Tabula rasa
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Tabula rasa
http://undo.net/Pressrelease ottobre 2008 network di cultura contemporanea Il Laboratorio di interpretazione per curatori Tabula Rasa ha offerto i propri spazi a un gruppo di giovani curatori italiani. Il 10 settembre 2008, dopo una conversazione a porte chiuse, i curatori hanno presentato al pubblico una recensione orale di Manifesta7. Il dibattito si è incentrato attorno ad alcuni fra i temi più interessanti per la disciplina curatoriale e i prossimi sviluppi della pratica espositiva: qual'è il ruolo delle grandi mostre a cadenza regolare nel sistema dell'arte contemporanea, sono esse ancora veicolo di innovazione o piuttosto sono ormai vincolate ai meccanismi del mercato? Quali sono le ragioni future di Manifesta, una fra le Biennali più sperimentali dell'ultimo ventennio, nel mondo globalizzato? E ancora, quali gli azzardi di Manifesta 7 meritevoli di attenzione? Quali gli elementi critici da sottolineare? Cosa non è piaciuto? La discussione del Laboratorio di Interpretazione è stata moderata da Elvira Vannini. Hanno partecipato: Chiara Agnello, Katia Anguelova, Marco Baravalle, Eva Fabbris, Antonio Grulli, Caterina Iaquinta, Denis Isaia, Matteo Lucchetti, Cristina Natalicchio, Francesca Pagliuca, Paolo Plotegher, Angela Serino, Elisa Tosoni, Elvira Vannini. Elisa Tosoni BIENNALE ITINERANTE / BRANDING Manifesta è una biennale itinerante che si sposta da una città o regione ospite all’altra ogni due anni. Il processo di candidatura e selezione è simile per esempio a manifestazioni come l’expo. Vengono privilegiate quelle città (mai grandi metropoli) o territori che presentino non solo un alto potenziale artistico, ma anche, e forse soprattutto, offrano un panorama di implicazioni a livello geopolitico. Il carattere nomadico della manifestazione richiede la necessità di un’infrastruttura amministrativa centralizzata e permanente (nel caso la IFM, con base in Olanda, un’unità di lavoro permanente comunque molto piccola). Sembra però che ad ogni edizione venga fatta quasi tabula rasa delle esperienze maturate nella località ospite dell’edizione precedente; pare non esserci una blueprint sufficientemente strutturata che permetterebbe non solo un insediamento veloce, ma anche la comunicazione e il marketing capillare necessari per il pieno successo di ogni nuova edizione. Certo Manifesta, soprattutto attraverso i portavoce locali (che ne sono largamente finanziatori), ripete la sua retorica di palestra di competenze. Manifesta forma giovani per lo più locali a vari lavori nel circuito dell’arte contemporanea. Peccato che ci sia pochissimo tempo per formare veramente il personale... un team molto esiguo in termini numerici per mettere in piedi quasi da zero la macchina biennale, e per larghissima parte pagato con compensi davvero irrisori anche rispetto a quelli del mondo dell’arte. Nella pratica bisognerebbe ripensare il format: forse una triennale o quadriennale sarebbero iniziative più riuscite sia a livello di penetrazione ed effettiva conoscenza del territorio, che a livello formativo. Un’organizzazione dello staff più strutturata, un budget più alto non tanto per la produzione delle opere, quanto per il running di tutta la macchina Manifesta, non rappresenterebbero una soluzione per abbassare lo stress da prestazione, certamente, ma permetterebbero una comunicazione più capillare e un coinvolgimento più reale del territorio, forse lasciando il segno come Manifesta si propone di fare sulla carta. Certamente, nomadismo si traduce anche in mancanza di continuità in quanto a presenza su quello che è il territorio ospitante. La conseguenza più visibile si riscontra nel pubblico: Manifesta, in qualsiasi edizione, ha attratto in larga maggioranza professionisti del settore e cosiddetti turisti culturali, più che influenzare profondamente nel tempo la scena artistica locale. Forse il lavoro di mediazione culturale di Manifesta7 cerca proprio di ovviare a questa mancanza. L’aspetto positivo del nomadismo è il potersi relazionare con caratteristiche territoriali e architettoniche sempre diverse, che sicuramente offrono un grande input per una certa freschezza a livello curatoriale, anche se non sempre se questo non è sempre evidente. Si può anche considerare l’intento di non rappresentare unità nazionali: non è infatti garantito che tutti gli stati rappresentati all’interno dell’IFM, o i territori ospitanti, si vedano necessariamente rappresentati attraverso artisti “nazionali”. APERTURA ALL’EST e RUOLO NELLA NUOVA EUROPA L’apertura all’Est di Manifesta non è decisamente attuale. Storia vecchia, anzi, aprirsi all’est (e aprire l’est all’ovest con i soliti occhi da “conquistadores” culturali) e dare una voce alle periferie orientali dell’Europa. La prima edizione di Manifesta arrivò a Rotterdam appena nel 1996, il muro era caduto da parecchio, e gli orizzonti si stavano già aprendo attraverso forme di mobilità semplificata (fondi EU, operazioni di scambio culturale, residenze artistiche), la EU contava già 16 stati membri, lo spettro del comunismo si allontanava sempre più. Bisogna però ammettere quanto Manifesta abbia certamente funzionato da propulsore nella creazione di una coscienza europea, facendosi portavoce di istanze di valorizzazione e scoperta delle culture locali, coadiuvando la creazione di un network culturale pan-europeo (diciamo pure globalizzato) di professionisti dell’arte contemporanea. Il ruolo di Manifesta ora, in una Nuova Europa che si allarga fino ad assumere l'aspetto di un’entità-continente - ormai grande contenitore di ideologie, tradizioni culturali, politiche, e non da ultimo religiose molto differenti - assume i toni di un discorso con le nuove “periferie del regno”, con i confini e le frontiere, siano essi confini interni (zone di confine regionale o nazionale, spesso afflitti da problematiche di integrazione/spinte secessionistiche o separatiste) o esterni al regno stesso. Manifesta quest'anno, con la sua scelta del Trentino Alto Adige, propone almeno sulla carta una discussione sull’integrazione culturale, verso una democrazia di matrice pan-europea; offre un esempio virtuoso di convivenza ma sembra guardarlo senza convinzione, da outsider, e non capire o non riuscire ad analizzare, filtrare e mettere in evidenza le problematiche reali che idealmente porta avanti nella sua retorica. Nelle mostre, di tali problematiche si rilevano delle tracce minime. Un mission statement carico di ideologie geopolitiche è un fardello pesante da portare: il territorio, Manifesta stessa e i suoi curatori ne rimangono sempre e comunque vittime. Non si capisce cosa realmente motivi la molto probabile scelta di Danzica in Polonia come prossima ospite, pare che si rischi di tornare indietro, come se Manifesta tentasse ora di gustificarsi con se stessa... dopotutto, con un lungo ritardo finalmente forse riuscirà a raggiungere il cuore dell’ex blocco orientale. …Meglio una ritaratura globale degli ideali, a rischio prostituzione etico/morale – che nei fatti è comunque già avvenuta – o cercare di proporre un futuro, ancorati ad un presente che è sempre già vecchio e troppo poco contestualizzato? COLLABORAZIONE & NETWORKING A Manifesta tutti collaborano, tutti sono “collaboratori”. Le due province con relative amministrazioni locali che collaborano offrendo fondi e offrendosi di “ospitare” il terno al lotto Manifesta7. Investendo in tale ospitalità diventa ovvio che la macchina Manifesta sarà sempre in posizione di debito di coscienza, e non totalmente libera in termini di statement né tantomento di sperimentazione curatoriale, come dimostrato dal caso Nicosia 2006. Si deve arrivare a quello per cui l’amministrazione ha aperto i forzieri della cittadinanza, una cittadinanza che non è una popolazione di addetti al settore. Riproporre un format curatoriale nuovo come quello della biennale-scuola diventa perciò impossibile: serve una mostra visibile, esperibile non solo da un manipolo di eletti. Manifesta rispecchia una politica del compromesso necessaria, ma demagogicamente mai dichiarata. Nello specifico di quest’edizione, Manifesta ha portato a collaborare sotto certi aspetti le province di Trento e di Bolzano, due enti autonomi, con un heritage diversissimo, e che normalmente non sembrano dialogare più di tanto. D’altro canto due province, tre uffici (Rovereto, Trento e Bolzano, di cui solo gli ultimi due permanenti per l’intera operazione Manifesta) mostrano un po’ il provincialismo italiano nella gestione amministrativa. La collaborazione tra curatori... Riprendo parole di Hedwig Fijen (dall’essay How a European Biennial of Contemporary Art began – nel libro The Manifesta Decade): “...la creazione di un team curatoriale è stata concepita come un’impresa di apprendimento, che unisse individui di diverse generazioni e background culturali, incoraggiando la collaborazione tra individui con esperienze professionali diverse - da istituzioni o come curatori indipendenti - e dando un’opportunità a curatori più giovani di lavorare presto su un progetto importante e con un budget considerevole.” Questi aspetti sono certamente presenti anche in questa settima edizione. Si può d’altro canto considerare come la forte impronta collaborativa sia iniziata a venir meno già con Manifesta 6. Concept e format simili, ma tre scuole: una per curatore. Manifesta7 unisce quest’istanza secessionista (ad ogni curatore la sua venue) al solito (forzato): “non vi conoscete, mamma Manifesta ora vi mette insieme e da bravi: collaborate”. Fortezza sembra un esperimento riuscito anche se da voci interne emerge quanto non sia stato frutto di una collaborazione così equa tra i team. Normale, le personalità dei curatori sono spesso troppo grosse per un budget un po’ modesto e tempi brevi, soprattutto se il progetto collettivo non è l’unico su cui concentrare le energie, ma diventa un po’ l’ultima preoccupazione. Elisa Tosoni è nata a Castiglione delle Stiviere (MN) nel 1981. Ha vissuto e lavorato a Londra, Bucharest, Bolzano e presto a Milano. Si è laureata nel 2007 in Fine Art (Sculpture) presso la University of East London, con una tesi intitolata “Manifesta and Its Role in The New Europe”. Lo studio del linguaggio - letterario e non solo - e delle problematiche semiotiche che emergono dalle pratiche traduttive, insieme all’indagine dei concetti di tempo/archivio/memoria/spazio, sono elementi cardine della sua pratica curatoriale. Pratica che si esprime principalmente in ambito scultoreo, installativo e video. Altro elemento che le interessa particolarmente sono le dinamiche geopolitiche e culturali europee. Curatrice indipendente, tra il 2006 e il 2008 ha curato a Londra mostre collettive ed eventi, coinvolgendo principalmente artisti emergenti sulla scena britannica. Ha collaborato alla creazione e curatela del project space londinese Elevator Gallery, dove ha co-curato (con C.M.Veiderveld e S.R.White) la mostra Relocating Absence. Attualmente collabora con Manifesta7 in qualità di assistant curator per lo special project Tabula Rasa (curato da Denis Isaia). Altre sue collaborazioni recenti includono BB3 (Third Bucharest Biennale) e artreview.com.