Contributo alla conoscenza del giacimento di
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Contributo alla conoscenza del giacimento di
Rendiconti CONTRIBUTO SeminarioALLA FacoltàCONOSCENZA Scienze Università DELCagliari GIACIMENTO Supplemento DI TALCO… Vol. 70 (2000) 333 Contributo alla conoscenza del giacimento di talco e clorite di Sa Matta, Orani (Sardegna centrale) CARLO MARINI (*), EGISTO MANNINI (**) Abstract. In this paper are shown new data on the Sa Matta talc-chlorite mine (Orani, Central Sardinia, Italy). In the mine area three main ore bodies outcrop: the «Massa Pierino», a white talc body hosted in granitoid and micascists; the «Vecchio Sa Matta», a talc and chlorite bulks and veins hosted in limestones; «Logorgai», chlorite bulks hosted in granitoids. Microprobe analysis on chlorite permitted to establish that clinoclore is predominant on sheridanite and pennine. By optical microscope observations it is evident that talc crystals have different dimensions (interesting feature from the industrial point of view) in the various ore bodies. Talc chlorite bodies could be due to magnesium rich fluids, related whit a sodium rich fluid that originated albititic bodies around Sa Matta mine. In limestones talc is originated from calcite, adding silica and magnesium. In the Logorgai sector, granitoids went through a strong chloritization. The Massa Pierino probably origines from the talchization of a limestones’ level placed under the granitoid by faults. PREMESSA Nell’ambito di una ricerca pluriennale sulle fenomenologie minerogenetiche individuabili nei giacimenti di albite di Orani, Olzai ed Ottana ([1] [2] [3] [4]) e di talco e clorite di Orani ([5] [6]), svolta presso i Dipartimenti di Geoingegneria e Tecnologie ambientali e di Scienze della Terra dell’Università di Cagliari, questo lavoro riconsidera il giacimento di talco e clorite noto in letteratura col nome di Sa Matta; sito nel comune di Orani (Nu), esso è stato recentemente acquisito dalla società leader mondiale del settore (Luzenac) e riavviato alla produzione. È intento degli autori fornire un ulteriore contributo alla conoscenza dei meccanismi genetici di questa mineralizzazione, sulla base di dati geologici, giacimentologici e mineralogici di più recente acquisizione. In particolare vengono illustrati i dati su caratteri strutturali, giaciturali e minero- (*) Dip. Scienze della Terra, Università degli Studi di Cagliari. (**) Geologo libero professionista. 334 C. MARINI, E. MANNINI petrografici degli ammassi minerari e delle rocce incassanti, ricavati mediante un rilevamento giacimentologico di dettaglio in cantiere su una base topografica aggiornata. Nell’occasione si è approfittato della più recente campagna di ricerche minerarie (circa venti sondaggi per oltre mille metri di perforazioni, a distruzione sullo sterile, a carotaggio nella mineralizzazione), e dei nuovi fronti di coltivazione, sulla cui campionatura si rendono qui pubblici i principali dati. Uno studio su base analitica, finalizzato alla caratterizzazione per gli usi industriali, è in corso di preparazione in collaborazione con i ricercatori francesi del Laboratorio di Mineralogia dell’Università di Toulouse (Francia). INTRODUZIONE La genesi dei giacimenti di talco è messa in relazione alle litologie coinvolte dai meccanismi di formazione del minerale. Si distinguono giacimenti legati a rocce basiche ed ultrabasiche, giacimenti legati a rocce carbonatiche magnesiache e giacimenti legati a processi metamorfici. A seconda di come avvengono le trasformazioni mineralogiche durante la minerogenesi si possono distinguere anche dei giacimenti di natura metasomatica, i quali sono più frequenti in associazione con i litotipi carbonatici [7] e [8]. Nel caso di rocce basiche od ultra basiche ricche in serpentino, il talco si forma mediante l’azione di CO2 e l’aggiunta di silice. La CO2 da luogo a carbonati (dolomite, magnesite…), mentre la silice concorre alla formazione del talco. Il volume di fluidi idrotermali necessari al trasporto di CO2 e silice in quantità tale da dar luogo ad un mineralizzazione significativa è in genere da mettersi in relazione a processi metamorfici oltre che ad intrusioni acide che possono essere in contatto con le serpentiniti. In quest’ultima ipotesi una tipica zonazione di un giacimento potrebbe essere: granitoidi o rocce di simile composizione chimica (gneiss, micascisti, etc.), +– zona a vermiculite, clorite, actinolite, talco, talco-carbonanti +– serpentino [7]. Spesso in questa sequenza viene a mancare la zona a vermiculite. A questa categoria appartengono i giacimenti della Pennsylvania, USA (State Line Talc Deposit, [7]); della Valmalenco, Italia [8]; dell’Egitto, della Germania, della Russia e della Finlandia [9]. Il metamorfismo regionale o di contatto di dolomiti siliciche o calcari talcososilicatici produce marmi dolomitici contenenti tremolite od actinolite, i quali si talchizzano se interagiscono con un fluido contenente silice [9]. Questa categoria di giacimenti è nettamente subordinata come abbondanza, anche perché il meccanismo di formazione del talco è analogo a quello agente nella genesi di mineralizzazioni più marcatamente metasomatiche, per cui può essere difficile distinguere le due componenti. Un esempio di questa categoria di giacimenti è rappresentato dalla regione del Paraña in Brasile [9]. Da rocce carbonatiche magnesiache si giunge al talco in presenza di fluidi idrotermali contenenti silice e magnesio, il quale se è molto abbondante rispetto al contenuto del protolite da luogo ad un giacimento decisamente metasomatico. La reazione principale è: CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL GIACIMENTO DI TALCO… 335 3MgCa(CO3)2 + 4SiO2 + H2O >>> Talco + 3CaCO3 + 3CO2 (Winkler 1974) [10] Anche in questo caso la sorgente del fluido è in relazione ad un intrusione acida, per cui oltre alle rocce Mg-Carbonatiche sono interessati alla minerogenesi granitoidi e rocce simili per composizione chimica, più o meno metamorfosate. Queste litologie subiscono anch’esse delle trasformazioni, cloritizzandosi ed all’estremo talchizzandosi. Il modello di riferimento è il giacimento di Trimouns in Francia, il maggiore a livello europeo ed uno dei principali a scala mondiale (produzione annua attorno alle 300.000 tons). I protoliti sono dolomie, quarziti, micascisti, gneiss calco silicatici, pegmatiti ed apliti. Parti Tabella 1. Reazioni schematiche di trasformazione ([3], [10]). A) K-feldspato>>>>Albite 2KalSi3O8 + Na2O → 2NaAlSi3O8 + K2O B) Plagioclasio>>> Albite 3CaAl2Si2O8 + Na2O → 2NaAlSi3O8 + 3CaO + 2Al2O3 C) Biotite>>>Albite 4K(Fe, Mg)3AlSi3O10(OH)2 + 2Na2O → 4NaAlSi3O8 + K2O + 3FeO + 3MgO + 2H2O D) Muscovite>>>Albite 4KAl3Si3O10(OH)2 + 2Na2O → 4NaAlSi3O8 + 2K2O + 4Al2O3 E) Albite/plagioclasi>>>clorite Ab/pl + Mg + Fe + H2O → Chl + Na + Ca + K + SiO2 + O2 F) Muscovite>>>>Clorite Musc + Sio2 + Mg + H2O → Chl + K + H + (Al costante) G) Biotite>>>Clorite Bt + Mg + Fe + H2O → Chl + K + H+ H) Clinoizoisite 4CaO + 3Al2O3 + 6SiO2 + H2O → 2Ca2Al3(SiO4)3OH L) Clorite>>> Talco Chl + SiO2 → Mg3Si4O10(OH)2 M) Calcite>>> Talco CaCO3 + Mg + SiO2 + H2O → Mg3Si4O10(OH)2 + Ca + CO2 + H+ N) Formazione talco 3MgO + 4SiO2 + H2O → Mg3Si4O10(OH)2 336 C. MARINI, E. MANNINI residuali di queste litologie si rinvengono all’interno della mineralizzazione, oltre a costituirne l’incassamento, più o meno alterato. Il fluido ricco in silice e magnesio ha investito i protoliti producendo effetti diversi in base alla loro natura chimica e mineralogica. Viste le dimensioni del giacimento, il volume di fluidi deve essere senz’altro stato elevato. Dalle dolomie il talco si è formato grazie all’aggiunta di silice, secondo la parte sinistra della reazione di Winkler, mentre è assente nei corpi a talco la calcite, per cui sia il calcio che la CO2 sono stati mobilizzati ed allontanati. Le strutture osservabili nelle dolomie sane, sono spesso preservate nel talco, cosa che suggerisce una certa costanza del volume durante il processo di metasomatismo. Le rocce silico-alluminose mostrano una zonazione che in sintesi si può descrivere con la seguente sequenza: roccia non alterata >> scomparsa delle Bt a favore della chl >> aumento della chl e scomparsa anche della muscovite >> giacimento a chl +– ta o giacimento a chl-ta. Giacimenti che appartengono a questo gruppo sono oltre al già citato Trimouns ([11] [12] [13] [14]), Rabenwald in Austria ([12], [14]); Madoc in Canada [9]; Provincia di Liaoling in Cina [9]; Ruby Range nel Montana, USA [15]; Val Malenco, Italia [8]. Il giacimento di Sa Matta è inquadrabile in questo schema, sebbene con delle differenze sostanziali. La peculiarità risiede nell’origine del magnesio, fornito dall’esterno (nei calcari non talchizzati la sua presenza è trascurabile [5]), in seguito alla formazione di corpi albititici adiacenti. Secondo il modello proposto da FIORI et al. [1] [2] [3] [4], fluidi idrotermali ricchi in sodio, tardivi rispetto alla messa in posto dei granitoidi ercinici, hanno investito parte dei granitoidi stessi e, favoriti da diaclasi e faglie, hanno causato l’albitizzazione dei minerali presenti (K-feld, Pl, musc, Bt). Come conseguenza il fluido residuale si è arricchito in magnesio, e migrando verso altri settori ha provocato la cloritizzazione e subordinatamente la talchizzazione di granitoidi e micascisti. Quando il fluido ha raggiunto i calcari, questi si sono trasformati in corpi talcosi. INQUADRAMENTO GEOLOGICO GENERALE L’ossatura della zona è costituita da terreni paleozoici, correlabili all’orogenesi ercinica, suddivisibili in grandi linee in rocce granitoidi e metamorfiti (micascisti,calcari). I granitoidi sono arealmente più diffusi, e nel mettersi in posto hanno modificato non solo le giaciture della copertura sedimentaria preesistente, ma hanno spesso indotto un metamorfismo di contatto. L’insieme del metamorfismo di contatto e di basso grado rende molto difficile una datazione delle litologie pre-erciniche. Tuttavia si pensa, per analogia con serie litostratigrafiche presenti altrove in Sardegna, che queste formazioni siano da attribuire al Silurico-Devonico [16]. Successive ai termini paleozoici sono le litologie legate al ciclo orogenico Alpino, rappresentate da una spessa serie vulcanosedimentaria costituita da lave e complessi ignimbritico-tufacei. Su tutti è forte il controllo strutturale, esercitato dall’ambiente perlopiù compressivo ercinico, le cui principali direttrici sono la NE-SW, la E-W e la NNW-SSE. In occasione del ciclo Alpino CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL GIACIMENTO DI TALCO… 337 alcune faglie erciniche sono state «ringiovanite» dando luogo a movimenti che, sovraimponendosi ai precedenti, hanno complicato ulteriormente le giaciture. Talvolta queste faglie ringiovanite hanno svolto il ruolo di via preferenziale d’emissione per le vulcaniti che costituiscono il riempimento del Graben di Ottana. Completano il quadro alluvioni e detriti di pendio quaternari [17]. I micascisti presentano caratteri eterogenei, con un’associazione mineralogica fondamentale data da quarzo, biotite, muscovite, plagioclasio, sillimanite. La maggior parte presenta una scistosità marcata, anche se non mancano zone in cui essa viene meno. La struttura spazia da lepidoblastica a granoblastica a seconda dell’abbondanza dei letti micacei rispetto ai letti quarzoso-feldspatici. È folta la schiera dei minerali accessori che annovera magnetite, rutilo, zircone, granati, anfiboli, microclino, clorite ed epidoti. Clorite ed epidoti (soprattutto clinozoisite) aumentano d’importanza nelle zone di contatto tra i micascisti e le mineralizzazioni a clorite-talco. Il microclino ed il granato abbondano in prossimità dei granitoidi. I litotipi carbonatici presentano composizione e grado di metamorfismo differenti, a seconda dei settori che si vanno a considerare; sono importanti perché discretamente diffusi, ed accompagnano regolarmente le mineralizzazioni cloritico-talcose della zona. La struttura di queste rocce è comunemente granulare, talvolta saccaroide, specialmente nei termini di più alto grado metamorfico, dovuti al contatto o alla vicinanza dei granitoidi. Questo metamorfismo da luogo anche ad una discreta variabilità dei minerali accessori. Nella zona di Monte Gonare–San Francesco sono abbondanti gli orizzonti skarnoidi con grossularia, occasionale diopside, tremolite, e livelli grafitosi con epidoti [18]. Nel settore a est di Sa Matta, sotto punta S’Arenargiu, la calcite è il costituente principale dell’affioramento, caratterizzato dall’alternanza di livelli a calcite e da livelli a calcite-quarzo. Nella zona di Orani affiorano plutoniti tardo tettoniche, che gli Autori [19] suddividono in due gruppi principali, dati da: a) quarzo-dioriti, tonaliti, granodioriti tonalitiche; b) granodioriti monzogranitiche, monzograniti, monzograniti leucocrati, leucograniti a due miche. Le tonaliti affiorano a sud di Orani, come inclusi in corpi granodioritici e monzogranitici. Presentano tessiture che vanno da inequigranulare a equigranulare con evidenti strutture di flusso magmatico. Compaiono frequentemente all’interno di queste rocce inclusi microgranulari scuri di dimensioni medie attorno ai 30, 40 centimetri, composti essenzialmente da minerali femici. Le granodioriti monzogranitiche ed i monzograniti rappresentano la quasi totalità degli affioramenti dei granitoidi; usualmente di colore grigio, la grana varia da equigranulare media a inequigranulare medio-grossa con biotiti che possono raggiungere dimensioni notevoli. La tessitura orientata è spesso riconoscibile a scala mesoscopica. Le facies inequigranulari hanno spesso composizione monzogranitica. È frequente osservare nelle facies granodioritiche intrusi microgranulari scuri simili a quelli osservabili nelle tonaliti. Un plagioclasio sodico (An30-An40) è il minerale più abbondante, seguito da k-feldspato e quarzo. Biotite e anfibolo sono pressoché sempre 338 C. MARINI, E. MANNINI presenti, mentre tra gli accessori si annoverano apatite, epidoto, zircone, titanite e magnetite. Prendendo come punto di riferimento la miniera di Sa Matta, le litologie cenozoiche affiorano a nord ed in tutto il settore occidentale della zona in esame, costituendo il riempimento della fossa di Ottana e la sommità di qualche rilievo collinare. Oltre le colate laviche sono diffuse facies ignimbritiche e tufacee. Le prime spiccano per la presenza di strutture a fiamma e la mancanza di scorie di tetto e di letto. Spesso sono osservabili noduli di selce e frammenti di resti vegetali silicizzati. La facies tufacea è cineritica con un colore che varia dal biancastro al verdastro. IL GIACIMENTO DI SA MATTA Caratteri geologici e petrografici Le coltivazioni minerarie individuano tre zone (Vecchio Sa Matta, Logorgai, Massa Pierino; vedasi carta geologica, Fig. 1), correntemente utilizzate per designare differenti tipologie di minerale ed anche differenti situazioni geologiche. L’assetto strutturale delle litologie ricalca in pieno quello imposto dall’orogene ercinico in questa zona. Nel settore occidentale delle coltivazioni le giaciture delle rocce carbonatiche di Sa Matta, seguono perlopiù la direzione E-W o NE-SW. Mentre nella parte orientale in prossimità dei granitoidi l’assetto muta verso la direttrice NNW-SSE. Le immersioni in entrambi i casi sono verso i quadranti settentrionali e le inclinazioni sono elevate, in quanto mai inferiori a 45° e spesso subverticali. La tettonica gioca un ruolo importante nell’assetto del giacimento, in quanto il sistema di faglie o fratture ha agito come via preferenziale di circolazione dei fluidi mineralizzanti, e ne ha dislocato parti anche di una certa importanza. A questo si aggiungono le trasformazioni metasomatiche che spesso le rocce incassanti hanno subito, ovvero cloritizzazione per i granitoidi e talchizzazione per i carbonati (Foto 1). I granitoidi mostrano scarsa variabilità di facies e rispetto alla zona circostante va rilevata l’assenza delle concentrazioni di femici. Sono osservabili dei filoncelli pegmatitici con biotite, feldspati e talvolta granati, oltre a ben più significativi inclusi gneissici o micascistosi di incerta origine. Infatti in alcuni casi è evidente che il granitoide nel mettersi in posto si è insinuato nei micascisti sfruttando i piani di scistosità ed isolando così delle porzioni di forma lenticolare o filoniana, mentre in altri casi è ben più difficile giustificare degli inclusi situati molto distanti dai micascisti. Tali inclusi presentano spesso una struttura ptigmatica, costituta da liste quarzoso-feldspatiche, immerse in una matrice microcristallina di colore scuro. In sezione sottile sono generalmente evidenti due zone, una costituita da biotite e in subordine muscovite, in una tessitura lepidoblastica perlopiù isotropa, ma con locali accenni di orientazione dei cristalli; la seconda è composta da grossi cristalli di quarzo (mostranti spesso estinzione ondulata), plagioclasio e abbondante microclino, in tessitura decisamente granoblastica molto raramente occhiadina. CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL GIACIMENTO DI TALCO… 339 Foto 1. Relitto di calcite (Ca) nel talco (Ta). Nicols X, 320 ingrandimenti. L’associazione fondamentale delle granodioriti «sane» è data da abbondanti quarzo e mica scura, e da feldspati. Come accessori sono presenti ossidi e solfuri di ferro, zircone, epidoti ed apatite. La transizione dal granitoide sano a quello cloritizzato avviene con un palese cambiamento di colore che dal grigio passa al verde sempre più intenso (Foto 2). Dal punto di vista mineralogico si osserva che la struttura rimane pressoché invariata, ma scompare la biotite, i plagioclasi tendono ad albitizzarsi mentre il quarzo rimane invariato nei primi stadi. La cloritizzazione crescente determina la scomparsa di plagioclasi/albiti e del quarzo, a favore di clorite e di una quantità variabile di talco disseminato. Quando il processo di trasformazione è completo il granitoide cloritizzato cede il posto ad una clorite pura o talcosa, in ogni caso compatta, a cui segue la mineralizzazione d’interesse economico. Questa situazione si verifica sempre senza eccezioni per la Massa Pierino e Logorgai. In sezione sottile i plagioclasi (oligoclasio ed andesina) ed il K-feldspato sono Foto 2. Evoluzione della cloritizzazione nei granitoidi: γ) granitoide sano; γ Ab) granitoide albitizzato; γ chl) granitoide cloritizzato; chl) clorite. 340 C. MARINI, E. MANNINI spesso torbidi ed offuscati da una patina di alterazione; nel k-feldspato sono visibili talvolta piccole zone di smescolamento pertitico. Particolarmente diffuso è anche il microclino, raramente si osservano miche scure se non come inclusioni in altri minerali (ad esempio il quarzo), comune è la clorite sia come patina sui plagioclasi sia in gruppi di cristalli isolati. Da segnalare la presenza di clorite tipo pennina che indica la probabile derivazione dalla biotite. Talvolta si osservano individui di muscovite e di epidoti. I micascisti affiorano soprattutto nel settore settentrionale della miniera; facilmente riconoscibili per il colore marrone, determinano solitamente la chiusura della mineralizzazione. L’assetto strutturale è conforme alle direttrici descritte in precedenza, sebbene le scistosità non siano sempre marcate, e quindi si presentano perlopiù massivi con una certa eterogeneità di facies. In affioramento è possibile distinguere facies quarzitiche con presenza di grafite, particolarmente abbondante nelle zone di faglia. La composizione mineralogica fondamentale è data da quarzo, biotite e muscovite, a cui si aggiungono gli accessori clorite, epidoti, granati, anfiboli, ossidi e solfuri di ferro, rutilo e zircone. GAVOILLE [18] e MASSOLI NOVELLI [5] segnalano anche la presenza di andalusite e sillimanite, che non sono state osservate nella serie di sezioni sottili prese in esame. La peculiarità dei micascisti risiede nel fatto che rappresentano una guida alla prospezione, in quanto la loro intersezione nei sondaggi determina sistematicamente la chiusura della mineralizzazione. Questo è particolarmente vero per la Massa Pierino, mentre in affioramento è possibile osservare come la transizione tra i micascisti e la mineralizzazione si esplichi mediante la trasformazione in un litotipo completamente differente dalla roccia di partenza, oppure, tramite zone di faglia caratterizzate da melange di talco e/o clorite e abbondante grafite. In prossimità del contatto con i carbonati o con la mineralizzazione a talco i micascisti tendono a cloritizzarsi in maniera crescente, ed al tempo stesso si osserva un cambiamento mineralogico notevole, in quanto cedono il passo ad una roccia di colore rosa più o meno acceso, costituita da quarzo e clinozoisite con accessori epidoto e clorite. La potenza di questi banchi di «epidotite» è quanto mai varia, spaziando da meno di uno fino a venti metri. Questa disparità di dimensioni fa si che spesso vi siano degli inclusi di carbonati e persino di micascisti inalterati. Può anche accadere che il contatto tra «l’epidotite» ed i micascisti sia tettonico come avviene nella parte alta degli scavi. Le rocce carbonatiche non hanno una composizione mineralogica unica in quanto spazia da calcarea a dolomitica, anche se è la calcarea a prevalere. Il colore è solitamente grigio cenere, schiarendosi dove abbonda la dolomite, bianco lattea. Sono rocce ricche di grafite, disposta in livelli pluricentimetrici lungo le superfici di clivaggio e di discontinuità, spesso assieme a talco polverulento. Hanno solitamente una struttura granulare, talvolta saccaroide, talvolta isotropa, specialmente nei termini di più alto grado metamorfico, veri e propri marmi, affioranti in prossimità del contatto con i granitoidi. Sul terreno è ben riconoscibile un livello skarnoide a granati grossularia che individua il passaggio tra i marmi ed i granitoidi. Poco distante affiorano un numero consistente di lenti di wollastonite, ulteriore indicatore dell’alto grado di metamorfismo raggiunto. CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL GIACIMENTO DI TALCO… 341 Le dolomie si osservano in ammassi con abbondante dolomite spatica associata spesso a talco in lamelle ed a magnesite rosa arancione. Quest’ultima può anche essere dominante in zone dove è facile riconoscerla per il suo colore. Caratteri giacimentologici dei corpi mineralizzati Vecchio Sa Matta Si tratta di corpi talcosi ospitati all’interno delle rocce carbonatiche, la cui geometria è descrivibile in termini di ammassi lentiformi o filoniani. I primi, economicamente più interessanti, non hanno una distribuzione omogenea, ma si presentano irregolarmente all’interno della roccia incassante, di cui spesso conservano al loro interno dei trovanti, più o meno talchizzati, la cui dimensione spazia da pochi decimetri fino a superare il metro. È molto comune anche la presenza di ammassi di calcite spatica di evidente ricristallizzazione. Il talco appartenente a queste lenti è di colore bianco o debolmente grigio verde per la presenza di clorite, sia diffusa sia concentrata in «mosche». Prevalentemente microcristallino, si presenta compatto oppure scaglioso, con i piani di fissilità solitamente concordanti con le giaciture della roccia incassante. Talvolta è polverulento e fortemente inquinato da calcite spatica. In associazione con il talco ci sono la grafite, la clorite, la calcite, mentre tra gli accessori annoveriamo la titanite, macroscopicamente riconoscibile e le cui dimensioni possono raggiungere il centimetro. La grafite è comune e si concentra in ammassi o in piani arealmente estesi, di potenza anche decimetrica. Gli ammassi filoniani sono strettamente legati alle giaciture delle rocce carbonatiche, in quanto si sviluppano spesso lungo le loro discontinuità. La potenza varia da pochi centimetri fino a qualche metro, e sebbene il talco sia generalmente molto bianco, sono difficilmente coltivabili a causa della loro scarsa potenza o per l’inquinamento di grafite. Anche i granitoidi hanno un loro ruolo in questo tipo di mineralizzazione, in quanto sono osservabili dei contatti diretti tra ammassi talcosi e granitoidi. Questi contatti si esplicano con una cloritizzazione progressiva dei granitoidi, fino ad arrivare ad una fascia di clorite che separa il talco vero e proprio dallo sterile. La potenza di questa fascia oscilla da pochi centimetri fino a superare il metro, dando luogo in quest’ultimo caso a coltivazione. Logorgai È una zona periferica dell’area coltivata, e da sempre è stata oggetto di attività estrattiva subordinata, anche tenuto conto della tipologia di minerale presente. Infatti qui domina la clorite, la cui abbondanza si deve alla presenza di granitoidi profondamente alterati. Sono coltivabili anche le estese fasce cataclastiche, in ragione del fatto di essere costituite da un breccia di minerale immersa in una matrice molto fine, costituita anch’essa da un «melange» di talco e clorite. Tuttavia le parti più interessanti sono costituite da veri e propri ammassi dove la clorite, compatta, mostra un colore verde cupo. È presente anche il talco, microcristallino, sotto forma di piccole concentrazioni o disperso in esili venette nella massa della clorite, anche se localmente può arrivare al cinquanta per cento della massa mineralizzata. Molto spesso la tessitura degli ammassi 342 C. MARINI, E. MANNINI di clorite ricorda quella dei granitoidi, potendosi osservare la disposizione dei cristalli prima della completa cloritizzazione. Gli accessori sono particolarmente numerosi, infatti sebbene compatte, queste masse di clorite celano numerose cavità, il cui volume raggiunge e supera talvolta il decimetro cubo. L’interno di queste geodi contiene in abbondanza quarzo, calcite e talco in lamelle bianche. La calcite si presenta in romboedri da millimetrici a sub centimetrici la cui colorazione varia da incolore a giallo chiaro fino ad arancio chiaro. Il quarzo cristallizza sia in prismi millimetrici, sia in ammassi molto più grandi, che sovente occupano quasi tutta la cavità. Il talco associato a queste geodi si dispone sempre in un sottile strato lungo la superficie della cavità, in piccole lamelle bianche. Anche l’apatite è stata rinvenuta all’interno di queste cavità, in prismi trasparenti molto allungati (massimo sui 5 millimetri), di evidente simmetria esagonale, con sommità tabulari e con colorazione che varia da incolore a giallo pallido. Nella clorite massiva sono stati rinvenuti anche alcuni cristalli globulari ed ottaedrici di pirite, con al massimo spigoli della lunghezza di 5 millimetri. Massa Pierino Rappresenta la parte del giacimento più importante per qualità e quantità. È stata indagata approfonditamente mediante sondaggi, per cui è possibile ricostruirne con buona approssimazione i contorni (Fig. 2: sezioni). La geometria è assimilabile ad un Figura 2. Sezioni della Massa Pierino. CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL GIACIMENTO DI TALCO… 343 cilindroide inclinato verso nord ovest di circa 45° rispetto all’orizzontale, con l’asse diretto parallelamente alla sezione A (Fig. 1: carta geologica). Le sezioni in figura fanno parte di quelle ricostruite durante l’ultima campagna di sondaggi svolta nella miniera. L’incassamento, costituito sempre da micascisti e da granitoidi, è la peculiarità di questa massa di talco. A tetto si trovano generalmente granitoidi sani, che si cloritizzano più intensamente con l’approssimarsi della Massa Pierino. Sia in affioramento che nei sondaggi vi sono zone di clorite all’interno di granitoidi cloritizzati, a loro volta circondati da granitoidi sani. La sequenza ideale prevede la scomparsa graduale della clorite a favore del talco, mediante una zona di transizione a cui cede il passo il cuore della Massa Pierino. Talvolta il passaggio sterile di tetto-mineralizzazione avviene con l’alternarsi di zone di clorite con zone di granitoidi cloritizzati, per cedere invariabilmente il passo alla situazione «normale», anche nelle zone di ridotta potenza della Massa. I micascisti si posizionano di solito a letto, ed in affioramento è visibile un contatto diretto con il corpo talcoso. Analogamente ai granitoidi, nei pressi del contatto la roccia mostra un aumento della clorite. Altro dato importante che emerge dai sondaggi [17] è il probabile contatto tettonico tra la Massa Pierino ed i micascisti a letto, in quanto tra i due si frappone una fascia in cui sono presenti talco sminuzzato, grafite, clorite e lembi di micascisti in una giacitura caotica. Il talco della Massa Pierino è compatto, spesso laminato con la frequente presenza di cristalli lamellari da millimetrici a centimetrici disposti a ventaglio in aggregati sferoidali. Il talco bianco è predominante, anche se localmente diventa più grigio-verde per la presenza di clorite, molto subordinata. In alcune parti si arricchisce in grafite, concentrata in ammassi compatti e pertanto di facile eliminazione (la grafite dal punto di vista industriale è un inquinante che abbassa il valore del prodotto). Sono presenti trovanti carbonatici di dimensioni quasi sempre superiori ai cinquanta centimetri e grazie ai recenti lavori si è potuto constatare come vi sia una certa abbondanza di livelli carbonatici relitti talchizzati in vario grado. Rispetto al «Vecchio Sa Matta» è quasi assente il talco polverulento in melange con grafite o calcite. Un tema di ricerca, importante non solo ai fini della pianificazione della coltivazione, è stato l’individuazione dei rapporti tra le mineralizzazioni Massa Pierino e «Vecchio Sa Matta». Sul terreno era impossibile capire questo rapporto, a causa dell’abbondanza del detrito, per cui l’attenzione si è spostata sulla documentazione storica costituita dalle relazioni minerarie annuali e relativi piani di miniera in sotterraneo (parte dell’attività non si è svolta a cielo aperto [17]). Da questi documenti risulta esplicitamente l’esistenza di una «vena mineralizzata che unisce i due giacimenti» al livello 380 (corrispondente alla quota s.l.m. 400), e nei piani di questo livello sono evidenti le coltivazioni effettuate seguendo questa mineralizzazione. A causa della difficoltà di correlare i vecchi piani di coltivazione e la topografia attuale la Società Concessionaria ha intrapreso ricerche sul terreno mediante trincee e sondaggi, che hanno portato all’accertamento dell’unione tra la Massa Pierino e il «Vecchio Sa Matta». Il minerale che appartiene a questa fascia, presenta caratteri di entrambe le mineralizzazioni, avvicinandosi maggiormente a quello descritto per il «Vecchio Sa Matta». 344 C. MARINI, E. MANNINI Caratteri minero-petrografici del talco e della clorite I campioni provenienti dalle diverse parti del giacimento sono stati osservati al microscopio ottico e sottoposti ad analisi alla microsonda (Cameca SX 50, 15 KV 10nA del UMR 5563 Univ. P. Sabatier, Tolosa). Il talco e la clorite sono suddivisi per la dimensione massima delle lamelle, e per ognuna di queste categorie si effettua la stima dell’abbondanza. Le dimensioni delle lamelle hanno un importante carattere diagnostico finalizzato ai possibili utilizzi industriali di questi minerali. Ad esempio nel campo delle materie plastiche maggiore è la grandezza delle lamelle di talco, maggiore è la probabilità che questo sia utilizzabile, diversamente la materia prima viene destinata ad altri usi industriali. Dalla analisi della tabella si evince che i campioni provenienti da Massa Pierino sono costituiti quasi esclusivamente da talco, mentre nel «Vecchio Sa Matta» la clorite aumenta di importanza fino a raggiungere le massime percentuali a Logorgai, dove il talco è del tutto subordinato. Le cloriti, al microscopio ottico, si individuano per il colore che va dal verde molto pallido all’incolore, con un pleocroismo poco frequente e debole, sempre sul verde. A nicols incrociati è molto evidente la cristallizzazione, costituita da aggregati globulari raggiati. Nei campioni provenienti da Logorgai sono comuni anche cristalli millimetrici con una morfologia a «bacchetta», cioè molto schiacciati rispetto all’allungamento, che ricordano la morfologia delle miche osservabili nei granitoidi. In tutti i casi la birifrangenza è molto debole, con colori di interferenza sul grigio. Le lamelle si distribuiscono in «domini» alternati a zone occupate dal talco, oppure costituiscono la pressoché totalità della sezione, come nella Smt 8 (98% di clorite). Sulla base delle formule cristallochimiche, i punti analisi, raggruppati per tipo di giacimento e per dimensione delle lamelle, sono stati plottati in due diagrammi di Hey (Fig. 3 [10]) al fine della caratterizzazione mineralogica. È evidente come la maggior parte delle cloriti sia di tipo Clinocloro, con subordinate Sheridanite e Pennina. La Tab. 3 riassume le informazioni ottenute dai diagrammi di Hey. I punti analisi, i cui valori medi sono riportati nella Tab. 4, sono stati anche plottati nel diagramma ternario Al2O3,FeO,MgO di Fig. 4. Esso mostra una notevole sovrapposizione tra le tre aree, mostrando una netta uniformità composizionale tra le cloriti provenienti dai diversi corpi. Il talco in sezione sottile appare incolore nelle osservazioni con il solo polarizzatore, mentre a nicols incrociati assume vistose colorazioni dovute a colori d’interferenza d’ordine superiore al primo. La morfologia più frequente dei cristalli di talco è rappresentata da aggregati di lamelle disposte a ventaglio, spesso subcircolari. Non si osservano tessiture orientate. Le dimensioni minime delle lamelle sono intorno ai dieci micrometri, e per il talco di questa grandezza si utilizza la dicitura microcristallino. Tra questo talco e quello che ha le dimensioni maggiori, superiori al millimetro, vi è tutta una serie di dimensioni intermedie. Nelle lamelle più grandi sono spesso visibili le tracce di sfaldatura 345 CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL GIACIMENTO DI TALCO… Tabella 2. Rapporti reciproci tra talco e clorite nelle sezioni sottili prese in esame. TALCO Sezione sottile Tipo di giacimento Dimensioni (in microns) S 5-1 Massa Pierino ≥ 500 20÷50 ≤ 10 S 1-2b Massa Pierino S 1-4 CLORITE Dimensioni % 30 20 48 25 2 200÷500 ≤ 100 35 50 200÷500 ≤ 20 5 10 Massa Pierino ≥ 500 150÷200 ≤ 10 20 20 55 200 5 S 3-2 Massa Pierino 100÷400 ≤ 10 43 42 50÷500 ≤ 20÷30 2÷3 12÷1 3 S VSM 1 Vecchio Sa Matta 500÷2000 ≅ 300 ≤ 100 sporadico 50 30 100÷150 ≤ 10 1÷2 18÷1 9 S 4-1 Vecchio Sa Matta 1000 300 ≤ 10 10 30 55 30÷50 5 Smt 11 Vecchio Sa Matta 100÷500 25÷30 35÷40 35÷40 ≤ 20 20÷3 0 Smt 8 Logorgai 200÷300 1÷2 ≅ 1000 200÷500 40 ≤ 10 2 32 32 32 Smt 9 Logorgai ≅ 200 10÷50 ≤ 10 5 5 40 ≅ 50 50 S 3-1b Logorgai 100÷200 20 200÷500 ≤ 20 5 75 Figura 3. Classificazione delle cloriti in base al diagramma di Hey [10]. 346 C. MARINI, E. MANNINI 347 CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL GIACIMENTO DI TALCO… Tabella 3. Classificazione delle cloriti in base ai diagrammi di Hey [10]. Ripidolite Sheridanite Clinocloro Pennina Talco-clorite Log MP VSM > 300 µ 100÷300 µ < 50 µ 1 2 12 3 1 1 1 13 0 0 0 1 6 3 0 1 2 3 0 0 1 2 9 0 1 0 0 15 5 1 Tabella 4. Medie delle analisi della clorite alla microsonda (Cameca SX 50, 15 KV 10 nA). SiO2 % TiO2 % Al2O3 % Cr2O3 % FeO % MnO % MgO % CaO % Na2O % K2O % ZnO % NiO % F% H2O(c) O=F Sum Ox% N. punti Massa Pierino Vecchio Sa Matta Logorgai 31,074 0,006 19,799 0,039 5,501 0,022 30,747 0,021 0,021 0,009 0,033 0,019 0,213 12,556 0,090 99,968 15 32,101 0,019 19,185 0,034 5,172 0,028 31,297 0,031 0,019 0,008 0,047 0,041 0,145 12,722 0,059 100,794 10 31,862 0,015 18,888 0,037 5,483 0,076 31,051 0,034 0,033 0,009 0,044 0,023 0,244 12,585 0,101 100,281 19 secondo il piano (001). Le sezioni provenienti dalla Massa Pierino ed in subordine dal Vecchio Sa Matta, sono costituite per la maggior parte da talco, nel quale si concentrano domini cloritosi, aventi dimensioni al massimo del millimetro. Al contrario dei campioni provenienti da Logorgai, dove è il talco ad essere nettamente subordinato. La Tab. 5 mostra un aumento del Fe, da Massa Pierino a Logorgai, e cioè dal corpo mineralizzato meno ricco al più ricco in clorite. Inoltre è significativo il più alto contenuto in F nel Logorgai, dove, come prima detto, è stata rinvenuta fluoroapatite, visibile anche a occhio nudo. 348 C. MARINI, E. MANNINI Figura 4. Disposizione dei punti analisi della clorite nel diagramma ternario FeO, MgO, Al2O3. Tabella 5. Medie delle analisi del talco alla microsonda (Cameca SX 50, 15 KV 10 nA). SiO2% TiO2 % Al2O3 % FeO % MnO % MgO % F% Cl % Na2O % H2O(c) O=F O=Cl Sum Ox% Punti analisi Massa Pierino Vecchio Sa Matta Logorgai 63,546 0,008 0,170 0,841 0,035 31,329 0,268 0,009 0,040 4,637 0,113 0,002 100,768 N = 28 63,771 0,011 0,193 1,101 0,018 31,070 0,239 0,014 0,053 4,660 0,101 0,003 101,026 N = 30 63,218 0,000 0,107 1,316 0,024 30,902 0,401 0,009 0,016 4,546 0,170 0,001 100,368 N = 12 CONCLUSIONI E DISCUSSIONE SULLE FENOMENOLOGIE GENETICHE Il modello genetico che si propone, sebbene derivi direttamente da quello di GARBARINO et al. [1], [2] e FIORI et al. [3], approfondisce le conoscenze sulla genesi del talco avvalendosi CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL GIACIMENTO DI TALCO… 349 dei nuovi riscontri geologici sul terreno e dei dati mineropetrografici acquisiti. Secondo il modello, un metasomatismo sodico è da attribuirsi a fluidi successivi alla messa in posto dei granitoidi (tra i 10 e 40 Ma, [20]). Questi hanno trovato modo di diffondersi attraverso le fratturazioni e le vie preferenziali costituite da faglie, raggiungendo sia i granitoidi sia i micascisti. Queste rocce vengono quindi albitizzate secondo le reazioni schematiche della Tab. 1, mentre il fluido cambia di composizione, arricchendosi in Ca, K, Fe, Al, e Mg. Il contatto con le rocce carbonatiche induce anche l’aumento di CO2 e del pH. Numerose lenti a clinozoisite e quarzo ed a epidoto affioranti nell’area (oltre che nei cantieri minerari) sono, quindi, da mettere in relazione con il cambiamento del fluido dopo l’albitizzazione, che, anche in seguito a questa deposizione, tende sempre più ad arricchirsi in magnesio. In definitiva il metasomatismo si è sviluppato attraverso l’albitizzazione e la cloritizzazione (testimoniata dalla diffusa presenza di clorite entro i corpi albitici), successivamente ha innescato il meccanismo di formazione retrograda del talco. Nell’affrontare nel dettaglio la genesi del talco e della clorite, è utile considerare separatamente le tipologie di corpi mineralizzati di Sa Matta. A Logorgai abbiamo visto come domini la clorite. Nei granitoidi investiti dal fluido metasomatico hanno luogo inizialmente le reazioni E, F, G che inducono la scomparsa di tutti i minerali a favore della clorite, con la possibilità di avere piccole quantità di talco (reazione N). Come conseguenza di tali reazioni nei fluidi aumenta il contenuto in silice, sodio, calcio e potassio. Per quanto riguarda l’ossigeno, liberatosi in seguito alla sola reazione E, un’alta concentrazione nei fluidi si scontra con la presenza diffusa di grafite e di pirite. Quindi la reazione E deve aver avuto luogo in modo poco significativo, supposizione confortata dal fatto che il contenuto di plagioclasi albitici nei granitoidi sani è molto scarso. Il sodio, il potassio ed il calcio entrano a far parte dei minerali sfene, apatite e calcite (è alta la fCO2, per la presenza dei calcari), accessori effettivamente molto abbondanti a Logorgai. Tuttavia è difficile credere che i minerali accessori siano in grado di assorbire tutto il sodio, per cui bisogna riferirsi ad una albitizzazione molto debole e poco significativa che si nota appena il granitoide comincia a cloritizzarsi (Foto 2). Questa potrebbe essere quindi dovuta proprio al sodio liberato dalla reazione E che si sposta verso il granitoide sano. Gli ammassi più ricchi in talco si dovrebbero formare quando la reazione L aumenta di importanza, tuttavia a Logorgai questo non avviene in grande misura. Nel settore del «Vecchio Sa Matta» affiorano quasi esclusivamente calcari, pertanto la formazione del talco avviene secondo la reazione M e non secondo quella di Winkler [10], a causa dello scarso contenuto di magnesio nei calcari [5]. Gli ammassi isolati di magnesite ± dolomite ± talco lamellare sono presumibilmente dovuti al fatto che il fluido mineralizzante, nell’attraversare certe zone dei calcari fosse impoverito di silice, per cui la reazione M non poteva andare a compimento. Ciononostante il magnesio presente nel 350 C. MARINI, E. MANNINI fluido è entrato nel reticolo della calcite dando luogo alle fasi mineralogiche secondarie. Per quanto riguarda la Massa Pierino, dato che a tetto sono presenti i granitoidi, si può supporre che il fenomeno di trasformazione descritto per Logorgai sia valido anche qui. Tuttavia è difficile giustificare un livello così potente di talco a fronte della poca clorite. Un’ipotesi potrebbe consistere nell’ammissione che questo talco sia dovuto alla trasformazione metasomatica di calcari sottostanti i granitoidi. Il contatto tra tetto degli ipotetici calcari ed il letto dei granitoidi dovrebbe essere di natura tettonica, cosa purtroppo non verificabile sia perché il contatto di tetto non è visibile direttamente, sia perchè i sondaggi sono stati qui eseguiti a distruzione. Per giustificare questa mineralizzazione si potrebbe invocare un meccanismo che abbia agito secondo questa sequenza: i fluidi, introducendosi in questo livello di calcari, hanno generato il talco secondo il processo già descritto per il Vecchio Sa Matta, e poi hanno continuato a muoversi verso i granitoidi, sui quali innescano prima la cloritizzazione poi l’alterazione albitica (Foto 2). BIBLIOGRAFIA [1] C. GARBARINO, M. FIORI, S.M. GRILLO, A. MARCELLO, C. MARINI, S. PRETTI, Genetic links between albite and chlorite-talc mineralizations in central Sardinia. Italy. Proceedings of the second biennal SGA Meeting Granada, 679-682 (1993). [2] C. GARBARINO, M. FIORI, S.M. GRILLO, A. MARCELLO, C. MARINI, S. 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