GLI ALBERI IL BOSCO IL LEGNO

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GLI ALBERI IL BOSCO IL LEGNO
Gli alberi forestali
della nostra Provincia
PARTE PRIMA
GLI ALBERI
IL BOSCO
IL LEGNO
Gli alberi che formano i boschi della nostra Provincia
sono comuni a tutto l’arco alpino, e non solo. In
questo manuale compaiono le specie autoctone o
naturalizzate, giudicate meritevoli di trattazione nei
riguardi della loro diffusione, dell’importanza economica e dell’impiego del legno.
Le specie trattate sono una trentina; quelle normalmente note nel mondo rurale, almeno col nome,
sono circa al metà; quelle poi veramente conosciute,
oltre che col nome, anche sotto l’aspetto botanico,
ecologico e dell’impiego del legno sono veramente
poche. Eppure camminando in un bosco con spirito
osservatore, è facile incontrare in pochi minuti una
decina di specie arboree diverse. Abete rosso,
Larice, Castagno, Robinia sono tra le specie note a
tutti, se non altro all’impatto visivo; all’atto dell’utilizzazione, la maggior parte delle specie legnose
finisce indistintamente nel “calderone” della legna
da ardere, senza sapere che, con le dovute cure, un
giovane albero può diventare, in qualche decennio,
un fornitore di legname da lavoro di ottima qualità. All’opposto, capita di vedere impianti forestali
abbandonati o non correttamente curati, dai quali
i proprietari si aspettano di ottenere ricavi decisamente spropositati rispetto le caratteristiche degli
alberi presenti. Non è sufficiente piantare alberi di
Noce per avere un reddito futuro: un cattivo Noce
vale meno di una bella Betulla!
La maggior parte delle specie trattate è autoctona,
cioè sin dalla sua comparsa sulla Terra, si è diffusa
anche sulle nostre montagne, subendo le vicissitudini sconvolgenti legate alle glaciazioni ed in
generale ai cambiamenti climatici.
Nei secoli l’uomo ha favorito, consciamente o
inconsciamente, certe specie a danno di altre,
esercitando il taglio dei boschi, a volte anche in
modo indiscriminato.
Pensando al Castagno, è facile credere che la sua
ampia diffusione sia stata sostenuta e favorita dall’uomo, che per secoli lo ha coltivato.
Alcune specie si sono diffuse in seguito all’importazione da paesi lontani di pochi soggetti, all’epoca
sconosciuti; il clima ed i terreni ad esse adatte ne
hanno permesso l’inserimento stabile anche nei
nostri boschi: pensiamo alla Robinia, che viene dagli
Stati Uniti, all’Ailanto e alla Buddleia, che vengono
dalla Cina.
Nel secolo scorso furono condotte sperimentazioni
per migliorare i boschi italiani, introducendo specie esotiche dalle quali si sperava di ottenere
buoni risultati in termini di produzione legnosa; ne
9
fu interessata anche la nostra provincia, con piantagioni di Douglasia, Cedri e Pini strobi. I risultati
della sperimentazione non furono incoraggianti, e
tuttora si possono osservare le piantagioni superstiti, ormai abbandonate alla libera evoluzione.
La gestione del bosco
I boschi in cui l’uomo non esercita alcuna attività
( taglio o pascolo) o non arreca azioni di disturbo
più o meno pesanti (come lo sono gli incendi), sono
soggetti alla sola evoluzione naturale, o libera evoluzione. Perché si possano vedere i segni della libera
evoluzione, tuttavia, è necessario che un bosco
segua questo destino almeno per qualche decennio,
se si tratta di bosco giovane, o tempi più prolungati in caso di boschi adulti. Molti boschi delle zone
meno accessibili, come quelli dei pendii più ripidi,
ostacolati dalle balze rocciose e difficili da percorrere sono attualmente soggetti alla libera evoluzione; il fatto che non sempre ospitino alberi secolari, può derivare dal fatto che il terreno fertile a
disposizione sia limitato e non ne consenta la crescita, oppure che si trovino in una fase ancora giovanile. Chi osserva bene, infatti, potrà trovare
qualche segno dei tagli eseguiti nel passato: ceppaie quasi decomposte, funi metalliche ( residui di
vecchie teleferiche), aie carbonili ecc., testimoni dei
tempi in cui lo sfruttamento del bosco era molto
intenso.
I boschi che periodicamente vengono tagliati,
invece, sono sottoposti ad un regime selvicolturale. In seguito al taglio, lo spazio disponibile viene
occupato da nuovi alberi, che si possono originare
dalla germinazione dei semi, provenienti dalle
piante rimaste in piedi o dalle stesse piante tagliate,
quando ancora non lo erano, oppure possono originarsi dai ricacci delle gemme presenti sulla ceppaia delle piante tagliate. Inoltre, anche superfici
che fino ad un determinato momento non erano
bosco, possono trasformarsi in boschi, come è il caso
di molti terreni agricoli abbandonati.
Se nel bosco prevalgono nettamente le piante nate
da seme, il bosco è una fustaia (foto 1); se prevalgono i ricacci delle ceppaie, detti polloni, il bosco
è un ceduo (foto 2). Fustaia o ceduo determinano
il governo del bosco. Naturalmente sono possibili,
anzi sono assai frequenti, anche le situazioni miste,
soprattutto quando i tagli riguardano superfici di
limitata estensione e sono eseguiti in epoche
diverse. Spesse volte, come sovente accade nei
boschi frammentati secondo la proprietà, si susseguono su piccole superfici tratti di fustaia, di ceduo,
di situazioni miste (ceduo matricinato, ceduo sotto
10
fustaia). La scienza forestale che tratta il taglio e
la cura dei boschi, cioè la selvicoltura, impartisce
regole precise per la gestione dei diversi tipi di
bosco; per contro, la gestione ordinaria dei boschi
deriva da un mosaico di situazioni particolari,
create da soggetti con competenze e finalità
diverse.
Il diritto di proprietà dei boschi non consente di
esercitarvi qualsiasi attività. In tutte le civiltà e in
tutti i paesi, gli ordinamenti giuridici riconoscono
l’utilità dei boschi, indipendentemente da chi ne sia
il proprietario, a favore della collettività, e ne tutelano la conservazione.
L’ordinamento giuridico italiano fornisce le basi per
la tutela dei nostri boschi già dal 1923; la legge
più importante a tale riguardo era il Regio Decreto
Legge 3267 del 1923, in seguito modificato ed integrato da varie leggi statali e regionali. Lo Stato Italiano inoltre ha demandato alle Regioni le funzioni
amministrative che riguardano i boschi, e la Regione
Lombardia, al pari delle altre, ha emanato a sua volta
una serie di norme che riguardano il settore forestale. Particolare importanza assumono la legge
regionale 8 del 05/04/1976 (in seguito modificata
dalla L. R. 80 del 22/12/1989), che impartisce le
linee della politica forestale in Lombardia, e il Regolamento Regionale 1 del 23/02/1993, che contiene
le Prescrizioni di Massima e le Norme di Polizia Forestale. A chi esegue periodicamente attività selvicolturali nel bosco (tagli, ripuliture ecc.) si consiglia vivamente la lettura di queste ultime.
Le fustaie possono essere coetanee, quando le
piante hanno la stessa età, a meno di pochi anni
di differenza. Le fustaie coetanee si possono originare a seguito di tagli che interessano tutte le
piante presenti in un certo bosco: lo spazio rimasto vuoto viene occupato dalla rinnovazione naturale (foto 3), ossia dalle piantine che nascono dai
semi che germogliano, e il taglio si chiama taglio
raso. La rinnovazione naturale è il metodo migliore
e più sicuro che permette la perpetuità dei boschi;
le giovani piantine sono adatte al bosco in cui
nascono, perché figlie delle piante preesistenti nello
stesso luogo, che a loro volta vi si sono adattate.
Le fustaie coetanee si originano anche a seguito dei
tagli successivi: la rinnovazione naturale si insedia dopo dei tagli che si fanno ad intervalli. Essi
consistono in taglio di preparazione, taglio di
sementazione, tagli secondari, che favoriscono l’illuminazione del suolo, la fruttificazione e la disseminazione delle piante mature e la nascita delle
piantine, e taglio di sgombero, che elimina le rimanenti piante del vecchio ciclo quando le giovani
piantine sono ormai affermate. A differenza del
taglio raso, il trattamento dei tagli successivi man-
1)
Fustaia di Abete
rosso
4)
Perticaia
di Pino silvestre
2)
Ceduo di Faggio
3)
Rinnovazione
naturale
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tiene sempre una buona copertura del suolo, utile
per la sua protezione.
Quando si decide di impiantare un bosco nuovo, o
quando la rinnovazione naturale tarda ad insediarsi,
o non corrisponde alle specie desiderate, si può ricorrere alla piantagione di piantine nate nei vivai forestali. A questo riguardo è utile precisare che la provenienza del seme da cui sono nate le piantine non
deve essere casuale: l’abete rosso che proviene dalla
Siberia può non essere adatto alle Alpi; sulla stessa
catena alpina si susseguono zone con clima e terreno diversi, e l’abete rosso di una zona può non
essere adatto ad essere piantato in un’altra. Naturalmente quanto detto per l’abete rosso vale anche
per tutte le altre specie.
E’ facile intuire come le fustaie coetanee con rinnovazione naturale, nelle fasi iniziali, contengano
un numero altissimo di giovani piante (foto 4), e
man mano che le piante crescono, il loro numero
diminuisce sensibilmente. Ciò che succede è la selezione naturale, che fa in modo che le piante superstiti siano le più vigorose e adatte al bosco in cui
si trovano. Nelle fustaie coetanee sottoposte a
regime selvicolturale è opportuno eseguire degli
interventi che assecondino ed accelerino il processo
di selezione naturale; questi interventi sono gli sfolli
ed i diradamenti (foto 5), ed hanno lo scopo di
eliminare le piante più deboli e di cattivo aspetto,
regolando la densità del bosco a livelli ottimali.
Quando la fustaia coetanea è matura si eseguono i
tagli di utilizzazione, che corrispondono al taglio
raso o ai tagli successivi, a seconda del trattamento
adottato.
Quando le piante della fustaia non hanno la stessa
età, ma convivono sulla stessa superficie piante
mature, piante giovani e rinnovazione naturale, si
dice che la fustaia è disetanea. Durante le utilizzazioni i tagli che si eseguono riguardano piccole
aree disposte a macchie sull’intera superficie del
bosco; il trattamento adottato è quello del taglio
saltuario. Nelle aree di taglio si utilizzano poche
piante mature e contigue, e all’occorrenza si possono eseguire sfolli e diradi che riguardano le piante
più giovani presenti in quella stessa area. La rinnovazione naturale si instaura solo nelle buche
create a seguito del taglio delle piante mature. I
tagli saltuari si possono eseguire ogni 10-20 anni,
e col tempo si percorre tutta la superficie del bosco;
le buche create coi primi tagli ospiteranno piante
mature, e le buche più recenti piante più giovani,
determinando così il tipico aspetto della fustaia
disetanea.
Dalle fustaie si ricavano assortimenti legnosi di
grandi dimensioni, che vengono impiegati come
legname da lavoro.
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Il governo a ceduo può essere applicato solo a quei
boschi formati da specie che hanno la capacità di
riprodursi per via vegetativa, ossia che possono
emettere polloni (foto 6). Abete rosso, Abete
bianco, Larice e Pino silvestre, che formano gli estesi
boschi di conifere delle nostre montagne, non
hanno la capacità di riprodursi per via vegetativa,
e per essi il governo a fustaia è l’unico possibile.
Al contrario la maggior parte delle latifoglie nostrane
è in grado di riprodursi sia per seme che per via
vegetativa: il governo scelto per i boschi di latifoglie può quindi essere sia il ceduo che la fustaia.
Il taglio del bosco ceduo viene praticato durante il
riposo vegetativo; le Prescrizioni di Massima stabiliscono le date di inizio e di termine del periodo di
taglio, differenziate a seconda della quota del
bosco. La rinnovazione avviene all’inizio della stagione vegetativa successiva al taglio, grazie alle
gemme presenti sulla ceppaia, che germogliano. I
polloni che si originano crescono velocemente, se
paragonati alle piantine nate da seme della stessa
specie. Una piantina di Castagno di un anno raggiunge circa 10 cm di altezza, mentre un pollone,
sempre di Castagno, al primo anno può superare il
metro.
I semi presenti in terra germogliano anche nel bosco
ceduo, ma l’ombra eccessiva proiettata dai polloni
non permette lo sviluppo delle piantine, che presto deperiscono. Solo dove le ceppaie sono più rade,
o dove una ceppaia perde la vitalità e non forma
più polloni, le piantine si possono sviluppare ed
affermarsi. La vitalità delle ceppaie dura per qualche ciclo, e poi comincia a decadere, e il selvicoltore deve fare in modo di rimpiazzare quelle esauste. I polloni, grazie alla loro rapida crescita, possono essere tagliati a intervalli piuttosto ravvicinati; il periodo di tempo che intercorre tra un taglio
e l’altro si chiama turno. All’epoca del taglio, le
piante nate da seme avranno dimensioni assai
minori dei polloni nati lo stesso anno, e sarà opportuno risparmiarle; verranno tagliate nei turni successivi, quando potranno fornire gli assortimenti
desiderati. Se appartengono ad una specie che può
riprodursi per via vegetativa, formeranno nuove ceppaie. I semi da cui nascono le piantine possono
essere prodotti sia dai polloni che dalle piante nate
da seme; in entrambi i casi vengono considerate
matricine. Per garantire una continua sostituzione
delle ceppaie che di volta in volta si esauriscono,
le Prescrizioni di Massima impongono, per certe specie, il rilascio al momento del taglio di un certo
numero di matricine, che potranno essere tagliate
nei turni successivi. Le matricine, oltre a produrre
semi, hanno il compito di proteggere il suolo, che
altrimenti subito dopo il taglio rimarrebbe scoperto.
Per questo motivo le matricine devono avere buone
caratteristiche di stabilità, soprattutto nei confronti
del vento e della neve.
Il ceduo in cui non si allevano le matricine viene
detto semplice, mentre nel caso opposto matricinato.
Per le specie più vitali, come il Castagno e la Robinia, il riscoppio dei polloni dopo il taglio è molto
rigoglioso: su una ceppaia sola si possono formare
diverse decine di polloni. Questo numero è certamente eccessivo se si considerano i polloni che effettivamente possono raggiungere lo scadere del turno
con un buon accrescimento ed una buona conformazione. Analogamente alle fustaie nelle fasi giovanili, anche per il giovane ceduo sono opportuni
degli interventi di selezione dei polloni, con cui si
eliminano quelli più deboli, male ancorati alla ceppaia, storti, ammalati ecc., per rilasciare solo quelli
che possono raggiungere lo scadere del turno in
buone condizioni (foto 7).
Un particolare trattamento del ceduo è il ceduo a
sterzo; in questo caso all’epoca del taglio si preleva solo una parte dei polloni, scelti tra i più vecchi. Sulla ceppaia rimangono sempre dei polloni, più
giovani di quelli tagliati, che garantiscono una
buona protezione del suolo. Durante il taglio si esegue anche lo sfollo dei polloni più giovani in soprannumero; i tagli vengono ripetuti all’incirca ogni 810 anni, e i polloni più vecchi raggiungono l’età di
24-30 anni. Questo trattamento è adatto alle specie che gradiscono l’ombra, come il Faggio.
Gli assortimenti legnosi che si ottengono dal ceduo
sono di dimensioni inferiori a quelli delle fustaie
mature; l’assortimento principale oggigiorno è la
legna da ardere e la paleria agricola o per bioingegneria; dalle matricine si può ottenere legno da
lavoro.
Caratteristiche del legno
Le piante legnose presenti sul nostro territorio e che
hanno significato per la produzione legnosa, si ripartiscono in conifere e latifoglie. Le prime prendono
il nome dal frutto che producono, ossia la pigna, a
forma di cono, ed hanno le foglie allungate, a forma
di ago, e perciò sono dette anche aghifoglie.
Le latifoglie prendono il nome dall’avere la lamina
fogliare più o meno espansa, e sono dette anche
piante “da foglia”.
Nel nostro clima gli alberi si accrescono secondo il
ritmo delle stagioni, formando degli strati di legno
che si dispongono uno sull’altro, e che nelle sezioni
trasversali dei tronchi appaiono come anelli (fig. 1).
In primavera, quando il suolo ha una buona dispo-
Fig. 1 - Schema dell’accrescimento legnoso in sezione longitudinale (sinistra) e trasversale (destra).
nibilità di acqua, inizia l’accrescimento dell’anno,
con la formazione, immediatamente sotto la corteccia, e quindi in posizione esterna rispetto agli
altri strati, della prima parte del nuovo strato
legnoso, ricco di canali che trasportano la linfa
grezza dalle radici alle foglie. Il nuovo strato
legnoso termina sui getti di accrescimento con la
cacciata dell’anno. Col progredire della stagione
vegetativa prosegue l’accumulo di legno, con canali
di trasporto e materia di sostegno. In estate si completa l’accrescimento, con accumulo di sostanza di
sostegno più densa e spesso di colore più scuro.
Questa successione è visibile nelle sezioni trasversali dei tronchi: la parte chiara dell’anello corrisponde al legno primaverile, quella più scura o più
densa al legno tardivo.
Il legno delle conifere è composto soprattutto da
elementi che hanno il compito di trasportare la linfa
e di sostenere la pianta, che si chiamano tracheidi,
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Fig. 2 - Legno di conifera in sezione radiale (ingrandito).
e si sviluppano in direzione dell’asse del fusto; si
possono trovare inoltre i canali resiniferi, anch’essi
in direzione assiale, che trasportano la resina
(fig. 2).
Nel legno delle latifoglie il trasporto della linfa è
svolto da canali detti vasi, mentre il sostegno della
pianta spetta alle fibre.
I raggi esistono sia nelle conifere che nelle latifoglie, e si sviluppano in senso trasversale, dal
midollo verso l’esterno, come i raggi di una ruota.
In certi casi i canali resiniferi, i vasi ed i raggi possono essere visti a occhio nudo, o meglio con una
semplice lente di ingrandimento.
Per osservare il legno e riconoscere i suoi elementi,
è necessario definire le direzioni e le corrispondenti
sezioni fondamentali. Se si taglia un tronco lungo
il proprio asse, come si fa comunemente per ricavare le tavole, si crea una sezione longitudinale;
in particolare, se il taglio passa per il midollo, la
sezione viene detta longitudinale radiale (fig. 3),
mentre se non passa per il midollo la sezione si dice
longitudinale tangenziale (fig. 4). Naturalmente
il taglio radiale, su tutta la lunghezza di un tronco,
a causa della non perfetta dirittezza di quest’ultimo,
Fig. 3 - Tronco in sezione radiale.
Fig. 4 - Tronco in sezione tangenziale
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Fig. 5 - Tavole in sezione trasversale.
In alto: tavola radiale; in basso: tavole tangenziali.
potrà non interessare sempre esattamente il midollo,
ma la sezione nel complesso viene comunque detta
radiale.
Se il taglio del tronco viene fatto perpendicolarmente all’asse, come quando si fa il taglio di
abbattimento di una pianta, si ottiene una sezione
trasversale (fig. 5).
L’osservazione del legno riesce più agevole se le
superfici sono ben lisce: le sezioni longitudinali
dovranno essere piallate, e la trasversale piallata o
eseguita con una lama circolare di precisione. Il
taglio con la motosega, a causa della superficie di
taglio scabra che lascia, spesso non consente una
buona osservazione.
La successione degli anelli di accrescimento si
osserva bene in sezione trasversale; si può inoltre
rilevare la differenziazione tra alburno, che è la
corona più esterna di legno, e durame, che è la
parte più interna (foto 8). L’alburno è di colore
chiaro, mentre il durame, se è differenziato, è di
colore più scuro; il limite tra le due zone può coincidere con un anello di accrescimento, oppure
essere irregolare. Sempre in sezione trasversale si
possono osservare la presenza di canali resiniferi,
nel caso delle conifere, e la disposizione dei vasi
nel caso delle latifoglie. Certe latifoglie come il Frassino e la Robinia formano i vasi con diametro maggiore nel legno primaverile, che di conseguenza
risulta molto poroso, e quelli con diametro via via
più piccolo nel legno tardivo, che di conseguenza
risulta più compatto e denso. Questa particolare
disposizione dei vasi nella cerchia annuale prende
il nome di porosità anulare; quando invece i vasi
si distribuiscono omogeneamente nella cerchia
annuale, il legno risulta a porosità diffusa (fig. 6).
Quando si prende in esame il legno di una certa specie ai fini delle lavorazioni, è importante riconoscere la tessitura e la venatura.
La tessitura deriva dalla disposizione e dalle dimensioni degli elementi che costituiscono il legno: Frassino e querce, ad esempio, hanno tessitura grosso-
lana, dovuta alla porosità anulare, mentre Acero e
Ciliegio hanno tessitura fine. La tessitura può
essere osservata sia in sezione trasversale che
nelle sezioni longitudinali.
La venatura è il disegno formato dalla successione
delle cerchie di accrescimento annuali, ed è particolarmente evidente quando il passaggio da una cerchia a quella successiva è marcato da un cambiamento di colore, come avviene ad esempio nel Larice
e nell’Olmo. L’effetto più appariscente della venatura si osserva nelle sezioni longitudinali: nella longitudinale radiale si ha la venatura a rigatino, mentre nella longitudinale tangenziale si ha la venatura fiammata (fig. 7).
Le querce e il Faggio hanno i raggi ben visibili: in
sezione trasversale appaiono piuttosto sottili e lunghi, mentre in sezione radiale appaiono come dei
nastri alti qualche millimetro, che riflettono la luce
in modo diverso dal restante legno. L’effetto che
determinano, molto evidente, sono le specchiature
(foto pag. 65). Ci sono specie, come il Ciliegio, in
cui i raggi sono visibili, ma molto piccoli, e l’effetto delle specchiature risulta poco evidente.
Le caratteristiche finora esaminate permettono di
comprendere come il legno sia un materiale non
omogeneo, ossia gli elementi che lo compongono
hanno una ben precisa disposizione, che cambia a
seconda della direzione considerata. Questo fatto
influenza molte proprietà fisiche del legno: esse
cambiano a seconda della direzione considerata. Ad
esempio, un’esperienza molto comune permette di
osservare come, spaccando la legna da ardere, la resistenza allo spacco sia minore in senso assiale che
in senso trasversale. La non omogeneità del legno
si chiama più propriamente anisotropia.
Allo stato fresco il legno ha un alto contenuto di
umidità, che diminuisce lentamente dal momento
in cui i fusti vengono abbattuti e seguono le successive lavorazioni; la perdita di umidità procede
fin tanto che l’umidità del legno si trova in equilibrio con l’umidità dell’ambiente in cui il legno si
trova. Il processo di perdita di umidità si chiama
stagionatura; è chiaro che la stagionatura dipende,
nella fase finale, dall’umidità ambientale: un
ambiente molto secco favorirà la perdita di buona
parte dell’umidità del legno, e all’opposto un
ambiente umido favorirà il mantenimento dell’umidità. Allo stato fresco, il peso di un campione di 1
m3 di legno di Abete rosso in media si aggira attorno
a 860 kg; parte di questo peso è dovuta all’acqua
contenuta. Se si potesse seccare completamente il
campione di legno, si arriverebbe ad un peso pari
a circa 390 kg, il che significa che 470 kg di peso
originario erano dati dall’acqua contenuta. In condizioni normali la perdita di umidità non si spinge
15
5)
Pineta
di Pino silvestre
diradata
6) Ceppaia e polloni di Castagno
8)
Differenziazione
tra alburno e durame
in un tronco di Larice
7)
Giovane ceduo
di Robinia
dopo una ripulitura
16
Fig. 6 - Legno di latifoglia in sezione radiale (ingrandito). In alto: porosità diffusa; in basso: porosità anulare.
sino al valore assoluto: il metro cubo di legno di
Abete rosso correttamente stagionato avrà un peso
di circa 440 kg, e senza dispositivi particolari è praticamente impossibile abbassare ulteriormente tale
peso. Per quantificare il livello di umidità del
legno, si usa rapportare il contenuto di acqua del
campione col peso secco del campione, e lo si
esprime in percento. Il peso di 440 kg del campione
di Abete rosso di 1 m3 corrisponde ad una umidità
del 12%; questo valore, per convenzione, è detto
umidità normale del legno, ed è il valore al quale
corrisponde una buona stagionatura del legname da
lavoro. Il legname da usare per falegnameria fine
da interni dovrebbe avere un’umidità ancora inferiore, attorno all’8-9%, che ne garantisce la stabilità, ed è ottenibile solo tramite gli essiccatoi.
Se l’umidità ambientale aumenta, il legno che si trovava in equilibrio con essa, tende a riassorbire parte
dell’umidità dell’aria, fino a portarsi nuovamente in
condizione di equilibrio, e questo accade anche in
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Fig. 7 - A sinistra: venatura a rigatino in tavola radiale; a
destra: venatura fiammata in tavola tangenziale.
campioni di legno perfettamente stagionati. La possibilità di perdere o assorbire acqua è una caratteristica fondamentale del legno.
Ad ogni perdita di umidità corrisponde una diminuzione delle dimensioni, detta ritiro (per l’esattezza, il ritiro inizia quando l’umidità del legno si
abbassa sotto il 30 %; dallo stato fresco al 30% l’acqua evapora senza causare ritiro); viceversa, ad ogni
assorbimento di umidità corrisponde un aumento
delle dimensioni, detto rigonfiamento.
La componente del legno che più di tutte può scam-
Fig. 8 - In alto: imbarcamento di una tavola radiale; in basso:
trave fessurata contenente il midollo.
Le frecce indicano il verso prevalente del ritiro.
18
biare acqua, assorbendola o cedendola, è la lignina.
Il contenuto in lignina non è omogeneo nel legno:
le zone dove più si accumula sono la parte tardiva
degli anelli di accrescimento, cui conferisce il
colore scuro, e i nodi. Le variazioni del contenuto
di umidità del legno, perciò, sono più consistenti
nei punti più ricchi di lignina, e ne consegue che
le variazioni dimensionali non sono identiche in
tutte le direzioni. Si usa esprimere il ritiro che subisce il legno durante la perdita di acqua, passando
dallo stato fresco a quello perfettamente anidro, in
percentuale rispetto allo stato fresco. Ciò che interessa in pratica è il ritiro dallo stato fresco allo stato
di umidità normale del 12%, che varia dallo 0,20,3% in direzione longitudinale, dal 2-3% nella direzione radiale, e dal 4-5% nella direzione tangenziale.
Come si vede, l’entità del ritiro è diversa nelle tre
direzioni fondamentali considerate. Una tavola
segata allo stato fresco e lunga esattamente 1 m,
subirà un accorciamento durante la stagionatura pari
a 2-3 mm; nel caso di una tavola radiale larga 10
cm allo stato fresco, il ritiro nel senso della larghezza
sarà pari a circa 2-3 mm; nel caso di una tavola tangenziale larga 10 cm allo stato fresco, il ritiro nel
senso della larghezza sarà pari a circa 4-5 mm. Sulla
tavola radiale il ritiro tangenziale agirà nel senso
dello spessore; analogamente, sulla tavola tangenziale, il ritiro radiale agirà nel senso dello spessore.
Sia il ritiro che il rigonfiamento hanno, come è facilmente intuibile, effetti deformanti sugli assortimenti
legnosi. Uno dei primi segnali del ritiro compare già
sulle teste dei tronchi pochi giorni dopo l’abbattimento delle piante, con delle caratteristiche fratture che corrono in senso radiale (foto 9). Se il
tronco non viene segato, le fratture possono interessare tutta la lunghezza del tronco. Nel caso di
specie facilmente suscettibili allo spacco, come il
Castagno, possono prendere il sopravvento 1 o poche
fratture che si estendono su tutta la lunghezza del
tronco, e raggiungono il midollo, con un’apertura
sulla superficie esterna di qualche cm.
Se i tronchi allo stato fresco vengono prontamente
segati, il ritiro interessa gli assortimenti ottenuti.
L’effetto più vistoso si ha sulle tavole tangenziali,
che subiscono l’imbarcamento, mentre le tavole che
meno si deformano sono quelle radiali (fig. 8). Le
travi contenenti il midollo sono destinate a spaccarsi, analogamente a quanto succede ai tronchi,
con spaccature che vanno dal midollo verso l’esterno,
mentre le travi che non contengono il midollo risultano meno deformabili.
La massa volumica, o densità, del legno è il peso
di una unità di volume, e in pratica si esprime in
kg per m3. La massa volumica del legno non è un
valore costante nel tempo, poiché dipende dalla
variazione del contenuto di acqua; per esprimere la
massa volumica di un legno, è necessario specificare a quale contenuto di umidità si riferisce.
La massa volumica varia inoltre da specie a specie:
esistono legni molto leggeri, come il Pioppo e l’Abete rosso, che hanno massa volumica ad umidità
del 12% rispettivamente pari a 360 e 440 kg/ m3,
e legni decisamente più pesanti, come il Larice e il
bosso, che hanno massa volumica ad umidità relativa
del 12% rispettivamente pari a 660 e 990 kg/m3.
I valori espressi vanno considerati come medi di
numerose prove eseguite; la massa volumica infatti,
per una stessa specie e allo stesso contenuto di umidità, può variare a seconda dello spessore degli anelli
di accrescimento o della porzione di fusto considerata (il legno verso la base del fusto è più pesante
del restante). Per questo motivo i testi specifici possono riportare valori di massa volumica leggermente
diversi tra loro.
Di seguito si riporta una tabella con i valori medi
di massa volumica delle specie nazionali, allo stato
fresco e ad umidità relativa del 12%.
9) Spaccature radiali sulla testa di un tronco
Massa volumica Kg/m3
Stato fresco U = 12%
Abete bianco
920
460
Abete rosso
860
440
Acero di monte
830
660
Alloro
900
720
Bagolaro
960
720
Betulla
950
650
Bosso
1070
990
Carpino
1050
800
Castagno
1000
570
Cembro
870
450
Ciliegio
900
620
Cipresso
860
610
Faggio
1050
730
Frassino
960
750
Gelso
950
630
Ginepro
1020
600
Ippocastano
900
550
Larice
900
660
Leccio
1100
960
Maggiociondolo
1000
730
Noce
930
700
Nocciolo
920
650
Olivo
1120
920
Olmo
1000
650
Ontano
850
540
Pino domestico
850
620
Pino marittimo
950
630
Pino mugo
880
520
Pino nero
900
550
Pino silvestre
880
550
Pioppo
800
360
Platano
1000
570
Robinia
1050
750
Rovere
1050
820
Salice
880
450
Sorbo degli uccellatori
960
770
Tasso
1020
760
Tiglio
900
600
specie
N.B. i valori di massa volumica riportati nella
sezione relativa alla trattazione delle singole specie si intendono riferiti a U = 12%.
19
10) Taglio della tacca di direzione
11) Taglio di abbattimento
12) Inserimento del cuneo
13) Abbattimento avvenuto
14) Sramatura
20
Misurazione del legno
Il legname viene comunemente misurato in peso o
in volume.
Il peso, espresso generalmente in quintali (simbolo:
q), viene impiegato per misurare la legna da ardere
già depezzata. Risulta comodo infatti pesare il
carico dei mezzi impiegati per il trasporto; riguardo
la legna da ardere giova ricordare che il peso, per
una certa partita, è soggetto a calo, man mano che
procede la perdita di umidità, e pertanto ha un
valore momentaneo.
A volte il peso viene usato per misurare il legname
delle latifoglie, sia in tronco che in tavole, per il
fatto che spesso i tronchi non hanno forma regolare, così come le tavole ottenute, che generalmente
non vengono refilate, e di conseguenza risulta più
impegnativo adottare misure volumetriche.
La misura del volume viene riservata generalmente
al legname delle conifere, che ha forma più regolare, ed ai segati ottenuti. In questo caso l’unità
adottata è il metro cubo (simbolo: m3; abbreviazione: mc). Il volume viene impiegato nella misurazione sia del legname abbattuto, sia delle piante
in piedi.
Nel caso delle piante abbattute, queste risultano
ispezionabili in ogni punto ed il reperimento delle
misure non presenta problemi.
Con l’abbattimento (foto 10-14) si procede al taglio
della pianta, che cade sul letto di caduta. Si procede quindi alla sramatura e al taglio del cimale,
e ciò che rimane è il fusto da lavoro. I rami vengono tagliati il più possibile radente il fusto, mentre il cimale viene tagliato in corrispondenza di un
diametro che oscilla attorno a 20 cm; nel caso in
cui il taglio delle piante viene fatto a scopo commerciale, il contratto fissa, tra l’altro, il diametro
minimo in punta dei fusti.
L’operazione successiva dell’allestimento è la sezionatura, con la quale si ottengono i tronchi (foto
15), preparati secondo le misure commerciali. Poiché le teste dei tronchi possono subire dei danneggiamenti durante l’esbosco, è necessario lasciare
il salvalegno, cioè 10-20 cm di legno in più sulla
lunghezza del tronco. I tronchi verranno poi intestati in segheria, eliminando il salvalegno, e con
esso i residui di terra e sassi che può contenere.
La misurazione del legname abbattuto può riguardare il fusto oppure i tronchi, e può essere fatta
sul letto di caduta o sul piazzale di imposto.
Il metodo usuale per la misurazione del fusto o del
tronco consiste nel moltiplicare la sezione, rilevata
a metà della lunghezza, per la lunghezza stessa
(fig. 9)
La sezione si ricava misurando il diametro con un
Fig. 9 - Misurazione del diametro e della lunghezza.
apposito calibro, chiamato cavalletto dendrometrico (foto 16). Il diametro si esprime in centimetri;
può essere misurato sopra corteccia oppure sotto
corteccia. In quest’ultimo caso è necessario scortecciare un anello di fusto o di tronco nel punto
in cui si inserisce il calibro. La misura viene
approssimata per difetto al centimetro pieno: se ad
esempio la misura reale è 35,7 cm, quella adottata
è 35 cm.
Nel caso il fusto o il tronco nel punto in cui si rileva
il diametro abbiano sezione ovale, si misurano i diametri maggiore e minore, e si usa la media dei due
valori, data dal rapporto
Dm =
D1 + D2
2
con Dm = diametro medio
D1 = diametro maggiore
D2 = diametro minore
La sezione si ricava dalla nota formula
S = R2 × π
con S = sezione, in cm2
R = raggio, in cm
π = 3,14
Volendo operare col diametro, la formula diventa
D2
×π
4
con D = diametro, in cm
S=
La lunghezza si rileva generalmente tramite una cordella metrica, e si esprime in metri. La misura viene
approssimata per difetto al mezzo metro: se ad
esempio la lunghezza reale è 13,80 m, quella adottata è 13,50 m.
21
Poiché il volume si esprime in metri cubi, è necessario convertire il valore della sezione in metri quadri. In sintesi la formula da applicare è la seguente:
D2
V = ______
×π×L
40000
con V = volume, in m3
D = diametro, in cm
L = lunghezza, in m
A seconda che il diametro venga misurato sopra corteccia o sotto corteccia, si ottiene rispettivamente
il volume lordo o il volume netto.
Conoscendo la massa volumica (densità) dei tronchi di una determinata specie legnosa di cui si è
misurato il volume, è possibile calcolarne il peso.
Esempio per un tronco di Larice fresco e scortecciato:
VL Abete rosso = 57,18 m3
VL Larice
= 79,46 m3
VL totale
= 136,64 m3
il volume netto si ricava con i seguenti calcoli:
D = 47 cm
L = 5,50 m
2
47 x 3,14 x 5,50 = 0,95 m3
V netto = _______
40000
Massa volumica = 900 kg/m3
Peso = 0,95 x 900 = 855 kg
Nel caso in cui il legname misurato sia oggetto di
compravendita, durante la misurazione si esaminano
anche i difetti di ogni tronco che possono influire
sulla qualità dei segati ottenibili. I tronchi misurati vengono quindi ripartiti in cataste distinte a
seconda della specie legnosa e della qualità, o più
propriamente della classe. E’ importante, onde evitare contestazioni, fare riferimento a norme precise
che definiscono i difetti ammessi per ogni classe.
La Raccolta Provinciale degli Usi, edita dalla Camera
di Commercio, Industria e Artigianato di Sondrio,
nel capitolo relativo alla compravendita dei prodotti,
tratta anche i prodotti della selvicoltura, tra cui il
legname grezzo. Sono stabiliti degli sconti in percentuale da attribuire ad ogni tronco difettoso, in
funzione della misura o dell’intensità del difetto. Il
volume così scontato è il volume nettissimo, ed
è quello che viene adottato dalle parti per il calcolo del valore del lotto di legname.
La Regione Lombardia ha predisposto un capitolato
per la vendita dei lotti boschivi pubblici, ove tra
l’altro si trova una tabella con i difetti del legname
e i relativi sconti in percentuale.
Per il calcolo del volume sotto corteccia, o volume
netto, di una partita di legname è possibile ricorrere all’applicazione di riduzioni percentuali sul
volume lordo. Le Tariffe del Trentino Alto Adige, di
cui si dirà più avanti, forniscono i seguenti valori
relativi alla corteccia, da togliere al volume lordo:
22
– Abete rosso e Abete bianco: 10%
– Larice: 20%
– Pino silvestre: 15%
– Cembro: 14%
Questi valori rappresentano delle medie di numerose prove, e si riferiscono all’intero fusto da
lavoro; poiché lo spessore della corteccia diminuisce dalla base del fusto verso il cimale, non è corretto applicare le riduzioni percentuali solo a uno
o pochi tronchi.
Se ad esempio il volume lordo di una partita di
legname composta da Abete rosso e Larice è stato
così misurato:
57,18 x 10 = 51,46 m3
VN Abete rosso = 57,18 – __________
100
79,46 x 20 = 63,57 m3
VN Larice = 79,46 – __________
100
VN totale = 51,46 + 63,57 = 115,03 m3
Perdita per corteccia = 136,64 – 115,03 = 21,61 m3
= 16% del VL totale
Anche la legna da ardere può essere misurata in
volume; è questo il caso in cui si trova all’imposto,
pronta per essere caricata sugli autotreni, opportunamente accatastata. In questo caso si misura il
volume della catasta intera, che deve avere forma
squadrata e composta solitamente da tronchetti lunghi 1 m, comprensiva sia dello spazio occupato
effettivamente dal legno, sia degli spazi vuoti tra
un pezzo e l’altro. Si ottiene così il volume sterico;
un metro stero contiene legno ed aria, e la percentuale di legno sarà tanto maggiore quanto più
ordinata sarà costruita la catasta. In condizioni normali, per la legna da ardere il valore medio della
quota di legno oscilla dal 50% al 60%. I grossisti
spesso acquistano la legna da ardere a metro stero,
mentre la vendita al dettaglio, come già ricordato,
avviene generalmente a peso.
La misurazione delle piante in piedi presenta
degli ostacoli dovuti al fatto che, in condizioni normali, il diametro a metà altezza e l’altezza non sono
accessibili all’operatore.
Un metodo per stimare il volume di una pianta in
piedi consiste nel moltiplicare la sezione del fusto,
rilevata a 1,3 m da terra, per l’altezza della pianta,
e dividendo il risultato per due (fig. 10). L’altezza
della pianta viene misurata indirettamente con
degli appositi strumenti, detti ipsometri; in man-
canza, l’altezza viene stimata a occhio. La formula
che si applica è la seguente:
D21,30
x π X H x 0,5
V = ______
40000
con V = volume, in m3
D1,30 = diametro rilevato a 1,30, in cm
H = altezza della pianta, in m
Dovendo procedere alla misurazione del volume di
molte piante in piedi, delle quali sia noto il diametro a 1,3 m da terra, è possibile impiegare apposite tabelle dette tavole di cubatura, che forniscono
il volume, per una certa specie legnosa, in funzione
del diametro, e a volte anche dell’altezza. L’operazione di rilevamento del diametro delle piante in
piedi è detta cavallettamento (foto 17). Nella
nostra provincia è molto diffusa l’applicazione di particolari tavole di cubatura, le Tariffe del Trentino
Alto Adige, adatte per Abete rosso, Abete bianco,
Larice, Pino silvestre e Faggio. La corretta applicazione di dette tavole è riservata ai Tecnici Forestali.
Fig. 10 - Diametro e altezza di una pianta in piedi.
Segagione e stagionatura
Il legname tondo o tondame è costituito da fusti
o tronchi, che possono essere utilizzati tali e quali,
oppure destinati alla segagione.
Il tondame viene usato tale e quale, a meno di trattamenti preservanti, per travature dei tetti, linee
elettriche o telefoniche, recinzioni, paleria agricola
ecc..
I tronchi migliori di molte specie possono essere
destinati alla tranciatura o alla sfogliatura. La
prima, effettuata dalla tranciatrice, consiste nel
tagliare i tronchi longitudinalmente con una grossa
lama senza denti, che agisce come uno scalpello;
si ottengono i tranciati, con spessore generalmente
di qualche decimo di millimetro.
La sfogliatura consiste nel far girare il tronco sul
proprio asse contro una lama, lunga come il tronco,
che asporta un sottile spessore di legno lungo tutta
la lunghezza del tronco. Analogamente ai tranciati,
gli sfogliati hanno spessore di qualche decimo di
millimetro. La differenza sostanziale tra i due processi sta nel fatto che la sfogliatura produce fogli
larghi come il tronco e molto lunghi, con venatura
a rigatino, mentre la tranciatura permette di ottenere disegni dal fiammato al rigatino man mano che
procede dalla periferia verso il midollo del tronco,
con fogli lunghi come il tronco e larghi al massimo
quanto il diametro del tronco. Tranciati e sfogliati
sono impiegati nell’industria del mobile, e nella produzione di pavimenti e di compensati. Spesso il
tronco da trancia o da sfogliatura rappresenta l’assortimento tondo più remunerativo che può essere
ricavato da un fusto.
I tronchi scadenti possono essere sminuzzati e
destinati alla produzione di energia, cellulosa, pannelli e compost.
Quando il tronco è destinato ad essere trasformato
in assortimenti segati, esso prende la denominazione
di toppo da sega o tondame da sega (foto 18). Il
tondame da sega viene segato preferibilmente allo
stato fresco, risultando così più tenero, e di seguito
avviato alla stagionatura (foto 19).
Il legname segato serve per la produzione di travi
e tavole. Esistono diverse classificazioni relative alla
denominazione degli assortimenti segati in funzione
delle dimensioni e delle caratteristiche.
Le travi di gran lunga più impiegate sono a spigoli
vivi e facce parallele (foto 20); in carpenteria trovano uso anche travi con spigoli smussati secondo
la naturale rotondità del fusto, oppure con le facce
non perfettamente parallele. In particolare si distinguono:
– travi uso Fiume, a facce parallele e smussi su tutta
la lunghezza;
23
15)
Tronchi di Larice
16)
Cavalletto
dendrometrico
17)
Cavallettamento
in fustaia
18)
Tondame da sega
di Abete rosso
24
Fig. 11
In alto: trave uso Fiume;
al centro: trave uso Trieste;
in basso: trave uso Cadore.
– travi uso Trieste, a facce parallele nel primo terzo
della lunghezza, e poi con squadratura che segue
la rastremazione del tronco;
– travi uso Cadore, con squadratura che segue la
rastremazione del tronco per tutta la lunghezza
(fig. 11).
La parte di tronco che sta tra la periferia e la prima
faccia della trave o della tavola si chiama sciavero.
Le tavole possono essere refilate a spigoli paralleli,
come è il caso delle tavole di conifere, oppure non
refilate, come è il caso delle tavole di latifoglie per
falegnameria.
Un tempo si producevano pure tavole di conifere
refilate, ma a spigoli non paralleli, seguenti la rastremazione del tronco, dette tavole refilate coniche,
al fine di ridurre al minimo le perdite di lavorazione;
venivano impiegate per lo più nella posa di pavimenti.
La segagione di un tronco in tavole può avvenire
secondo diversi schemi (fig. 12). Il taglio sul
tronco è il più semplice e rapido da eseguire, ma
più le tavole ottenute si allontanano dal midollo,
più sono soggette a deformazione durante la stagionatura; il taglio di quarto è più laborioso, poiché richiede la movimentazione del tronco ad ogni
taglio, ma le tavole ottenute sono più stabili.
Eseguita la segagione, i segati devono essere correttamente stoccati per procedere alla stagionatura,
ossia alla perdita di umidità. Sia le travi che le tavole
devono essere disposte in cataste sollevate da terra
e al riparo dalla pioggia, con i vari strati intervallati da listelli ordinatamente disposti, che permettano la circolazione dell’aria all’interno delle cataste (foto 21). Le tavole non refilate di latifoglie vengono generalmente disposte in modo da riprendere
la posizione originaria che occupavano nel tronco,
sempre intervallando ogni tavola con i listelli; ciò
che si forma è la boule (foto 22).
Le tavole di Castagno, a causa dell’elevato contenuto
in tannino, vengono disposte verticalmente a V rovesciata, con particolari sostegni, senza riparo dalla
pioggia, che col tempo dilava i tannini.
Fig. 12
Schemi di segagione.
A sinistra taglio sul tronco;
a destra: taglio sul quarto.
25
18)
Segagione di un tronco
di Abete rosso
20) Catasta di tavole listellata
19)
Travi refilate
di Abete rosso
21)
Boules di Noce
26