classificazione e qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro
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classificazione e qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro
CAPITOLO II CLASSIFICAZIONE E QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEI RAPPORTI DI LAVORO ____________________ SEZIONE PRIMA LAVORO ONEROSO, LAVORO ASSOCIATO, LAVORO GRATUITO 18. L’inquadramento giuridico del lavoro umano: i rapporti di lavoro e i criteri di identificazione della disciplina a essi applicabile. — Il complesso di norme e di principi che costituiscono il diritto del lavoro, oggetto di analisi nel capitolo che precede, non trova applicazione con riferimento a qualsiasi forma di lavoro. E’ vero, piuttosto, che ogni attività umana suscettibile di valutazione economica è soggetta a disposizioni specifiche, che variano sensibilmente a seconda di quale sia lo schema astratto a cui essa può essere di volta in volta ricondotta. Vedremo, in particolare, che le regole del diritto del lavoro in senso stretto trovano applicazione, almeno in linea di principio, soltanto nei casi in cui la prestazione lavorativa si caratterizzi per l’elemento giuridico della « s u b o r d i n a z i o n e » (cfr. infra, Sezione II), e cioè per l’assoggettamento del prestatore di lavoro al potere di direzione e controllo del creditore, relativamente alle modalità di esecuzione della attività lavorativa. Regimi giuridici alquanto differenti, e tendenzialmente assai meno protettivi per il lavoratore, operano laddove la prestazione lavorativa venga resa in piena autonomia tecnico-funzionale ovvero in forma associativa, in funzione cioè di un vincolo sociale o anche in termini di conferimento a società. Appena abbozzata è, infine, la disciplina giuridica che accompagna le Il problema della classificazione giuridica del lavoro umano Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro prestazioni rese a titolo gratuito, e cioè le prestazioni svolte affectionis vel benevolentiae causa, religionis causa, etc. La classificazione e l’esatto inquadramento giuridico del «lavoro» rappresentano, di conseguenza, i presupposti fondamentali per l’applicazione di ciascun corpo normativo di disciplina del lavoro umano, secondo il tradizionale schema che vuole l’automatica imputazione di determinati effetti giuridici a una specifica fattispecie negoziale tipizzata dal legislatore (c.d. t i p o l e g a l e ). A questo proposito, occorre peraltro subito precisare che la riconduzione di un determinato rapporto di lavoro (c.d. f a t t i s p e c i e c o n c r e t a ) a un preciso schema giuridico (c.d. f a t t i s p e c i e a s t r a t t a ) non dipende dal tipo di attività lavorativa di volta in volta dedotta in contratto. Ciò che invece veramente conta sono, per un verso, le ragioni che rendono giuridicamente rilevante una determinata prestazione lavorativa e, per l’altro verso, le modalità concrete di esecuzione del lavoro. Sotto il primo profilo ci si chiederà quale è la ragione giuridica che, concretamente, induce una persona a svolgere una determinata prestazione lavorativa. La risposta a questa domanda consente di distinguere, in via preliminare, tra le attività che non assumono rilievo giuridico, rimanendo la prestazione nell’ambito dei rapporti di mera cortesia, da quelle che danno invece luogo alla applicazione di una specifica disciplina legale e/o contrattuale in funzione del carattere oneroso, associativo ovvero gratuito del rapporto di lavoro. Sotto il secondo profilo, una volta riconosciuto il carattere giuridicamente rilevante di una prestazione lavorativa, si valuteranno le modalità concrete di esecuzione del lavoro, al fine di ricondurre con precisione il rapporto in esame a uno dei vari schemi legali tipizzati dal legislatore e cioè a un preciso t i p o l e g a l e . Tale ultima operazione consente poi di individuare con esattezza la disciplina di volta in volta applicabile al caso di specie. Qualche esempio può aiutare a comprendere in che cosa consista concretamente il problema della classificazione dei rapporti di lavoro. Affermare, in particolare, che una data attività lavorativa è tipica del lavoro del programmatore di computer, del consulente aziendale, del tornitore, del carpentiere, del grafico, ecc., non ci dice ancora nulla sulle regole giuridiche che, caso per caso, governano tale attività umana: se, per esempio, in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione, questa ricada sul prestatore di lavoro o sul committente; o anche se, in 61 Inquadramento giuridico del lavoro e identificazione della disciplina applicabile a ciascun caso concreto La riconduzione del caso concreto a un tipo legale II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro caso di inesatto adempimento della prestazione lavorativa, sia possibile la risoluzione del vincolo contrattuale e a quali condizioni, ecc. Può essere, in primo luogo, che un determinato soggetto svolga delle attività tipiche del programmatore di computer, del consulente, del tornitore, del carpentiere, del grafico, ecc. a titolo puramente di cortesia, a favore di un amico o per passatempo. Può anche accadere, infatti, che tali attività vengano svolte a titolo gratuito, a favore di una comunità religiosa o di una associazione di volontariato, etc. Può essere, poi, che tali attività siano svolte in virtù di un vincolo associativo, che lega il prestatore di lavoro a una determinata società, ovvero in termini di conferimento a una società. Non è sempre detto, insomma, che determinate attività lavorative rese a favore di terzi siano svolte in virtù di un rapporto oneroso di scambio, né tantomeno in ragione di un vincolo di soggezione gerarchica e funzionale nei confronti di un determinato soggetto che prende il nome di datore di lavoro. E’ vero, per contro, che uno stesso tipo di attività umana può essere resa in virtù di diverse ragioni (o cause in senso giuridico) e secondo diverse modalità esecutive e organizzative: ragioni e modalità che spiegano perché a una stessa tipologia di attività visibile in rerum natura (per esempio: il confezionare vestiti, il costruire un mobile o una sedia, il rispondere al telefono, etc.) possano corrispondere regimi giuridici assai differenti, sia in termini di imputazione del rischio sia in relazione alla disciplina di legge e contratto applicabile. Ai fini della individuazione della disciplina caso per caso applicabile non è dunque rilevante la mera osservazione empirica di una attività lavorativa. Quello che conta è, piuttosto, l’esatto inquadramento giuridico della attività che si osserva, e cioè l’operazione concettuale di riconduzione del caso concreto a una delle ipotesi astratte tipizzate dal legislatore. L’angolo di osservazione giuridica può dirci, per esempio, che un gruppo di giovani che sta giocando a calcio non si sta semplicemente divertendo o svolgendo una attività fisica. Può essere che tale attività sia oggetto di un contratto di lavoro subordinato vero e proprio (c.d. contratto di lavoro sportivo ex l. 23 marzo 1981, n. 91). Ma può anche essere che un gruppo di calciatori professionisti stia svolgendo una certa attività non in adempimento degli obblighi contrattuali verso il proprio datore di lavoro, ma per beneficenza ovvero per le riprese televisive di uno spot pubblicitario. La stessa attività (nel nostro esempio, il giocare a calcio) può dunque essere considerata, dall’angolo di osservazione giuridica, sotto diverse 62 Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro prospettive: può essere una mera attività ludica o ricreativa, come tale giuridicamente irrilevante, ma può anche essere oggetto di un contratto di lavoro subordinato vero e proprio. Può però anche essere riconducibile a una attività di lavoro autonomo-professionale, quando sia collegata a una singola manifestazione sportiva, ovvero essere addirittura strumentale ad altre attività giuridicamente rilevanti (sfruttamento dell’immagine, realizzazione di uno spot pubblicitario, attività a favore di organismi internazionali o associazioni di volontariato, etc.). La classificazione del lavoro umano non risponde, dunque, a istanze puramente teoriche e formalistiche, ma assume piuttosto una finalità essenzialmente pratica, in quanto rappresenta in passaggio fondamentale per individuare la ripartizione dei rischi contrattuali tra le parti e, in generale, la disciplina ad esso applicabile. In effetti, se si eccettuano le attività lavorative non suscettibili di valutazione economica, la riconduzione di una determinata prestazione lavorativa a un certo schema giuridico consente di identificare con estrema precisione: — — — — — — i limiti di forma e di sostanza che l’ordinamento pone alla autonomia negoziale privata nella stipulazione di un determinato contratto che, direttamente o indirettamente, ha per oggetto una attività lavorativa; il trattamento economico e normativo applicabile alla prestazione lavorativa dedotta in contratto; il regime contributivo e previdenziale; il regime fiscale; la ripartizione del rischio relativo alla impossibilità della prestazione lavorativa; la ripartizione del rischio relativo alla utilità della prestazione lavorativa. A questo proposito, e cioè ai fini della identificazione delle discipline giuridiche di volta in volta applicabili, vari possono essere i criteri di classificazione e di inquadramento giuridico del lavoro. Ai fini della individuazione del campo di applicazione del diritto del lavoro ancora rilevante — anche se destinata progressivamente a perdere di importanza in ragione della più recente evoluzione dei modi di lavorare e di produrre (cfr. infra, Sezione III) — è la tradizionale distinzione tra prestazioni di lavoro autonomo e prestazioni di lavoro subordinato. Vedremo infatti che le zone di confine tra le due tipologie 63 Le conseguenze pratiche dell’esatto inquadramento e della classificazione del lavoro umano II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro contrattuali danno luogo a una vasta area grigia, che rende difficile l’esatta qualificazione dei rapporti di lavoro, a fronte di una netta differenziazione della disciplina a esse applicabile. Prima di affrontare questo snodo decisivo della nostra materia, pare tuttavia necessario procedere a una classificazione più generale del lavoro, distinguendo tra forme di lavoro oneroso e di scambio, forme di lavoro associativo e forme di lavoro gratuito, in modo da porre le premesse per una corretta qualificazione dei rapporti di lavoro. 19. Onerosità e gratuità nei rapporti di lavoro. — E’ regola generale dell’ordinamento giuridico che ogni spostamento di ricchezza debba avere una giustificazione: una causa in senso tecnico. Unica eccezione è quella della donazione: in questo caso, la mancanza di una causa in senso giuridico viene compensata, come noto, dall’obbligo del rispetto di una determinata forma (art. 782 cod. civ.). Anche i rapporti di lavoro non si sottraggono a questa regola: ogni attività umana che crea ricchezza a favore di un soggetto terzo deve trovare giustificazione, in linea di principio, in una controprestazione. Tale controprestazione è denominata r e t r i b u z i o n e per le prestazioni di lavoro dipendente; c o r r i s p e t t i v o per le prestazioni di lavoro autonomo. In entrambi i casi, l’obbligo di una controprestazione rappresenta il profilo di o n e r o s i t à dei rapporti di lavoro: così dispone l’articolo 2094 cod. civ. per il contratto di lavoro subordinato nell’impresa; così dispone anche l’articolo 2222 cod. civ. per il contratto di lavoro autonomo. Lo svolgimento di una attività lavorativa a favore di terzi dà pertanto luogo a un rapporto giuridico, rispetto al quale ciascuno dei contraenti intende procurarsi un vantaggio economicamente valutabile. Il termine di scambio, in questi casi, non è naturalmente il lavoro né, tantomeno, un vincolo di soggezione personale del prestatore di lavoro verso il creditore, ma più semplicemente la promessa del lavoro (c.d. o b b l i g a z i o n e d i m e z z i ) ovvero la promessa di un risultato ottenuto mediante l’impiego di energie lavorative della persona (c.d. o b b l i g a z i o n e d i r i s u l t a t o ). Invero, anche prestazioni lavorative volte a realizzare un fine comune a entrambe le parti coinvolte si caratterizza per l’elemento dell’onerosità: in questi casi, 64 Il requisito della onerosità della prestazione di lavoro Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro tuttavia, il rapporto oneroso avrà struttura associativa (§ 20) e non di scambio. Soltanto le prestazioni lavorative rese in funzione di vincoli affettivi, per mera cortesia o per compiacenza, possono giustificare l’assenza di una controprestazione, in quanto si tratta pur sempre di attività lavorative che restano confinate sul piano delle relazioni sociali. In altri termini, esse non assumono rilievo giuridico. Per contro, il nesso tra prestazione e controprestazione che corrisponde alla onerosità del contratto di lavoro rende l’attività lavorativa giuridicamente dovuta e titolo per l’ottenimento di un vantaggio suscettibile di valutazione economica. L’onerosità non costituisce, in ogni caso, un elemento discretivo tra i diversi rapporti di lavoro che assumano un rilievo per l’ordinamento. Piuttosto, essa rappresenta la condizione necessaria, quantunque non sufficiente, perché possa aversi un contratto di lavoro subordinato ovvero un contratto di lavoro autonomo. Il nesso di correlatività che intercorre tra ciascuna prestazione lavorativa e una determinata controprestazione rappresenta in concreto la causa del contratto di lavoro, che, alla stregua del disposto di cui all’articolo 1325, n. 2, cod. civ., è requisito fondamentale di ogni contratto di scambio. Altra cosa è, naturalmente, il giudizio sulla esatta corrispettività tra prestazione lavorativa e controprestazione economica. Infatti, se tale caratteristica può essere imputata ai rapporti di lavoro autonomo, vedremo che non così può essere, almeno meccanicamente, con riferimento ai rapporti di lavoro dipendente (§ 87 e ss.), rispetto ai quali il profilo della onerosità del rapporto non si traduce necessariamente in una perfetta corrispondenza, stabilita dalle logiche del diritto privato, tra prestazione e controprestazione. L’assenza di una necessaria corrispondenza tra prestazione lavorativa e controprestazione si spiega in ragione della implicazione della persona del lavoratore nello scambio: al datore di lavoro spettano infatti particolari doveri nei confronti del prestatore di lavoro che non sempre trovano fondamento nel mero vincolo contrattuale da cui scaturisce il rapporto di lavoro. Così, il trattamento retributivo del lavoratore non risulta semplicemente parametrato alla qualità e quantità della prestazione lavorativa, ma deve anche fornire un reddito minimo e in ogni caso sufficiente al lavoratore e alla sua famiglia per condurre una esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.). Del pari, il trattamento retributivo non viene meno in talune ipotesi indicate dalla legge e/o dal contratto collettivo in cui pure manca la prestazione lavorativa: è quanto avviene nelle ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro (§ 122 e ss.). 65 Onerosità e corrispettività II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro Riconosciuto che l’onerosità caratterizza tutti i rapporti di lavoro giuridicamente rilevanti, resta da chiedersi se possano essere ritenuti ammissibili nel nostro ordinamento contratti di l a v o r o g r a t u i t o . Secondo una prima tesi — rimasta largamente minoritaria — l’obbligo di effettuare gratuitamente prestazioni lavorative a favore di terzi andrebbe ricondotto allo schema della donazione. E’ stato tuttavia giustamente rilevato che il contratto di donazione si caratterizza per una struttura e una funzione che male si attagliano, quando addirittura non si pongano in contraddizione, con l’obbligazione di svolgere prestazioni lavorative all’altrui servizio. Difetterebbe, in questi casi, l’elemento della attribuzione patrimoniale, che risulta essenziale alla figura della donazione. Secondo altro e ben più accreditato indirizzo interpretativo, si configurerebbe in questi casi un c o n t r a t t o a t i p i c o d i l a v o r o , ammissibile nel nostro ordinamento, in circostanze del tutto eccezionali, alla stregua del disposto di cui all’articolo 1322, secondo comma, cod. civ. In altri termini, un contratto gratuito di lavoro sarebbe ammissibile se ed in quanto diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela. Vengono richiamate, al riguardo, le prestazioni lavorative rese a fini di solidarietà ovvero le prestazioni rese nell’ambito di ogni convivenza fondata sulla comunione affettiva e/o spirituale ovvero le prestazioni rese in vista di un beneficio futuro (per esempio la maturazione di esperienze professionali in vista dell’inserimento nel mercato del lavoro) ovvero le prestazioni rese a favore delle c.d. organizzazioni di tendenza (istituzioni politiche, sindacali o religiose). Un terzo e altrettanto accreditato filone interpretativo ha tuttavia negato l’ammissibilità di contratti di lavoro gratuito, quantomeno nella forma del lavoro dipendente, sul presupposto che non sarebbe possibile ravvisare in questi casi un interesse meritevole di tutela. Riconosciuta la liceità di meritorie attività di assistenza, beneficenza, volontariato, si è però radicalmente escluso che tali attività possano essere ricondotte a una obbligazione giuridica vera e propria. In particolare, rispetto a prestazioni di lavoro dipendente l’obbligo di svolgere prestazioni di lavoro gratuito contrasterebbe con il principio costituzionale della equa retribuzione (art. 36 Cost.). Al di là delle ipotesi di lavoro gratuito tipizzate dal legislatore (§§ 54-55), si deve rilevare, a questo proposito, come i principali contrasti tra i diversi orientamenti possano essere in parte stemperati alla luce di una interpretazione evolutiva del concetto di onerosità delle 66 Condizioni e limiti di ammissibilità di prestazioni di lavoro gratuito Lavoro gratuito e contratto atipico di lavoro ex art. 1322, comma 2, cod. civ. Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro prestazioni. Vedremo infatti che prestazioni lavorative a prima vista gratuite, come per esempio gli stages aziendali o il lavoro reso nella comunità familiare, danno invece luogo a prestazioni in senso lato onerose, quantunque il corrispettivo non consista in una retribuzione vera e propria. Ciò non toglie, tuttavia, la presenza di un nesso di correlatività tra prestazione lavorativa e controprestazione, di volta in volta identificabile nell’onere di fornire adeguata formazione al tirocinante ovvero nell’onere di garantire al lavoratore il mantenimento, la partecipazione agli utili dell’impresa familiare, ecc. 20. I rapporti associativi di lavoro. In particolare: la prestazione di lavoro del socio di cooperativa. — I r a p p o r t i a s s o c i a t i v i d i l a v o r o costituiscono una tipologia di rapporti di lavoro di non agevole sistemazione dogmatica all’interno del nostro ordinamento giuridico positivo. Presupposto fondamentale di tale tipologia contrattuale, che ne legittima una autonoma trattazione, è che lo schema del contratto oneroso e di scambio non esaurisce le possibili modalità d’impiego della forza lavoro. Le poche e non recenti indagini organiche dedicate all’insieme di questi rapporti ne hanno con continuità individuato il tratto caratteristico nella destinazione della attività lavorativa ad un fine comune, facendo della solidarietà delle parti rispetto all’utile del processo produttivo il criterio discriminatore. Rileva tuttavia trattarsi di contratti (rimanendo quindi nell’ambito della autonomia negoziale privata) caratterizzati dalla assenza di ogni vincolo di corrispettività tra le obbligazioni e dalla contitolarità della attività economica, con comune assunzione del rischio tipico d’impresa. La diversità tra contratto di lavoro e contratti associativi si evidenzia cioè sotto il profilo dell’elemento causale, consistente nel primo caso nell’interdipendenza fra le due prestazioni e, per la seconda ipotesi, nella realizzazione dello scopo comune, condizione necessaria del vantaggio che ciascuna parte si ripromette dal contratto. Nel lavoro associato il prestatore non pone dunque la sua attività a disposizione di un soggetto che la utilizza per fini esclusivamente propri, agendo invece per uno scopo che è anche suo. Esiste pur sempre un debito di lavoro cui si adempie sottoponendosi alle direttive 67 Tratti caratterizzanti del lavoro associato: 1) destinazione della attività lavorativa a un fine comune 2) comune assunzione del rischio tipico d’impresa II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro altrui, ma in vista di uno scopo al quale è anche rivolta l’attività di chi dirige. Giova precisare che l’espressione rapporti associativi di lavoro non sempre è accettata, quantomeno nella sua onnicomprensività. Si preferisce così distinguere il caso della attività lavorativa eseguita nell’ambito di un contratto di società (conferimento di lavoro, contitolarità, condirezione e assunzione dei rischi d’impresa) come socio, da quello di un rapporto associativo di lavoro latu sensu (conferimento di lavoro senza contitolarità). Oppure ancora si contrappongono i rapporti associativi in senso tecnico (conferimento di lavoro del socio d’opera) a quelli in senso atecnico, o partecipativi, caratterizzati da una più generica partecipazione dei contraenti al risultato dell’attività economica. Rispetto a questa tipologia di contratti, le modalità di compenso solo in parte contribuiscono alla qualificazione del rapporto in termini di lavoro subordinato o associato. Come è deducibile infatti dall’art. 2099 cod. civ. (§ 89), l’assunzione del rischio non è sufficiente a trasformare un rapporto a base di scambio in un altro a base associativa, atteso che, salvo diverse pattuizioni che comportino la ripartizione di eventuali perdite, il calcolo della retribuzione viene sempre effettuato sugli utili netti. Il lavoratore che partecipa agli utili non ha l’obbligo di condividere anche i rischi dell’azienda e manca, quindi, la ripartizione di alea che caratterizza il contratto di società. Ne discende la necessità di indagare la qualificazione del rapporto con riferimento alla effettiva v o l o n t à n e g o z i a l e , accertando l’intenzione di esercitare in comune una attività economica al fine di dividerne gli utili, così da escludere con certezza la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato. Incontra dunque scarso favore l’opinione tradizionale che individua la linea demarcatrice fra lavoro associato e subordinato nella assenza di una retribuzione fissa e comunque di una certezza di guadagno, data l’inconciliabilità del principio costituzionale della retribuzione sufficiente (art. 36 Cost.) con il divieto di esclusione di uno o più soci da ogni partecipazione agli utili di cui all’art. 2265 cod. civ. (c.d. patto leonino). Rifiutata l’invocabilità dell’art. 36 Cost. in funzione discretiva di una concreta fattispecie negoziale, si dichiara comunque incongruente l’imposizione legale o collettiva di un compromesso equo e sufficiente in un rapporto associativo dove non è configurabile un corrispettivo, ma la partecipazione al risultato dell’attività comune. In ogni caso, anche 68 Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro se la retribuzione sia in ipotesi ragguagliata alle tariffe sindacali, ciò non è sufficiente a qualificare il rapporto, potendo tale riferimento essere stato fatto a titolo indicativo della misura del complesso dell’apporto in attività personale del lavoratore. Dunque le modalità di compenso non sono decisive ai fini della qualificazione del rapporto, al pari del n o m e n i u r i s adottato dai contraenti e di ogni altro criterio formalistico (§§ 25-26). Rispetto ai rapporti associativi di lavoro una considerazione particolare merita la prestazione lavorativa resa dal socio di cooperativa, oggetto di una recente riforma con la l. 3 aprile 2001, n. 142, che ha contribuito a sciogliere non pochi dubbi interpretativi sorti con riferimento alla sua precisa configurazione giuridica. Secondo l’articolo 1, comma 3, della l. 3 aprile 2001, n. 142, l’attività lavorativa svolta dal socio di cooperativa — nell’ambito di rapporti mutualistici e sulla base di previsioni di regolamento della cooperativa volte a definire l’organizzazione del lavoro dei soci — può comportare l’instaurazione di un rapporto di lavoro in forma autonoma o subordinata, o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di natura non occasionale. Considerato che nel regime giuridico previgente veniva esclusa dalla giurisprudenza e dottrina prevalenti la riconducibilità del lavoro del socio a una forma di lavoro subordinato o autonomo, si tratta di una importante conferma della circostanza che qualunque attività umana può essere resa in ragione di un diverso titolo giuridico, in relazione sia alle intese contrattuali raggiunte tra le parti sia in relazione alle modalità concrete di esecuzione della prestazione lavorativa. Ma non solo: nel riconoscere che la prestazione di lavoro del socio di cooperativa, oltre che in forma autonoma o subordinata può essere resa «in qualsiasi altra forma», il legislatore pare riconoscere la possibilità di inquadrare il lavoro umano in schemi atipici e sui generis, superando così per la prima volta il principio del numerus clausus delle tipologie contrattuali lavoristiche. Il rapporto lavorativo del socio è da considerare distinto rispetto al rapporto associativo. Tuttavia, a prescindere dalla forma giuridica con cui viene concretamente resa, la prestazione lavorativa rimane finalizzata al raggiungimento degli scopi sociali. Dall'instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici rispettivamente previsti dalla legge, nonché, in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore, da altre leggi. 69 La prestazione lavorativa del socio di cooperativa Adempimento dei fini sociali II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro Al rapporto del socio lavoratore subordinato si applicano, in ogni caso, le seguenti tutele minime: 1) lo statuto dei lavoratori, ad eccezione della norma che obbliga alla reintegrazione del prestatore di lavoro in caso di recesso illegittimo; 2) le norme in materia di tutela della salute e sicurezza dei prestatori di lavoro nei luoghi di lavoro; 3) l’articolo 2751 bis del codice civile, che prescrive la natura privilegiata dei crediti relativi al trattamento economico a favore del socio lavoratore; 4) l'assoggettamento alla disciplina del processo del lavoro delle controversie relative alla posizione del socio lavoratore, comprese le procedure di conciliazione e arbitrato. Rispetto ai profili economici, il socio lavoratore ha diritto a un trattamento complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo. 21. La questione della deducibilità della prestazione lavorativa in contratti diversi da quello di lavoro. — Il riconoscimento della possibilità di realizzare prestazioni di lavoro gratuite ovvero rapporti di lavoro di tipo associativo pone la questione generale della deducibilità della prestazione lavorativa subordinata in fattispecie negoziali diverse dal contratto di lavoro subordinato. A questo riguardo, all’originale, illimitato favore, si è nel corso del tempo sostituita una forte diffidenza, vista l’inapplicabilità della normativa tipica del diritto del lavoro alla attività eseguita nell’ambito di un contratto societario o associativo. Di qui, a evitare intenti fraudolenti, la dichiarata prevalenza del rapporto che si caratterizzi come lavoro dipendente e un generale principio di deducibilità del lavoro entro schemi negoziali in cui risulti positivamente consentita. Dall’impostazione codicistica afferente al rapporto (e non al contratto) di lavoro, si deduce da taluno l’intenzione legislativa di applicare quella normativa anche qualora venga posto in essere un diverso negozio implicante analoghe prestazioni. Ma l’opinione è avversata da chi attribuisce all’affermata deducibilità senso pratico solo ammettendo che il titolo abbia una efficacia determinante in ordine alla disciplina delle prestazioni, da ricercare quindi nello schema contrattuale in cui esse sono dedotte contingentemente e non tipicamente. 70 Trattamento applicabile al socio lavoratore Lo sfavore verso la deducibilità di prestazioni di lavoro subordinato in schemi contrattuali non di lavoro dipendente Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro Il possibile uso fraudolento consentito dalla forma associativa perderebbe gran parte del rilievo ove si accedesse ad un principio di ugual tutela del lavoratore, a prescindere dalla natura giuridica del rapporto instaurato. In ogni caso la tendenza espansiva del diritto del lavoro ha provocato una progressiva applicazione al lavoro associato di istituti prima caratteristici del lavoro subordinato, dovuta alla comune situazione di sottoprotezione sociale. Ciò che non autorizza un illimitato superamento del tradizionale ambito di applicazione, ma evidenzia la necessità di una disciplina ampiamente innovatrice per garantire una adeguata tutela anche a questi rapporti (cfr. amplius le considerazioni che verranno svolte nella Sezione III). SEZIONE SECONDA LA DISTINZIONE TRA LAVORO AUTONOMO E LAVORO SUBORDINATO 22. Le funzioni della nozione di subordinazione. — Se è vero che il fenomeno «lavoro» è assai ben più ampio del fenomeno «lavoro subordinato», è altrettanto vero che solo quest’ultimo consente di identificare l’oggetto e l’ambito di estensione della normativa che costituisce il diritto del lavoro (§ 1). La subordinazione assolve, di conseguenza, due funzioni fondamentali. Da un lato, essa serve a identificare l’oggetto del diritto del lavoro. Non a caso è stato rilevato che la storia del diritto del lavoro si è sin qui identificata, nella sostanza, con la storia stessa del concetto di subordinazione. Una storia che, dalla originaria, quanto labile, contrapposizione tra o b b l i g a z i o n e d i m e z z i (locatio operarum) e o b b l i g a z i o n e d i r i s u l t a t o (locatio operis), si caratterizza per la progressiva t i p i z z a z i o n e un nuovo schema contrattuale — quello appunto di lavoro subordinato (art. 2094 cod. civ.) — imperniato sulla eterodeterminazione della prestazione lavorativa dedotta in obbligazione. Dall’altro lato, essa opera come elemento discretivo tra prestazioni lavorative rese in regime di autonomia e prestazioni caratterizzate invece per un vincolo di assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e di controllo del creditore sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa. Si tratta di una operazione 71 Le funzioni della nozione di subordinazione La subordinazione come criterio di identificazione dell’oggetto del diritto del lavoro Le subordinazione come criterio discretivo tra lavoro autonomo e lavoro subordinato II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro particolarmente delicata, in quanto solo la qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato consente di dare luogo alla applicazione delle tutele, di natura prevalentemente cogente, del diritto del lavoro. In questa sezione ci occuperemo di questa seconda accezione del termine subordinazione. Nella sezione successiva si avrà tuttavia modo di evidenziare come la normativa che costituisce il diritto del lavoro, istituzionalmente relativa a rapporti lavorativi che scaturiscono da un contratto tipico oneroso e di scambio — il contratto di lavoro subordinato, appunto — tenda a trovare applicazione anche con riferimento ad altri rapporti che, pur avendo come dato caratteristico lo svolgimento di una prestazione di lavoro a favore di terzi, non sono caratterizzate dall’elemento della subordinazione. Si parlerà, al riguardo, di una sorta di t e n d e n z a e s p a n s i v a d e l d i r i t t o d e l l a v o r o , al contempo causa ed effetto di un processo di c.d. detipicizzazione del contratto di lavoro, da tempo in atto, che nell’ambito della disciplina dei rapporti di lavoro potrebbe assegnare al concetto di subordinazione una terza e ulteriore funzione: non tanto quella di discriminare tra rapporti di lavoro autonomo e di lavoro subordinato, quanto piuttosto quella di concorrere a differenziare, in ragione del maggiore o minore vincolo di soggezione del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, i trattamenti normativi imputabili al lavoratore. In questa prospettiva, il concetto giuridico di subordinazione pare destinato a indicare il quantum più che l’an della disciplina di volta in volta applicabile a un prestatore di lavoro, in ragione delle modalità concrete di esecuzione della attività lavorativa. 23. La nozione codicistica di subordinazione e il suo fondamento contrattuale. — L’articolo 2094 cod. civ. individua il prestatore di lavoro subordinato in colui che «si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore». L’articolo 2222 cod. civ., per contro, definisce lavoratore autonomo chi «si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente». Non v’è dubbio, pertanto, che l’elemento della subordinazione del prestatore di lavoro costituisca il tratto distintivo tra lavoro autonomo e lavoro subordinato. Non così, invece, è per il requisito della onerosità 72 La tendenza espansiva del diritto del lavoro Art. 2094 cod. civ.: lavoro subordinato Art. 2222 cod. civ.: lavoro autonomo Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro della prestazione, che infatti è presente in entrambe le tipologie contrattuali (§ 19). Lo stesso può dirsi anche per il tipo di attività, sul presupposto che ogni prestazione lavorativa suscettibile di valutazione economica, sia essa intellettuale o manuale, può essere ricondotta tanto al lavoro autonomo che al lavoro subordinato. Come già anticipato (§ 18), e come confermato da un costante orientamento della Corte di Cassazione, ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato non costituisce dunque criterio distintivo il tipo di attività lavorativa, rilevando piuttosto il modo in cui l’attività medesima viene di volta in volta prestata. Non vi sono infatti, quantomeno in linea di principio, attività lavorative che siano per loro natura suscettibili di essere regolate solo ed esclusivamente attraverso un determinato schema negoziale e che — sempre per la loro particolare natura — non tollerino la possibilità di utilizzazione di diversi modelli di disciplina legale. A conferma di questa impostazione, come già ricordato (§ 20), è recentemente intervenuto il legislatore, allorché ha precisato che la prestazione resa dal socio di cooperativa può essere dedotta in contratti di lavoro autonomo, di lavoro subordinato o anche in qualsiasi altra forma, fino al punto di riconoscere la legittimità di c o n t r a t t i atipici di lavoro. Un discorso a parte deve invece essere svolto con riferimento al concetto di collaborazione, che, almeno stando alla lettera della legge, sembrerebbe differenziare le due definizioni codicistiche. Infatti, mentre il prestatore di lavoro subordinato si obbliga a collaborare nell’impresa, il lavoratore autonomo si obbliga, più semplicemente, a compiere un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione. In realtà, il concetto di collaborazione di cui all’articolo 2094 cod. civ. trova riscontro, sul piano sistematico, in ulteriori disposizioni codicistiche, che ben evidenziano la peculiare configurazione del lavoro dipendente sottesa alla concezione corporativistica dei rapporti di produzione. Si deve in effetti rilevare, in primo luogo, la collocazione della definizione codicistica del lavoro dipendente non nel libro IV, in tema di contratti e obbligazioni, ma nel libro V del Codice Civile, espressamente dedicato al lavoro. Tale collocazione non è certo casuale, ma è anzi chiaro indice della intenzione del legislatore corporativo di differenziare il contratto di lavoro subordinato da tutti gli altri schemi contrattuali. Tanto più che, all’interno del libro V, 73 L’elemento della collaborazione: sua irrilevanza ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro l’attenzione del legislatore è rivolta alla disciplina del rapporto di lavoro (cfr. infatti la sez. III del libro V) e non del contratto di lavoro. Piuttosto che rispondere alle normali logiche di scambio tra soggetti dotati di interessi contrapposti, e che il contratto di incarica di comporre, il rapporto di lavoro avrebbe dovuto rappresentare, nella logica corporativa, lo strumento volto a consentire il preseguimento della massima efficienza produttiva dell’impresa e, conseguentemente, il massimo benessere nazionale. Secondo la concezione corporativa, «l’imprenditore è il capo dell’impresa» - e non semplicemente il proprietario - «e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori» (art. 2086 cod. civ.); collaboratori che nello svolgimento della attività lavorativa devono usare la diligenza richiesta non solo dalla natura della prestazione dedotta in obbligazione, come richiesto invece per tutti i restanti schemi contrattuali di diritto privato, ma anche «dall’interesse della impresa e da quello superiore della produzione nazionale» (art. 2104 cod. civ.). In questa prospettiva l’impresa si configurerebbe come una istituzione gerarchicamente organizzata, in vista di un interesse superiore rispetto a quelli del datore di lavoro e del prestatore di lavoro (c.d. teoria istituzionale dell’impresa), laddove il contratto di lavoro dipendente darebbe luogo a una comunione di interessi tra le parti contrattuali. Il contratto di lavoro, più precisamente, si identificherebbe come un contratto di collaborazione sottoscritto tra due soggetti per il perseguimento dello scopo comune della produzione che veniva assorbito nella causa del contratto. Quantunque ancora recentemente prospettata, da una parte invero minoritaria della dottrina, la concezione comunitaria o associativa del rapporto di lavoro subordinato risulta in realtà fondata su elementi assai labili, per quanto suggestivi, già nell’impianto complessivo del Codice Civile, da cui in ogni caso emerge con sufficiente precisione lo schema di un contratto oneroso e di scambio. Schema reso oggi ancora più nitido sia in ragione della abrogazione del sistema corporativo (§ 3) sia soprattutto in funzione del riconoscimento costituzionale del diritto di sciopero (§ 104), che dà cittadinanza nel nostro ordinamento a una nuova concezione dei rapporti di produzione essenzialmente basata sulla contrapposizione di interessi tra datore di lavoro e lavoratore. Altrettanto può dirsi per le concezioni a-contrattualistiche del rapporto di lavoro: concezioni che, pur ammettendo la logica conflittuale e di scambio sottesa ai rapporti di lavoro, negano tuttavia la matrice contrattuale del rapporto, la cui esistenza sarebbe invece da ricollegarsi al mero inserimento del 74 La concezione istituzionistica del lavoro nell’impresa e il contratto di lavoro come contratto di collaborazione Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro prestatore di lavoro nella organizzazione produttiva del datore di lavoro. A questo proposito, nessun particolare rilievo, a favore delle concezioni istituzionistiche o a-contrattuali del rapporto di lavoro, può peraltro essere attribuito alla disciplina codicistica della prestazione di fatto con violazione di legge, che pure prescinde dalla concezione corporativa del lavoro nell’impresa. E’ vero infatti che, ai sensi dell’art. 2126 cod. civ., la nullità o l’annullamento del contratto non produce effetto per il periodo in cui il rapporto di lavoro ha avuto esecuzione (1). E’ altrettanto vero, tuttavia, che gli effetti che l’ordinamento riconnette alla prestazione del lavoro sono in ogni caso riconducibili a un contratto, sia pure invalido: si tratta infatti di effetti proiettati a disciplinare la prestazione già effettuata e che non comportano, in ogni caso, alcuna proiezione su prestazioni lavorative future e non ancora rese. Art. 2126 cod. civ.: prestazione di fatto del lavoro Pertanto, il concetto di collaborazione si svuota allora di ogni valenza discretiva tra la fattispecie del lavoro autonomo e quella del lavoro subordinato. Cadute le suggestioni corporative, collaborare nell’impresa non significa altro che cooperare con la controparte, secondo i normali parametri di diligenza richiesti dalla natura della obbligazione dedotta in contratto (§ ...), al fine di consentire la soddisfazione dell’interesse creditorio. Obbligo di cooperazione che è presente in tutti i contratti e che dunque non assume alcun rilievo qualificatorio della fattispecie. Esclusa la rilevanza qualificatoria di elementi quali l’onerosità, il tipo di attività lavorativa e la collaborazione nell’impresa, la definizione codicistica si traduce inevitabilmente in una formulazione elementare: è lavoro subordinato il lavoro svolto alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Una formulazione che, nel ribadire la centralità delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa ai fini della individuazione della disciplina applicabile, manifesta tuttavia una scarsa pregnanza qualificatoria del concetto di subordinazione, che si risolve infatti in una sorta di tautologia. (1) «Salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa». Così prosegue il primo comma dell’art. 2126 cod. civ. Il comma successivo poi precisa: «Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione». 75 La centralità delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro La verità, dunque, è che il legislatore del 1942, nel tipizzare il contratto di lavoro subordinato, ha sostanzialmente rinviato a una situazione sociale già chiaramente definita, rinunciando a fornire una definizione giuridica del lavoro dipendente praticamente utilizzabile dall’operatore giuridico. Il t i p o l e g a l e del lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 cod. civ. richiama, in effetti, il referente empirico del lavoro dipendente nella impresa industriale (c.d. t i p o s o c i a l e o n o r m a t i v o ), rispetto al quale il problema della qualificazione del rapporto di lavoro — e della sua distinzione rispetto a prestazioni di lavoro autonomo — neppure si pone. 24. Il problema della qualificazione delle fattispecie che si collocano nella area grigia tra autonomia e subordinazione. — La questione della qualificazione dei rapporti di lavoro non si pone ovviamente nei casi in cui sussista una sufficiente aderenza tra fattispecie concreta e tipo sociale o normativo sotteso alla definizione legale di prestatore di lavoro subordinato. Il problema della esatta qualificazione della fattispecie si pone piuttosto nei casi che fuoriescono dal modello centrale di ciascun tipo legale, per collocarsi nelle aree di confine tra autonomia e subordinazione (c.d. aree grigie). Tipo legale e tipo sociale o normativo L’area grigia tra lavoro autonomo e lavoro subordinato Come è facilmente verificabile scorrendo i repertori della nostra giurisprudenza, le questioni che pongono problemi interpretativi non sono mai quelle del lavoro operaio prestato nella grande impresa industriale e neppure quelle del lavoro del professionista che esercita una professione liberale per una pluralità abbastanza vasta di committenti. I casi che danno luogo a un ricco contenzioso giurisprudenziale sono invece quelli dell’animatore di villaggi turistici, del venditore porta a porta, dell’agente e del procacciatore di affari, dell’addetto ai totalizzatori degli ippodromi, del propagandista di specialità medico-scientifiche, del motofattorino che raccoglie e recapita posta urbana, del lettore di bollette, dell’esattore, del consulente, del lettore universitario, della centralinista di un telefono erotico, della cubista, del collaboratore a un giornale, del lettore di oroscopi alla televisione, ecc. Questo a conferma che il problema della qualificazione dei rapporti di lavoro attiene — esclusivamente — alle aree di confine tra lavoro autonomo e lavoro subordinato; aree di confine destinate a esistere quale che sia il grado di perfezione della definizione legale del lavoro autonomo e del lavoro subordinato. La ricca casistica contenuta nei repertori della giurisprudenza, da cui sono stati tratti i casi sopra richiamati, indica chiaramente che la questione della qualificazione del rapporto di lavoro si pone soltanto 76 La recente estensione dell’area grigia tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, conseguenza della crisi del modello di produzione fordista-tayloristico Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro per figure nuove o che comunque non si attagliano perfettamente ai rigidi modelli di organizzazione e divisione del lavoro dell’impresa tradizionale. E’ peraltro vero che la crisi del modello di produzione fordista-tayloristico, in atto da più di un trentennio, assieme alla progressiva e inarrestabile espansione de terziario e — più recentemente — del terziario avanzato, hanno contribuito a estendere oltre misura l’area grigia tra lavoro autonomo e lavoro subordinato. Più il nesso tra tipo legale del lavoro subordinato e tipo normativo sotteso alla fattispecie legislativa si attenua sul piano sociale, più risulta di conseguenza evidente la scarsa pregnanza qualificatoria del concetto di subordinazione accentuando quella che è stata giustamente definita alla stregua di una sfasatura tra fattispecie astratta del lavoro dipendente e funzione dell’intero regime delle tutele e delle garanzie del diritto del lavoro. Questo spiega le proposte, su cui ci soffermeremo nella sezione che segue, di riforma complessiva del diritto del lavoro, volte a superare la tradizionale contrapposizione tra autonomia e subordinazione. 25. Le operazioni giurisprudenziali di qualificazione dei rapporti di lavoro e la contrapposizione tra metodo sussuntivo e metodo tipologico. — In attesa di un intervento del legislatore volto a sdrammatizzare il momento qualificatorio, la questione della distinzione tra rapporti di lavoro autonomo e rapporto di lavoro subordinato viene inevitabilmente rinviata alla giurisprudenza, chiamata a decidere caso per caso la disciplina applicabile a ciascun singolo rapporto di lavoro di cui sia dubbia la qualificazione giuridica. Chi ha studiato gli orientamenti della nostra giurisprudenza è solito individuare nelle operazioni giurisprudenziali di qualificazione dei rapporti di lavoro un atteggiamento pragmatico. Abbandonato il tradizionale atteggiamento definitorio, volto a ricondurre ciascun caso concreto a una fattispecie astratta tipizzata dal legislatore, la giurisprudenza opera in sostanza — caso per caso, secondo le peculiarità di ciascuna singola fattispecie concreta — un giudizio di prevalenza o meno dei requisiti che contraddistinguono la fattispecie tipica (il tipo normativo) sotteso alla definizione legale. Scontata l’impossibilità di pervenire a una ricostruzione affidabile del tipo legale lavoro subordinato, stante l’evanescenza qualificatoria del concetto di subordinazione, la giurisprudenza ha in effetti elaborato una serie di indizi e c r i t e r i s u s s i d i a r i d i q u a l i f i c a z i o n e 77 L’atteggiamento pragmatico della giurisprudenza II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro delle singole fattispecie concrete, che sono desunti dal modello sociale di riferimento della definzione legale (il c.d. tipo normativo) e dunque dalla figura del lavoratore della grande fabbrica. Questo spiega il richiamo, nelle argomentazioni dei giudici, di elementi quali l’obbligo di rispettare un orario di lavoro, la proprietà dei mezzi di produzione, la sottoposizione a direttive e/o a sanzioni disciplinari, la forma della retribuzione, la continuità della prestazione lavorativa, il carattere personale della prestazione, l’assenza di rischio economico, ecc. Il giudizio di qualificazione del singolo rapporto di lavoro scaturirebbe da un raffronto tra questi indici e criteri sussidiari e le modalità concrete di esecuzione della prestazione di lavoro, quale che sia la volontà delle parti del contratto. In questa prospettiva l’opera di qualificazione viene realizzata non mediante il classico sillogismo, proprio del c.d. m e t o d o s u s s u n t i v o , che impone per l’imputazione di determinati effetti giuridici una perfetta identità tra fattispecie concreta e tipo legale del lavoro subordinato, ma più semplicemente mediante un giudizio di non contraddizione o sufficiente conformità rispetto al modello sociale prevalente di lavoratore subordinato (l’operaio della grande impresa), a cui il legislatore si è ispirato per elaborare sia la nozione di lavoro subordinato sia la relativa disciplina tipica. La dottrina parla, in questi casi, di m e t o d o t i p o l o g i c o . Spostato il problema della individuazione della fattispecie dal piano della ricerca del contenuto giuridicamente rilevante del contratto (i n t e r p r e t a z i o n e ) a quello della definizione in termini giuridici di un rapporto visibile in rerum natura (q u a l i f i c a z i o n e ), nessun rilievo viene attribuito non solo alla volontà cartolare, e cioè alla volontà formalmente espressa nel contratto, ma neppure al comportamento complessivo delle parti posteriore alla conclusione del vincolo negoziale. Svalutato il momento della interpretazione, la qualificazione del contratto viene dunque operata con riferimento alle effettive modalità di svolgimento della prestazione. Tipico esempio di questo modo di procedere è la seguente massima giurisprudenziale: «Con riguardo alla distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e rapporto di lavoro subordinato, il principale elemento distintivo è costituito dalla subordinazione, e cioè dall’assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro a prescindere dal nomen iuris che le parti possono avere dato al rapporto; nel caso però in cui, per le particolari caratteristiche del rapporto, vi sia una attenuazione del vincolo di subordinazione e sia riscontrabile una certa libertà del lavoratore nella organizzazione del lavoro, si deve fare riferimento ad altri criteri sussidiari quali l’oggetto 78 Il metodo sussuntivo: giudizio di identità del caso concreto al tipo legale del lavoro dipendente Il metodo tipologico: giudizio di approssimazione o sufficiente conformità del caso concreto al tipo sociale del lavoro dipendente Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro della obbligazione (che nel rapporto di lavoro di lavoro subordinato è costituito dalle energie lavorative del dipendente, mentre nel rapporto di lavoro autonomo è rappresentato dal risultato della sua attività organizzata), l’esistenza o meno di una organizzazione di impresa, seppur in termini minimi, facente capo al lavoratore (che caratterizza il solo lavoro autonomo), l’incidenza del rischio attinente all’esercizio dell’attività (che nel caso di lavoro subordinato, grava sul datore di lavoro, e, nel caso di lavoro autonomo, sul lavoratore. In questa e in altre massime di questo tenore la giurisprudenza riconosce che, in taluni casi, il vincolo di subordinazione appare alquanto sfumato e di difficile individuazione. Abbandonato ogni intento di individuare il concetto di lavoro subordinato, in queste circostanze la giurisprudenza ritiene allora necessario fare riferimento a indici spia e criteri sussidiari che, a seguito di apprezzamento globale delle concrete modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, consentano di effettuare un giudizio di sufficiente conformità del caso concreto al modello sociale del lavoro subordinato. Non sempre tuttavia, le operazioni giurisprudenziali di qualificazione dei rapporti di lavoro possono essere ricondotte al m e t o d o t i p o l o g i c o . Invero, il più delle volte il ricorso a indici sussidiari e criteri indiziari ha valore puramente strumentale — su un piano essenzialmente probatorio — alla ricerca della sussistenza del vincolo di subordinazione che viene considerato alla stregua dell’unico elemento decisivo ai fini della qualificazione della fattispecie concreta. Al di là delle apparenze, e di massime tralaticie che possono ingenerare equivoci circa l’esatta individuazione del metodo di qualificazione prescelto dal giudice, nella maggior parte dei casi la nostra giurisprudenza opera infatti secondo il classico m e t o d o s u s s u n t i v o , e cioè sforzandosi di realizzare un giudizio di identità o piena conformità del caso concreto non al tipo sociale del lavoro dipendente, ma al modello astratto tipizzato dal legislatore e cioè al tipo legale dell’art. 2094 cod. civ. E’ proprio in questo che il metodo tipologico differisce dal metodo sussuntivo classico. Anche chi cerca di realizzare un giudizio di piena identità tra fattispecie astratta e fattispecie concreta si trova costretto, nei casi dubbi e di confine tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, a ricorrere a elementi sussidiari e indiziari. Tuttavia, in questo caso, la valutazione di questi elementi non è mai fine a sé stessa, e cioè a un giudizio di mera prevalenza degli elementi del lavoro autonomo rispetto a quelli del lavoro dipendente o viceversa, ma opera su un piano diverso, in quanto diretto a ricostruire sul versante probatorio la sussistenza o meno dell’unico elemento decisivo che è poi quello della subordinazione. 79 Il metodo sussuntivo: giudizio di piena conformità del caso concreto al tipo legale del lavoro dipendente II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro Il metodo sussuntivo, in altri termini, non si limita a una mera operazione di qualificazione di una fattispecie concreta, ma presuppone una attenta opera di interpretazione della fattispecie contrattuale volta a ricostruire le premesse del sillogismo giuridico. Tipico esempio di questo modo di procedere è la seguente massima giurisprudenziale: «L’elemento decisivo, ai fini della distinzione del rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo, è costituito dalla subordinazione e cioè da quel particolare vincolo di natura personale che comporta l’assoggettamento del prestatore di lavoro al potere direttivo del datore di lavoro con conseguente limitazione della sua libertà, mentre altri elementi — quali la collaborazione, l’assenza di rischio economico, la natura dell’oggetto della prestazione, la continuità di questa, la forma della retribuzione e l’osservanza di un orario possono avere una portata soltanto sussidiaria e non già decisiva ai fini della distinzione suddetta». Anche il metodo sussuntivo impone dunque il ricorso a elementi presuntivi e a indici probatori dell’esistenza della subordinazione o della autonomia. I due procedimenti, pure astrattamente incompatibili, possono pertanto essere agevolmente conciliati sul piano pratico, mediante la valorizzazione del metodo tipologico nel momento ricostruttivo delle premesse del sillogismo giuridico, che è e rimane l’unico metodo risconosciuto dal nostro ordinamento al fine della qualificazione delle fattispecie negoziali. 26. Segue: la questione della rilevanza della volontà delle parti. Necessità distinguere tra volere e voluto negoziale. — Si è visto come il metodo tipologico sia basato su una unica operazione: quella della pura e semplice riconduzione di una fattispecie concreta a uno schema legale secondo un giudizio globale di apprezzamento della intera vicenda negoziale. Questa è la c.d. q u a l i f i c a z i o n e d e l c o n t r a t t o , ed è operazione essenzialmente rivolta alla determinazione delle conseguenze giuridiche di un determinato atto negoziale. Il metodo sussuntivo, per contro, presuppone un momento ulteriore e pregiudiziale all’opera di qualificazione, e precisamente la determinazione del senso giuridicamente rilevante del vincolo contrattuale. In questa prospettiva, al fine di stabilire se le parti abbiano inteso dare vita ad un contratto di lavoro autonomo o subordinato, il giudice deve accertare quale sia stata la comune intenzione delle parti (art. 1362 cod. civ.): questo sia con riferimento al momento della determinazione del contenuto o comunque di un elemento qualificante del contratto sia a quello dell’esecuzione del negozio, attraverso il 80 Qualificazione e interpretazione del contratto Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro comportamento complessivo dei contraenti. Per stabilire se il contratto in questione appartenga a un tipo contrattuale piuttosto che a un altro, risulta allora decisiva l’indagine sulla volontà negoziale delle parti; volontà che, tuttavia, come ormai più volte evidenziato dalla dottrina, non consiste nell’eventuale intendimento comune alle parti di porre in essere un rapporto di lavoro subordinato piuttosto che autonomo: ciò che rileva è soltanto la volontà relativa ai singoli elementi essenziali del tipo negoziale. Anche in questo caso, tuttavia, il problema della ricostruzione dell’effettivo assetto di interessi concretamente posto in essere dalle parti è tutt’altro che semplice: come noto, la verifica della corrispondenza tra quanto espressamente dichiarato (volontà cartolare e nomen iuris), da un lato, e quanto poi concretamente realizzato («voluto» negoziale), dall’altro lato, potrà essere infatti operata dal giudice sulla base di un accertamento indiretto, e cioè essenzialmente presuntivo, della volontà negoziale delle parti circa l’esistenza o meno dell’elemento distintivo della subordinazione. Rilevanza della volontà relativa ai singoli elementi essenziali del tipo negoziale Corrispondenza tra dichiarazione negoziale e comportamento concreto delle parti, anche dopo la conclusione del contratto Di conseguenza, quando le parti — nelle manifestazioni della loro autonomia negoziale — abbiano inteso escludere l’elemento della subordinazione, non è possibile pervenire ad una diversa qualificazione della fattispecie se non si dimostra che in concreto il detto elemento della subordinazione si sia di fatto realizzato nel corso del rapporto. La volontà di realizzare o meno un vincolo di subordinazione non può certo essere intesa alla stregua di un patto privato, valido tra le parti ma comunque non opponibile nei confronti di terzi quali gli enti previdenziali anche considerando che la materia contributiva è regolata da una normativa inderogabile e non influenzabile dalle qualificazioni giuridiche operate dalle parti del rapporto di lavoro. E’ infatti vero che le conseguenze giuridiche (effetti) del contratto non derivano direttamente dal volere materiale delle parti, bensì dal realizzarsi in concreto della fattispecie prevista dalla legge; tuttavia, la giuridicizzazione di una data operazione economica — così come la costituzione ex lege del rapporto previdenziale — non possono che avvenire in conformità allo schema negoziale concretamente realizzato e contrattualmente voluto dalla parti. In altri termini: una cosa è l’autoqualificazione del contratto o n o m e n i u r i s (questo sì sottratto alla disponibilità dei privati e, se del caso, rilevante alla stregua di un «utile indizio»), altro è invece il 81 Volere materiale, nomen iuris e voluto negoziale II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro v o l u t o n e g o z i a l e — rilevante in sede di interpretazione del contratto o, al più, in sede di identificazione di un singolo elemento caratterizzante — da cui il giudice dovrà poi procedere nella ricostruzione e qualificazione della fattispecie negoziale. 27. Possibilità di mutare il titolo della obbligazione lavorativa in corso di rapporto. — La rilevanza della volontà delle parti nella qualificazione del rapporto di lavoro non esclude la possibilità di mutare il titolo della obbligazione lavorativa in corso di rapporto (c.d. novazione oggettiva dell’obbligazione), stante la regola codicistica secondo cui il contratto è un accordo diretto a costituire o modificare un vincolo contrattuale pre-esistente (art. 1321 cod. civ.). Di questa opinione sono sia la dottrina che la giurisprudenza. Naturalmente, perché la novazione del titolo della obbligazione lavorativa abbia effettivamente luogo, è necessario che la volontà delle parti in tal senso sia reale e non risulti da dati di carattere puramente formalistico. La trasformazione del contratto di lavoro dipende, infatti, da un mutamento sostanziale dell’assetto negoziale realizzato dalle parti, a nulla rilevando né la predisposizione in astratto di un diverso programma negoziale né, tantomeno, il mero nomen iuris assegnato dalle parti al nuovo vincolo contrattuale. L’irrilevanza del mero elemento formalistico spiega, per contro, perché la n o v a z i o n e d e l c o n t r a t t o d i l a v o r o possa avvenire anche per fatti concludenti, in corrispondenza del mutamento sostanziale dell’assetto di interessi realizzato tra le parti. L’effettivo mutamento dell’assetto negoziale in corso di rapporto deve dunque essere rigorosamente provato da chi vi abbia interesse, a nulla rilevando la mera qualificazione formale del nuovo contratto pattuita tra le parti. Giova peraltro precisare che ciò che conta è solo il mutamento del titolo della prestazione dedotta in contratto e non certo della attività lavorativa concreta, giusto il principio secondo cui ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto tanto di un contratto di lavoro autonomo che di lavoro subordinato. Risulta dunque confermato, anche da questo specifico punto di vista, che ciò che rileva sono solo ed esclusivamente le modalità concrete di esecuzione della prestazione lavorativa. 82 La novazione del contratto di lavoro Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro SEZIONE TERZA IL DIBATTITO DE JURE CONDENDO SULLA RIFORMA DEI CRITERI DI CLASSIFICAZIONE E INQUADRAMENTO GIURIDICO DEL LAVORO: DAL LAVORO AI LAVORI 28. La crisi della nozione di «subordinazione» come criterio classificatore fondamentale del diritto del lavoro. — Avviato dalla letteratura d’oltralpe sul finire degli anni Settanta, il dibattito dottrinale sulla crisi della subordinazione si è ben presto trasformato in una denuncia della «crise du droit du travail» e successivamente, una volta attenuata la drastica diagnosi della dottrina francese, in una riflessione sulla crisi di una certa immagine del diritto del lavoro quale diritto speciale di tutela dei lavoratori subordinati (§ 14). Il dibattito sulla crisi del diritto del lavoro La circostanza non deve sorprendere. Le disfunzioni che colpiscono il criterio regolatore che garantisce l’accesso all’area del lavoro normativamente protetto — disfunzioni segnalate da qualche decennio a questa parte, ma oggi sicuramente aggravate dai mutamenti che, con maggiore o minore intensità, stanno caratterizzando tutte le economie occidentali — conducono inevitabilmente a interrogarsi sulle finalità del diritto del lavoro e, in particolare, sui suoi confini attuali e futuri. E’ la perdita di centralità del prototipo normativo del lavoro subordinato che concorre a rendere particolarmente incerto non solo il valore classificatorio, ma anche il significato assiologico della subordinazione. Celebrato soltanto a inizio di secolo come il diritto emergente dei nostri tempi, proprio per il suo essere diritto di frontiera e, al tempo stesso, frontiera del diritto, il diritto del lavoro è dunque oggi chiamato a confrontarsi con complessi fenomeni economici e sociali che, nel renderne incerto il campo di applicazione ben oltre le tradizionali aree grigie e di confine, concorrono contestualmente a minarne i concetti e le categorie fondamentali. La portata e la velocità dei mutamenti che investono la nozione giuridica di subordinazione sono così radicali che non pare un semplice esercizio retorico neppure domandarsi se esso abbia ancora un futuro. A differenza di quanto si è verificato in altri ordinamenti, nel nostro Paese è stata soprattutto la dottrina che ha cercato di governare la crisi del concetto giuridico di subordinazione. L’opera di adeguamento delle tecniche di tutela del diritto del lavoro ai mutamenti dell’economia e della società si è dunque sviluppata su un piano essenzialmente interpretativo e in contraddittorio le con operazioni giurisprudenziali di qualificazione dei rapporti di lavoro. E’ in questa prospettiva che deve essere letto, in particolare, il dibattito degli anni Ottanta sulla contrapposizione tra metodo sussuntivo e metodo tipologico nella 83 Gli sforzi dottrinali volti a governare la crisi della subordinazione II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro qualificazione dei rapporti di lavoro (§ 25), laddove alla purezza del «giudizio per identità» veniva contrapposta la maggiore adattabilità/pragmaticità del «giudizio per approssimazione o sufficiente conformità» rispetto alla evoluzione dei rapporti di lavoro connessa alla innovazione tecnologica e al tumultuoso processo di deindustrializzazione e di terziarizzazione dell’economia. E’ sempre in questa prospettiva che deve poi essere inquadrato l’imponente sforzo dottrinale di “decongestionare” la nozione di subordinazione mediante una disaggregazione in via meramente interpretativa dell’apparato di tutele del diritto del lavoro, in modo da consentire la graduazione e articolazione delle discipline lavoristiche in corrispondenza con la progressiva diversificazione delle tipologie dei rapporti di lavoro; sforzo dottrinale che, in taluni casi, ha persino condotto a prospettare già oggi, in una prospettiva de iure condito, l’operatività di un tertium genus tra il lavoro autonomo e il lavoro subordinato — quello del lavoro coordinato — forzando alcuni dati normativi e, segnatamente, il disposto dell’articolo 409, n. 3, cod. proc. civ. in tema di lavoro coordinato e continuativo (§ …). E’ tuttavia considerazione diffusa, e largamente condivisibile, che l’impegno della dottrina, per quanto generoso e creativo, non abbia sin qui condotto a risultati appaganti. Per un verso, ai tentativi di rendere flessibile il procedimento di qualificazione dei rapporti di lavoro — vuoi mediante la valorizzazione del metodo tipologico, vuoi attraverso l’estensione in via analogica delle tutele lavoristiche al lavoro c.d. parasubordinato (§ …) — fa riscontro una sempre più chiara tendenza della giurisprudenza, soprattutto di Cassazione, a restringere il campo di applicazione del diritto del lavoro mediante l’adozione di indici e criteri qualificatori di impronta formalistica, che, a fronte del moltiplicarsi di figure professionali e lavorative sui generis, poco o nulla concedono a valutazioni o istanze di carattere socio-economico. Per altro verso, poi, l’operazione interpretativa volta alla modulazione e articolazione delle tutele del diritto del lavoro, per quanto condivisibile in termini di politica del diritto, si è dimostrata alla prova dei fatti impraticabile in una mera prospettiva de iure condito e comunque incapace di fornire risposte soddisfacenti alla sempre più profonda frattura che, soprattutto nell’area del lavoro debole e precario, si registra tra la norma giuridica e la realtà economico-sociale di riferimento. 84 La prospettiva della tipizzazione di un tertium genus tra lavoro autonomo e lavoro subordinato Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro Le impressionanti stime del lavoro «nero» e della economia sommersa, che inducono a parlare di circa cinque milioni di posizioni lavorative irregolari (2), assieme all’esplosione delle collaborazioni coordinate e continuative, delle prestazioni occasionali e del lavoro associato e in partecipazione (3), stanno quantomeno a dimostrare che la configurazione giuridica del lavoro sottesa alla contrapposizione binaria autonomia-subordinazione non è più in grado di governare la complessità e varietà dei moderni modi di lavorare. E in effetti l’analisi sociologica e la rilevazione empirica testimoniano come, da lungo tempo ormai, la coppia lavoro dipendente-lavoro indipendente non sia rappresentativa della realtà, che è invece composta da un continuum di posizioni lavorative collocate tra i poli estremi dell’autonomia e della subordinazione. Al riguardo, è certamente vero che dietro ai fenomeni del lavoro «grigio», del lavoro associato e delle collaborazioni coordinate e continuative si nascondono, in numerosi casi, reali rapporti di lavoro subordinato, senza i costi e le relative tutele di legge e di contratto collettivo. A fronte delle più volte ricordate trasformazioni intervenute nei rapporti di produzione non si può tuttavia apoditticamente affermare che ogni prassi di fuga dai sempre più labili e incerti territori del diritto del lavoro sia di per sé stessa dolosa o fraudolenta ovvero risponda (alla stregua di una tardiva ma eclatante rivincita) alle antiche logiche del capitalismo più selvaggio e sfruttatore. Piuttosto, sono le regole di una concorrenza giocata oramai su scala sovranazionale a rendere eccentrico il ruolo della disciplina statuale rispetto ai processi normativi reali, contribuendo al progressivo deperimento della norma inderogabile di legge e, in definitiva, alla crisi del monopolio statuale della produzione del diritto (§ 2). Così, molta parte dell’economia “informale” è spiegata dalla complessità dei mercati del lavoro più che dalla illegalità, anche se è poi vero che essa, nell’aggirare regole giuridiche inadeguate a rappresentare la realtà dei moderni modi di lavorare, si realizza mediante scappatoie e sotterfugi creatori di malessere e iniquità sociale. La crisi della subordinazione, in altri termini, si sovrappone alla crisi di legalità che caratterizza oggi, con maggiore o minore intensità, tutti gli ordinamenti a tradizione étatiste, che si trovano spiazzati rispetto alle logiche di quella che è stata efficacemente definita la «nuova economia». La recente evoluzione dei rapporti di lavoro pare in effetti un terreno particolarmente propizio per verificare come alla regolazione statualistica, che resta per lo più formale, si accompagni il (2) Dati ISTAT. (3) Le collaborazioni coordinate, il lavoro occasionale e il lavoro associato e in partecipazione coinvolgono una area stimata intorno ai quattro milioni di unità. In particolare, secondo una recente ricerca condotta dal CNEL le collaborazioni coordinate e continuative interesserebbero oggi circa quasi 2 milioni di lavoratori. 85 La complessità dei moderno modi di lavorare Crisi della subordinazione e crisi della legalità II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro più delle volte una regolazione sociale frutto di «pratiche particolaristiche» e schemi negoziali sui generis, che affonda le sue radici in micro-sistemi familiari o comunitari». L’espansione dell’area dell’«atipico» — vuoi nel senso della emersione di modelli alternativi al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, vuoi nel senso della creazione di contratti di lavoro difficilmente riconducibili a un tipo legale — pare in ogni caso sintomatica di una vera e propria disfunzione nei rapporti tra norma di legge e autonomia privata, a cui non si può più reagire con semplici manipolazioni dei tipi contrattuali operate in via meramente interpretativa ovvero in sede (solo eventuale) di qualificazione giudiziale delle singole fattispecie concrete. Puramente difensiva e comunque ispirata a una cultura del lavoro in fase recessiva sarebbe dunque una soluzione che, a fronte dei mutamenti in atto, si limitasse a operare su un piano meramente repressivo e sanzionatorio ovvero, in via del tutto eccezionale e settoriale, su un piano promozionale volto alla emersione e legalizzazione dell’atipico attraverso una sostanziale omologazione delle nuove forme di lavoro al modello tradizionale del lavoro dipendente e a tempo indeterminato. 29. Dalla crisi della subordinazione alle prospettive di riforma del diritto del lavoro italiano. — Quelle qui sommariamente riepilogate sono solo alcune delle ragioni — probabilmente le principali — che concorrono a spiegare il recente salto di qualità del dibattito dottrinale sulla crisi della subordinazione: dibattito che, dopo essere stato a lungo condotto su un piano puramente metodologico e interpretativo, si sta ora spostando su un terreno più propriamente progettuale. Sempre più frequenti sono infatti i contributi della dottrina direttamente finalizzati a fornire materiali e spunti per un intervento del legislatore, chiamato ora a mutare il paradigma e le categorie fondanti del diritto del lavoro italiano. Ma è proprio a questo punto che le contrapposizioni e i contrasti diventano, se possibile, ancora più profondi e radicali. L’analisi del dibattito dottrinale, sindacale e politico degli ultimi anni indica in effetti molteplici e, spesso, contrapposti percorsi di riforma del diritto del lavoro italiano. V’è chi propone, per esempio, di accordare anche ai rapporti di lavoro prestati in forma continuativa e coordinata, seppure senza vincolo di subordinazione, una tutela minima inderogabile di legge. Questa 86 Le ipotesi di riforma del diritto del lavoro italiano La disciplina del lavoro coordinato Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro opzione presenta al suo interno due filoni radicalmente contrapposti. Secondo un primo orientamento la nuova normativa posta a tutela dei rapporti di lavoro atipici/parasubordinati verrebbe a sommarsi alle tutele già previste per i rapporti di lavoro subordinato. Secondo un diverso orientamento la nuova disciplina dovrebbe invece consentire di sottrarre al lavoro dipendente una corposa area intermedia attorno a cui edificare un nuovo genus contrattuale: quello del lavoro coordinato. Vi è chi, poi, reclama maggiore adattabilità degli schemi giuridici (sia del lavoro autonomo sia del lavoro dipendente) alle mutate condizioni di mercato e chiede, in particolare, di modernizzare le tecniche di tutela collegate alle fasi di costituzione, gestione e risoluzione dei rapporti di lavoro quale fattore di incentivazione alla creazione di nuovi posti di lavoro. In questa direzione v’è chi propende, per un verso, alla creazione di «un solo diritto e un solo mercato» per il lavoro subordinato e per il lavoro autonomo, in modo da scardinare la deleteria contrapposizione, rispetto al sistema delle tutele, tra insiders e outsiders e chi, invece, suggerisce la creazione di uno spazio giuridico idoneo ad aggregare, quantomeno sul versante delle tutele, schemi negoziali sui generis, non riconducibili, se non mediante una sommaria opera di omologazione a un tipo legale, né al lavoro autonomo né al lavoro subordinato. L’obiettivo finale di questa operazione sarebbe quello di elaborare una carta dei diritti del lavoro frantumato, intermittente e occasionale, perduto o non trovato. In una posizione intermedia si colloca chi propone di rimodulare le tutele del diritto del lavoro mediante l’individuazione di un continuum di tipologie negoziali (lavoro subordinato, autonomo, parasubordinato, associato, cooperativo, etc.), tutte accomunate dal coordinamento economico-organizzativo di una prestazione lavorativa nel ciclo produttivo, come fattore costante e normale dell’attività organizzata da altri. Verrebbe superata, in questo modo, l’alternativa qualificatoria secca tra autonomia e subordinazione. A queste tipologie negoziali sarebbe riconosciuto un nucleo minimo di tutele, mentre soltanto al lavoro subordinato in senso stretto verrebbero accordate tutte le tutele tipiche del diritto del lavoro. Lungo questo continuum di tipologie negoziali, più ci si allontana dalla subordinazione in senso stretto (ex art. 2094 c.c.), più si restringe la normativa di tutela accordata, sino ad arrestarsi al nucleo normativo minimo comune a tutte le ipotesi di lavoro. Largo credito riscuote poi la posizione di chi suggerisce di valorizzare l’autonomia negoziale individuale e/o collettiva, agevolando il passaggio da un quadro legale dominato dalla norma inderogabile a una tutela (parzialmente) disponibile, fatto salvo un nucleo minimale di tutele imputabili, indifferentemente, tanto al lavoro autonomo quanto al lavoro subordinato. Non mancano, infine, suggerimenti provenienti dall’analisi comparata. Particolarmente suggestivo, in proposito, è il dibattito francese sul superamento dell’alternativa classificatoria autonomiasubordinazione: il rapporto governativo del Commissariat du Plan del 1995 propone infatti la elaborazione di una nuova tipologia legale — il 87 Il superamento della contrapposizione tra autonomia e subordinazione La carta del lavoro frantumato, intermittente e occasionale La rivalutazione della autonomia negoziale delle parti I suggerimenti provenienti dalla comparazione giuridica: il contract d’activité II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro contrat d’activité — nel cui ambito verrebbero a confluire tanto il lavoro autonomo che il lavoro subordinato. Più precisamente, l’ipotesi di riforma suggerisce il passaggio dallo statuto “statico” de l’emploi allo statuto “dinamico” de l’actif, inteso quale percorso flessibile in cui si alternano attività autonome, subordinate, associative, formative, imprenditoriali, etc. E’ quanto propone in Italia quella dottrina che chiede al diritto del lavoro di concentrarsi più sui problemi generali dell’occupazione che sulle garanzie del rapporto individuale di lavoro, ipotizzando l’istituzionalizzazione di un percorso professionale volto a valorizzare la risorsa umana nell’accesso alla formazione, alle informazioni e, conseguentemente, all’impiego. 30. La proposta di codificare uno Statuto dei lavori che superi l’attuale contrapposizione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato. — Dal dibattito in corso sulle prospettive di riforma del diritto del lavoro un dato pare certo: oggi, in seguito ai profondi mutamenti intercorsi nei modi di lavorare e di produrre, non sembra avere più senso la contrapposizione fra lavoro dipendente e lavoro autonomo, il lavoro nella grande e nella piccola impresa, lavoro tipico ed atipico, etc. E’ vero piuttosto che alcuni diritti fondamentali devono trovare applicazione, al di là della loro qualificazione giuridica, a tutte le forme di lavoro rese a favore di terzi: si pensi al diritto alla tutela delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, alla tutela della libertà e della dignità del prestatore di lavoro, alla abolizione del lavoro minorile, al divieto di ogni forma di discriminazione nell’accesso al lavoro, al diritto a un compenso equo, al diritto alla protezione dei dati sensibili, al diritto di libertà sindacale. Questo zoccolo duro e inderogabile di diritti fondamentali può invero rappresentare la base di un moderno S t a t u t o d e i l a v o r i (§ 4), uno Statuto riguardante tutte le forme in cui si estrinseca l’attività lavorativa, con diversi gradi di tutela a seconda delle effettive caratteristiche o dei particolari contesti in cui il lavoro stesso si svolge. E’ bene precisare, al riguardo, che il riconoscimento di questi diritti fondamentali a tutti i lavoratori che svolgano prestazioni a favore di terzi (datori di lavoro, imprenditori, enti pubblici, committenti, etc.) non risponde solo ed esclusivamente a istanze di tutela della posizione contrattuale e della persona del lavoratore, quindi a ragioni di giustizia sociale. E’ vero anzi che il riconoscimento di livelli minimi di tutela a beneficio di tutti i lavoratori rappresenta — oggi più che nel passato — anche una garanzia dei regimi di concorrenza tra i soggetti economici, 88 I diritti fondamentali del lavoro Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro arginando forme di competizione basate su fenomeni di d u m p i n g s o c i a l e (dal lavoro nero tout court a forme di sfruttamento del lavoro minorile, etc.). Partendo dalle regole fondamentali, applicabili a tutte le forme di attività lavorativa rese a favore di terzi, quale che sia la qualificazione giuridica del rapporto, è poi possibile immaginare, per ulteriori istituti del diritto del lavoro, campi di applicazione via via più circoscritti (un sistema di cerchi concentrici, con una tutela che si intensifica a favore di un novero sempre più ristretto di soggetti). Si tratta quindi di una complessiva rivisitazione del diritto del lavoro che da un lato estende livelli minimi di tutela, mentre dall’altro circoscrive e rende più moderne le tecniche di tutela del lavoro subordinato, giungendo a prospettare la revisione della disciplina dei licenziamenti per renderla comparabile con quella vigente in altri Stati membri dell' Unione europea (§ …). Diversamente da quanto previsto dalle iniziative legislative sui lavori atipici recentemente discusse in Parlamento, non si tratta di sommare al nucleo esistente delle tutele previste per il lavoro dipendente un nuovo corpo normativo a tutela dei nuovi lavori e delle collaborazioni coordinate e continuative. Questa ipotesi, nell’estendere rigidamente l’area delle tutele senza prevedere alcuna forma di rimodulazione all’interno del lavoro dipendente, non è altro che una inutile forzatura che aumenterebbe i fenomeni di fuga nel lavoro sommerso e irregolare. Individuato dunque un nucleo essenziale (e abbastanza limitato) di norme e di principi inderogabili (soprattutto di specificazione del dettato costituzionale) comuni a tutti i rapporti negoziali che hanno per contenuto il lavoro, occorrerà procedere a una rimodulazione verso il basso di talune tutele del lavoro dipendente, secondo uno schema a geometria variabili. Sul piano della ridefinizione dei criteri di imputazione delle tutele del lavoro si potrebbe peraltro andare ben al di là della semplice predisposizione di un nucleo di disciplina comune a tutti i tipi di lavoro, rinunciando definitivamente ad una definizione generale e astratta di lavoro subordinato, indicando invece, di volta in volta, il campo di applicazione di ogni intervento normativo, come avviene per esempio nell’esperienza del Regno Unito. Una soluzione, in questa prospettiva, potrebbe essere quella della redazione di Testi Unici, che, oltre a ridefinire il campo di applicazione — soggettivo e oggettivo — di ogni tutela (equo compenso, licenziamenti, sospensione del rapporto di lavoro, diritto di sciopero, sanzioni disciplinari, etc.), potrebbero anche 89 II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro concorrere alla semplificazione e razionalizzazione della normativa esistente. 15. Syllabus: a) concetti fondamentali. c o n t r a t t o a t i p i c o d i l a v o r o : ipotesi contrattuale non riconducibile a uno schema contrattuale tipico, cioè a una fattispecie negoziale tipizzata dal legislatore (come per esempio il lavoro subordinato nell’impresa di cui all’articolo 2094 cod. civ.), e che viene ammessa dal nostro ordinamento soltanto in presenza di interessi meritevoli di tutela (art. 1322, comma secondo, cod. civ.). Il contratto atipico è, più precisamente, una ipotesi contrattuale priva di una disciplina tipica. Va peraltro evidenziato che, in ragione del carattere tassativo e inderogabile della disciplina del diritto del lavoro, nella nostra materia si registra una forte tendenza alla tipizzazione contrattuale, nel senso di ricondurre il più possibile tutte le ipotesi sui generis a una fattispecie astratta definita dal legislatore. Ciò nondimeno esistono spazi per forme contrattuali atipiche anche nel diritto del lavoro, come nel caso del lavoro nell’impresa familiare o nel caso, che analizzeremo nel prossimo capitolo, del lavoro a coppia (c.d. job sharing). In ogni caso, occorre tenere ben distinto il concetto di «contratto atipico» di lavoro da quello di «lavoro atipico»: solo il primo è un concetto giuridico, e come detto definisce l’area delle ipotesi contrattuali che non appartengono a un tipo legale; il secondo è invece un concetto di derivazione sociologica e serve a designare ipotesi contrattuali che si discostano dal prototipo normativo del lavoro stabile e per una carriera. La definizione di lavoro atipico comprende pertanto ipotesi contrattuali eterogenee, sia di lavoro autonomo che subordinato, sia tipiche che atipiche. Sono per esempio definite come forme atipiche di lavoro il lavoro a termine o il lavoro temporaneo tramite agenzia, che pure appartengono a un tipo legale ben identificato dal legislatore, sul presupposto che si tratta di schemi che si discostano dal modello normativo del lavoro stabile e a tempo indeterminato. c r i t e r i s u s s i d i a r i d i q u a l i f i c a z i o n e : sono tutti quei criteri di qualificazione del rapporto di lavoro che, pur non rappresentando tratti caratterizzanti della fattispecie legale, aiutano l’interprete — e segnatamente il giudice — a ricondurre il caso concreto a una fattispecie astratta. Nel rapporto di lavoro sono indici sussidiari, utili sul piano probatorio a valutare la presenza o meno del dato caratterizzante della subordinazione, l’obbligo di rispettare un orario di lavoro, la proprietà dei mezzi di produzione, la sottoposizione a direttive e/o a sanzioni disciplinari, la forma della retribuzione, la continuità della prestazione lavorativa, il carattere personale della prestazione, l’assenza di rischio economico, ecc. f a t t i s p e c i e a s t r a t t a : nei rapporti di lavoro è il modello legale tipizzato dal legislatore che serve come premessa maggiore del ragionamento per identità (c.d. metodo sussuntivo) ai fini della riconduzione di un caso concreto a una determinata disciplina di legge e/o contratto collettivo 90 Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro f a t t i s p e c i e c o n c r e t a : nei rapporti di lavoro è il singolo contratto concreto che deve essere ricondotto a una fattispecie astratta, ai fini della identificazione della disciplina ad esso applicabile i n t e r p r e t a z i o n e : operazione preliminare alla qualificazione in senso giuridico di un determinato rapporto di lavoro che è finalizzata alla determinazione del senso giuridicamente rilevante del vincolo contrattuale ai fini della imputazione della disciplina tipica individuata dall’ordinamento l a v o r o g r a t u i t o : ipotesi di lavoro resa al di fuori di un vincolo di corrispettività. In presenza di un precetto costituzionale che impone la proporzionalità e sufficienza della retribuzione (art. 36 Cost.) si discute sulla ammissibilità di prestazioni di lavoro subordinato gratuito. L’opinione dominante è orientata nel senso di ritenere ammissibili prestazioni di lavoro gratuite laddove sia riscontrabile un interesse rilevante del prestatore di lavoro come nel caso del volontariato, del lavoro prestato per una comunità familiare o religiosa, del lavoro prestato ai fini dell’apprendimento di un mestiere m e t o d o s u s s u n t i v o : giudizio di identità o perfetta conformità tra il caso concreto e il tipo legale del lavoro subordinato tipizzato dal legislatore m e t o d o t i p o l o g i c o : giudizio di non contraddizione o sufficiente conformità del caso concreto rispetto al modello sociale prevalente di lavoratore subordinato (l’operaio della grande impresa), a cui il legislatore si è ispirato per elaborare sia la nozione di lavoro subordinato sia la relativa disciplina tipica n o m e n i u r i s : è il titolo giuridico della obbligazione lavorativa assegnato dalle parti a un determinato schema contrattuale concreto. Come tale esso non va confuso con la volontà delle parti ma, più semplicemente, serve a identificare sinteticamente il tipo di contratto (autonomo o subordinato) a cui le parti negoziali fanno riferimento nella regolamentazione dei propri interessi. In quanto fondamentale ai fini della imputazione della disciplina applicabile l’esatta denominazione del titolo giuridico della obbligazione lavorativa (c.d. qualificazione del rapporto mediante assegnazione di un nomen iuris) spetta soltanto al giudice n o v a z i o n e d e l c o n t r a t t o d i l a v o r o : identifica la trasformazione in corso di rapporto del titolo giuridico della prestazione lavorativa. In particolare, perché sia possibile passare da una forma contrattuale di lavoro subordinato a una di lavoro autonomo non è sufficiente mutare formalmente il titolo dell’obbligazione (il c.d. nomen iuris), ma occorre anche che mutino le modalità concrete di esecuzione della prestazione lavorativa, con conseguente venir meno del vincolo di subordinazione obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato: contrapposizione tradizionale, risalente storicamente alla distinzione tra locatio operarum e locatio operis, utilizzata per distinguere le prestazioni di lavoro subordinato da quelle di lavoro autonomo: solo queste ultime darebbero luogo a 91 II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro una obbligazione di risultato, laddove le prestazioni di lavoro autonomo si concretano in una obbligazione di mezzi e cioè nella messa a disposizione del datore di lavoro delle energie psico-fisiche del prestatore di lavoro. La dottrina più recente ha tuttavia dimostrato come ogni obbligazione, tanto di lavoro autonomo quanto subordinato, sia in realtà finalizzata al raggiungimento di un determinato risultato o n e r o s i t à : è il nesso tra prestazione lavorativa e controprestazione economica. L’onerosità non costituisce un elemento discretivo tra i diversi rapporti di lavoro che assumano un rilievo per l’ordinamento. Piuttosto, essa costituisce condizione necessaria, quantunque non sufficiente, perché possa aversi un contratto di lavoro subordinato ovvero un contratto di lavoro autonomo qualificazione: operazione volta alla determinazione delle conseguenze giuridiche di un determinato atto negoziale, che nei rapporti di lavoro si sostanzia nella dichiarazione di appartenenza di un caso concreto a un determinato schema astratto tipizzato dal legislatore. Questa operazione spetta esclusivamente al giudice, a nulla rilevando (se non sul piano meramente indiziaro) le qualificazioni operate dalle parti del rapporto di lavoro r a p p o r t i a s s o c i a t i v i d i l a v o r o : tipologia di rapporti di lavoro di non agevole sistemazione dogmatica all’interno del nostro ordinamento giuridico positivo, che si caratterizza per lo scopo comune che accomuna le parti del rapporto. Presupposto fondamentale di tale tipologia contrattuale è che lo schema del contratto oneroso e di scambio non esaurisce le possibili modalità d’impiego della forza lavoro S t a t u t o d e i l a v o r i : rappresenta una prospettiva evolutiva del diritto del lavoro (allo stato solo interpretativa o de iure condendo) volta al superamento della contrapposizione concettuale tra lavoro subordinato e lavoro autonomo e sostanzialmente identificabile come una carta di tutela di tutte le forme di lavoro rese a favore di terzi, secondo una gradazione di tutele che viene definita a geometria variabile, in funzione del grado di intensità della implicazione della persona del lavoratore nel rapporto di lavoro s u b o r d i n a z i o n e : identifica l’assoggettamento del prestatore di lavoro al potere di direzione e controllo del creditore, relativamente alle modalità di esecuzione della attività lavorativa. In quanto elemento caratterizzante delle prestazioni di lavoro dipendente, rappresenta l’elemento discretivo tra lavoro autonomo e lavoro subordinato t e n d e n z a e s p a n s i v a d e l d i r i t t o d e l l a v o r o : designa il processo storico volto alla applicazione delle tutele del diritto del lavoro al di là del loro campo di applicazione naturale, che è il lavoro reso alle dipendenze di altri t i p i z z a z i o n e : designa il processo storico volto alla individuazione di un tipo legale a cui applicare una determinata disciplina normativa 92 Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro t i p o l e g a l e : è la fattispecie astratta tipizzata dal legislatore ai fini della applicazione di una determinata disciplina normativa. Tale fattispecie si caratterizza per alcuni elementi tipici ed astratti identificati dal legislatore (da cui tipo legale), la cui presenza in un caso concreto impone tassativamente (almeno nel diritto del lavoro, dove la norma di legge è in genere inderogabile) l’applicazione della disciplina tipica del diritto del lavoro t i p o s o c i a l e o t i p o n o r m a t i v o : è il modello empirico di riferimento ipotizzato dal legislatore nel delineare il c.d. tipo legale e cioè la fattispecie astratta del lavoro dipendente a cui riconnettere l’applicazione delle tutele del diritto del lavoro. Storicamente, tale modello empirico è rappresentato dall’operaio della fabbrica, rispetto al quale il problema della qualificazione del rapporto di lavoro non si pone essendo un dato scontato v o l e r e e v o l u t o n e g o z i a l e : nella determinazione della disciplina applicabile a un determinato rapporto di lavoro occorre distinguere ciò che le parti hanno effettivamente voluto rispetto a ciò che le parti hanno di fatto realizzato (il volere negoziale), dando così corpo a una volontà oggettiva cui l’ordinamento ricollega automaticamente determinati effetti giuridici 32. Syllabus: b) proposte di lettura e ricerca. Nel nostro Paese il primo rilevante tentativo di inquadramento giuridico e classificazione del lavoro umano risale all’opera di L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, Società Editrice Libraria, Milano, 1901, 1ª Ed. Sulla elaborazione barassiana, e sul dibattito storico-giuridico di inizio secolo, cfr. L. SPAGNUOLO VIGORITA, Subordinazione e diritto del lavoro. Profili storico-critici, Morano, Napoli, 1967, cui adde, L. CASTELVETRI, Il diritto del lavoro delle origini, Giuffrè, Milano, 1994. Sulla qualificazione giuridica del lavoro cfr., in generale: S. MAGRINI, voce Lavoro (contratto individuale di), in ED, 1973, vol. XXIII, 369 ss.; M. GRANDI, voce Rapporto di lavoro, in ED, 1987, vol. XXXVIII, 322 ss.; P. TOSI, F. LUNARDON, voce Lavoro (contratto di), in DDP – SC, vol. VIII, 1992, 140 ss.; L. MONTUSCHI, Sulla discussa «centralità» della fattispecie «contratto di lavoro subordinato», in Le ragioni del diritto, in Scritti in onore di L. MENGONI, Giuffrè, Milano, 1995, III, 1025 ss., M. NAPOLI, Contratto e rapporti di lavoro, oggi, in Le ragioni del diritto, Scritti in onore di L. MENGONI, cit., 1057 ss. Per una prospettiva storico-comparatistica: A. SUPIOT, Critique du droit du travail, Presses Universitaires de France, Paris, 1994, B. VENEZIANI, L’evoluzione del contratto di lavoro in Europa dalla rivoluzione industriale al 1945, in DLRI,1996, 23 ss., ID., Libertà contrattuale e contratto di lavoro. Lineamenti di diritto comparato, in BIAGI M., SUWA Y., Il diritto dei disoccupati, Giuffrè, Milano, 1996, 429 ss. Sui rapporti tra autonomia negoziale e prestazioni di lavoro cfr. i contributi raccolti in AA.VV., Autonomia negoziale e prestazioni di lavoro, Giuffrè, Milano, 1993. In particolare, per i concetti di tipo legale, tipo normativo, contratto 93 II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro atipico cfr., in generale, G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Cedam, Padova 1974 e R. SACCO, Autonomia contrattuale e tipi, in RTDPC, 1966, 790 ss., nonché, più recentemente, BRECCIA U., Le nozioni di «tipico» e «atipico»: spunti ricostruttivi, in AA.VV., Tipicità e atipicità nei contratti, Giuffrè, Milano, 1983, 3 ss, …. D’ATTILO, Tipicità e realtà nel diritto dei contratti, in RDC, 1984, 786 ss., … BEDUSCHI, Tipicità e diritto, Cedam, Padova, 1992. Con specifico riferimento ai rapporti di lavoro cfr. invece … ANTONUCCI, La tipicità della prestazione di lavoro subordinato, in Prev. Soc., 1972, 372 ss., C. ASSANTI, Autonomia negoziale e prestazioni di lavoro, Cedam, Padova, ……, A. CAUTADELLA, Spunti sulla tipologia dei rapporti di lavoro, in DL, 1983, 77; M. D’ANTONA, Limiti costituzionali alla disponibilità del tipo contrattuale nel diritto del lavoro, in ADL, 1995, n. 1, 63 ss., G. PROIA Rapporti di lavoro e tipo (considerazioni critiche), Giuffrè, Milano, 1997. Per spunti di diritto comparato sulla tendenza alla tipizzazione dei rapporti di lavoro cfr. invece M. TIRABOSCHI, Autonomia, subordinazione e contratti di lavoro sui generis: un recente revirement della giurisprudenza inglese?, in DRI, 1996, n. 2, 153 ss. Per il profilo della onerosità nei rapporti di lavoro cfr. T. TREU, Onerosità e corrispettività nel rapporto di lavoro, Giuffrè, Milano, 1968 cui adde, più recentemente, P. ICHINO, Il contratto di lavoro, I, Giuffré, Milano, 2000, 303 ss. Sulla configurabilità nel nostro ordinamento di prestazioni di lavoro subordinato gratuite cfr., per l’impostazione del problema, G. GHEZZI, Osservazioni sulla prestazione gratuita di lavoro subordinato, in RTDPC, 1959, 1365 ss. e, più recentemente, L. MENGHINI, Nuove riflessioni sulla qualificazione giuridica del lavoro gratuito e sui limiti della sua ammissibilità, in Studi in onere di Pietro Rescigno, vol. IV, Diritto privato, 3, Impresa, società, lavoro, Giuffrè, Milano, 1998, 337 ss. Sui rapporti associativi di lavoro cfr. M. BIAGI, voce Lavoro (rapporti associativi), in EGT, ………., e ivi ulteriori riferimenti bibliografici. In particolar, sulla prestazione di lavoro del socio di cooperativa, M. BIAGI, Cooperative e rapporti di lavoro, Angeli, Milano, cui adde, per una prima valutazione della riforma contenuta nella l. 3 aprile 2001, n. 142, M. BIAGI, M. MOBIGLIA, …………………………………………………. Per la qualificazione del lavoro prestato nella società cfr. invece U. ROMAGNOLI, La prestazione di lavoro nel contratto di società, Giuffrè, Milano, 1967. Sulla distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato cfr. P. ICHINO, Il contratto di lavoro, I, Giuffré, Milano, 2000, 256 ss e ivi ampia ed esauriente rassegna delle diverse posizioni dottrinali. In particolare, sulla distinzione tra obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato — distinzione posta dalla dottrina tradizionale come base della contrapposizione concettuale tra lavoro autonomo e lavoro subordinato — oltre al classico studio di L. MENGONI, Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi», in Riv. Dir. Comm., 1954, I, 185 ss. cfr. le considerazioni critiche di M. PERSIANI, Contratto di lavoro e organizzazione, Cedam, Padova, 1966, spec. 95 ss. Sulla contrapposizione tra metodo tipologico e metodo sussuntivo di qualificazione dei rapporti di lavoro cfr. L. MENGONI, La questione della subordinazione in due trattazioni 94 Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro recenti, in RIDL, 1986, I, 5 ss. e, più recentemente, F. LUNARDON, L’evoluzione del concetto di subordinazione nell’elaborazione dottrinale, in AA.VV., Subordinazione e autonomia: vecchi e nuovi modelli, Torino: UTET, p. 265 ss. Sulle operazioni giurisprudenziali di qualificazione dei rapporti di lavoro, accanto alle classiche ricostruzioni offerte da M. PERSIANI, Riflessioni sulla giurisprudenza in tema di individuazione della fattispecie lavoro subordinato, in Studi in onore di F. Santoro Passarelli, Napoli, 1972, 864 ss. e L. SPAGNUOLO VIGORITA, Riflessioni in tema di continuità, impresa, rapporto di lavoro, in Studi in onore di F. SANTORO PASSARELLI, Jovene, Napoli, 1972, V, 1023 ss., cfr., più recentemente, le rassegne di D. VITALI, Qualificazione contrattuale ed elaborazione degli effetti: una verifica della tecnica giurisprudenziale in tema di lavoro giurisprudenziale, in RGL, 1987, 421 ss., M. DE LUCA, Autonomia e subordinazione nella giurisprudenza di legittimità, in FI, 1989, 2909 ss., L. NOGLER, Metodo tipologico e casistica nella qualificazione dei rapporti di lavorom in DLRI, 1991, 107, F. LUNARDON, L’uso giurisprudenziale degli indici di subordinazione, in DLRI, 1990, 403 ss., UTET 1998. Cfr. altresì, per i criteri di reperimento e interpretazione del precedente giurisprudenziale le avvertenze metodologiche contenute in M. TIRABOSCHI, Premesse per uno studio della giurisprudenza in tema di individuazione della fattispecie lavoro subordinato, in AA.VV., Autonomia negoziale e prestazioni di lavoro, Giuffrè, Milano, 1993, 32 ss. In particolare, sulla ripartizione del carico probatorio nella qualificazione concreta dei rapporti di lavoro cfr. A. VALLEBONA, L’onere della prova nel diritto del lavoro, Cedam, Padova, 1988. Sulla distinzione tra criteri prioritari e criteri sussidiari cfr. P. ICHINO, Criteri “prioritari” e criteri “sussidiari” di qualificazione del rapporto di lavoro, in RIDL, 1990, II, 365 ss. Sulla rilevanza della volontà delle parti nella qualificazione dei rapporti di lavoro cfr. P. ICHINO, Libertà formale e libertà materiale del lavoratore nella qualificazione del rapporto di lavoro, in RIDL, 1987, II, 76 ss. e ora amplius Id., Il contratto di lavoro, I, Giuffré, Milano, 2000, 289 ss. Sulle concezioni istituzionistiche e acontrattuali dei rapporti di lavoro nell’impresa cfr. Sulla prestazione di fatto in violazione di legge cfr. invece M. DELL’OLIO, ……………. Sulla crisi della subordinazione come criterio di classificazione fondamentale del diritto del lavoro cfr. gli Atti del Convegno AIDLASS di Salerno del ………………. su Impresa e nuovi modi di organizzazione del lavoro, Giuffré, Milano, 1999, e ivi, in particolare,le relazioni introduttive di MARCELLO PEDRAZZOLI E GIUSEPPE FERRARO. Cfr. anche: M. PEDRAZZOLI, Lavoro subordinato e dintorni, il Mulino, Bologna, 1989 e AA.VV., Nuove forme di lavoro tra subordinazione, coordinazione, autonomia, Cacucci, Bari, 1996. Sulla alternativa tra tipizzazione di un tertium genus e codificazione di uno Statuto dei lavori cfr. M. BIAGI, M. TIRABOSCHI, Le proposte legislative in materia di lavoro parasubordinato: tipizzazione di un tertium genus o codificazione di uno «Statuto dei lavori», in LD, 1999, 571 ss. Sui rapporti tra crisi della subordinazione e rinascita del lavoro autonomo cfr. A. PERULLI, Il diritto del 95 II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro lavoro tra crisi della subordinazione e rinascita del lavoro autonomo, in Lav. Dir., 1997, 173 ss. Per una prospettiva comparata sulle tendenze evolutive in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro cfr. L. BETTEN (ed.), The Employment Contract in Transforming Labour Relations, The Hague, Kluwer Law International, 1995, e, più recentemente, gli interventi raccolti in AA.VV., Il dibattito suoi nuovi lavori, Atti del Convegno AISRI su Lavoro «atipico» e relazioni industriali, Roma 27 marzo 1998, in Bulletin of Comparative Labour Relations, 1999, n. 35 (parzialmente pubblicati anche in DRI, 1998, n. 3). Sulle prospettive evolutive di qualificazione dei rapporti di lavoro cfr. B. HEPPLE, The Future of Labour Law, in Comparative Labor Law Journal, 1996, 626 ss. cui adde, più recentemente, A. SUPIOT, Lavoro subordinato e lavoro autonomo, in DRI, 2000, 207 ss.; P. DAVIES, Lavoro subordinato e lavoro autonomo, in DRI, 2000, 217 ss. 96