IL PARADIGMA EPR

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IL PARADIGMA EPR
Sue Emmy Jennings
IL PARADIGMA EPR (Embodiment-Projection-Role)
Profilo generale
E.P.R. è un paradigma dello sviluppo che disegna la progressione del gioco drammatico dalla
nascita ai 7 anni. E’ basato su osservazioni prolungate di neonati e bambini e descrive una
progressione parallela ad altri processi di sviluppo come quello fisico, cognitivo, emozionale e
sociale.
E.P.R. non è fondato su una precisa teoria psicologica, infatti può essere integrato in qualsiasi
modello psicologico o terapeutico e nella pratica educativa
E.P.R. rappresenta “lo sviluppo drammatico” dei bambini, che è la base per essere capace di entrare
nel mondo dell’immaginazione e dei simboli, il mondo dei giochi drammatici e del dramma.
L’attaccamento primario tra madre e bambino ha una forte componente drammatica attraverso la
giocosità e l’inversione dei ruoli. Già in gravidanza la madre costruisce una relazione drammatica
con il feto.
La competenza in E.P.R. è essenziale per la maturazione del bambino, in quanto:
• Crea il nucleo centrale dell’attaccamento tra madre e bambino.
• Forma una base per la crescita dell’identità e dell’indipendenza.
• Fonda il “corpo drammatico” e il corpo creativo
• Rafforza e favorisce lo sviluppo dell’immaginazione.
• Contribuisce alle capacità di recupero del bambino attraverso “rituale e rischio”.
• Allena il bambino a muoversi dalla “realtà quotidiana” alla “realtà drammatica” e al ritorno
in modo appropriato.
• Facilita la risoluzione dei problemi e dei conflitti.
• Fornisce giochi di ruolo e giochi drammatici che a loro volta creano flessibilità.
• Dà al bambino esperienza ed abilità per essere parte del mondo sociale.
E. P. R. sono i markers dei cambiamenti di vita che vengono ritualizzati attraverso il gioco e il
dramma da una fase all’altra.
Durante la fase Embodiment, possiamo vedere come le precoci esperienze infantili vengono
“fisicalizzate” e sono espresse prevalentemente attraverso movimenti corporei e attraverso i sensi.
Queste esperienze fisiche sono essenziali per lo sviluppo del “sé corporeo”: non possiamo avere
un’immagine corporea se non abbiamo un sé-corporeo.
Il bambino ha bisogno di imparare a vivere nel proprio corpo e sentirsi a proprio agio nel muoversi
nello spazio.
Il passaggio dalla fase Embodiment alla fase Projection è un tempo di transizione: un indicatore di
questo passaggio è quello che Winnicot (1974) descrive come “l’oggetto transizionale”, che può
essere un pezzo di tessuto o un giocattolo morbido; la struttura e l’odore sono importanti, quindi
devono essere collegate all’esperienza sensoriale del bambino.
Di solito è considerato il primo simbolo creato dal bambino, e di solito rappresenta l’assenza della
figura materna.
L’oggetto transizionale è al tempo stesso ritualizzato e creativo: deve rimanere lo stesso, anche
quando è rovinato, ed ha un nome; ma può cambiare e diventare una “maschera” dietro cui
nascondersi, una coperta per la bambola o una sciarpa da utilizzare come costume. Durante la fase
Projection, il bambino risponde al mondo al di là del corpo, a cose fuori dal corpo. Le risposte del
bambino possono essere fisiche, per esempio quando un bambino gioca con la pittura digitale, ma il
punto importante è che la pittura è una sostanza esterna al corpo.
Nella fase Projection, non si sviluppa solo la capacità di relazionarsi con oggetti e sostanze
differenti, ma anche quella di metterle insieme creando forme e costellazioni. Notiamo un uso
crescente di storie create utilizzando oggetti come le case di bambola o i pupazzi. Poi c’è una fase
successiva di transizione nella quale il bambino diminuisce i ruoli proiettivi e le storie attraverso i
pupazzi e incomincia ad essere personaggio.
La seconda transizione può essere indicata da diversi tipi di oggetti, ad esempio un oggetto che
rappresenta l’autorità, come un bastone, una spada o un costume specifico, che permette al
bambino di prendere il controllo e dirigere le azioni pur essendo dentro l’azione stessa.
Più avanti, il bambino inizia ad assumere dei ruoli, anche più di uno in alcune scene, e possiamo
osservare l’emergere della fase Role. C’è uno sviluppo di “cosa è bene” per una scena o per un
ruolo (“le mummie non fanno così” oppure “i mostri camminano così”), e non sono solo ruoli
recitati, ma scene che vengono dirette, e si nota una crescente consapevolezza della struttura.
È come se il bambino avesse integrato completamente E, P e R creando giochi con movimenti,
costumi, accessori e personaggi di vario genere.
Di solito le tre fasi E P R sono completate all’età di 7 anni.
Comunque non ci si deve fermare qui. Continuiamo a frequentare queste fasi anche durante la preadolescenza e l’adolescenza, non necessariamente nella sequenza originaria..
Tuttavia man mano che l’identità continua a svilupparsi, esse sono continuamente provate,
sperimentate e verificate.
Infine, da adulti, facciamo scelte basate sulla fase di cui abbiamo padronanza, e di solito scegliamo
lavori o hobbies che abbiano una struttura E, o P, o R.
Conflitti o angosce possono emergere se facciamo una scelta di vita che non è basata sulle nostre
scelte personali, ma proviene dalla pressione e dalle aspettative degli altri.
Embodiment
Molte delle nostre esperienze fisiche e corporee precoci, derivano dalla nostra vicinanza con gli
altri: di solito sono la madre o altre figure di accudimento, (continuerò ad usare la parola madre in
senso generico indicando la persona che ha cura di noi).
Noi siamo cullati e dondolati e cooperiamo con il dondolio ritmato e cantato.
I bambini rispondono e le madri rispondono a loro volta, come se ci fosse un approccio
collaborativo all’espressione fisica.
Già il movimento porta alcune qualità di ritualità e rischio, perché da un lato abbiamo il movimento
ritualizzato di dondolio, dall’altro un gioioso rimbalzare su e giù.
“Imparo a conoscere il mio corpo solo quando incontro il corpo di un altro, quindi sono
mimeticamente coinvolto” (v. Wilshire 1983 capp. 3 e 4)
Il corpo è lo strumento primario di apprendimento (Jennings 1990) e tutti gli altri diventano
secondari rispetto a ciò che si è imparato attraverso il corpo.
Talvolta i bambini con traumi corporei necessitano un’estensione del gioco fisico per ricostruire un
corpo sano e sicuro.
Lo sviluppo di Embodiment del bambino può essere distorto dalle seguenti cause:
Essere “iper-contenuto”; nel bambino che è eccessivamente protetto e dipendente; c’è uno stato
perpetuo di fusione e un offuscamento dei confini corporei. Il bambino è sempre fisicamente con la
madre e non è mai separato o “opposto” a lei (Sherborne 1990-2001)
Essere “ipo-contenuto”; il bambino che viene lasciato per lunghi periodi di tempo in isolamento
sviluppa ansia piuttosto che autonomia, è sospettoso e spesso confuso sui confini corporei e
spaziali.
Essere violato da abusi fisici e sessuali; i confini corporei del bambino sono invasi con risultati di
traumi e confusione. C’è spesso paura e ansietà e anche un evitamento del contatto fisico, oppure
una rabbia fisica inappropriata o un contatto senza limiti.
Molti terapisti trovano difficile usare l’Embodiment nel loro lavoro per ragioni causate da
esperienze traumatiche nel bambino o nel vissuto del terapista, o a causa della sempre presente
paura di contatti fraintesi o possibili controversie. Ci sono diverse soluzioni, come ad esempio
lavorare in gruppi e fare movimenti di gruppo che risultano essere molto utili per lo sviluppo
sociale; oppure lavorare a coppie, o in 3 ecc. spiegando chiaramente e nei dettagli al bambino e ai
genitori che il contatto è previsto, con una descrizione di quale tipo di contatto e perché, e farlo
diventare parte del contratto. I genitori di solito capiranno che un contatto appropriato è importante
per la guarigione del bambino; a volte può essere utile attivare un laboratorio di Embodiment per
tutta la famiglia.
Dopo aver detto ciò, non tutti i movimenti devono contenere il contatto, ci sono molti giochi
terapeutici di movimento che il bambino e il terapista giocano insieme.
Si può anche lavorare con vari accessori (cerchi, corde, sciarpe di seta: la sciarpa stabilisce un
contatto con il bambino attraverso il tessuto). Questo risulta particolarmente utile se si lavora con
bambini autistici.)
TECNICHE DI EMBODIMENT
• Movimenti corporei grosso-motori che coinvolgano tutto il corpo.
• Movimenti fino-motori di parti diverse del corpo.
• Movimenti sensoriali che prevedono tatto, suono, gusto, odore e vista.
• Giochi canori che nominino parti del corpo che vengono toccate.
• Movimenti ritmici e danza.
• Idee creative, (mostri – alieni - gattini in movimento).
• Storie con suoni e movimenti.
È importante per il terapista sentirsi a proprio agio con il movimento e la danza ed è opportuno
svolgere training aggiuntivi per potenziare queste aree.
TRANSIZIONE 1
Verso i 12-14 mesi possiamo osservare la transizione dal corpo al mondo al di fuori di esso; il
mondo delle proiezioni e degli oggetti, che sono separati dal mio stesso corpo.
Come suggerisce Winnicott (op. cit.), il primo attaccamento ad un oggetto (spesso morbido e
“coccoloso” come una coperta o uno scialle) segna la transizione verso altri oggetti, così come
l’attaccamento alla prima figura di accudimento condurrà ad attaccamenti sani ad altre persone.
Comunque l’oggetto in sé, come detto sopra, non è solo un simbolo rituale, che rappresenta la
madre assente, è anche un oggetto creativo che può trasformarsi in molte cose e col quale è
possibile giocare.
Ha quasi sempre un nome, deve rimanere lo stesso (guai a voi a mettere l’oggetto transizionale in
lavatrice), ma può anche personificarsi e parlare, può essere un nascondiglio o una maschera.
L’oggetto transizionale è un formidabile esempio in flessibilità, di rituale e rischio.
Projection
Il bambino sviluppa moltissime cose nella fase proiettiva. Notiamo che parte da giochi esplorativi,
nei quali le cose sono toccate e provate, passando poi a giochi più codificati e organizzati con
oggetti, fino a giochi più drammatizzati che hanno una storia.
Nonostante queste variazioni, rimane sempre un gioco proiettivo (è giocato dietro il corpo e sono gli
oggetti ad assumere i ruoli e i significati piuttosto che il bambino).
Senza fare confusione possiamo anche dire che la sezione proiettiva ha una sua struttura E P R
all’interno:
(E) Quando il bambino esplora sensorialmente i materiali, come la pittura digitale o giocando con
l’acqua.
(P) “Pura” proiezione quando i mattoni sono costruiti, i modelli sono fatti, le figure disegnate e, i
collage sono stati creati.
(R) Quando le storie vengono raccontate in una casa di bambole, con pupazzi oppure con scene con
animali (sculture).
TECHICHE PROIETTIVE (vedi Oaklander 1978, Jennings and Minde 1993, Cattanach 1994,
Jennings 1995, 1999, Astell Burt 2001):
• Giocare con sostanze: sale, acqua, colori digitali, creta, plastilina;
• Giocare coi colori: matite, tempera, pennarelli, collage di vari materiali;
• Giocare con mattoncini e vario materiale da costruzione;
• Giocare con scene: casa di bambola, pupazzi (anche costruirli!);
• Giocare con materiali naturali: sassolini, cortecce, ramoscelli, foglie;
I bambini possono essere incoraggiati a creare usando materiali diversi e i terapisti possono creare
nello stesso tempo in modo che i bambini non si sentano sorvegliati.
Il bambino e il terapista possono creare insieme una costruzione artistica dividendo lo sforzo.
Creare con il bambino non è la stessa cosa di imporsi al bambino o di dirigerlo.
TRANSIZIONE 2
Possiamo osservare verso la fine della fase proiettiva che il gioco del bambino diventa sempre più
“drammatizzato” con storie e scene inventate ex novo oppure storie che già esistono.
Il bambino sviluppa la propria struttura narrativa, storie che hanno un inizio, una parte centrale e
una fine, ma insieme aumentano la loro capacità di “gioco libero”, ciò che gli adulti chiamerebbero
“improvvisazione”: si parte con una battuta o un oggetto e si vede cosa succede. Possiamo anche
fare riferimento ad esso come ad un “flusso di coscienza”, una qualità e una abilità che è importante
come abilità di vita.
Durante questa transizione possiamo osservare che i bambini diventano registi di se stessi e degli
altri, nell’organizzare eventi o nel creare giochi in cui agiscono e dirigono contemporaneamente.
Spesso si muniscono di simboli dell’autorità come bastoni, spade, bacchette magiche o particolari
divise o costumi. Riescono a mantenere la propria specifica creatività pur facendo parte di una
coppia o di un piccolo gruppo.
Role
“Imparo molto di me stesso e degli altri assumendo il ruolo degli altri” (vedi Mead 1934, Smilansky
1968, Wilshire 1982 Jennings 1990-1998, Berg 1998).
Il gioco drammatico propriamente detto, la fase Role, è il culmine del percorso primario E P R, e di
solito si completa a 7 anni.
Possiamo vedere una differenza nel “dramma” del bambino a questa età rispetto al “gioco
drammatico” di qualche anno prima.
Il gioco drammatico prevede che il bambino assuma ruoli nelle storie prese da testi o attraverso
l’improvvisazione, coinvolgendo il terapista e altri oggetti nel ruolo (sedie rivestite di tessuto,
giocattoli grandi, ecc., possono tutti assumere un ruolo nella scena).
È fondamentale che i personaggi, le scene e lo spazio vengano “de-ruolizzati” prima del termine
dell’incontro.
“Il bambino deve aver ben chiara la differenza tra la realtà drammatica delle storie e dei giochi, e
quello che appartiene alla vita di tutti i giorni nel mondo del bambino e del terapista. Ogni cosa è
possibile nel dramma, e il gioco drammatico ci permette di fare cose che nella vita di ogni giorno
non sono permesse”. (Jennings 2002)
“Mead avrebbe detto che noi sentiamo qualche dolore fingendo di sentire dolore.
Urlando come se aveste paura, sentite la paura: piangendo diventate tristi. Ballando con una persona
vi innamorate. Assumendo la parte in un gioco di ruolo, potete diventare la persona che state
interpretando. Il gioco dei bambini è pieno di questa meravigliosa espressività autogenerata”.(Berg
1998)
È importante che il bambino abbia l’opportunità di assumere ruoli distanziati da sé: per esempio
quelli che ci sono nelle fiabe, poiché il paradosso è che attraverso di essi il bambino si avvicina alla
propria esperienza. Questo è il paradosso del dramma: mi avvicino attraverso il rimanere distante
(Jennings 1998)
Questa è anche la cosa più difficile da maneggiare per il terapista perché tutti noi vogliamo sapere
cosa succede. Abbiamo inventato l’interpretazione al fine di spiegare le cose e probabilmente
ridurre la nostra stessa ansietà.
Ad un altro livello noi “sappiamo” cosa succede e certamente anche il bambino lo sa. Forse
dovremmo imparare a tollerare il “non sapere”: stare nel caos e permettere ai significati di
emergere.
TECNICHE DI ROLE (vedi Slade 1954, 1997, Chesner 1995, Cattanach 1997, 1998, 1999)
• Usare ruoli semplici con un singolo sentimento: la persona arrabbiata, la persona triste e,
volendo, disegnare le facce delle persone.
• Creare personaggi di animali che interagiscano.
• Usare le storie preferite da recitare insieme.
• Usare il baule dei costumi per far emergere una storia drammatica;
• Usare una maschera come punto d’inizio per una storia.
• Usare l’idea di scrivere un copione televisivo e recitarlo.
• Usare idee generate da giochi proiettivi.
Conclusione
Abbiamo considerato come E P R, siano alla base dello sviluppo drammatico umano, e il nostro
paradigma possa quindi essere applicato in play therapy sia come strumento di valutazione sia come
applicazione.
Horley (1998) ha fatto una ricerca estesa per identificare i bambini che sono “non giocatori”. Ci
suggerisce che il gioco drammatico è: “Una situazione nella quale il gioco di ruolo diventa
maggiormente complesso e prevede l’uso di costumi, lo sviluppo di dialoghi, la creare ambienti nei
quali recitare ruoli differenti. Scene e storie sono recitate con altri bambini, sebbene ci possono
essere alcune situazioni di bambini che giocano in modo drammatico da soli”.
E P R può essere integrato da tutti gli approcci della psicologia e della play-therapy sebbene sia più
efficace dove il terapista e il bambino possono co-creare le scene e le attività insieme.
Le radici precoci di E P R possono essere tracciate dall’esperienza prenatale nella relazione
drammatica tra la madre e il figlio concepito (Jennings 1998, 1999), anche se i dettagli di ciò non ci
riguardano in questo momento. È importante che i terapisti che usano il modello E P R ne abbiano
esperienza diretta.
Questa ricerca è ancora in fase di sviluppo e i terapisti del gioco sono incoraggiati a provare questi
aspetti nella loro normale pratica di ricerca.
BIBLIOGRAFIA
Astell-Burt C 2001 I’m the Story: The Art of Puppetry in Education and Therapy London Souvenir
Press
Berg L E 1998 “Developmental play stages in child identità construction; an interactionist
theoretical contribution” draft paper presented OMEC Conference, Copenhagen 1998
Cattanach A 1994 Pla-Therapy: Where the Sky Meets the Underworld London Jessica Kingsley
Cattanach A 1997 Children’s Stories in Play-Therapy London Jessica Kingsley
Chesner A 1994 Dramatherapy for People with Learning Disabilities London Jessica Kingsley
Horley E 1998 “Developmental Assesment of Dramatic Play” paper presented at OMEC
Conference, Copenhagen, 1998
Jennings S 1990 Dramatherapy with Families, Groups and Individuals London Jessica Kingsley
Jenning S 1995 “Plaing the Real” in International Play Journay 3 132-141
Jennings S 1998 “Introduction to Dramatherapy” London Jessica Kingsley
Jennings S 1999 “Introduction to Developmental Playtherapy” London Jessica Kingsley
Jennings S 2001 Embodiment-Projection-Role: video with Gordon Wiseman.London Actionwork
Jennings S 2002 “Play, Drama and the brain” presented at International Symposium Arts and the
Brain, Oslo
Jennings S 2003 Embodiment-Projection-Role 2 : video London Actionwork
Jennings and Minde 1993 “Art Therapy and Dramatherapy: Masks and the Soul”London Jessica
Kingsley
Mead G H 1934 Mind, Self and Society University of Chicago press
Oaklander V 1978 “Windows to our Children” Utah Real People Press
Slade P 1954 Child Drama London Hodder and Stoughton
Slade P 1957 Child Play London Jessica Kingsley
Wilshire B 1982 Role Playing and Identity Indiana University Press
Winnicott D 1974 Playing and Reality London Jessica Kingsley
(Traduzione Ezio Grassi, con la collaborazione di Salvo Pitruzzella)