LA COSTITUENTE DELLE DONNE DI TRIESTE
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LA COSTITUENTE DELLE DONNE DI TRIESTE
LA COSTITUENTE DELLE DONNE DI TRIESTE PER IL PARTITO DEMOCRATICO ● Rinnovamento della politica ● Laicità ● Riequilibrio della rappresentanza ● Diritti di genere ● Lavoro Rinnovamento della politica C’è una forte domanda di partecipazione inespressa da parte della cosiddetta “società civile”. E’ per questo che il nascente Partito Democratico deve ridurre la lontananza tra i “cittadini” e il mondo della politica, deve ristabilire un rapporto di scambio virtuoso e reciproco tra rappresentanti e rappresentati e soprattutto deve dare dei segnali inequivocabili che permettano prospettive alla partecipazione reale, alla gestione democratica del partito stesso e al ricambio della classe dirigente. Per raggiungere tali obiettivi, di cui soprattutto le donne e i giovani potrebbero beneficiare perché rimasti finora ai margini della vita politica, riteniamo che sia necessario introdurre alcune chiare “incompatibilità” o divieti; alcuni di questi già sono in atto in alcune realtà, altri, qualora fossero adottati, permetterebbero una rappresentanza più diffusa e quindi una partecipazione più reale, poiché aumenterebbero il numero delle persone coinvolte in incarichi di responsabilità e quindi le possibilità di accedervi. 1. Divieto di cumulo di cariche elettive. (Lo svolgimento efficace di un ruolo elettivo nelle istituzioni richiede un impegno tale che appare problematico sostenere due cariche contemporaneamente; anche la correttezza del rapporto tra eletto ed elettori richiede che sia ben chiaro ed univoco quale sia il compito per il cui svolgimento un cittadino candidato sollecita il consenso.) 2. Divieto di replicabilità del mandato elettorale dopo due (max tre) mandati consecutivi. (L’introduzione di un limite al numero di mandati consecutivi, così come avviene per i sindaci, ha come scopo l’agevolazione del ricambio della classe politica. In effetti l’esperienza indica che l’eccessiva stabilizzazione del ceto politico tende ad impigrire la democrazia, non stimola l’impegno diretto dei cittadini. D’altro canto l’esigenza per l’eletto di acquisire una sufficiente conoscenza dei meccanismi delle pubbliche amministrazioni per svolgere al meglio le proprie funzioni può essere ragionevolmente soddisfatta, se gli elettori lo consentono, con la permanenza in una medesima funzione per un tempo pari a due mandati. La nuova legge elettorale regionale ne prevede tre.) 3. Incompatibilità tra funzione legislativa e contemporanea funzione di governo, a tutti i livelli. (L’eletto che svolge compiti legislativi e quindi di controllo dell’operato della giunta, non può simultaneamente far parte della giunta stessa. Condotta adottata da Illy e da Prodi. Il PD potrebbe valutare un ulteriore meccanismo democratico che limiti il potere discrezionale del presidente della giunta.) 4. Incompatibilità tra cariche esecutive e responsabilità di segreteria di partito. 5. Divieto di cumulo di cariche retribuite presso gli enti di secondo grado (C.d.A., ecc.). Si auspica che l’assegnazione di tali cariche avvenga con la massima trasparenza e sulla base di curricula e competenze. 6. Limitazione dei benefici legati alle cariche istituzionali, ma non necessari all’incarico stesso. Improrogabilità di tali benefici alla scadenza dei mandati. 7. Non candidabilità dei condannati per reati gravi con sentenza già passata in giudicato. Ci sono poi degli obiettivi “in positivo” per i quali il nuovo PD dovrebbe spendersi: 1. Rispetto dell’equità di genere all’interno di tutti gli organismi di partito. 2. Ripensamento dei tempi della politica e dell’organizzazione del partito parallelamente a un’incisiva promozione delle politiche di conciliazione, al fine di armonizzare i tempi della politica con i tempi di lavoro e di cura, rendendo possibile la partecipazione attiva ed effettiva alla vita politica da parte di tutti, ed in particolar modo delle donne. 3. Promozione della formazione politica rivolta a tutti (uomini, donne e giovani) sia come momento di sensibilizzazione, informazione ed educazione, sia come percorso privilegiato per l’accesso a ruoli di responsabilità. 4. Valorizzazione dei talenti personali e delle esperienze professionali e associative maturate da chi intende accedere a ruoli di responsabilità interni al partito o candidarsi a cariche elettive. 5. Reintegro dello strumento della preferenza, come scelta personale dell’elettore, a tutti i livelli. 6. Uso costante delle primarie come strumento di partecipazione e condivisione sia per la scelta dei candidati a cariche elettive che per gli incarichi interni al partito. Laicità Il tema della laicità dovrà essere per il Partito Democratico argomento di particolare riflessione e simbolo del rinnovamento della democrazia che è il principale fine del riformismo vero. Il PD dovrà quindi diventare il luogo in cui tutti i cittadini possano sentirsi rappresentati, a qualunque fede, etica e cultura appartengano. Mentre si avverte una crescente insofferenza per il conflitto continuo e la demonizzazione reciproca, è maturata la consapevolezza che la laicità non è il laicismo, non è negazione o indifferenza sui valori, ma ricerca di una sintesi più avanzata di dialogo e collaborazione, nel quadro delle linee tracciate dalla nostra Costituzione (a questo proposito è importante rileggere gli art. 7 e 8, ma anche 2, 3 19,e 20, che illustrano pienamente il tema della laicità e che non sono assolutamente obsoleti) Il tema della laicità è stato spesso usato malamente discutendo sulla scuola pubblica e privata. Laico non significa ovviamente il contrario di cattolico. Laicità non è un contenuto filosofico, bensì un abito mentale, la capacità di distinguere ciò che è dimostrabile razionalmente da ciò che invece è oggetto di fede, distinguere le sfere di ambiti delle diverse competenze della Chiesa e dello Stato. Laicità significa tolleranza, dubbio rivolto pure alle proprie certezze, capacità di credere fortemente in alcuni valori, sapendo che ne esistono altri, pur essi rispettabili. Essa costituisce una profonda moralità e si oppone sia al moralismo inacidito, sempre fazioso, sia alla disinvoltura etica. Per tornare alla scuola, è già un progresso che gli oppositori al finanziamento delle scuole private siano stati accusati, anche se a torto, laicisti, ossia è un bene che si cominci a distinguere fra laico e laicista, termine usato per designare un'arroganza aggressiva e intollerante, opposta e speculare a quella del clericalismo. Ma questo eventuale laicismo deteriore non si combatte con la scuola privata, anche se è vero che spesso vengono misconosciuti o deformati i valori del cattolicesimo, per faziosità e ignoranza di molti, ma anche spesso per l'incapacità della Chiesa di presentare il proprio messaggio in tutto il suo spessore e la sua forza. Proprio per questo è oggi importantissima una scuola pubblica laica e non laicista, seria, che non inculca fedi o ideologie, bensì insegna nozioni e discipline, sul fondamento di quei valori comuni che sono la base e la premessa della vita democratica di tutti i cittadini, credenti e non credenti. Solo la scuola pubblica può aprire al dialogo e al confronto di opinioni, fedi e valori diversi. La laicità è importante anche nell'affermazione della forza e dell'autonomia delle donne, perchè porta con sè tolleranza, diritti civili e responsabilità. Laicità è autonomia della politica, pluralismo delle concezioni religiose e morali, convivenza. Un pluralismo che sappia richiamarsi alle matrici culturali del nuovo partito, individuate nelle radici cristiane e illuministe e nel complesso in tutti i valori e i principi che l’esperienza europea ha elaborato, a volte in modo sofferto, nelle sue secolari vicende. Non c'è modernità se non c' è la capacità di tenere il passo delle nuove domande civili, sociali e d etiche. Anche questa è la laicità, che consente la società aperta. La laicità si arricchisce anche con nuove riflessioni che partono dalle inedite frontiere che la scienza ha aperto sulla nascita, la vita, la morte. Tutti ci sentiamo chiamati ad elaborare punti di vista su questi temi, su cui non c'è una tradizione consolidata. Le contrapposizioni frontali non favoriscono il confronto sereno per trovare posizioni pubbliche condivise. Ma le risposte possono essere possibili solo nel rispetto dei diversi punti di vista, del dialogo, dell'ascolto reciproco. Ritrovando, proprio sulle questioni cosiddette eticamente sensibili, il senso e il fondamento della democrazia, come spazio nel quale si assumono decisioni condivise, che rispettino la libertà, la responsabilità, autodeterminazione delle persone. L’uso della scienza e della tecnica per cercare di migliorare la vita e alleviare il dolore sono già patrimonio della vita comune e il non riconoscimento dei nuovi diritti porta con sé il rischio, già in atto, che si generi una disuguaglianza sociale tra chi ha i mezzi per tutelarsi da sé e chi non li ha. In conclusione la difesa della laicità dello Stato deve essere vista non come programma anticattolico o addirittura antireligioso, ma come attuazione dei fondamentali principi costituzionali. La laicità non è libera scelta della politica, ma è attuazione della Costituzione. Questo deve essere chiaro a tutti, ai laici credenti e non credenti, ma soprattutto ai cattolici più convinti e legati alle posizioni delle più alte Istituzioni cattoliche, che hanno ovviamente tutti i diritti di esprimere le loro valutazioni, ma non devono cercare di vincolare a queste i cattolici che nelle aule parlamentari devono legiferare in nome di tutti i cittadini italiani. Riequilibrio della rappresentanza Nell’intento di vedere affermato il valore di una equa rappresentanza delle donne negli organismi direttivi e nelle liste elettorali, per affermare che le donne non sono una minoranza da non discriminare ma parte integrante di una società che contribuiscono a formare e a cui offrono il proprio modo di vedere la realtà, diverso ma altrettanto valido di quello maschile, si ritiene necessario indicare i seguenti punti: l’inserimento in tutti gli Statuti e Testi Regolamentari della presenza al 50% dei due generi, coerentemente allo spirito del dettato costituzionale dell’art.51: - il rispetto di tale equa presenza anche negli organismi decisionali e di comando: l’attivazione di misure di controllo da parte di organismi a ciò preposti sull’attuazione degli impegni presi circa il riequilibrio della presenza delle donne nei vari settori della società; un’impostazione etica ai fini della tutela della persona, delle diverse culture e credenze, seppur nel pieno rispetto delle leggi vigenti; la concreta programmazione per un’effettiva conciliazione dei tempi , a vantaggio di un impegno più sereno di donne e uomini, occupati anche su fronti di assistenza famigliare o sociale oltre che lavorativa; il potenziamento dei servizi, dai nidi d’infanzia , anche ad organizzazione differenziata (aziendale, condominiale ecc.) ai centri di accoglienza e cura per anziani ( a tempo limitato o differenziato a seconda delle esigenze), al fine di attenuare la disparità di genere, nell’ambito dell’assistenza, e per favorire, invece, un nuovo e senz’altro proficuo equilibrio sociale attraverso una più libera scelta di impegno famigliare e/o lavorativo, sinora sbilanciato nei confronti delle donne, spinte, troppo spesso, alla rinuncia del lavoro in favore della assistenza parentale. Si propongono, inoltre, alcune modalità di norme da inserire nell’auspicato nuovo testo della Legge elettorale, sempre a pena di esclusione dalla competizione elettorale per chi non vi si attenga :abolire la pratica di liste chiuse con i candidati scelti e imposti dai partiti o, in mancanza di questa modifica,venga osservata l’alternanza di genere nella successione dei nomi di lista in caso di espressione di preferenza, sia possibile la doppia preferenza, purchè differenziata per genere - far divieto di candidature plurime in più collegi; curare che i candidati/le candidate siano il più possibile rappresentativi di varie fasce di età e di diverse esperienze lavorative osservare una assoluta equità di genere nella distribuzione dei tempi di apparizione sui media con penalizzazione del CO.RE.CON per i non ottemperanti; - stabilire un tetto di spesa massima per la campagna elettorale Diritti di genere A Vienna, nel 1993, si sancisce che i diritti umani delle donne e delle bambine sono parte integrante, inalienabile, indivisibile dei diritti umani. A Il Cairo, nel 1994, viene affrontato il grande tema del nesso fra popolazione e sviluppo. A Copenhagen, nel 1995, il tema dello sviluppo sociale. Per vent' anni, quindi, - da Città del Messico, nel 1975, a Pechino nel 1995, passando per Copenhagen nel 1980, e Nairobi, nel 1985 - le conferenze mondiali sulle donne sono diventate sedi appassionanti di dibattito, di costruzione di reti, di confronto e di scontro politico, di conquista di nuovi strumenti e di nuovi linguaggi da cui si è sviluppata un’ottica dei diritti di genere, e, dunque, la rilettura dell’intero sistema dei diritti umani da un punto di vista di genere. Soprattutto la Conferenza di Pechino ha rappresentato una svolta nei diritti di genere col suo piano di azione che indica gli obiettivi strategici da raggiungere e azioni da realizzare in dodici aree critiche: donne e povertà; istruzione e formazione delle donne; donne e salute; violenza contro le donne; donne e conflitti armati; donne ed economia; donne, potere e processi decisionali; meccanismi istituzionali per favorire il progresso delle donne; diritti umani delle donne; donne e media; donne e ambiente; bambine. Gli impegni assunti a Pechino sono stati confermati dalla 49ma sessione della Commissione ONU sullo stato delle donne ( Pechino + 10), tenutasi a New York dal 28 febbraio all’11 marzo 2005. Nella dichiarazione finale si sottolineano i progressi compiuti negli ultimi dieci anni nel mondo: miglioramento dell’educazione delle donne, loro avanzamento economico, incremento della partecipazione politica, eliminazioni di leggi discriminatorie. Si segnala, tuttavia, anche la persistenza di numerose aree nelle quali l’uguaglianza di donne e uomini non è ancora realtà. Resta diffusa, infatti, la violenza contro le donne, anche considerando i conflitti armati; aumenta l’incidenza di AIDS tra le donne, l’ineguaglianza di genere nell’occupazione, la mancanza di diritti sessuali e riproduttivi. Emerge comunque la necessità che i governi si impegnino di più, con strumenti adeguati, per la realizzazione della parità di genere. Quanto, in particolare, alla partecipazione paritaria delle donne ai processi decisionali, se ne sottolinea il collegamento con il corretto funzionamento della democrazia e con l’elaborazione di politiche pubbliche che integrino la dimensione dell’eguaglianza, tenendo in considerazione gli interessi delle donne. Si propone di affrontare il problema della bassa percentuale di donne tra quanti sono chiamati a posizioni di responsabilità a livello locale, regionale, nazionale e internazionale attraverso misure positive adeguate, che coinvolgano una pluralità di soggetti: governi, partiti politici, associazioni sindacali, organizzazioni imprenditoriali, organizzazioni internazionali e non governative. Nel 2000, inoltre, in occasione del Summit del Millenium delle Nazioni Unite, la più ampia riunione dei leaders del mondo nella storia, è stata adottata la Dichiarazione relativa agli obiettivi necessari per affrontare la povertà e la malattia. Tutti i 191 (oggi sono 192) membri degli Stati si sono impegnati ad incontrarsi per verificare gli otto obiettivi dello sviluppo del Millennio nell’anno 2015: 1. Sradicare la povertà estrema e la fame. 2. Raggiungere l’educazione primaria universale. 3. Promuovere l’uguaglianza dei generi e dare potere alle donne. 4. Ridurre la mortalità infantile. 5. Migliorare la salute delle madri. 6. Combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie. 7. Assicurare la sostenibilità ambientale. 8. Sviluppare la partnership globale per lo sviluppo Anche il rapporto UNDP ( Divisione di acquisizione delle Nazioni Unite) ha individuato quale obiettivo fondamentale dello sviluppo quello di offrire maggiori possibilità di scelta alle persone. Alla base di questo concetto vi sono tre componenti essenziali: · parità di opportunità per tutte le persone nell'ambito della società; · sostenibilità di tali opportunità da una generazione all'altra; · attribuzione di potere alle persone, in modo che possano essere partecipi e beneficiarie dei processi di sviluppo. Il pari godimento di diritti umani per le donne e per gli uomini è un principio universalmente accettato, riaffermato nella Dichiarazione di Vienna, adottata, nel giugno 1993, da 171 stati partecipanti alla Conferenza mondiale sui diritti umani e dalla Conferenza di Pechino del 1995. Questo principio presenta molteplici aspetti: · pari accesso ai servizi sociali di base, comprese educazione scolastica e sanità; · pari opportunità di partecipazione ai processi decisionali in politica e in economia; · pari retribuzione per lo stesso lavoro; · parità di tutela giuridica; · eliminazione di ogni forma di discriminazione sessuale e di violenza nei confronti delle donne; · parità di diritti dei cittadini in ogni campo, sia pubblico - quale l'ambito di lavoro - che privato - quale l'ambito familiare. D’altra parte, le recenti normative europee in ambito di parità di opportunità tra le donne gli uomini sottolineano che l'uguaglianza tra le donne e gli uomini rappresenta uno dei principi fondamentali sanciti dal diritto comunitario. Gli obiettivi dell'Unione europea (UE) in materia di uguaglianza tra le donne e gli uomini hanno lo scopo di assicurare le pari opportunità e l'uguaglianza di trattamento tra donne e uomini, nonché di lottare contro ogni discriminazione basata sul sesso. In questo settore, l'UE ha seguito un duplice approccio, associando azioni specifiche e gender mainstreaming . Tema che presenta una forte dimensione internazionale in termini di lotta contro la povertà, di accesso all'istruzione e ai servizi sanitari, di partecipazione all’economia e al processo decisionale, nonché di diritti delle donne in quanto diritti dell'uomo. Da trent'anni almeno si parla quindi a livello globale, di diritti di genere, intesi come rispetto della dignità della persona e di uguaglianza. Diritti variamente disattesi, se non vietati, a milioni di donne nel mondo. In Europa però l'Italia è da lungo tempo fanalino di coda per quanto riguarda l'occupazione femminile, il sostegno alle famiglie (tutte le famiglie), la natalità, le ore impiegate da uomini e donne negli impegni familiari, la presenza delle donne nei luoghi di decisione politici ed economici. Nel difendere in tutte le occasioni i diritti di partecipazione delle donne e la loro rappresentanza, bisogna essere parimenti consapevoli che alla radice dello squilibrio sociale e politico in cui sono costrette le donne non c'è solo un residuo di maschilismo della società italiana: c'è, ancor di più, il carattere oligarchico della selezione del ceto politico, la crisi della selezione autenticamente democratica, che favorisce la cooptazione, rispetto alla rappresentanza reale. Dove c'è selezione reale le donne ce la fanno, dal mercato alla magistratura. Diventa allora importante e imprescindibile che le donne affrontino il nodo della costruzione di una nuova democrazia e assumano la leadership di questa costruzione. E la nascita del Partito Democratico, se avverrà nel modo giusto, sarà la grande occasione da non perdere. Donne e lavoro Dal nuovo rapporto dell'Ufficio Internazionale del Lavoro "Uguaglianza nel lavoro:affrontare le sfide", che fornisce una fotografia a livello mondiale del fenomeno, emerge con chiarezza che le discriminazioni non sono un retaggio del passato ma continuano ad esistere mettendo in evidenza le forti disparità ancora esistenti in particolare nelle differenze di reddito e nelle opportunità di occupazione. I dati relativi al nostro Paese sono allarmanti in quanto l'Italia risulta essere il fanalino di coda in Europa per l'occupazione femminile (il tasso medio in Italia è del 47,1% ed è di 10 punti inferiore a quello europeo). Ampliando lo sguardo anche ai dati qualitativi e non solo quantitativi emerge che la donna è tra i soggetti più penalizzati dal punto di vista del reddito e della carriera. Il gap per le retribuzioni nette annue delle donne, rispetto a quelle degli uomini, va dai 3.800 euro per i dipendenti a tempo indeterminato agli oltre 10.000 degli autonomi; il 54% dei lavoratori subordinati è donna con percentuali di permanenza nel precariato che è più del doppio di quella dei colleghi maschi. A questi elementi di negatività va aggiunto anche un dato diffuso di sottoutilizzazione delle competenze professionali delle donne; infatti una donna su cinque fa un lavoro che richiede una formazione inferiore a quella posseduta ed una percentuale superiore a quella degli uomini svolge una professione senza qualifica. La maternità risulta ancora essere un fattore discriminante. Il tasso di occupazione delle donne in Europa scende di 15 punti se hanno un bambino (quello dei padri sale invece di 6 punti). In Italia la nascita di un figlio toglie più di una donna su dieci dal mercato del lavoro. Il 40% delle donne che non lavora lo fa per prendersi cura dei figli. L'Istat nel suo rapporto annuale definisce l'attuale modello di lavoro femminile, alle prese con la difficile conciliazione dei ruoli tra madre e lavoratrice, "cumulativo-conciliativo" per distinguerlo da quello tradizionale dell'"alternativa secca" tra lavoro e famiglia, sia da quello "alternato" in relazione alle fasi della vita (ingresso nel lavoro, uscita per la nascita di un figlio, rientro nel mercato dell'occupazione). Pur registrando una crescita complessiva della presenza delle donne nel mercato del lavoro, che nell'ultimo decennio si attesta a un ritmo annuo del 2%, il grado di inserimento complessivo delle donne nel mercato del lavoro resta tuttavia ancora limitato. Inoltre, nel periodo preso a riferimento, le lavoratrici dipendenti parttime sono aumentate di oltre il 70% e la loro quota sul totale delle occupate è passata dal 20% al 26% e l'incremento si è concentrato tra le donne adulte. Un ragionamento a se stante merita il problema dell'impatto sui bambini del fenomeno migratorio delle donne per motivi di lavoro. Circa la metà degli emigranti che vivono lontano dal paese di origine sono donne e nella maggior parte dei casi si tratta di genitori che sono costretti a lasciare i propri figli alle cure di altri familiari. Se da un lato l'emigrazione aiuta a combattere la povertà e quindi può essere un'occasione in più data ai bambini per accedere a servizi di base quali quelli sanitari e dell'istruzione, in alcuni paesi può aumentare il rischio di abusi e di traffico di bambini (rischi evidenziati ad esempio in Moldavia ed Albania), inoltre le stesse donne e bambine emigranti sono particolarmente esposte a fenomeni di abuso e sfruttamento. Nella maggior parte dei casi dalle donne emigrate vengono svolti lavori umili nel settore dei servizi di assistenza alla persona o nelle attività di pulizia. Le proposte per elevare la quantità e la qualità del lavoro delle donne ● Il problema della tutela dei lavoratori emigrati e delle loro famiglie deve essere affrontato a livello internazionale con normative che interessino sia i paesi ospitanti che quelli da cui si emigra; ● Il contrasto agli stereotipi su donne e lavoro passa attraverso l'utilizzo di vari strumenti come le politiche sociali e i programmi che garantiscono a uomini e donne di conciliare il lavoro con le responsabilità della famiglia e incoraggiare gli uomini a dividere con le donne le faccende domestiche e la cura dei figli; ● La legislazione volta all'eliminazione delle disparità di genere deve essere supportata da politiche a livello sia governativo che dei poteri locali, regioni, province e comuni per le loro rispettive competenze, che, attraverso provvedimenti legislativi, amministrativi e finanziari, creino un ambiente che promuova la partecipazione delle donne al mercato del lavoro anche incentivando l'imprenditorialità femminile garantendo migliori condizioni di lavoro, creando opportunità di carriera, eliminando i divari tra i salari legati esclusivamente al genere, fornendo luoghi per l'assistenza all'infanzia sicuri, accessibili e di elevata qualità; ● L'adozione di bilanci sensibili alle questioni di genere è utile per decidere come adeguare le politiche e dove riallocare le risorse per affrontare la povertà e le disuguaglianze di genere. ● Va migliorato l'utilizzo di analisi statistiche sul lavoro e sul reddito disaggregate per sesso per favorire uno studio più dettagliato delle disparità; ● L'impatto dei "posti di lavoro amici delle famiglie" nei paesi industrializzati, in particolare nei paesi nordici, ha arrecato benefici sia alle imprese che ai dipendenti attraverso l'utilizzo dell'orario di lavoro flessibile, del telelavoro o il lavoro in casa ma anche con l'allocazione di fondi per i bisogni delle famiglie dei propri dipendenti, come ad esempio l'acquisto di passeggini, indumenti per bambini o apparecchi acustici per parenti anziani o fornendo attrezzature e sostegno finanziario per l'assistenza all'infanzia.