classificazione e qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro

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classificazione e qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro
CAPITOLO II
CLASSIFICAZIONE E QUALIFICAZIONE GIURIDICA
DEI RAPPORTI DI LAVORO
____________________
SEZIONE PRIMA
LAVORO ONEROSO,
LAVORO ASSOCIATO, LAVORO GRATUITO
18. L’inquadramento giuridico del lavoro umano: i rapporti di
lavoro e i criteri di identificazione della disciplina a essi applicabile. — Il
complesso di norme e di principi che costituiscono il diritto del lavoro,
oggetto di analisi nel capitolo che precede, non trova applicazione con
riferimento a qualsiasi forma di lavoro. E’ vero, piuttosto, che ogni
attività umana suscettibile di valutazione economica è soggetta a
disposizioni specifiche, che variano sensibilmente a seconda di quale
sia lo schema astratto a cui essa può essere di volta in volta ricondotta.
Vedremo, in particolare, che le regole del diritto del lavoro in
senso stretto trovano applicazione, almeno in linea di principio, soltanto
nei casi in cui la prestazione lavorativa si caratterizzi per l’elemento
giuridico della « s u b o r d i n a z i o n e » (cfr. infra, Sezione II), e cioè
per l’assoggettamento del prestatore di lavoro al potere di direzione e
controllo del creditore, relativamente alle modalità di esecuzione della
attività lavorativa. Regimi giuridici alquanto differenti, e
tendenzialmente assai meno protettivi per il lavoratore, operano
laddove la prestazione lavorativa venga resa in piena autonomia
tecnico-funzionale ovvero in forma associativa, in funzione cioè di un
vincolo sociale o anche in termini di conferimento a società. Appena
abbozzata è, infine, la disciplina giuridica che accompagna le
Il problema
della classificazione
giuridica del lavoro
umano
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
prestazioni rese a titolo gratuito, e cioè le prestazioni svolte affectionis
vel benevolentiae causa, religionis causa, etc.
La classificazione e l’esatto inquadramento giuridico del
«lavoro» rappresentano, di conseguenza, i presupposti fondamentali
per l’applicazione di ciascun corpo normativo di disciplina del lavoro
umano, secondo il tradizionale schema che vuole l’automatica
imputazione di determinati effetti giuridici a una specifica fattispecie
negoziale tipizzata dal legislatore (c.d. t i p o l e g a l e ).
A questo proposito, occorre peraltro subito precisare che la
riconduzione di un determinato rapporto di lavoro (c.d. f a t t i s p e c i e
c o n c r e t a ) a un preciso schema giuridico (c.d. f a t t i s p e c i e
a s t r a t t a ) non dipende dal tipo di attività lavorativa di volta in volta
dedotta in contratto. Ciò che invece veramente conta sono, per un
verso, le ragioni che rendono giuridicamente rilevante una determinata
prestazione lavorativa e, per l’altro verso, le modalità concrete di
esecuzione del lavoro.
Sotto il primo profilo ci si chiederà quale è la ragione giuridica
che, concretamente, induce una persona a svolgere una determinata
prestazione lavorativa. La risposta a questa domanda consente di
distinguere, in via preliminare, tra le attività che non assumono rilievo
giuridico, rimanendo la prestazione nell’ambito dei rapporti di mera
cortesia, da quelle che danno invece luogo alla applicazione di una
specifica disciplina legale e/o contrattuale in funzione del carattere
oneroso, associativo ovvero gratuito del rapporto di lavoro. Sotto il
secondo profilo, una volta riconosciuto il carattere giuridicamente
rilevante di una prestazione lavorativa, si valuteranno le modalità
concrete di esecuzione del lavoro, al fine di ricondurre con precisione il
rapporto in esame a uno dei vari schemi legali tipizzati dal legislatore e
cioè a un preciso t i p o l e g a l e . Tale ultima operazione consente poi
di individuare con esattezza la disciplina di volta in volta applicabile al
caso di specie.
Qualche esempio può aiutare a comprendere in che cosa consista
concretamente il problema della classificazione dei rapporti di lavoro.
Affermare, in particolare, che una data attività lavorativa è tipica del
lavoro del programmatore di computer, del consulente aziendale, del
tornitore, del carpentiere, del grafico, ecc., non ci dice ancora nulla sulle
regole giuridiche che, caso per caso, governano tale attività umana: se,
per esempio, in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione,
questa ricada sul prestatore di lavoro o sul committente; o anche se, in
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Inquadramento giuridico
del lavoro e identificazione
della disciplina applicabile a
ciascun caso concreto
La riconduzione
del caso concreto
a un tipo legale
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
caso di inesatto adempimento della prestazione lavorativa, sia possibile
la risoluzione del vincolo contrattuale e a quali condizioni, ecc.
Può essere, in primo luogo, che un determinato soggetto svolga delle
attività tipiche del programmatore di computer, del consulente, del
tornitore, del carpentiere, del grafico, ecc. a titolo puramente di cortesia,
a favore di un amico o per passatempo. Può anche accadere, infatti, che
tali attività vengano svolte a titolo gratuito, a favore di una comunità
religiosa o di una associazione di volontariato, etc. Può essere, poi, che
tali attività siano svolte in virtù di un vincolo associativo, che lega il
prestatore di lavoro a una determinata società, ovvero in termini di
conferimento a una società.
Non è sempre detto, insomma, che determinate attività
lavorative rese a favore di terzi siano svolte in virtù di un rapporto
oneroso di scambio, né tantomeno in ragione di un vincolo di
soggezione gerarchica e funzionale nei confronti di un determinato
soggetto che prende il nome di datore di lavoro. E’ vero, per contro,
che uno stesso tipo di attività umana può essere resa in virtù di
diverse ragioni (o cause in senso giuridico) e secondo diverse
modalità esecutive e organizzative: ragioni e modalità che spiegano
perché a una stessa tipologia di attività visibile in rerum natura (per
esempio: il confezionare vestiti, il costruire un mobile o una sedia, il
rispondere al telefono, etc.) possano corrispondere regimi giuridici
assai differenti, sia in termini di imputazione del rischio sia in relazione
alla disciplina di legge e contratto applicabile.
Ai fini della individuazione della disciplina caso per caso
applicabile non è dunque rilevante la mera osservazione empirica di
una attività lavorativa. Quello che conta è, piuttosto, l’esatto
inquadramento giuridico della attività che si osserva, e cioè
l’operazione concettuale di riconduzione del caso concreto a una delle
ipotesi astratte tipizzate dal legislatore.
L’angolo di osservazione giuridica può dirci, per esempio, che un
gruppo di giovani che sta giocando a calcio non si sta semplicemente
divertendo o svolgendo una attività fisica. Può essere che tale attività sia
oggetto di un contratto di lavoro subordinato vero e proprio (c.d. contratto
di lavoro sportivo ex l. 23 marzo 1981, n. 91). Ma può anche essere che
un gruppo di calciatori professionisti stia svolgendo una certa attività non
in adempimento degli obblighi contrattuali verso il proprio datore di
lavoro, ma per beneficenza ovvero per le riprese televisive di uno spot
pubblicitario.
La stessa attività (nel nostro esempio, il giocare a calcio) può dunque
essere considerata, dall’angolo di osservazione giuridica, sotto diverse
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Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
prospettive: può essere una mera attività ludica o ricreativa, come tale
giuridicamente irrilevante, ma può anche essere oggetto di un contratto di
lavoro subordinato vero e proprio. Può però anche essere riconducibile a
una attività di lavoro autonomo-professionale, quando sia collegata a una
singola manifestazione sportiva, ovvero essere addirittura strumentale ad
altre attività giuridicamente rilevanti (sfruttamento dell’immagine,
realizzazione di uno spot pubblicitario, attività a favore di organismi
internazionali o associazioni di volontariato, etc.).
La classificazione del lavoro umano non risponde, dunque, a
istanze puramente teoriche e formalistiche, ma assume piuttosto una
finalità essenzialmente pratica, in quanto rappresenta in passaggio
fondamentale per individuare la ripartizione dei rischi contrattuali tra le
parti e, in generale, la disciplina ad esso applicabile.
In effetti, se si eccettuano le attività lavorative non suscettibili di
valutazione economica, la riconduzione di una determinata prestazione
lavorativa a un certo schema giuridico consente di identificare con
estrema precisione:
—
—
—
—
—
—
i limiti di forma e di sostanza che l’ordinamento pone alla
autonomia negoziale privata nella stipulazione di un
determinato contratto che, direttamente o indirettamente,
ha per oggetto una attività lavorativa;
il trattamento economico e normativo applicabile alla
prestazione lavorativa dedotta in contratto;
il regime contributivo e previdenziale;
il regime fiscale;
la ripartizione del rischio relativo alla impossibilità della
prestazione lavorativa;
la ripartizione del rischio relativo alla utilità della
prestazione lavorativa.
A questo proposito, e cioè ai fini della identificazione delle
discipline giuridiche di volta in volta applicabili, vari possono essere i
criteri di classificazione e di inquadramento giuridico del lavoro.
Ai fini della individuazione del campo di applicazione del diritto del
lavoro ancora rilevante — anche se destinata progressivamente a
perdere di importanza in ragione della più recente evoluzione dei modi
di lavorare e di produrre (cfr. infra, Sezione III) — è la tradizionale
distinzione tra prestazioni di lavoro autonomo e prestazioni di lavoro
subordinato. Vedremo infatti che le zone di confine tra le due tipologie
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Le conseguenze pratiche
dell’esatto inquadramento
e della classificazione del
lavoro umano
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
contrattuali danno luogo a una vasta area grigia, che rende difficile
l’esatta qualificazione dei rapporti di lavoro, a fronte di una netta
differenziazione della disciplina a esse applicabile. Prima di affrontare
questo snodo decisivo della nostra materia, pare tuttavia necessario
procedere a una classificazione più generale del lavoro, distinguendo
tra forme di lavoro oneroso e di scambio, forme di lavoro associativo e
forme di lavoro gratuito, in modo da porre le premesse per una corretta
qualificazione dei rapporti di lavoro.
19. Onerosità e gratuità nei rapporti di lavoro. — E’ regola
generale dell’ordinamento giuridico che ogni spostamento di ricchezza
debba avere una giustificazione: una causa in senso tecnico. Unica
eccezione è quella della donazione: in questo caso, la mancanza di
una causa in senso giuridico viene compensata, come noto,
dall’obbligo del rispetto di una determinata forma (art. 782 cod. civ.).
Anche i rapporti di lavoro non si sottraggono a questa regola:
ogni attività umana che crea ricchezza a favore di un soggetto terzo
deve trovare giustificazione, in linea di principio, in una
controprestazione.
Tale
controprestazione
è
denominata
r e t r i b u z i o n e per le prestazioni di lavoro dipendente;
c o r r i s p e t t i v o per le prestazioni di lavoro autonomo. In entrambi i
casi, l’obbligo di una controprestazione rappresenta il profilo di
o n e r o s i t à dei rapporti di lavoro: così dispone l’articolo 2094 cod.
civ. per il contratto di lavoro subordinato nell’impresa; così dispone
anche l’articolo 2222 cod. civ. per il contratto di lavoro autonomo.
Lo svolgimento di una attività lavorativa a favore di terzi dà
pertanto luogo a un rapporto giuridico, rispetto al quale ciascuno dei
contraenti intende procurarsi un vantaggio economicamente valutabile.
Il termine di scambio, in questi casi, non è naturalmente il lavoro né,
tantomeno, un vincolo di soggezione personale del prestatore di lavoro
verso il creditore, ma più semplicemente la promessa del lavoro (c.d.
o b b l i g a z i o n e d i m e z z i ) ovvero la promessa di un risultato
ottenuto mediante l’impiego di energie lavorative della persona (c.d.
o b b l i g a z i o n e d i r i s u l t a t o ). Invero, anche prestazioni
lavorative volte a realizzare un fine comune a entrambe le parti
coinvolte si caratterizza per l’elemento dell’onerosità: in questi casi,
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Il requisito della onerosità
della prestazione di
lavoro
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
tuttavia, il rapporto oneroso avrà struttura associativa (§ 20) e non di
scambio.
Soltanto le prestazioni lavorative rese in funzione di vincoli
affettivi, per mera cortesia o per compiacenza, possono giustificare
l’assenza di una controprestazione, in quanto si tratta pur sempre di
attività lavorative che restano confinate sul piano delle relazioni sociali.
In altri termini, esse non assumono rilievo giuridico. Per contro, il nesso
tra prestazione e controprestazione che corrisponde alla onerosità del
contratto di lavoro rende l’attività lavorativa giuridicamente dovuta e
titolo per l’ottenimento di un vantaggio suscettibile di valutazione
economica.
L’onerosità non costituisce, in ogni caso, un elemento discretivo
tra i diversi rapporti di lavoro che assumano un rilievo per
l’ordinamento. Piuttosto, essa rappresenta la condizione necessaria,
quantunque non sufficiente, perché possa aversi un contratto di lavoro
subordinato ovvero un contratto di lavoro autonomo. Il nesso di
correlatività che intercorre tra ciascuna prestazione lavorativa e una
determinata controprestazione rappresenta in concreto la causa del
contratto di lavoro, che, alla stregua del disposto di cui all’articolo 1325,
n. 2, cod. civ., è requisito fondamentale di ogni contratto di scambio.
Altra cosa è, naturalmente, il giudizio sulla esatta corrispettività tra
prestazione lavorativa e controprestazione economica. Infatti, se tale
caratteristica può essere imputata ai rapporti di lavoro autonomo,
vedremo che non così può essere, almeno meccanicamente, con
riferimento ai rapporti di lavoro dipendente (§ 87 e ss.), rispetto ai quali il
profilo della onerosità del rapporto non si traduce necessariamente in una
perfetta corrispondenza, stabilita dalle logiche del diritto privato, tra
prestazione e controprestazione. L’assenza di una necessaria
corrispondenza tra prestazione lavorativa e controprestazione si spiega
in ragione della implicazione della persona del lavoratore nello scambio:
al datore di lavoro spettano infatti particolari doveri nei confronti del
prestatore di lavoro che non sempre trovano fondamento nel mero
vincolo contrattuale da cui scaturisce il rapporto di lavoro.
Così, il trattamento retributivo del lavoratore non risulta
semplicemente parametrato alla qualità e quantità della prestazione
lavorativa, ma deve anche fornire un reddito minimo e in ogni caso
sufficiente al lavoratore e alla sua famiglia per condurre una esistenza
libera e dignitosa (art. 36 Cost.). Del pari, il trattamento retributivo non
viene meno in talune ipotesi indicate dalla legge e/o dal contratto
collettivo in cui pure manca la prestazione lavorativa: è quanto avviene
nelle ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro (§ 122 e ss.).
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Onerosità e
corrispettività
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
Riconosciuto che l’onerosità caratterizza tutti i rapporti di lavoro
giuridicamente rilevanti, resta da chiedersi se possano essere ritenuti
ammissibili nel nostro ordinamento contratti di l a v o r o g r a t u i t o .
Secondo una prima tesi — rimasta largamente minoritaria —
l’obbligo di effettuare gratuitamente prestazioni lavorative a favore di
terzi andrebbe ricondotto allo schema della donazione. E’ stato tuttavia
giustamente rilevato che il contratto di donazione si caratterizza per
una struttura e una funzione che male si attagliano, quando addirittura
non si pongano in contraddizione, con l’obbligazione di svolgere
prestazioni lavorative all’altrui servizio. Difetterebbe, in questi casi,
l’elemento della attribuzione patrimoniale, che risulta essenziale alla
figura della donazione.
Secondo altro e ben più accreditato indirizzo interpretativo, si
configurerebbe in questi casi un c o n t r a t t o a t i p i c o d i
l a v o r o , ammissibile nel nostro ordinamento, in circostanze del tutto
eccezionali, alla stregua del disposto di cui all’articolo 1322, secondo
comma, cod. civ. In altri termini, un contratto gratuito di lavoro sarebbe
ammissibile se ed in quanto diretto a realizzare interessi meritevoli di
tutela. Vengono richiamate, al riguardo, le prestazioni lavorative rese a
fini di solidarietà ovvero le prestazioni rese nell’ambito di ogni
convivenza fondata sulla comunione affettiva e/o spirituale ovvero le
prestazioni rese in vista di un beneficio futuro (per esempio la
maturazione di esperienze professionali in vista dell’inserimento nel
mercato del lavoro) ovvero le prestazioni rese a favore delle c.d.
organizzazioni di tendenza (istituzioni politiche, sindacali o religiose).
Un terzo e altrettanto accreditato filone interpretativo ha
tuttavia negato l’ammissibilità di contratti di lavoro gratuito,
quantomeno nella forma del lavoro dipendente, sul presupposto che
non sarebbe possibile ravvisare in questi casi un interesse meritevole
di tutela. Riconosciuta la liceità di meritorie attività di assistenza,
beneficenza, volontariato, si è però radicalmente escluso che tali
attività possano essere ricondotte a una obbligazione giuridica vera e
propria. In particolare, rispetto a prestazioni di lavoro dipendente
l’obbligo di svolgere prestazioni di lavoro gratuito contrasterebbe con il
principio costituzionale della equa retribuzione (art. 36 Cost.).
Al di là delle ipotesi di lavoro gratuito tipizzate dal legislatore (§§
54-55), si deve rilevare, a questo proposito, come i principali contrasti
tra i diversi orientamenti possano essere in parte stemperati alla luce di
una interpretazione evolutiva del concetto di onerosità delle
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Condizioni e limiti
di ammissibilità di
prestazioni di lavoro
gratuito
Lavoro gratuito e
contratto atipico di lavoro
ex art. 1322, comma 2,
cod. civ.
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
prestazioni. Vedremo infatti che prestazioni lavorative a prima vista
gratuite, come per esempio gli stages aziendali o il lavoro reso nella
comunità familiare, danno invece luogo a prestazioni in senso lato
onerose, quantunque il corrispettivo non consista in una retribuzione
vera e propria. Ciò non toglie, tuttavia, la presenza di un nesso di
correlatività tra prestazione lavorativa e controprestazione, di volta in
volta identificabile nell’onere di fornire adeguata formazione al
tirocinante ovvero nell’onere di garantire al lavoratore il mantenimento,
la partecipazione agli utili dell’impresa familiare, ecc.
20. I rapporti associativi di lavoro. In particolare: la prestazione di
lavoro del socio di cooperativa. — I r a p p o r t i a s s o c i a t i v i d i
l a v o r o costituiscono una tipologia di rapporti di lavoro di non
agevole sistemazione dogmatica all’interno del nostro ordinamento
giuridico positivo.
Presupposto fondamentale di tale tipologia contrattuale, che
ne legittima una autonoma trattazione, è che lo schema del contratto
oneroso e di scambio non esaurisce le possibili modalità d’impiego
della forza lavoro.
Le poche e non recenti indagini organiche dedicate all’insieme di
questi rapporti ne hanno con continuità individuato il tratto caratteristico
nella destinazione della attività lavorativa ad un fine comune, facendo
della solidarietà delle parti rispetto all’utile del processo produttivo il
criterio discriminatore. Rileva tuttavia trattarsi di contratti (rimanendo
quindi nell’ambito della autonomia negoziale privata) caratterizzati dalla
assenza di ogni vincolo di corrispettività tra le obbligazioni e dalla
contitolarità della attività economica, con comune assunzione del
rischio tipico d’impresa. La diversità tra contratto di lavoro e contratti
associativi si evidenzia cioè sotto il profilo dell’elemento causale,
consistente nel primo caso nell’interdipendenza fra le due prestazioni
e, per la seconda ipotesi, nella realizzazione dello scopo comune,
condizione necessaria del vantaggio che ciascuna parte si ripromette
dal contratto.
Nel lavoro associato il prestatore non pone dunque la sua attività
a disposizione di un soggetto che la utilizza per fini esclusivamente
propri, agendo invece per uno scopo che è anche suo. Esiste pur
sempre un debito di lavoro cui si adempie sottoponendosi alle direttive
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Tratti caratterizzanti del
lavoro associato:
1) destinazione della
attività lavorativa a un
fine comune
2) comune assunzione
del rischio tipico
d’impresa
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
altrui, ma in vista di uno scopo al quale è anche rivolta l’attività di chi
dirige.
Giova precisare che l’espressione rapporti associativi di lavoro
non sempre è accettata, quantomeno nella sua onnicomprensività. Si
preferisce così distinguere il caso della attività lavorativa eseguita
nell’ambito di un contratto di società (conferimento di lavoro,
contitolarità, condirezione e assunzione dei rischi d’impresa) come
socio, da quello di un rapporto associativo di lavoro latu sensu
(conferimento di lavoro senza contitolarità). Oppure ancora si
contrappongono i rapporti associativi in senso tecnico (conferimento di
lavoro del socio d’opera) a quelli in senso atecnico, o partecipativi,
caratterizzati da una più generica partecipazione dei contraenti al
risultato dell’attività economica.
Rispetto a questa tipologia di contratti, le modalità di compenso
solo in parte contribuiscono alla qualificazione del rapporto in termini di
lavoro subordinato o associato. Come è deducibile infatti dall’art. 2099
cod. civ. (§ 89), l’assunzione del rischio non è sufficiente a trasformare
un rapporto a base di scambio in un altro a base associativa, atteso
che, salvo diverse pattuizioni che comportino la ripartizione di eventuali
perdite, il calcolo della retribuzione viene sempre effettuato sugli utili
netti. Il lavoratore che partecipa agli utili non ha l’obbligo di condividere
anche i rischi dell’azienda e manca, quindi, la ripartizione di alea che
caratterizza il contratto di società. Ne discende la necessità di indagare
la qualificazione del rapporto con riferimento alla effettiva v o l o n t à
n e g o z i a l e , accertando l’intenzione di esercitare in comune una
attività economica al fine di dividerne gli utili, così da escludere con
certezza la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato.
Incontra dunque scarso favore l’opinione tradizionale che
individua la linea demarcatrice fra lavoro associato e subordinato nella
assenza di una retribuzione fissa e comunque di una certezza di
guadagno, data l’inconciliabilità del principio costituzionale della
retribuzione sufficiente (art. 36 Cost.) con il divieto di esclusione di uno
o più soci da ogni partecipazione agli utili di cui all’art. 2265 cod. civ.
(c.d. patto leonino).
Rifiutata l’invocabilità dell’art. 36 Cost. in funzione discretiva di
una concreta fattispecie negoziale, si dichiara comunque incongruente
l’imposizione legale o collettiva di un compromesso equo e sufficiente
in un rapporto associativo dove non è configurabile un corrispettivo, ma
la partecipazione al risultato dell’attività comune. In ogni caso, anche
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Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
se la retribuzione sia in ipotesi ragguagliata alle tariffe sindacali, ciò
non è sufficiente a qualificare il rapporto, potendo tale riferimento
essere stato fatto a titolo indicativo della misura del complesso
dell’apporto in attività personale del lavoratore. Dunque le modalità di
compenso non sono decisive ai fini della qualificazione del rapporto, al
pari del n o m e n i u r i s adottato dai contraenti e di ogni altro criterio
formalistico (§§ 25-26).
Rispetto ai rapporti associativi di lavoro una considerazione
particolare merita la prestazione lavorativa resa dal socio di
cooperativa, oggetto di una recente riforma con la l. 3 aprile 2001, n.
142, che ha contribuito a sciogliere non pochi dubbi interpretativi sorti
con riferimento alla sua precisa configurazione giuridica.
Secondo l’articolo 1, comma 3, della l. 3 aprile 2001, n. 142,
l’attività lavorativa svolta dal socio di cooperativa — nell’ambito di
rapporti mutualistici e sulla base di previsioni di regolamento della
cooperativa volte a definire l’organizzazione del lavoro dei soci — può
comportare l’instaurazione di un rapporto di lavoro in forma autonoma
o subordinata, o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa di natura non occasionale.
Considerato che nel regime giuridico previgente veniva esclusa dalla
giurisprudenza e dottrina prevalenti la riconducibilità del lavoro del
socio a una forma di lavoro subordinato o autonomo, si tratta di una
importante conferma della circostanza che qualunque attività umana
può essere resa in ragione di un diverso titolo giuridico, in relazione sia
alle intese contrattuali raggiunte tra le parti sia in relazione alle
modalità concrete di esecuzione della prestazione lavorativa. Ma non
solo: nel riconoscere che la prestazione di lavoro del socio di
cooperativa, oltre che in forma autonoma o subordinata può essere
resa «in qualsiasi altra forma», il legislatore pare riconoscere la
possibilità di inquadrare il lavoro umano in schemi atipici e sui generis,
superando così per la prima volta il principio del numerus clausus delle
tipologie contrattuali lavoristiche.
Il rapporto lavorativo del socio è da considerare distinto rispetto al
rapporto associativo. Tuttavia, a prescindere dalla forma giuridica con cui
viene concretamente resa, la prestazione lavorativa rimane finalizzata al
raggiungimento degli scopi sociali. Dall'instaurazione dei predetti rapporti
associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura
fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici rispettivamente
previsti dalla legge, nonché, in quanto compatibili con la posizione del
socio lavoratore, da altre leggi.
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La prestazione lavorativa
del socio di cooperativa
Adempimento dei fini
sociali
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
Al rapporto del socio lavoratore subordinato si applicano, in ogni caso,
le seguenti tutele minime: 1) lo statuto dei lavoratori, ad eccezione della
norma che obbliga alla reintegrazione del prestatore di lavoro in caso di
recesso illegittimo; 2) le norme in materia di tutela della salute e
sicurezza dei prestatori di lavoro nei luoghi di lavoro; 3) l’articolo 2751 bis
del codice civile, che prescrive la natura privilegiata dei crediti relativi al
trattamento economico a favore del socio lavoratore; 4)
l'assoggettamento alla disciplina del processo del lavoro delle
controversie relative alla posizione del socio lavoratore, comprese le
procedure di conciliazione e arbitrato.
Rispetto ai profili economici, il socio lavoratore ha diritto a un
trattamento complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro
prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni
analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della
categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello
subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai
compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro
autonomo.
21. La questione della deducibilità della prestazione lavorativa in
contratti diversi da quello di lavoro. — Il riconoscimento della possibilità
di realizzare prestazioni di lavoro gratuite ovvero rapporti di lavoro di
tipo associativo pone la questione generale della deducibilità della
prestazione lavorativa subordinata in fattispecie negoziali diverse dal
contratto di lavoro subordinato. A questo riguardo, all’originale, illimitato
favore, si è nel corso del tempo sostituita una forte diffidenza, vista
l’inapplicabilità della normativa tipica del diritto del lavoro alla attività
eseguita nell’ambito di un contratto societario o associativo. Di qui, a
evitare intenti fraudolenti, la dichiarata prevalenza del rapporto che si
caratterizzi come lavoro dipendente e un generale principio di
deducibilità del lavoro entro schemi negoziali in cui risulti positivamente
consentita.
Dall’impostazione codicistica afferente al rapporto (e non al
contratto) di lavoro, si deduce da taluno l’intenzione legislativa di
applicare quella normativa anche qualora venga posto in essere un
diverso negozio implicante analoghe prestazioni. Ma l’opinione è
avversata da chi attribuisce all’affermata deducibilità senso pratico solo
ammettendo che il titolo abbia una efficacia determinante in ordine alla
disciplina delle prestazioni, da ricercare quindi nello schema
contrattuale in cui esse sono dedotte contingentemente e non
tipicamente.
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Trattamento applicabile
al socio lavoratore
Lo sfavore verso la
deducibilità di prestazioni
di lavoro subordinato in
schemi contrattuali non di
lavoro dipendente
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
Il possibile uso fraudolento consentito dalla forma associativa
perderebbe gran parte del rilievo ove si accedesse ad un principio di
ugual tutela del lavoratore, a prescindere dalla natura giuridica del
rapporto instaurato. In ogni caso la tendenza espansiva del diritto del
lavoro ha provocato una progressiva applicazione al lavoro associato di
istituti prima caratteristici del lavoro subordinato, dovuta alla comune
situazione di sottoprotezione sociale. Ciò che non autorizza un illimitato
superamento del tradizionale ambito di applicazione, ma evidenzia la
necessità di una disciplina ampiamente innovatrice per garantire una
adeguata tutela anche a questi rapporti (cfr. amplius le considerazioni
che verranno svolte nella Sezione III).
SEZIONE SECONDA
LA DISTINZIONE TRA LAVORO AUTONOMO
E LAVORO SUBORDINATO
22. Le funzioni della nozione di subordinazione. — Se è vero che
il fenomeno «lavoro» è assai ben più ampio del fenomeno «lavoro
subordinato», è altrettanto vero che solo quest’ultimo consente di
identificare l’oggetto e l’ambito di estensione della normativa che
costituisce il diritto del lavoro (§ 1). La subordinazione assolve, di
conseguenza, due funzioni fondamentali.
Da un lato, essa serve a identificare l’oggetto del diritto del
lavoro. Non a caso è stato rilevato che la storia del diritto del lavoro si è
sin qui identificata, nella sostanza, con la storia stessa del concetto di
subordinazione. Una storia che, dalla originaria, quanto labile,
contrapposizione tra o b b l i g a z i o n e d i m e z z i (locatio
operarum) e o b b l i g a z i o n e d i r i s u l t a t o (locatio operis), si
caratterizza per la progressiva t i p i z z a z i o n e un nuovo schema
contrattuale — quello appunto di lavoro subordinato (art. 2094 cod.
civ.) — imperniato sulla eterodeterminazione della prestazione
lavorativa dedotta in obbligazione.
Dall’altro lato, essa opera come elemento discretivo tra
prestazioni lavorative rese in regime di autonomia e prestazioni
caratterizzate invece per un vincolo di assoggettamento del lavoratore
al potere direttivo e di controllo del creditore sulle modalità di
svolgimento della attività lavorativa. Si tratta di una operazione
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Le funzioni della nozione
di subordinazione
La subordinazione come
criterio di identificazione
dell’oggetto del diritto del
lavoro
Le subordinazione
come criterio discretivo
tra lavoro autonomo e
lavoro subordinato
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
particolarmente delicata, in quanto solo la qualificazione del rapporto di
lavoro come subordinato consente di dare luogo alla applicazione delle
tutele, di natura prevalentemente cogente, del diritto del lavoro.
In questa sezione ci occuperemo di questa seconda accezione
del termine subordinazione. Nella sezione successiva si avrà tuttavia
modo di evidenziare come la normativa che costituisce il diritto del
lavoro, istituzionalmente relativa a rapporti lavorativi che scaturiscono
da un contratto tipico oneroso e di scambio — il contratto di lavoro
subordinato, appunto — tenda a trovare applicazione anche con
riferimento ad altri rapporti che, pur avendo come dato caratteristico lo
svolgimento di una prestazione di lavoro a favore di terzi, non sono
caratterizzate dall’elemento della subordinazione. Si parlerà, al
riguardo, di una sorta di t e n d e n z a e s p a n s i v a d e l d i r i t t o
d e l l a v o r o , al contempo causa ed effetto di un processo di c.d. detipicizzazione del contratto di lavoro, da tempo in atto, che nell’ambito
della disciplina dei rapporti di lavoro potrebbe assegnare al concetto di
subordinazione una terza e ulteriore funzione: non tanto quella di
discriminare tra rapporti di lavoro autonomo e di lavoro subordinato,
quanto piuttosto quella di concorrere a differenziare, in ragione del
maggiore o minore vincolo di soggezione del lavoratore nei confronti
del datore di lavoro, i trattamenti normativi imputabili al lavoratore. In
questa prospettiva, il concetto giuridico di subordinazione pare
destinato a indicare il quantum più che l’an della disciplina di volta in
volta applicabile a un prestatore di lavoro, in ragione delle modalità
concrete di esecuzione della attività lavorativa.
23. La nozione codicistica di subordinazione e il suo fondamento
contrattuale. — L’articolo 2094 cod. civ. individua il prestatore di lavoro
subordinato in colui che «si obbliga mediante retribuzione a collaborare
nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle
dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore». L’articolo 2222 cod.
civ., per contro, definisce lavoratore autonomo chi «si obbliga a
compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro
prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei
confronti del committente».
Non v’è dubbio, pertanto, che l’elemento della subordinazione del
prestatore di lavoro costituisca il tratto distintivo tra lavoro autonomo e
lavoro subordinato. Non così, invece, è per il requisito della onerosità
72
La tendenza espansiva
del diritto del lavoro
Art. 2094 cod. civ.:
lavoro subordinato
Art. 2222 cod. civ.:
lavoro autonomo
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
della prestazione, che infatti è presente in entrambe le tipologie
contrattuali (§ 19). Lo stesso può dirsi anche per il tipo di attività, sul
presupposto che ogni prestazione lavorativa suscettibile di valutazione
economica, sia essa intellettuale o manuale, può essere ricondotta
tanto al lavoro autonomo che al lavoro subordinato. Come già
anticipato (§ 18), e come confermato da un costante orientamento della
Corte di Cassazione, ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e
subordinato non costituisce dunque criterio distintivo il tipo di attività
lavorativa, rilevando piuttosto il modo in cui l’attività medesima viene di
volta in volta prestata. Non vi sono infatti, quantomeno in linea di
principio, attività lavorative che siano per loro natura suscettibili di
essere regolate solo ed esclusivamente attraverso un determinato
schema negoziale e che — sempre per la loro particolare natura —
non tollerino la possibilità di utilizzazione di diversi modelli di disciplina
legale. A conferma di questa impostazione, come già ricordato (§ 20), è
recentemente intervenuto il legislatore, allorché ha precisato che la
prestazione resa dal socio di cooperativa può essere dedotta in
contratti di lavoro autonomo, di lavoro subordinato o anche in qualsiasi
altra forma, fino al punto di riconoscere la legittimità di c o n t r a t t i
atipici di lavoro.
Un discorso a parte deve invece essere svolto con riferimento
al concetto di collaborazione, che, almeno stando alla lettera della
legge, sembrerebbe differenziare le due definizioni codicistiche. Infatti,
mentre il prestatore di lavoro subordinato si obbliga a collaborare
nell’impresa, il lavoratore autonomo si obbliga, più semplicemente, a
compiere un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e
senza vincolo di subordinazione.
In realtà, il concetto di collaborazione di cui all’articolo 2094 cod.
civ. trova riscontro, sul piano sistematico, in ulteriori disposizioni
codicistiche, che ben evidenziano la peculiare configurazione del
lavoro dipendente sottesa alla concezione corporativistica dei rapporti
di produzione. Si deve in effetti rilevare, in primo luogo, la collocazione
della definizione codicistica del lavoro dipendente non nel libro IV, in
tema di contratti e obbligazioni, ma nel libro V del Codice Civile,
espressamente dedicato al lavoro. Tale collocazione non è certo
casuale, ma è anzi chiaro indice della intenzione del legislatore
corporativo di differenziare il contratto di lavoro subordinato da tutti gli
altri schemi contrattuali. Tanto più che, all’interno del libro V,
73
L’elemento della
collaborazione: sua
irrilevanza ai fini della
distinzione tra lavoro
autonomo e lavoro
subordinato
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
l’attenzione del legislatore è rivolta alla disciplina del rapporto di lavoro
(cfr. infatti la sez. III del libro V) e non del contratto di lavoro.
Piuttosto che rispondere alle normali logiche di scambio tra
soggetti dotati di interessi contrapposti, e che il contratto di incarica di
comporre, il rapporto di lavoro avrebbe dovuto rappresentare, nella
logica corporativa, lo strumento volto a consentire il preseguimento
della massima efficienza produttiva dell’impresa e, conseguentemente,
il massimo benessere nazionale.
Secondo la concezione corporativa, «l’imprenditore è il capo
dell’impresa» - e non semplicemente il proprietario - «e da lui dipendono
gerarchicamente i suoi collaboratori» (art. 2086 cod. civ.); collaboratori
che nello svolgimento della attività lavorativa devono usare la diligenza
richiesta non solo dalla natura della prestazione dedotta in obbligazione,
come richiesto invece per tutti i restanti schemi contrattuali di diritto
privato, ma anche «dall’interesse della impresa e da quello superiore
della produzione nazionale» (art. 2104 cod. civ.). In questa prospettiva
l’impresa si configurerebbe come una istituzione gerarchicamente
organizzata, in vista di un interesse superiore rispetto a quelli del datore
di lavoro e del prestatore di lavoro (c.d. teoria istituzionale dell’impresa),
laddove il contratto di lavoro dipendente darebbe luogo a una
comunione di interessi tra le parti contrattuali. Il contratto di lavoro, più
precisamente, si identificherebbe come un contratto di collaborazione
sottoscritto tra due soggetti per il perseguimento dello scopo comune
della produzione che veniva assorbito nella causa del contratto.
Quantunque ancora recentemente prospettata, da una parte
invero minoritaria della dottrina, la concezione comunitaria o
associativa del rapporto di lavoro subordinato risulta in realtà fondata
su elementi assai labili, per quanto suggestivi, già nell’impianto
complessivo del Codice Civile, da cui in ogni caso emerge con
sufficiente precisione lo schema di un contratto oneroso e di scambio.
Schema reso oggi ancora più nitido sia in ragione della abrogazione
del sistema corporativo (§ 3) sia soprattutto in funzione del
riconoscimento costituzionale del diritto di sciopero (§ 104), che dà
cittadinanza nel nostro ordinamento a una nuova concezione dei
rapporti di produzione essenzialmente basata sulla contrapposizione di
interessi tra datore di lavoro e lavoratore. Altrettanto può dirsi per le
concezioni a-contrattualistiche del rapporto di lavoro: concezioni che,
pur ammettendo la logica conflittuale e di scambio sottesa ai rapporti di
lavoro, negano tuttavia la matrice contrattuale del rapporto, la cui
esistenza sarebbe invece da ricollegarsi al mero inserimento del
74
La concezione
istituzionistica del lavoro
nell’impresa e il contratto
di lavoro come contratto
di collaborazione
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
prestatore di lavoro nella organizzazione produttiva del datore di
lavoro.
A questo proposito, nessun particolare rilievo, a favore delle
concezioni istituzionistiche o a-contrattuali del rapporto di lavoro, può
peraltro essere attribuito alla disciplina codicistica della prestazione di
fatto con violazione di legge, che pure prescinde dalla concezione
corporativa del lavoro nell’impresa. E’ vero infatti che, ai sensi dell’art.
2126 cod. civ., la nullità o l’annullamento del contratto non produce
effetto per il periodo in cui il rapporto di lavoro ha avuto esecuzione (1).
E’ altrettanto vero, tuttavia, che gli effetti che l’ordinamento riconnette
alla prestazione del lavoro sono in ogni caso riconducibili a un
contratto, sia pure invalido: si tratta infatti di effetti proiettati a
disciplinare la prestazione già effettuata e che non comportano, in ogni
caso, alcuna proiezione su prestazioni lavorative future e non ancora
rese.
Art. 2126 cod. civ.:
prestazione di fatto del
lavoro
Pertanto, il concetto di collaborazione si svuota allora di ogni
valenza discretiva tra la fattispecie del lavoro autonomo e quella del
lavoro subordinato. Cadute le suggestioni corporative, collaborare
nell’impresa non significa altro che cooperare con la controparte,
secondo i normali parametri di diligenza richiesti dalla natura della
obbligazione dedotta in contratto (§ ...), al fine di consentire la
soddisfazione dell’interesse creditorio. Obbligo di cooperazione che è
presente in tutti i contratti e che dunque non assume alcun rilievo
qualificatorio della fattispecie.
Esclusa la rilevanza qualificatoria di elementi quali l’onerosità, il
tipo di attività lavorativa e la collaborazione nell’impresa, la definizione
codicistica si traduce inevitabilmente in una formulazione elementare: è
lavoro subordinato il lavoro svolto alle dipendenze e sotto la direzione
dell’imprenditore. Una formulazione che, nel ribadire la centralità delle
modalità di esecuzione della prestazione lavorativa ai fini della
individuazione della disciplina applicabile, manifesta tuttavia una
scarsa pregnanza qualificatoria del concetto di subordinazione, che si
risolve infatti in una sorta di tautologia.
(1) «Salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa». Così prosegue il
primo comma dell’art. 2126 cod. civ. Il comma successivo poi precisa: «Se il lavoro è
stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi
ha in ogni caso diritto alla retribuzione».
75
La centralità delle
modalità di esecuzione
della prestazione
lavorativa
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
La verità, dunque, è che il legislatore del 1942, nel tipizzare il
contratto di lavoro subordinato, ha sostanzialmente rinviato a una
situazione sociale già chiaramente definita, rinunciando a fornire una
definizione giuridica del lavoro dipendente praticamente utilizzabile
dall’operatore giuridico. Il t i p o l e g a l e del lavoro subordinato di cui
all’articolo 2094 cod. civ. richiama, in effetti, il referente empirico del
lavoro dipendente nella impresa industriale (c.d. t i p o s o c i a l e o
n o r m a t i v o ), rispetto al quale il problema della qualificazione del
rapporto di lavoro — e della sua distinzione rispetto a prestazioni di
lavoro autonomo — neppure si pone.
24. Il problema della qualificazione delle fattispecie che si
collocano nella area grigia tra autonomia e subordinazione. — La
questione della qualificazione dei rapporti di lavoro non si pone
ovviamente nei casi in cui sussista una sufficiente aderenza tra
fattispecie concreta e tipo sociale o normativo sotteso alla definizione
legale di prestatore di lavoro subordinato. Il problema della esatta
qualificazione della fattispecie si pone piuttosto nei casi che
fuoriescono dal modello centrale di ciascun tipo legale, per collocarsi
nelle aree di confine tra autonomia e subordinazione (c.d. aree grigie).
Tipo legale e
tipo sociale o normativo
L’area grigia tra lavoro
autonomo e lavoro
subordinato
Come è facilmente verificabile scorrendo i repertori della nostra
giurisprudenza, le questioni che pongono problemi interpretativi non sono
mai quelle del lavoro operaio prestato nella grande impresa industriale e
neppure quelle del lavoro del professionista che esercita una professione
liberale per una pluralità abbastanza vasta di committenti. I casi che
danno luogo a un ricco contenzioso giurisprudenziale sono invece quelli
dell’animatore di villaggi turistici, del venditore porta a porta, dell’agente e
del procacciatore di affari, dell’addetto ai totalizzatori degli ippodromi, del
propagandista di specialità medico-scientifiche, del motofattorino che
raccoglie e recapita posta urbana, del lettore di bollette, dell’esattore, del
consulente, del lettore universitario, della centralinista di un telefono
erotico, della cubista, del collaboratore a un giornale, del lettore di
oroscopi alla televisione, ecc. Questo a conferma che il problema della
qualificazione dei rapporti di lavoro attiene — esclusivamente — alle aree
di confine tra lavoro autonomo e lavoro subordinato; aree di confine
destinate a esistere quale che sia il grado di perfezione della definizione
legale del lavoro autonomo e del lavoro subordinato.
La ricca casistica contenuta nei repertori della giurisprudenza, da
cui sono stati tratti i casi sopra richiamati, indica chiaramente che la
questione della qualificazione del rapporto di lavoro si pone soltanto
76
La recente estensione
dell’area grigia tra lavoro
autonomo e lavoro
subordinato,
conseguenza della crisi
del modello di produzione
fordista-tayloristico
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
per figure nuove o che comunque non si attagliano perfettamente ai
rigidi modelli di organizzazione e divisione del lavoro dell’impresa
tradizionale. E’ peraltro vero che la crisi del modello di produzione
fordista-tayloristico, in atto da più di un trentennio, assieme alla
progressiva e inarrestabile espansione de terziario e — più
recentemente — del terziario avanzato, hanno contribuito a estendere
oltre misura l’area grigia tra lavoro autonomo e lavoro subordinato.
Più il nesso tra tipo legale del lavoro subordinato e tipo normativo
sotteso alla fattispecie legislativa si attenua sul piano sociale, più
risulta di conseguenza evidente la scarsa pregnanza qualificatoria del
concetto di subordinazione accentuando quella che è stata
giustamente definita alla stregua di una sfasatura tra fattispecie
astratta del lavoro dipendente e funzione dell’intero regime delle tutele
e delle garanzie del diritto del lavoro. Questo spiega le proposte, su cui
ci soffermeremo nella sezione che segue, di riforma complessiva del
diritto del lavoro, volte a superare la tradizionale contrapposizione tra
autonomia e subordinazione.
25. Le operazioni giurisprudenziali di qualificazione dei rapporti di
lavoro e la contrapposizione tra metodo sussuntivo e metodo
tipologico. — In attesa di un intervento del legislatore volto a
sdrammatizzare il momento qualificatorio, la questione della distinzione
tra rapporti di lavoro autonomo e rapporto di lavoro subordinato viene
inevitabilmente rinviata alla giurisprudenza, chiamata a decidere caso
per caso la disciplina applicabile a ciascun singolo rapporto di lavoro di
cui sia dubbia la qualificazione giuridica.
Chi ha studiato gli orientamenti della nostra giurisprudenza è
solito individuare nelle operazioni giurisprudenziali di qualificazione dei
rapporti di lavoro un atteggiamento pragmatico. Abbandonato il
tradizionale atteggiamento definitorio, volto a ricondurre ciascun caso
concreto a una fattispecie astratta tipizzata dal legislatore, la
giurisprudenza opera in sostanza — caso per caso, secondo le
peculiarità di ciascuna singola fattispecie concreta — un giudizio di
prevalenza o meno dei requisiti che contraddistinguono la fattispecie
tipica (il tipo normativo) sotteso alla definizione legale.
Scontata l’impossibilità di pervenire a una ricostruzione affidabile del
tipo legale lavoro subordinato, stante l’evanescenza qualificatoria del
concetto di subordinazione, la giurisprudenza ha in effetti elaborato una
serie di indizi e c r i t e r i s u s s i d i a r i d i q u a l i f i c a z i o n e
77
L’atteggiamento
pragmatico della
giurisprudenza
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
delle singole fattispecie concrete, che sono desunti dal modello sociale di
riferimento della definzione legale (il c.d. tipo normativo) e dunque dalla
figura del lavoratore della grande fabbrica. Questo spiega il richiamo,
nelle argomentazioni dei giudici, di elementi quali l’obbligo di rispettare un
orario di lavoro, la proprietà dei mezzi di produzione, la sottoposizione a
direttive e/o a sanzioni disciplinari, la forma della retribuzione, la
continuità della prestazione lavorativa, il carattere personale della
prestazione, l’assenza di rischio economico, ecc.
Il giudizio di qualificazione del singolo rapporto di lavoro scaturirebbe
da un raffronto tra questi indici e criteri sussidiari e le modalità concrete di
esecuzione della prestazione di lavoro, quale che sia la volontà delle parti
del contratto.
In questa prospettiva l’opera di qualificazione viene realizzata non
mediante il classico sillogismo, proprio del c.d. m e t o d o
s u s s u n t i v o , che impone per l’imputazione di determinati effetti
giuridici una perfetta identità tra fattispecie concreta e tipo legale del
lavoro subordinato, ma più semplicemente mediante un giudizio di non
contraddizione o sufficiente conformità rispetto al modello sociale
prevalente di lavoratore subordinato (l’operaio della grande impresa), a
cui il legislatore si è ispirato per elaborare sia la nozione di lavoro
subordinato sia la relativa disciplina tipica. La dottrina parla, in questi
casi, di m e t o d o t i p o l o g i c o .
Spostato il problema della individuazione della fattispecie dal
piano della ricerca del contenuto giuridicamente rilevante del contratto
(i n t e r p r e t a z i o n e ) a quello della definizione in termini giuridici di
un rapporto visibile in rerum natura (q u a l i f i c a z i o n e ), nessun
rilievo viene attribuito non solo alla volontà cartolare, e cioè alla volontà
formalmente espressa nel contratto, ma neppure al comportamento
complessivo delle parti posteriore alla conclusione del vincolo
negoziale. Svalutato il momento della interpretazione, la qualificazione
del contratto viene dunque operata con riferimento alle effettive
modalità di svolgimento della prestazione.
Tipico esempio di questo modo di procedere è la seguente massima
giurisprudenziale: «Con riguardo alla distinzione tra rapporto di lavoro
autonomo e rapporto di lavoro subordinato, il principale elemento
distintivo è costituito dalla subordinazione, e cioè dall’assoggettamento
del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di
lavoro a prescindere dal nomen iuris che le parti possono avere dato al
rapporto; nel caso però in cui, per le particolari caratteristiche del
rapporto, vi sia una attenuazione del vincolo di subordinazione e sia
riscontrabile una certa libertà del lavoratore nella organizzazione del
lavoro, si deve fare riferimento ad altri criteri sussidiari quali l’oggetto
78
Il metodo sussuntivo:
giudizio di identità del caso
concreto al tipo legale del
lavoro dipendente
Il metodo tipologico:
giudizio di approssimazione
o sufficiente conformità del
caso concreto al tipo
sociale del lavoro
dipendente
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
della obbligazione (che nel rapporto di lavoro di lavoro subordinato è
costituito dalle energie lavorative del dipendente, mentre nel rapporto di
lavoro autonomo è rappresentato dal risultato della sua attività
organizzata), l’esistenza o meno di una organizzazione di impresa,
seppur in termini minimi, facente capo al lavoratore (che caratterizza il
solo lavoro autonomo), l’incidenza del rischio attinente all’esercizio
dell’attività (che nel caso di lavoro subordinato, grava sul datore di lavoro,
e, nel caso di lavoro autonomo, sul lavoratore.
In questa e in altre massime di questo tenore la giurisprudenza
riconosce che, in taluni casi, il vincolo di subordinazione appare alquanto
sfumato e di difficile individuazione. Abbandonato ogni intento di
individuare il concetto di lavoro subordinato, in queste circostanze la
giurisprudenza ritiene allora necessario fare riferimento a indici spia e
criteri sussidiari che, a seguito di apprezzamento globale delle concrete
modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, consentano di
effettuare un giudizio di sufficiente conformità del caso concreto al
modello sociale del lavoro subordinato.
Non sempre tuttavia, le operazioni giurisprudenziali di
qualificazione dei rapporti di lavoro possono essere ricondotte al
m e t o d o t i p o l o g i c o . Invero, il più delle volte il ricorso a indici
sussidiari e criteri indiziari ha valore puramente strumentale — su un
piano essenzialmente probatorio — alla ricerca della sussistenza del
vincolo di subordinazione che viene considerato alla stregua dell’unico
elemento decisivo ai fini della qualificazione della fattispecie concreta.
Al di là delle apparenze, e di massime tralaticie che possono
ingenerare equivoci circa l’esatta individuazione del metodo di
qualificazione prescelto dal giudice, nella maggior parte dei casi la
nostra giurisprudenza opera infatti secondo il classico m e t o d o
s u s s u n t i v o , e cioè sforzandosi di realizzare un giudizio di identità
o piena conformità del caso concreto non al tipo sociale del lavoro
dipendente, ma al modello astratto tipizzato dal legislatore e cioè al tipo
legale dell’art. 2094 cod. civ.
E’ proprio in questo che il metodo tipologico differisce dal metodo
sussuntivo classico. Anche chi cerca di realizzare un giudizio di piena
identità tra fattispecie astratta e fattispecie concreta si trova costretto, nei
casi dubbi e di confine tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, a
ricorrere a elementi sussidiari e indiziari. Tuttavia, in questo caso, la
valutazione di questi elementi non è mai fine a sé stessa, e cioè a un
giudizio di mera prevalenza degli elementi del lavoro autonomo rispetto a
quelli del lavoro dipendente o viceversa, ma opera su un piano diverso, in
quanto diretto a ricostruire sul versante probatorio la sussistenza o meno
dell’unico elemento decisivo che è poi quello della subordinazione.
79
Il metodo sussuntivo:
giudizio di piena conformità
del caso concreto al tipo
legale del lavoro
dipendente
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
Il metodo sussuntivo, in altri termini, non si limita a una mera
operazione di qualificazione di una fattispecie concreta, ma presuppone
una attenta opera di interpretazione della fattispecie contrattuale volta a
ricostruire le premesse del sillogismo giuridico. Tipico esempio di questo
modo di procedere è la seguente massima giurisprudenziale:
«L’elemento decisivo, ai fini della distinzione del rapporto di lavoro
subordinato da quello autonomo, è costituito dalla subordinazione e cioè
da quel particolare vincolo di natura personale che comporta
l’assoggettamento del prestatore di lavoro al potere direttivo del datore di
lavoro con conseguente limitazione della sua libertà, mentre altri elementi
— quali la collaborazione, l’assenza di rischio economico, la natura
dell’oggetto della prestazione, la continuità di questa, la forma della
retribuzione e l’osservanza di un orario possono avere una portata
soltanto sussidiaria e non già decisiva ai fini della distinzione suddetta».
Anche il metodo sussuntivo impone dunque il ricorso a elementi
presuntivi e a indici probatori dell’esistenza della subordinazione o
della autonomia. I due procedimenti, pure astrattamente incompatibili,
possono pertanto essere agevolmente conciliati sul piano pratico,
mediante la valorizzazione del metodo tipologico nel momento
ricostruttivo delle premesse del sillogismo giuridico, che è e rimane
l’unico metodo risconosciuto dal nostro ordinamento al fine della
qualificazione delle fattispecie negoziali.
26. Segue: la questione della rilevanza della volontà delle parti.
Necessità distinguere tra volere e voluto negoziale. — Si è visto come
il metodo tipologico sia basato su una unica operazione: quella della
pura e semplice riconduzione di una fattispecie concreta a uno schema
legale secondo un giudizio globale di apprezzamento della intera
vicenda negoziale. Questa è la c.d. q u a l i f i c a z i o n e d e l
c o n t r a t t o , ed è operazione essenzialmente rivolta alla
determinazione delle conseguenze giuridiche di un determinato atto
negoziale. Il metodo sussuntivo, per contro, presuppone un momento
ulteriore e pregiudiziale all’opera di qualificazione, e precisamente la
determinazione del senso giuridicamente rilevante del vincolo
contrattuale.
In questa prospettiva, al fine di stabilire se le parti abbiano inteso
dare vita ad un contratto di lavoro autonomo o subordinato, il giudice
deve accertare quale sia stata la comune intenzione delle parti (art.
1362 cod. civ.): questo sia con riferimento al momento della
determinazione del contenuto o comunque di un elemento qualificante
del contratto sia a quello dell’esecuzione del negozio, attraverso il
80
Qualificazione e
interpretazione del contratto
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
comportamento complessivo dei contraenti. Per stabilire se il contratto
in questione appartenga a un tipo contrattuale piuttosto che a un altro,
risulta allora decisiva l’indagine sulla volontà negoziale delle parti;
volontà che, tuttavia, come ormai più volte evidenziato dalla dottrina,
non consiste nell’eventuale intendimento comune alle parti di porre in
essere un rapporto di lavoro subordinato piuttosto che autonomo: ciò
che rileva è soltanto la volontà relativa ai singoli elementi essenziali del
tipo negoziale.
Anche in questo caso, tuttavia, il problema della ricostruzione
dell’effettivo assetto di interessi concretamente posto in essere dalle
parti è tutt’altro che semplice: come noto, la verifica della
corrispondenza tra quanto espressamente dichiarato (volontà cartolare
e nomen iuris), da un lato, e quanto poi concretamente realizzato
(«voluto» negoziale), dall’altro lato, potrà essere infatti operata dal
giudice sulla base di un accertamento indiretto, e cioè essenzialmente
presuntivo, della volontà negoziale delle parti circa l’esistenza o meno
dell’elemento distintivo della subordinazione.
Rilevanza della volontà
relativa ai singoli elementi
essenziali del tipo
negoziale
Corrispondenza tra
dichiarazione negoziale e
comportamento concreto
delle parti, anche dopo la
conclusione del contratto
Di conseguenza, quando le parti — nelle manifestazioni della loro
autonomia negoziale — abbiano inteso escludere l’elemento della
subordinazione, non è possibile pervenire ad una diversa qualificazione
della fattispecie se non si dimostra che in concreto il detto elemento
della subordinazione si sia di fatto realizzato nel corso del rapporto.
La volontà di realizzare o meno un vincolo di subordinazione
non può certo essere intesa alla stregua di un patto privato, valido tra
le parti ma comunque non opponibile nei confronti di terzi quali gli enti
previdenziali anche considerando che la materia contributiva è regolata
da una normativa inderogabile e non influenzabile dalle qualificazioni
giuridiche operate dalle parti del rapporto di lavoro. E’ infatti vero che le
conseguenze giuridiche (effetti) del contratto non derivano direttamente
dal volere materiale delle parti, bensì dal realizzarsi in concreto della
fattispecie prevista dalla legge; tuttavia, la giuridicizzazione di una data
operazione economica — così come la costituzione ex lege del
rapporto previdenziale — non possono che avvenire in conformità allo
schema negoziale concretamente realizzato e contrattualmente voluto
dalla parti. In altri termini: una cosa è l’autoqualificazione del contratto
o n o m e n i u r i s (questo sì sottratto alla disponibilità dei privati e, se
del caso, rilevante alla stregua di un «utile indizio»), altro è invece il
81
Volere materiale, nomen
iuris e voluto negoziale
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
v o l u t o n e g o z i a l e — rilevante in sede di interpretazione del
contratto o, al più, in sede di identificazione di un singolo elemento
caratterizzante — da cui il giudice dovrà poi procedere nella
ricostruzione e qualificazione della fattispecie negoziale.
27. Possibilità di mutare il titolo della obbligazione lavorativa in
corso di rapporto. — La rilevanza della volontà delle parti nella
qualificazione del rapporto di lavoro non esclude la possibilità di mutare
il titolo della obbligazione lavorativa in corso di rapporto (c.d. novazione
oggettiva dell’obbligazione), stante la regola codicistica secondo cui il
contratto è un accordo diretto a costituire o modificare un vincolo
contrattuale pre-esistente (art. 1321 cod. civ.). Di questa opinione sono
sia la dottrina che la giurisprudenza.
Naturalmente, perché la novazione del titolo della obbligazione
lavorativa abbia effettivamente luogo, è necessario che la volontà delle
parti in tal senso sia reale e non risulti da dati di carattere puramente
formalistico. La trasformazione del contratto di lavoro dipende, infatti,
da un mutamento sostanziale dell’assetto negoziale realizzato dalle
parti, a nulla rilevando né la predisposizione in astratto di un diverso
programma negoziale né, tantomeno, il mero nomen iuris assegnato
dalle parti al nuovo vincolo contrattuale. L’irrilevanza del mero
elemento formalistico spiega, per contro, perché la n o v a z i o n e
d e l c o n t r a t t o d i l a v o r o possa avvenire anche per fatti
concludenti, in corrispondenza del mutamento sostanziale dell’assetto
di interessi realizzato tra le parti. L’effettivo mutamento dell’assetto
negoziale in corso di rapporto deve dunque essere rigorosamente
provato da chi vi abbia interesse, a nulla rilevando la mera
qualificazione formale del nuovo contratto pattuita tra le parti.
Giova peraltro precisare che ciò che conta è solo il mutamento
del titolo della prestazione dedotta in contratto e non certo della attività
lavorativa concreta, giusto il principio secondo cui ogni attività umana
economicamente rilevante può essere oggetto tanto di un contratto di
lavoro autonomo che di lavoro subordinato. Risulta dunque
confermato, anche da questo specifico punto di vista, che ciò che rileva
sono solo ed esclusivamente le modalità concrete di esecuzione della
prestazione lavorativa.
82
La novazione del
contratto di lavoro
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
SEZIONE TERZA
IL DIBATTITO DE JURE CONDENDO SULLA RIFORMA DEI CRITERI DI
CLASSIFICAZIONE E INQUADRAMENTO GIURIDICO DEL LAVORO:
DAL LAVORO AI LAVORI
28. La crisi della nozione di «subordinazione» come criterio
classificatore fondamentale del diritto del lavoro. — Avviato dalla
letteratura d’oltralpe sul finire degli anni Settanta, il dibattito dottrinale
sulla crisi della subordinazione si è ben presto trasformato in una
denuncia della «crise du droit du travail» e successivamente, una volta
attenuata la drastica diagnosi della dottrina francese, in una riflessione
sulla crisi di una certa immagine del diritto del lavoro quale diritto
speciale di tutela dei lavoratori subordinati (§ 14).
Il dibattito sulla crisi del
diritto del lavoro
La circostanza non deve sorprendere. Le disfunzioni che colpiscono
il criterio regolatore che garantisce l’accesso all’area del lavoro
normativamente protetto — disfunzioni segnalate da qualche decennio a
questa parte, ma oggi sicuramente aggravate dai mutamenti che, con
maggiore o minore intensità, stanno caratterizzando tutte le economie
occidentali — conducono inevitabilmente a interrogarsi sulle finalità del
diritto del lavoro e, in particolare, sui suoi confini attuali e futuri. E’ la
perdita di centralità del prototipo normativo del lavoro subordinato che
concorre a rendere particolarmente incerto non solo il valore
classificatorio, ma anche il significato assiologico della subordinazione.
Celebrato soltanto a inizio di secolo come il diritto emergente dei
nostri tempi, proprio per il suo essere diritto di frontiera e, al tempo
stesso, frontiera del diritto, il diritto del lavoro è dunque oggi chiamato a
confrontarsi con complessi fenomeni economici e sociali che, nel
renderne incerto il campo di applicazione ben oltre le tradizionali aree
grigie e di confine, concorrono contestualmente a minarne i concetti e le
categorie fondamentali. La portata e la velocità dei mutamenti che
investono la nozione giuridica di subordinazione sono così radicali che
non pare un semplice esercizio retorico neppure domandarsi se esso
abbia ancora un futuro.
A differenza di quanto si è verificato in altri ordinamenti, nel nostro
Paese è stata soprattutto la dottrina che ha cercato di governare la crisi
del concetto giuridico di subordinazione. L’opera di adeguamento delle
tecniche di tutela del diritto del lavoro ai mutamenti dell’economia e
della società si è dunque sviluppata su un piano essenzialmente
interpretativo e in contraddittorio le con operazioni giurisprudenziali di
qualificazione dei rapporti di lavoro. E’ in questa prospettiva che deve
essere letto, in particolare, il dibattito degli anni Ottanta sulla
contrapposizione tra metodo sussuntivo e metodo tipologico nella
83
Gli sforzi dottrinali volti a
governare la crisi della
subordinazione
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
qualificazione dei rapporti di lavoro (§ 25), laddove alla purezza del
«giudizio per identità» veniva contrapposta la maggiore
adattabilità/pragmaticità del «giudizio per approssimazione o sufficiente
conformità» rispetto alla evoluzione dei rapporti di lavoro connessa alla
innovazione tecnologica e al tumultuoso processo di deindustrializzazione e di terziarizzazione dell’economia. E’ sempre in
questa prospettiva che deve poi essere inquadrato l’imponente sforzo
dottrinale di “decongestionare” la nozione di subordinazione mediante
una disaggregazione in via meramente interpretativa dell’apparato di
tutele del diritto del lavoro, in modo da consentire la graduazione e
articolazione delle discipline lavoristiche in corrispondenza con la
progressiva diversificazione delle tipologie dei rapporti di lavoro; sforzo
dottrinale che, in taluni casi, ha persino condotto a prospettare già oggi,
in una prospettiva de iure condito, l’operatività di un tertium genus tra il
lavoro autonomo e il lavoro subordinato — quello del lavoro coordinato
— forzando alcuni dati normativi e, segnatamente, il disposto
dell’articolo 409, n. 3, cod. proc. civ. in tema di lavoro coordinato e
continuativo (§ …).
E’ tuttavia considerazione diffusa, e largamente condivisibile,
che l’impegno della dottrina, per quanto generoso e creativo, non abbia
sin qui condotto a risultati appaganti. Per un verso, ai tentativi di
rendere flessibile il procedimento di qualificazione dei rapporti di lavoro
— vuoi mediante la valorizzazione del metodo tipologico, vuoi
attraverso l’estensione in via analogica delle tutele lavoristiche al lavoro
c.d. parasubordinato (§ …) — fa riscontro una sempre più chiara
tendenza della giurisprudenza, soprattutto di Cassazione, a restringere
il campo di applicazione del diritto del lavoro mediante l’adozione di
indici e criteri qualificatori di impronta formalistica, che, a fronte del
moltiplicarsi di figure professionali e lavorative sui generis, poco o nulla
concedono a valutazioni o istanze di carattere socio-economico. Per
altro verso, poi, l’operazione interpretativa volta alla modulazione e
articolazione delle tutele del diritto del lavoro, per quanto condivisibile
in termini di politica del diritto, si è dimostrata alla prova dei fatti
impraticabile in una mera prospettiva de iure condito e comunque
incapace di fornire risposte soddisfacenti alla sempre più profonda
frattura che, soprattutto nell’area del lavoro debole e precario, si
registra tra la norma giuridica e la realtà economico-sociale di
riferimento.
84
La prospettiva della
tipizzazione di un tertium
genus tra lavoro autonomo
e lavoro subordinato
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
Le impressionanti stime del lavoro «nero» e della economia
sommersa, che inducono a parlare di circa cinque milioni di posizioni
lavorative irregolari (2), assieme all’esplosione delle collaborazioni
coordinate e continuative, delle prestazioni occasionali e del lavoro
associato e in partecipazione (3), stanno quantomeno a dimostrare che
la configurazione giuridica del lavoro sottesa alla contrapposizione
binaria autonomia-subordinazione non è più in grado di governare la
complessità e varietà dei moderni modi di lavorare. E in effetti l’analisi
sociologica e la rilevazione empirica testimoniano come, da lungo tempo
ormai, la coppia lavoro dipendente-lavoro indipendente non sia
rappresentativa della realtà, che è invece composta da un continuum di
posizioni lavorative collocate tra i poli estremi dell’autonomia e della
subordinazione.
Al riguardo, è certamente vero che dietro ai fenomeni del lavoro
«grigio», del lavoro associato e delle collaborazioni coordinate e
continuative si nascondono, in numerosi casi, reali rapporti di lavoro
subordinato, senza i costi e le relative tutele di legge e di contratto
collettivo. A fronte delle più volte ricordate trasformazioni intervenute nei
rapporti di produzione non si può tuttavia apoditticamente affermare che
ogni prassi di fuga dai sempre più labili e incerti territori del diritto del
lavoro sia di per sé stessa dolosa o fraudolenta ovvero risponda (alla
stregua di una tardiva ma eclatante rivincita) alle antiche logiche del
capitalismo più selvaggio e sfruttatore. Piuttosto, sono le regole di una
concorrenza giocata oramai su scala sovranazionale a rendere
eccentrico il ruolo della disciplina statuale rispetto ai processi normativi
reali, contribuendo al progressivo deperimento della norma inderogabile
di legge e, in definitiva, alla crisi del monopolio statuale della produzione
del diritto (§ 2). Così, molta parte dell’economia “informale” è spiegata
dalla complessità dei mercati del lavoro più che dalla illegalità, anche se
è poi vero che essa, nell’aggirare regole giuridiche inadeguate a
rappresentare la realtà dei moderni modi di lavorare, si realizza
mediante scappatoie e sotterfugi creatori di malessere e iniquità sociale.
La crisi della subordinazione, in altri termini, si sovrappone alla
crisi di legalità che caratterizza oggi, con maggiore o minore intensità,
tutti gli ordinamenti a tradizione étatiste, che si trovano spiazzati
rispetto alle logiche di quella che è stata efficacemente definita la
«nuova economia». La recente evoluzione dei rapporti di lavoro pare in
effetti un terreno particolarmente propizio per verificare come alla
regolazione statualistica, che resta per lo più formale, si accompagni il
(2) Dati ISTAT.
(3) Le collaborazioni coordinate, il lavoro occasionale e il lavoro associato e in
partecipazione coinvolgono una area stimata intorno ai quattro milioni di unità. In
particolare, secondo una recente ricerca condotta dal CNEL le collaborazioni
coordinate e continuative interesserebbero oggi circa quasi 2 milioni di lavoratori.
85
La complessità dei
moderno modi di lavorare
Crisi della subordinazione
e crisi della legalità
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
più delle volte una regolazione sociale frutto di «pratiche
particolaristiche» e schemi negoziali sui generis, che affonda le sue
radici in micro-sistemi familiari o comunitari».
L’espansione dell’area dell’«atipico» — vuoi nel senso della
emersione di modelli alternativi al contratto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato, vuoi nel senso della creazione di contratti di
lavoro difficilmente riconducibili a un tipo legale — pare in ogni caso
sintomatica di una vera e propria disfunzione nei rapporti tra norma di
legge e autonomia privata, a cui non si può più reagire con semplici
manipolazioni dei tipi contrattuali operate in via meramente
interpretativa ovvero in sede (solo eventuale) di qualificazione
giudiziale delle singole fattispecie concrete. Puramente difensiva e
comunque ispirata a una cultura del lavoro in fase recessiva sarebbe
dunque una soluzione che, a fronte dei mutamenti in atto, si limitasse a
operare su un piano meramente repressivo e sanzionatorio ovvero, in
via del tutto eccezionale e settoriale, su un piano promozionale volto
alla emersione e legalizzazione dell’atipico attraverso una sostanziale
omologazione delle nuove forme di lavoro al modello tradizionale del
lavoro dipendente e a tempo indeterminato.
29. Dalla crisi della subordinazione alle prospettive di riforma del
diritto del lavoro italiano. — Quelle qui sommariamente riepilogate sono
solo alcune delle ragioni — probabilmente le principali — che
concorrono a spiegare il recente salto di qualità del dibattito dottrinale
sulla crisi della subordinazione: dibattito che, dopo essere stato a lungo
condotto su un piano puramente metodologico e interpretativo, si sta
ora spostando su un terreno più propriamente progettuale.
Sempre più frequenti sono infatti i contributi della dottrina
direttamente finalizzati a fornire materiali e spunti per un intervento del
legislatore, chiamato ora a mutare il paradigma e le categorie fondanti
del diritto del lavoro italiano. Ma è proprio a questo punto che le
contrapposizioni e i contrasti diventano, se possibile, ancora più
profondi e radicali. L’analisi del dibattito dottrinale, sindacale e politico
degli ultimi anni indica in effetti molteplici e, spesso, contrapposti
percorsi di riforma del diritto del lavoro italiano.
V’è chi propone, per esempio, di accordare anche ai rapporti di
lavoro prestati in forma continuativa e coordinata, seppure senza vincolo
di subordinazione, una tutela minima inderogabile di legge. Questa
86
Le ipotesi di riforma del
diritto del lavoro italiano
La disciplina del lavoro
coordinato
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
opzione presenta al suo interno due filoni radicalmente contrapposti.
Secondo un primo orientamento la nuova normativa posta a tutela dei
rapporti di lavoro atipici/parasubordinati verrebbe a sommarsi alle tutele
già previste per i rapporti di lavoro subordinato. Secondo un diverso
orientamento la nuova disciplina dovrebbe invece consentire di sottrarre
al lavoro dipendente una corposa area intermedia attorno a cui edificare
un nuovo genus contrattuale: quello del lavoro coordinato.
Vi è chi, poi, reclama maggiore adattabilità degli schemi giuridici (sia
del lavoro autonomo sia del lavoro dipendente) alle mutate condizioni di
mercato e chiede, in particolare, di modernizzare le tecniche di tutela
collegate alle fasi di costituzione, gestione e risoluzione dei rapporti di
lavoro quale fattore di incentivazione alla creazione di nuovi posti di
lavoro. In questa direzione v’è chi propende, per un verso, alla creazione
di «un solo diritto e un solo mercato» per il lavoro subordinato e per il
lavoro autonomo, in modo da scardinare la deleteria contrapposizione,
rispetto al sistema delle tutele, tra insiders e outsiders e chi, invece,
suggerisce la creazione di uno spazio giuridico idoneo ad aggregare,
quantomeno sul versante delle tutele, schemi negoziali sui generis, non
riconducibili, se non mediante una sommaria opera di omologazione a
un tipo legale, né al lavoro autonomo né al lavoro subordinato.
L’obiettivo finale di questa operazione sarebbe quello di elaborare una
carta dei diritti del lavoro frantumato, intermittente e occasionale,
perduto o non trovato.
In una posizione intermedia si colloca chi propone di rimodulare le
tutele del diritto del lavoro mediante l’individuazione di un continuum di
tipologie negoziali (lavoro subordinato, autonomo, parasubordinato,
associato, cooperativo, etc.), tutte accomunate dal coordinamento
economico-organizzativo di una prestazione lavorativa nel ciclo
produttivo, come fattore costante e normale dell’attività organizzata da
altri. Verrebbe superata, in questo modo, l’alternativa qualificatoria
secca tra autonomia e subordinazione. A queste tipologie negoziali
sarebbe riconosciuto un nucleo minimo di tutele, mentre soltanto al
lavoro subordinato in senso stretto verrebbero accordate tutte le tutele
tipiche del diritto del lavoro. Lungo questo continuum di tipologie
negoziali, più ci si allontana dalla subordinazione in senso stretto (ex art.
2094 c.c.), più si restringe la normativa di tutela accordata, sino ad
arrestarsi al nucleo normativo minimo comune a tutte le ipotesi di lavoro.
Largo credito riscuote poi la posizione di chi suggerisce di valorizzare
l’autonomia negoziale individuale e/o collettiva, agevolando il passaggio
da un quadro legale dominato dalla norma inderogabile a una tutela
(parzialmente) disponibile, fatto salvo un nucleo minimale di tutele
imputabili, indifferentemente, tanto al lavoro autonomo quanto al lavoro
subordinato.
Non mancano, infine, suggerimenti provenienti dall’analisi
comparata. Particolarmente suggestivo, in proposito, è il dibattito
francese sul superamento dell’alternativa classificatoria autonomiasubordinazione: il rapporto governativo del Commissariat du Plan del
1995 propone infatti la elaborazione di una nuova tipologia legale — il
87
Il superamento della
contrapposizione tra
autonomia e subordinazione
La carta del lavoro
frantumato, intermittente
e occasionale
La rivalutazione della
autonomia negoziale delle
parti
I suggerimenti provenienti
dalla comparazione
giuridica: il contract
d’activité
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
contrat d’activité — nel cui ambito verrebbero a confluire tanto il lavoro
autonomo che il lavoro subordinato. Più precisamente, l’ipotesi di riforma
suggerisce il passaggio dallo statuto “statico” de l’emploi allo statuto
“dinamico” de l’actif, inteso quale percorso flessibile in cui si alternano
attività autonome, subordinate, associative, formative, imprenditoriali,
etc. E’ quanto propone in Italia quella dottrina che chiede al diritto del
lavoro di concentrarsi più sui problemi generali dell’occupazione che
sulle garanzie del rapporto individuale di lavoro, ipotizzando
l’istituzionalizzazione di un percorso professionale volto a valorizzare la
risorsa umana nell’accesso alla formazione, alle informazioni e,
conseguentemente, all’impiego.
30. La proposta di codificare uno Statuto dei lavori che superi
l’attuale contrapposizione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato. —
Dal dibattito in corso sulle prospettive di riforma del diritto del lavoro un
dato pare certo: oggi, in seguito ai profondi mutamenti intercorsi nei
modi di lavorare e di produrre, non sembra avere più senso la
contrapposizione fra lavoro dipendente e lavoro autonomo, il lavoro
nella grande e nella piccola impresa, lavoro tipico ed atipico, etc. E’
vero piuttosto che alcuni diritti fondamentali devono trovare
applicazione, al di là della loro qualificazione giuridica, a tutte le forme
di lavoro rese a favore di terzi: si pensi al diritto alla tutela delle
condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, alla tutela della libertà e
della dignità del prestatore di lavoro, alla abolizione del lavoro minorile,
al divieto di ogni forma di discriminazione nell’accesso al lavoro, al
diritto a un compenso equo, al diritto alla protezione dei dati sensibili, al
diritto di libertà sindacale.
Questo zoccolo duro e inderogabile di diritti fondamentali può
invero rappresentare la base di un moderno S t a t u t o d e i l a v o r i
(§ 4), uno Statuto riguardante tutte le forme in cui si estrinseca l’attività
lavorativa, con diversi gradi di tutela a seconda delle effettive
caratteristiche o dei particolari contesti in cui il lavoro stesso si svolge.
E’ bene precisare, al riguardo, che il riconoscimento di questi diritti
fondamentali a tutti i lavoratori che svolgano prestazioni a favore di terzi
(datori di lavoro, imprenditori, enti pubblici, committenti, etc.) non
risponde solo ed esclusivamente a istanze di tutela della posizione
contrattuale e della persona del lavoratore, quindi a ragioni di giustizia
sociale. E’ vero anzi che il riconoscimento di livelli minimi di tutela a
beneficio di tutti i lavoratori rappresenta — oggi più che nel passato —
anche una garanzia dei regimi di concorrenza tra i soggetti economici,
88
I diritti fondamentali del
lavoro
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
arginando forme di competizione basate su fenomeni di d u m p i n g
s o c i a l e (dal lavoro nero tout court a forme di sfruttamento del lavoro
minorile, etc.).
Partendo dalle regole fondamentali, applicabili a tutte le forme di
attività lavorativa rese a favore di terzi, quale che sia la qualificazione
giuridica del rapporto, è poi possibile immaginare, per ulteriori istituti
del diritto del lavoro, campi di applicazione via via più circoscritti (un
sistema di cerchi concentrici, con una tutela che si intensifica a favore
di un novero sempre più ristretto di soggetti).
Si tratta quindi di una complessiva rivisitazione del diritto del
lavoro che da un lato estende livelli minimi di tutela, mentre dall’altro
circoscrive e rende più moderne le tecniche di tutela del lavoro
subordinato, giungendo a prospettare la revisione della disciplina dei
licenziamenti per renderla comparabile con quella vigente in altri Stati
membri dell' Unione europea (§ …).
Diversamente da quanto previsto dalle iniziative legislative sui
lavori atipici recentemente discusse in Parlamento, non si tratta di
sommare al nucleo esistente delle tutele previste per il lavoro
dipendente un nuovo corpo normativo a tutela dei nuovi lavori e delle
collaborazioni coordinate e continuative. Questa ipotesi, nell’estendere
rigidamente l’area delle tutele senza prevedere alcuna forma di
rimodulazione all’interno del lavoro dipendente, non è altro che una
inutile forzatura che aumenterebbe i fenomeni di fuga nel lavoro
sommerso e irregolare.
Individuato dunque un nucleo essenziale (e abbastanza limitato)
di norme e di principi inderogabili (soprattutto di specificazione del
dettato costituzionale) comuni a tutti i rapporti negoziali che hanno per
contenuto il lavoro, occorrerà procedere a una rimodulazione verso il
basso di talune tutele del lavoro dipendente, secondo uno schema a
geometria variabili.
Sul piano della ridefinizione dei criteri di imputazione delle tutele del
lavoro si potrebbe peraltro andare ben al di là della semplice
predisposizione di un nucleo di disciplina comune a tutti i tipi di lavoro,
rinunciando definitivamente ad una definizione generale e astratta di
lavoro subordinato, indicando invece, di volta in volta, il campo di
applicazione di ogni intervento normativo, come avviene per esempio
nell’esperienza del Regno Unito. Una soluzione, in questa prospettiva,
potrebbe essere quella della redazione di Testi Unici, che, oltre a
ridefinire il campo di applicazione — soggettivo e oggettivo — di ogni
tutela (equo compenso, licenziamenti, sospensione del rapporto di
lavoro, diritto di sciopero, sanzioni disciplinari, etc.), potrebbero anche
89
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
concorrere alla semplificazione e razionalizzazione della normativa
esistente.
15. Syllabus: a) concetti fondamentali.
c o n t r a t t o a t i p i c o d i l a v o r o : ipotesi contrattuale non
riconducibile a uno schema contrattuale tipico, cioè a una fattispecie negoziale
tipizzata dal legislatore (come per esempio il lavoro subordinato nell’impresa di
cui all’articolo 2094 cod. civ.), e che viene ammessa dal nostro ordinamento
soltanto in presenza di interessi meritevoli di tutela (art. 1322, comma secondo,
cod. civ.). Il contratto atipico è, più precisamente, una ipotesi contrattuale priva di
una disciplina tipica. Va peraltro evidenziato che, in ragione del carattere
tassativo e inderogabile della disciplina del diritto del lavoro, nella nostra materia
si registra una forte tendenza alla tipizzazione contrattuale, nel senso di
ricondurre il più possibile tutte le ipotesi sui generis a una fattispecie astratta
definita dal legislatore. Ciò nondimeno esistono spazi per forme contrattuali
atipiche anche nel diritto del lavoro, come nel caso del lavoro nell’impresa
familiare o nel caso, che analizzeremo nel prossimo capitolo, del lavoro a coppia
(c.d. job sharing). In ogni caso, occorre tenere ben distinto il concetto di
«contratto atipico» di lavoro da quello di «lavoro atipico»: solo il primo è un
concetto giuridico, e come detto definisce l’area delle ipotesi contrattuali che non
appartengono a un tipo legale; il secondo è invece un concetto di derivazione
sociologica e serve a designare ipotesi contrattuali che si discostano dal
prototipo normativo del lavoro stabile e per una carriera. La definizione di lavoro
atipico comprende pertanto ipotesi contrattuali eterogenee, sia di lavoro
autonomo che subordinato, sia tipiche che atipiche. Sono per esempio definite
come forme atipiche di lavoro il lavoro a termine o il lavoro temporaneo tramite
agenzia, che pure appartengono a un tipo legale ben identificato dal legislatore,
sul presupposto che si tratta di schemi che si discostano dal modello normativo
del lavoro stabile e a tempo indeterminato.
c r i t e r i s u s s i d i a r i d i q u a l i f i c a z i o n e : sono tutti quei criteri di
qualificazione del rapporto di lavoro che, pur non rappresentando tratti
caratterizzanti della fattispecie legale, aiutano l’interprete — e segnatamente il
giudice — a ricondurre il caso concreto a una fattispecie astratta. Nel rapporto di
lavoro sono indici sussidiari, utili sul piano probatorio a valutare la presenza o
meno del dato caratterizzante della subordinazione, l’obbligo di rispettare un
orario di lavoro, la proprietà dei mezzi di produzione, la sottoposizione a direttive
e/o a sanzioni disciplinari, la forma della retribuzione, la continuità della
prestazione lavorativa, il carattere personale della prestazione, l’assenza di
rischio economico, ecc.
f a t t i s p e c i e a s t r a t t a : nei rapporti di lavoro è il modello legale
tipizzato dal legislatore che serve come premessa maggiore del ragionamento
per identità (c.d. metodo sussuntivo) ai fini della riconduzione di un caso
concreto a una determinata disciplina di legge e/o contratto collettivo
90
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
f a t t i s p e c i e c o n c r e t a : nei rapporti di lavoro è il singolo contratto
concreto che deve essere ricondotto a una fattispecie astratta, ai fini della
identificazione della disciplina ad esso applicabile
i n t e r p r e t a z i o n e : operazione preliminare alla qualificazione in senso
giuridico di un determinato rapporto di lavoro che è finalizzata alla
determinazione del senso giuridicamente rilevante del vincolo contrattuale ai fini
della imputazione della disciplina tipica individuata dall’ordinamento
l a v o r o g r a t u i t o : ipotesi di lavoro resa al di fuori di un vincolo di
corrispettività. In presenza di un precetto costituzionale che impone la
proporzionalità e sufficienza della retribuzione (art. 36 Cost.) si discute sulla
ammissibilità di prestazioni di lavoro subordinato gratuito. L’opinione dominante
è orientata nel senso di ritenere ammissibili prestazioni di lavoro gratuite laddove
sia riscontrabile un interesse rilevante del prestatore di lavoro come nel caso del
volontariato, del lavoro prestato per una comunità familiare o religiosa, del lavoro
prestato ai fini dell’apprendimento di un mestiere
m e t o d o s u s s u n t i v o : giudizio di identità o perfetta conformità tra il
caso concreto e il tipo legale del lavoro subordinato tipizzato dal legislatore
m e t o d o t i p o l o g i c o : giudizio di non contraddizione o sufficiente
conformità del caso concreto rispetto al modello sociale prevalente di lavoratore
subordinato (l’operaio della grande impresa), a cui il legislatore si è ispirato per
elaborare sia la nozione di lavoro subordinato sia la relativa disciplina tipica
n o m e n i u r i s : è il titolo giuridico della obbligazione lavorativa assegnato
dalle parti a un determinato schema contrattuale concreto. Come tale esso non
va confuso con la volontà delle parti ma, più semplicemente, serve a identificare
sinteticamente il tipo di contratto (autonomo o subordinato) a cui le parti negoziali
fanno riferimento nella regolamentazione dei propri interessi. In quanto
fondamentale ai fini della imputazione della disciplina applicabile l’esatta
denominazione del titolo giuridico della obbligazione lavorativa (c.d.
qualificazione del rapporto mediante assegnazione di un nomen iuris) spetta
soltanto al giudice
n o v a z i o n e d e l c o n t r a t t o d i l a v o r o : identifica la
trasformazione in corso di rapporto del titolo giuridico della prestazione
lavorativa. In particolare, perché sia possibile passare da una forma contrattuale
di lavoro subordinato a una di lavoro autonomo non è sufficiente mutare
formalmente il titolo dell’obbligazione (il c.d. nomen iuris), ma occorre anche che
mutino le modalità concrete di esecuzione della prestazione lavorativa, con
conseguente venir meno del vincolo di subordinazione
obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato:
contrapposizione tradizionale, risalente storicamente alla distinzione tra locatio
operarum e locatio operis, utilizzata per distinguere le prestazioni di lavoro
subordinato da quelle di lavoro autonomo: solo queste ultime darebbero luogo a
91
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
una obbligazione di risultato, laddove le prestazioni di lavoro autonomo si
concretano in una obbligazione di mezzi e cioè nella messa a disposizione del
datore di lavoro delle energie psico-fisiche del prestatore di lavoro. La dottrina
più recente ha tuttavia dimostrato come ogni obbligazione, tanto di lavoro
autonomo quanto subordinato, sia in realtà finalizzata al raggiungimento di un
determinato risultato
o n e r o s i t à : è il nesso tra prestazione lavorativa e controprestazione
economica. L’onerosità non costituisce un elemento discretivo tra i diversi
rapporti di lavoro che assumano un rilievo per l’ordinamento. Piuttosto, essa
costituisce condizione necessaria, quantunque non sufficiente, perché possa
aversi un contratto di lavoro subordinato ovvero un contratto di lavoro autonomo
qualificazione:
operazione volta alla determinazione delle
conseguenze giuridiche di un determinato atto negoziale, che nei rapporti di
lavoro si sostanzia nella dichiarazione di appartenenza di un caso concreto a un
determinato schema astratto tipizzato dal legislatore. Questa operazione spetta
esclusivamente al giudice, a nulla rilevando (se non sul piano meramente
indiziaro) le qualificazioni operate dalle parti del rapporto di lavoro
r a p p o r t i a s s o c i a t i v i d i l a v o r o : tipologia di rapporti di lavoro di
non agevole sistemazione dogmatica all’interno del nostro ordinamento giuridico
positivo, che si caratterizza per lo scopo comune che accomuna le parti del
rapporto. Presupposto fondamentale di tale tipologia contrattuale è che lo
schema del contratto oneroso e di scambio non esaurisce le possibili modalità
d’impiego della forza lavoro
S t a t u t o d e i l a v o r i : rappresenta una prospettiva evolutiva del diritto
del lavoro (allo stato solo interpretativa o de iure condendo) volta al superamento
della contrapposizione concettuale tra lavoro subordinato e lavoro autonomo e
sostanzialmente identificabile come una carta di tutela di tutte le forme di lavoro
rese a favore di terzi, secondo una gradazione di tutele che viene definita a
geometria variabile, in funzione del grado di intensità della implicazione della
persona del lavoratore nel rapporto di lavoro
s u b o r d i n a z i o n e : identifica l’assoggettamento del prestatore di lavoro al
potere di direzione e controllo del creditore, relativamente alle modalità di
esecuzione della attività lavorativa. In quanto elemento caratterizzante delle
prestazioni di lavoro dipendente, rappresenta l’elemento discretivo tra lavoro
autonomo e lavoro subordinato
t e n d e n z a e s p a n s i v a d e l d i r i t t o d e l l a v o r o : designa il
processo storico volto alla applicazione delle tutele del diritto del lavoro al di là
del loro campo di applicazione naturale, che è il lavoro reso alle dipendenze di
altri
t i p i z z a z i o n e : designa il processo storico volto alla individuazione di un
tipo legale a cui applicare una determinata disciplina normativa
92
Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
t i p o l e g a l e : è la fattispecie astratta tipizzata dal legislatore ai fini della
applicazione di una determinata disciplina normativa. Tale fattispecie si
caratterizza per alcuni elementi tipici ed astratti identificati dal legislatore (da cui
tipo legale), la cui presenza in un caso concreto impone tassativamente (almeno
nel diritto del lavoro, dove la norma di legge è in genere inderogabile)
l’applicazione della disciplina tipica del diritto del lavoro
t i p o s o c i a l e o t i p o n o r m a t i v o : è il modello empirico di
riferimento ipotizzato dal legislatore nel delineare il c.d. tipo legale e cioè la
fattispecie astratta del lavoro dipendente a cui riconnettere l’applicazione delle
tutele del diritto del lavoro. Storicamente, tale modello empirico è rappresentato
dall’operaio della fabbrica, rispetto al quale il problema della qualificazione del
rapporto di lavoro non si pone essendo un dato scontato
v o l e r e e v o l u t o n e g o z i a l e : nella determinazione della disciplina
applicabile a un determinato rapporto di lavoro occorre distinguere ciò che le
parti hanno effettivamente voluto rispetto a ciò che le parti hanno di fatto
realizzato (il volere negoziale), dando così corpo a una volontà oggettiva cui
l’ordinamento ricollega automaticamente determinati effetti giuridici
32. Syllabus: b) proposte di lettura e ricerca.
Nel nostro Paese il primo rilevante tentativo di inquadramento giuridico e
classificazione del lavoro umano risale all’opera di L. BARASSI, Il contratto di
lavoro nel diritto positivo italiano, Società Editrice Libraria, Milano, 1901, 1ª Ed.
Sulla elaborazione barassiana, e sul dibattito storico-giuridico di inizio
secolo, cfr. L. SPAGNUOLO VIGORITA, Subordinazione e diritto del lavoro. Profili
storico-critici, Morano, Napoli, 1967, cui adde, L. CASTELVETRI, Il diritto del lavoro
delle origini, Giuffrè, Milano, 1994. Sulla qualificazione giuridica del lavoro
cfr., in generale: S. MAGRINI, voce Lavoro (contratto individuale di), in ED, 1973,
vol. XXIII, 369 ss.; M. GRANDI, voce Rapporto di lavoro, in ED, 1987, vol.
XXXVIII, 322 ss.; P. TOSI, F. LUNARDON, voce Lavoro (contratto di), in DDP – SC,
vol. VIII, 1992, 140 ss.; L. MONTUSCHI, Sulla discussa «centralità» della
fattispecie «contratto di lavoro subordinato», in Le ragioni del diritto, in Scritti in
onore di L. MENGONI, Giuffrè, Milano, 1995, III, 1025 ss., M. NAPOLI, Contratto e
rapporti di lavoro, oggi, in Le ragioni del diritto, Scritti in onore di L. MENGONI, cit.,
1057 ss. Per una prospettiva storico-comparatistica: A. SUPIOT, Critique du
droit du travail, Presses Universitaires de France, Paris, 1994, B. VENEZIANI,
L’evoluzione del contratto di lavoro in Europa dalla rivoluzione industriale al
1945, in DLRI,1996, 23 ss., ID., Libertà contrattuale e contratto di lavoro.
Lineamenti di diritto comparato, in BIAGI M., SUWA Y., Il diritto dei disoccupati,
Giuffrè, Milano, 1996, 429 ss.
Sui rapporti tra autonomia negoziale e prestazioni di lavoro cfr. i contributi
raccolti in AA.VV., Autonomia negoziale e prestazioni di lavoro, Giuffrè, Milano,
1993. In particolare, per i concetti di tipo legale, tipo normativo, contratto
93
II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
atipico cfr., in generale, G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Cedam, Padova 1974 e
R. SACCO, Autonomia contrattuale e tipi, in RTDPC, 1966, 790 ss., nonché, più
recentemente, BRECCIA U., Le nozioni di «tipico» e «atipico»: spunti ricostruttivi,
in AA.VV., Tipicità e atipicità nei contratti, Giuffrè, Milano, 1983, 3 ss, ….
D’ATTILO, Tipicità e realtà nel diritto dei contratti, in RDC, 1984, 786 ss., …
BEDUSCHI, Tipicità e diritto, Cedam, Padova, 1992. Con specifico riferimento ai
rapporti di lavoro cfr. invece … ANTONUCCI, La tipicità della prestazione di lavoro
subordinato, in Prev. Soc., 1972, 372 ss., C. ASSANTI, Autonomia negoziale e
prestazioni di lavoro, Cedam, Padova, ……, A. CAUTADELLA, Spunti sulla
tipologia dei rapporti di lavoro, in DL, 1983, 77; M. D’ANTONA, Limiti costituzionali
alla disponibilità del tipo contrattuale nel diritto del lavoro, in ADL, 1995, n. 1, 63
ss., G. PROIA Rapporti di lavoro e tipo (considerazioni critiche), Giuffrè, Milano,
1997. Per spunti di diritto comparato sulla tendenza alla tipizzazione dei
rapporti di lavoro cfr. invece M. TIRABOSCHI, Autonomia, subordinazione e
contratti di lavoro sui generis: un recente revirement della giurisprudenza
inglese?, in DRI, 1996, n. 2, 153 ss.
Per il profilo della onerosità nei rapporti di lavoro cfr. T. TREU, Onerosità e
corrispettività nel rapporto di lavoro, Giuffrè, Milano, 1968 cui adde, più
recentemente, P. ICHINO, Il contratto di lavoro, I, Giuffré, Milano, 2000, 303 ss.
Sulla configurabilità nel nostro ordinamento di prestazioni di lavoro
subordinato gratuite cfr., per l’impostazione del problema, G. GHEZZI,
Osservazioni sulla prestazione gratuita di lavoro subordinato, in RTDPC, 1959,
1365 ss. e, più recentemente, L. MENGHINI, Nuove riflessioni sulla qualificazione
giuridica del lavoro gratuito e sui limiti della sua ammissibilità, in Studi in onere di
Pietro Rescigno, vol. IV, Diritto privato, 3, Impresa, società, lavoro, Giuffrè,
Milano, 1998, 337 ss.
Sui rapporti associativi di lavoro cfr. M. BIAGI, voce Lavoro (rapporti
associativi), in EGT, ………., e ivi ulteriori riferimenti bibliografici. In particolar,
sulla prestazione di lavoro del socio di cooperativa, M. BIAGI, Cooperative e
rapporti di lavoro, Angeli, Milano, cui adde, per una prima valutazione della
riforma contenuta nella l. 3 aprile 2001, n. 142, M. BIAGI, M. MOBIGLIA,
…………………………………………………. Per la qualificazione del lavoro
prestato nella società cfr. invece U. ROMAGNOLI, La prestazione di lavoro nel
contratto di società, Giuffrè, Milano, 1967.
Sulla distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato cfr. P. ICHINO, Il
contratto di lavoro, I, Giuffré, Milano, 2000, 256 ss e ivi ampia ed esauriente
rassegna delle diverse posizioni dottrinali. In particolare, sulla distinzione tra
obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato — distinzione posta dalla
dottrina tradizionale come base della contrapposizione concettuale tra lavoro
autonomo e lavoro subordinato — oltre al classico studio di L. MENGONI,
Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi», in Riv. Dir. Comm., 1954, I,
185 ss. cfr. le considerazioni critiche di M. PERSIANI, Contratto di lavoro e
organizzazione, Cedam, Padova, 1966, spec. 95 ss. Sulla contrapposizione tra
metodo tipologico e metodo sussuntivo di qualificazione dei rapporti di
lavoro cfr. L. MENGONI, La questione della subordinazione in due trattazioni
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Marco Biagi – Istituzioni di diritto del lavoro
recenti, in RIDL, 1986, I, 5 ss. e, più recentemente, F. LUNARDON, L’evoluzione
del concetto di subordinazione nell’elaborazione dottrinale, in AA.VV.,
Subordinazione e autonomia: vecchi e nuovi modelli, Torino: UTET, p. 265 ss.
Sulle operazioni giurisprudenziali di qualificazione dei rapporti di lavoro,
accanto alle classiche ricostruzioni offerte da M. PERSIANI, Riflessioni sulla
giurisprudenza in tema di individuazione della fattispecie lavoro subordinato, in
Studi in onore di F. Santoro Passarelli, Napoli, 1972, 864 ss. e L. SPAGNUOLO
VIGORITA, Riflessioni in tema di continuità, impresa, rapporto di lavoro, in Studi in
onore di F. SANTORO PASSARELLI, Jovene, Napoli, 1972, V, 1023 ss., cfr., più
recentemente, le rassegne di D. VITALI, Qualificazione contrattuale ed
elaborazione degli effetti: una verifica della tecnica giurisprudenziale in tema di
lavoro giurisprudenziale, in RGL, 1987, 421 ss., M. DE LUCA, Autonomia e
subordinazione nella giurisprudenza di legittimità, in FI, 1989, 2909 ss., L.
NOGLER, Metodo tipologico e casistica nella qualificazione dei rapporti di lavorom
in DLRI, 1991, 107, F. LUNARDON, L’uso giurisprudenziale degli indici di
subordinazione, in DLRI, 1990, 403 ss., UTET 1998. Cfr. altresì, per i criteri di
reperimento e interpretazione del precedente giurisprudenziale le
avvertenze metodologiche contenute in M. TIRABOSCHI, Premesse per uno studio
della giurisprudenza in tema di individuazione della fattispecie lavoro
subordinato, in AA.VV., Autonomia negoziale e prestazioni di lavoro, Giuffrè,
Milano, 1993, 32 ss. In particolare, sulla ripartizione del carico probatorio
nella qualificazione concreta dei rapporti di lavoro cfr. A. VALLEBONA, L’onere
della prova nel diritto del lavoro, Cedam, Padova, 1988. Sulla distinzione tra
criteri prioritari e criteri sussidiari cfr. P. ICHINO, Criteri “prioritari” e criteri
“sussidiari” di qualificazione del rapporto di lavoro, in RIDL, 1990, II, 365 ss.
Sulla rilevanza della volontà delle parti nella qualificazione dei rapporti di
lavoro cfr. P. ICHINO, Libertà formale e libertà materiale del lavoratore nella
qualificazione del rapporto di lavoro, in RIDL, 1987, II, 76 ss. e ora amplius Id., Il
contratto di lavoro, I, Giuffré, Milano, 2000, 289 ss.
Sulle concezioni istituzionistiche e acontrattuali dei rapporti di lavoro
nell’impresa cfr. Sulla prestazione di fatto in violazione di legge cfr. invece
M. DELL’OLIO, …………….
Sulla crisi della subordinazione come criterio di classificazione
fondamentale del diritto del lavoro cfr. gli Atti del Convegno AIDLASS di
Salerno del ………………. su Impresa e nuovi modi di organizzazione del
lavoro, Giuffré, Milano, 1999, e ivi, in particolare,le relazioni introduttive di
MARCELLO PEDRAZZOLI E GIUSEPPE FERRARO. Cfr. anche: M. PEDRAZZOLI, Lavoro
subordinato e dintorni, il Mulino, Bologna, 1989 e AA.VV., Nuove forme di lavoro
tra subordinazione, coordinazione, autonomia, Cacucci, Bari, 1996. Sulla
alternativa tra tipizzazione di un tertium genus e codificazione di uno
Statuto dei lavori cfr. M. BIAGI, M. TIRABOSCHI, Le proposte legislative in materia
di lavoro parasubordinato: tipizzazione di un tertium genus o codificazione di uno
«Statuto dei lavori», in LD, 1999, 571 ss. Sui rapporti tra crisi della
subordinazione e rinascita del lavoro autonomo cfr. A. PERULLI, Il diritto del
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II. Classificazione e inquadramento giuridico del lavoro
lavoro tra crisi della subordinazione e rinascita del lavoro autonomo, in Lav. Dir.,
1997, 173 ss. Per una prospettiva comparata sulle tendenze evolutive in
materia di qualificazione dei rapporti di lavoro cfr. L. BETTEN (ed.), The
Employment Contract in Transforming Labour Relations, The Hague, Kluwer Law
International, 1995, e, più recentemente, gli interventi raccolti in AA.VV., Il
dibattito suoi nuovi lavori, Atti del Convegno AISRI su Lavoro «atipico» e
relazioni industriali, Roma 27 marzo 1998, in Bulletin of Comparative Labour
Relations, 1999, n. 35 (parzialmente pubblicati anche in DRI, 1998, n. 3). Sulle
prospettive evolutive di qualificazione dei rapporti di lavoro cfr. B. HEPPLE,
The Future of Labour Law, in Comparative Labor Law Journal, 1996, 626 ss. cui
adde, più recentemente, A. SUPIOT, Lavoro subordinato e lavoro autonomo, in
DRI, 2000, 207 ss.; P. DAVIES, Lavoro subordinato e lavoro autonomo, in DRI,
2000, 217 ss.
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