il pediatra, salva i nostri figli... dallo sport.

Transcript

il pediatra, salva i nostri figli... dallo sport.
PEDIATRA, SALVA I NOSTRI FIGLI (DALLO SPORT)
Mi chiamo Giuseppe, ma tutti mi chiamano
Pinuccio, anche se preferirei di no.
Il fatto è che sono il più piccolo della classe,
e questo diminutivo non fa che sottolineare
la cosa.
Ora, siccome ho fretta di raccontarvi quello
che mi è successo ieri, taglierò corto circa le
presentazioni.
Ho dodici anni e vivo in una città né grande
né piccola, dove mio padre dice che si vive
bene (anche se secondo me non si vive
tanto bene in un posto dove di notte si dà
fuoco ad uno di colore nel parco, come è
successo già due volte).
Ho una sorella che ha cinque anni più di me,
che non vedo mai perché siccome è
campionessa di nuoto l'hanno mandata a
studiare lontano in un posto che sembra una
prigione e che si chiama Centro Federale.
Per il resto, cosa vi posso dire di me?
Mi piace: leggere i libri fantasy, mangiare la cioccolata con dentro le nocciole, correre in bicicletta, giocare
col computer e tante altre cose ancora.
Non mi piace: giocare al calcio, però... non posso farne a meno perché tutti, ma dico tutti i miei compagni di
classe giocano al calcio. Perché la squadra della mia città è stata promossa in serie B, e non si parla d'altro.
Ma soprattutto perché mio padre, che da ragazzo era nelle giovanili di non so quale squadra (e se non fosse
stato per quell'incidente con la Vespa...), vuole così. Quella volta che ho provato a dirgli che volevo cambiare
sport si è quasi messo a piangere.
Non riesco a capire bene se questo sport non mi piace perché non sono bravo o se magari è il contrario. Di
sicuro non sopporto, tra le altre cose:
1) L'aria fredda che ti punge la gola durante quei noiosi allenamenti quando fa buio.
2) Tutti quegli scatti che ci fa fare l'allenatore al ritmo feroce del fischietto.
3) Lo sguardo arrabbiato ma complice che ha sempre nei confronti dei miei compagni, e quello rassegnato
che invece rivolge a me, che rimango sempre indietro.
4) La partitella d'allenamento, dove io corro corro e quelle rare volte che mi arriva la palla me ne libero
subito, altrimenti qualcuno mi arriva addosso come un treno e mi fa rotolare via.
” Alzati” grida l'allenatore. A me basterebbe riprendere a respirare, penso io con la faccia schiacciata
sull'erba .”Le botte si danno e si prendono, questo è un gioco maschio, ve lo dico io che ho giocato tanti
anni. Un avversario vi colpisce? Calmi: quando l'arbitro non vede, restituite il colpo. E' così che funziona.
Anzi, all'inizio della partita colpite per primi, tanto per chiarire come stanno le cose. Quante volte ve l'ho
detto?”
5) I miei compagni che quando fanno gol, anche in allenamento,sembra che li abbia punti uno scorpione o
che abbiano le convulsioni.
La domenica c'è la partita, che per me vuol dire stare seduto in panchina al freddo, imbacuccato nella tuta, a
guardare l'allenatore che invece è in camicia nemmeno fosse agosto, e si alza di continuo, gesticola,
richiama all'ordine questo o quel compagno, ansima, mugugna, impreca, bestemmia.
Dietro di me sento il pubblico che grida di tutto: insulti, cori irripetibili, parolacce rivolte all'arbitro o agli
avversari. Sono i genitori dei miei compagni, che spesso hanno portato con sé anche gli zii, le zie, i nonni,
ma anche i fratellini e le sorelline, visto che è una bella domenica di sole, mentre in un angolo c'è un
gruppetto di persone ridotte al silenzio: quelli sono gli altri genitori, quelli della squadra avversaria.
Però domenica scorsa l'allenatore mi ha fatto finalmente giocare. Mancava un minuto alla fine della partita e
stavamo vincendo, quindi bisognava perdere tempo. Allora mi ha detto di togliermi la tuta e di entrare.
Perdere tempo è molto importante, anche se bisogna saperlo fare se no l'arbitro si arrabbia. Perdere tempo
vuol dire ad esempio buttarsi per terra come se si fosse colpiti da una fucilata alla schiena e rotolarsi a lungo
proprio come si vede fare in tv. I nostri genitori si preoccupano sinceramente se vedono a terra un giocatore
della nostra squadra, un po' meno se invece si tratta di un avversario: in tal caso cominciano a gridare come
dei pazzi. Alzati, vergognati, tua madre qui, tuo padre là (madre e padre che sono presenti, ma se ne stanno
seduti buoni buoni per non essere picchiati)!
Comunque, tornando a me, sono entrato finalmente in campo. “Piano” mi ha detto l'allenatore”devi metterci
tanto ad entrare in campo, chiaro? Cammina, non correre.” Io ho fatto come mi ha detto: avrò percorso sì e
no dieci metri a passo di lumaca che l'arbitro ha fischiato la fine della partita: decima vittoria su dieci
partite!
Ieri comunque c'è stata l'inaugurazione del nuovo campo di calcio. Quello vecchio non andava bene? Si, ma
vuoi mettere? Questo ha una tribuna da duemila posti, l'impianto di riscaldamento sotto il prato, degli
spogliatoi fantastici, addirittura una palestra coperta fornita dei macchinari più sofisticati!
Il Sindaco ha parlato di” sport che aggrega allena alla disciplina suscita lealtà insegna il fair-play aumenta
l'autostima ”, mentre il Vicario generale, seguito da uno stuolo di chierichetti e dalla folla festante, si è fatto
novanta metri di campo per benedire le due porte (ce lo vedete Gesù a fare una cosa del genere?).
Poi un frastuono che veniva da sotto terra, ma non era il terremoto, era il rombo cupo di una Ferrari enorme
dalla quale è venuto fuori niente di meno che Christian Pestarelli, il famoso calciatore di serie A, orgoglio e
vanto della nostra città. “Se la merita” ha detto la mamma di un mio compagno riferendosi alla Ferrari
parcheggiata lì accanto. “A me basterebbe la velina che sta con lui.” ha detto il marito. Tutti hanno riso, ma la
moglie no. Subito dopo hanno chiamato sul palco Bettinelli, il mio compagno di squadra più bravo, un'altra
grandepromessa (come mia sorella): mio padre mi ha guardato come a dire” Prendi esempio da lui.”
Infine hanno chiamato a parlare il mio pediatra. E qui è successo l'incredibile.
In passato non avevo mai capito bene che tipo fosse. Non che non fosse gentile, però l'avevo sempre visto
molto serio, di poche parole, curvo nel suo camice bianco troppo abbondante ad ascoltare i miei bronchi
spesso chiusi per via dell'asma. Il figlio gioca nella mia squadra, e il dottore lo vedo ogni domenica seduto
sulle gradinate, in disparte, che guarda la partita senza battere ciglio.
“Adesso la parola al nostro pediatra.” ha detto il Presidente.
Lui è salito sul palco, e sono sicuro che per un istante ha guardato verso di me. Poi ha iniziato a parlare.
“Gran bell'impianto” ha detto rivolto al Sindaco. “Davvero bello. E chissà quant'è costato.
Una montagna di soldi per un campo da calcio che non serve ai nostri figli.
C'è qualcuno di voi che pensa davvero che questi impianti faraonici servano a farli divertire, a fargli fare più
movimento, a migliorare la loro salute?
State insegnando che l'importante non è imparare ad amare l'attività fisica e avere cura del proprio corpo con
gioia e leggerezza, ma solo vincere, vincere a qualunque costo e che per vincere va bene fare qualunque
cosa, quindi è permesso imbrogliare, ingannare l'avversario, ingannare i giudici, ingannare il pubblico fino ad
arrivare ad ingannare sé stessi, perché no, magari prendendo delle sostanze per andare più forte degli altri.
Funziona questo modello di sport? Crea degli adulti più sani? Credo proprio di no, altrimenti non avremmo
un terzo dei nostri figli o obesi o in sovrappeso. Altrimenti la pratica sportiva non crollerebbe a partire
dall'adolescenza, come invece succede, e non saremmo un popolo di sportivi da poltrona. Allora sapete che
vi dico? La squadra di mio figlio perde tutte le partite? Bene! Quella della nostra città arriva ultima?
Benissimo! La Nazionale italiana non vince mai più un campionato del mondo? Sono felice!”
Non vi dico che silenzio incredibile, tanto che il Sindaco si è sentito in dovere d'intervenire.” Beh, dottore,
non esageriamo!” Ma il mio pediatra è un tipo tosto e non ha mollato.“Non esagero affatto.” ha continuato
tenendo stretto il microfono mentre il Sindaco tentava di sottrarglielo “E prima di andarmene vorrei chiamare
sul palco uno dei vostri giovani atleti. Giuseppe, puoi venire qua per favore?” Quasi quasi me lo aspettavo:
sono corso su, con gli occhi di tutti addosso, e il cuore che mi batteva forte. Il dottore mi ha messo una mano
sulla spalla e mi ha sorriso.
“Giuseppe, ti posso chiedere quante volte hai giocato quest'anno?”
“Una.”
“Per quanto tempo?”
“Per dieci secondi.”
“Perché giochi al calcio?”
“Perché... se no papà si dispiace.”
“Ti piace il calcio?”
“ Se devo dire la verità... lo odio.”
“Grazie a tutti.” ha concluso il mio pediatra. Mi ha carezzato in testa, è andato verso il figlio, l'ha preso per
mano e se ne sono andati via a piedi, passando vicino alla Ferrari, ma senza voltarsi.
Per gentile concessione del Dott. Paolo Moretti – Pediatra
Tratto da rivista UN PEDIATRA PER AMICO – Maggio 2012