccisione da parte dei tedeschi. Il militare inquadrato al buio si alza, guarda verso le finestre e dice che l’ufficiale è stato avvertito, arriverà il giorno successivo, solo allora il monaco che parla tedesco potrà uscire. I profughi chiedono di poter uscire tutti, c’è pericolo di bombardamento, ma il Tedesco : “ Domani, nicht uscire, senò sparare.” 58 A proposito del manifestino, ci fu chi mise in giro la voce che i monaci erano d’accordo con i Tedeschi e attraverso quel finto volantino alleato volevano disfarsi della presenza dei profughi nell’abbazia.( In Grossetti – Matronola, op. cit., p. 90.) Chiaramente non era vero. Ma è vero invece che i civili di Montecassino, incapaci di resistere all’ansia che li assaliva, urlarono di rabbia per tutta la notte verso le postazioni tedesche, che erano a portata d’orecchio. Ma i soldati non risposero. In F. Majdalany, op. cit., p.132. 211 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. VIII parte : 15 febbraio 194459 La prima sequenza si apre con un’immagine di Montecassino all’alba quando dalla notte si entra nel giorno e la luce sul monastero diventa più forte. L’aspetto del monastero risulta qui irreale, sospeso in un’atmosfera rarefatta. All’interno i monaci hanno incontrato i soldati (figura 23): la scena è composta da due religiosi, l’Abate seduto e di fronte a loro due militari tedeschi (sullo sfondo si nota una Madonna con bambino). Mente l’ufficiale germanico parla, Don Martino traduce: per i Tedeschi i volantini sono stati fatti solo per intimorire e per propaganda, far uscire i civili è pericoloso perché potrebbero essere decimati per strada, e in tal caso i Tedeschi lascerebbero tutta la responsabilità ai monaci. I personggi principali vengono inquadrati tutti, uno alla volta, in primo piano, i loro gvolti sono tesi, poi la cinepresa allarga nuovamente su tutto il gruppo. Continua il colloquio, il soldato dice che sono disposti a fare passare tutti per una mulattiera dietro il convento da mezzanotte alle cinque del mattino. L’Abate protesta: “E se fosse troppo tardi? Bisognerebbe approfittare di questo momento di calma.”. Questa volta il Tedesco gli risponde in italiano: “ Il comando tedesco non prende responsabilità”. Il primo piano di un orologio da taschino appeso segna le ore 5:10 circa.60 59 Tutta questa parte è trattata con grande precisione storica, ogni cosa che accade è verificabile nel diario di Don Martino Matronola alla data Martedì 15 febbraio, anche gli orari che scandiscono l’intera parte del film in modo chiaro e preciso corrispondono a quelli in cui si sono svolti i fatti, in Grossetti – Matronola, op. cit., p. 91 – 95. 60 Anche Majdalany conferma questi orari, op. cit., p. 134. 212 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 23. Colloquio tra l'Abate, don Martino e due militari tedeschi Nella seconda sequenza i profughi sono seduti a terra e Don Martino, in mezzo a loro in piedi (figura 24), dice: “I Tedeschi sostengono che questo grande pericolo minacciato dagli anglo- americani non esista, suppongono si tratti di una manovra di intimorimento…”. In un’altra sala un altro monaco sta parlando ai civili, è in mezzo a loro, in piedi: “…allora da mezzanotte alle cinque si potrà uscire, abbiamo ancora diciotto ore davanti a noi durante le quali ognuno si potrà comportare come meglio crede. Figliuoli, siamo in una situazione nella quale non si può dare nemmeno un consiglio.” Il continuo specificare gli orari non fa che aumentare la tensione del momento, perché i personaggi credono di avere ancora diciotto ore prima di essere finalmente salvi, ma lo spettatore che conosce la storia è invece a conoscenza del fatto che il bombardamento inizierà quella mattina stessa. Figura 24. Don Martino parla ai profughi 213 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La terza sequenza si apre con il primo piano di una sveglia che segna le 7:32, il senso di attesa si fa sempre più pesante. La stanza è gremita di gente, tutti sono seduti per terra senza parlare, la paura e la tensione sono palpabili e ancora più accresciute dalla mancanza totale di dialogo. La scena è commentata solamente da una musica extradiegetica di sottofondo e dal ticchettio della sveglia, che crea un forte senso di attesa. Ritornano in queste scene collettive tutti i personaggi principali che sono comparsi durante il film. La cinepresa stacca su Maria, vicino ad un bambino coricato, il suo sguardo è perso nel vuoto. Dalla porta entra lentamente l’avvocato, con le mani in tasca. La donna gira il capo per guardalo e il suo viso è ben illuminato dalla luce di una candela proprio da parte a lei (figura 25). Vicino a lui, seduto per terra, c’è il ragazzo del cane, che cerca con gli occhi l’uomo e gli chiede che tempo fa, l’uomo lo guarda ma non risponde. Lo spettatore invece è informato di questa notizia grazie ad una ripresa esterna, dove le cime delle montagne spuntano dalle nuvole, ma all’orizzonte si vede la luce del sole.La musica ora è più forte. Come si è già detto, il discorso sul tempo in un occasione come questa è molto importante, perché il bombardamento era possibile solo in caso di bel tempo.61 Figura 25. Maria e l'avvocato 61 F. Majdalany, op. cit., p. 130. 214 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Dopo questo intermezzo al di fuori del monastero, la cinepresa ritorna nella stessa stanza e inquadra un’altra mamma con lo sguardo assente, vicino al suo bambino che sta scrivendo. La piccola mano tocca il braccio della mamma, che si china per leggere cosa ha scritto il figlio. Il quaderno è ripreso in primo piano e si legge Paolo Domani, potrebbero essere il nome e il cognome del bambino, ma la parola “domani” dà comunque un sentimento di speranza nel futuro, per un domani migliore, che risulterebbe profetico se il bambino scampasse alla tragedia. La mamma si riappoggia al muro e continua a guardare nel vuoto (figura 26). Figura 26. Una madre col suo bambino Il silenzio è l’elemento principale di queste scene, che crea l’attesa di qualcosa che sta per accadere. Probabilmente quei profughi continuano a credere nel volantino degli Alleati, più che alle parole dei Tedeschi, e non potendo lasciare il convento, attendono in silenzio che qualcosa succeda. Nella stanza semibuia, affollatissima di profughi, la voce fuori campo torna a parlare: “Nel cuore degli uomini la rassegnazione operava lentamente – primo piano di due mani che sgranano la corona del Rosario (figura 27) mentre in sottofondo se ne odono le parole – sentimenti di bontà assopiti dal tempo rifiorivano, preghiere dimenticate venivano spontanee alle labbra – inquadratura della stanza piena -, l’una per chiedere un 215 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. miracolo – la cinepresa dall’alto inquadra una sezione di stanza -, l’altra ad offrire la propria anima, attimi quelli in cui più di una coscienza venne toccata dalla grazia del Signore”. Figura 27. Il Rosario La cinepresa inquadra vari gruppi di persone sedute nella stessa stanza, in cui sono individuabili i personaggi già conosciuti durante il film, si passa ad un primo piano della mamma di Gianfranco, il suo viso è illuminato e dietro di lei, appeso al muro, è riconoscibile la porzione di ritratto del figlio fatto da Don Eusebio. In seguito vengono ripresi il ragazzo del cane e suo padre inginocchiati in preghiera (figura 28). Il sottofondo è di musica sacra, una voce femminile continua a recitare le preghiere, in cielo si comincia a sentire il rombo degli aerei. I personaggi inquadrati guardano verso l’alto, le mani smettono di sgranare il Rosario, la cinepresa torna su padre e figlio e da qui le inquadrature iniziano a farsi sempre più collettive, dal particolare al generale, fino ad inquadrare tutta la stanza. Sono le stesse immagini proposte subito dopo la vista esterna delle cime, ma montate al contrario, non più dal generale al particolare, ma dal particolare al generale, come in un cerchio che si chiude. 216 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 28. Il ragazzo del cane e suo padre in preghiera La sequenza successiva (la quarta) si apre con la vista di aeroplani nel cielo sopra l’abbazia. All’interno del rifugio i profughi sono seduti per terra e nessuno di loro proferisce parola. La sveglia, che viene inquadrata ancora in primo piano, indica le 9:40, e sappiamo dal diario dei monaci che il bombardamento iniziò alle 9.45, quindi il momento si avvicina e la tensione si fa sempre più acuta. Nella stanza l’avvocato è vicino a Maria, si guardano a vicenda, poi viene inquadrato un bambino in primo piano, si guarda un po’ intorno e tocca il braccio di sua madre per avvertirla: “Mamma, gli aeroplani”. Inizia il bombardamento che dal 15 febbraio segnerà la fine del monastero di Montecassino e delle persone in esso rifugiate. Nel cielo si vedono gli ordigni che vengono sganciati dai bombardieri.62 Il primo piano dell’orologio da taschino indica che sono trascorsi dieci minuti, sono le 9:50, mentre sulla destra rimane la candela accesa. Il rombo degli aerei è sempre più forte, la gente è seduta, si sente un’esplosione e tutti si 62 Il cielo sopra l’abbazia si popolò di 142 aerei B-17,le temibili fortezze volanti, e 82 bombardieri medi B-52 e B-26, che sganciarono 500 tonnellate di bombe esplosive e incendiarie. A parte la divisione indiana, che corse seri rischi, tutti i soldati alleati accolsero i bombardieri con applausi e scene di giubilo: era la soluzione che serviva per sconfiggere i soldati tedeschi che pensavano fossero annidati al l’interno dell’edificio. In Cassino 1944. Un’abbazia all’inferno, pp. 99 – 105. 217 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. alzano, iniziano ad urlare e si spostano vicino alle pareti. In un’altra stanza quattro monaci inginocchiati e l’Abate in piedi pregano tra il fumo e la polvere della deflagrazione. Nella quinta sequenza la cinepresa si sposta in esterno, nel chiostro del Bramante, e da sotto un portico inquadra il cielo, che si popola di bombardieri. In un giardino interno scoppiano delle bombe, non si sente più nessun altro rumore se non quello delle esplosioni. La cinepresa passa al cortile davanti alla Basilica: anche qui esplode un ordigno. La vista ora è dagli aerei, che inquadrano gli ordigni esplosivi che fanno cadere (sequenza documentaria) o che vengono inquadrati da vicino da altri aerei. All’interno dell’abbazia viene abbattuta la Torretta e lo schermo viene completamente invaso dal fumo e dalla polvere. La distruzione viene mostrata con dovizia di particolari, tanto da rendere ancora più drammatica la scena e ancora più penosa la distruzione a cui si sta assistendo. La sesta sequenza si svolge in interno: nell’infermeria si trovano un monaco e due civili seduti vicino al letto di un malato, si alzano di scatto. In primo piano un uomo alza gli occhi al cielo e, tremando, avvicina la mano al viso. Uno scaffale con degli uccelli impagliati inizia a tremare, un uomo si sveglia di soprassalto, sul soffitto si forma una crepa. L’accumulazione di tutti questi elementi serve a mostrare fatti e reazioni della gente nel modo più completo possibile. Vengono poi inquadrate due donne, una è la madre di Gianfranco, che con lo sguardo sperso nel vuoto sorride impazzita (figura 29): non ha superato il dolore della perdita del figlio, soprattutto in momenti difficili come questi di guerra. 218 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 29. La madre di Gianfranco impazzita La gente cerca di ripararsi mentre dai muri e dai soffitti si staccano i calcinacci, i profughi si schierano vicino alle pareti e danno le spalle al centro della sala. In primo piano la sveglia, simbolo del tempo che passa, caduta per terra, segna le 10:45. L’edificio trema, l’avvocato e la donna si abbracciano, e lei gli accarezza il viso. Anche un uomo abbraccia suo figlio, che viene inquadrato dopo mentre prega in silenzio inginocchiato, muovendo solo la bocca. Sempre per contraddire ciò che era stato detto in precedenza dalla voce narrante, anche qui non sembrano annullati i rapporti umani fra le persone.63 Un altro intermezzo ci mostra che la situazione in cielo non è cambiata, vengono inquadrati gli aerei da vicino, e da essi le bombe che precipitano al suolo.64 All’interno una madre abbraccia il suo bambino e prega, altre due donne si stringono forte con le bocche spalancate in un urlo silenzioso, molto espressionista, mentre nel soffitto si apre una crepa e poi un grosso buco. La gente si mette al riparo, la cinepresa inquadra il soffitto caduto e poi una anziana donna coricata a cui crollano addosso dei calcinacci. Vengono ripresi due bambini che piangono e si abbracciano. Di nuovo aerei 63 Parte III, p. 20. La prima sosta nel bombardamento avviene solamente alle 11.15 e “grazie a Dio tutta la piccola comunità è salva”. In Grossetti – Matronola, op. cit., p. 91. 64 219 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. nel cielo e piccoli gruppi di persone cercano di scappare chinati tra fumo e polvere, non si vede più nient’altro. Una donna viene scaraventata a terra da un’esplosione ed è travolta da uno scaffale che la schiaccia. I soffitti continuano a cedere, si aprono grosse aperture e i detriti cadono a terra con enorme violenza (figura 30). Viene inquadrata una donna che urla terrorizzata. Continua l’accumulazione di particolari, che alterna le scene di distruzione delle parti del convento alle espressioni e reazioni della gente che sta vivendo momenti di terrore. Figura 30. Crolla un soffitto Figura 31. I detriti invadono la scalinata La settima sequenza torna a svolgersi in esterno. Tutto è ridotto ad un cumulo di macerie, da dietro degli archi ancora in piedi viene ripresa la scalinata centrale, anch’essa invasa dai detriti (figura 31). La gente scende urlando. Ma la statua di San Benedetto è rimasta miracolosamente in piedi, quasi un miracolo visto il livello di distruzione raggiunto dall’edificio. Sembra un eterno messaggio di fede anche in quel momento doloroso, come se stesse a indicare che Montecassino, culla del monachesimo benedettino, non morirà, almeno moralmente, nemmeno dopo una simile sciagura. In primo piano i profughi fuggono e la cinepresa si avvicina e li riprende singolarmente mentre scappano, urlano, chiamano qualcuno. 220 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Da un arcata escono lentamente i monaci (figura 32), preceduti dall’Abate, la cui bocca è tremante e la sua espressione è prossima al pianto, chiude gli occhi e china la testa. I civili continuano a scendere dalle gradinate, si intravedono anche i monaci. Dietro la statua acefala di San Benedetto un grosso masso viene inquadrato da vicino: anche i monaci possono constatare che la statua è salva per miracolo. Figura 32. L'Abate e i monaci nel monastero distrutto Don Martino: “ Don Diamare, la Torretta è in piedi!” e subito l’Abate gli risponde: “ Il Santissimo!”, perché era nella torretta che i monaci tenevano il contenitore con le ostie, il corpo di Cristo.Un terzo monaco65 si offre di andarlo a prendere. I civili stanno ancora scappando tra polvere e macerie, da cui escono l’avvocato e la donna. Un uomo dice che ci sono dei feriti, l’avvocato sente e fa per andare ad aiutarli. L’Abate è in piedi con Don Martino, vengono verso la cinepresa e si avvicinano sempre di più, fino all’inquadratura del particolare della croce sulle loro vesti, ancora un simbolo di fede dove tutto ormai è distruzione. Nell’ottava sequenza Don Agostino si trova nella cappella della pietà e si avvia verso il contenitore delle ostie. Il monaco si inginocchia (figura 33) mentre estrae “il 65 E’ don Agostino, che va a recuperare il SS.mo nella Cappella della Pietà ( torretta ). In Grossetti – Matronola, op. cit., p. 91. 221 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Santissimo”. Si sente ancora il rumore dei bombardieri che stanno ritornando. Il monaco copre il calice, come per proteggerlo, e si appresta ad uscire. Figura 33. Don Agostino recupera il Santissimo. Nella nona sequenza sono ancora inquadrati in lontananza una grande quantità di aeroplani, un monaco esce da un arco e li vede: “Presto, ritornano!”66. La gente torna indietro per rientrare, la donna con l’avvocato si guardano intorno, mentre un monaco chiede notizie dei suoi confratelli. I civili continuano a fuggire in ogni direzione. In primo piano è ancora inquadrata la madre di Gianfranco, sorridente e con lo sguardo inebetito, mentre fuori campo un bambino chiama la mamma. L’immagine si allarga e si scopre che il bambino è tenuto per un braccio proprio dalla donna, strattona un po’ mentre dice che vuole andare via. Tra la folla una madre chiama suo figlio Paolo, il bambino è ancora trattenuto dalla donna, continua a chiamare sua madre, poi si libera e corre via. Le bombe cadono, la mamma di Paolo corre contro corrente, arriva a un varco, il suo bambino gli corre incontro e si abbracciano. Sono ancora scene che riguardano le persone che per ora sono rimaste in vita, quelle scene che fanno l’atmosfera di tutta questa parte del film. 66 Sono circa le ore 13.00 e il bombardamento questa volta prosegue fino alle 13.30. In Grossetti – Matronola, op. cit., p. 91. Per questo secondo bombardamento vengono usati bombardieri medi, che sganciano bombe più piccole ma le fecero cadere in modo più preciso. Gli aerei attaccavano a bassa quota in piccole formazioni compatte formate da dodici velivoli. In F. Majdalany, op. cit., p. 137. 222 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Nella decima sequenza i monaci, rinchiusi in una stanza, stanno maneggiando delle carte. C’è un esplosione, le carte volano ovunque e in due trasalgono. Viene ancora inquadrato un aereo che sgancia delle bombe, poi l’esterno del monastero, dove sta crollando un muro. All’interno salta la porta di una stanza, dove un monaco e l’Abate restano rinchiusi. Viene poi inquadrata l’ apertura, fuori è tutto bloccato dalle macerie, Don Martino dice: “Siamo bloccati”. Guardano verso una grata e sentono la voce di Don Agostino, che ha recuperato il Santissimo: solo la grata li divide ed è proprio da quella grata che i due riusciranno a salvarsi. Nell’undicesima sequenza Don Agostino si gira, scopre il contenitore con le ostie e si rivolge alle altre persone che sono nella stanza : vengono infatti inquadrati il ragazzo del cane e un monaco, poi l’avvocato, Maria e una vecchia. In primo piano le persone si avvicinano a Don Agostino che le assolve da tutti i peccati. Il monaco alza il Santissimo: “Ecce Agnus Dei…” .Tra le persone alcune cercano di sollevare un malato, mentre una donna piange. Don Agostino passa tra i fedeli inginocchiati per la Comunione (figura 34). Figura 34. Don Agostino tra i fedeli Tutti i civili si voltano al rumore di un’esplosione. La macchina da presa riprende le conseguenze dello scoppio: un soffitto si stacca e un muro perimetrale dell’abbazia 223 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. crolla. Mentre ritorna il particolare delle bombe sganciate dall’aereo, Don Agostino continua a distribuire le particole tra i fedeli. In primo piano una vecchia tremante prega a testa bassa, mentre Don Agostino continua la sua opera. La cinepresa inquadra l’interno del calice: sono rimaste solo due ostie. La mano del monaco le prende, poi la cinepresa stacca sul suo viso e, dopo il segno della croce, le mette in bocca. Queste sequenze sono in pieno stile neorealista e affrontano la situazione dal punto di vista della gente comune, intrappolata tra le macerie. La dodicesima sequenza si svolge in esterno: la cinepresa inquadra l’esplosione e il crollo di varie parti del monastero, ovunque si trovano solo macerie e fumo. Le bombe continuano a cadere, ma sotto di loro non si vede più un paesaggio, solo grosse nuvole di fumo e polvere. Si vedono poi altri ordigni che scoppiano dentro e fuori dal monastero. In tutta questa sequenza la musica extradiegetica ha un volume molto alto e il ritmo è concitato, che accentua la drammaticità della situazione. Resta il buio. La tredicesima sequenza inizia nel silenzio più assoluto. L’immagine è buia, ma si apre uno spiraglio di luce, come un barlume di speranza: è un uomo, in primissimo piano di profilo, che riesce ad aprire con le mani un piccolo varco, spinge un po’ le macerie e il pertugio si allarga. La cinepresa si sposta all’esterno e riprende il masso che scivola dopo la spinta di quell’uomo. L’immagine è surreale, dappertutto solo macerie e fumo. La gente comincia ad uscire dai nascondigli e la voce fuori campo ricomincia a narrare: “Nell’innaturale silenzio che aveva seguito il fragore delle esplosioni soltanto il vento levatosi improvviso e violento sembrò per un attimo far parte dell’apocalittico paesaggio, dove, ovunque si volgesse lo sguardo, il terreno appariva seminato di morti; Don Oderisio li benediva uno per uno – durante questa battuta si ha un piano sequenza con Don Oderisio (figura 35) e gli altri monaci che, camminando lentamente, 224 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. benedicono i cadaveri e questo tipo di ripresa rende tutto più inquietante, poiché mostra la terra cosparsa di corpi, non serve un montaggio per averne la continuità, essendocene comunque un numero impressionante -.Gli occhi spalancati di quelle creature continuavano a fissare il cielo dal quale era venuta improvvisa la morte. Forse essi vedevano più in su, in alto, là dove c’è per ognuno la vera pace. Ai superstiti sembrava che gli altri, quelli che se n’erano andati, avevano finalmente trovato ciò che cercavano.” Figura 35. Don Oderisio Don Oderisio si china e si mette le mani tra i capelli, l’avvocato non si muove. Il religioso va avanti e continua a benedire. L’avvocato esce dal fumo e, abbassando lo sguardo, vede un corpo tra le macerie (la cinepresa lo mostra) con una catena al collo. L’avvocato in ginocchio toglie le pietre che lo ricoprono, porta le mani al viso e dice: “Maria”, alzando gli occhi al cielo, si preoccupa per la donna che potrebbe aver subito la stessa sorte. Sullo sfondo rimangono le macerie degli edifici diroccati. L’inquadratura ora è vuota, non ci sono personaggi in scena, dappertutto ci sono solo macerie e un silenzio di morte. L’avvocato, camminando sulle pietre, attraversa tutto il campo, continuando a cercare Maria. La cinepresa indugia sui soliti fabbricati distrutti, mentre l’avvocato continua a gridare lo stesso nome. 225 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Due donne a destra sono inquadrate in primo piano dietro ad un muro, mentre a sinistra, più lontano, degli uomini in mezzo alla polvere spostano delle pietre, ma si intravedono appena. Si sente ancora urlare il nome di Maria, fuori scena, e una delle due donne si gira verso la cinepresa e con un filo di voce dice: “Mario”, poi chiude gli occhi e si accascia. E’ la donna che durante tutto il film è stata accanto all’avvocato. Vengono poi inquadrate due persone che escono da un buco, sono due monaci che stanno aiutando l’Abate a risalire. Le persone cominciano a ritrovarsi nella gran confusione del dopo – bombardamento. Nella quattordicesima sequenza ritorna il commento musicale. Tra le macerie ancora fumose del monastero i sopravvissuti escono dai nascondigli e camminano nella desolazione di quel luogo. Tra di loro la cinepresa inquadra Mario che porta in braccio Maria, come in tutti gli altri momenti anche qui si cerca la consolazione nel mostrare i personaggi principali del film sani e salvi. La fila dei civili, guidata dai monaci e dall’Abate, sorretto da questi, si ferma per scrutare le macerie da cui iniziano ad affiorare superstiti. L’Abate annuncia che lui resterà per aiutare i feriti e i malati, un monaco si avvicina, si inginocchia ai suoi piedi e gli chiede la benedizione. E’ probabilmente uno di quei monaci che decidono di lasciare immediatamente l’edificio per passare il fronte.67 Segue una dissolvenza. La quindicesima sequenza è ambientata nella Cappella della Pietà, che non è stata distrutta dal bombardamento. I monaci si sono rifugiati in questa stanza subito dopo il secondo bombardamento, trovando anche qualcosa da mangiare, ma completamente sprovvisti d’acqua.68 67 68 Grossetti – Matronola, op. cit., p. 93. Grossetti – Matronola, op. cit., p. 93. 226 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Sono in piedi attorno all’Abate che, seduto, riceve un soldato tedesco, lo stesso ufficiale che era già giunto al monastero quella mattina stessa: “ Io, soldato tedesco, provo profonda indignazione, non capire?”. L’Abate in primo piano abbassa il capo: “Eh sì, capisco”, alza la testa e guarda il soldato, che resta in scena solo nel particolare di un braccio sul quale si distingue uno stemma cucito sulla divisa (figura 36). In questo modo, non mostrando il viso del soldato ma solo questo particolare così caratterizzante si cerca di generalizzare, passando da quel soldato a tutti i soldati tedeschi: la responsabilità della perdita di tante vite umane, se pur indirettamente, è anche la loro, che non hanno ascoltato le suppliche dei profughi e che non hanno ordinato un piano di sgombero immediato, come avevano invece già fatto in altre occasioni molto meno gravi. “Ci sono stati molti morti e si potevano evitare, saranno pochi ora quelli che passeranno le linee da mezzanotte alla cinque, e non già perché cinque ore siano poche, sono anche troppe ormai. Solamente un centinaio di persone sono rimaste.” Dice l’Abate. Figura 36. L'Abate Diamare parla con un soldato tedesco In primo piano il Tedesco guarda l’Abate Diamare: “Io non capire, Feldmaresciallo Kesselring ha chiesto per ordine del nostro Fuehrer tregua a angloamericani”. La tregua 227 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. fu realmente chiesta da Adolf Hitler in persona su richiesta del Papa, per permettere all’Abate, ai monaci e ai civili di lasciare Montecassino. 69 L’Abate è seduto e vicino a lui si trova Don Martino in piedi, il soldato tedesco invece è ancora davanti a loro, mentre un altro resta in lontananza: “E la possibilità di sgombero per questa notte esiste ancora?”, dice l’Abate, e il militare risponde “Ora è tutto nelle mani degli angloamericani, bisogna attendere la loro risposta.70 Per giustizia potete voi dichiarare di non essere neanche un soldato tedesco in monastero durante il terribile bombardamento?”. L’Abate è inquadrato di tre quarti in primo piano, guarda il soldato, di cui si ode ancora la voce: “Io domandare, essere soldati tedeschi in monastero durante il bombardamento?” , “No - risponde secco l’Abate – dentro no”. Ma la sua risposta è seccata e fa intuire che se all’interno non si trovavano militari tedeschi, tutt’intorno al monastero ce n’erano in gran numero. La visione è ancora sull’intero gruppo di personaggi, il Tedesco chiede: “Potete voi scrivere questo?”. L’Abate annuisce con la testa, il soldato gli passa carta e penna e l’Abate si volta verso la cinepresa per scrivere (figura 37): il momento è ufficiale e importante e l’immagine dev ’ essere ben documentata dalla ripresa. Diamare è in primo piano ed è inquadrato mentre scrive: “ Appena angloamericani daranno la tregua noi mandiamo autocarri per i monaci, i malati e i feriti”. 69 F. Majdalany, op. cit., p. 138. Secondo quanto sostiene Don Martino, “ il Comando tedesco voleva , con le mani nette, liberarsi dell’Abate e dei monaci onde prendere possesso delle rovine del monastero per fini bellici: ed anche per farsi rilasciare la dichiarazione” di cui si parlerà. In Grossetti – Matronola, op. cit., pp. 93 – 94. 70 228 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 37. L'Abate Diamare nell'atto di scrivere il documento Torna la voce fuori campo: “ Lo scritto dell’Abate Diamare (figura 38) divenne un documento storico sulla tragica distruzione del monastero, nella più perfetta buonafede egli scriveva: Attesto per la verità che nel recinto di questo sacro Monastero di Montecassino non vi sono stati mai soldati tedeschi, vi furono soltanto per un certo tempo tre gendarmi al solo scopo di far rispettare la zona neutrale, che si era stabilita intorno al Monastero, ma questi da circa venti giorni furono ritirati.”71 , la sua voce accompagna l’Abate che riconsegna il foglio al soldato e viene inquadrato in primo piano nel momento in cui la voce off ne legge il contenuto. Il soldato tedesco accenna un sorriso: “ Danke…voi aspettare, io ritorno”. Saluta in modo militare e se ne va uscendo di scena. Secondo l’accordo i monaci avrebbero dovuto aspettare ancora uno o due giorni per avere la risposta degli alleati alla concessione della tregua, dopo di che avrebbero dovuto percorrere un tratto di strada a piedi, fino ai mezzi di trasporto tedeschi, che non riuscivano ad arrivare alla cima di quel colle così disastrato.72 71 Il documento, estratto dall’apparato iconografico del libro di Grossetti – Matronola, è riportato in appendice. 72 Grossetti – Matronola, op. cit., p. 94. 229 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 38. Il documento dell'Abate Diamare In quello stesso 15 febbraio le truppe della Quarta divisione indiana stavano affrontando il loro terzo giorno sulla disagevole china della montagna, dopo aver dato il cambio alle truppe americane. L’obbiettivo era quello di conquistare una collina denominata Quota 593 che si trovava proprio davanti a Montecassino, ma l’operazione fallì poiché i soldati si trovarono sotto il fuoco dei tedeschi, che in quella zona avevano molte postazioni. Va ricordato anche che nessuno avvisò questi soldati indiani del bombardamento, che era stato dapprima fissato per il giorno 16, e questa dimenticanza, oltre a mettere in pericolo le loro vite, dimostrava anche la poca collaborazione che esisteva tra esercito e aviazione.73 IX parte : 17 febbraio 1944 Nella prima sequenza il monastero, inquadrato dall’esterno, è ridotto ad un cumulo di macerie. Nella cripta si trovano i monaci in piedi sotto ad un mosaico raffigurante la Madonna, una delle poche parti dell’abbazia ancora in piedi. Sono disposti ai lati dell’Abate, che ha deciso di lasciare l’edificio nonostante i consigli del soldato. Alla 73 Il colonnello Glennie sottolineò: “ L’hanno detto ai monaci, l’hanno detto al nemico, ma no a noi!”. In F. Majdalany, op. cit., pp. 140 – 143. 230 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. loro destra un malato è coricato nel suo giaciglio74. La cinepresa si avvicina e passa in rassegna i religiosi in primo piano, parla l’Abate: “Avvertite i civili che si preparino per la partenza, che aiutino i feriti e i malati che possono muoversi, portino chi si può portare, e per quelli che non ci sono più solo Dio può averne cura”. La cinepresa inquadra un mosaico raffigurante la Madonna con bambino, poi scende sull’avvocato che copre un malato, Maria abbraccia il suo bambino, Don Martino benedice i fedeli. Tutta la scena si svolge in piano sequenza, che da la continuità dell’azione che si svolge tra la gente. Due uomini scoprono un ferito che geme, viene inquadrato un monaco mentre lo solleva, poi lo copre. Tre uomini sono al lavoro per togliere i detriti e liberare un passaggio per i superstiti, il buco è molto grande e la luce che entra aumenta a mano a mano che viene allargato, come aumenta la loro speranza di uscire vivi dall’edificio. Viene inquadrata una grande stanza con il soffitto a volta, dove tutti si preparano a partire. I monaci sono con l’Abate, alla loro sinistra una croce è appoggiata al muro, segno della cristianità e della fede, che nonostante quanto è successo, non ha abbandonato questa gente. In seguito vengono riprese in primo piano tutte quelle persone già incontrate nel corso della pellicola ( come il ragazzo del cane), come per volersi congedare da loro. L’Abate ora conferisce ai fedeli l’assoluzione in articulo mortis (figura 39). I fedeli si inginocchiano, poi si alzano, l’Abate prende la croce e si gira. 74 Potrebbe essere un certo fra Giacomo, febbricitante, disteso su un materasso, secondo quanto riportato da Grossetti – Matronola, op. cit., p. 93. 231 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 39. L'Abate e i monaci tra i civili La seconda sequenza parte al di fuori del monastero, di cui si vedono le mura distrutte. Viene inquadrata l’uscita che stanno varcando l’Abate con la croce in mano, i suoi monaci e i civili sopravvissuti. Il cielo è coperto di nuvole, passa la croce della mesta processione (figura 40). Figura 40. La croce della processione La vista poi torna sull’intero monastero, con la fila dei superstiti che scende lungo il colle recitando le preghiere. Dopo un primo piano dell’Abate e di Don Martino, tornano le due voci fuori campo: “Così si concluse la tragedia dei monaci e di coloro che cercarono rifugio a Montecassino” . “ E questo perché gli uomini hanno voluto la guerra”. Vengono inquadrati dei soldati tedeschi, sulla strada davanti a loro passa il 232 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. corteo e la voce off di Don Eusebio torna a narrare. I soldati coprono le mitragliatrici (figura 41) quando davanti a loro passa la croce,75 la cinepresa segue il corteo alle spalle, poi viene inquadrato dall’alto, dallo stesso punto di vista con il quale si è aperto il film, mentre in primo piano si ritrovano le due croci che hanno aperto il film, quella di Don Eusebio e quella del Capitano medico Richter.76 La voce off conclude:” Bastano… poche parole per entrare nel cuore degli uomini: amore, bontà, fraternità e fede.” Figura 41. I soldati tedeschi coprono le armi al passaggio della processione La terza ed ultima sequenza mostra la città di Cassino ricostruita, una panoramica riprende il colle del monastero, si avvicina, la musica è alta e trionfante, il monastero è ripreso da diverse angolazioni. Compaiono in trasparenza delle lanterne con la fiamma accesa e su di loro le ultime parole pronunciate da Don Eusebio: amore, bontà, fraternità e fede. 75 Questo particolare è confermato nel diario di Don Martino, in Grossetti – Matronola, op. cit., p.98. Durante tutto lo svolgimento del film la figura del Capitano medico Richter è stata fondamentale nello sviluppo dei fatti, in realtà non si trova nei diari presi in esame il suo nome. Esiste nel diario di Don Eusebio un Capitano medico che corrisponde in tutto e per tutto ad ogni dettaglio della storia, ma il suo nome è Becker. 76 233 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Il film si conclude quindi con la partenza dei sopravvissuti del monastero e non affronta le ulteriori fasi della battaglia, che hanno visto impegnati i vari schieramenti fino al 18 maggio 1944, quando le truppe polacche arrivarono alla sommità del colle di Montecassino e la linea Gustav fu finalmente sfondata, dopo mesi di violenti combattimenti. Montecassino di Gemmiti affronta quindi solamente la prima parte delle vicende legate a Montecassino, dando accenno al salvataggio delle opere d’arte compiuto dai Tedeschi della divisione Hermann Goering e soffermandosi sulle fasi successive di sgombero dei civili, per arrivare a trattare in modo più diffuso del bombardamento e dei giorni che lo precedettero e che lo seguirono. E’ questo quindi l’episodio cardine trattato dal film di Gemmiti, che lo affronta i modo molto preciso e con dovizia di particolari, verificabili soprattutto dai diari dei monaci di Montecassino. Il documento, infatti, è stato prezioso per la ricostruzione della vita di monaci e civili prima, durante e dopo il fatto, poiché tutta la vicenda è trattata dal loro punto di vista. E’ la loro la sofferenza mostrata dalla cinepresa di stampo neorealista, che ha analizzato le vicende specifiche di alcuni personaggi, ma non senza farne un emblema della sofferenza universale provocata dalla guerra. Il film sfrutta appieno le potenzialità di questo avvenimento per commuovere, ma anche per mostrare quello che è realmente successo all’interno delle mura dell’abbazia,tema che era logico affrontare visto che la produzione era legata alla Chiesa. E nel complesso, per quanto riguarda il periodo trattato, non si trovano errori sostanziali dal punto di vista storico, solo piccole storie inventate, per quanto riguarda la vita dei profughi, delle quali non c’è una testimonianza scritta, ma che sono del tutto verosimili. 234 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 11.4. DIE GRUENEN TEUFEL VON MONTE CASSINO ( I diavoli verdi di Montecassino – Harald Reinl, 1958 ) Due locandine dell’edizione tedesca del film “ Die gruenen Teufel von Montecassino”. Tratto dal libro “ Monte Cassino” di Rudolph Bohmler, Die gruenen Teufel von Monte Cassino, diretto dal regista Harald Reinl, fa parte di quei pochi film di genere bellico prodotti in Germania ( allora suddivisa in Repubblica Federale Tedesca e Repubblica Democratica Tedesca) nei decenni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale. Questo genere di film serviva innanzitutto per rivalutare la Wehrmacht tedesca dopo i disastri della guerra e per far ricadere la colpa di tutto quello che di sbagliato c’era stato su Hitler e la sua cerchia.1 E per portare a nuova vita il tema bellico niente era più indicato di un film che mettesse in luce un episodio in cui i soldati 1 L.L. Ghirardini, op. cit., pp. 102 – 103. 235 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. tedeschi si distinsero per capacità e serietà, Montecassino appunto. I Tedeschi amavano ricordare questo periodo: i tesori dell’abbazia distrutta dagli alleati furono portati in salvo da loro e inoltre sul fronte si comportarono molto bene, tenendo a distanza per molto tempo gli Anglo- americani. Una particolarità: gli abitanti di Caprile e della zona vecchia di Roccasecca furono mobilitati come comparse per girare alcune scene.2 11.4.1. La situazione tedesca dopo il secondo conflitto mondiale e fino agli anni ‘50 Al termine della II Guerra Mondiale uno dei principali problemi che gli stati Alleati vincitori si trovarono ad affrontare fu come ridisegnare la struttura geopolitica ed istituzionale della Germania ritenuta ormai come la responsabile dell'instabilità in Europa e come la causa prima sia della Grande Guerra del 1914, sia della II Guerra Mondiale.3 La decisione di dividere la Germania in distinte zone di occupazione da parte delle truppe dei Paesi vincitori fu presa a Yalta già prima della fine formale del conflitto nella conferenza tenutasi tra Stalin, Roosevelt e Churchill svoltasi nella località sovietica tra il 4 e l'11 febbraio del 1945. Nel maggio dello stesso anno la Germania guidata da Doenitz ( Hitler si era nel frattempo suicidato ) si arrende sia agli angloamericani ( 7 maggio ), sia ai sovietici ( 8 maggio ), che durante la conferenza di Postdam stabiliscono i termini dell'occupazione della Germania, divisa in quattro zone, ognuna assegnata ad un differente Stato alleato vincitore del conflitto. Nel 1946 comincia a caratterizzarsi marcatamente la divisione tra le due aree di 2 3 R. Molle, Storie della seconda guerra mondiale. Caprile in guerra, in www. digilander. libero . it. L. Molinari, Breve storia dei territori tedeschi, in www. cronologia. it . 236 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. influenza, quella occidentale da cui nascerà, nel 1949, la Repubblica Federale Tedesca e quella orientale da cui avrà origine, sempre nel 1949, la Repubblica Democratica Tedesca. Nella conferenza di Mosca (marzo-aprile 1947) " venne stabilito sia pure senza fissare una scadenza, che si dovesse andare verso elezioni politiche che preludessero ad una costituente nazionale e ad un governo nazionale"4. A partire da questa data gli Alleati occidentali rinunciarono ad ogni idea di riunificazione dei territori tedeschi, mentre i sovietici cullarono fino al 1953 il sogno di una Germania unificata e neutrale sotto l'egida protettiva e la conseguente influenza di Mosca. La rinascita dei partiti politici fu lenta anche se le prime elezioni a livello amministrativo si ebbero a ovest nel gennaio 1946: si affermarono come maggiori forze politiche i democristiani, i socialdemocratici ed i liberali: saranno questi gli unici protagonisti della scena politica tedesca per quasi il successivo mezzo secolo. 5 Per quanto riguarda il partito democristiano, va notato che era molto simile allo stesso partito presente in Italia. Elemento comune tra i due partiti fu il forte ruolo della Chiesa, anzi, nel caso tedesco, delle Chiese (cattolica e protestante), nel fornire i quadri dirigenti e la dottrina sociale di base alle due esperienze democristiane. Per fare del partito democristiano tedesco la forza politica egemone della scena politica occorreva che esso non risultasse solamente come un partito cattolico. Su questi presupposti di partito non confessionale, sostenitore di un libero mercato, ma con forti ammortizzatori sociali, viene costituita in tutta la Germania l’Unione cristianodemocratica (Cdu) che, raggruppando le formazioni di ispirazione democristiana e conservatrice sorte in molte località del Paese subito dopo la sconfitta, guiderà la Rft 4 5 P. Pombeni, Partiti e sistemi politici nella storia contemporanea, il Mulino, Bologna ,1994, p. 441 L. Molinari, Partiti politici tedeschi dal secondo dopoguerra, in www. cronologia. it. 237 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. ininterrottamente dal 1945 al 1969 (con i cancellieri Adenauer6, Erhard e Kiesinger) e dal 1982 al 1998 (con la lunga ed ininterrotta cancelleria di Helmut Kohl). Anche i sovietici avevano di fatto permesso la rinascita di partiti politici nella zona da loro influenzata perché speravano di guidare la riunificazione nazionale in una Germania neutralizzata e a loro favorevole. I sovietici pensavano che la responsabilità del nazismo fosse da far risalire ai “capitalisti”: soppressi questi i vecchi partiti potevano risorgere nel quadro di una “alleanza antifascista del fronte popolare”7. Nell'aprile 1946 i sovietici impongono nella zona da loro controllata la fusione tra socialdemocratici e comunisti che da i natali al Partito socialista unitario (Sed). Nel bimestre settembre-ottobre 1946 si tengono tornate elettorali amministrative. Nel 1948 scoppia la prima crisi di Berlino (divisa anch’essa in quattro parti controllate dagli Alleati) sintomo della sempre maggiore tensione derivante dall'ormai inevitabile Guerra fredda8: i sovietici isolano la vecchia capitale tedesca volendo impedire la circolazione del marco occidentale nei territori di loro competenza. Le truppe di Mosca avevano realizzato una reale "cintura sanitaria" a quella parte di Berlino controllata dagli occidentali rendendole difficile il rifornimento alimentare e sanitario. Si era sull'orlo di un nuovo conflitto che, anche per la minaccia degli Stati Uniti d'America di fare ricorso all'arma atomica, quando le potenze occidentali (tra cui gli stessi Usa) realizzarono un "ponte aereo" che permise la sopravvivenza di Berlino fino al maggio 1949 quando i sovietici posero fine alla loro azione repressiva. Il 23 maggio 1949 si promulga la Legge fondamentale della Repubblica federale (Grundgesetz): non si tratta di una vera e propria costituzione, che i tedeschi decidono di redigere solo quando saranno di nuovo uniti 6 E. J. Hobsbawn, Il secolo breve – 1914/1991 -, p. 333. P. Pombeni, op. cit., p. 441. 8 E. J. Hobsbawn, op. cit. ,p. 298. 7 238 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Il 14 agosto del 1949 si svolgono le prime elezioni nella Rft che vedono la vittoria dei democristiani di K. Adenauer che, il 15 settembre dello stesso anno, forma i suo primo gabinetto di centrodestra (con i liberali e altri partiti conservatori come quello degli immigrati) relegando i socialdemocratici di K. Schumacher all'opposizione: la Rft comincia ad essere inserita nel blocco economico e militare occidentale proprio grazie all'azione del cancelliere democristiano. Nella Ddr si forma un governo guidato dal comunista Grotewohl con la partecipazione in forma di partner di minoranza (e di rappresentanza simbolica) di democristiani, liberali e contadini: la Ddr viene inserita nel blocco orientale. La separazione della Germania è sancita ufficialmente dai fatti e la storia interna dei due paesi sarà differenziata fino al 1990, anno della riunificazione. Uno dei principali problemi della nuova Germania post-bellica fu rappresentato dalla denazificazione9,ottenuta anche attraverso una diffusione di un senso di colpa collettiva; questo è un aspetto peculiare della vicenda post bellica tedesca che differisce con quanto avvenuto in altri paesi (si veda la rimozione della colpa come è avvenuto per molti casi in Austria o facili revisionismi come in Italia10). Nella Rft si assiste ad un forte rilancio dell'economia grazie all'azione del ministro democristiano L. Erhard. Adenauer e Erhard agiscono all'insegna del classico interclassismo dei partiti cristiano-democratici basata sul rilancio dei consumi e caratterizzato da una rilevante attenzione agli aspetti solidaristici e sociali. La politica estera della Rft, invece, fu segnata per tutti gli anni cinquanta dalla cosiddetta "dottrina Hallstein"11 che, teorizzata dall'omonimo sottosegretario agli Esteri Walter Hallstein, prevedeva che la Repubblica Federale fosse l'unico stato autorizzato a 9 P.Collotti, Le due Germanie 1945-1968, Einaudi, Torino 1968, p. 293 P. Ignazi, L'Estrema destra europea, il Mulino, Bologna 1994, p. 131 e pp 170-171. 11 L. Molinari, art. cit., in www. cronologia. it. 10 239 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. rappresentare "il popolo tedesco nella sua pienezza ", da ciò derivava "il non riconoscimento della Ddr e la rottura con i Paesi che invece avessero riconosciuto la Germania Est ." Tale sarebbe rimasta la politica estera tedesco-federale fino all'ascesa della leadership socialdemocratica di W. Brandt. Nel 1961, anche a seguito delle rivolte avvenute nel 1953 nella Ddr e la "Seconda crisi di Berlino" (1957) causata da contrasti tra occidentali e sovietici sulla dislocazione delle truppe occidentali nell'ex capitale della Germania, la parte sovietica di Berlino viene isolata con la costruzione del famoso e famigerato "Muro" che, fino al suo abbattimento (1989), ha rappresentato al divisione dell'Europa a causa della "cortina di ferro." Per quanto riguarda la cultura che si sviluppa nel dopoguerra in Rft, importante è la nascita del Gruppo 47, gruppo letterario fondato appunto nel 1947.Il gruppo ha avuto un certo potere editoriale, ma è sempre stato guardato con sospetto dalla politica ufficiale della Bundesrepublik di Adenauer, per la quale era estremismo anche la semplice volontà di rinnovare l’aria stagnante ereditata dall’esperienza del dodicennio nazista.12 I primi tentativi di affrontare il passato nazista e la realtà della guerra compiuti dai drammaturghi e dai narratori non avranno seguito: quelle realtà sono socialmente e sistematicamente rimosse. L’inizio della guerra fredda dispensa poi i tedeschi dall’obbligo morale di riflettere sul loro coinvolgimento nel nazismo.13 Negli anni Cinquanta si inizia anche nel cinema ad affrontare la storia passata con i suoi fantasmi. Quasi nessuna pellicola cerca di ricostruire un’unità nazionale, né tantomeno affronta direttamente il disagio collettivo dovuto dalla colpa imposta dai vincitori14. 12 La Germania dell’ovest ( Repubblica federale tedesca ) nel 1945 – 1989, in www. girodivite. it. ibidem 14 Imbert Schenk, Cinema tedesco occidentale 1945 – 1960, in G. P. Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale, pp.651 – 679. 13 240 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Una pellicola come quella presa in analisi è il risultato ovvio di tutti questi processi: è prodotta da un governo democristiano e affronta proprio un episodio legato alla Chiesa in cui i Tedeschi si sono particolarmente distinti. C’è il vanto di aver messo in salvo l’immenso patrimonio morale e artistico di Montecassino, di aver condotto al meglio le battaglie sul fronte. Ma i soldati qui proposti sono trattati come vittime della crudeltà della guerra e del governo nazista. Non esiste una responsabilizzazione delle truppe tedesche in tutta questa vicenda, ma solamente il tentativo di far ricadere tutta la colpa della violenza sugli alti ranghi germanici, trattando i soldati della Wehrmacht come del tutto estranei agli ideali nazisti e, come si vedrà nel film, assolutamente contrari alla guerra. E’ naturale quindi che in un periodo come quello degli anni ’50 in Germania, mentre si stava compiendo il cosiddetto “miracolo economico” e il riarmo postbellico, un film come I diavoli verdi di Montecassino potesse essere utile per risollevare l’opinione sulle responsabilità della guerra e per far capire che i soldati tedeschi erano capaci anche di gesti estremamente nobili. Copertina della scatola della pellicola in super 8 241 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 11.4.2. Analisi del film Introduzione Il film parte con l’inquadratura di aerei in primo piano, inseriti tra il titolo del film e i titoli di testa, che sganciano una grande quantità di paracadutisti. L’immagine, ripresa in lontananza, continua anche sotto alla lunga lista di titoli. Sono proprio i paracadutisti tedeschi ad essere soprannominati “Diavoli verdi”, e si capisce fin dall’inizio che saranno loro i protagonisti dalla storia che sta incominciando. Sotto il regime nazista, due organizzazioni paramilitari, la Flieger – HJ e la NSFK, addestravano molti giovani, con la copertura di attività sportive. Nel 1935 il Landespolizeigruppe Herrman Goering fu annesso alla Luftwaffe, mentre nel 1937 l’esercito tedesco formò la prima compagnia di fanti paracadutisti (Fallschirm Infanterie Kompanie) mentre nel 1938 la compagnia si allargò a battaglione.15 I paracadutisti tedeschi presero parte a buona parte delle battaglie durante tutta la seconda guerra mondiale e furono lodati anche dai comandanti nemici per a loro preparazione.16 Ritornando al film, subito viene inquadrata la città di Avignone e una voce fuori campo introduce e spiega la situazione: “ Nell’estate del 1943 il I Reggimento paracadutisti fu trasferito dal fronte russo ad Avignone per un periodo di riposo, un riposo che preludeva l’invio del reggimento su quello che sarebbe stato il fronte più tragico della guerra italiana.” 15 J.Y. Nasse, Diavoli verdi. Paracadutisti tedeschi 1939 – 1945, pp. 6 – 14. IL generale alleato Alexander, commentando lo spirito combattente dei parà tedeschi, scrisse : “ Al mondo non vi è altra truppa che difenderebbe le proprie posizioni con tanto coraggio e ostinazione. Questi sono uomini audaci e ben addestrati, temprati da numerose missioni e campagne militari.” In J.Y. Nasse, op. cit., p. 113. 16 242 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Analizzando storicamente i fatti, si può apprendere che il I Reggimento paracadutisti combatté in Russia a Leningrado (settembre – dicembre 1941), a Smolensk (ottobre 1942 – aprile 1943)17, per poi essere trasportato in Francia per un periodo di riposo, dapprima in Normandia, poi nella zona di Avignone18. I parte : Avignone Nella prima parte, come già annunciato durante l’introduzione, i militari tedeschi del I Reggimento19 si trovano ad Avignone(figura 1) in attesa di ripartire per un nuovo fronte. I soldati passano il loro tempo tra dovere e piacere. Figura 1. Veduta di Avignone La prima sequenza parte con due militari tedeschi ( uno è un tenente ) che guardano verso l’alto. La cinepresa segue il loro sguardo e riprende nel cielo prima molti paracadutisti, poi alcuni aerei. Si passa poi all’interno di uno di questi velivoli, dove i paracadutisti sono seduti al loro posto e passati in rassegna da una serie di primi piani. 17 J.Y. Nasse, op. cit., p. 56. J.Y. Nasse, op. cit., p. 83. 19 Il I Reggimento di cui si parla faceva parte del I Battaglione, detto Battaglione Bohmler, guidato dal Maggiore Generale Ludwig Sebastian Heilmann, che parla delle vicende dei paracadutisti tedeschi in I paracadutisti tedeschi, tratto da “Der Deutsche Fallschirmjager”, Aprile 1952, in www. dalvolturnoacassino. it. 18 243 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La scena è caratterizzata dal solo rombo degli aerei, i soldati si alzano, si preparano al lancio e si gettano attraverso il portellone. Le immagini di questi uomini che si lanciano nel vuoto sono probabilmente immagini documentarie, in quanto la pellicola usata risulta diversa ad occhio nudo, mentre una sola inquadratura è girata per il film in analisi e montata in mezzo alle altre: si tratta di un personaggio che si rivelerà molto importante nell’economia della storia e che qui è ripreso a figura intera mentre si appresta a lanciarsi nel vuoto. Un paracadutista scende senza aprire il paracadute, il punto di vista è quello di chi è rimasto sull’aereo e l’uomo diventa sempre più piccolo a mano a mano che si avvicina al suolo, creando la suspense e l’attesa per la sua caduta. I due militari a terra con un binocolo assistono alla scena. La seconda sequenza è ambientata in un ospedale militare. Due ufficiali scendono le scale, uno è il tenente, l’altro è un medico, chiamato da un terzo uomo, in cima alla scalinata, per fare una radiografia ad un paracadutista che si è impigliato nelle corde del suo paracadute: si chiama caporale Christiansen. Avvisa l’infermiera Inge. Il medico le presenta il tenente Reiter e, dopo entrano nella stanza dove il caporale li aspetta (figura 2). Figura 2. Il primo incontro fra l'infermiera Inge e il caporale Christiansen 244 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. E’ lo stesso soldato inquadrato sul bordo dell’aereo per lanciarsi. Inizia un dialogo tra medico e paziente: il primo chiede come mai un caporale era in mezzo alle reclute in esercitazione, il secondo risponde che era già stato in fanteria e comandava un reparto, essendo allievo ufficiale. Da subito quindi si configura la pericolosità delle azioni di questi uomini, che mettono a repentaglio la loro vita ad ogni lancio. La stanza è buia, la cinepresa inquadra il particolare del torace illuminato dai raggi x, in una scena che riprende molto lo stile espressionista tedesco. Le vicende di questa prima parte sono tutte storie comuni di uomini che per poco tempo possono assaporare un po’ di tranquillità, prima di ripartire per un fronte a loro ancora ignoto. Nella terza sequenza Inge nota in un ristorante il caporale Christiansen in difficoltà nel tagliare del cibo nel piatto. Si avvicina a lui e dopo averlo salutato si siede e lo aiuta. In un vicolo lì vicino un gruppo di soldati ubriachi cercano di abbordare una prostituta.Dal buio arriva un altro gruppo di militari che rimproverano i primi e ordinano loro di ritornare subito in caserma Il tenente Reiter arriva in automobile ed illumina con i fanali i due gruppi, in un’immagine molto contrastata, quando un soldato del secondo gruppo giunto in loco si avvicina e gli dice che sono stati mandati per far rientrare tutti in caserma, in vista della partenza per il fronte, il giorno successivo alle 4.00. L’ufficiale chiede se si sa la destinazione, ma l’altro uomo informa che tutto è ancora imprecisato, solo una soffiata ha ventilato l’ipotesi che la destinazione fosse l’Italia. Nel frattempo prosegue il dialogo dei due al ristorante. Christiansen spiega ad Inge che è stato declassato perché si è rifiutato di obbedire all’ordine di uccidere una persona a 245 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. sangue freddo, alla stregua di un assassino. Per questo non gli importa nulla di quello che succederà, paragona se stesso all’orologio rotto che porta nel taschino, ma l’infermiera gli chiede di darlo a lei per portarlo ad aggiustare. E’ importante notare come da subito il soldato tedesco abbia una caratterizzazione positiva agli occhi di chi guarda. Egli dichiara di trovarsi in contrasto con le richieste più crudeli e ingiustificate del Reich, a costo di compromettere la propria carriera e la propria sicurezza.20 Nella quarta sequenza il tenente Reiter si affaccia a una finestra. Guarda giù e vede, su una scalinata di fianco ad una chiesa, tre bambini in costume di scena che cantano una canzone tipica, “…tre giovani tamburini tornarono dalla guerra…”, che diventerà il leitmotiv di tutto il film. La canzone popolare francese parla della guerra ma si crea un forte contrasto in quanto a cantarla sono dei bambini. Nello stesso momento passano Inge e il caporale, si fermano vicino ad un banchetto che vende bambole e carillon. L’uomo ne regala uno alla donna, dichiarando subito i suoi sentimenti, in un gesto romantico e simbolico, che neanche una situazione estrema come la guerra riesce a cancellare. La serata è tranquilla, il cielo è limpido, e tutto questo crea contrasto con quello che sta succedendo sui vari fronti e che tra poco toccherà anche i protagonisti della storia. Viene poi di nuovo inquadrato il tenente alla finestra mentre li guarda, una donna arriva alle sue spalle. L’ufficiale rientra ed inizia un dialogo con la donna. Lui sembra preoccupato mentre lei non vuole lasciarlo partire e si getta fra le sue braccia. Dopo una dissolvenza viene inquadrato un fiume , è buio, e Inge e il caporale passeggiano mentre in sottofondo resta la musica dei tre tamburini. 20 L.L. Ghirardini, op. cit., pp. 102 – 103. 246 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La quinta sequenza si svolge in caserma. Un militare in piedi chiama per nome tutti i soldati e da loro indicazioni su dove devono recarsi per partire. Entrano Inge e il caporale, subito viene detto a lui dove deve andare, “si parte per il fronte”. Inge domanda: “Si sa dove ci mandano?” ( anche lei quindi partirà per il fronte ), mentre la voce fuori campo del militare risponde: “ Lo Stato Maggiore vuole farci una sorpresa” . La sequenza si chiude con i primi piani alternati di Inge e Christiansen, che si guardano, lui la ringrazia ma subito viene spinto via da un altro militare di fretta. II parte : Italia La prima sequenza parte con una voce fuori campo che spiega la situazione: “ Così il Primo Reggimento giunse in Italia, coprì la ritirata alle forze dell’Asse dalla Sicilia alla Calabria. E infine, quando il fronte si stabilizzò sul Volturno sotto la spinta degli Alleati, il Primo Reggimento costituì il primo velo di resistenza sul fiume.” I paracadutisti tedeschi furono infatti protagonisti delle battaglie in Sicilia e un reggimento inviato dalla Francia meridionale fu lanciato a sud di Catania per correre in aiuto delle forze già presenti sul luogo a combattere l’avanzata alleata, che proseguì però senza troppi indugi fino ad arrivare a quella che sarà la linea Gustav.21 Le immagini che scorrono sullo schermo sono di chiara origine documentaria. La sequenza inizia con la vista del cielo popolato di aerei che sganciano un gran numero di paracadutisti, uno dei quali viene inquadrato fino a quando non giunge a terra. Il territorio tutto intorno è montagnoso e caratterizzato dallo scoppio di numerosi ordigni, che influenzano il movimento di macchina. Subito dopo un soldato è in una buca del terreno e si appresta a sparare, altri militari sono coricati per terra. Un militare spara, 21 . Una particolarità: a Catania i Diavoli verdi si trovarono di fronte ai paracadutisti inglesi della I Parachute Brigade, che venivano soprannominati Diavoli rossi . J.Y. Nasse, op. cit., p. 99 247 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. mentre vicino ad una strada si notano delle esplosioni che provocano fumo e polvere. Altri soldati in primo piano sparano, inquadrati da diverse angolazioni, mentre in sottofondo si ode solo il frastuono di bombe e proiettili. Due soldati, questa volta a figura intera, corrono verso la cinepresa. Viene poi inquadrato un caseggiato circondato da alberi vicino al quale scoppia un ordigno. Viene ripresa un’azione tra le vie di un centro abitato, dove i soldati corrono e cercano riparo tra le macerie delle case che sono appena state bombardate. 22 Un soldato alza la testa in primo piano, mentre il territorio in lontananza si vede continuamente martoriato dalle deflagrazioni, che in una inquadratura successiva si fanno più vicine. In un piano sequenza la macchina da presa segue la successione delle bombe che esplodono e si ferma su due soldati nascosti tra le rocce. Nel momento in cui i due alzano la testa si può notare che il montaggio delle immagini documentarie è terminato, perché si riconoscono il caporale Christiansen e un altro militare, che esordisce dicendo: “ E pensare che qui ci si viene in viaggio di nozze!”. E’ una battuta ironica che serve però a delineare la gravità della situazione. La guerra si mostra da subito in tutta la sua violenza, sia nei filmati documentari che nel film vero e proprio Un soldato accosciato chiede ai due se tutto è a posto, i due annuiscono e uno di loro si alza e inizia a correre. Sullo sfondo il paesaggio è montagnoso, tipico della zona intorno alla città di Cassino, si avvicina per soccorrere un suo commilitone che sembra ferito (Hugo), mentre alle loro spalle si notano altri soldati. In un’altra inquadratura tre soldati saltano da un muretto e si nascondono dietro di esso. Un tenente chiede se il cavo è stato danneggiato, una voce off risponde negativamente, allora un soldato da ordine al di là del muro di ripararsi, mentre il tenente ordina: 22 Questo tipo di immagini, molto utilizzate nei film di genere bellico, sono in realtà abbastanza generiche, non si può provare che siano realmente riferite alla battaglia in questione. 248 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. “Contatto!”, dando il via con un movimento del braccio. In primo piano vengono inquadrate due mani che ruotano una manopola e subito dopo un grande ponte con archi viene distrutto dalle cariche esplosive. Il rumore dell’esplosione è forte e molto fumo si solleva con lo scoppio. Le immagini si susseguono veloci e il ritmo sostenuto crea un senso di drammaticità, mostrando in un breve arco di tempo una sequenza di numerosi e tragici avvenimenti. I soldati sono al riparo tra le rocce e la vegetazione, le loro voci e i loro commenti restano in sottofondo, come se il fragore delle bombe avesse attenuato qualsiasi altro rumore, mentre i tre in primo piano aspettano a parlare. Poi il soldato che si trovava con il caporale dice: “Sopra di noi lo splendido cielo d’Italia, davanti a noi la verdeggiante valle del Volturno – la cinepresa fa una panoramica sulla vallata (figura 3) -. Ho il presentimento che ci resteremo per un pezzo qui.” Ancora ironia, che crea però il senso del dramma che i soldati stanno vivendo e un presagio sulla lunghezza delle azioni che avverranno in questa zona.23 Figura 3. Panorama sulla valle del Volturno In un’altra inquadratura due soldati a figura intera camminano passando dietro ad una pianta e uno dice, riferendosi alle parole dell’altro militare: “Questa volta l’ha detta 23 Solo per quanto riguarda la battaglia di Cassino, i combattimenti durarono da Gennaio a maggio del 1944, ma i combattimenti sulla linea Gustav durarono molto più a lungo. V. Rossetti, La battaglia di Cassino, in www. dalvolturnoacassino. it. 249 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. giusta, al punto in cui siamo non c’è dubbio…” L’immagine si oscura e lascia il discorso non finito. La seconda sequenza si svolge in un interno, in un palazzo antico. Molti ufficiali sono riuniti in una sala24 e chi parla riprende le parole interrotte del soldato che chiude la sequenza precedente. Inizia infatti dicendo: “ … che le nostre posizioni lungo il Volturno potranno essere mantenute, dovremo fortificarle rapidamente, con tutti i mezzi a nostra disposizione.” La cinepresa inquadra un ufficiale di spalle vicino alla porta. Raggiunge un gruppo di graduati tedeschi, chi parla ha dietro di sé una grande carta geografica. Viene in seguito inquadrato un anziano ufficiale25 (figura 4) che inizia in primo piano un lungo discorso: “ Signori, gli ordini dello Stato Maggiore sono di resistere ad oltranza su questa linea fino all’impossibile – l’uomo si dirige verso un gruppo di ufficiali che lo ascoltano vicino ad una carta geografica-. Motivo: dobbiamo impedire che gli Alleati occupino la capitale italiana e inoltre, cedendo su questo fronte,- la cinepresa inquadra la carta geografica all’altezza dei luoghi di cui si sta parlando, dando anche allo spettatore la possibilità di collocare nello spazio l’azione che si sta svolgendo - dovremo ritirarci sulla pianura padana.26 Qui, con caposaldo a Cassino, che verrà presto evacuata da tutta la popolazione civile27, farà perno la linea fortificata Gustav 28 . In tal modo bloccheremo la via Casilina, la strada per Roma, al 24 Nell’Articolo del Colonnello Schlegel per Die Osterreichische Furche ( Vienna, 3 Novembre – 1 Dicembre 1951 ) si legge che, ai primi di ottobre 1943, il generale Conrad, Comandante della divisione Hermann Goering, chiamò a raccolta i capi di Reggimento e i comandanti di Brigata e, con una carta topografica in mano, indicò i punti dove si sarebbe dovuto creare un fronte di resistenza. In E. Grossetti – M. Matronola, op. cit., pp. 211 – 212. 25 E’ il generale Conrad. 26 Come avverrà in seguito con la costruzione della Linea Gotica. In Liddel Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale, pp. 754 – 759. 27 Il primo bombardamento sulla città di Cassino ebbe luogo già il 10 settembre del 1943, secondo la relazione di don Angelo Pantoni, contenuta in Grossetti – Matronola, op. cit., p.10. 28 Grazie alla mobilità, all’audacia e all’ostinazione dei paracadutisti tedeschi, Kesselring riuscì a costruire lentamente la Linea Gustav, che nell’inverno del 1943 bloccò gli Alleati mentre le forze tedesche si ritiravano dall’Italia. In J.Y. Nasse, op. cit., p. 107. 250 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. nemico. Questo sarà certamente l’epicentro della lotta, l’accesso alla vallata del Liri, dove le armate anglo- americane sarebbero in grado di manovrare a largo raggio con i mezzi corazzati – inizia una serie di primi piani di ufficiali che ascoltano chi parla, e di altri soldati dietro di loro-. Inoltre al nord la vallata è dominata dal monastero di Montecassino, che assume quindi un’importanza strategica di prim’ordine.” Viene inquadrato un altro graduato in primo piano29 (figura 5), dietro a lui si trova una carta geografica dell’Europa; l’uomo si mette gli occhiali e si gira a sinistra. La cinepresa va ora ad inquadrare un disegno, appeso al muro, rappresentante il monastero sulla collina . Il colonnello Schlegel avrà una grande importanza nelle vicende legate al monastero di Montecassino, per questo il suo viso, già da subito, viene accostato all’immagine del monastero. Figura 4. Il generale Conrad Figura 5. Il colonnello Schlegel Un altro ufficiale replica: “ Luogo ideale per installarci un osservatorio per l’artiglieria”. Schlegel resta davanti al disegno in primo piano, in secondo piano l’ufficiale anziano cammina mentre parla ,continuando il suo discorso: “ Sì, sarebbe molto utile, infatti, ma 29 E’ il colonnello Schlegel. 251 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. gli ordini dello Stato Maggiore ci impongono di escludere il monastero dal nostro sistema difensivo.” 30 Alle ultime affermazioni si leva una voce di protesta, allora l’uomo si gira verso chi ha parlato e gli ricorda che il loro unico compito è quello di eseguire gli ordini senza discutere (figura 6). Poi chiama un altro militare e gli ordina di leggere il comunicato arrivato dallo Stato Maggiore. L’uomo prende il foglio tra le mani e legge: “ Dovete inoltre ricordare che lungo il perimetro approssimato del monastero saranno tassativamente proibiti lavori di fortificazione, non bisogna dare al nemico alcun motivo per bombardare un luogo che rappresenta un monumento universale di civiltà, di cultura e di arte31.” Ancora una volta il viso di Schlegel viene alternato al disegno raffigurata l’abbazia, continuando a creare un senso di attesa, come se qualcosa stesse per accadere, coinvolgendo sia l’uomo che l’edificio. Figura 6. Il generale Conrad tra gli ufficiali tedeschi 30 Il 24 ottobre 1943 Hitler affidò il comando di tutte le truppe tedesche in Italia al Feldmaresciallo Kesselring. Questo nominò Frido von Senger und Etterlin comandante del XIV Panzerkorps sul fronte per la difesa di Roma, circa 75000 uomini inquadrati in cinque divisioni. Von Senger, fervente cattolico e membro laico dell’Ordine di San Benedetto, ordinò da subito di costituire una zona neutrale intorno al monastero, che non doveva essere coinvolto nei combattimenti. In Cassino 1944: un’abbazia all’inferno,p. 47 – 51. 31 Cassino, 1944: un’abbazia all’inferno, pp. 47 – 51. 252 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Fuori campo si ode la voce del generale Conrad, che termina il suo discorso: “Già, dipende da voi, signori, mantenere le linee attualmente occupate finché la linea di resistenza Gustav, ai lati di Montecassino, non sarà finalmente ultimata.” Una dissolvenza chiude la sequenza. Nella terza sequenza i profughi risalgono la collina verso il monastero. Nel diario di Don Tommaso Leccisotti si apprende che l’afflusso di profughi verso il monastero iniziò dopo il 10 settembre, quando fu presa di mira la città di Cassino 32. Il paesaggio è soleggiato, la terra è secca e polverosa, l’atmosfera trasuda calore, che rende ancora più duro il cammino di quelle persone. Con una dissolvenza la macchina da presa si fissa su una coppia con un carretto trainato da un asino: l’indugiare su di loro fa supporre che avranno un ruolo importante nell’economia della storia (figura 7). Figura 7. La coppia col carretto All’arrivo al monastero la musica da cupa e carica di suspense diventa quella di un organo che intona un Alleluia, come se il traguardo raggiunto fosse una sorta di terra promessa dove il popolo degli sfollati può finalmente ripararsi e trovare asilo al sicuro. Ancora una dissolvenza chiude la sequenza e sposta l’azione all’interno dell’ abbazia, dove si svolge la quarta sequenza.Queste dissolvenze, come si può notare, servono 32 E. Grossetti – M.Matronola, op. cit., p.134. 253 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. generalmente per passare da un luogo all’altro o da un momento all’altro, ma senza un taglio netto. I profughi entrano in una grande sala, tutta a volte e colonne. In avanti vengono le donne e i bambini, i soggetti più deboli e indifesi, dalla parte opposta gli uomini. Una donna con due bambini sbagliano direzione, poi un monaco li recupera e li manda nel luogo giusto. Lo spaesamento delle persone all’arrivo è evidente e lascia trasparire il senso di paura e confusione che provano. Viene inquadrata la fila delle donne con i loro bambini, un monaco è alla fine della coda, e giunge poi ad un tavolo dove un’infermiera, di spalle, aiutata da un altro monaco, sta vaccinando dei bambini. In primissimo piano due mani si scambiano una siringa. L’inquadratura passa davanti al tavolo, l’infermiera è Inge,33 qui sta facendo un’iniezione ad un bambino che piange, aiutata da un religioso, e per consolarlo gli offre del cioccolato (figura 8). Figura 8. L'infermiera vaccina i bambini Dietro di loro c’è una grande folla di civili, dietro ancora le arcate del monastero. Il bambino tocca l’orologio che Inge porta al collo, quello donatole dal caporale Christiansen. La donna inquadrata all’esterno col carretto fa un balzo in avanti, spinge 33 Nei testi consultati, specialmente i diari dei monaci di Montecassino, precisi e ricchi di particolari anche per quanto riguardava i loro rapporti con i militari tedeschi, non si trova nessuna annotazione riguardo al fatto che i detti soldati si occuparono di vaccinazioni o altre distribuzioni di farmaci. 254 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Inge e inizia ad accusarla: “ Voi maledetti, siete tutti maledetti,vi siete intrufolati dappertutto, siete entrati nelle nostre case e ci avete buttati come cani in mezzo alla strada…” Alla fine va a calmarla l’uomo che c’era con lei. La donna ruba l’orologio ad Inge e la accusa di averlo a sua volta rubato, mentre alle sue spalle arriva l’uomo, riprende l’orologio e lo riconsegna all’infermiera. Anche quando non si vedono più, continua a sentirsi la voce della donna che strilla. Questa scena è importante per delineare il carattere dei personaggi: l’infermiera si dimostra subito un personaggio estremamente positivo, che aiuta i disperati accorsi al monastero, e di riflesso ci si può aspettare che anche i soldati tedeschi arrivati in Italia con lei siano altrettanto buoni. Per contro l’altra donna si dimostra come un elemento di disturbo, carattere che manterrà nel corso di tutta la pellicola. La cinepresa torna ad inquadrare Inge, che continua nella sua opera. La bottiglietta mezza vuota contenente quel che resta del vaccino fa intuire che la donna ha lavorato tutto il giorno per aiutare i bambini sfollati da Cassino. Inge, per volere del maggiore medico, regala la bottiglietta al monaco che si trova con lei, continuando ad accrescere l’aspetto positivo dei militari tedeschi. All’esterno, nella loggia del Bramante, Inge, di spalle, ammira il luogo, mentre il monaco la segue guardandola. Entrano in una porta (figura 9), sulle pareti della stanza ci sono nicchie con statue e quadri. Montecassino è un importante centro artistico, si capisce da subito, e la donna resta ammirata da tanta bellezza. Il frate si chiama Don Emanuele34 e dice di essere da quattro anni a Montecassino, prima era in Germania a Beuron. La donna commenta: “Una milizia anche la vostra, eh?”, facendo probabilmente riferimento al fatto che sia i militari che gli ecclesiastici 34 E’ don Emanuele Munding, monaco beuronense di stanza a Montecassino da qualche anno, che compare nei diari dei monaci già citati e che grazie al fatto di parlare la lingua tedesca, fu molto utile come interprete . Grossetti – Matronola, op. cit., p. 24. 255 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. hanno una precisa missione da compiere e in questo caso la missione è la stessa: aiutare i profughi di Cassino. Figura 9. L'infermiera Inge e don Emanuele Munding Guardano fuori dalla finestra, dove è tornato il sole. Inge si volta e guarda in avanti con aria stupita: ci sono dei quadri accatastati vicino ad una parete. Inge fuori campo riconosce un bozzetto di un quadro di Rubens (figura 10)che si trova a Monaco (la donna si è dimostrata fin dall’inizio, durante il soggiorno ad Avignone, appassionata di arte). Figura 10. Il bozzetto del quadro di Rubens Don Emanuele le dice che, se ci tiene, può chiedere ai suoi superiori di mostrarle tutti i tesori del monastero. Quelli presenti nella stanza sono quadri del museo di Napoli portati lì per salvarli dal vento del sud, ma al monastero giunsero anche le casse di Sua 256 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Altezza Reale il Principe di Piemonte, quelle del Museo Numismatico di Siracusa e il “Tesoro” di San Gennaro35. La quinta sequenza si svolge in una trincea, dove alcuni soldati stanno lavorando (figura 11). Altri arrivano e si abbassano sotto il fuoco nemico. L’uomo che arriva è un maggiore e dice che ha dovuto fare un baccano d’inferno per avere il materiale adeguato, e che “da quando hanno affidato il comando al vecchio Schlegel funziona benone”, dopo aver appreso che anche le munizioni arrivano in abbondanza. 36 Figura 11. Scena in trincea I soldati che lavorano alla costruzione delle trincee, essendo l’azione ancora ferma all’autunno del 1943, sono probabilmente impegnati nella costruzione della linea Gustav. Già all’inizio di ottobre infatti le truppe alleate si trovarono di fronte nella loro risalita verso Roma ad una barriera insormontabile che correva per lo più lungo la valle del fiume Volturno. E in questa zona si combatté proprio la cosiddetta battaglia del 35 Grossetti – Matronola, op. cit., pp. 19 – 20. In realtà Il colonnello Schlegel era un ex comandante di brigata della Herrman Goering, ma al momento in cui si svolgono i fatti non lo era già più. 36 257 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Volturno, a cui presero parte anche le truppe tedesche del battaglione Herrman Goering37, ma non i paracadutisti. La sesta sequenza inizia con l’inquadratura di un braccio stretto dalla fascia di uno sfigmomanometro, mentre un’altra persona sta manovrando l’apparecchio. La cinepresa sale e inquadra i due uomini in questione: si scopre tramite il dialogo che il paziente è il colonnello Schlegel (lo stesso uomo che, durante la riunione degli ufficiali, aveva indossato gli occhiali per guardare il disegno raffigurante Montecassino). Il medico lo avvisa che il responso è quello previsto e, dopo avergli chiesto se era lui a comandare il reparto rifornimenti, passa alla sua destra e gli leva l’apparecchio. Schlegel gli chiede più precisione sul suo stato di salute e il medico gli comunica di presentare le dimissioni al generale, di fare gli auguri a chi lo sostituirà e di tornare a casa. Schlegel con espressione felice si riveste. Guarda verso terra e subito viene inquadrato il suo cagnolino. Il dottore si avvicina al colonnello, dietro di loro una porta si apre improvvisamente: un uomo entra a chiamare il medico per un’urgenza. Schlegel, sorridente, finisce di prepararsi mentre il suo cane lo guarda, poi abbassa lo sguardo e in primo piano si rivolge all’animale: “Torniamo a casa!”. Fa cenno col capo di uscire, il cane si alza ed esce, seguito subito dal suo padrone, dopo aver ripreso il suo cappello. La scena in questione si riferisce sicuramente ad un momento che precede l’inizio di ottobre del 1943. Infatti in quel periodo il colonnello Schlegel si adoperò per salvare il patrimonio storico – artistico dell’abbazia, che nella quarta sequenza si trova ancora nel sacro edificio.38 37 AA.VV., La battaglia del Volturno, in www. dalvolturnoacassino. it. All’azione il battaglione Goering si presentò con quattro battaglioni di fanteria, un nucleo corazzato, numerosi cannoni motorizzati e una contraerea. 38 Grossetti – Matronola, op. cit. 258 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La sequenza continua in esterno: viene inquadrato un arco con davanti dei gradini. A destra sale Inge, a sinistra esce dall’ombra il cagnolino. La donna si china per accarezzarlo , nello stesso momento in cui anche Schlegel raggiunge il centro della scena. Inge si rialza in piedi e alle sue spalle, sulla collina, si distingue il monastero di Montecassino (figura 12). Figura 12. Inge e sullo sfondo il monastero di Montecassino I due iniziano a parlare: Schlegel dice che lui e il suo cagnolino sono felici perché tornano a casa, Inge invece perché ha visto tutte le opere d’arte del monastero. Il colonnello, con espressione tesa, sussurra: “Ma non le avevano portate via?”. Inge, nella sua posizione accosciata, rivela all’uomo che si trovano in quel luogo anche delle opere del museo di Napoli. Schlegel si fa serio. Schlegel guarda verso il monastero, poi guarda il suo cane e gli dice che non partiranno, dopo di ché la macchina da presa finisce con l’inquadrare il monastero. In realtà non è ben chiaro il motivo della battuta di Schlegel riguardo al fatto che qualcuno avrebbe già dovuto portare via il patrimonio del monastero. Infatti, secondo le fonti analizzate, che riprendono sia il punto di vista dei monaci che quello del militare 259 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. tedesco, lo stesso Schlegel si occupò totalmente dell’operazione, dai primi accordi presi con l’abate, ai rifiuti iniziali, allo sgombero delle opere.39 La settima sequenza inizia con una panoramica del paesaggio poco illuminato, si nota solamente qualche albero e terreno incolto. Un soldato tedesco è coricato a terra nascosto e alza la testa per guardare l’orizzonte con un binocolo, si sente solo il rumore degli aerei in lontananza. L’inquadratura successiva è ripresa dal punto di vista di questo militare, ha infatti la forma delle due lenti del cannocchiale: si vede un fiume (figura 13). Figura 13. Il fiume osservato attraverso il binocolo Ritorna quindi una nuova sequenza dedicata alla guerra vera e propria. Due soldati coricati in una tenda al buio, si sente in lontananza il suono di un’armonica (figura 14). Il caporale Christiansen parla con un soldato coricato per terra che sta male. Un altro soldato lo manda via. Gli chiede cos’abbia, l’altro alza la testa e poi si alza in piedi e dice: “A casa non hanno notizie di papà”. Gli accende la sigaretta e gli chiede: “Dov’era ultimamente?”, “Sul fronte russo” risponde il giovane. Il secondo si alza e dice: “Anche mio padre è stato lì, però tre mesi fa è tornato a casa”. Il suo viso è ben in luce e pensoso, lo sguardo perso nel vuoto. Si sente il primo che piange. 39 Grossetti – Matronola, op. cit. 260 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 14. Un soldato suona l'armonica L’atmosfera fumosa e rarefatta della scena serve per creare un forte senso di attesa, come se qualcosa stesse per succedere. Per quanto riguarda i personaggi è importante notare come neanche la guerra riesca ad annullare i rapporti umani che intercorrono fra di loro. In momenti di sofferenza come questo, dove si teme per la vita di una persona cara, anche in trincea si trova un amico con cui parlare, una persona del tutto umana e disponibile come risulta qui questo militare tedesco, assolutamente contro lo stereotipo dei tipici militari tedeschi che il cinema ci ha abituato a vedere. Nell’inquadratura successiva il caporale sale su delle rocce. L’altro soldato corre verso quest’ultimo e gli dice di scendere subito per non farsi ammazzare. Poi lo afferra per le spalle e gli dice: “Ficcati in testa che qui l’unica cosa che possiamo dire è signorsì e sparare a qualche poveraccio che dall’altra riva tira fuori la testa, Karl”40. Si sente urlare “Allarmi!” e i due si girano di scatto. Viene inquadrata in cielo una bomba sganciata di cui si sente anche il rumore. Il soldato scappa tra le trincee mentre dietro di esse si vede lo scoppio, altre esplosioni colpiscono il terreno a destra e a sinistra. Altri soldati corrono nella stessa trincea. La dissolvenza che segue introduce una serie di immagini documentarie della guerra vera e propria. 40 In battute come queste si svela il vero intento del film, cercare cioè di sottrarre i soldati tedeschi da qualsiasi colpevolezza riguardo al loro comportamento in guerra, teso solamente ad eseguire gli ordini provenienti dall’alto. 261 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Viene inquadrato un fiume41, sulle sue rive le deflagrazioni sono numerose e si sente solo il loro frastuono, una barca raggiunge la riva mentre la cinepresa trema per le esplosioni. Vengono poi ripresi diversi mortai e cannoni, che sparano in altrettante direzioni, con o senza soldati inquadrati. Un’altra esplosione avviene sulla sponda del fiume, mentre una barca si sta avvicinando, poi un’altra ancora oscura completamente la visuale con la polvere che produce e fa cadere per terra la cinepresa, che torna poi ad inquadrare il fiume con un’altra imbarcazione. Sull’acqua ancora scoppi e una barca è ancora nel mezzo e non viene distrutta dalla bomba che cade poco distante e raggiunge la riva, inquadrata frontalmente (figura 15). Figura 15. Una barca raggiunge la riva Da questo punto riprende il girato del regista. Un soldato è nascosto dietro a dei massi, mentre il caporale e un altro corrono nella trincea . Il caporale si avvicina a un militare che sta sparando e gli dice di non sparare a casaccio. Oltre la trincea si vedono in lontananza dei nemici che corrono verso di loro. Il caporale compare in primo piano: “Fuoco a volontà!”. Segue poi una carrellata sui suoi compagni che sparano e dall’altra parte i soldati alleati tra i proiettili. Al di là della 41 IL fiume inquadrato è il Rapido, presso il quale si svolse una violenta battaglia nel mese di gennaio del 1944, che costò la vita a circa 1680 uomini della 36^ Divisione Texas. Ma questa battaglia non fu combattuta dai paracadutisti tedeschi, bensì dalla 15^ Divisione Panzergrenadier ( divisione di fanteria ). Oltre all’errore sulle parti contrapposte nella battaglia si nota anche quello della collocazione temporale all’interno del film, nel quale l’azione è ancora ferma all’autunno del 1943. 262 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. trincea i nemici sono in lontananza. Altre inquadrature si susseguono all’interno e all’esterno delle trincee, dove i nemici, urlando, cominciano a cadere sotto il fuoco tedesco. All’interno della difesa due uomini lanciano una bomba a mano e poi si mettono al riparo. Quello di sinistra dice all’altro: “Hanno aperto un varco sulla sinistra, se avanzano ritiratevi” e l’altro continua: “Ci spostiamo sul costone di ghiaia”. Dopo di che il primo si muove per andare al comando. Ancora una sequenza di guerra, quindi, che seppur non del tutto verosimile fa capire la violenza e la crudeltà della guerra, dove ognuno fa quello che può per salvarsi la vita, non senza però pensare anche ai suoi commilitoni. Nella ottava sequenza l’azione si sposta in interno e inizia con l’inquadratura in particolare di un dito che punta su una cartina geografica, poi la cinepresa allarga sul generale anziano già menzionato, Conrad, e su un altro ufficiale. L’espediente della carta geografica, come si è già notato,serve principalmente come aiuto allo spettatore, che attraverso di essa riesce a collocare in modo più preciso gli eventi nei loro luoghi. Il primo dice: “Ecco, qui è il punto nevralgico dove sta Zillert, se non manteniamo le posizioni dopodomani avremo gli Inglesi a Cassino, davanti alle fortificazioni incomplete, allora addio linea Gustav”. Anche questa battuta conferma il fatto che la battaglia non è ancora arrivata a Cassino, anche se ormai i combattimenti si stanno avvicinando sempre di più. Sono vicini alla porta, quando entra un altro soldato dicendo: “Il tenente Reiter del Primo42 chiama sulla linea due”; il generale chiede da dove parla e l’altro gli risponde che si trova al comando di battaglione. Il generale prende in mano il ricevitore. Chiede 42 Primo reggimento paracadutisti 263 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. subito se gli Inglesi hanno messo in azione i carri armati. L’inquadratura passa poi al di là del filo, dove, in una postazione di fortuna, il tenente si trova assieme ad altri uomini (figura 16). Il rumore è assordante e l’ambiente è molto buio, il tenente urla, siamo nel pieno della battaglia: “Non ancora, generale, penso che non riusciranno a farlo43. Se mi riesce stanotte tenterò un attacco di sorpresa per tagliare fuori la loro testa di ponte”. Dopo queste parole la postazione viene raggiunta da un ordigno, il soffitto cade e i soldati si abbassano per mettersi al riparo. Il tenente commenta: “Siamo di nuovo isolati”, poi si voltano di spalle ed escono dalla porta. Figura 16. il tenente Reiter al telefono con il generale Conrad Si torna poi nella trincea, dove Karl sta sparando e un altro soldato lo raggiunge dicendo: “Hei Karl, hanno acceso le stufe!”, indicando a sinistra, dove la macchina da presa inquadra subito dopo nel buio i bagliori dei lanciafiamme. E’ sempre quel soldato che ironizza sulla situazione altamente drammatica e pericolosa che stanno vivendo. Nel trinceramento i soldati dapprima si nascondono, poi scappano, e l’ultimo, girandosi verso la cinepresa, dice: “Qui finiamo arrostiti, via!”, poi toglie la sicura ad una bomba 43 I mezzi pesanti degli Alleati hanno avuto poco utilizzo durante le battaglie su questa linea, sia per la natura del territorio, caratterizzato da aspri rilievi montagnosi, sia per le condizioni climatiche che si svilupparono dall’autunno del 1943, quando una pioggia incessante iniziò a battere sui campi di battaglia. Anche il Generale Clark, nel già citato libro Quinta armata Americana,fa una lunga descrizione delle condizioni climatiche che si trovò a fronteggiare. 264 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. e la lancia. La macchina da presa inquadra all’esterno la deflagrazione di questo ordigno. All’interno si inquadra ancora un soldato che scappa, poi la cinepresa si abbassa verso terra e inquadra, soffermandosi, un militare morto, e precisamente il ragazzo che nelle sequenza precedenti temeva per il padre il Russia. L’immagine della morte risulta essere, per i suoi toni contrastati e per il silenzio che la contraddistingue, molto drammatica e realistica. La sequenza termina con una dissolvenza. Nella nona sequenza molte persone sono inquadrate mentre percorrono a piedi una strada in salita, passa una macchina e la cinepresa la segue, riprendendola da dietro, fino alla fine della strada, dove si trova il monastero. L’automobile si allontana e la cinepresa riprende tutto il piazzale antistante gremito di gente, poi si ferma davanti al portone dell’abbazia (sopra all’arco la scritta PAX è riconoscibile). Scendono dalla macchina il colonnello Schlegel e l’infermiera Inge, mentre l’autista resta seduto. La ragazza alza gli occhi al cielo e dice: “Bombardieri”44, mentre la cinepresa inquadra il cielo popolato di fortezze volanti, si sente solo il loro rumore, e l’ufficiale nota che sono molto bassi. La conversazione fra i due continua giù dalla vettura, mentre Schlegel si sistema la divisa, Inge decide di non entrare e di tornare con l’autista. Il primo dice: “Se l’abate non decide entro oggi non faremo più in tempo; forse ci siamo fidati troppo di padre Emanuele”45, Inge ribatte: “Ma mi aveva promesso il suo appoggio” e l’uomo conclude: “Si vede che non è stata convincente”. 44 Nei diari dei monaci di Montecassino gli avvistamenti di aerei sopra al monastero, in questo periodo, sono quotidiani. Grossetti – Matronola, op. cit. 45 La visita all’abbazia del colonnello Schlegel non è la prima. Secondo l’articolo da lui scritto e già citato e secondo i diari dei monaci, Schlegel è giunto per la prima volta al monastero il 14 ottobre, ottenendo un secco rifiuto dall’abate sulla possibilità di mettere in salvo il patrimonio artistico del monastero; è ritornato il giorno dopo per parlare con don Emanuele Munding, la cui origine tedesca gli avrebbe creato meno difficoltà nello spiegare la situazione e presso il quale avrebbe chiesto intercessione presso gli altri monaci. Ma il via libera definitivo fu concesso solo il 16 ottobre dall’abate, dopo una lunga consultazione con i suoi monaci. 265 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Secondo le cronache dell’epoca, con la visita del colonnello Schlegel al monastero, si possono collocare i fatti intorno alla metà del mese di ottobre, anche se come già accennato il film non è chiaro riguardo alla successione dei colloqui del militare al convento. Chiaramente è da considerare di pura invenzione filmica la presenza dell’infermiera, in quanto, se Schlegel andò a Montecassino con qualcuno, quel qualcuno era il Capitano medico Becker, anch’esso interessato allo sgombero del patrimonio artistico del monastero.46 Entrambi interessati alle opere d’arte, si dichiararono inviati dal generale Conrad, comandante della divisione corazzata Goering e con l’intesa del Ministro dell’Educazione Nazionale.47 Inge guarda in alto ed è poi richiamata dall’autista: “Se quelli prendono di mira la via Casilina qui siamo proprio sotto tiro”. Inge sale e la macchina parte. Di nuovo la vista torna sul piazzale davanti al convento, dove la gente corre verso l’alto, verso il monastero, mentre in senso contrario arriva l’automobile, che viene verso la cinepresa e frena bruscamente proprio quando si trova quasi a contatto. La macchina da presa inquadra una donna, proprio davanti alla macchina, che li ha bloccati. E’ ancora la donna che aveva accusato Inge durante le vaccinazioni, e anche in questa occasione la sua rabbia esplode verso i Tedeschi: “Dove andate? Vi squagliate sotto le bombe!”. Ancora una volta arriva suo marito e la porta via. I due vengono inquadrati mentre scappano, poi si fermano e si girano a guardare la macchina, ma subito dopo riprendono la fuga insieme agli altri profughi verso Montecassino. Si sente solo il rumore delle bombe e degli aerei. Ancora una volta il fatto che ci sia una protesta contro i militari tedeschi è un caso isolato che viene sempre dalla stessa persona, come se tutte le altre 46 F. Ficarra, Cassino 1944. Un’abbazia all’inferno, pp. 31 – 35 e Grossetti – Matronola, op. cit., pp. 19 – 24 e 134 – 141. 47 Gli avvenimenti riguardanti i mesi di settembre e ottobre del 1943 sono trattati soprattutto nel diario di don Tommaso Leccisotti, in Grossetti – Matronola, op. cit, pp. 134 – 141. 266 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. fossero invece dalla loro parte. La donna continua ad essere l’elemento di disturbo del film. La decima sequenza racconta il colloquio tra Schlegel e i monaci di Montecassino. L’abate Diamare è in piedi insieme ad un altro monaco, entrambi in silenzio. Il primo si va a sedere dietro alla scrivania, poi la cinepresa allarga e inquadra altri quattro monaci intorno a lui , mentre Schlegel è di spalle, di fronte all’abate (figura 17). Sul muro dietro ai frati è appeso un grande crocifisso, che nella fattispecie può essere considerato un simbolo della passione che stanno vivendo i monaci dell’abbazia durante la guerra. Figura 17. Incontro tra i monaci e Schlegel Schlegel inizia a parlare: “Le truppe alleate attaccano, la situazione si fa grave, volete insistere ancora nel vostro rifiuto?”48. Successivamente è la volta dell’abate: “Siamo convinti che, come fate voi, anche gli Alleati non toccheranno il monastero”. Schlegel ha il viso preoccupato: “Gli sviluppi di una battaglia sono imprevedibili e incontrollabili. Tutto può succedere perché gli uomini non conoscono ostacoli ne’ pietà quando infuriano i combattimenti.Una bomba potrebbe cadere, cadere qui, sia pure per sbaglio, casualmente, e questo provocherebbe la distruzione di numerose opere d’arte che noi abbiamo il dovere di salvare. Di questo dovete convincervi”. 48 Quindi questa non è la prima visita del colonnello al monastero. 267 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. L’abate è ancora seduto in primo piano: “Noi non neghiamo questa possibilità, ma ci rimettiamo alla volontà del Signore”. Schlegel in primissimo piano: “Acconsentite almeno di lasciarmi portare a Roma quelle opere che hanno maggior valore, lì saranno al sicuro”. Ma l’abate sembra non sentire ragioni: “Ci abbiamo riflettuto su con la più grande serietà tutta la notte, ma la nostra risposta rimane no”. 49 Schlegel replica: “Forse non vi fidate di me50, che possa dirottare i camion verso altri luoghi – sorride - , perché non fare una prova con due camion facendomi accompagnare da due sacerdoti? Loro potrebbero testimoniare dell’avvenuta consegna, no?”. L’abate scuote la testa per negare, poi la cinepresa passa su un primissimo piano del colonnello: “Non ho altro da dire”, ma mentre si sta allontanando si gira e torna a guardare l’abate: “Vi sarei molto grato se non faceste parola con nessuno di questo colloquio”, l’abate preoccupato chiede la ragione e Schlegel risponde: “Avrei dovuto sottrarre dei camion indispensabili ai nostri rifornimenti per poter compiere quel trasporto a Roma, una specie di alto tradimento”. La cinepresa inquadra poi due monaci in primo piano davanti al crocifisso, un altro frate è vicino alla finestra, l’abate guarda ancora il colonnello, che a sua volta lo guarda. Lo scambio di sguardi tra i presenti nella stanza fa capire l’importanza della dichiarazione, che in realtà non ci fu, perché i monaci si sentirono quasi i obbligo verso i militari tedeschi, non potevano disubbidire ai loro ordini.51 Schlegel si inchina, si volta e va via, sempre più lontano. L’abate chiede al colonnello di aspettare un momento e di avvicinarsi a lui; l’ufficiale quindi si volta e l’abate esprime le sue nuove decisioni: “Siete disposto ad accordare un altro termine al convento?”. Un ultimo primissimo piano di Schlegel conclude il discorso e la sequenza: “Se ho imparato 49 Sui colloqui privati tra i monaci Grossetti – Matronola, op. cit., p.19. Il problema e la sua soluzione vengono proposti dal colonnello all’abate e si possono leggere a p. 219 del già citato articolo scritto dal colonnello Schlegel. In E. Grossetti – M. Matronola, op. cit. 51 Grossetti – Matronola, op. cit., pp. 19 – 21. 50 268 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. qualche cosa sotto le armi è questa: è molto meglio agire un giorno in anticipo che un minuto in ritardo. Gradirei una risposta al più presto.” E si conclude con una dissolvenza. Durante tutta questa sequenza le battute principali del dialogo sono pronunciate dai personaggi ripresi in primissimo piano, e questo aiuta a creare l’importanza e la solennità del momento. L’undicesima sequenza è ancora tutta dedicata alla battaglia, che continua però a rimanere imprecisata. Il fatto che si combatta sulle rive di un fiume fa comunque pensare a due episodi particolari: la battaglia del Volturno52, combattuta tra il 7 ottobre e il 15 novembre 1943 e lo scontro sul fiume rapido avvenuto tra il 17 e il 22 gennaio 1944 già nel contesto della battaglia di Cassino53. La prima troverebbe migliore collocazione temporale, dopo aver appurato il fatto che il colonnello Schlegel incontrò i monaci di Montecassino alla metà di ottobre del 1943, ma ambedue le battaglie sono forzate dal punto di vista storico. Infatti i paracadutisti tedeschi non presero parte a nessuna delle due.54 Quattro soldati sono su una barca, è buio e uno di loro dice: “Io penso che se il colonnello porta a casa la pelle, quando torna andrà ai pellegrinaggi”, ma subito un altro lo zittisce per non farsi sentire dal nemico. Le barche presenti nell’operazione sono in realtà due, e vengono inquadrate in controluce in un paesaggio nebbioso, mentre remano silenziosamente (figura 18). Il tenente avverte i suoi uomini: “Siamo vicini, tenetevi sulla destra quando saremo sulle vecchie posizioni”. La cinepresa passa poi ad inquadrare il caporale Christiansen, la barca anteriormente e due soldati, uno dei quali alza gli occhi al cielo, preoccupato, 52 AA.VV. , La battaglia del Volturno, www. dalvolturnoacassino. it. F. Majdalany, op. cit., p. 65. e F. Ficarra, op. cit., pp. 69 – 75. 54 J.Y. Nasse, I diavoli verdi. Paracadutist5i tedeschi 1939 – 1945. Tutte le missioni dei paracadutisti tedeschi sono riportate nel testo, ma nessuna delle due è verificabile. 53 269 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. come per far presagire la pericolosità della missione. La cinepresa segue il suo sguardo e inquadra il bagliore di un razzo sparato nel buio della notte. Figura 18. Soldati a bordo delle barche Si avvicinano silenziosamente alla riva e i militari iniziano a scendere. Dal loro punto di vista viene inquadrata la barca seconda barca con cinque uomini a bordo, mentre il punto di vista si ribalta quando dalla barca si vedono gli stessi soldati scesi a terra che corrono a nascondersi; il punto di vista in questa scena è quindi quello dei protagonisti dell’operazione, e la cinepresa assume il loro sguardo interno, per capire il loro angolo di visuale. Si nota in questa scena che in realtà le barche sono delle zattere. Sulla sponda del fiume i soldati si coricano dietro a costoni di terra, che attraversano all’ordine del tenente di seguirlo. L’azione si svolge in controluce e l’immagine contrastata crea suspense e tensione. La cinepresa passa ora al di là dell’altura, è buio, e gli uomini strisciano per terra per avanzare, i nemici si trovano oltre il nuovo riparo raggiunto. Si sente la voce fuori campo del tenente che da disposizioni su come nascondere i candelotti esplosivi tra i cingoli dei carri armati e poi fuggire verso la riva. Il tenente posiziona il mitragliatore e la cinepresa si unisce al suo sguardo, che osserva i suoi 270 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. uomini avvicinarsi alla postazione nemica. La lotta tra i due gruppi nemici si fa corpo a corpo, come il più classico dei combattimenti e questo dimostra che la superiorità tedesca viene alla luce anche senza l’utilizzo delle armi. Il primo soldato alleato si sposta, mentre uno dei Tedeschi assale quello rimasto fermo. Quando vengono uditi il primo si gira , ma viene aggredito dal secondo soldato tedesco. Segue una scena di lotta a terra tra questi ultimi due. I due nemici vengono inquadrati già senza vita, il dramma aumenta ed è accresciuto dalla vista dei cadaveri. La cinepresa passa sul tenente: “Ora avete un minuto, via!” e si alza. Ora tutti i soldati sono di fronte alla cinepresa con le armi in pugno pronti ad attaccare, come una vera carica eroica che ricorda i film western della Hollywood classica. Un portellone del carro ad un certo punto si apre e un soldato alleato esce con la testa. Un Tedesco si inginocchia per sparargli e la macchina da presa si fonde con il suo sguardo, che comprende, oltre al nemico, anche la canna del suo fucile. Lo sparo provoca subito la morte dell’uomo. Dietro ad un secondo carro armato invece scoppia una bomba. Le deflagrazioni si susseguono numerose e l’inquadratura degli uomini che scappano ripresi da chi guarda oltre la canna del suo fucile è molto simile a quella di poco precedente. Alcuni soldati si trovano sulla traiettoria dei colpi, e uno di questi, colpito, cade nell’acqua. Le immagini che seguono sono ancora di sparatorie, fughe e tentativi di nascondersi. Lo stesso soldato rialza la testa dall’acqua, ma dalla sua bocca esce del sangue e la morte arriva inevitabile. La battaglia continua e si sente la voce del tenente che dice ai suoi uomini di mettersi al riparo. La cinepresa segue la sua corsa insieme al caporale, il tenente trova un riparo e, in primo piano, posiziona l’arma per sparare. Nello stesso momento il caporale continua a scappare, quando sul fiume vengono inquadrate le imbarcazioni. L’uomo sale su una 271 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. barca a motore e la mette in moto, scende per mollare gli ormeggi e risale rapidamente, mentre il tenente, cosciente del fatto, non smette di chiamarlo per nome. Ma Karl, chinato nella barca, se ne va da solo, tra gli spari che colpiscono l’acqua. La sequenza è chiusa dall’oscuramento totale dello schermo. Il ritmo di tutta la sequenza è incalzante, veloce, le immagini si susseguono velocemente e tutto questo crea drammaticità e mostra la velocità con cui si compiono gli eventi che possono decidere la vita o la morte di un uomo. Come si verrà ad apprendere più avanti la battaglia appena narrata è quella del Volturno, combattuta lungo quel fiume tra il 7 ottobre e il 15 novembre 194355, quindi nello stesso periodo in cui il colonnello Schlegel compiva le sue operazioni di sgombero del tesoro dell’abbazia. Se la collocazione temporale del fatto questa volta potrebbe essere verosimile nel contesto del film, è già stato appurato che i paracadutisti tedeschi non parteciparono alla battaglia, dove il battaglione Goering utilizzò solo mezzi e corpi di terra.56 La dodicesima sequenza vede protagonista l’infermiera Inge, che è in divisa nello studio medico e guarda fuori dalla porta a vetri. Si sente bussare alla porta, Inge si gira e si dirige in quella direzione. Entra un soldato e riferisce alla ragazza che il dottore è ancora in sala operatoria, ma che lui stesso ha parlato al medico per lasciarla riposare. Inge spiega all’uomo che non può riposarsi perché il colonnello Schlegel ha bisogno di lei per fare quello che ha in mente e per questo motivo ha sottratto uomini e mezzi ai loro impegni primari. La ragazza si riferisce al trasporto delle opere d’arte dell’abbazia fino a Roma. 55 56 AA.VV., La battaglia del Volturno, www. dalvolturnoacassino. it. Ibidem 272 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La tredicesima sequenza si apre con l’inquadratura delle ruote di un camion in movimento; la cinepresa allarga e passa a riprendere tutto il mezzo che ad un certo punto le passa davanti e continua il suo viaggio inquadrato da dietro, mentre in alto a sinistra dello schermo compare il monastero di Montecassino57. Visto il discorso della precedente sequenza si può intuire che i camion tedeschi stiano arrivando al monastero per caricare le opere d’arte. Dei soldati tedeschi su un camion passano delle casse di legno ai civili che stanno giù perché hanno sbagliato a caricarle (figura 19), poi viene inquadrato l’altro camion e un uomo fuori campo dal primo urla che quelle casse devono trasportarle loro. La gente sotto al primo camion continua a parlare, la cinepresa resta fissa in questa scena, anche quando inquadra il militare sul primo camion che si lamenta del fatto che a lui la pittura non è mai piaciuta, poi gira le spalle e torna all’interno. Figura 19. Militari e civili lavorano al trasporto delle casse Per la costruzione delle casse fu utilizzato del materiale trovato in una fabbrica di bibite nelle vicinanze58, mentre le braccia necessarie furono reclutate tra i militari e tra i profughi del monastero, che Schlegel convinse con vari stratagemmi a collaborare.59 57 I primi camion con il materiale da utilizzare per la costruzione delle casse che dovranno contenere le opere, arrivano al monastero domenica 17 ottobre. 58 Dall’articolo del colonnello Schlegel Il mio rischio a Montecassino, in Grossetti – Matronola, op. cit., p.220. 59 Ibidem, p. 219 – 220. Schlegel riunì tutti i profughi e disse loro che un’epidemia stava colpendo il monastero a causa delle precarie condizioni igieniche. Ognuno era quindi invitato a darsi da fare per 273 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La macchina da presa si muove poi verso sinistra e inquadra un portico sullo sfondo, davanti al quale due uomini trasportano una cassa con un quadro. L’attività è frenetica. Al centro del piazzale due camion partono uno di seguito all’altro, mentre le persone presenti si muovono in continuazione trasportando casse e oggetti vari. Il montaggio è frammentato e il ritmo veloce, proprio per indicare la frenesia di quei preparativi, condotti nel minor tempo possibile per evitare qualsiasi possibile attacco alleato che avrebbe provocato la distruzione di quel patrimonio. Arriva una macchina e parcheggia davanti al porticato, si sente il rumore della radio, e dei bambini, attirati un po’ dalla trasmissione e un po’ dalla vettura, si avvicinano immediatamente (figura 20). Figura 20. I bambini incuriositi si avvicinano all'automobile La cinepresa riprende la scena successiva dall’alto, quando l’autista prende un pezzo di pane, lo spezza e lo distribuisce tra i piccoli. La radio annuncia: “ I paracadutisti del Primo Reggimento, al comando del tenente Reiter, decorato con la croce di ferro, hanno riordinare la situazione, anche per rispetto ai padri che li avevano accolti, pena l’espulsione dal monastero. In questo modo molti se ne andarono e quelli più volenterosi che rimasero furono poi utilizzati per la costruzione delle casse. I monaci tuttavia non si espressero in modo molto tenero verso i modi adottati dal colonnello verso i profughi. Nelle parole di don Tommaso Leccisotti si legge : “Requisirono gli operai per formare le casse fra i rifugiati in monastero…” (p. 136), mentre don Eusebio Grossetti scriveva : “Degli operai furono rastrellati tra i civili rifugiatisi a Montecassino.”(p. 20). 274 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. eliminato una testa di ponte nemica sul Volturno60.” Arriva un soldato a mezza figura vicino all’auto: “E dov’è la vittoria finale?”, l’autista risponde: “ C’è ma ce la tengono nascosta”. Il nuovo arrivato chiede del colonnello Schlegel, l’altro gli comunica che è andato al monastero ma che è inutile cercarlo, perché in tutti quei chilometri di corridoi non lo troverebbe. I due uomini sono inquadrati in piano americano, mentre di spalle, in primo piano, si vedono ancora i bambini. L’autista scende dalla macchina e la cinepresa lo segue mentre si allontana, poi torna ad inquadrare la macchina vuota, e un attimo dopo la vettura è popolata dai bambini che giocano all’interno. Un gruppo di donne stanno parlando vicino al porticato. Tra di loro, a sinistra, la donna già protagonista di diversi episodi contro i Tedeschi, guarda verso la macchina e vede i piccoli. La cinepresa rimane ferma sul gruppetto mentre la donna si allontana correndo per raggiungerli. L’automobile viene inquadrata anteriormente quando i bambini vengono cacciati. E’ lei adesso a sedersi sulla macchina, commentando: “Ci mancava anche la radio per fare confusione.” Poi casualmente sente un comunicato importante (figura 21) e, inquadrata in primo piano, chiama le altre donne. Figura 21. La donna sente il comunicato alla radio La radio avvisa: “Amici Italiani, i soldati tedeschi stanno trafugando le opere d’arte che si trovano nell’abbazia di Montecassino per trasportarle in Germania. Italiani ascoltate! 60 Ancora una volta i paracadutisti prendono il posto delle truppe di terra che hanno combattuto realmente la battaglia del Volturno. In AA.VV., La battaglia del Volturno, www. dalvolturnoacassino.it. 275 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Dovete impedire ad ogni costo il saccheggio dei beni della nostra patria, ribellatevi, collaborate con i patrioti”61. La donna si alza e si allontana di corsa. Questa volta è protagonista di un episodio che giustifica la sua ostilità verso i Tedeschi. La macchina da presa passa all’interno del monastero, dove, in una grande stanza, gli uomini stanno costruendo delle casse di legno62. La donna entra, si avvicina al marito Paolo e lo avverte di aver sentito del tentativo di saccheggio dei soldati tedeschi, pregandolo di andare ad informarsi. Lui se ne va aggirando il tavolo su cui sta lavorando. Subito arriva un uomo a chiedere informazioni, ma da dietro arriva un soldato che intima alla donna di lasciar lavorare la gente. Si torna poi all’esterno, dove nuovamente viene inquadrata la parte anteriore dell’autovettura. Entra in scena Inge, che si avvicina in primo piano per ascoltare le notizie della radio (figura 22). Figura 22. Inge sente lo stesso comunicato alla radio 61 Secondo l’articolo scritto dal colonnello Schlegel e già citato, la radio alleata diede un annuncio che allarmò tutto il mondo: “ La divisione Hermann Goering sta saccheggiando il monastero di Montecassino”. In Grossetti – Matronola, op. cit., p.222. A proposito del possibile tentativo di saccheggio, il giorno 14 ottobre Schlegel non fu il solo a visitare il monastero nel tentativo di far uscire le opere. Anche il capitano medico Becker , della divisione Hermann Goering come Schlegel, all’insaputa di questo si recò a Montecassino con lo stesso intento. Becker era un colto tedesco appassionato di arte che aveva cercato realmente di mettere in salvo il patrimonio artistico del luogo, col permesso del colonnello Jacobi, che aveva autorizzato l’utilizzo dei camion italiani. Ma Schlegel era arrivato prima di lui, mandato probabilmente per accontentare il maresciallo Hermann Goering, che per quel tesoro avrebbe fatto follie. Schlegel inoltre era ex titolare di un’impresa di trasporti a Vienna, quindi era in grado di organizzare lo spostamento. In Cassino 1944, pp. 31 – 42. 62 I profughi dell’abbazia erano stati costretti a lavorare se non volevano lasciare il rifugio. In Grossetti – Matronola, op. cit., p. 220. 276 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. La cinepresa passa oltre la macchina e inquadra Paolo in lontananza, uscito per informarsi sulla situazione. Poi Inge torna in primo piano mentre ascolta la notizie alla radio: “Impedite ai soldati della Wehrmacht di saccheggiare l’abbazia di Montecassino”63. Scende dall’auto e corre via. Si avvicina a Paolo e gli chiede se per caso ha visto il colonnello Schlegel, ma l’uomo alza le spalle. Inge si trova nel chiostro del Bramante, si guarda un po’ attorno e poi esce di scena sulla destra accompagnata da una musica concitata. E’ la seconda volta che Inge si trova nel chiostro, ma la prima volta era solo per ammirare la bellezza del posto e la sua era una passeggiata, mentre qui è una corsa contro il tempo, per informare i suoi superiori sulla situazione. Entra in un interno ripreso dall’alto, una biblioteca (figura 23), dove delle persone stanno riempiendo degli scatoloni,64 raggiunge il centro della scena e chiede a degli uomini se hanno visto Schlegel, ma gli uomini negano e lei se ne va di nuovo correndo. Figura 23. Inge entra nella biblioteca La scena successiva si svolge in un chiostro, le colonnine che si stagliano in primo piano sono su due file parallele: davanti, verso la cinepresa, c’è una bambina seduta, al 63 La Hermann Goering si rese protagonista del saccheggio di tutta l’Europa occupata dai tedeschi, ma in questo caso riuscì a sfruttare l’episodio a suo vantaggio, con un grande miglioramento della sua immagine pubblica. In Cassino 1944, pp.31 – 42. 64 70000 preziosi volumi della biblioteca furono salvati dal bombardamento, tra l’altro furono le prime opere messe al sicuro dai Tedeschi. Grossetti – Matronola, op. cit., p. 221. 277 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. di là delle colonne un soldato tedesco e Inge, che arriva correndo, gli chiede ancora di Schlegel ma senza risultato. In primo piano passano due uomini, uno con fra le mani un prezioso reliquiario, l’altro subito dietro di lui lo ferma per avvisarlo che “non è vero che i Tedeschi portano tutto a Roma, saccheggiano il convento, l’ha detto la radio.” La macchina da presa si trasferisce all’interno, dove in una stanza si trovano l’abate, un monaco e il colonnello Schlegel (figura 24). L’ufficiale non sta bene, ma pensa comunque alle opere: “Pensavo se durante il tragitto per Roma ci bombardassero e distruggessero quelle opere che forse qui erano al sicuro”. Entra Inge sullo sfondo e si avvicina al gruppo: “La radio nemica ha trasmesso che i Tedeschi stanno saccheggiando il monastero”. Il monaco è allarmato: “A quest’ora tutto lo Stato Maggiore tedesco sarà al corrente di questa faccenda.”65 La cinepresa fa una carrellata in primo piano sul viso dei personaggi, fino ad arrivare a quello visibilmente teso del colonnello, quando la voce fuori campo del monaco continua a parlare: “Ormai non si può più nasconderla, i vostri piani rischiano di andare in fumo.” La cinepresa resta fissa su Schlegel, che esprime il suo dissenso. Figura 24. Schlegel con l'Abate e un altro monaco 65 Secondo le informazioni date da tutti i testi consultati, Schlegel non agì di nascosto, ma con il consenso dei suoi superiori e in particolar modo del generale Conrad. 278 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. All’esterno, in un cortile, entrano una jeep con dei soldati e un militare in motocicletta. Uno di questi si informa su cosa stiano facendo e il soldato sul camion gli dice che stanno caricando dei quadri. Chiede poi chi comanda, il suo primo piano è alternato a quello dell’altro militare, che gli fa il nome di Schlegel. Il primo piano del soldato appena arrivato è ripreso dall’alto, con lo sguardo di quello sul camion, che a sua volta è ripreso dal basso, visto con gli occhi di quello a terra. La sequenza si chiude sulla domanda del primo di essere accompagnato dal comandante. Nella quattordicesima sequenza il generale Conrad, che ha appena saputo la notizia, si trova di spalle davanti alla finestra, mentre guarda all’esterno, poi si gira per parlare con un militare ripreso di spalle sulla destra: “Se questa storia è vera, i responsabili finiranno di filati sotto processo. Sentite se ci sono altre novità.” Il soldato si gira per uscire, mentre l’ufficiale rimane fermo per un attimo, poi si sente il rumore di una porta che si apre. La cinepresa inquadra il tenente Reiter del Primo Battaglione e davanti a lui il generale: “Siete arrivati con tutto il plotone?”, il tenente risponde che stanno cercando un alloggio e allora il comandante dice: “Vi ho richiamati dalla linea perché ritengo che meritiate un riposo, dopo quello che avete fatto”66. Il generale comunica al giovane che il loro riposo potrebbe durare una settimana ma anche un giorno solo. Il luogo di riposo decretato per il battaglione era probabilmente nel paese di Caprile, nelle vicinanze del quale si trovava anche il comando dei paracadutisti del generale Heidrich.67Per la sua particolare posizione Caprile si prestava ad essere un’oasi di pace a pochi chilometri dal fronte di Cassino, riparata da eventuali attacchi aerei; infatti il 66 Secondo le notizie della radio il battaglione in questione aveva eliminato una testa di ponte nemica sul Volturno, notizia non veritiera. 67 W. Nardini, nel libro Cassino fino all’ultimo uomo parla di una “polverosa grotta a Castrocielo, vicino a Roccasecca”. La posizione era infatti molto sicura, poiché si trovava a 15 chilometri da Cassino, sotto una montagna coperta a nord est. In R. Molle, Il comando di Baade e Heidrich, www. dalvolturnoacassino. it. 279 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. borgo fu sede di alcuni comandi tedeschi ed anche di truppe poste in riposo dal logorio del fronte, prima di essere ributtate nella battaglia. Nel dicembre del 43 sino al 22 gennaio del 44 nelle campagne innanzi il paese sostarono mezzi corazzati della divisione "Hermann Goering", prima di essere inviati a tamponare la falla di Anzio. Tali mezzi si mimetizzarono nella campagna tra Caprile e Castrocielo, sfruttando la ricca vegetazione, per essere al riparo da attacchi aerei, pronti comunque ad un impiego in combattimento in caso di sfondamento della linea Gustav. Vi erano sicuramente anche reparti di paracadutisti in avvicendamento dal fronte di Cassino e sostavano in particolare nel palazzo Bruni; facevano parte della I Divisione del Generale Heidrich. Molte location del film furono proprio a Roccasecca e a Caprile, di cui si possono ben vedere gli uliveti antistanti il borgo e la piazzetta del paese con le scalinate che conducono nei vicoli.68 Figura 25. Immagine documentaria dei Diavoli Verdi a Caprile Tornando al film, una porta d’improvviso si apre. Entrambi si voltano all’ingresso del soldato che annuncia l’arrivo di Schlegel a rapporto. Il militare si gira ed esce. Il generale va verso Reiter e gli dice: “Un ultimo avviso a voi e ai vostri uomini e riguarda 68 Le informazioni qui raccolte si trovano nell’articolo di Roberto Molle Storie della seconda guerra mondiale. Caprile in guerra, www. digilander. libero. it 280 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. la popolazione civile: il nemico è troppo vicino per poterci fidare di chicchessia e allentare la vigilanza.” Il tenente ringrazia il superiore per aver fatto il suo nome nel bollettino, il generale gli da un’amichevole pacca sulla spalla, dopo la quale il tenente si muove per uscire. Arriva vicino alla porta, Schlegel sta entrando, Reiter saluta il colonnello, poi il generale ed infine esce. Fuori dalla stanza un soldato sta aspettando il tenente, che gli dice che per qualche giorno si daranno alla bella vita. La porta sul fondo si apre, i due si girano di spalle: “Caporalmaggiore Bauman dell’ospedale da campo III/57 a rapporto, medicine per il comando di divisione”. Tiene in mano, sull’attenti, un grande contenitore di vetro con un liquido trasparente. Bauman si gira e se ne va, mentre i due restano. Il soldato dice che quello è alcol per preparare dei liquori. Questa breve scena leggera e scherzosa serve per alleviare la tensione del film e per far meglio comprendere il carattere dei personaggi, che nonostante la situazione drammatica che si trovano a viver, non perdono la loro voglia di divertirsi e di stare gli uni con gli altri. Dentro alla stanza il generale ha le mani sui fianchi, è ripreso a mezzobusto e si muove agitatamente69. Va verso il colonnello: “E naturalmente lo Stato Maggiore, dopo l’annuncio del nemico relativo al saccheggio, mi ha dato ordine di aprire una severa inchiesta , e perché? Perché uno dei miei ufficiali…- poi scandisce bene le parole guardando Schlegel, il suo tono è da paternale – Il comando aveva dato precise istruzioni di non avvicinarsi al monastero, perché se il nemico lo bombardasse farebbe la figura dell’idiota, mi sono spiegato? E voglio anche dire, colonnello Schlegel, che la 69 L’incontro tra Schlegel e il Generale Conrad, secondo quanto afferma il colonnello, fu tappa obbligata dopo le notizie diffuse per radio. Ma nella realtà Conrad non era ancora al corrente dell’iniziativa del colonnello e la accettò subito di buon grado. Mandò infatti con loro anche alcuni membri della Compagnia di propaganda, per fare riprese fotografiche documentarie delle operazioni di salvamento. In Grossetti – Matronola, op. cit., p. 223 – 224. Secondo invece altre fonti il colonnello Schlegel agiva proprio per volontà dei suoi superiori ( F. Ficarra, op.cit., p. 35; Grossetti – Matronola, op. cit., p. 19). 281 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. guerra che stiamo combattendo non si vince portando a spasso delle opere d’arte, è chiaro o no?”. Il generale, in piano americano, è inquadrato vicino ad un tavolo, sul muro ci sono delle carte geografiche dell’Europa e un disegno del monastero di Montecassino. La collocazione della scena è ancora nella stessa stanza in cui il generale era comparso la prima volta all’incontro con gli ufficiali. Si tratta probabilmente della villa di Colle – Ferreto a Spoleto, dove si trovava il comando generale della Herrman Goering e dove in seguito furono trasportate le casse contenenti le opere d’arte prima di essere portate a Roma.70 Il film infatti non specifica questo particolare, ma le opere, con poca fiducia da parte dei monaci,71 furono trasportate non a Roma come era stato detto. Si cercò di convincerli che era meglio portare il tesoro verso nord, per sfuggire agli Alleati, ma l’unico risultato fu che molte opere presero il volo verso la Germania. Prima che fosse troppo tardi prese in mano la situazione il barone von Tieschowitz, professore di storia dell’arte e rappresentante civile della Kunstschutz, l’unità che si occupava della protezione delle Belle Arti nei paesi occupati dall’esercito tedesco. Questi cercò in tutti i modi di impedire che tutto venisse portato in Germania, rivolgendosi allo stesso Kesselring, che ordinò di rendere il tesoro alle autorità vaticane. Il carico giunse a Castel Sant’Angelo l’8 dicembre.72 Ha in mano un foglietto, lo legge e poi lo getta sul tavolo: “Qui siamo tutti impegnati in una resistenza ad oltranza – viene in avanti e guarda verso il colonnello – per cui ogni uomo è indispensabile, ogni litro di benzina, ogni metro quadrato dei nostri camion è 70 F. Ficarra, op. cit., p. 38. Grossetti – Matronola, op. cit., p. 23. Don Eusebio Grossetti ironizza sulle motivazioni del trasporto a Spoleto : “I camion trasportanti l’Archivio e la Biblioteca Monumentale , come pure quelli che trasportavano le casse dl Museo di Napoli, andarono, come sapemmo più tardi, a Spoleto, e le casse furono riposte nella villa “ Marignoli”; esse, secondo la stessa testimonianza degli ufficiali tedeschi venuti ad ordinare lo sgombero,dovevano salire sempre più a Nord, a misura che saliva il fronte, per salvare quei cimeli dalla… ingordigia degli Anglo – Americani.” 72 F. Ficarra, op. cit., pp. 39 – 40. 71 282 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. prezioso. Ma vi rendete conto di aver messo in gioco la vostra vita?” Lo guarda da capo a piedi più volte (figura 26). Il generale gli gira intorno, mentre il colonnello, immobile, dice: “Me ne rendo conto perfettamente”. “Voi siete rimosso dall’incarico, Schlegel!”. La macchina da presa segue tutti gli spostamenti del generale, mentre Schlegel resta fermo, nella posizione di inferiorità di chi deve solamente eseguire gli ordini .“Io però non volevo solo portare a spasso delle opere d’arte. Spesso si è ridotti a dimenticare che dopo la guerra torna la pace, dopo di che ogni uomo torna a dare il giusto posto ai valori umani”. Il generale resta di spalle davanti al disegno dell’abbazia e si gira poi verso l’uomo. “Lo Stato Maggiore, voi stesso, i generali nostri nemici, siete forse in grado di garantire che l’imminente battaglia non finirà per portare alla distruzione del monastero? – la cinepresa si avvicina al colonnello fino a inquadrarlo in primissimo piano, la sua espressione si fa intensa e questo avvicinarsi della macchina da presa rappresenta proprio l’importanza del momento – Se questo dovesse avvenire, salviamo quello che ci è possibile, per quella pace che tutti noi desideriamo dopo anni di sacrifici. Perciò volevo portare a Roma quelle opere d’arte, con pochi camion, un numero ridicolo e insufficiente. Bene, è tutto generale.” Figura 26. Il generale Conrad rimprovera il colonnello Schlegel Il comandante, in primo piano, guarda in terra e poi guarda Schlegel. Si muove in continuazione il generale, che, accennando un sorriso, gli dice: “Ma veramente non 283 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. vedo la necessità di urlare in questo modo, Schlegel – il colonnello è inquadrato in primo piano – se quei camion non sono sufficienti prendetene di più.” Schlegel sorride, il generale ha cambiato idea sulla questione. Un’altra battuta di tono leggero allevia la tensione e mostra la grande umanità dei personaggi.73 Nella quindicesima sequenza la cinepresa, sul ciglio della strada, inquadra una fila di camion che passano (figura 27). Tre uomini sono in mezzo alla strada, poi passano altri due mezzi e da sinistra entra in scena un altro uomo. Uno dei tre uomini è ripreso in primissimo piano (figura 28), e l’indugiare sul suo viso fa presupporre che diventi un personaggio importante nel contesto della narrazione. La musica è drammatica e crea suspense. Figura 27. Camion tedesco Figura 28. Primo piano di uno degli uomini inquadrati per strada Un autocarro entra in una città distrutta, e più precisamente, come si vedrà in seguito, nella città di Cassino; gli edifici diroccati sono dietro di lui, un cartello con una freccia indica la sinistra, mentre sulla destra un gruppo di soldati in lontananza si avvicina a piedi, passano vicino ai resti degli edifici nascosti, di tanto in tanto, dal passaggio dei camion. I soldati chiacchierano dei loro desideri in questo momento di riposo, si avvicinano un po’ di più alla cinepresa: sono quelli del Primo Battaglione del tenente 73 Come già detto l’incontro tra i due è controverso, non si sa se realmente si sia svolto, e anche in questo caso risulta difficile credere che il generale Conrad fosse così ostile. 284 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Reiter. Indicano un cartello, la macchina da presa lo inquadra “E’ vietato alla popolazione civile il soggiorno nella città di Cassino e questo senza nessuna eccezione”74, sotto si leggono delle parole aggiunte a mano “Erotisches Notstandsgebiet” (figura 29), che un soldato traduce: “E’ proibito fare l’amore”. Tutti ridono e ripartono. E’ un altro momento di ironia all’interno della situazione drammatica. I soldati non hanno ancora perso il loro senso dell’umorismo. Figura 29. Il cartello letto per strada In scena resta poi solo il caporale Christiansen, che va verso altri cartelli. La cinepresa, inquadrandoli, ne mostra uno in particolare “Krieglazarett III/ 57”, l’ospedale in cui lavora l’infermiera Inge. Il caporale sorride, in primo piano, poi raggiunge gli altri che lo chiamano e si allontanano in una strada. La musica, extradiegetica, è ancora quella dei tre tamburini sentita ad Avignone da Karl e Inge. E’ l’unione di cartello e musica che fa capire al pubblico la presenza della donna poco lontana, seguita dal sorriso dell’uomo. La canzone in questione è un vero e proprio leitmotiv che caratterizza la storia d’amore fra i due personaggi. La sedicesima sequenza si apre con Inge che cammina lungo un corridoio e si ferma a parlare con il caporalmaggiore Bauman: l’argomento è la carenza di farmaci. 74 Lo sgombero avvenne dopo il primo bombardamento della città, avvenuto il 10 settembre. Grossetti – Matronola, op. cit., p. 134. 285 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. In fondo al corridoio compare il tenente con il viso sorridente. Inizia il dialogo tra lui e l’infermiera, ma vengono interrotti da Bauman, che avvisa la donna che il dottore la sta attendendo in sala operatoria. La conversazione è interrotta, ma prima di andarsene Inge chiede se anche il caporale Christiansen è con loro a riposo e esprime il desiderio, non troppo celato, di incontrarlo. Poi corre via, mentre il tenente rimane in primo piano con la delusione sul viso. Inge entra nella sala operatoria. In scena è già presente il dottore, mentre Inge, sempre di fretta, passa davanti a lui per andare a prepararsi. Apre una porta all’arrivo del ferito da operare, trasportato su una barella da due militari. L’infermiera prepara gli strumenti, ma è distratta, il suo viso è sognante e la sua mente non è lì in quel momento: si capisce chiaramente che sta ripensando al fatto che l’uomo che ama è lì vicino. E’ indicativo il fatto che questi personaggi, oltre ad essere totalmente positivi, riescano anche a crearsi situazioni amorose nel contesto duro della guerra. La cinepresa si fissa sul tavolo operatorio: a sinistra Bauman sistema il ferito, mentre a destra si trova il dottore e un’altra infermiera dietro di lui. Il medico cerca di rassicurare il malato, la macchina da presa si muove fino ad inquadrare Inge, ancora sorridente, mentre prepara l’anestesia e dice che quello è anche un giorno fortunato. Si crea un grande contrasto all’interno della sala operatoria: alla felicità spensierata di Inge si contrappone la sofferenza del ferito sul tavolo operatorio. Inge gli somministra l’anestesia. Il dottore è inquadrato di nuovo in primo piano, mentre parla con il suo paziente: “Qualche partigiano ti ha sparato nella boscaglia, vero?”. Il ferito, anch’esso in primo piano, annuisce col capo, mentre si sente ancora la voce del dottore: “Eh già, quegli altri non fanno che rifornirli di armi.” La battuta è indicativa per caratterizzare la situazione e resa ancora più importante dal fatto che entrambi i personaggi siano ripresi 286 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. in primo piano mentre parlano. Da subito tornano alla mente i tre uomini che, in mezzo alla strada, guardavano con astio il passaggio dei camion tedeschi: erano con tutta probabilità partigiani. Le formazioni partigiane nacquero in Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Si raccolsero sulle montagne dell’Italia centro – settentrionale e nacquero dall’incontro fra piccoli nuclei di militanti antifascisti già attivi nel paese e gruppi di militari sbandati che, dopo l’armistizio, non avevano voluto consegnarsi nelle mani dei Tedeschi. Agivano soprattutto lontani dalle città, ma spesso anche al loro interno, con i Gruppi di azione patriottica, piccole formazioni di tre o quattro uomini che compivano attentati contro militari o personalità tedesche o fasciste. A ogni atto i Tedeschi rispondevano con pesanti rappresaglie (esemplare la strage compiuta alle Fosse Ardeatine). Ma la lotta antifascista divenne anche la linea programmatica di diversi partiti di governo, che sempre nello stesso periodo diedero vita al Comitato di liberazione nazionale (Cln)75. La cinepresa si muove per esplorare il ferito, scende sul suo braccio, dove Inge sta praticando l’anestesia in vena, poi la coperta si sposta e scopre le bende dell’addome sporche di sangue. Il procedere lento della macchina da presa si sofferma analiticamente sui particolari del corpo dell’uomo, il che crea ancora più contrasto con la felicità della donna. La sequenza si chiude con una dissolvenza. Nella diciassettesima sequenza il viso di un uomo è inquadrato in primissimo piano, si volta al rumore di un camion: è uno degli uomini che all’inizio della quindicesima sequenza si trovavano sulla strada al passaggio dei camion tedeschi. Si può quindi subito capire, dopo la battuta del medico, che quest’uomo è un partigiano. Anche Paolo e sua moglie si girano quando passa l’autocarro. Un soldato fa cenno al 75 Giardina – Sabbatucci – Vidotto, Manuale di storia. Volume 3. L’età contemporanea, Bari, Laterza, 2000, pp. 676 – 677. 287 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. camion di avanzare. Scendono tre uomini, mentre sullo sfondo si nota un portone dal quale escono tre monaci, che si dirigono verso dei militari tedeschi ma non si fermano con loro. Questi ultimi si stanno dividendo i compiti, stanno decidendo chi deve portare cosa. Nel chiostro, in controluce torna ad essere inquadrato il già citato partigiano, che entra in luce solo quando si sposta sotto al porticato. La luce è molto contrastata e crea una certa drammaticità, fatta di ombre molto buie e di luci accecanti, è quasi irreale. La musica crea la suspense, mentre l’uomo guarda davanti a sé e vede Paolo e sua moglie (figura 30). Si viene a conoscenza del nome dell’uomo dalle parole dei due: si chiama Fausto. Figura 30. Il partigiano Paolo I partigiani si stanno quindi preparando all’azione, Fausto fa cenno a Paolo con la testa di andare e questi annuisce. Va di spalle vicino a due uomini: “Ditelo agli altri, stasera nell’orto, e attenti a non farvi beccare .” I due se ne vanno, Paolo si avvicina alla moglie ed insieme escono dal portico, mentre la macchina da presa torna ad inquadrare dei soldati che caricano le opere dell’abbazia in alcune casse di legno. Davanti a loro passano Schlegel e un monaco . Il primo dice: “E’ la mia immaginazione o vi è una certa elettricità tra i profughi?”, il monaco risponde: “Probabilmente in seguito a quel comunicato inglese circa il saccheggio”. Il colonnello chiama un soldato: 288 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. “Ho fatto disporre degli uomini in circolo a guardia del cortile e del resto c’è posto solo per dieci camion”.76 La cinepresa inquadra poi in primo piano la moglie di Paolo, mentre la voce di Schlegel continua: “Se l’autocolonna all’alba si trovasse ancora in viaggio, portare la distanza a trecento metri per allargare il raggio.” L’ufficiale se ne va, lei rivela ciò che ha sentito e il marito le chiede di tornare a casa per prendere un fucile: ci sono i tedeschi, ma lei sarà più credibile se per caso deve inventare un scusa. Tutta questa parte si svolge sotto al portico, quindi poco illuminata. Nella diciottesima sequenza il Primo Battaglione è riunito in una stanza e un lungo piano sequenza mostra le attività dei soldati: alcuni sono seduti e bevono, Hugo sfida altri commilitoni alla morra per avere la possibilità di dormire su un vero letto: infatti c’è un solo letto matrimoniale e chi perde la sfida viene mandato a prendere della paglia come giaciglio. L’atmosfera è festosa e rilassata. Hugo trova nella borsa di Karl il carillon di Inge. Quest’ultimo è notevolmente alterato e intima all’amico di rimettere quell’oggetto al suo posto. Il motivo musicale del carillon è sempre quello dei tre tamburini. Hugo lo prende in giro e inizia a cantare una canzone russa accompagnato da tutti quanti. Hugo è sempre al centro della scena con la bottiglia in mano (figura 31). Figura 31. Hugo si ubriaca 76 Per tutto quanto riguarda la partenza delle opere d’arte il film falsa la verità storica. Nella realtà i camion partirono pochi alla volta dal monastero per dirigersi, per la maggior parte verso Spoleto, mentre nel film l’autocolonna parte da Montecassino direttamente per Roma. Inoltre è taciuto il fatto che sui primi camion furono caricate anche una comunità di monache Benedettine che trovarono asilo per un po’ a Montecassino. Grossetti – Matronola, op. cit., p. 139. 289 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Viene poi nuovamente inquadrato Karl e in seguito Hugo, che fa cadere a terra tutto quello che si trovava sul tavolo, poi monta sopra e continua a ballare e cantare, mentre gli altri sono disposti tutt’intorno. La cinepresa si sposta poi rapidamente sulla porta, dove sta entrando il tenente Reiter. Hugo, sempre sul tavolo e ubriaco, mima una sparatoria contro di lui e lo accusa di essere fascista (è inquadrato dal basso). Il tenente passa in mezzo ai soldati: “Evidentemente il fronte fa brutti scherzi, non è vero Hugo?”. Hugo è ancora sul tavolo. L’ufficiale fa i complimenti a tutti da parte del generale77, poi si ferma e sente la musica del carillon di Carl e Inge. Si volta e la cinepresa inquadra l’oggetto, che rende subito cupa l’espressione dell’uomo, poiché anche lui è innamorato di Inge. Viene poi inquadrato il caporale, il tenente va verso di lui: “Caporale Christiansen, la divisione ha chiesto cinque uomini di scorta ad un’autocolonna diretta a Roma 78– prima i due sono uno di fronte all’altro, poi il tenente passa in primo piano e il caporale resta dietro di lui, e la loro posizione rende proprio l’idea del fatto che il tenente, davanti, comanda, mentre il caporale, dietro, esegue gli ordini – partenza ore 2.30, via Casilina uscita nord.” Il caporale protesta, perché in mattinata voleva andare all’ospedale militare. Reiter gli ordina di scegliersi quattro uomini, uno con la moto, e il caporale non può che obbedire agli ordini. Il tenente sorride, mentre in sottofondo resta la musica del carillon. Si congeda dai suoi soldati e va a dormire, entrando in una porta sul fondo. La stanza è ancora popolata di militari e la macchina da presa si alterna su di loro. 77 Evidentemente sta tornando dall’incontro col generale Conrad. In realtà il trasporto delle opere dall’abbazia non avvenne in un’unica soluzione, come sostiene il film. Dal 17 ottobre al 3 novembre i camion andavano e venivano da Montecassino. Le casse furono dapprima trasportate a Spoleto, poi, l’8 dicembre, con 12 camion, tornarono a Roma. La merce, secondo il diario di padre Pontoni, venne consegnata a Castel Sant’Angelo, per essere poi mandata in Vaticano. Sembra quindi che il film si riferisca più a quest’ultimo viaggio che a quelli compiuti direttamente dal monastero. 78 290 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Nella diciannovesima sequenza il solito dottore entra in una stanza poco illuminata, dove Inge è ancora in piedi. L’uomo dice: “Ho saputo che domani mattino alle 2.30 partirà l’autocolonna di quel pazzo di Schlegel diretta a Roma”, Inge risponde: “Sì, grazie a Dio il generale ha abbaiato senza mordere”. L’inquadratura dell’orologio da taschino in mano al dottore indica che sono le 9.38. Il medico passeggia per la stanza: “Quelli di là sono tutti allegri, per quanto non so come ci riescano senza un braccio o senza una gamba o solo con mezza testa, – il rumore di una bomba attira l’uomo alla finestra – quelli di là cercano con gli ultimi ritrovati della tecnica di massacrare la gioventù che noi di qua cerchiamo di rabberciare con gli ultimi ritrovati della tecnica. Sembrerebbe quasi una barzelletta.” I due sono in primo piano: “Fra qualche ora partirete con l’autocolonna e andrete a protestare alla direzione sanitaria…abbiamo bisogno di morfina e quelli ce la mandano col contagocce. Roma inoltre è una splendida città ed è una buona occasione per darle un’occhiata.” I primi piani dei due si alternano, il dottore è sorridente, mentre Inge è triste, perché l’indomani deve incontrare il caporale Christiansen: non sa ancora che anche lui è stato mandato a Roma dal tenente, nel tentativo di allontanarlo dalla donna. C’è quindi un parallelismo tra le condizioni dei due giovani e le loro emozioni. La ventesima sequenza inizia con il tenente Reiter che apre una finestra, al di fuori della quale si vede un paesaggio ventoso con delle palme. Si avvicina ad un tavolo, si accende una sigaretta e inizia a passeggiare nervosamente per la stanza. Si avvicina ad un muro, si volta e viene inquadrato un quadretto con il viso di una donna ( figura 32 - è la moglie di Paolo, quindi si deduce che i militari tedeschi hanno trovato alloggio nella sua abitazione ormai vuota). Spegne una candela e come unico sottofondo si ode il 291 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. rumore degli aerei, che lo costringe ad entrare nella camera dei suoi soldati ad ordinare di spegnere qualsiasi luce per non essere intercettati. Figura 32. Il quadretto col viso della donna La cinepresa inquadra dapprima Reiter a mezza figura, poi passa al letto dove si trovano Hugo e Karl. Il primo si alza e, camminando tra gli amici stesi per terra, va a spegnere una candela. Una dissolvenza porta la scena all’interno della camera del tenente. Il posacenere è pieno di mozziconi, mentre la mano dell’uomo sta spegnendo l’ennesimo, segno della tensione che ha preso il sopravvento su di lui. Vicino alla finestra della stanza si staglia una sagoma umana in controluce. Il tenente mette una mano sotto il cuscino, dove si intravede una pistola. Si siede e segue con gli occhi la persona che sta entrando, è una donna, presumibilmente la partigiana, che non si accorge della presenza di Reiter, nascosto dal buio ( si intravedono solo gli occhi, illuminati da un raggio di luce che arriva sulla sponda del letto ), che invece la sta guardando. La donna è ora davanti ad un armadio e si gira di scatto spaventata, il suo volto viene illuminato dalla torcia del tenente. Seguono i primi piani alternati dei due personaggi, il tenente guarda verso il muro e si accorge che la donna è la stessa raffigurata sul ritratto. Il suo viso è poi inquadrato nel buio più completo, l’unica macchia chiara di un’immagine di ispirazione 292 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. espressionista. Si gira di nuovo verso l’armadio a mezza figura, lo apre e tira fuori qualcosa. Il tenente si avvicina e la blocca. La macchina da presa passa di nuovo nella stanza vicina dove i militari sono ancora svegli, vengono inquadrati Hugo e Karl. Poi si ritorna al tenente che nota che la donna dall’armadio ha preso un macinino per il caffè, che gli fa sorgere molti dubbi: perché un donna sola, di notte, dovrebbe rischiare così tanto per un oggetto del genere? Reiter la afferra, lei si divincola, poi va a sedersi, sempre minacciata dall’arma dell’uomo, con il suo macinino in mano. Un rumore improvviso arriva dalla camera dei soldati e la ragazza si alza di scatto. E’ Hugo, in piedi, che fa confusione per svegliare coloro che devono unirsi all’autocolonna di Schlegel. In primissimo piano ritornano il tenente e la donna: “Probabilmente sono un idiota a non farti arrestare subito, ci vedo poco chiaro in te.”, dice lui, e questo riconferma i buoni sentimenti dei soldati tedeschi. Tra i due c’è poi una colluttazione, la donna aggredisce Reiter, che la scaraventa sul letto. I due lottando finiscono coricati sul letto e si baciano, mentre al di là del muro qualcuno sta chiamando il tenente. I due restano in primissimo piano, mentre il caporale dice al suo comandante che sono pronti per partire e chiede se ci sono ordini, ma Reiter dice loro di andare. La ventunesima sequenza vede protagonista Inge, che esce da un arco79 insieme a Bauman. La donna lo incarica di scoprire dove potrà trovare il Primo Battaglione quando tornerà da Roma. Sale su un camion che la sta aspettando, mentre Bauman rimane dietro di esso. Il camion parte. 79 L’ospedale militare dell’inizio. 293 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. In un esterno anche i soldati stanno andando a raggiungere il convoglio, scendono da una scalinata80 (figura 33) e attraversano la strada, mentre si vede arrivare l’autocolonna. Figura 33. I soldati scendono da una scalinata a Caprile Figura 34. La stessa scalinata in un'immagine storica di Caprile Vecchia Il caporale Christiansen ordina agli altri di disporsi uno ogni due camion, poi raggiunge il centro della strada e indica ai mezzi di fermarsi. La cinepresa inquadra l’autocolonna che si avvicina, mentre i soldati, di corsa sulla sinistra, raggiungono la posizione stabilita. Su nessun camion si nota la presenza di monaci, che invece furono trasportati dagli stessi camion che contenevano le opere d’arte.81 Karl è ancora in mezzo alla strada e il primo camion è ormai davanti a lui, gli gira intorno per salire dalla parte del 80 La scalinata appena percorsa è quella di Caprile, frazione di Roccasecca, di cui si è già parlato a pag. 39. 81 Grossetti – Matronola, op. cit.. 294 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. passeggero. Viene inquadrato dall’interno del mezzo, mentre sulla destra si intravede già parte del viso di Inge. Il caporale apre la portiera e subito segue una serie di primi piani dei visi dei due ragazzi sorridenti. Nel momento in cui si ritrovano riparte il leitmotiv dei tre tamburini, che caratterizza la loro storia d’amore. All’interno del primo camion, dove sono seduti l’autista, Inge e il caporale (figura 35), l’autista inizia il dialogo: “ Credo che verrà anche il comandante Schlegel, vuole esserci lui quando avverranno le consegne”. Tra gli altri due invece c’è uno scambio di tenerezze. Figura 35. I tre all'interno del camion La ventiduesima sequenza torna ad occuparsi di quello che avviene nella camera del tenente Reiter. L’uomo e la donna che giacciono nello stesso letto, poi lui si rimette la camicia. La cinepresa passa sul pavimento in piano sequenza, dove si trovano i vestiti sparsi dei due. Il tenente si alza, la macchina da presa si abbassa sui suoi piedi che, camminando, danno un calcio al macinino per il caffè, che in questo momento diventa elemento simbolico del tradimento della partigiana. In primo piano Reiter, pensoso, guarda verso l’oggetto, poi si dirige verso l’armadio, mentre la donna si siede di scatto sul letto. La donna ha il viso spaventato e si copre con il lenzuolo, come per difendersi. Il tenente trova un fucile, che cade per terra, inquadrato dalla cinepresa, che passa poi sulla donna seduta con il viso sempre più terrorizzato. 295 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Reiter la guarda furibondo, prende la pistola, si avvicina alla donna, che in primo piano, per la prima volta, fa sentire la sua voce con un urlo: “No, no!”.La sequenza si chiude con una dissolvenza che tiene all’oscuro lo spettatore sulle sorti della donna: è stata uccisa? La ventitreesima sequenza si svolge di notte. La cinepresa è su una strada sulla quale passano i camion dell’autocolonna di Schlegel con i fari accesi. Il soldato sulla moto guarda in alto e la macchina da presa inquadra un albero che cade dalla scarpata verso di lui, poi allarga e inquadra la pianta caduta e lui che finisce per terra. I camion sono ancora lontani e continuano a passare sulla strada. Il soldato riprende la motocicletta e torna indietro. Qualcuno spara verso di lui, ma ogni colpo finisce ai lati della strada. All’interno del primo automezzo il caporale guarda l’autista: “Ma sono spari!”, ma l’altro risponde: “Macché, sono i motori degli altri camion”. La cinepresa si stabilizza ora all’interno del camion, l’immagine è traballante e al di là del vetro anteriore si nota la luce della motocicletta che sta tornando verso di loro. La moto cade e il camion sbanda leggermente. Il caporale urla: “Ci sono i partigiani!”82 . I tre lasciano il camion e subito dopo il vetro viene infranto da una pallottola. L’autocolonna si ferma e i colpi dei partigiani coprono l’inquadratura con la polvere che sollevano. Karl e Inge si nascondono sotto al camion, ma la donna si allontana subito dopo, sollecitata dal militare. La macchina da presa inquadra poi il paesaggio cosparso di alberi, in mezzo ai quali si intravedono delle persone che sparano. Sul retro del camion anche il caporale sta per andarsene. Altri due soldati si nascondono dietro le ruote di un autocarro, uno di loro spara e davanti un uomo viene colpito. Segue ancora la vista sul paesaggio, dove 82 Nell’articolo già citato scritto dal colonnello Schlegel non si fa menzione di attacchi compiuti dai partigiani italiani contro l’autocolonna in viaggio per Roma. Il fatto di aver inserito un episodio del genere nel film potrebbe dar corpo un’altra volta al discorso sul valore dei soldati tedeschi, che per portare a termine questa operazione persero anche la vita. Per la parte riguardante il tragitto Spoleto – Roma , v. Grossetti – Matronola, op. cit., p. 233. 296 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. alcune persone, molto lontane, stanno scappando. Sotto un altro autocarro hanno trovato riparo Karl, Inge e un altro soldato, che però esce subito. Ora i soldati sono inquadrati tra le piante mentre si gettano a terra per sparare. Un soldato scende dalla riva (è Hugo) a bordo strada, inquadrato a figura intera sulla destra. Raggiunge altri due, si chinano su un soldato rimasto a terra, poi due se ne vanno, mentre Hugo rimane e gli solleva la testa (figura 36). Il ferito parla ancora a stento: “I partigiani hanno…”, ma, mentre la cinepresa lo inquadra a mezza figura, l’uomo si mette a sedere e inizia ad urlare. Hugo è inquadrato in primo piano con il commilitone tra le braccia, i due si trovano in controluce e l’umico chiarore che si vede è quello degli spari dietro di loro. Lo depone al suolo e lo guarda per qualche secondo, poi anche la cinepresa si ferma ad inquadrare il suo dolore e la sua morte. Figura 36. Hugo soccorre il soldato in fin di vita Durante tutto questo passaggio le inquadrature si susseguono rapidamente, il montaggio è molto frastagliato e si crea in questo modo la concitazione e la drammaticità del momento. Hugo avvicina la mano al cadavere e cerca la targhetta di metallo con le sue generalità, poi ne stacca la metà. Si avvicina al tenente, gli consegna la targhetta dell’amico e gli dice: “E tutto per questi maledetti quadri! Non basta il fronte, non basta crepare lì.” Esprimendo il suo dissenso e la sua rabbia. 297 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Un terzo soldato arriva dietro di loro e dice: “Signor tenente, Christiansen ha fatto un prigioniero.” Il tenente si volta leggermente e il soldato si allontana. Karl punta il fucile verso il prigioniero davanti a lui, che procede con le mani alzate. L’uomo si ferma e si gira verso di loro: “Vigliacchi farabutti, l’ha detto la radio che state rubando tutto. Banditi! Banditi! Ladri!”. Inge entra in scena di spalle: “E’ vero, l’ho sentita anch’io l’emittente inglese dire che i tedeschi saccheggiano il monastero. Non si può dare torto a questa gente!”. Ma il tenente interviene subito: “Christiansen, ammazzalo!”. Il caporale guarda Reiter in un intenso primo piano, la musica ricompare e crea drammaticità. Karl gira la testa verso il prigioniero: è Paolo, che si guarda in giro spaurito (figura 37). Il tenente, a mezza figura: “ Sgombrate la strada!”. Inge, da sinistra, lo afferra per un braccio e lo supplica di non farlo, ma il tenente la manda via in malo modo. Resta solo Inge, che si gira verso la cinepresa e si avvicina in primo piano, poi resta immobile, creando un senso di attesa di qualcosa che sta per succedere. Figura 37. Paolo impaurito dopo la cattura Nella boscaglia Karl segue Paolo con il fucile puntato, è buio e i due si vedono a malapena. Il caporale intima all’uomo di fermarsi e di voltarsi a guardarlo. Il prigioniero si gira, tiene sempre le mani in alto, il suo viso è impaurito. Dopo una serie di primi piani dei due uomini, viene inquadrata Inge, anch’essa in primo piano, che chiude gli 298 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. occhi al rumore degli spari. Ma la macchina da presa torna su Christiansen, che abbassa il fucile: Paolo è salvo, il soldato ha sparato in alto83. Paolo ha il viso stupito: “Vai via scappa!”, gli ordina Karl. La cinepresa allarga e lo inquadra mentre corre velocemente giù per la collina. Il caporale risale dalla parte opposta, mentre Paolo torna indietro e si ferma: “Hei tu, aspetta, guarda che ci sono altri partigiani più avanti, stai attento!”. Il caporale è inquadrato dal basso, in una posizione di superiorità che ha appena dimostrato: “Non sento, vattene”, poi corre via. Anche Paolo se ne và. Inge raggiunge il caporale che sta tornando. Schlegel arriva e scende dalla macchina, e chiede a Reiter quando potranno proseguire. Reiter gli risponde: “Ho sistemato i miei uomini a difesa sui lati”, ma Schlegel interviene subito: “Ritirateli, abbiamo già perso tempo e voglio approfittare dell’oscurità.” La macchina da presa si avvicina al tenente: “Se permettete, signor colonnello, ritengo che sia un grosso sbaglio proseguire in questo momento. I partigiani si sono ritirati, ma la strada per Roma è ancora lunga e rischiamo di trovarceli addosso ad ogni curva.” Ma Schlegel non è disposto ad accettare il consiglio: “Se aspettiamo all’alba gli aerei distruggeranno le opere d’arte.” E il tenente infuriato, in primo piano, ribatte: “ Arte, arte, due dei miei uomini sono morti, signor colonnello. Volete rischiare altre vite umano per un carico di nessuna importanza?”, anch’egli manifesta il suo disappunto e la battuta è importante sempre dal punto di vista della rivalutazione dell’esercito tedesco, che anche qui dimostra di tenere alla vita umana più di qualsiasi altra cosa. Schlegel è seduto in macchina e ripreso in primo piano: “Non vi ho chiesto di assumervi responsabilità, tenente, o di esprimere dei giudizi su questa operazione. Siete 83 Tra i personaggi di Christiansen e Reiter sembra esserci una contrapposizione: il primo è il buon soldato tedesco che salva la vita al suo nemico ( è la seconda volta, dopo quella già raccontata ad Inge all’inizio del film ), mentre il secondo non esita a voler uccidere il partigiano catturato a sangue freddo, anche se la sua reazione è dovuta più probabilmente all’odio verso il caporale che ha conquistato il cuore della donna che anche lui ama. 299 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. un soldato e comportatevi come tale, il vostro dovere si limita ad eseguire gli ordini. Voi proteggete la colonna ai lati, io vado in testa.” La macchina parte, mentre Reiter , in primo piano lo saluta e lo guarda andare via. La macchina da presa allarga, il tenente è ripreso in piano americano e da destra arriva un altro soldato: “Lasciatelo fare, tenente, se ci tiene tanto a crepare. E’ un ottimo bersaglio lì davanti e farà da paravento.” E il tenente risponde semplicemente: “Gli piace fare l’eroe.” In un’altra inquadratura il caporale Christiansen è insieme all’infermiera Inge, lei sale su un camion, mentre lui le dice che andrà in testa. L’autocolonna è ferma e Karl corre lungo la strada. Ora l’inquadratura è davanti alla macchina di Schlegel. Karl dice: “Col vostro permesso vorrei salire con voi.”, e Schlegel: “No, torna indietro”, ma il caporale insiste: “Quattro occhi vedono meglio di due, signore” , il colonnello è stupito dall’insistenza dell’uomo e gli risponde: “Dì, non sarai mica impazzito?”. Ma il caporale, in primo piano, è pronto a spiegare: “Ho salvato la pelle a uno dei partigiani invece di fucilarlo e lui per ringraziarmi mi ha gridato da lontano qualcosa che non ho capito, forse un avvertimento”. Dopo un’alternanza di primi piani il colonnello decide di farlo salire. L’autocolonna parte, la musica diventa drammatica, come se qualcosa stesse ancora per succedere, e inizia una lunga sequenza di primi piani alternati dei protagonisti: i loro volti sono tesi e si intervallano con immagini della strada davanti ai mezzi (figura 38), dapprima di notte, poi l’immagine si fa chiara, quando arriva l’alba. 300 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 38. Vista della strada davanti alla macchina di Schlegel Ad un tratto la vista dalla collina cambia, è Schlegel il primo a notarla, che si gira con il viso sorridente, seguito da tutti gli altri: l’autocolonna è arrivata a Roma. La città è inquadrata in panoramica dall’alto, dalla strada su cui si trovano i camion, mentre la musica diventa un trionfale Alleluia. Il cambiamento sia di atmosfera che di musica fa intuire che ormai la missione è compiuta e non succederà più niente di spiacevole. La ventiquattresima sequenza è quasi interamente composta da immagini documentarie, tranne le poche in cui compaiono i personaggi del film di Reinl. Inizia con un’inquadratura dall’alto al basso di Castel Sant’Angelo a Roma, luogo in cui i tesori di Montecassino hanno trovato rifugio prima del bombardamento84. Davanti ad un portone arriva un camion. Sul ponte che conduce all’edificio la macchina da presa inquadra l’autocolonna di Schlegel che giunge a destinazione e subito dopo le casse vengono scaricate dai camion tra la folla di curiosi. Proprio tra queste comparse, riprese ora più da vicino, si fa strada il partigiano Paolo sorridente. 84 Alcune di queste immagini documentarie sono riprese direttamente dal cinegiornale tedesco Die Deutsche Wochenschau, prodotto dall’Archivio di Stato di Coblenza, in cui si mostrano i passaggi del salvataggio delle opere d’arte, dall’imballaggio alla solenne consegna davanti al Castel Sant’Angelo. Gli Alleati, in questi cinegiornali di propaganda, vengono visti solamente come profanatori della cultura europea, dopo il gesto sconsiderato del bombardamento di Montecassino. 301 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 39. Paolo assiste alla consegna delle opere Ancora documentaria è l’immagine dell’ufficiale tedesco che stringe la mano ad un monaco e si inchina davanti a lui, mentre il colonnello Schlegel del film, subito dopo, in primo piano, ripete la scena stringendo la mano ad un monaco di spalle (figura 40). Figura 40. Schlegel stringe la mano ad un monaco Civili e militari trasportano delle casse all’interno dell’edificio: contengono pergamene arrotolate, opere d’arte e grandi mappamondi. 85 Per i Tedeschi questa operazione fu un grande vantaggio in fatto di immagine, ma se il loro scopo era quello di portare prima o poi i tesori in Germania, non fu positivo per loro far sapere a tutto il mondo cosa stavano facendo per salvare il patrimonio culturale di Montecassino. La loro immagine comunque ne uscì fortificata a discapito di quella 85 Le immagini documentarie presenti in questa sequenza si possono vedere a pag. 94 , nella sezione Il salvataggio delle opere d’arte di dell’abbazia di Montecassino. 302 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. degli Alleati, barbari distruttori.86Alla cerimonia dell’8 dicembre presero parte il comandante tedesco della città di Roma, Maggiore Generale Maelzer, e dignitari ecclesiastici e civili italiani, e ne seguì un banchetto in onore dello Schlegel, organizzato da don Fedele von Stotzingen, Abate Primate dei Benedettini.87 La venticinquesima sequenza solleva il tono del film con un episodio quasi comico. Quattro soldati tedeschi passano davanti ad un edificio trasportando una barella con un corpo coperto da un telo. Ma il loro passo è veloce e il sottofondo musicale è una marcia scandita dal battito dei tamburi, quindi niente di drammatico nonostante la barella. Si trovano davanti a due persone che stanno avanzando nella loro direzione. La musica cambia di colpo, si fa solenne e da esequie, e i quattro rallentano il passo. Tra di loro si distingue Hugo, mentre le due persone che vengono verso di loro sono l’anziano generale Conrad e un altro ufficiale, che salutano la salma. Gli altri allora proseguono la loro processione, inquadrati da dietro, e dalla barella scendono le zampe di un maiale. I due ufficiali che le notano hanno un espressione sorpresa e chiedono di scoprire il “defunto”. Segue una conversazione tra Hugo e il generale. Il soldato fa notare al suo superiore che: “….tra poco è Natale” , donando anche una connotazione temporale piuttosto precisa agli avvenimenti. In questo periodo non si può ancora parlare di battaglia di Montecassino vera e propria, che inizierà invece in gennaio, ma le truppe tedesche e alleate combattevano nella zona circostante a Cassino già da molto tempo. All’inizio di dicembre si stava infatti combattendo la battaglia del Sangro, che si svolgeva nei pressi dell’omonimo fiume, mentre la V Armata americana riprese l’offensiva sulla breccia di Mignano, e in particolare su Monte Camino, una montagna importante che costò però alle truppe 86 87 F. Ficarra, op. cit., p. 41. Grossetti – Matronola, op. cit., p. 233. 303 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. anglo- americane, una forte perdita di uomini e mezzi ( avevano usato talmente tante munizioni in quel luogo che fu soprannominato “la Collina da un milione di dollari”). Rimaneva infine ancora il Monte Trocchio da conquistare, l’ultima cima prima di Cassino. Ai tedeschi non era mai importato di mantenere quelle posizioni, ma riuscirono in questo modo a prendere il tempo necessario per completare al meglio la loro vera linea di difesa, la Gustav.88 La ventiseiesima sequenza riprende ancora la tematica temporale. Bauman entra in una stanza con due piccoli sempreverdi in mano, mentre Inge è seduta ad un tavolo e prepara le decorazioni natalizie. Inge dice: “Combatteranno anche oggi laggiù?” e chiude questa breve sequenza con una dissolvenza. La ventisettesima sequenza si svolge all’interno del monastero di Montecassino. Inizia con un’inquadratura dell’abbazia e con il suono delle campane a festa. Una dissolvenza sposta l’azione all’interno della basilica, si sente la voce di un monaco che canta. La cinepresa si muove ad inquadrare il particolare di un cappello militare portato sottobraccio dal suo proprietario e si alza fino a mostrare la persona in questione: è il colonnello Schlegel.89 Viene poi inquadrato un monaco in piedi, nel quale si riconosce don Emanuele Munding di Beuron. Un’inquadratura svela la navata della basilica , con i due cori di monaci e tra di loro l’abate in preghiera (figura 41). La voce che si sente è proprio quella dell’abate Diamare. L’atmosfera è solenne, ma la cupezza dell’illuminazione fa intuire la situazione drammatica vissuta dai monaci in quel periodo. 88 F. Majdalany, op. cit., p.32 L’ultima visita di Schlegel al monastero risale a un giorno compreso tra il 4 e l’8 di novembre, quando le messe già si svolgevano nella cappella del collegio. In quell’occasione l’Abate Diamare chiese al colonnello di firmare un documento secondo il quale il monastero è sotto la protezione militare e quindi che è assolutamente vietato requisire qualsiasi cosa senza l’ordine della Divisione. Grossetti – Matronola, op. cit., p. 26 89 304 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 41. Il coro dei monaci Il colonnello guarda l’orologio ed esce dalla sala, seguito dal monaco tedesco. Entra in una porta, sulla parete si trova collocato un grande crocifisso di legno, che già si è visto in altre scene del film. E’ l’unica opera d’arte che realmente si vede, ed è indicativo della Passione che stanno attraversando i seguaci di San Benedetto durante la guerra, una sorta di elemento simbolico. Schlegel comunica al monaco che fra poco tornerà a casa. Il religioso gli dice che è stato Dio a mandarlo90, ma il colonnello sostiene di aver fatto tutto quanto solo per se stesso, poi si salutano e il militare se ne và. Il coro dei monaci ora canta un Alleluia, quasi fosse un ringraziamento all’ufficiale che ha salvato il loro patrimonio. La macchina da presa si avvicina a loro e finisce con l’inquadrare l’abside ed il catino absidale della basilica, decorato da un mosaico di Cristo in gloria, mentre su una trave sospesa si trovano le statue di Gesù in Croce fra due santi, ancora la stessa immagine ricorrente. Nella sequenza appena descritta si notano alcune incongruenze temporali. L’ultima visita del colonnello Schlegel risale all’inizio di novembre. Qui la messa è celebrata all’interno della basilica, quando a quel tempo già si celebrava nella Cappella del 90 Anche questa conversazione compare nell’articolo del colonnello Schlegel già citato. In Grossetti – Matronola, op. cit., p.234. 305 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Collegio91. La messa a cui assistette il colonnello nella basilica risale invece al giorno 1 novembre92, quando, con tanto di troupe cinematografica, l’Abate consegnò delle pergamene miniate all’ufficiale, come dono di ringraziamento: una per il generale Conrad, una per sé e una per il capitano medico Becker, ovvero coloro che avevano lavorato per mettere in salvo il patrimonio dell’abbazia. I due episodi sono stati quindi visibilmente uniti: si narra della visita dello Schlegel, non della messa filmata, ma nel luogo in cui era avvenuta la suddetta messa, non nella cappella. Inoltre questo episodio è avvenuto circa un mese prima della consegna delle opere salvate in vaticano da parte dell’autocolonna del colonnello, che il film invece ha collocato precedentemente, pur risalendo all’8 dicembre.93 La ventottesima sequenza rappresenta un salto temporale notevole rispetto a quella precedente. Il cielo è popolato di aeroplani, di cui si sente il rumore (l’immagine è documentaria), mentre subito dopo la macchina da presa inquadra il monastero da lontano e sullo schermo compare la data 15 FEBBRAIO 1944, giorno del bombardamento. Il film passa quindi in modo repentino al centro della battaglia di Montecassino, tralasciando completamente tutta la prima parte, cioè quella che si svolge tra il 17 gennaio e il 7 febbraio, dove ebbero luogo gli scontri di sant’Angelo in Theodice e del fiume Rapido. In realtà la battaglia sul Rapido era già stata mostrata nel corso della pellicola, ma in modo molto approssimativo e non veritiero.94 I fatti che si svolsero tra il quindici e il 18 febbraio creano un certo disaccordo tra le storiografie delle due parti: gli storici tedeschi tendono a considerarli solamente come 91 Grossetti – Matronola, op. cit., p. 26. Grossetti – Matronola, op. cit., pp. 24 – 25. 93 Grossetti – Matronola, op. cit., p. 233. 94 Infatti non furono i paracadutisti tedeschi a combattere in quella occasione, ma le truppe di terra. 92 306 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. bombardamento dell’abbazia, mentre la storiografia alleata parla di una battaglia. Quindi per i tedeschi ci furono tre battaglia di Montecassino, mentre per gli alleati quattro, e la seconda è proprio quella che si svolse tra il 15 e il 18 febbraio, e che il film sta narrando in questo momento. Le bombe iniziano a cadere su Montecassino, si vede un’esplosione al suo interno e i profughi scappano scendendo una scala. Si sente solo il rumore delle deflagrazioni e delle persone che urlano. Un monaco è ripreso in primo piano in preghiera (figura 42), ed è un’immagine di fede e speranza nel caos regnante. La gente si mette al riparo, franano i soffitti. Figura 42. Monaco in preghiera durante il bombardamento Ancora dall’esterno, nelle vere immagini della guerra95, Montecassino è visto dall’esterno, da lontano, colpito da una grande quantità di ordigni. Gli aerei popolano ancora il cielo sopra di esso e la cinepresa ne inquadra in particolare uno di essi, con il simbolo dell’esercito americano. In primo piano il caporale Christiansen e il tenente Reiter guardano la scena (figura 43): “Scaricano bombe come se ci fosse tutto l’esercito tedesco”. I due attori, in questo frangente, recitano la loro parte davanti ad uno schermo che proietta le immagini documentarie della distruzione dell’edificio. In cielo sono 95 Immagini documentarie. 307 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. rimaste solo le scie degli aerei, mentre il monastero, ad un certo punto, scompare tra il fumo e la polvere. Sull’ edificio già gravemente colpito continua la pioggia di bombe, mentre la macchina da presa si sposta all’interno dei suoi cortili e, in piano sequenza, mostra le rovine ancora in fiamme96. La distruzione si chiude con una dissolvenza. Figura 43. Il caporale Christiansen e il tenente Reiter durante il bombardamento osservano il colle del monastero La ventinovesima sequenza si svolge all’interno del monastero. In piano sequenza passa una barella con un ferito, trasportata da due uomini e seguita da un bambino. Un monaco è in piedi e sta pregando, mentre altri suoi confratelli benedicono un ferito deposto sul pavimento. Questi ultimi, tra cui si nota l’abate Diamare, si alzano e si dirigono verso una scalinata, salgono qualche gradino per raggiungere una posizione elevata, poi si fermano. I profughi e i monaci sotto la scalinata si inginocchiano, mentre l’abate, in primo piano, li benedice. All’esterno i profughi camminano sulle macerie (figura 44), mentre più lontano i monaci escono in preghiera (figura 45). La musica è un drammatico Alleluia, che ben accompagna la visione apocalittica della distruzione. Arriva un mezzo di trasporto 96 239 bombardieri pesanti e medi avevano colpito l’abbazia i otto ondate, sganciando un totale di oltre 450 tonnellate di bombe, di cui 66 incendiarie. F. Ficarra, op. cit., pp. 103 – 104. 308 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. tedesco della croce rossa97. Da una motocicletta munita di sidecar scendono Inge e Bauman. Il film rincara ancora la dose sulla bontà e disponibilità dei militari tedeschi nel tempestivo aiuto delle persone colpite dal bombardamento. Figura 44. Una donna esce dalle macerie Figura 45. I monaci tra le macerie Tra le macerie è rimasta molta gente, i monaci sono in fila all’interno di un cortile, dove arrivano davanti ad una croce e si inginocchiano, mostrando così di non aver perso la loro fede neanche in momento così terribile. L’abate bacia la terra e si rialza aiutato dai suoi monaci, poi avanza e gli altri lo seguono. Torna don Emanuele, figura importante nel film per i suoi rapporti con i tedeschi, che si guarda intorno e non va con gli altri. Attraverso i suoi occhi la cinepresa mostra un paesaggio desolato di fumo e macerie. La visione desolata si fa qui più coinvolgente grazie al punto di vista interno che assume attraverso gli occhi del monaco di Beuron. 97 La sequenza dei fatti non è esatta. Secondo i diari dei monaci, e in particolare quello scritto da don Martino Matronola, i monaci e i profughi in grado di muoversi lasciarono il monastero il giorno 17 febbraio, ma nessun mezzo di soccorso tedesco si era ancora recato al monastero per aiutare i feriti. I monaci raggiungono a piedi una casetta della croce rossa, poco più in basso del monastero, dove alcune ambulanze dovrebbero essere pronte per soccorrere i feriti, e i monaci se ne raccomandano a più riprese. In Grossetti – Matronola, op. cit., pp. 96 – 108. 309 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. I monaci si allontanano, mentre da lontano arrivano altri uomini: sono i soldati del Primo Battaglione98. Il tenente Reiter manda Hugo a prendere l’acqua per i profughi. Tra le macerie i militari sono annidati e il tenente tiene fra le mani una carta geografica. Alla sua destra arriva un uomo (figura 46): “Signor tenente, c’è un messaggio qui. Il comandante del Terzo Battaglione a quota 59099 è morto, dovete rimpiazzarlo al più presto.” Ma il tenente risponde: “Come faccio, tra noi e quota 590 c’è un mucchio di americani”. Sotto un portico Reiter ordina: “Christiansen, prendi la posizione con quindici uomini”, un soldato corre fra le macerie e comunica al suo superiore che il sotterraneo è pieno di feriti ed è arrivata la moto dei sanitari con l’infermiera che era andata a Roma con il colonnello Schlegel. Figura 46. Il tenente e un altro soldato tra le rovine di Montecassino All’interno, in una stanza, Inge corre incontro a dei soldati per chiedere se hanno dell’acqua. I militari scendono le scale e dei bambini si avvicinano a loro di spalle, Inge sorride e dal fondo del locale Bauman entra dalla porta, comunicando di aver installato 98 I paracadutisti tedeschi hanno anche nella realtà sfruttato le macerie dell’abbazia per resistere all’attacco alleato. F. Majdalany, op. cit., p. 153. 99 Probabilmente ci si riferisce, con più precisione, a Quota 593, che corrisponde alla posizione strategica di Monte Calvario, a nord ovest di Montecassino, dove ci fu un duro scontro tra le truppe polacche e i paracadutisti tedeschi. F. Majdalany, op. cit, pp. 154 – 155. 310 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. il depuratore per l’acqua. Come già detto il fatto è di pura invenzione, ma accresce l’aspetto positivo che si vuole dare ai militari del Reich. All’esterno il tenente è ancora con lo stesso soldato e vuole tentare col buio di raggiungere quota 590. Scoppiano delle bombe e i militari si buttano a terra. Reiter dice: “Sembra che vogliano ricominciare il bombardamento. Fa preparare altri posti in cantina.” Il soldato si alza e corre tra le bombe. Una dissolvenza porta l’azione ancora in interni. Inge si trova in una camera buia, entra il tenente e la bacia. Segue il primo piano della donna che mantiene però un’espressione seria, poi quello dell’uomo. Entra dalla porta il caporale Karl: “Signor tenente, abbiamo preso posizione”. Il tenente esce, mentre Karl si trova da solo con Inge. L’uomo, inquadrato a mezza figura, le chiede: “Quanti sono i feriti che potrebbero essere trasportati durante una notte? Casomai quelli interrompessero il bombardamento?”, ma Inge non sa dire con precisione una cifra. Entrano due soldati, che riferiscono di aver montato la radio nella stanza accanto a quella. Il caporale esce con loro e lascia la donna, che urla il nome del caporale. In un’altra stanza una donna è in piedi di spalle rispetto alla macchina da presa. Il tenente Reiter si avvicina e la guarda: è la moglie di Paolo, Reiter non l’ha uccisa nella ventiduesima sequenza. La passa e sale le scale, lei lo guarda. La tensione si fa palpabile anche fra i personaggi. All’esterno il tenente corre fra le macerie e si avvicina alla cinepresa, arriva l’altro soldato, che cerca di impedirgli di andare da solo a quota 590. Le bombe esplodono ancora, il fumo è ovunque. Un corpo inquadrato a mezza figura, tra le macerie, si muove e alza la testa, poi la fa ricadere: è ancora la moglie di Paolo, inquadrata questa volta in fin di vita, anche se la sua morte è un fatto del tutto accidentale, non provocato dalla crudeltà del tenente. 311 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Reiter e l’altro militare camminano tra le macerie. Il caporale Christiansen è seduto, in primo piano, nella sala radio. Inge entra nella stessa stanza e va a sedersi su di una branda piangendo, perché solo trentasette feriti possono essere trasportati (risponde ora alla domanda che Karl le aveva fatto). I due sono di fronte in primo piano, poi Karl fa sdraiare Inge. Ancora un momento di tenerezza fra i due. Il tenente e l’altro soldato camminano ancora tra le macerie e si buttano a terra quando sentono la voce degli Americani, che compaiono lontani a destra. La voce di uno di quei soldati chiede chi c’è, i due Tedeschi si alzano nel buio e il tenente prova ad imbrogliarlo parlandogli anch’esso in inglese. Inventa una storia ma il soldato di colore (figura 47) non ci crede e gli ordina di alzare le mani (“Put your hands on!”). Il secondo soldato prende da terra una pietra dietro al tenente, è ancora seduto, poi la scaraventa sul nemico colpendolo vicino al volto. Quest’ultimo, a causa del colpo, spara e colpisce il tenente Reiter, che cade. L’altro soldato tedesco va verso di lui, viene illuminato dagli americani, cerca di arrampicarsi su una parete (sempre in luce), ma gli sparano e cade vicino al tenente (figura 48). L’ultima immagine è per i due corpi ancora illuminati, in un’immagine quasi surreale nel buio totale della scena. Figura 47. Un soldato americano Figura 48. il corpo di un soldato tedesco Anche il caporale Karl illumina Inge con una torcia, creando un parallelismo tra le scene, per svegliarla e le dice: “Cara, è ora, hanno interrotto il fuoco”. Seguono i primi 312 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. piani alternati dei due, dopo di che il caporale se ne va, con il dubbio di non rivedere più la donna, che prima di lasciarlo lo abbraccia. La trentesima sequenza inquadra la città di Cassino sotto le bombe e in mezzo allo schermo compare la scritta E IL BOMBARDAMENTO RIPRESE SENZA PIETA’ PER NESSUNO100. E’ un’altra sequenza documentaria. Le bombe scoppiano nelle strade, il cielo è ancora popolato di aerei. La città è poi nuovamente ripresa da lontano. Più da vicino invece i soldati sparano, le bombe esplodono, si inquadrano i cannoni e nel cielo gli aerei che sganciano i paracadutisti. Le immagini della guerra sono quelle molto comuni che compaiono in tutti i documentari, ma qui vengono intervallate con quelle brevi dei protagonisti del film che si nascondono tra le macerie della città. Il caporale corre, vede un cadavere e prende il suo fucile, dopo di che la cinepresa si ferma a riprendere il morto e conclude la sequenza con una dissolvenza. Conclusione La macchina da presa si muove in panoramica sulla città distrutta, nel silenzio inizia a parlare una voce fuori campo: “E fu la fine, la fine di una battaglia tremenda che vide morire tra fuoco e sangue i migliori soldati dell’uno e dell’altro esercito – viene inquadrato un campo con delle croci – come gli Americani, i Sudafricani e i Polacchi della quinta Armata, e quei Tedeschi del Primo reggimento Paracadutisti – inquadratura del cimitero di guerra tedesco, le croci sono diverse da quelle precedenti – che il nemico, in omaggio al loro valore, battezzò “I Diavoli Verdi di Montecassino” – la cinepresa continua la panoramica sul cimitero tedesco e inquadra Inge e Karl, poi 100 Il bombardamento che colpì con violenza la città di Cassino avvenne il 15 marzo, nel corso di quella che viene definita la seconda battaglia di Montecassino. La città divenne un’enorme barriera anticarro, per le condizioni in cui si trovava il terreno, che non permettevano l’utilizzo di mezzi pesanti. V. Rossetti, La seconda battaglia, www. dalvolturnoacassino. it. 313 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. continua sul cimitero polacco in panoramica - . Il rombo della battaglia è cessato da tempo, ma in alto, sopra la valle, si ergono ricostruite le mura, le cupole e i campanili del monastero di Montecassino – la cinepresa continua la sua strada dal cimitero polacco fino al monastero, che si trova proprio sul colle di fronte -, un tempo monumento del desiderio di pace degli uomini, oggi monumento terribile che non consentirebbe riposo a chi ne dimenticasse l’atroce significato.” Il film centra quindi la sua attenzione sull’episodio del salvataggio delle opere d’arte per mano del colonnello Schlegel e della Herrman Goering, che tanto lustro diede all’esercito tedesco durante la guerra. Infatti pellicole di questo genere servivano alla Germania per rivalutare le loro implicazioni nella guerra e per mostrare, soprattutto, quello che di buono avevano fatto. E l’episodio di Montecassino era l’ideale per raggiungere lo scopo. Se la prima parte del film, con le battaglie poco veritiere e le storie private dei personaggi, serve di preparazione al fulcro del racconto, la parte centrale affronta la storia in modo abbastanza preciso. Anche se chiaramente alcuni particolari sono falsati, o meglio, visti solamente dal punto di vista del colonnello Schlegel. Non sfiora chiaramente la possibilità che le opere d’arte potessero essere state veramente trafugate per finire alla “corte” di Herrman Goering, poiché comunque la consegna avvenne, e in grande stile, con tutto quell’apparato di propaganda che caratterizzava l’intero regime hitleriano. Solo nella seconda parte del film si affronta il tema vero e proprio della battaglia di Montecassino, ma in modo del tutto sommario. 314 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Si parte dal bombardamento dell’abbazia, avvenuto il 15 febbraio, tralasciando completamente la prima battaglia, che viene solamente accennata molto prima ed estrapolata da ogni contesto, e che fissa nei paracadutisti i protagonisti di un’importante battaglia sul fiume Rapido che in realtà si svolse tra la 36^ Divisione Texas e la 15^ Panzergrenadier Division (divisine di fanteria). Il bombardamento rimane comunque un episodio favorevole alle truppe tedesche, che si trovarono puliti di fronte all’onta che invece affliggeva le truppe alleate. Un altro punto a loro favore, quindi. Tutto il resto della battaglia è fatta di semplici accenni, che servivano principalmente a provare il valore dei soldati tedeschi, che anche nella realtà si comportarono nel migliore dei modi, soprattutto sulla linea Gustav. E’ da notare infine la caratterizzazione che viene data ai personaggi, che in diverse battute del film rivelano la loro generosità, la loro umanità, e la loro dissociazione verso un regime che li rende assassini spietati. I diavoli verdi di Montecassino è da ritenersi quindi un film profondamente legato al suo tempo, in cui la Germania si stava risollevando dalla sconfitta della guerra e aveva bisogno soprattutto di un riscatto morale verso il resto del mondo, che vedeva solo quello che di negativo c’era stato. 315 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 316 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 11.5. Pellicole secondarie Come già ricordato in precedenza, la battaglia di Montecassino, pur rimanendo un episodio fondamentale della seconda guerra mondiale combattuta sul suolo italiano, non ebbe grande influenza sulla cinematografia italiana e straniera. Oltre ai film analizzati, che trattano in modo approfondito questo episodio, esistono altre pellicole che hanno in qualche modo a che fare con la battaglia in questione. Il primo in ordine cronologico è La vita ricomincia, che il regista Mario Mattioli diresse nel 1946. Nel film un reduce sbarca a Napoli e, sulla strada per Roma, passa a Cassino. Essendo la pellicola girata subito dopo la guerra, quello che si vede di questo luogo è un cumulo di macerie e il personaggio in questione si sofferma a guardare inorridito quello che rimane della città. La durata delle scene interessate al tema trattato è in tutto di una decina di minuti. Figura 1.Gli attori osservano il paesaggio lunare attorno alla Rocca Janula nel film La vita ricomincia, di Mario Mattioli, 1946 Nel 1948 negli Stati Uniti veniva girato Key Largo ( L’isola di corallo ) dal regista John Huston. L’unico riferimento alla battaglia di Montecassino è una frase detta da Humphrey Bogart quando gli viene chiesto dove aveva fatto la guerra: “ Ero in Italia, su una collina vi era un monastero…”. Key Largo è un’isola vicino alla Florida dove il 317 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. protagonista va a fare visita ai familiari di un suo commilitone caduto a Cassino. E’ anche da ricordare che il regista John Huston fu veramente mandato sul fronte di Cassino, arruolato nel 143° Reggimento fanteria del Texas, dapprima per documentare l’imminente liberazione di Roma, ma quando i tedeschi bloccarono gli alleati sul fiume Liri, il suo compito divenne quello di spiegare agli americani perché la guerra si era fermata tra Roma e Napoli. Il prodotto di questo lavoro fu un combat film dal titolo The battle for San Pietro, girato nel paese di San Pietro Infine, dove John Huston entrò per primo, insieme alla sua troupe cinematografica, dopo quindici giorni di combattimenti. Nel 1968 Duilio Coletti e Edward Dmytryk dirigono Lo sbarco di Anzio, una produzione internazionale di Dino De Laurentiis che narra dello sbarco omonimo attraverso gli occhi di un corrispondente di guerra a Napoli, della resistenza tedesca a Cassino ( si vede qualche immagine di battaglia in un territorio collinoso ) e dell’arrivo a Roma degli Alleati. Figura 2. Locandina del film Lo sbarco di Anzio di Duilio Coletti e Edward Dmytryk, 1968 318 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Una curiosità caratterizza invece La battaglia dell’ultimo panzer, film italo – spagnolo diretto da Josè Luis Merino nel 1968. Tutta la storia è ambientata dopo lo sbarco in Normandia, quindi in tempi diversi da quelli delle battaglie sulla Linea Gustav, ma la particolarità sta nel fatto che il film, nella distribuzione tedesca, ha come titolo Montecassino. Probabilmente fu un modo per attirare nelle sale il pubblico tedesco, molto sensibile all’episodio. Figura 3. Locandina della versione tedesca del film La battaglia dell'ultimo panzer di Josè Luis Merino, 1968 319 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 320 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 12. APPENDICI 12.1. APPENDICE 1: L’ ABBAZIA DI MONTECASSINO Figura 1. L'abbazia di Montecassino oggi L’abbazia di Montecassino, fondata da San Benedetto da Norcia verso l’anno 529 d.C., sorse sulla base di una preesistente fortificazione romana del municipium di Casinum. Su questo monte si esercitava ancora il culto pagano con un tempio dedicato ad Apollo e un boschetto sacro con annessa area per i sacrifici. Montecassino lungo i secoli ha vissuto una feconda storia di santità, di cultura e di arte, per cui è celebre nel mondo intero. Distrutto verso l’anno 577 dai Longobardi del duca beneventano Zotone, il monastero rinasce agli inizi del secolo VIII per opera del bresciano Petronace su mandato di papa Gregorio II. Già in questo secolo l’abbazia si affermava come centro importante di cultura e Paolo Diacono vi fondava uno scriptorium, dove furono trascritte molte opere 321 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. antiche e che divenne uno dei principali centri di diffusione della scrittura beneventana. Per l’abbazia cassinese è un periodo di grande splendore: vi accorrono il monaco sassone Villibaldo, il monaco Sturmio discepolo di San Bonifacio, fondatore di Fulda e del monachesimo tedesco, il duca Gisulfo II di Benevento, Carlomanno fratello di Pipino, Ratchis re dei Longobardi, Anselmo futuro abate di Nonantola. Nel 787 vi giunge Carlo Magno, che rilascia ampi privilegi. Nell’883 i Saraceni invadono il monastero, lo saccheggiano e lo danno alle fiamme. Vi trova la morte il santo abate Bertario, fondatore della Cassino medievale. I monaci superstiti riparano prima a Teano, poi a Capua, e solo verso la metà del X secolo la vita monastica riprenderà in pieno grazie all’abate Aligerno. Durante il secolo XI si succedono grandi abati: Teobaldo, Richerio, Federico di Lorena, che sarà poi papa con il nome di Stefano IX. Essi elevano Montecassino a livelli di grande prestigio in campo ecclesiastico e politico, che trova il suo apice nella personalità dell’abate Desiderio. Amico e collaboratore di papa Gregorio VII nella lotta per la libertà della Chiesa, Desiderio abate e cardinale ne diverrà il successore con il nome di Vittore III: durante il suo abbaziato viene ricostruita la Basilica, consacrata nel 1071, e il monastero si arricchisce di codici miniati, mosaici, smalti, oreficeria liturgica di fattura orientale. Alla grandiosa opera di ricostruzione furono chiamati architetti lombardi e amalfitani oltre a pittori provenienti da Bisanzio. La presenza e l’attività di questi ultimi a Montecassino sono all’origine della scuola cassinese di pittura, sviluppatasi appunto nel corso del secolo XI. Nel 1349 avviene la terza distruzione a causa di un terremoto: dell’edificio fatto costruire dall’abate Desiderio non restano che poche mura. Ricostruito dal secolo XVI 322 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. al secolo XVIII, accolse nel suo ultimo aspetto caratteri del tardo Rinascimento, ma nel prosieguo dei lavori si configurò come monumento architettonico dell’età barocca . In questa ricostruzione varie sono le aggiunte e gli abbellimenti, che danno al monastero la grandezza conservata fino al 15 febbraio 1944, quando, nella fase finale della seconda Guerra Mondiale, Montecassino vene a trovarsi sulla linea di scontro degli eserciti: luogo di preghiera e di studio, divenuto in circostanze così eccezionali anche asilo di centinaia di civili rifugiati, fu, nello spazio di tre ore, ridotto a un cumulo di macerie, sotto le quali trovarono la morte molti dei rifugiati. Figura 2. Interno della basilica prima del bombardamento del 15 febbraio 1944 323 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 3. Interno della basilica dopo la ricostruzione del dopoguerra Quanto si vede oggi è stato riedificato sull’antico modulo architettonico, con la sua pianta rettangolare aperta sul disegno dei tre chiostri, dei secoli XVI e XVIII, con la grandiosa basilica a tre navate , secondo il programma dell’abate ricostruttore Ildefonso Rea: “ dov’era, com’era”. Le varie opere di ricostruzione e di decorazione hanno avuto la durata di un decennio e sono state esclusivamente finanziate dallo Stato italiano. Nel 1950 sono state ritrovate le reliquie di San Benedetto e di Santa Scolastica, ora sistemate nell’altare maggiore. Pressoché integra si è conservata la cripta, decorata nel 1913 dagli artisti della scuola tedesca di Beuron. 324 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. L’abbazia conserva tuttora la sua preziosa biblioteca, pur gravemente compromessa dalle distruzioni belliche: del ricchissimo patrimonio , frutto di un immenso lavoro culturale, oggi si conservano ancora oltre 1000 codici, 40000 pergamene e tutto il fondo delle opere a stampa con 250 incunaboli. Il primo documento ufficiale in volgare, conservato nella biblioteca di Montecassino, è del 960. Si tratta del cosiddetto Placito Capuano, un atto giudiziario nel quale tre testimoni garantivano l’appartenenza di certe terre al monastero di Montecassino con la seguente formula: SAO KO KELLE TERRE, PER KELLE FINI QUE KI CONTENE, TRENTA ANNI LE POSSETTE PARTE SANCTI BENEDICTI ( So che quelle terre , con quei confini che qui si descrivono, le possedette trenta anni l’ordine di San benedetto ). La biblioteca è stata dichiarata monumento nazionale e rientra nel novero delle biblioteche pubbliche statali, mentre nel museo sono conservate opere di vario genere salvate dal bombardamento. Si possono ricordare tra queste: i resti del pavimento della basilica realizzata sotto l’abate Desiderio; le oreficerie altomedievali, che documentano l’antichità dell’insediamento cristiano a Montecassino; i tre portali della basilica dell’abate Desiderio; i bozzetti di scuola napoletana che documentano quasi completamente la decorazione pittorica della distrutta basilica, realizzati tra gli altri da L. Giordano, F. Solimena, De Mura, S. Conca; sculture dei secoli XV, XVI, XVII che decoravano gli ambienti del monastero; statue lignee di varia epoca; legature ricche e variegate che dimostrano l’amore dei monaci per i libri; stampe e disegni che documentano il complesso monumentale del monastero e lo svilupparsi delle sue fabbriche; corali, manoscritti, regole, libri d’ore, per un totale di oltre 100000 volumi 325 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. che i monaci hanno raccolto dal VI secolo a oggi; marmi provenienti dalla basilica; paramenti sacri destinati a liturgie solenni e preziosamente ricamati; merletti, avori e il Tesoro, la suppellettile in uso per le celebrazioni liturgiche; reperti etruschi e romani trovati sul luogo che testimoniano la vita sul colle già dal VI secolo a. C. Per finire una serie di quadri dal secolo XV raffiguranti San Benedetto nel suo tradizionale abito nero e bianco dalle ampie maniche, con pastorale e libro della Regola. Figura 4. Chiostro del Bramante 326 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Figura 5. Statua di San Benedetto Figura 6. Statua di Santa Scolastica Figura 7. Altare maggiore della basilica Figura 8. Altare maggiore della basilica 327 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 328 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 12.2. APPENDICE 2: IL VOLANTINO DEL 14 FEBBRAIO 1944 329 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Il 14 febbraio 1944 gli aerei Alleati lanciarono sul Monastero di Montecassino molti volantini, per avvisare la gente che aveva trovato rifugio in esso che il sacro recinto sarebbe stato bombardato. Purtroppo per i militari tedeschi doveva trattarsi solo di una sorta di trappola o di propaganda e i civili non furono lasciati uscire in tempo utile, prima cioè che l’Abbazia non venisse realmente presa di mira dal bombardamento angloamericano. Il film Montecassino di Arturo Gemmiti mostra questo volantino, che però è leggermente modificato. Il volantino preparato per il film recita: Amici Italiani, finora abbiamo cercato di evitare il bombardamento di Montecassino, ma i tedeschi hanno saputo trarne vantaggio. Ora la battaglia si è ancora più stretta intorno al sacro recinto; noi a malincuore siamo costretti a puntare le armi contro lo stesso Monastero. Abbandonate subito il Monastero; il nostro avviso è urgente ed è dato per il vostro bene. LA QUINTA ARMATA Come si può notare di seguito, osservando la copia del volantino originale1, il testo è stato leggermente modificato nel contesto cinematografico, ma non stravolto nella sostanza. 1 L’immagine del volantino è stata presa dall’apparato iconografico del libro già citato di Grossetti – Matronola. 330 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 12.3. APPENDICE 3: LA DICHIARAZIONE DELL’ABATE DIAMARE 331 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Qualche ora dopo il bombardamento l’Abate Diamare rilasciò, sotto richiesta dei militari tedeschi una dichiarazione autografa scritta sull’altare della Torretta. 1 Questo è il testo della dichiarazione: Attesto per la verità che nel recinto di questo sacro Monastero di Montecassino non vi sono stati mai soldati tedeschi, vi furono soltanto per un certo tempo tre gendarmi al solo scopo di far rispettare la zona neutrale che si era stabilita intorno al Monastero, ma questi da circa venti giorni furono ritirati. Montecassino, 15 febbraio 1944 Gregorio Diamare Vescovo Abate di Montecassino Come si può notare nel documento originale riportato di seguito, il foglio su cui è stato scritto il documento di pugno dell’Abate è diviso in due parti. Nella parte inferiore infatti si trova una traduzione in tedesco sommaria del documento, che recita : “io attesto per la verità che nel Monastero di Montecassino non si trovavano e non si trovano soldati tedeschi”, controfirmata dall’Abate Diamare. 1 L’immagine e il testo sono tratti dall’apparato iconografico del libro di Grossetti – Matronola. 332 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 12.4. APPENDICE 4 : THE DEATH OF CAPTAIN WASKOW (Ernie Pyle) AT THE FRONT LINES IN ITALY, January 10, 1944 — In this war I have known a lot of officers who were loved and respected by the soldiers under them. But never have I crossed the trail of any man as beloved as Capt. Henry T. Waskow of Belton, Texas. Capt. Waskow was a company commander in the Thirty-Sixth Division. He had led his company since long before it left the States. He was very young, only in his middle twenties, but he carried in him a sincerity and gentleness that made people want to be guided by him. "After my own father, he came next," a sergeant told me. "He always looked after us," a soldier said. "He'd go to bat for us every time." "I've never knowed him to do anything unfair," another one said. I was at the foot of the mule trail the night they brought Capt. Waskow's body down. The moon was nearly full at the time, and you could see far up the trail, and even part way across the valley below. Soldiers made shadows in the moonlight as they walked. Dead men had been coming down the mountain all evening, lashed to the backs of mules. They came lying belly-down across the wooden packsaddles, their heads hanging down on the left side of the mule, their stiffened legs sticking awkwardly from the other side. bobbing up and down as the mule walked. The Italian mule-skinners were afraid to walk beside the dead men, so Americans had 333 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. to lead the mules down that night. Even the Americans were reluctant to unlash and lift off the bodies at the bottom, so an officer had to do it himself, and ask others to help. The first one came early in the morning. They slid him down from the mule and stood him on his feet for a moment, while they got a new grip. In the half light he might have been merely a sick man standing there, leaning on the others. Then they laid him on the ground in the shadow of the low stone wall alongside the road. I don't know who that first one was. You feel small in the presence of dead men, and ashamed at being alive, and you don't ask silly questions. We left him there beside the road, that first one, and we all went back into the cowshed and sat on water cans or lay in the straw, waiting for the next batch of mules. Somebody said the dead soldier had been dead for four days, and then nobody said anything more about it. We talked soldier talk for an hour or more. The dead men lay all alone outside in the shadow of the low stone wall. Then a soldier came into the cowshed and said there were some more bodies outside. We went out into the road. Four mules stood there, in the moonlight, in the road where the trail came down off the mountain. The soldiers who led them stood there waiting. "This one is Captain Waskow," one of them said quietly. Two men unlashed his body from the mule and lifted it off and laid it in the shadow beside the low stone wall. Other men took the other bodies off. Finally there were five lying end to end in a long row, alongside the road. You don't cover up dead men in the 334 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. combat zone. They just lie there in the shadows until somebody else comes after them. The unburdened mules moved off to their olive orchard. The men in the road seemed reluctant to leave. They stood around, and gradually one by one I could sense them moving close to Capt. Waskow's body. Not so much to look, I think, as to say something in finality to him, and to themselves. I stood close by and I could hear. One soldier came and looked down, and he said out loud, "God damn it." That's all he said, and then he walked away. Another one came. He said, "God damn it to hell anyway." He looked down for a few last moments, and then he turned and left. Another man came; I think he was an officer. It was hard to tell officers from men in the half light, for all were bearded and grimy dirty. The man looked down into the dead captain's face, and then he spoke directly to him, as though he were alive. He said: "I sure am sorry, old man." Then a soldier came and stood beside the officer, and bent over, and he too spoke to his dead captain, not in a whisper but awfully tenderly, and he said: "I sure am sorry, sir." Then the first man squatted down, and he reached down and took the dead hand, and he sat there for a full five minutes, holding the dead hand in his own and looking intently into the dead face, and he never uttered a sound all the time he sat there. And finally he put the hand down, and then he reached up and gently straightened the points of the captain's shirt collar, and then he sort of rearranged the tattered edges of 335 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. his uniform around the wound. And then he got up and walked away down the road in the moonlight, all alone. After that the rest of us went back into the cowshed, leaving the five dead men lying in a line, end to end, in the shadow of the low stone wall. We lay down on the straw in the cowshed, and pretty soon we were all asleep. 336 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 12.5. APPENDICE 5: RILEY TIDWELL’S HOMECOMING Riley Tidwell1 non sapeva che il suo capitano era stato il protagonista di un apprezzato articolo di Ernie Pyle fino all’estate del 1945, quando Tidwell tornò a casa dall’ Europa. Il seguente testo è la trascrizione di una conversazione registrata il 18 gennaio 1995, nella quale Tidwell raccontava il suo ritorno a casa e l’impegno nella trasposizione cinematografica dell’articolo di Pyle. Parla anche del suo incontro con il padre di Pyle e con gli attori Burgess Meredith e Robert Mitchum. I got hit coming down the mountain there with Waskow. I'd got hit in the wrist. In fact, I still wear a brace now on my left arm, from my knuckles in my hand, plumb up to my shoulder on my left side. I'd got hit in my wrist, but it didn't bother [me] much, and I'd also got hit upside the head, up by the left ear. Right in front of the left ear. And I did take 15 stitches at the aid station, sewed that up. I was all right. It didn't hurt much. Except for the blood, it didn't hardly bother me. Well, they sent me back to Naples, and I was in the hospital there. I stayed there a few days, and then they put me aboard a plane, a C-47, and I was a litter patient. I wanted to walk, but they wouldn't let me. And they put me on this plane, and there was one [patient] above me and one below me. . . . And on one side of this airplane, that's what they had. And on the other side of this airplane, it was patients who were wounded but could sit up. They had all the equipment up and down the aisle in this plane. Somewhere, where we left Italy and went out over the water, into Sicily, we 1 Il testo dell’intervista è tratto dal sito www. kwanah. com. Riley Tidwell era un soldato appartenente alla 36^ Infantry Division e comandato dal capitano Waskow. Nel testo la sua testimonianza sulla guerra e il suo incontro con i protagonisti del film di Wellman, che si sono ispirati alle loro vicende. 337 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. hit an air pocket. That's what they told me. I didn't know. That was the first airplane I'd been on. We hit an air pocket and that airplane went down. Well, not all the way down, it just dropped a long time. And I went up. I wasn't strapped in there; I don't know why. And I hit this German litter with my head. Up above me was a German litter and a German patient, I guess. But anyway, I hit that with my head and it busted my head open. But like the other time, it didn't hurt much—it was just a lot of blood. The pilot, I remember, came back after the plane kind of had settled down. Rain—man, it was pouring down rain! And he asked if everybody was all right. . . . I said, "Who is up there driving this thing?" and he said he had it on automatic pilot. And I told him, "I think you ought to get back up there and get a hold of this thing. That was a bad bump we had back there." We went ahead and landed in Sicily, but we couldn't leave. The water was too deep on the runway, so we couldn't take off. We were there for two days, and they had us in an old barn. And we stayed in that barn for two days, and they finally took off with us, and I went back to Bizerte, North Africa. I stayed in Bizerte all through the winter. I don't know just how many months it was. A couple of months, I guess. And I [got] pneumonia right after I got back there. I got between sheets in a warm bed. I had got sick. So, I [also] had these bad feet, and they were telling me how bad—if I didn't do something with them, I'd lose my toes. They told me what to do, and I started doing that, to try to get circulation back in my toes. They even showed us some people who had lost their toes—they had them in [a jar]. We called 'em. pickled toes. Ha ha! So it scared me. Anyway, I went to work on my feet, to try to get them back into shape. And I must have done a pretty good job, because after that they let me out. I went to a replacement camp, up there. This is at the same 338 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. time that [the Fifth Army] invaded at Anzio. And there weren't any ships or planes—there wasn't any way to get back to Italy. You'd just have to stay in this camp, and they were walking us about ten miles a day, getting us back in shape. They said something about sending us back to England. And there was a rumor going around that said, if we go back to England then we'll go home to the States and stay a few days, and then we'll have to go on to Japan. That was the rumor. And it just scared the daylights out of me. I said, "Man, I ain't gonna do that." So I hung around there for a while, did this walking, and I got this pass and went to town. Into this little old town there in North Africa. And I went to one of these bars where you get that famous beer, whatever that mess is. Well, anyhow, I was drinking that stuff when a captain from the Air Force came in. The officers from the Air Force would talk to the enlisted men—they were just real friendly. And this man was from Texas. I forget his name. Don't know if he ever told me. I guess he did, but I don't remember it. And he said he was going to Naples, Italy, the next morning in a plane. I asked me if I could ride with him. He said, "You got a pass?" I said, "Doctor, I be illegal. I be A.W.O.L." He said, "Will you be responsible?" I said, "Sure will." And he said, "If you'll be at the airport at four o'clock in the morning, we'll go." And so I went back to my camp. . . . I had time to walk out to that airport. I went out there the next morning, and had to crawl into the bottom of that airplane, and I kind of lay down. We landed in Naples, and he let us out. Some way or another, some officer's bag had gotten on my litter when I was wounded and was on that airplane [to Bizerte], and it wasn't mine. I had kept it for two or three months, and never had even opened it until I did, back there in that hospital, and found out there was a camera in there. The 339 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. nurses around there had wanted that camera and electric razor, so I sold it to them. I got a little extra money for that. And that's what I had when I got back to Italy. That's all I had, because I hadn't been paid in I-don't-know-how-long. But I used that money. I stayed there in Naples for three days. And I said, "I'm going to turn myself in to the MPs," because I was afraid I'd get in trouble. I was already A.W.O.L., and I didn't want to get in more trouble than I was already in. So I went down to the MP headquarters, and walked in. I pulled my dogtags out and showed them to this man sitting at the desk. And he was a sergeant. I never saw so many stripes in my life—man, he was way up there. He had hash marks halfway up his elbow. And he was red-headed. I'll never forget it. I walked in, handed him my dogtags and said, "Sir, I'm A.W.O.L." And he said, "Where from?" and I said, "North Africa." He said, "How'd you get here?" And I said, "I flew on an airplane." And he said, "What are you trying to do, then? Where are you going? How come you're here?" And I said, "I want to get back to my outfit." He said, "Where is your outfit?" and I said, "On the front lines." And he said, "Man, you got to be crazy." And I said, "Yes, sir, I guess I am. But this is what I want. All my friends are up there, and I was afraid I was going to get shipped out to somewhere else, to go somewhere where I didn't know anybody." Go to Japan? I didn't want to do that. 'Cause I wanted to stay with my friends up there. So I went "over the hill" to go back. His [the sergeant's] name was Tidwell, and he was from Alabama. Man, you talk about treating me nice! He put me on patrol duty, and I stayed on patrol duty. That was Friday, and I stayed on patrol duty Friday night and 340 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Saturday, and Saturday night he took me out to the stockade and I stayed in a building. The next day, they loaded up a bunch of those A.W.O.L. soldiers that came in off the front lines and got a pass and got drunk and didn't go back. They load 'em up in trucks and take 'em back to the front lines. So, that Sunday night—actually, it was early Monday morning—they loaded up a load of them, and they gave me a rifle, and I sat on the back, and they told that driver, "Take all these to their outfit, and check them out, and when you get through take this man to his outfit." So, I wound up back at my outfit. I got back just before they was bombing the monastery [at Cassino on February 15, 1944]. I told [my new company commander] what I'd done. He asked me how come I'm back there, and where I'd been, and I told him. I said, "I went over the hill from North Africa. Caught me a plane and got back here. And I'm back." He said, "I guess there isn't going to be anything done about it, because I haven't heard anything and nobody ever sent me any papers. So I don't know, so everything's fine." It never went on my record. I went on up as far as . . . the Anzio beachhead. And then we went out through Anzio and on through Rome. We got relieved and pulled back in towards Naples. Then we were going in to southern France. And right away, after we got there, they pulled me back, and sent me back to Naples, Italy, and I got on rotation to come home. So it wasn't too long after that I got on a boat and came on home. Somebody in the news media, when we got back to . . . Camp Patrick Henry, Virginia, I believe it was, somebody asked about Captain Waskow. I said, "Yeah, I brought him 341 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. down the mountain." So they just said something about it, and wrote something down, and I didn't even think any more about it. And I went on out of there, and into El Paso. . . . I came back home and stayed for thirty days, and then went to Miami, and then from Miami, I went back to New York. Long Island. I was on Long Island for a while, at the hospital. And I did some work there. They sent me on special duty to drive a staff car when Eisenhower's son graduated at West Point. And I went on up there and drove a staff car for that. Then they sent me to Fort Dix, New Jersey. I was picking up cigarette butts out there with a stick, and trash on the streets, when some sergeant drove up in a car, and told me the colonel wanted to see me in the office. I couldn't imagine why. But anyhow, I got in the car and went on up there with him, and that's the first time I knew about Ernie Pyle's story. Mike Sweeney: So this would be late 1944? Riley Tidwell: No, I didn't get back until 1945. 1 got back in July, I believe it was. So, he picked up some papers and told me they wanted me at Radio City in New York City, I got travelling orders and expense money to use—whatever they give you, you know— and packed my other uniform. I didn't have but two. So, I took off for Radio City, New York, and I met the people there I was supposed to see. They talked about this deal that they were going to have in Indianapolis, in Indiana, for Ernie Pyle [who died in April 1945]. And they wanted me to go. They didn't make the decision, that day, that I would really be going. My wife at that time was out on Long Island. So I told them I’d like to go out to where she was, if I could. And they said, "Well, take a couple of days and go." I said, "Well, you have to make this all right with my company commander back there at Fort Dix." So they did. I went on home, stayed a couple of days, and came back. And 342 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. I got on the train there, and went into Indianapolis. Riding those old coal-burners, you can imagine what I looked like, riding a train from New York City to Indianapolis, with coal cinders blowing back in there. I was as dirty as a pig. And I was supposed to report to the Lincoln Hotel, in Indianapolis. To a Mister Brackett. So, I went into the hotel, with my little duffel bag, and told them I wanted a room. They said, "What price?" and I said, "Whatever the Army pays." Three dollars a night, I believe it was—three dollars and a half, whatever. And that got a room. And they turned that book around for me to sign in, and I signed, and he asked me, "Are you Riley Tidwell?" And I said, "Yes, sir, sure am." He said, "You don't need a room. You got a suite here." I didn't know about that. So they took me upstairs, and I never saw such a room in my life. Never been in a room like that. Oh, man, it was beautiful. And my bathtub was iced down in beer. So I spent the night in the bathroom. I didn't want to go in there and sleep in no bed. Not with all of that beer in there. So, the next morning, this Mister Brackett came up and I found out what I was there for. He told me that I was to do the Ed Sullivan Show—the Vox Pop program, at that time. Mike Sweeney: From Indianapolis? Riley Tidwell: Yeah, from Indianapolis. They were there for the premiere of The Story of G.I. Joe. I went there for the Ed Sullivan Show. They had a deal, in Vox Pop, where they had people in the audience, just lots of people—it was all radio, no television—and they advertised for Bromo-Seltzer. They threw a handful of money out into the audience for people to pick up. Now, what their gimmick was, I don't remember. But anyway, they showed 'em a bunch of stuff that I got. A suit of clothes. They told me they thought 343 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. I was fixing to get out of the service, so they were going to give me a suit of clothes to wear when I got out. I never had a suit on in my life. But anyway, it was somebody else's suit they hung up. I got luggage, and all kinds of good stuff, and then I went out to see Ernie's—was it is mother, or his father? Mike Sweeney: His dad. His mother had died. Riley Tidwell: His dad and his Aunt Mary. I went and sat between them when the movie came on, so I could tell them about the last time I saw Ernie Pyle. Now this was all new to me. I didn't know what-all I was getting into. . . . After that, I got on a plane and went to Washington, D.C. . . . and the MP's met me out there the next morning at the airport. I didn't know what all that was about, either. I was scared to death. Not ever having been in anything like that, I really was nervous about it. But, they picked me up and took me to this place, and they wanted me to change clothes, and get new clothes and all that. And I didn't know how to get new clothes-didn't have enough money to buy any. But they got me a new uniform, and they sewed on all the patches, I'd never seen so many ribbons in my life. I had ribbons all over me! So, anyway, they went to the National Press Club, that night, in Washington, D.C. There's where I did the show with Burgess Meredith—he played Ernie Pyle in the movie. He was there. And Dinah Shore was there. And the boys who raised the flag on Iwo Jima. I met all them. And I did my part of that show. They introduced me, and I came out and told them the story about picking up the captain. And about the little bag of sand. That was when the Germans were pushing us back on the beaches at Salerno. One of the boys had a little old Bull Durham full of 344 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. sand that he'd brought from home with him. The Germans had us just about pushed into the water there on Salerno, and he just poured that little old bag of sand out on the beach, and said, "Now, we ain't going on no farther back than this. This is Texas." The paratroop was landing behind us, and we pushed the Germans on out of there. What that little old bag of sand had to do with it, I don't know, but it might have helped a little. Anyway, I told that story. And I had a long talk—I've still got the script, what I was supposed to say, and all. I told Burgess Meredith, "Say, there's a lot of stuff in here about me that I didn't do. There's too much stuff in here; I didn't do all this." And he said, "What you don't want to say, you mark it out." So I got that script down, and I went through it. Things I didn't want to have to say, and didn't want to do—that I didn't do—I marked it out. Mike Sweeney: Was this script for radio, or was this just for inside the building where the press club was? Riley Tidwell: Well, it was in there at the press club, but they were doing it on radio. And we had a big dinner there. And I met Governor Lee O'Daniel—I mean Senator Lee O'Daniel, who used to be the governor of Texas. "Pappy" O'Daniel. We were in line, kind of an L-shaped line, to get something to eat. And a lady behind me, you know, real nice-looking lady, but an older lady, she said, "You Riley Tidwell?" And I said, "Yes, ma'am." And she said, "How's it feel to become a hero overnight?" And I said, "Ma’am, I don't know what you're talking about." And she said, "Well, I know more about you than you know about yourself." And, uh, then she introduced herself. She said, "I'm Lady Halifax from Great Britain." I didn't know Lady Halifax from Waxahachie. Much 345 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. less Great Britain. Anyway, Lord Halifax and Lady Halifax were there, and a lot of the big shots in Washington were there. So, it was quite a deal. . . . I went back to New York. They interviewed me there. They wanted me to go on the radio. The Army had a deal in radio—what'd they call, Armed Forces Radio? Mike Sweeney: Right. Riley Tidwell: The Army wanted me to join that, but I didn't want it. I could have told them that. They said, "Well, what would you like to do?" And I said, "Well, if I had enough points, I'd like to get out of the Army." My points were all overseas. I didn't even know how many I had. But anyhow, I went back to . . . Fort Dix, and it wasn't any time after I went back to Fort Dix that they sent me to San Antonio to be discharged. I was back home just three or four days, when I got this notice to report to Dallas, to the Adolphus Hotel. And I went to the Adolphus, and who was there but Robert Mitchum. He played the [Waskow role] in the movie. And he and I had one of the greatest weeks that anybody could ever have, I guess. He and I travelled all over Texas. One of the nicest guys you could ever want to meet. We had one great time. CONCLUSIONI Dopo aver analizzato le tre pellicole che riguardano la battaglia di Montecassino si possono avanzare alcune considerazioni riguardo alla differenza di punto di vista con cui affrontano i fatti. 346 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. Mentre in Montecassino e in Die gruenen Teufel von Monte Cassino il tema principale del film è la battaglia e il salvataggio delle opere d’arte dell’abbazia, in The story of G.I. Joe la battaglia di Montecassino è solo una parte della storia che riguarda i combattimenti di una Divisione americana dall’Africa fino a Roma. L’episodio del salvataggio delle opere d’arte da parte della Hermann Goering è il tema chiave del film tedesco, che propone un resoconto delle fasi dell’episodio molto dettagliato, che si snoda dai primi accordi con i monaci alla consegna della casse a Castel Sant’Angelo. L’episodio ebbe grande importanza per l’immagine dell’esercito tedesco, che ne fece uno dei punti di forza della sua propaganda. A questo punto si capisce come il film tralasci il fatto che le opere di Montecassino fossero state in un primo tempo trasportate a Spoleto con destinazione Germania. Lo stesso tema apre il film Montecassino, ma rimane a livello di accenno. I soldati Tedeschi vengono ripresi mentre mettono le opere nelle casse di legno e si svolge una conversazione tra Don Eusebio Grossetti, protagonista del film, e un ufficiale tedesco sull’ordine di portare tutto a Roma, ma il discorso si interrompe a questo punto, non si prosegue su questo tema. La battaglia di Montecassino vera e propria viene affrontata in modo molto diverso, questa volta in tutti e tre i film. Gemmiti affronta l’argomento dal punto di vista dei monaci e dei profughi che trovarono asilo nell’abbazia dopo i primi bombardamenti sulla città di Cassino, essendo il suo film in particolare ispirato al diario di don Tommaso Leccisotti, monaco di Montecassino. Il film parte dall’autunno del 1943, cioè dalle fasi che precedono la battaglia vera e propria, che viene invece rappresentata solo attraverso immagini documentarie. I militari che compaiono nel film sono solamente quelli tedeschi, ma, a 347 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. parte il capitano medico Richter, non hanno una caratterizzazione tale da richiedere la loro presenza nelle immagini di battaglia. Per quanto riguarda invece l’esercito alleato, nessun personaggio compare nel film. Le fasi della guerra sono quindi vissute dall’interno del monastero, attraverso le vicende di monaci e profughi. Reinl affronta la battaglia vera e propria, ma in modo abbastanza sommario e impreciso. Alle scene documentarie di guerra si somma anche il girato, dove i protagonisti della storia sono ripresi nell’atto di combattere. Essendo i protagonisti della vicenda i Diavoli Verdi, cioè i paracadutisti tedeschi, si attribuiscono a loro anche imprese che in realtà hanno compiuto le forza di terra, come per esempio la battaglia sul Fiume Rapido. Wellman invece non fa mai riferimento al luogo dove si trova la Divisione capitanata da Walker, ma la riconoscibilità è immediata, poiché da subito i soldati si trovano sullo sfondo la collina del monastero. Le fasi della battaglia affrontate da questo gruppo di militari rimangono spesso sconosciute, i soldati vengono più che altro ripresi nella loro vita quotidiana. La battaglia principale che affrontano qui è la liberazione del monastero, che si rivela essere però una falsa notizia storica, poiché non furono gli Americani a condurre questa operazione. Al di là della veridicità del fatto, anche in questo caso le immagini documentarie si uniscono a quelle dei protagonisti che combattono, anche se qui l’operazione è assai più riuscita rispetto agli altri due film in esame. Un altro argomento di grande importanza è la caratterizzazione dei personaggi. Sia nel film italiano che in quello tedesco compaiono i soldati della Wehrmacht, i monaci dell’abbazia e i civili italiani, mentre i soldati alleati vengono sempre e solo nominati. Solo i una scena di Die gruenen Teufel von Monte Cassino compaiono sullo schermo due soldati americani, che uccidono due dei protagonisti, ma rimangono a 348 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. livello di comparsa, mentre in Montecassino si parla di loro ma senza mostrarli. Al contrario in The story of G.I. Joe compaiono solo i soldati americani nelle sequenza su Montecassino, nessun accenno a monaci e civili, nemmeno nei discorsi, e il solo soldato tedesco che si vede è un prigioniero, anch’esso lasciato a livello di comparsa. Nel film di Reinl i Tedeschi sono incondizionatamente buoni: salvano le opere d’arte, aiutano i profughi e i monaci dopo il bombardamento, piangono al pensiero di non poter salvare tutti quanti i sopravvissuti. Il tentativo di riabilitazione della Wehrmacht agli occhi del pubblico è visibile. Nella pellicola di Gemmiti i militari tedeschi vengono invece visti con maggiore imparzialità. E’ vero che non furono loro a bombardare l’abbazia provocando migliaia di morti, ma è anche vero che organizzarono le deportazioni che nel film sono narrate e, soprattutto, non permisero agli abitanti del monastero di lasciare l’edificio in tempo utile. E il risentimento nei loro confronti si sente per tutto il film, chiaramente più nelle reazioni dei civili che in quelle di monaci. Wellman dà ai Tedeschi la caratterizzazione di spauracchi che minacciano i militari alleati colpendoli a distanza, senza mai (o quasi) farsi vedere. Chiaramente in questa pellicola i buoni sono i soldati americani, e la loro reazione di giubilo nei confronti del bombardamento non appare sproporzionata nel contesto del film, poiché agli occhi dei G.I. il monastero era una minaccia di morte certa. Importante è anche il fatto che in due di questi film si abbia la presenza della voce narrante. In Montecassino è la voce di Don Eusebio Grossetti, che attraverso una particolare operazione di flash back narra la storia nonostante la morte lo abbia colto nel febbraio del 1944. In questo modo il personaggio può continuare a raccontare i fatti anche dopo 349 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. la sua morte. Nel film The story of G.I. Joe il narratore è Ernie Pyle, giornalista inviato al fronte dalle cui colonne viene tratta la sceneggiatura. Pyle prende parte a tutta la storia, poiché aveva seguito le truppe americane realmente dall’Africa all’Italia. In entrambi i casi la voce off è quindi quella di un personaggio reale, che racconta quanto accaduto dall’interno, creando però un certo distacco dall’azione, poiché il tempo della narrazione è differente da quello in cui i fatti sono avvenuti. Per concludere, il film che con più precisione affronta i fatti è Montecassino di Arturo Gemmiti, che riprende i personaggi realmente esistiti, ad eccezione del capitano medico Richter, a cui si cambia il nome ma che è ben riconoscibile nella persona del capitano medico Becker che compare nei diari dei monaci. Quasi tutti i particolari di questo film sono verificabili nei diari di chi ha vissuto quei momenti, dai monaci, ai civili, ai militari. Anche fisicamente gli attori somigliano ai personaggi reali, visibili nelle diverse fotografie dell’epoca. 350 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. FILMOGRAFIA THE STORY OF G.I. JOE ( I FORZATI DELLA GLORIA ) Anno : 1945 ; Origine : USA ; Genere : guerra ; Produzione : Lester Cowan ; Distribuzione : Fincine ; Regia : William A. Wellman ; Interpreti principali : Wally Cassel, Jimmy Lloyd, Burgess Meredith, Robert Mitchum, Freddie Steele; Tratto da : romanzo autobiografico di Ernie Pyle ; Sceneggiatura :Joris Ivens ; Durata : 109’ MONTECASSINO Anno : 1946 ; Origine : Italia ; Genere : guerra ; Produzione : Pastor Film ; Distribuzione : Scalera Film ; Regia : Arturo Gemmiti ; Interpreti principali : Pietro Bigerna, Silverio Blasi, Dario Dolci, Pietro Germi, Ubaldo Lay, Alberto Carlo Lolli, Rudolf H. Neuhaus, Zora Piazza, Gilberto Severi ; Tratto da : libro di Don Tommaso Leccisotti ; Sceneggiatura : Arturo Gemmiti e Arnaldo Marrosu ; Fotografia : Vittorio della Valle, Angelo Jannarelli, Piero Portalupi ; Musiche : Adriano Lualdi ; Scenografia : Arrigo Equini ; Durata : 72’. DIE GRUENEN TEUFEL VON MONTECASSINO ( I DIAVOLI VERDI DI MONTECASSINO ) Anno : 1958 ; Origine : Germania ( ex RFT ) ; Genere : guerra ; Produzione : Seitz Film ; Distribuzione : Globe ; Regia : Harald Reinl ; Interpreti principali : Joachim Fuchsberger, Antje Geerk , Elma Karlowa ; Durata : 100’. 351 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. 352 E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore. BIBLIOGRAFIA CINEMA E STORIA AA.VV., La cinepresa e la storia. Fascismo, antifascismo, guerra e resistenza nel cinema italiano, Milano, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 1985. 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