Mi chiamo Birbo e sono uno gnomo. La gente pensa
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Mi chiamo Birbo e sono uno gnomo. La gente pensa
Mi chiamo Birbo e sono uno gnomo. La gente pensa che sia un nano, ma un nano è un disabile, un uomo in miniatura, un freak mentre io appartengo a un'altra razza, assai antica e valorosa e di cui si è persa traccia. Oggi noi gnomi, sopravviviamo nelle saghe fantasy che si vendono in libreria e si vedono al cinema. Io li odio i fantasy. Se avessi qui il signor Tolkien gli farei mangiare una ad una tutte le pagine di quel rotolo di carta da culo che è Il signore degli anelli. Tutto ciò che sta scritto su quel lirbro assurdo è falso, una patacca. Non c'è niente di vero, a proposito degli gnomi, nei romanzi fantasy, garantito. Vi dico io cosa significa essere uno gnomo, così risolviamo la storia una volta per tutte. Noi gnomi proveniamo dalla scimmia, come voi uomini, solo da un'altra scimmia. Un primate piccolo e tozzo che si è evoluto in ominide, proprio com'è capitato all'australopiteco, e che viveva principalmente nel nord Europa. C'è una cosa, tuttavia, nelle dicerie della gente sugli gnomi che corrisponde a verità e riguarda la misura dell'attrezzo. Ciò che ci manca in altezza è compensato in quanto a dotazione del randello. Ho una terza gamba, signori e signorine, non sto scherzando, state attenti tutti quanti. Vivo in montagna, io. In una casetta niente male, legno e pietra, che ho costruito con le mie mani. Dato che noi gnomi abbiamo la pellaccia dura, non ho bisogno del riscaldamento. Quando fa veramente freddo - e "freddo" significa temperature per cui a un uomo gli si gelerebbe l'anima - butto qualche legno nel camino e accendo un bel fuoco. Come stanotte. La temperatura è precipitata come un'aquila in picchiata sulla preda, ho cominciato a tremare e allora ho buttato nel camino la legna comprata due mesi fa e ho suscitato fiamme rosse e sinuose come ninfomani danzanti. Poi, mi sono seduto sul divano e ho acceso la pipa e pensato alla Terra di Mezzo... Vi piacerebbe, eh? Non c'è nessuna Terra di Mezzo, cari i miei coglionazzi strafatti di fantasy, vi stavo prendendo in giro! E io non fumo la pipa. No, quando l'ambiente si è riscaldato, mi sono rollato una canna, mi sono stappato una birra e mi sono seduto davanti al computer per guardare un po' di video hard. Amo la pornografia. È l'unica forma d'arte del nostro tempo. La letteratura? Fa dormire. La pittura? È buona per stamparci le presine da cucina o i calendari. La musica? Non l'ascolta più nessuno. C'è solo il sesso puro e carnale che infonde piacere, rapisce i sensi ed eleva l'anima. Date retta a Birbo che la sa lunga quanto il suo bastone. Dunque, dopo aver visto una decina di video, decido di masturbarmi sulla scena di due lesbiche che si leccano reciprocamente il fiore, dopodiché finisco ganja e cervogia seduto sul divano, guardando il fuoco. Mi piace vedere il fuoco nel camino: è energia pura e ambivalente; può riscaldare come bruciare e ridurre in cenere. Il fuoco è l'inizio. Credo che sia vero, che 'sto universo è cominciato con uno scoppiettio di petardo. Bum! Ed è partita la grande deriva di pianeti, costellazioni, buchi neri e galassie che si allarga e allarga sempre più e non smette mai come il cerchio d'acqua generato dal sasso gettato nello stagno. Chi lo ha acceso il petardo e perché, non so dirvelo. Se la cosa vi interessa, non sono credente, io. Quelli della mia razza, nei tempi antichi, avevano un sacco di dei. Per tutto c'era una divinità da adorare, non solo le stelle, il sole, la luna, ma anche per cose banali come, che so, la tazza del cesso. Grazie Dio Tal dei Tali per far sì che il mio culo sieda tranquillo sopra questo buco e defechi in tutta comodità! Erano la superstizione fatta a persona, i miei simili. La divinità più importante era una femmina, la chiamavano Gaia. Una gnoma enorme, gigantesca - mi rendo conto del paradosso - che in un sol colpo aveva partorito i primi della stirpe, i 100 gnomi da cui poi partì tutta la storia. Questa gnoma prolifica quanto una pantegana in calore secondo i sacerdoti era la Terra stessa. Ne consegue che, stando alla genesi del Libro Primo, noi gnomi siano nati dal pianeta stesso, figli dei prati e dei dossi collinari come lo sono gli alberi e i fiori. Romantico, eh? Ma vi stavo dicendo: dal camino sposto lo sguardo alla finestra e vedo il cielo. Stanotte è un'orgia di stelle. Una dei lati positivi di abitare quassù, poco sotto la sommità della montagna, a quasi 3mila metri d'altezza sul livello del mare, è il firmamento. Non essendoci lampioni né auto, qui, il firmamento si mostra sovente in tutta la sua bellezza e capita anche a uno gnomo di 120 anni nato scorbutico come me di commuoversi. Dal firmamento abbasso lo sguardo sulla neve. Ne è caduta un bel po' nei giorni scorsi. I paesani non aspettavano altro. Si sa, qui in Valtellina, d'inverno, i danari grossi li si fa con il turismo, ma senza neve, quali turisti verrebbero mai fin quassù? Per un pezzo, i paesani han vissuto nel timore che la terra rimanesse nuda e scura e la stagione sciistica andasse al diavolo, poi, finalmente... Poi, finalmente, due notti fa, la neve ha cominciato a cadere. Dapprima timida, pochi fiocchi, com'è nel suo stile. Qualche battufolo isolato di cui si sono accorti in pochi, poi ha cominciato a nevicare fitto. Ora ha smesso e il paese, a valle, è seppellito sotto una glassa bianca e spessa e le piste da sci non aspettano altro d'esser solcate dagli sciatori. Ma, aspettate... guardo la neve attraverso la finestra e noto una cosa strana. In mezzo a quel bianco c'è una grossa macchia scura che non dovrebbe esserci. Che roba è? Un animale morto? Sembra troppo grosso per essere un animale. Che sia una visione, effetto della gangia? Non credo. Tonino, il mio pusher di fiducia, vende roba buona ma non così buona. Mi alzo dal divano e m'infilo gli stivali di pelle di daino foderati di pelo e la giaccavento rossa dell'Oviesse e poi esco per dare un'occhiata. Prima di uscire dalla porta, prendo con me un bastone; un bel bastone di legno che ho sbucciato e limato; non si sa mai. La vetta d'una montagna è l'ultimo luogo dove fare brutti incontri, lo so, ma il mondo è un buco malvagio e non si è mai sicuri. Con me porto anche una torcia elettrica per vederci meglio, nonostante il plenilunio, frangendosi contro la neve, getti su tutta l'area una tenue luminiscenza. Esco di casa e affondo fino alle palle nella neve. Maldizione. Sguazzare tra la neve che m'infradicia le biglie è una delle rare occasioni in cui rimpiango d'esser nato gnomo e non umano. Procedo in mezzo a tutto quel bianco e mano a mano che m'avvicino alla macchia scura, la fitta peluria che mi cresce lungo la schiena si drizza e non per il gelo. Ho un brutto presentimento. Direziono la torcia davanti a me e allora il brutto presentimento diventa realtà. La macchia scura è un corpo. Il corpo d'una donna che giace in mezzo alla neve come fosse morta. La raggiungo. Sì, è proprio una donna, piuttosto giovane. Veste una tuta da sci nera con le cuciture rosa e poco distante da lei, affondata a metà nella neve, c'è una tavola da snowboard. Probabilmente, la bellezza sciava, è caduta, ha sbattuto il suo grazioso musetto ed è svenuta di botto. E dato che è una rompicoglioni come in genere lo sono tutte le donne, nessuno è venuto a cercarla e lei è rimasta qui, a lasciarsi ghermire dal gelo. È morta? Per cercare di capirlo, le tasto la gola, alla ricerca di pulsazioni. Le trovo. Deboli, stentate, ma ci sono. Il cuore sta ancora battendo. Non rimane altro da fare che portare la bella assiderata dentro casa e riscaldarla come una patata arrosto. Dunque la prendo per un braccio e me la carico sulle spalle, poi ritorno alla mia baita. La cosa non mi costa nessuna fatica dato che la donna è leggera come una piuma. Oltre a ciò, dovete sapere che noi gnomi siamo forti. E già. Le dimensioni possono trarre in inganno. I più guardandomi, possono pensare che in quanto a forza io valga come un bambino. Niente di più falso. Uno gnomo è un essere duro, massiccio, come un tronco d'albero secolare; ha braccia corte e robuste e mani in grado di fanturame la pietra. Mai mettersi contro uno della mia razza, tenetelo presente. È come essere un levriero e pretendere di averla vinta su un pittbull solo perché si è più alti. E no, ragazzi miei. Al pittbull basta e aprire e chiudere di scatto le ganasce per castrarvi in un sol colpo. Giunto in casa, adagio la quasi morta assiderata sul tappeto di pelle d'orso, davanti al camino e la schiaffeggio, ma lei non ha reazioni. È praticamente in coma. Qui o agisco in fretta o questa ci lascia la pelle. Le tolgo il berretto a pon-pon e allora scopro che la tipa è bionda. Praticamente la sua criniera esplode nel momento in cui le sdraico il berretto dalla testa. Bum! Un big bang di boccoli gialli si sparpaglia sul pavimento tutt'intorno all'ovale del viso. Il fenomeno, vi dirò, mi lascia piacevolmente spiazzato. Il fatto che sia gnomo, non significa che non sia sensibile alla bellezza e alla femminilità. Tutt'altro. Le donne mi piacciono e le bionde trovo che abbiano una marcia in più. Decido di non soffermarmi troppo sulla chiona fulgida come il sole, mossa come il lago spazzato dal vento, perché ogni secondo è prezioso. Abbasso la zip della tuta, la tiro via dal corpo della bionda e poi le tolgo di dosso anche il resto, maglione, maglietta, calzamaglia, calze... mutandine... reggiseno... e... Per tutti gli dei in cui non ho mai creduto! Quella che mi ritrovo stesa sul pavimento è una supertopa. Una figa stellare. La donna dev'essere sui venticinque anni, non di più, e ha un corpo assolutamente da urlo; giovane, sinuoso, che curva nei punti giusti e con i seni sodi e i capezzoli come i chiodi che trafissero il Cristo sulla croce per via del gelo. A vederla così, la biscia comincia ad agitarsi, ma per l'ennesima volta m'impongo di agire rapido ed efficace, come se stesa nuda sotto di me non ci fosse la meglio fica che mi sia capitato di vedere dal vivo, ma una vecchia puzzona che necessita di essere rianimata. Quando un corpo è a rischio di assiderazione, ciò che bisogna fare è molto semplice: riattivare il flusso sanguigno, innalzare la temperatura, insomma. Per operare in tal senso, un buon modo potrebbe essere immergere il suddetto corpo in una tinozza colma d'acqua bollente. Solo che in casa mia ho la luce elettrica, ma non l'acqua calda e per scaldare una tinozza dovrei metterla sul fuoco e attendere almeno venti minuti. Troppo! Non mi rimane che il biano B, dunque; vale a dire avvicinare il più possibile il corpo al camino e velocizzare il processo di riscaldamento, sfregandolo violentemente di mia mano. E così faccio e... Ragazzi, mentre le mie mani ruvide e callose sfregano quel corpo dapprima gelido e duro come il ghiaccio, poi sempre più tiepido e morbido, non posso fare a meno di scaldarmi anche io. Come se non bastasse, mano a mano che sfrego, la pulzella ritorna parzialmente in sé e geme, mezza incosciente, emette dei lamenti sfuggenti come se stesse godendo... Magari sta godendo! Magari, oltre che la circolazione, la decisa azione drenante delle mie mani, ha riattivato immagini, nella caverna oscura della sua mente semicoma, immagini erotiche, sogni caldi e lussuriosi. «Oh sì... uhm... uh... oh... così!» Geme e ansima la piccolina, con gli occhi chiusi, prigioniera del suo sogno, La mia biscia è ora bella tesa. Sono eccitato anche io, ma non arrivo al punto di spogliarmi e chiavarmi la bionda a sua insaputa. Anche se a ben vedere, forse è ciò di cui avrebbe più bisogno. Comunque, quando la temperatura è tornata alta e capisco che la ragazza è fuori da ogni pericolo, la avvolgo in più coperte e la lascio lì, a dormire, a sudare accanto al fuoco. Io m'infilo di nuovo la giaccavento, gli stivali foderati e mi avvicino alla porta. Getto un'ultima occhiata sulla ragazza, il viso un po' arrossato che sbuca dal fagotto di coperte insieme alla cometa di capelli biondi, poi, sospirando, apro la porta ed esco al gelo della notte. Aggiro la baita fino a portarmi sul retro dove si trova la piccola stalla dentro cui tengo una decina di pecore e la mucca Gelsomina. Gelsomina sta dormendo. È una mucca enorme, dovete sapere. Una mucca gigante e ha sempre le mammelle gonfie, lì che pendono tra le quattro zampe, pronte per essere spremute. È come una centrale del latte, Gelsomina. La amo con tutto il cuore. Ma lasciamo stare Gelsomina. Se sono nella stalla è per qualcun altro. È per Raggio di Luna, È così che chiamo la mia pecorella preferita, Una piccola agnellina che, nelle notti in cui la solitudine pesa troppo e il fuoco del desiderio non si accontenta d'un semplice schizzo su un video di YouPorn, si sacrifica e fa la parte della puttanella. Sia chiaro, io non sono un pervertito che ama le pecore. A me piacciono le donne, come quella che sta dormendo in casa mia, accanto al camino. Ma il caso vuole che le donne non vadano pazze per uno gnomo e così ogni tanto mi rifaccio su Raggio di luna. Quando mi vedono entrare, le pecore vanno in agitazione. Belano e si addossano tutte alla parete. Pure Raggio di luna che si nasconde tra la lana delle sue compagne, ma io sono svelto ad allungare il braccio oltre lo steccato e la prendo e la sollevo per portarla dalla mia parte. Lei bela come una disperata, ma non c'è niente che possa fare e poi sono sicuro che un po' le piace, a 'sta troietta tutta lana, farsi montare da uno gnomo superdotato. Ansimando come un toro, con una mano slaccio cintura e brache mentre con l'altra stringo Raggio di luna, poi tiro fuori la proboscide e la infilo di botto nella fichetta dell'agnellina. Lei ha come un singulto. Caccia fuori un verso stridulo che attira gli occhi sgomenti di tutta la stalla, Gelsomina compresa. Anche il regno animale è fatto di guardoni, che vi credete? Prendo a montare Raggio di luna e lei bela, scalcia, ruota il piccolo capo, ma io non la mollo e mentre affondo l'attrezzo in quel battufolo di lana morbido come una nuvola di zucchero filato, penso alla bionda che è sdraiata sul mio divano. Uh, sì, immagino che qui, nella stalla, a novanta gradi, davanti a me, sulle quattro zampe come un animale non ci sia Raggio di luna, ma lei e che il mio martello di Thor non stia stantuffando la fica di una pecora, ma la sua, bella, rosa, profumata, racchiusa tra le natiche sode. Stantuffo sempre più forte e Raggio di luna bela sempre più disperata, finché non vengo. Allora, con un verso disperato e brutale assieme, un verso che non s'è mai sentito in nessuna savanna del mondo, m'inarco e ricado sulla gobba dell'animale e m'accascio e allora Raggio di luna ne approfitta e scappa via e s'arrampica su per lo steccato, rivolgendomi i suoi occhietti offesi e impauriti. Rimango lì qualche secondo, prostrato, tra le zaffate di fiato caldo gettate dalla mucca Gelsomina, poi mi alzo, risistemo brache e cintura ed esco dalla stalla. Torno in casa. la bionda è lì che dorme con un sorriso appena accennato sulle labbra. L'ha scampata brutta, ma grazie a me è tornata nel mondo dei vivi. Se la gratitudine si misurasse con la disponibilità sessuale, questa tipa dovrebbe succhiarmelo ogni dì che il sole spunta oltre la montagna, altroché Raggio di luna... La guardo un ultimo istante, poi mi ritiro in camera mia, crollo sul letto e sprofondo finalmente nel sonno.