Il Mercato del Compostaggio
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Il Mercato del Compostaggio
Il Mercato del Compostaggio Nonostante la discarica resti il mezzo prevalente di smaltimento dei rifiuti in Italia, gli ultimi anni hanno visto sensibili progressi in una forma di valorizzazione dei rifiuti organici che è doppiamente positiva dal punto di vista ambientale: il compostaggio da frazioni preselezionate. Trasformando i residui organici in compost si ottengono infatti contemporaneamente due effetti positivi: Ø Si riduce il flusso di rifiuti da avviare agli inceneritori (dove i materiali organici bruciano con difficoltà) od alle discariche (dove la presenza di materiali organici favorisce la produzione di biogas e percolato Ø Si restituiscono al terreno sostanze organiche preziose per migliorare la fertilità, oggi spesso compromessa dal massiccio e prolungato ricorso ai concimi chimici (il 5,5% del terreno arabile italiano è attualmente interessato da processi di desertificazione). Attualmente esistono in Italia circa 150 impianti per la produzione di compost “di qualità”, cioè ottenuto da frazioni preselezionate. Il quantitativo di rifiuti trattato è intorno a 1.4000.000 tonn/anno, corrispondenti a circa il 5% di tutti i RSU prodotti in Italia; a questi si devono aggiungere gli impianti che producono compost (di solito associato a CDR), mediante selezione post-raccolta dei RSU indifferenziati, che trattano un quantitativo ancora maggiore (circa 2.200.000 tonn/anno). Non sono compresi in queste statistiche i piccoli impianti (capacità inferiore a 1.000 tonn/anno) destinati unicamente al trattamento dei residui vegetali: il numero di queste “piazzole di compostaggio” sta continuamente crescendo, specie nelle regioni del Nord (se ne contano 66 nel solo Veneto). LA spinta verso la crescita del compostaggio è dovuta, oltre che alle molte iniziative di enti ed organizzazioni, tra le quali è senz’altro da segnalare il Consorzio Italiano Compostatori, all’evoluzione della normativa che si è avuta dal “Decreto Ronchi” (dlgs 22/97). L’articolo 24 di tale decreto fissa infatti l’obiettivo per i comuni di raggiungere il 35% di raccolta differenziata entro il 2003; privilegiando (art. 19) la separazione dei rifiuti di provenienza alimentare, degli scarti dei prodotti vegetali ed animali, ed in genere dei materiali ad alta umidità. Per il futuro L’esperienza delle raccolte differenziate “classiche” (vetro, carta, plastica) indica che ben difficilmente sommando queste raccolte si riesce a superare il 15%; il contributo della frazione organica (sia quella “legnosa” che quella “umida” degli scarti da cucina) è quindi indispensabile per il raggiungimento dell’obiettivo del 35%. Si calcola che sarà necessario raccogliere un quantitativo di circa 4 milioni di tonn/anno di frazione organica da RSU, alle quali va aggiunto un 30% circa di scarti legnosi; in totale saranno necessari 150 nuovi impianti di compostaggio, con un investimento di oltre 1,5 miliardi di euro. Il secondo elemento sul piano normativo che ha dato una spinta decisiva alla crescita del compostaggio in Italia, è stato il DM 27/03/98 (“Nuove norme per la disciplina dei fertilizzanti”). Quest’ultimo provvedimento include tra i fertilizzanti due tipi di compost: Ø Un “ammendante compostato verde”, ottenuto da scarti di manutenzione del verde ornamentale, residui di colture ed altri rifiuti organici di origine vegetale Ø Un “ammendante compostato misto”, per la cui produzione possono essere impiegati (oltre ai rifiuti) anche materiali provenienti da raccolte differenziate urbane, oltre ai liquami zootecnici, rifiuti di attività agro-industriali, fanghi di depurazione, e rifiuti derivanti dalla lavorazione del legno e di fibre tessili naturali non trattate. Entrambi questi “ammendanti” devono rispettare gli stessi limiti massimi di contaminanti (metalli pesanti, residui di materiale plastico ed altri inerti, salmonelle, streptococchi ed altri microorganismi patogeni); una volta assicurato il rispetto di queste prescrizioni, i due tipi di compost non sono più soggetti alle normative sui rifiuti, ma sono prodotti di libera vendita, equiparati agli altri ammendanti e fertilizzanti. Impieghi attuali e futuri Si producono attualmente in Italia circa 600.000 tonn/anno di “compost di qualità”, quasi tutto del tipo “compostato misto”; il “compostato verde” è il realtà difficile da produrre perché, dovendo utilizzare esclusivamente scarti vegetali (che sono poveri di azoto), presenta difficoltà di fermentazione.. La maggior parte del compost prodotto in Italia viene venduta a produttori di terricci per fluorovivaismo, che mescolano il compost con altri materiali e rivendono il prodotto miscelato e confezionato in sacchetti da 10, 20 o 50 litri. Questi utilizzatori assorbono circa il 50% del totale; richiedono un prodotto ben raffinato e vagliato (dimensioni da 10 a 15 mm), e pagano prezzi da 7 a 12 euro/mc. Il rimanente 50% si ripartisce, con rapporti molto variabili secondo le condizioni locali, tra aziende agricole e vendite al minuto presso l’impianto (includendo anche l’autoconsumo da parte dei comuni per la manutenzione di parchi e giardini pubblici). I prezzi di vendita agli agricoltori sono molto bassi, a volte addirittura zero od al massimo intorno a 5 euro/mc; i prezzi di vendita al minuto sono molto variabili secondo le condizioni locali di bilanciamento tra domanda ed offerta, e spesso anche secondo considerazioni di tipo “politico”, e possono raggiungere valori abbastanza elevati (fino a 25 euro/mc) quando il compost viene venduto confezionato e miscelato con altre componenti. La leggerezza del compost (densità apparente 0,40,6 gr/ml) ne rende antieconomico il trasporto, per cui i prezzi possono variare notevolmente da un luogo ad un altro distante magari poche decine di chilometri. In linea generale, si deve considerare che la maggior fonte di introiti per un impianto di compostaggio non è la vendita del prodotto finito, ma piuttosto i roventi dei “pedaggi di smaltimento”, pagati per conferire all’impianto i propri rifiuti. Anche questi “pedaggi” sono molto variabili da un impianto all’altro; a puro titolo indicativo, possiamo riportare: - da 15 a 25 euro/tonn per gli scarti verdi (ramaglie, potature e simili) - 35 euro/tonn per gli scarti da mercati, mense e ristoranti - oltre 40 euro/tonn per i fanghi di depurazione. Esistono ampi spazi per uno sviluppo del mercato italiano del compost, soprattutto nel settore delle coltivazioni agricole “in pieno campo”: si è calcolato che, su scala europea, il compost “di qualità” teoricamente producibile andrebbe ad interessare appena l’1% della superficie arabile complessiva. Occorre superare alcune difficoltà residue da parte del mondo agricolo, e mettere a punto attrezzature adeguate per lo smaltimento automatico del compost: gli attuali macchinari sono stati infatti costruiti in base alle caratteristiche di densità, consistenze ed umidità tipiche del letame e dei fertilizzanti. Quale ruolo per il compost “grigio”? Nonostante le molte difficoltà e disavventure che in passato hanno caratterizzato la produzione di compost da RSU indifferenziati, abbiamo visto all’inizio che il “compost grigio” è tuttora massicciamente presente, tanto che la capacità periodica di trattamento dei 41 impianti presenti in Italia supera largamente quella degli impianti che producono “compost di qualità”. In realtà molti di questi impianti sono fermi o lavorano a capacità ridotta, sia a causa di problemi di emissioni di odori, sia per difficoltà di piazzare (anche a costo zero) il compost prodotto. Di fronte a questi problemi sta comunque la prescrizione del DLgs 22/97 (art.5, comma 6) che molto ottimisticamente imponeva a partire del 01/01/2000 di smaltire in discarica “solo rifiuti inerti, i rifiuti individuati da specifiche norme tecniche ed i rifiuti che residuano dalle operazioni di riciclaggio, di recupero e di smaltimento”, prima con vari decreti di rinvio e poi giustificandosi con la mancanza delle “specifiche tecniche”; ma la logica del “decreto Ronchi” è chiara: non deve essere più ammesso lo smaltimento in discarica di rifiuti non trattati. Questo principio è d’altra parte affermato esplicitamente anche dalla Direttiva Europea sulle discariche controllate (99/31/CE) in via di recepimento nella legislazione italiana. I rifiuti vanno quindi separati e trattati; la separazione fornisce di solito una frazione secca (che può andare in discarica od essere raffinata per ottenere CDR), e una frazione umida, che viene compostata. Per il compost così ottenuto valgono le vecchie regole della Delibera 27/7/84 (prima applicazione del DPR 915/82): gestione come rifiuto, con limitazioni sulla quantità utilizzabile in agricoltura, caratterizzazione del terreno prima e dopo l’applicazione, etc…. E’ superfluo dire che un prodotto del genere non interessa minimamente gli agricoltori; gli usi ipotizzabili sono quindi limitati al settore del recupero ambientale: riempimento di cave ed avvallamenti, copertura di rilevati stradali e ferroviari, sistemazione di aree verdi non agricole (parchi pubblici, campi da golf etc..). Un ruolo importante (previsto dallo stesso DLgs 22/97 all’art. 22) può essere al ripristino ambientale dei siti inquinati, e la sistemazione “post chiusura” delle discariche quando queste hanno raggiunto il massimo di capacità. Difficile dire attualmente quanto compost potrà essere assorbito ogni anno per questi impieghi; è comunque sempre possibile utilizzare il “compost grigio” nelle discariche, come materiale di ricopertura giornaliera dei rifiuti. Esperimenti compiuti soprattutto nella Regione Veneto (impianti di Legnago e Belluno) indicano che l’utilizzazione di compost (meglio definito come “biostabilizzato da discarica” nella delibera regionale veneta n° 766/00) riduce l’emissione di cattivi odori, rende più facile l’assestamento del materiale conferito in discarica, e si applica facilmente richiedendo in pratica solo il compattatore già presente in tutte le discariche.