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N° 118 - Marzo 2017
L’ostinato silenzio di alcuni dirigenti di Società Specializzate.
È una storia vecchia di molti anni.
Quando decisi di creare un portale in cui
le Società Speciali delle razze
Continentali da ferma avessero un
efficace strumento comunicazionale,
lo feci nell’esclusivo interesse della
cinofilia.
Infatti non ho mai ospitato pubblicità,
né alcunché mirato ad appagare mie
ambizioni personali.
Malgrado ciò, alcune delle Associazioni
interessate rinunciarono fin dal principio
a collaborare e comunque – con
l’eccezione di un paio di Associazioni –
ottenere tutti i mesi un articolo per
ciascuno dei giornali dedicati alla
relativa razza è stata una battaglia
immane.
Ora la situazione è ulteriormente
peggiorata ed alcune collaborazioni
sono pressoché totalmente cessate.
Ma com’è possibile – vi chiederete – che
i componenti del Direttivo di una
Società Specializzata rinuncino a
svolgere la missione comunicazionale
che è il loro compito principale?
Com’e possibile che i componenti del
Direttivo di quelle Associazioni pensino
che il loro ruolo si esaurisca in cinque o
sei riunioni all’anno, in cui per lo più si
discute di beghe personali e si delibera il
calendario di manifestazioni, a ciascuna
delle quali partecipa qualche decina di
Soci?
Tra l’altro, riferire ad un’ampia base di
lettori l’esito delle manifestazioni
approvate dal Direttivo è l’unico modo
per conferire loro un significato
zootecnico come strumento d’indirizzo
della selezione.
In alcuni casi, la base dei lettori mi ha
esternato la delusione per il lungo
silenzio su quanto avviene per certe
razze, che ho provveduto a far
pervenire ai vertici dei relativi
Direttivi… ma il risultato è stato solo
un ostinato silenzio e l’implicita
ammissione che la mancata
comunicazione scaturisce da
incurabile pigrizia.
Né è plausibile l’eventuale incapacità
di espressione, essendo noto ai
Dirigenti in questione che la redazione
del giornale è disponibile a trasformare
in un articolo la semplice elencazione
dei loro pensieri.
So benissimo che questa mia
esternazione è del tutto inutile …
e che anzi renderà ancor più
assordante il silenzio di chi già ora
tace.
Spero solo che in un futuro (che va ben
oltre il mio tempo) la base elettorale
che sceglie chi deve guidare le Società
cinofile terrà ben presente la capacità
(e soprattutto la volontà) di
comunicare come elemento che
orienterà il suo voto.
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N° 118 - Marzo 2017
PARCO DEL TICINO E DEL LAGO MAGGIORE
CORSI PER MONITORAGGI
DI GESTIONE DELLA BECCACCIA
di Silvio Spanò
I temi della conferenza ai partecipanti
del corso di monitoraggio sulla beccaccia nel parco del Ticino e del Lago Maggiore
Nei giorni 25 e 26 febbraio 2017 l’Ente di Gestione delle aree protette del Ticino e del Lago Maggiore ha organizzato un “Corso di formazione rivolto agli operatori
cinofili per il monitoraggio della beccaccia svernante nelle
aree protette” approvato da ISPRA. Si è così inteso
continuare l’iniziativa avviata nell’inverno 2004/05 in base
ad apposita convenzione con l’Università di Genova, di
cui allora il sottoscritto era responsabile, poi continuata
dopo la mia entrata in pensione ed ora con la promozione di questo nuovo corso, per raccogliere nuovi operatori preparati a proseguire il monitoraggio che – ricordiamolo – è uno dei pochissimi tra la decina di
Inizierò dal concetto di “gestione”,
parola abusata ed impropriamente
usata come sinonimo di “prelievo”,
mentre può assumere diverse finalità, ma sempre col presupposto che
ci sia un intervento diretto dell’uomo
a scopi definiti, altrimenti si può parlare di “non gestione” lasciando che
la natura faccia il suo corso.
In Paesi assai antropizzati (dove le
attività dell’uomo – per lo più negative – sono molteplici) la non “gestione” difficilmente porta spontaneamente alla conservazione di singole
specie. Con la gestione invece si dovrebbe tendere a mantenere le popolazioni in base alle loro esigenze
ecologiche, al massimo livello com-
monitoraggi in altrettante aree protette iniziate e precocemente esaurite. In questa veste di “responsabile storico” sono stato invitato a tenere una sorta di presentazione nella sede del Parco di Villa Picchetta (Cameri, NO)
e credo sia doveroso riportarne traccia, anche a sprone
per nuove analoghe iniziative.
Ringrazio tra gli organizzatori Gerolamo Boffino, Danilo
Manfrin e Alessandra Parodi e tra i docenti, oltre ai tre
sopra riportati, Carlo Conte (naturalista, della cui tesi di
laurea sulle beccacce ero stato relatore con il compianto
Guido Tosi) e Marco Cucco dell’Università del Piemonte
Orientale.
patibile con l’ambiente.
È evidente che nel complesso è compreso – ma non sempre necessario
– un prelievo venatorio (non è necessario per la beccaccia, mentre può
esserlo per i grossi erbivori) sconfinando nel controllo. Si possono cioè
eseguire interventi di “gestione”, ad
esempio per migliorare la capacità
portante dell’ambiente e i monitoraggi
di singole specie, almeno finché le ricerche (studi) di campo non confermino la sostenibilità di un prelievo,
da definire e attentamente seguire.
Quanto sopra è meno semplice per
la beccaccia, ma rientra tuttavia in
questi concetti (forse più che “gestita” deve essere “prelevata con pru-
denza”, finché non si mettano a punto indici e modelli matematici che,
con sufficiente approssimazione, informino se e quanto/quando eventuali abbattimenti possano incidere sul
suo status).
Pertanto, prima di “gestire” dobbiamo, “studiare” la specie che ci interessa.
L’estrema mobilità migratrice e l’immenso areale di distribuzione della
beccaccia in Eurasia comporta l’impossibilità pratica di disporre di dati
quantitativi, sia pure approssimati,
sulla sua consistenza e dinamica
(compresa l’entità dei prelievi effettuati), neppure delle singole sub-popolazioni che frequentano regioni suf-
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ficientemente distinte; si deve pertanto
tendere all’individuazione e all’uso
dei già ricordati indici, che possano
evidenziarne lo status o, almeno, la
tendenza demografica.
Visto che nel ciclo annuale lo spazio
vitale nella beccaccia è composto da
due aree separate (una di nidificazione e l’altra di svernamento, tra loro
legate da corridoi migratori) in cui gli
individui sono relativamente stabili,
con notevole fedeltà ai rispettivi quartieri (riproduttivi e di sverno), è più
significativo monitorare qui le presenze ed i loro trend negli anni su campioni statisticamente rappresentativi
di aree soggette a minori disturbi/alterazione antropici.
Di converso, un monitoraggio (cerca) diurno con cane da ferma (la specie migra di notte) in periodo di scorrimento migratorio (soprattutto se
rapido come quello primaverile e con
sovrapposizione di soggetti di diverse sub-popolazioni, a stadi differenti
di maturazione sessuale e quindi di
stimolo) e con personale esclusivamente volontario (quanto a giorni,
luoghi, ripetizioni, numero di cani e
di operatori) su territori poco rappresentativi, porterà ad una raccolta
di dati di scarsissima (quasi nulla)
validità scientifica, col rischio di distorcere il significato dei dati che
eventualmente ne derivino.
Ed è per questo che a tuttoggi
l’ISPRA ritiene valido il solo protocollo di monitoraggio approvato nel
2006 dall’allora INFS (definito d’intesa con l’Università di Genova e il
Club della Beccaccia), limitato a zone
protette di grossa estensione e in
periodo di stretto svernamento (20
dicembre – 31 gennaio), applicato in
Corsi per monitoraggi (Pagina 2 di 3)
base ad accordi con i relativi Enti di
gestione.
Ovviamente per raggiungere questo
obiettivo, occorre formare operatori
che conoscano la specie e sappiano
cosa debbono fare e perché, non
potendo pertanto esimersi dalla frequenza ad appositi corsi e relativi
esami di abilitazione e tanto meno dai
successivi impegni di collaborazione
eventualmente assunti.
Siamo in un momento che di corsi si
fa un gran parlare con diverse realizzazioni da parte di organizzazioni territoriali (Parchi, ATC, Regioni, “ex
Province”) con interpretazioni non del
tutto omogenee, cui non sono alieni
gli interessi “politici” locali. Lo schema fin qui seguito è quello approvato dall’INFS, ma sovente con la comprensione delle motivazioni dei
discenti ad allargarne i limiti temporali, pur minimizzandone i significati
statistici e facendo sì che gli abilitati
possano fruire di vantaggi venatorioscientifici (esempio: qualche giorno di
caccia in gennaio) a fronte della partecipazione attiva alle diverse ricerche (raccolta ali, ICA ecc.).
Ripetiamo qui che ISPRA ha mostrato interesse all’acculturamento dei
cacciatori, dando l’OK al contenuto-schema “aggiornato/ampliato” dei
corsi, ma riservandosi di valutare se
saranno possibili e validabili le suddette “nuove” interpretazioni/estensioni, in una fase sperimentale su un
numero limitato di aree da concordare... fase finora disattesa, non esistendo le condizioni per procedere
al di fuori del protocollo 2006 (con
cane e in aree protette tra il 20 dicembre ed il 31 gennaio). Mi sembrano comunque eccessive le parte
dei corsi relativi alla armi-munizioni
ecc.
Intanto due regioni (Abruzzo e Toscana) hanno fatto decreti ad hoc: ad
esempio per la Toscana in data
11.3.2016 (n.1011) “Autorizzazioni e indirizzi in ordine all’organizzazione dei monitoraggi alla beccaccia (Scolopax rusticola) nelle
aree di svernamento durante la
stagione venatoria e mediante
cane da ferma fino al 10 aprile
2016". Ovviamente per chi ha l’abilitazione, limitatamente alle aree
boscate. vocate alla gestione del cinghiale, escluse le aree potette (non
cacciabili in genere) e dopo la chiusura della caccia fino al 10 aprile
con una serie di prescrizioni, alcune
che purtroppo sottolineano la non
significatività dei dati raccolti; così –
ad esempio – uscite del singolo con
frequenza massima di 3 giorni alla
settimana, esclusivamente martedì,
venerdì, sabato e domenica, e minima di almeno tre uscite nell’arco del
periodo di rilevamento...
Già da qui si vede l’impossibilità di
un rilevamento realistico dello scorrimento migratorio con tali fisse giornate, ma anche troppo poche (il minimo di 3 uscite) per un sufficiente
grado di attendibilità (il volontariato
– si sa – dà risultati discordanti e sovente limitati... tanto più “senza lo stimolo del fucile”).
Pertanto resta accettabile lo svolgimento di corsi a sfondo culturaleformativo, effettuati da personale
qualificato, mentre sono tutti da vedere (e in parte da rifare e controllare) periodi, zonazione, presenza sul
territorio e attendibilità dei dati che
ne derivano.
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A chiusura occorre quindi tornare a
sottolineare l’utilità dei monitoraggi in
svernamento, in particolare nelle aree
protette (vedasi protocollo INFS
2006), che offrono indicazione sulla
presenza, densità e variazioni nel tempo delle beccacce ivi svernanti, e
pertanto anche sull’importanza delle
singole aree protette investigate nella salvaguardia della specie.
Se l’insieme delle aree investigate
costituisce un campione sufficientemente ampio ed estrapolabile ad un
più ampio territorio (in Italia abbiamo qualche milione di ettari protetti,
idonei allo scopo!) il risultato potrà
esser utilizzato come indice della variazione della presenza/conservazione della beccaccia nel tempo... dato
importante nella gestione stessa, quale indice del trend da tenere in conto
nella regolamentazione (regionale)
dei prelievi e nella considerazione se
la specie è in buono stato o meno
(aumento, diminuzione, elaborazione
statistica di modelli).
Non va infine dimenticato che, affiancati a questi monitoraggi, se ne possono effettuare altri, con finalità anche di confronto tra i dati relativi e la
Corsi per monitoraggi (Pagina 3 di 3)
loro influenza nel valutare un trend:
conteggi alla posta crepuscolare,
conteggi notturni in pastura col faro,
(inanellamento); nonché sarebbe indispensabile una realistica raccolta
dei dati quantitativi forniti dagli effettivi prelievi annuali, con metodologie già sperimentate in altri Paesi
(Francia) tramite tesserini specialistici e linguette codificate da applicare alla zampa di ogni beccaccia
abbattuta, da consegnare annualmente all’autorità, pena non ottenere il
tesserino per l’anno successivo.
Su questi dati certi si potrò definire
un PMA (Prelievo Massimo Ammissibile) biologicamente accettabile.
Accenniamo solo all’importante rete
di controllo dell’occupazione da
parte dei maschi nelle aree di
nidificazione (conteggi alla croule)
che, su grandi estensioni, offrono un
quadro esauriente dello stato delle
popolazioni nidificanti nei Paesi
importanti per la nidificazione (l’Italia
è solo molto marginale al riguardo)!
Purtroppo sono stati ignorati i pesanti
ammonimenti giuntici da questi monitoraggi dalle più importanti aree di
croule e di produzione (diminuzione
dei riproduttori) in relazione a fenomeni straordinari come geli nelle aree
di sverno, siccità/incendi in quelli di
nidificazione: per esempio, in Russia
il monitoraggio continuativo dagli anni
’90 in poi su circa 750.000 ettari, ha
evidenziato un 2002 molto siccitoso, con influenza negativa sulla nidificazione; nel 2010, anche questo un
anno con scarse piogge e conseguenti
incendi, si è avuta la più bassa media
di soggetti in croule degli ultimi 12
anni...... e ancora dopo il tremendo
freddo del febbraio 2012 il rientro in
Russia è stato tardivo e scarso. Dal
1999 al 2010, sono stati compilati in
proposito 27.000 questionari.
Ma questi e altri fatti NON sono
mai stati presi in considerazione
nel formulare calendari venatori
prudenziali nei Paesi di maggior
prelievo in autunno/inverno...anzi!
In chiusura faccio presente che le
cose migliorerebbero se finalmente si
potesse arrivare ad una caccia specialistica in senso stretto (ma non è
questa la sede né il momento per affrontare questo tema).
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N° 118 - Marzo 2017
CANI INCONTRISTI E CANI ROBOT
di Cesare Bonasegale
La maturazione di una buona esperienza venatoria
come premessa di un’alta positività dei risultati nelle prove.
Cinquant’anni fa si diceva che se un
cacciatore era una schiappa …diventava cinofilo. Ed era in parte vero
perché molti cinofili a caccia erano
effettivamente degli incapaci che –
per nascondere la loro inettitudine –
delegavano ai loro cani la reputazione che loro non sapevano meritarsi
nel trovare la selvaggina e nell’utilizzo del fucile.
E siccome per fare un buon cane ci
vuole un buon cacciatore, “le schiappe” affidavano i loro cani a degli addestratori professionisti che creavano e conducevano i loro cani nelle
prove, del cui esito “le schiappe” si
vantavano (anche se il loro unico
merito era di pagare le salate parcelle dei dresseurs).
Oggi la situazione è cambiata…in
peggio!
Perché – ad eccezione di beccacce
e beccaccini, la cui caccia è praticata da una minoranza di specialisti –
la selvaggina consiste in pollastri che
un inserviente ha estratto da un sacco e quindi molla in un cespuglio
mezz’ora prima che il cacciatore gli
spari. Quindi forgiare un buon cane
in simili condizioni è quasi impossibile. E chi vuol farlo deve effettuare due
o tre trasferte all’anno in Paesi in cui
le starne sono ancora presenti e selvatiche per iniziare così alla caccia
un buon cucciolone. Fatto ciò – ed
avuta conferma sul terreno delle buo-
ne qualità naturali del giovane cane –
il buon cacciatore passerà all’addestramento del giovane allievo per affinare le prestazioni necessarie al successo nei field trials, addestramento
che potrà essere fatto dal cacciatore
medesimo o da un professionista allo
scopo incaricato.
E le schiappe?
Loro si limitano ad affidare i cuccioloni al dresseur che – dopo un periodo di iniziazione – dovrà emettere il
verdetto se il soggetto è o meno meritevole di continuare una carriera di
prove; ed i soggetti meritevoli proseguono presso un dresseur la loro
attività, che consiste in sistematici turni di pochi minuti, senza (quasi) mai
abbattere un capo di selvaggina.
A questo punto però si può verificare un potenziale problema, per comprendere il quale è necessaria una
breve digressione.
Il cane da ferma è stimolato nella
cerca dal suo naturale istinto predatorio, il cui appagamento consiste
nell’abboccare la selvaggina con tanto impegno localizzata; se però la ricompensa viene sistematicamente
meno perché la selvaggina non viene
abbattuta, la cerca diventa la semplice esecuzione di quanto gli è stato
insegnato …spesso anche con metodi punitivi. Succede quindi che il
cane esegue meccanicamente i lacet
che l’addestratore gli ha insegnato,
per quindi fermare la selvaggina che
occasionalmente trova sul suo percorso. In altre parole la cerca non è
più l’esplorazione delle zone dove –
in virtù dell’esperienza maturata – il
cane ritiene più probabile l’incontro,
bensì una corsa di pochi minuti fatta
secondo gli schemi che il dresseur gli
ha inculcato. Si ha quindi l’esibizione
di un esercizio meccanico che non è
l’ottimizzazione delle opportunità venatorie, ma ottiene il plauso dei cosiddetti “esperti” che magnificano
nelle loro relazioni la regolarità del
percorso… soprattutto in campo
aperto. Il risultato però è che gli incontri della selvaggina da parte di
questi cani sono sporadici.
Tutt’altro quadro invece offrono i
cani che hanno maturato una notevole esperienza di caccia, che hanno
una percentuale di positività nella loro
cerca nettamente superiore e che
(con grande sorpresa degli appassionati) vanno in classifica in quasi tutte
le gare. Ed il merito è sicuramente
delle grandi qualità di cui son
dotati…ma anche e soprattutto del
loro padrone (o del loro addestratore) che li hanno utilizzati sistematicamente a caccia, quella vera, col fucile in spalla, e che hanno inculcato in
loro che l’esercizio della caccia ha lo
scopo di far prendere in bocca al
cane la selvaggina oggetto della sua
grande passione.
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N° 118-Marzo 2017
LA PROVA DI BORGHETTO
di Donato Scalfari
Positivo esito della prova del 15 gennaio a Borghetto.
Yago di Stefano Boschi conquista il Trofeo in palio
Per tutta la settimana, abbiamo seguito con una certa apprensione le
previsioni meteo: nevica …. non nevica; piove… non piove. Come noi,
anche molti degli appassionati che
avrebbero voluto partecipare, hanno passato parte del loro tempo a
“studiare” meteorologia!
La mattina del 15 gennaio, il tempo
ci ha graziati rimanendo solo nuvoloso e, a tratti, ci ha fatto vedere anche il colore azzurro del cielo. Le temperature sono rimaste, tutto sommato, accettabili.
Quattordici cani in catalogo, divisi in
due batterie, giudicate dai sigg.
Gianluigi Arcangeli e Sergio Bianconi.
Grazie all’ottima organizzazione e agli
accompagnatori preparati, ogni soggetto ha avuto modo d’incontrare e
solo pochi di loro sono incorsi in piccoli errori che, a norma di Regolamento, non ha consentito loro di essere messi in classifica.
Terreni bellissimi che purtroppo, visto le recenti e continue gelate, non
si sono presentati nel migliore dei
modi, ma che hanno consentito, comunque, un ottimo svolgimento della
prova.
Nella prima batteria si sono classificati tre soggetti femmine: Desy di
Maurizio Aldovardi e Margot e Maya
del giovane Davide Rocco.
Nella seconda batteria si sono qualificati tutti i soggetti: a Yago di Stefano Boschi è stato assegnato il CAC,
ad Artù di Iacomini la Ris. di CAC e
a Nando, ancora di Boschi, il CQN.
Il trofeo, offerto dalla famiglia Scal-
fari, uno splendido piatto di ceramica raffigurante un Breton al riporto
di fagiano, opera del maestro Gianni
Marcucci di Deruta, è stato assegnato a Yago di Stefano Boschi.
Era la prima volta nella nuova AFV
e per la prima volta eravamo ospiti
del nuovo agriturismo: come inizio
direi che possiamo ritenerci soddisfatti.
Gli amici che hanno preso parte alla
prova e coloro che hanno partecipato semplicemente come spettatori
hanno dato dimostrazione d’avere
gradito.
Prossimo impegno il 22 luglio prossimo per il Raduno di razza, in collaborazione col Gruppo Cinofilo Capitolino.
(Continua)
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La prova di Borghetto (Pagina 2 di 2)
Le classifiche
I batteria - Giudice Sergio Bianconi
1° Ecc. Gipsy Maurizio Aldovardi
2° Ecc. Margot Davide Rocco
3° MB Maya Davide Rocco
II batteria - Giudice Gianluigi Arcangeli
1° Ecc. CAC Yago Stefano Boschi
2° Ecc. Ris. CAC Roky Giuseppe Iacomini
3° Ecc. Artù Stefano Boschi
Ecc. Tico Giuseppe Iacomini
MB Charlie Luca Marchi
MB Artù Giuseppe Iacomini
CQN Nando Stefano Boschi
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N° 118 - Marzo 2017
TROFEO MECO MIRAMONTI
di Giampiero Giroldi
Selvaggina particolarmente difficile ha consentito un solo classificato.
Il trofeo a Tancredi di Morghengo.
La stretta di mano fra Marco Lozza (proprietario) e Franco Fusi
(allevatore) di Tancredi di Morghengo. Giampiero Giroldi, organizzatore
della manfestazione, consegna il Trofeo Meco Miramonti
Domenica 12 febbraio 2017, a
Novara si rinnova l’appuntamento
con il trofeo “ Meco Miramonti, Speciale Spinoni” su selvaggina naturale
in Zona di Ripopolamento e Cattura, dove il giorno precedente si era
corsa una batteria di Continentali italiani con il CACIT in palio.
13 soggetti a catalogo, in unica batteria, posti al giudizio dell’Esperto
Francesco Bonasera da Noli.
Terreni idonei al tipo di prova:
stocchi di mais, gerbidi e boschetti
che consentono al Continentale italiano di mettere in mostra tutte le sue
doti venatorie e di adattabilità ad ogni
tipo di caccia e di terreno.
Selvaggina cattivissima ed estremamente elusiva, abbondante il giorno
precedente ma – pur non trattandosi
di migratori – quasi introvabile la
domenica; del resto, se il fagiano è
veramente selvatico, poco accetta di
essere disturbato e, qualora ciò avvenga, tenta di difendersi portandosi
in quei ricetti dove è difficilmente rintracciabile. Questa ù l’unica considerazione plausibile per non dubitare dell’abilità del materiale canino che
nella generalità ha messo in mostra
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buone doti venatorie.
Ma veniamo alla cronaca.
Primo turno a Tancredi di Morghengo, condotto da Giancotti: grande
impegno, tipicità di razza, cerca ampia e redditizia, tant’è che dopo alcune ferme su minilepri, che nel folto
gli arrecano disturbo, in granoturco
riesce ad agganciare, fermare e risolvere correttamente su fagiani.
Verificato in coppia, si aggiudica il 1°
ECC e con questo, non essendoci
altri qualificati, anche l’edizione 2017
del trofeo Meco Miramonti, pregevole scultura del compianto Rabitti.
Segue Queen, la Spinona di Sivieri,
presente anche il sabato che purtroppo si ripete, nel senso che anche
domenicai, dopo aver messo in campo pregevole impegno, in pioppeto
avverte e mette in ala utile fagiano.
Puccini del Mucrone, nel terzo turno, mette in evidenza buona azione
ma con portamento di testa non ideale e si ripete in troppe ferme sostenute senza esito.
Seguono Messalina, Nenè di Morghengo e Zagabria, tre soggetti che
svolgono cerca impegnata con alcune ferme su minilepre ma senza riuscire a reperire selvatico valido per
la prova; in evidenza per doti stilistiche e aderenza al miglior tipo di raz-
Trofeo Meco Miramonti (Pagina 2 di 2)
za Nenè.
Garbelli sgancia Denise della Becca
che mette subito in mostra trotto lungo
e serrato, di buon ritmo, ma che purtroppo al palesarsi di minilepre insegue a fondo e stenta a farsi recuperare.
Al nono turno è la volta di Vidal della Becca di Torretta, buon soggetto
con trotto tipico ed azione idonea ma
purtroppo, entrato in folto, mette in
ala ed insegue a fondo.
Aris del Mucrone svolge cerca continua, con discreto movimento ma
portamento di testa non ideale: in
gerbido ferma minilepre e conclude
il turno senza incontrare.
Astro di S. Pietro, giovane Spinone
di Panizza , condotto da Giancotti,
svolge il turno con azione sempre tesa
ed intensa; soggetto potente con
buon portamento di testa, si fa notare. A fine turno in bosco ferma ma
non risolve.
Aiace di Cascina Croce di Danelli,
soggetto con buone doti venatorie,
azione continua con fasi di trotto di
non grande qualità che a fine turno
perde di smalto.
Ultimo turno a Maniero delle Sabbie
d’oro di Carolo, presente anche al
sabato dove aveva messo in mostra
buona tipicità, con azione avida e
continua, sia in terreno aperto che in
folto, dove aveva fermato in ottimo
stile ma poi messo in ala fagiano e
successivamente, prima di farsi legare, ne aveva investito un secondo;
anche lui come la Queen si ripete e
purtroppo mette in ala fagiano.
In relazion, Bonasera ha evidenziato
la venaticità dei soggetti postigli a giudizio e l’ottima qualità di alcuni di
questi a testimonianza che lo Spinone
è e rimane un ottimo cane da caccia,
ma non nasconde le difficoltà messe
in mostra nel gestire il contatto con il
selvatico.
Dal Gruppo Cinofilo Novarese e del
Sesia un grazie al C.I.Sp. per la fiducia che sempre gli accorda nell’organizzazione di questa speciale di
razza, ma soprattutto alla famiglia
Miramonti che nel ricordare il
“Meco”, grande cacciatore ed appassionato di questa splendida razza, annualmente presenzia alla consegna del trofeo gentilmente offerto
in memoria e che sino ad ora è andato solo ed esclusivamente ai massimi esponenti della razza Spinone
che negli anni hanno calcato il terreno delle prove cinofile.
Ed allora, caro Spinonista, ti rinnovo
l’appuntamento per il 2018 e chissà... forse sarà la tua occasione…
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N° 118 -Marzo 2017
DELAGAZIONI CISp LOMBARDE
GLI SPINONISTI A CORNELIANO BERTARIO
di Franco Poletta
Pranzo sociale delle Delegazioni Lombarde del CISp.
Luchino di Cascina Croce
con Angelini
Come ogni anno, le tre Delegazioni
CISp della Lombardia hanno organizzato un pranzo sociale con finalità
aggreganti che coincide con l’opportunità di rinnovare le tessere.
La sede dell’incontro, che può cambiare di anno in anno, questa volta è
stata Cornegliano Bertario, piccolo
paese della provincia di Milano, al
confine con la provincia di Lodi, che
ha il vantaggio di essere in una posizione abbastanza centrale e quasi
equidistante per i Soci lombardi (…
e forse io – che abito nell’estrema
punta della regione che confina con
Veneto ed Emilia – son stato quello
che veniva da più lontano).
Sta di fatto che, con grande soddisfazione per tutti, c’era una trentina
di Soci, vecchi e nuovi Spinonisti, con
vivace interesse per la nostra razza
(tanto più dei giovani), alcuni dei quali
provenienti da razze inglesi.
Presente all’incontro anche il nostro
Presidente Marco Lozza che a fine
pranzo ha rivolto ai presenti un caloroso benvenuto intercalato dalla trattazione di numerosi argomenti tecnici, spesso motivo di divergenti opinioni sul modo di concepire la nostra
razza.
Il suo messaggio ha sottolineato
come, prescindendo da sia pur importanti dettagli, lo Spinone è e deve
essere considerato cane da caccia e
che la nostra opera di selezione mai
deve prescindere da questa premessa. E per quanto riguardo gli aspetti
morfologici, egli ha ricordato che è
sempre di assoluta attualità il criterio
secondo cui la selezione deve essere
orientata a favore “dei più belli fra i
più bravi”.
Il fatto che poi alcuni tendano a privilegiare l’aspetto fenotipico dello
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Spinone, anche in considerazione che all’estero è
spesso vissuto come cane
da compagnia, non può farci ignorare che la classificazione della razza presso la
FCI e l’ENCI è categorica
nel definirlo come cane da
caccia.
In altre parole, pur se ciascuno è libero di fare le
scelte che preferisce, lo
Spinone – ancorché a volte all’estero non viene utilizzato a caccia – è
una razza la cui selezione include imprescindibili verifiche delle sue qualità venatorie e su questo dobbiamo
tutti essere intransigenti. Il fatto cioè
che – in virtù delle sue magnifiche doti
Spinonisti pranzo sociale (Pagina 2 di 2)
caratteriali – sia anche un magnifico
compagno in casa, è e deve rimanere una dote aggiuntiva, mai sostitutiva.
A riprova delle sue indiscusse qualità come cane da caccia, son sempre
più numerose le manifestazioni di am-
mirazione provenienti dai
maggiori esponenti delle
Società Specializzate di altre razze Continentali e la
sempre più frequente conversione di giovani appassionati che si scoprono sostenitori della nostra antichissima razza, le cui qualità hanno saputo aggiornarsi alla luce delle esigenze di caccia moderne e
che pertanto non ha assolutamente
nulla da invidiare a tutte le razze da
ferma.
Un lungo e caloroso applauso dei
presenti ha concluso l’intervento del
Presidente.
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Numero 118 - Marzo 2017
LA MAGICA IRLANDA
di Ambrogio Fossati
L’esito favorevole di una trasferta in Irlanda, mirata alla formazione di
giovani Bracchi italianinella caccia ai beccaccini.
Sette cuccioli, figli delle mia Dree
della Bassa Brianza e di Rios del
Buon Vento: lo scorso settembre all’apertura della caccia avevano cinque mesi e già a metà ottobre dimostravano una cerca indipendente e di
ampio respiro; i beccaccini non mancavano e i giovani puledri iniziavano
a cercare il filo del vento per poter
fermare; i primi riporti e persino qualche recupero da manuale avevano
arricchito il panorama.
Ad ogni uscita potevo notare dei progressi che facevano ben sperare…
ma orami eravamo alla fine stagione
e mi stringeva il cuore dover rimandare ulteriori progressi alla fine del
2017.
È stato così che con l’amico Claudio
Meneghelli, proprietario di due giovani Bracchi italiani, figli del suo
Canaja della Bassa Brianza, abbiamo deciso di fare una trasferta nella
terra d’Albione, precisamente in Irlanda, che ho sperimentato essere una
terra promessa per la caccia ai beccaccini.
Il contatto telefonico con Rizzini –
l’organizzatore che già in passato mi
aveva fatto cacciare in Irlanda – e
via.
La caccia era prevista dal 22 al 29
gennaio; quindi partenza col furgone
il 20 all’alba per affrontare una tirata
di 32 ore per arrivare a Mullingar,
dove abita Rizzini, a circa 200 chilometri da Dublino. Il tutto senza sosta
alcuna, perché quando hai i cani sul
furgone, meno li tieni rinchiusi nelle
gabbie e meglio è: quindi siamo passati dalla Francia, per approdare col
traghetto in Inghilterra, attraversandola tutta da sud a nord, e quindi con
un altro traghetto siamo finalmente
arrivati in Irlanda.
A casa Rizzini ci son tutte le comodità (già sperimentate in altra occasione) per i cani e per noi, ivi compresa
la cucina italiana, che non è privilegio da poco!. Unica incognita era sulla
presenza e sul comportamento della
selvaggina…perché la precedente
trasferta era stata in Novembre e con
la selvaggina migratoria le sorprese
non mancano mai.
Innanzitutto ci hanno detto che dal
mese di Settembre non pioveva in
Irlanda… però le torbiere sono bagnate e la presenza dei beccaccini è
buona, son ben distribuiti… ma leggerissimi, nervosi e tutt’altro che facili da avvicinare. Quindi un’impresa
estremamente ardua per i giovani
bracchi che inizialmente non riescono a fermare inutilizzabili frecce alate
che partono lunghissime. Cielo nuvoloso, vento teso (in Irlanda è sempre così, grazie all’influenza del
mare!) e temperatura attorno ai 5 o
6 gradi. Nel tardo pomeriggio incominciamo a vedere quattro giovani
avventare beccaccini tanto lunghi da
sembrare impossibiliti, per quindi fermare a distanze che erano al limite
del tiro. C’è il tempo di sparare solo
di prima canna, perché alla seconda
sono già a casa di dio… e ciò vale
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sia per i beccaccini che per i frullini
che, dopo pochi metri dalla levata,
cavalcano il vento che in un
battibaleno li porta a 200 metri…e
via!
Ciò malgrado incominciano i primi
riporti ed i recuperi …e crescono le
soddisfazioni.
Le torbiere sono ambienti magici, col
la presenza solo di beccaccini, un po’
di frullini e qualche beccaccia; ci sono
anche delle “lepri di torbiera” che
però non lasciano scie e quindi non
disturbano il lavoro del cane. Ma è
soprattutto il vento sempre teso, il
giusto tasso di umidità ed il clima mite
(ancora grazie al mare) che esaltano
le emanazioni creando così i presupposti ideali per i cani che abbiano la
naturale predisposizione per questa
caccia: francamente ritengo che in
Irlanda il rendimento per chi ama
questa disciplina sia superiore che in
qualsiasi altro Paese d’Europa, Ita-
La magica Irlanda (Pagina 2 di 2)
lia compresa.
E ciò è tanto più importante per far
crescere i giovani cani beccaccinisti,
per farli diventare padroni del vento,
per abituarli ad ampie aperture perché la selvaggina che stanno cercando è equamente distribuita su tutto il
territorio, che di conseguenza va affrontato con regolarità e razionalità
in tutto l’arco della giornata.
Sia però chiaro che non è una facile
passeggiata e la selvaggina devono
sudarsela sia i cani che i cacciatori,
in virtù di una “grande cerca” fatta di
percorsi razionalmente organizzati
per non trascurare terreni validi, con
la fantasia necessaria per andare a
cercare il vento e quindi cogliere
emanazioni di lontani beccaccini indiavolati.
In Irlanda la locale abitudine e cultura vuole che non si inizi a cacciare
prima delle 9 di mattina, cessando alle
5 della sera, perché nell’oscurità la
torbiera potrebbe nascondere pericolose sorprese; ma credetemi, 8 ore
di caccia in un terreno in cui ogni
passo sprofonda, sono il massimo
che chiunque possa sopportare. E
“lavorare” sette giovani Bracchi italiani ogni giorno per una settimana
richiede un fisico ed una passione che
non si arrendano.
Ma a noi è piaciuto così, affrontando ogni giorno una nuova torbiera
dove i nostri giovani allievi sono enormemente cresciuti, regalandoci soddisfazioni ineguagliabili.
Del resto coloro per i quali la caccia
è il modo di far crescere l’intera
cucciolata che abbiamo fatto nascere, così da verificare la realizzazione
degli obbiettivi di selezione che ci siamo prefissi, avventure di questo genere sono la base di una passione che
diventa una missione.
E l’Irlanda è il posto magico in cui
realizzarle.
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N° 118- Marzo 2017
5 FEBBRAIO
BRACCHI E BRACCOFILI
A SAN GALGANO
di Alessandro Vigni
Positiva partecipazione al consueto ritrovo organizzato dalla Delegazione SABI Toscana
Per il secondo anno consecutivo la
suggestiva cornice di San Galgano
(SI) ha accolto il ritrovo invernale
organizzato dalla Delegazione SABI
Toscana. Buona la partecipazione di
associati e relative famiglie, che hanno potuto assistere nella bellissima
campagna circostante ad una prova
attitudinale riservata ai cuccioloni ed
ad una di tipo Sant Uberto.
Un evento che si ripete ormai da anni
(non sempre svoltosi a San Galgano)
che ha come scopo quello di diffondere e promuovere la comune passione tra i braccofili e coniugare al
contempo arte e storia.
La location si trova a pochi metri
dalla stupenda Abbazia Cistercense
(originaria del XII-XIII secolo) e
dall’eremo, detto Rotonda di Montesiepi, quest’ultimo conosciuto per
la presenza della mitica “spada nella
roccia”.
Una zona di rara bellezza paesaggistica ed architettonica, meta di turismo, in particolare di quello straniero.
La mattinata è iniziata nell’agriturismo
adiacente all’Abbazia dove, ad accogliere i partecipanti, è stata allesti-
ta una tavola ricca di dolci, biscotti,
salumi locali e bibite per la consueta
colazione; contestualmente è stata
l’occasione per effettuare il rinnovo
delle tessere 2017 da parte dei Soci
e la vendita di alcuni gadgets SABI,
operazioni seguite con dedizione da
parte del delegato Alessandro Ermini.
Organizzatori e “padroni di casa” il
Presidente Cesare Manganelli ed il
Vice Giancarlo Cioni che, dopo i
consueti saluti ed abbracci ai vari
partecipanti, hanno diretto la carovana verso il campo di gara.
Nel complesso erano iscritti circa una
ventina di soggetti.
Le prove, purtroppo, sono state inficiate dalla situazione meteorologica: la presenza persistente della forte pioggia ha da un lato reso più complicata la percezione dell’emanazione da parte degli ausiliari – in particolare dei cuccioloni – e dall’altro ha
alterato il comportamento della selvaggina immessa (fagiani), che, in taluni casi, non si è involata.
Giudici Giancarlo Gioni, con la supervisione del Dott. Mauro Bellodi,
quest’ultimo ufficiale selezionatore
della squadra SABI per la Coppa
Italia, che ricordiamo è stata vinta dai
Bracchi italiani nell’edizione 2015, e
classificatisi al terzo posto nel 2016.
Tra i cuccioloni va menzionato il roano
marrone Otto di Arianna Pecoroni,
che nonostante non pratichi attività
venatoria, ha saputo bene esprimersi sul terreno, evidenziando una buona presa di punto ed un discreto riporto alla mano della giovane proprietaria, felicissima della prova del
proprio bracco.
Più che positiva anche Viola, di
Gianluca Magni, che ha dimostrato
buona intraprendenza ed avidità.
Appena terminata l’attitudinale si è
svolta la prova di tipo Sant’Uberto
che ha registrato la seguente classifica:
1° Dino di Tommaso Bencini
2° Icaro di Andrea Marconi
3° Ruga di Alessandro Lombardi.
Tutti e tre i soggetti hanno effettuato i
turni con concentrazione, cerca di
buona fattura, finalizzata al reperimento dei fagiani, e riporto corretto.
Non presente in classifica – ma non
per suo demerito – Leo, il roano
marrone di Betti, immediatamente
impegnato nel turno con ottime aper-
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ture (pur se eccessivamente al galoppo) e, su fagiana, che inizialmente
tenta di sottrarsi di pedina, fila e ferma in maniera espressiva. Purtroppo il selvatico non si invola.
Rientrati all’agriturismo, ci attende-
San Galgano (Pagina 2 di 2)
va il pranzo, caratterizzato da pietanze tipiche della cucina toscana.
Giancarlo Cioni ha relazionato i
commensali illustrando il proprio giudizio sui partecipanti, seguito da una
coincisa analisi di Mauro Bellodi sullo
stato attuale della nostra razza, esprimendo l’auspicio di poter essere nuovamente protagonisti anche quest’anno in Coppa Italia.
Dero di Alessandro Ermini
Icaro di Andrea Marconi
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N° 118 - Marzo 2017
11 FEBBRAIO
SPECIALE BRACCHI ITALIANI
ALLO HIT SHOW DI VICENZA
di Roberta Pelagatti
La Speciale di razza a Vicenza con l’attiva presenza di due Delegati SABI per il Veneto
Per chi non lo sapesse, “HIT” è
l’acronimo di “Hunting-Individual
protecion-Target” Show, il Salone
internazionale di “caccia, armi, tiro
sportivo” che ospita anche un’esposizione cinofila organizzata dal Gruppo Cinofilo Vicentino, che per i
Bracchi italiani è stata anche una
“Speciale di razza”, ovvero una delle poche occasioni nell’anno di conquistare l’ambìto cartellino necessario per la proclamazione a Campione italiano di bellezza.
Quindi sveglia di buonora e si parte per Vicenza
con la previsione di affrontare il solito serpentone di auto che conduce al quartiere fieristico.
A catalogo un buon numero di bracchi: 13
bianco arancio e 10 roano marroni. Non resta
che attendere l’inizio dei
giudizi e così mi guardo
intorno e vedo l’accogliente stand dove troneggia uno striscione col
logo della SABI.
Mi avvicino e ad accogliermi trovo Giuseppe
Vialetto e Nicola Na-
scimbeni, due delegati del Veneto,
attivi collaboratori della nostra Società specializzata da parecchi anni.
Dopo esserci cordialmente scambiati
i saluti, ci dilunghiamo in chiacchiere
e, illustrandomi l’oggettistica portata
a corredo dello stand, mi omaggiano
di una serie di gadget creati per l’occasione, in tutta autonomia, da loro
stessi: cappellini, adesivi, matite perpetue, tutte rigorosamente personalizzate con l’immagine della SABI delegazioni del Veneto.
Una piacevole sorpresa, apprezzatissima anche dai numerosi simpatizzanti del nostro bracco presenti all’Expo.
Il caso ha voluto che il ring dove i
Bracchi italiani sono stati giudicati
fosse adiacente allo stand, che è diventato pertanto il punto di ritrovo
della giornata per braccofili. È bastato darsi voce che tutti si sono resi
disponibili per una foto di gruppo a
sigillo di una bellissima giornata tra
persone accomunate dalla medesima
passione.
Innegabile l’importanza
di questa meritevole iniziativa dei nostri Delegati,
che hanno creato così
l’occasione di essere
presenti ad un importante evento di settore, contribuendo a farlo diventare una vetrina di notevole pregio per la diffusione del Bracco italiano.
Ne è dimostrazione la
quantità di persone che
si sono rivolte a Nicola e
a Giuseppe chiedendo
informazioni di ogni tipo,
sia generiche che specialistiche, come ad esem-
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pio l’utilizzo della “braga”, oggetto
presente sul tavolo dello stand, ai più
sconosciuto, ma ben noto agli appassionati.
L’esperto giudice Perluigi Buratti inizia ad esaminare i Bracchi che vengono sottoposti al suo giudizio e,
dopo diversi giri di corsa degli
handler e di trotto dei bracchi, indica
i 3 cani finalisti:
Hit show (Pagina 2 di 2)
Miglior giovane: Toni del Falso di
Mario Bencich che salirà poi sul gradino più alto del podio nel raggruppamento Giovani.
Miglior femmina: Polcevera’s
Ametista di Pierino Ghezzi
Miglior maschio e BOB: Mighel V
M Dell’Oltrpò di Claudio Nascimbene, 1° nel raggruppamento Razze
italiane e 3° nel gruppo 6.
Complimenti ai vincitori, complimenti
a tutti i partecipanti a questa bellissima giornata cinofila, complimenti ai
nostri Giuseppe Vialetto e Nicola
Nascimbeni per aver creato con la
loro passione la magia di una giornata da incorniciare.
Bravi, bravissimi: l’appuntamento è
per la prossima edizione con nuove
sorprese!!!!!
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N° 118 Marzo 2017
Luci della ribalta (Pagina1 di 3)
1 e 2 Aprile a
Ponsacco (PI)
la VI edizione
della
triennale
di razza
La responsabilità
dell’esattezza delle
informazioni e delle
qualifiche attribuite ai
soggetti qui riprodotti è dei
proprietari dei cani
SPINONISTI
DI TUTTO
IL MONDO
NON
MANCATE!!!
Nella stupenda Tenuta di Camugliano a Ponsacco (PI) è stata organizzata
dal Club Italiano Spinoni la VI edizione del Triennale di Razza,che vuole essere
un momento d’incontro e di verifica di Spinoni provenientidall’Italia e da tutto il mondo.
L’importanza di questa manifestazione è sia sociale che zootecnica,perché fornisce
le linee guida della razza anche in quei Paesi in cuilo Spinone non è vissuto come
l’ausiliare da caccia di antichissimatradizione italiana.
Quindi vi aspettiamo con il solito entusiasmo,
confidando in un’ampia partecipazione all’importante evento!
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Luci della Ribalta (Pagina 2 di 3)
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Luci della ribalta (Pagina 3 di 3)
PASSIONI 4
La caccia e l’amore
48 AMICI
RACCONTANO
RIFLESSIONI
E STORIE
(...e Bonasegale
ci ha messo
4 racconti)
Un libro diverso perché scritto per un motivo diverso
Il ricavato dalla vendita
del libro andrà a favore
del Progetto Asante
Sana Roberto Children
Home Mambrui KENIA
...e la foto qui a fianco
mostra alcuni dei
beneficiari.
Il prezzo di copertina è
di 25 Euro (...ma se
versate qualcosa in più
sarete ancor più buoni).
Chi volesse acquistarlo
si rivolga a:
Lubrina Editore Srl
via Cesare Correnti 50
21124 Bergamo
tel 39 3470139396
c/c postale 15198245
[email protected]"
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POSTA
N° 118 - Marzo 2017
Gli “stranguglioni” - Rieducazione al riporto - Mantello di Spinone.
Gli “stranguglioni”
Ho letto su di un quotidiano
che un noto esponente del
PD ha detto che non voleva fare venire “gli stranguglioni” agli elettori. Ho invano cercato il significato di
questa strana parola e mi
rivolgo a lei in cerca di una
spiegazione, anche se non
ha nulla a che vedere con la
cinofilia, perché conosco
l’eclettismo della sua cultura. È in grado di fornirmi
lumi al riguardo?
Andrea Capissi
In effetti la cinofilia non
c’entra proprio… però
l’espressione ha a che vedere coi cavalli.
Nella prima metà del secolo scorso era frequente
che i cavalli fossero affetti da una adenite infettiva che provocava loro un
abbondante spurgo di catarro purulento dalle narici ed il rigonfiamento
delle ghiandole della gola
che arrivavano a suppurare. Non esistendo ancora gli antibiotici, la patologia veniva curata con
dosi “da cavallo” di
sulfamidici.
In dialetto lombardo si
diceva che i cavalli con
quella forma di adenite
avevano “i stranguiun”;
l’espressione può anche
essere trasferita a persona che soffre di una evidente costipazione.
Evidentemente la frase
riferita dal lettore rappre-
senta l’italianizzazione
dell’espressione dialettale
e vuole indicare la produzione di un forte disagio
in qualcuno.
Rieducazione al riporto
Ho un Bracco tedesco di 5
anni, buon cacciatore e fino
ad un recente passato anche buon riportatore.
L’anno scorso, verso la fine
della stagione, un giorno ha
recuperato un fagiano abbattuto da non so chi e invece di riportarmelo lo ha
letteralmente mangiato. Io
ha cercato di richiamarlo
mentre stava mangiandoselo, ma lui mi ha ignorato. Io
non sapendo cosa fare,
glielo ho lasciato mangiare.
Nei giorni successivi non ho
avuto occasione di ammazzare selvaggina e quindi di
verificare il suo riporto. Poi
si è chiusa la caccia.
Ora non so cosa fare e le
chiedo consiglio su come
comportarmi.
Forse ho sbagliato a non
punirlo quando stava mangiandosi il fagiano, ma non
volevo correre il rischio di
scoraggiare il riporto che lui
aveva sempre fatto spontaneamente.
Adesso quindi chiedo a lei
spiegazioni sul perché si è
verificato questa strano comportamento e se devo fare
qualcosa per porvi rimedio.
La ringrazio anticipatamente.
Giovanni Anzieri
È molto probabile che il
fagiano trovato e mangiato dal cane fosse già
morto da giorni e quindi
in decomposizione. Se non
fosse stato così, molto probabilmente il cane lo
avrebbe portato regolarmente come aveva sempre fatto in precedenza.
È stato comunque sbagliato non intervenire per
impedirgli di mangiarlo:
pur senza punirlo, sarebbe stato opportuno non
farglielo fare.
Concordo col lettere che
comunque il fatto non può
essere ignorato e sarebbe
opportuno un processo di
rieducazione.
Ecco i miei suggerimenti
in proposito.
Si procuri una starna morta, metta il cane al guinzaglio, indi gliela faccia
abboccare e lo faccia
camminare al suo fianco
con la starna in bocca.
Dopo qualche metro, se la
faccia consegnare dandogli in cambio un bocconcino. Ripeta l’esercizio diverse volte.
Il giorno successivo, anziché offrirgli la starna, gliela butti in terra davanti al
naso; indi gliela faccia
abboccare e – sempre tenendolo al guinzaglio – lo
faccia camminare un po’
con la starna in bocca.
Nei giorni successivi, butti
la starna più lontano e –
quando il cane l’ha abboccata – lo faccia camminare al suo fianco, ma
senza guinzaglio, premiandolo ogni volta con
un boccone quando gliela
consegna.
Nei giorni successivi, ripeta tutto ma in aperta campagna.
Infine porti il cane in zona
dove si può sparare, faccia volare una starna viva
e gliela abbatta, premiando il cane con il solito boccone quando gliela riconsegna.
Avrà così ri-inculcato nel
cane il corretto comportamento del riporto.
Mantello di Spinone
Ho fatto coprire la mia
Spinona roano marrone da
un maschio bianco arancio
con l’intenzione di tenermi
un cucciolo bianco arancio.
Sono invece nati 8 cuccioli
tutti roano marrone: è normale una cosa del genere?
Dovrei provare a ripetere
l’accoppiamento nella speranza che nascano dei bianchi arancio?
Omissis
Matteo
Dipende dal patrimonio
genetico della cagna: se il
roano marrone è espressione di una coppia omozigote, anche accoppiandola con un bianco arancio, da lei nasceranno
solo e sempre roano marroni.