Cina, occhi puntati sulla crisi `occidentale`
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Cina, occhi puntati sulla crisi `occidentale`
Cina, occhi puntati sulla crisi ‘occidentale’ Pechino rivendica un ruolo più attivo nella politica economica mondiale Lugano – Recentemente il settimanale britannico ‘The Economist’ ha dedicato un editoriale alla Cina e, più esattamente, a come i cinesi guardano il resto del mondo, in questo momento di profonda crisi economica. Il gigante giallo, infatti, è preoccupato per il susseguirsi di eventi negativi che, ormai, hanno ferito anche questo paese ritenuto in un primo momento immune dal contagio. In realtà, benché la Cina non stia attraversando una crisi del sistema finanziario come quella che dagli Stati Uniti ha rapidamente risucchiato l’Europa, ha comunque dovuto fare i conti con un imprevisto congelamento dell’export, fonte di sostegno primaria per lo sviluppo del paese. Vi è tuttavia un elemento fondamentale che distingue il governo cinese da quelli occidentali nell’approccio alla crisi: Pechino non solo reputa gli americani colpevoli dell’attuale dissesto, ma si sta muovendo sullo scacchiere internazionale con proposte che mirano chiaramente a porsi in primo piano, oltre che a salvaguardare gli interessi della propria nazione. Basti pensare alla richiesta formulata alcune settimane fa, con cui la Cina propone una riforma del sistema monetario che miri alla creazione di una moneta di riserva sopranazionale, destinata a sostituire il dollaro. Si tratta di una presa di posizione molto forte e precisa, che scaturisce dal desiderio dei cinesi di afferrare la leva del comando, prima che americani ed europei decidano senza di loro. La Cina, insomma, rivendica il diritto di assurgere ad un ruolo più attivo e fondamentale nella conduzione della politica economica mondiale. Non c’è assolutamente da meravigliarsi, in realtà, per tale richiesta. L’ascesa del mercato cinese sulla scena internazionale segue una traiettoria ininterrotta da trent’anni a questa parte. Oltre alla favolosa crescita del PIL, la Cina ha assistito ad un rafforzamento costante delle relazioni internazionali e degli interessi occidentali nei suoi confronti, sia da un punto di vista diplomatico che commerciale ed economico. La progressiva apertura del mercato ha aumentato le risorse finanziarie del paese, che ha cominciato ad investire all’estero fino a diventare il principale detentore di titoli statali americani (700 miliardi di dollari). E sulla scìa dei portentosi risultati conseguiti, i leader cinesi, con il primo ministro Wen Jiabao all’avamposto, non esitano ad elargire lezioni di trionfalismo all’estero. Il governo cinese è dunque il primo a non voler più aderire al vecchio ruolo di attore ‘umile’ del mondo degli affari, ripiegato solo sul proprio sviluppo interno. Oggi Pechino vuole molto di più: intende partecipare alle decisioni mondiali, si definisce una grande potenza e sta persino ini- ziando a trattare con una certa superficialità gli occidentali. Ne sono di esempio la scarsa considerazione riservata a Hillary Clinton durante la sua recente visita a Pechino o il tentativo di ridicolizzare le affermazioni del nuovo Segretario al Tesoro USA, relative alle presunte manipolazioni del renminbi (la moneta cinese). Questa nuova assertività dei cinesi riflette la loro forza, ma serve anche a mascherare la loro fragilità. La crisi economica è il punto debole: il mercato del lavoro sta soffrendo visibilmente e gli ultimi dati evidenziano una perdita di posti di lavoro pari a circa 20 milioni. La Banca Mondiale ha inoltre tagliato le previsioni sulla crescita del PIL che, per l’anno in corso, dovrebbe scendere dall’8% al 6,5%, un livello sempre molto elevato nel raffronto internazionale, ma che per molti cinesi è già sinonimo di recessione. Questa situazione sta inoltre sollevando una sorta di malumore generale tra la popolazione ed infatti si stanno moltiplicando le manifestazioni di protesta da parte dei cittadini che sono stati privati dei loro terreni per lo sviluppo industriale, dei nuovi disoccupati e addirittura di coloro che stanno subendo i contraccolpi dell’inquinamento atmosferico. Di fronte a questa situazione interna, il governo ha irrigidito il proprio atteggiamento, chiudendo le porte ai numerosi appelli verso una maggiore liberalizzazione del mercato. Nello stesso tempo non sembra voler ascoltare nemmeno i richiami dei comunisti più estremisti, che vorrebbero approfittare del rallentamento economico per bloccare le riforme liberiste. In sostanza, con il peggioramento del quadro congiunturale e l’insorgere del malcontento popolare, il governo centrale ha optato per una linea di condotta meno “democratica” all’interno e più decisionistica all’estero. A conti fatti, quindi, anche la Cina si trova attualmente in una posizione delicata e precaria, nonostante l’audacia con cui si sta proponendo sul palcoscenico internazionale. Il mondo non può essere bipolare come molti pensavano, ossia Usa da una parte e Cina da quell’altra; in mezzo c’è un’Europa che, nonostante tutte le sue difficoltà di coesione, rappresenta comunque la più grande economia del pianeta. E poi c’è l’India, altra potenza emergente che ha una popolazione superiore a quella cinese. Naturalmente tutto questo non getta un’ombra sul potere economico e commerciale della Cina, ma quanto meno invita a riflettere sul fatto che l’obiettivo prioritario per affrontare la crisi è quello di trovare un dialogo comune e non certo di mostrare i denti. ANNA RUSSO CORNÈR BANCA, LUGANO