Canti - DropPDF

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Canti - DropPDF
LDB
Mengaldo torna a cimentarsi
con
Leopardi,
poeta
prediletto, anzi, come lui
stesso scrive, «il maggiore, e
di gran lunga, lirico italiano
dell’età
moderna».
Avvalendosi di raffinate
conoscenze di linguistica e
stilistica, tocca alcuni aspetti
complessivi della poetica
leopardiana (uno fra tutti: il
carattere «antiromantico» del
suo percorso), le costanti
della lingua e della metrica
dei «Canti» (l’abbondanza,
peresempio,dirimebaciate),
infine la natura profonda di
tre testi fra i più significativi
dellaraccolta:«Laseradeldì
di festa», «A Silvia» e «La
quiete dopo la tempesta». Ne
risulta un’indagine in cui
ciascun dato testuale e
formale
rimanda
costantemente ad altro: un
pensiero
fermo
e
originalissimo che pervade
ogni singola lirica del poeta
diRecanati.
PierVincenzoMengaldoha
insegnatoStoriadellalingua
italiananell’Universitàdi
Padova.ConilMulinohagià
pubblicato«L’epistolariodi
Nievo»(1987),«Storiadella
linguaitaliana.IlNovecento»
(1994)e«Sonavanlequiete
stanze.Sullostiledei«Canti»
diLeopardi»(2006).
PierVincenzo
Mengaldo
Leopardi
antiromantico
ealtrisaggisui
"Canti"
Copyright©bySocietà
editriceilMulino,Bologna.
Tuttiidirittisonoriservati.
Peraltreinformazionisiveda
http://www.mulino.it/ebook
Edizioneastampa2012
ISBN978-88-15-23823-8
Edizionee-book2012,
realizzatadalMulinoBologna
ISBN978-88-15-31162-7
Indice
Premessa
I
Leopardiantiromantico
II
Dueformedeldiscorso
poeticoleopardiano
III
‘Io’e‘noi’neiCanti
IV
Notedisintassipoetica
leopardiana
V
TrastrofeestrofedeiCanti
VI
‘Legato’e‘staccato’neiversi
deiCanti
VII
Quantosono‘sciolti’gli
scioltidiLeopardi?
VIII
Strutturefiniecostruzione
nellaSeradeldìdifesta
IX
UnaletturadiASilvia
X
PeruncommentoallaQuiete
dopolatempesta
Indicedeinomiedellecose
notevoli
a Luigi Blasucci, leopardista
principe
eamicocaroevenerato
Ringraziamenti
I saggi qui raccolti sono in
parte ancora inediti, con
eccezioni; anche quelli già
pubblicati sono comunque
statirielaboratieaggiornati.Il
primo,cheusciràanchenegli
Atti del XXXIX Convegno
interuniversitario
di
Bressanone, va completato in
alcuni punti, specie per gli
esempi, col saggio seguente,
editoin«Belfagor»,LXIV,f.
6, 30 novembre 2009. Il
quarto è uscito in «Lingua e
stile», XLIV, 2, dicembre
2009.Ilquintoeilsestoerano
già editi in «Stilistica e
metrica italiana», 10, 2010.
L’ottavoèincorsodistampa
nella Miscellanea in onore di
Ivano Paccagnella. Il nono,
giàeditoin«Giornalestorico
della letteratura italiana»,
CLXXXVII,218,2°trimestre
2010, è pubblicato qui con
ritocchi: in esso amplio e
correggounamialetturaassai
più sintetica del Canto in
Attraverso la poesia italiana,
Roma,Carocci,2008,pp.150
ss. Anche il decimo, apparso
in «Strumenti critici», XXIV,
121, f. 3, settembre 2009, è
propostoquiconritocchi.
Premessa
Questa raccolta di saggi
leopardiani tiene dietro ad
una analoga pubblicata anni
fa da questo stesso editore,
Sonavanlequietestanzeecc.,
ma forse non sarebbe stata
possibilesenzagliesercizidi
letturadisingolicantiobrani
di prosa del recanatese
consegnati a due volumi di
Carocci, 2011, Antologia
leopardiana. La poesia e La
prosa. Con questo intendo
sottolineare
l’utilità
di
scrutare gli individui per
giungere a cogliere le leggi
generali di uno stile e di un
pensiero–manaturalmenteè
veroanchel’inverso.Difatto
il presente volume si può
spartire in tre zone: saggi
generali che vertono su
aspetti complessivi del
pensieroedellaprassipoetica
di Leopardi; altri e più su
alcune costanti della lingua e
della metrica dei Canti; e
infine tre letture di testi
poeticichesonononsoltanto
fraiverticidellaraccolta,ma
appaiono
fra
i
più
significativi (si vedano in
particolare le conclusioni che
ho creduto di trarre
dall’analisidellaQuiete).
Questatripartizionenonmi
dispiace, poiché corrisponde
a modi diversi di lavorare
sullo stesso oggetto, con
differente illuminazione ora
dell’assieme ora dei dettagli.
Chi come l’autore di questo
libro proviene alla critica
dalla linguistica e dalla
stilistica, non può che
continuare a pensare che
questo tipo d’approccio resti
il privilegiato nell’analizzare
la natura dei testi, ma nello
stesso
tempo
rimandi
costantemente ad altro, che
nel caso dell’autore del
grande Zibaldone è un
pensiero
fermo
e
originalissimo che intride
ogni singola lirica, o meglio
fa
cozzare
l’istanza
concettualeconquella,incui
Leopardi
era
maestro,
rappresentativa, e tanto più
dotata
di
evidenza
(enárgheia) quanto più
classicamente sobria. Si veda
sempre, e forse sopra a tutto,
laQuiete.
Il pensiero, filosofico e
poetico, di Leopardi ama
svolgersi, come dichiara
soprattutto lo Zibaldone, per
opposizioni binarie senza
sintesi o Aufhebung: antichi
vsmoderni(conriversamento
nei Canti,traAllaPrimavera
el’InnoaiPatriarchi),natura
vs ragione, individuo vs
societàecc.Ciòcomportaalla
fineunoschiacciamentodiun
termine sull’altro, come nel
caso della natura malvagia
cheperseguitatuttiesempre,
senza più distinzione fra
antichi e moderni e fra più o
menocivilizzati(ciòapartire
dalDialogodellaNaturaedi
unIslandeseedalCanticodel
gallo silvestre, del ’24, ma
con
anticipi
già
nello
Zibaldone); o che per così
dire i due opposti vengano
lasciati in sospensione, come
per il concetto – con
sfumature a tratti prefreudiane–dellasocietàcheè
naturalmente nemica mortale
dell’individuo, ma la cui
necessità non può essere
disconosciuta, dando anzi
luogo a sottili distinzioni fra
le società ‘strette’ e quelle
‘larghe’. E talora il
meccanismo può essere più
implicito: il lamento di Saffo
sulla propria mancanza di
venustà si rovescia quasi per
compenso
in
una
rappresentazioneincantataea
tratti non meno che erotica
della bellezza della natura
(«all’ombra / Degli inchinati
salicidispiega/Candidorivo
il puro seno… le flessuose
linfe…»).
Ma per i Canti importa di
più
un’opposizione
sotterranea:
quella
fra
nichilismo, impossibilità del
piacereecc.eilforteaccento,
affidato ancora a una pagina
dello Zibaldone,sulfattoche
l’opera poetica riuscita
accresce comunque la nostra
vitalità, massimo valore
positivo per Leopardi, per
negativiodolorosichesianoi
suoi contenuti. Ne consegue,
per prendere i due casi più
evidenti, che nella Quiete e
nel Sabato le ferme
affermazioni dell’inanità del
piacere
non
possono
distruggere le scene vivaci e
gioiose della vita del borgo
che rinasce dopo la tempesta
ochesiapprestaagoderedel
giorno di festa – ma
ovviamente vale anche
l’inverso,
e
quanto
più
affettuoseesolarisonoquelle
scene tanto più è senza
appello il pensiero negativo
cheledistruggeorelativizza.
Enelleimmediatevicinanze–
ora su un piano più
strettamente personale – la
rinnovata prigionia nel borgo
selvaggio non esclude anzi
implica il senso dolcissimo
delritrovamentoedeiricordi
del passato, già scatenato da
A Silvia: tutto può essere
distrutto fuorché la memoria.
E prima, nella Sera del dì di
festa, il conflitto fra l’estasi
del paesaggio lunare e
l’estraneità della donna
vagheggiata
sembra
addirittura riversarsi nella
struttura
insolitamente
contrappuntistica della lirica,
mentre la gloriosa correzione
del primo verso (da «Oimè,
chiara è la notte e senza
vento»a«Dolceechiara…»)
non dà solo luogo a uno dei
versi più incantati di
Leopardi,madelineaconpiù
chiarezza
l’opposizione
tematica.
In questi testi, come in
tantialtrideiCanti,coabitano
due verità, non solo
concettuali ma poetiche. E
così
nel
totale
noi
comprendiamo perché il
poetasealtrimaidelpensiero
abbia voluto e potuto, fino
dalla edizione Piatti del ’31,
fregiare la raccolta col titolo
inconsueto di Canti (si
ricordino magari quelli di
Ossian). Lo sciogliersi ad
ognirigadelpensieropoetico
ancheilpiùaguzzoincantoo
in musica è appunto ciò che
fadiLeopardiunpoetaunico,
nonsolodanoi.Naturalmente
dell’ineffabile non si dà
effabilità, tuttavia si possono
segnalare qui almeno due
indicatori della continua e
quasi naturale risoluzione
leopardiana del pensiero in
canto: la frequenza di rime
baciate, specie se prima di
pausa sintattica; e quella dei
settenari, che nel Sabato 20-
27 possono anche essere otto
diseguito,acascata;eforseè
ancor
più
significativa
l’abbondanzadirimebaciate,
di rime ricorrenti e di
settenari in un testo
massimamente speculativo
come il Canto notturno, che
appunto, come solo la
canzone su Saffo, si chiama
«canto».Dituttociòdelresto
il poeta era perfettamente
consapevole,
quando
affermava in tante pagine
dello
Zibaldone
e
nell’OperettaIlPariniodella
gloria la consustanzialità del
grande filosofo e del grande
poeta, in entrambe le
direzioni.
Piùvolteèstatatracciatala
parabola dell’‘io’ nei Canti:
da quello eroico che si
proiettaeraffigurain‘doppi’
come in tante canzoni a
quello puramente esistenziale
degli Idilli e, con segno
rovesciato, di tanta parte del
cosiddetto ‘Ciclo di Aspasia’
(si veda solo, sul piano
stilistico, l’opposizione delle
frasispezzateedegliasindeti
di questo contro il legato
degli Idilli), fino all’io
autodistrutto
dei
Canti
napoletani,chenellafavolosa
quarta lassa della Ginestra è
ridotto a un puntolino nel
tutto,cosìcomelavisionedel
mondo di Leopardi approda
qui definitivamente a una
concezione
–
e
immaginazione
–
non
antiantropocentrica soltanto
ma antigeocentrica. Io ho
credutoopportunocoglierele
tracce non solo dell’eterno
dialogo io-tu, ma della
compresenza, in effetti
consistente, dell’io e del
‘noi’, come se il primo
scivolasse continuamente nel
secondo. Ne risulta, fermo
restando che la lirica è e non
può non essere l’espressione
dell’io, anche che, se posso
azzardarmi, un po’ di
Ginestra ha sempre abitato
Leopardi.Eprobabilmenteva
messo qui il gusto reiterato
del poeta (si veda il secondo
saggio) per l’allegoria – ma
semprelimpidaedesplicata,e
mai esposta a scivolare nel
simbolismo come in tanti
romantici.
L’allegoria
leopardiana è prodotto di un
pensiero, non di una
sensibilità.
IlconfrontotralaQuietee
ilSabatomostranonsoltanto
latendenzadiLeopardi,efin
dall’inizio, a disporre i suoi
testi in dittici (vi ha insistito
soprattutto Blasucci), ma
quella a integrare o
correggere, se non ‘superare’
il primo elemento col
secondo.
Ciò
appare
particolarmente chiaro nel
dittico più dittico della
raccolta, cioè le due
Sepolcrali, come cercherò di
mostrare in altra sede. Qui
devo limitarmi a posare
l’accentosulfattocheQuiete
e Sabato esplorano i due
aspetti
opposti
e
complementari
della
leopardiana «teoria del
piacere»,quellochenascedal
pericolo
(dal
dolore)
scampato e quello che nasce
dall’attesa della prossima
gioia.Entrambivani.
Anche l’escussione di
costanti tecniche della poesia
leopardiana non si chiude
soltanto entro queste, ma ci
dice qualcosa sulla mens
dell’autore.
Prendiamo
il
caso, su cui ho voluto
insistere, del legame formale
e concettuale tra strofa e
strofa, già evidente nelle
canzoni
‘regolari’
poi
dilagante nelle ‘libere’.
Questo tecnicismo dimostra
che per Leopardi la libera
continuità
del
proprio
discorso faceva aggio sulle
partizioni metriche date, e in
altre parole che già nelle
canzoniregolaris’aggiungeva
ai più evidenti un altro
elemento di irregolarità.
Mostraanziqualcosadipiù,e
cioèchequestoprocedimento
è coassiale a ciò che da A
Silvia in poi sono le canzoni
libere, per non esaustività
delle
rime
(quasi
simboleggiata dal fatto che il
primoversodellelasseècosì
spesso anarimo) e per
strofismovariabilesecondole
unità concettuali. Per così
dire, le canzoni libere sono
dunque due volte libere. In
altri casi, come accennato,
l’analisi linguistica e metrica
mette meglio a fuoco i
caratteri delle varie stagioni
poetiche leopardiane. Si
prendano gli Idilli: sintassi
sempliceelineare,diffusione
del
polisindeto
(basti
guardare l’Infinito) e stile
‘legato’ ne fanno qualcosa di
completamente diverso non
solo dalle Canzoni (e la
contemporaneità delle due
maniere è poco meno che
miracolosa), ma anche dal
Ciclo di Aspasia, dove le
condizioni
dell’io
‘esistenziale’
sono
radicalmente rovesciate (v.
esemplarmente A se stesso):
mentrelacontinuitàcoiCanti
pisano-recanatesi, un tempo
fin troppo affermata, regge
proprio sul piano formale e
specie laddove il metro è lo
stesso,cioènelleRicordanze;
a mio avviso la rottura
decisivasihaconl’ultimoin
data
e
diverso
in
ambientazione, il Canto
notturno,
che
significativamente oppone a
un’estrema scorrevolezza del
dettato, del canto appunto
(quasi messa al quadrato
nell’uguaglianza della rima
finale di ogni lassa), uno
spostamento del pensiero sul
pianodiunpaesaggioremoto
e uguale, cosmico, ben
lontano
dai
domestici
ambienti
recanatesi,
e
un’accentuazione del tema
dell’infelicità
universale,
singolarmente
incrociato,
oltre che con l’allegoria, con
l’ultima apparizione della
figuradel‘doppio’oalterego
che Leopardi ha utilizzato
così spesso, in grandi
monologhi ‘teatrali’ a partire
giàdalSimonidediAll’Italia
(si veda sempre il secondo
saggio). Il Canto notturno
annuncia non tanto alla
lontana i modi dei Canti
napoletani.
In un certo senso il saggio
acuitengodipiùèilprimo,e
non perché pensi di aver
potuto – e nella misura di
pochepagine,nondiunlibro
–esaurireilvastoargomento.
Sono però certo che chi lo
riprenderà con più lena non
potrà che confermare le mie
conclusioni, del resto basate
per
maggior
forza
dimostrativa quasi solo sulle
liriche di Leopardi, non sul
resto. Non è comunque cosa
indifferente, ai miei occhi,
averindicatocheilmaggiore,
edigranlunga,liricoitaliano
dell’età moderna procede per
una strada che è tutt’altra da
quelladeiromanticiedeiloro
continuatori
simbolisti,
guardando per dir così
indietro anziché avanti e in
effetti realizzando in questo
modo
la
sintesi
della
tradizione italiana ma –
dev’essere evidente – anche
la sua liquidazione. E
d’altronde lo stile sobrio e
casto, di cui gli echi della
tradizione fanno parte, sta al
materialismo come lo stile
diffuso e accumulativo dei
romantici, che ha sempre
bisogno di dire qualche
parola
in
spiritualismo.
più,
allo
Ciò non toglie ovviamente
che,condiversimezzi,anche
Leopardi abbia portato il suo
forte contributo a quelle che
sembrano le svolte basilari
della poesia europea tra fine
SettecentoeprimoOttocento,
fra Hölderlin e Keats per
intendersi: la ricerca dello
stile sublime e la parallela
trasformazione della lirica da
genere poetico fra gli altri,
magari addetto a temi
occasionali e socievoli come
nella nostra Arcadia, in
qualcosa di assoluto e
totalmente devoluto a un io
opposto alla società (su
questo proprio le riflessioni
dello Zibaldone, con la loro
insistenza sulla peculiarità
della lirica, fanno testo). Ma,
ripeto, adoperando altri
mezzi, e risultando l’unico
grande poeta europeo di quel
cinquantennio ancora nutrito
del pensiero dei Philosophes
e non del pensiero a quello
opposto dell’idealismo e
spiritualismo
romantici.
L’altra grande svolta si avrà
di lì a poco con chi adibirà
unostilealto,quasiraciniano,
a
una
materia
ora
personalissima ora ‘bassa’,
cioè con Baudelaire. La
separazione chirurgica di
Leopardi dai romantici non
toglie solo di mezzo un
equivoco perdurante, ma
getta luce e su certi aspetti
generali della letteratura
italiana, e proprio sulla
debolezza
del
nostro
Romanticismo, se è esistito
davvero, e sul suo carattere
molto più ricevuto che
necessitato (v. dunque la
costantepolemicadiLeopardi
verso Byron). Del resto che
cos’erailmusicistaromantico
per eccellenza e per tanti
aspettiilfratelloinmusicadi
Leopardi,valeadireChopin?
I suoi idoli erano Bach e
Mozart,
e
quando
s’apprestava, a Maiorca, a
comporre i suoi Preludi cosa
teneva sotto braccio? Le
partiture del Clavicembalo
bentemperatodiBach.
I
Leopardi
antiromantico
La figura di Leopardi è stata
per lungo tempo assimilata al
Romanticismo;
Mengaldo
illustra – proprio a partire dai
testi creativi e filosofici del
Leopardi – come l’opera
dell’autore si dimostri lontana
dai
canoni
romantici.
L’assenza di esotismi, di gusto
medievistico e del culto per il
magico-fantastico
e
il
meraviglioso-demoniaco sono
segnali
della
distanza
leopardianadalRomanticismo.
L’assimilazione
di
Leopardi al Romanticismo
era
un
tempo
moneta
corrente, direi anche per
scarsa conoscenza da parte
della critica italiana del
Romanticismo europeo. In
seguito tale opinione ha
subitoattacchiefalsificazioni
secondomedecisivi,adopera
per esempio di Sebastiano
Timpanaro; ma vedo che a
tutt’oggi non è morta. È
dunque il caso di tornare
sull’argomento. Lo farò –
anche per distinguermi dagli
importanti interventi in
materia di Fasano, Bigi e
Blasucci – puntando il più
possibile sui testi creativi e
filosofici di Leopardi e sul
lorosenso,elasciandoquindi
nello sfondo le prese di
posizione
metaletterarie
dell’autore, come il Discorso
diunitalianosopralapoesia
romantica e le non poche
pagine omologhe dello
Zibaldone (basti ricordare
2944-2946, 12 luglio 1823).
Inoltre terrò come punto di
riferimento il maggiore
Romanticismo europeo, e
lascerò quasi del tutto fuori
del discorso il povero
Romanticismo italiano, se
pure (riprendo il titolo di un
vecchio libro sanamente
provocatorio)
un
Romanticismo italiano è
veramenteesistito.
Non che non dispiaccia,
beninteso,
mettere
fra
parentesi il Discorso del
ventenne, che è un autentico
capolavoro di impostazione e
di tecnica controversiale:
basti avere a mente la
contrapposizione
della
propria ragione all’opinione
degliavversari;lafermabase
materialistica e sensistica (i
romantici hanno trasformato
la poesia «di materiale e
fantasticaecorporalecheera
in metafisica e ragionevole e
spirituale»), cui si lega
l’insistenza sul diletto che la
poesiadeveoffrire;l’analogia
vichiana e herderiana fra gli
antichi e noi stessi in quanto
immaginiamo e ci illudiamo
come fanciulli (cfr. anche
celebri
pagine
dello
Zibaldone);
l’opposizione
ragioneointellettovsnatura;
il buon «sentimentale» dei
classici contro il cattivo
«sentimentalismo» romantico
ecc. Non voglio tuttavia
tacere di un passo giovanile
delloscartafaccio(192)incui
Leopardi
arriva
tranquillamente a dire che i
romantici (italiani) «di vera
psicologianons’intendonoun
fico».
Mi avvicino ora ai punti
che più mi stanno a cuore
attraverso qualcosa che
riguarda, diciamo, il ‘gusto’.
Prendiamo il caso di Byron,
chepurehaavutoqualcheeco
in Leopardi. In area
romanticafranceseilsulfureo
inglese
è
regolarmente
esaltato e quasi divinizzato:
soprattutto da Chateaubriand
(Mémoires e Essay sur la
littérature anglaise) e da
Lamartine (che ha pure
tradotto l’ultimo canto del
Child Harold), ma anche da
Hugo e Musset («le grand
Byron»); e qui ricordo anche
gliitaliani(DiBremeconcui
polemizza
il
Discorso,
Niccolini ecc.); ma ancor più
forse conta il fatto che il
principe del Romanticismo
musicale tedesco, Schumann,
ha messo in musica il
Manfred. Ora è noto che i
giudizi su di lui di Leopardi
sono, quando non cauti,
sostanzialmente
o
decisamente negativi, fin dal
Discorso,
toccando
ex
opposito punti chiave della
propria stessa poetica (Byron
è poeta dell’intelletto e di
un’oscura psicologia; nel suo
poetare si percepisce lo
sforzo;ilsuo‘sentimentale’è
poco efficace ecc.). Si
potrebbe anche aggiungere
che l’influsso del Manfred è
sensibile nel Dialogo di
MalambrunoeFarfarello,ma
cheilmessaggiobyronianovi
è preso senz’altro in
contropiede.
Occorreanchevederchiaro
in casi in cui temi e
svolgimenti della poesia
leopardiana
sembrano
corrispondere
a
cose
romantiche o quasi. Uno è
quello di Alla Primavera o
delle favole antiche del ’22.
Non c’è dubbio sulla sua
affinità
con
capolavori
europei
più
o
meno
contemporanei quali l’ode
Alla natura di Hölderlin (o
magari anche il Frammento
Alla primavera del romanzo
incompiuto
Clara
di
Schelling), o d’altra parte il
mirabilesonettosuimarmidi
lord Elgin di Keats (meno, a
mio parere, con l’Ode su
un’urna greca dello stesso),
se non addirittura con alcune
pagine memorabili sugli Dei
greci dell’Estetica di Hegel.
Ma il fatto è che, con ogni
verosimiglianza,
Leopardi
aveva letto e memorizzato
nella traduzione italiana
(1808) la settecentesca ode
Gli dei della Grecia
dell’antiromantico
Schiller
(«Quando vostro era il regno
ebelloilmondo/gentibeate
guidavate ancora / con le
redini lievi della gioia, /
esseri belli del mondo delle
fiabe… indicava agli sguardi
d’iniziati / tutto l’orma di un
dio… Quel lauro si volse un
dì chiedendo aiuto, / e
Tantalide tace in questa
pietra,/daquellacannas’udì
il pianto di Siringa, / di
Filomena il dolore da questo
bosco… Tra uomini, divinità
ed eroi / strinse amore un
nodo di bellezza… Mondo
bello, dove sei? Ritorna, /
della
natura
soave
primavera!»ecc.).
Già il leopardista francese
Norbert
Jonard
aveva
segnalato la povertà di
metafore (e similitudini) in
Leopardi,eiostessomisono
provato a dimostrarla, temo
senza
convincere
tutti,
proprio nel confronto non
solo con poeti dell’eccesso
figurale come Shelley e
Hugo, ma anche ad esempio
conKeats,Puškinelostesso
Manzoni. E la differenza dai
romantici, già notevole nelle
CanzonieneiCantifiorentini
e napoletani, è vistosissima
nel tratto Idilli-Canti pisanorecanatesi in cui Leopardi
realizza una sua inarrivabile
poetica della sobrietà e
naturalezza.Aquestopuntosi
tratterebbe di introdurre nella
differenza quantitativa delle
gradazioni qualitative. Qui
non posso farlo per esteso, e
devolimitarmirapidamentea
un paio di aspetti. Salvo
errore, in Leopardi è
impossibile
trovare
comparazioni
o
identificazioni analogiche in
seriestrettaditre(insommail
tipo come… e come… e
come…), che sono invece
abbondanti per non dire
patologiche nei romantici.
Nominalmente citerò ad
esempio La mort de Socrate
di Lamartine (dove il
fenomenooccorreduevolte),
AG…YdiHugo(trecomme
inizialiin25versi),el’odeA
un’allodola di Shelley (tre
like di seguito): assicuro che
lo stesso accade in liriche di
Vigny, di Musset, di
Coleridge,diKeats(quiinun
casoiltipoèprecedutoda«E
a che cosa la paragonerò?»),
di Puškin, di Lermontov, di
Brentanoecc.,convariealtre
che ospitano eventualmente
forme analoghe. Per non dire
delle
audaci
analogie
preposizionali più tardi di
casa nel Simbolismo e
impossibili in Leopardi:
«vipere
del
pensiero»,
Coleridge; il «diadema di
neve» e «l’oceano vitreo del
monte di ghiaccio», Byron;
«la rugiada della tua
melodia» e «il grembo
tenebroso
dell’acqua»,
Shelley;
«tormenti
di
cristallo»o«losguardocaldo
del sole» che è anche
personificante, Keats; le
«vaste sale delle stelle»,
Novalis; «il lenzuolo di neve
e gelo» e «il berretto a
sonagli della follia» (altra
personificazione), Heine; «lo
sciame irrevocabile dei
funesti piaceri», Lermontov;
«la luna della mia tristezza»,
Brentanoecc.
Sul significato di tutto
questo tornerò, ma qualcosa
si può già accostare ai
fenomeni intravisti, e cioè la
personificazione,
che
propriamente è un fatto
metonimico di cui tuttavia
l’analogiaèspessoilveicolo.
Casi di personificazione
naturalmentenonmancanoin
Leopardi, anche perché sono
normali nello stile classico:
dunque l’Italia, secondo
tradizione
nazionale,
la
Primavera, la speranza di A
Silvia (dove però si ha
piuttosto un’identificazione
tra la fanciulla eponima e
quel sentimento) e altri
esempi, cui sono da
aggiungere nelle Operette
Moda, Natura (due volte),
TerraeLuna.Maanchequii
romantici
tendono
a
sovrabbondare, e io citerò
parcamente.
Lamartine
personifica il Tempo, la
Disgrazia,
l’Entusiasmo
(«Entusiasmo,
aquila
vincitrice», personificazione
più accostamente analogico),
l’Infortunio, il Sole, la
Malinconia e via dicendo;
Hugo ad esempio l’Oceano
(«il leone Oceano», con
fulminea
identificazione
analogica); Vigny lo stesso
sole e le montagne, la
Voluttà,ilSuicidio,ancorala
Disgrazia ecc.; Musset la
Rassegnazione
(«La
Rassegnazione cammina con
passi languenti»), l’Armonia,
la Modestia, l’odio («cette
vipèreimpie»),laFolliaecc.;
Coleridge personifica il
«Nero Orrore», il dolore, il
«Cortese Sonno»; Byron per
esempio la Guerra e il
Ricordo e nel Manfred il
Monte Bianco («il monarca
dellemontagne»);Shelleytra
l’altro la Verità e il Padre
Sole(esidevevederelaserie
di personificazioni in To
Jane: The Invitation); Keats
personifica il Sonno, lo
Sconforto,laMalinconiaecc.;
Brentano: «il sacro terrore
della mezzanotte / striscia
tremando per le selve
oscure»;Heinelamorte,sole
estelle,lenubi,ilvento(«sul
mare / giace, a ventre
sdraiato, / il vento deforme
del Nord») e tanti altri enti;
Puškin la speranza, il
Successo, la Rima, il ricordo
(che «svolge il suo lungo
rotolo»), l’Inverno, e perfino
un albero, cioè l’Ančar. La
differenza con Leopardi,
ancor più che quantitativa,
appare qualitativa, in quanto
l’italianosilimitaaentitutto
sommato tradizionali e
generici, senza arrivare mai
alle personificazioni audaci e
speciose,
quando
non
terrificanti, che sono invece
di casa nel Romanticismo
poetico.
Non è facile ridurre ad
unumtuttoquestomateriale,e
tanto
altro
affine.
Arrischiandomidireicheesso
rivelaneipoetiromanticiuna
propensione generale al
gigantismo,sianeisentimenti
chenellavisionedellanatura,
quasi a imitazione del gesto
di Dio, e quella tendenza a
intellettualizzare il sensibile
che
appunto
Leopardi
rimproverava alla ‘scuola’, e
in particolare a Byron; e
potremmo parlare anche,
nella
tecnica
della
descrizione, di un procedere
per tratti emblematici e
riassuntivi, ma d’altra parte
addetti spesso al caos
(Novalis nel Heinrich, in un
passo di cui certo si è
ricordato Adorno: «Sto per
dire che in ogni poesia deve
rifulgere il caos attraverso il
regolare velo dell’ordine»).
Seècosìemergeladifferenza
daLeopardi,poetadipurezza
greca, sensista anche in
poesiacomeluistessohapiù
volte richiamato, e come
descrittore,
anche
di
sentimenti,mairiassuntivoed
emblematico ma sempre, per
dirla così, distributivo e
addetto al singolare concreto
(cfr. prima di tutto le grandi
aperture della Quiete e del
Sabato). Schlegel ha parlato
anche del «sentimentale»
come «indistinzione fra
apparenzaeverità,frailserio
eloscherzoso»,maLeopardi
è precisamente il poeta
dell’assoluta distinzione fra
apparenza (o manifestazioni
della ‘vita’) e verità del
pensiero (ma Novalis in un
suo Pensiero: «Le cose
ingenue non sono polari. Le
sentimentalilosono»).
Fin
qui
comunque
differenzepesantimarelative.
Ce ne sono però anche di
assolute. La prima è
l’assenza,assolutaappuntoin
Leopardi, di quell’esotismo
che dei romantici è una delle
sigle. Nel Heinrich von
Ofterdingen Novalis ha
fissato:«Ilpaesedellapoesia,
il romantico oriente ecc.». E
così Lamartine scrive un
Hymne oriental, La Charité;
Hugo intitola Les Orientales
la sua raccolta forse più
geniale, e qui ad esempio
dedica una lirica di
straordinariosperimentalismo
ai Djinns arabi e proclama:
«L’oriente!l’oriente!Cosavi
scorgete, o poeti? / Volgete
verso l’oriente i vostri spiriti
eivostriocchi!»(eOrientale
s’intitolaunaliricasuccessiva
dello stesso); Nerval carezza
l’egizianismo in Horus;
Shelley immagina «le tracce
dei cervi sul Labrador
deserto»; Heine ad esempio
evoca in Auf Flügeln des
Gesanges – presto musicata
daMendelsohn–ilGange,il
loto, la gazzella. Gli esempi
sarebbero moltiplicabili a
volontà,
avvertendo
comunque tre cose: che
spesso
i
romantici
conglomerano testualmente
diversi esotismi (ad esempio
Wordsworthaccostaaideserti
dell’Arabia le settentrionali
Ebridi, Hugo l’Alhambra e
Fingal, mentre Heine, ancora
lui,accostaGangeeLapponia
in un’altra sua lirica); che in
queste atmosfere esotiche
s’inserisce
spesso
la
rievocazione della Bibbia,
non di rado trattata con un
forte
straniamento
orientaleggiante
(si
veda
invece per contrasto, di
Leopardi,
l’Inno
ai
Patriarchi); e che infine può
accadere (per fare un caso
nell’Endimione di Keats) che
l’evocazione esotistica della
Grecia moderna risucchi
allusioni all’antica. Non c’è
proprio bisogno di mostrare
come Leopardi, in generale e
nei particolari, sia del tutto
estraneoaquestogusto,dalui
giàbollatonelDiscorso.
Così va da sé senza
bisogno di prove, e quasi mi
vergogno a richiamarlo, che
Leopardi è completamente
estraneoalgustomedievistico
cheèinveceunacomponente
essenziale
della
poesia
romantica (mi limito a citare
Vigny:«Comeèdolce,come
èdolceascoltaredellestorie,/
Delle storie del tempo
passato»,earicordaresempre
di Vigny Le Cor, uno dei
capolavori del Romanticismo
poetico).Maquilaquestione
è prima di tutto ideologica,
data
la
formazione
rigorosamenteilluministicadi
Leopardi, giusta la quale il
Medioevo era l’epoca della
decadenza, del tutto priva di
fascino; e troppo forte era in
luilavenerazionedell’antico,
eanchedelprimitivo.Manon
meno ideologica, anzi, è la
premessa che promuove
sull’altra sponda la continua
rievocazione dell’Età di
mezzo: limitandomi a due
posizioni, ma estreme, ecco
che per Novalis perfino la
Riforma è da respingere
perché ha spezzato l’unità
medievale, mentre Friedrich
Schlegel ha affermato una
voltacheilMedioEvoincui
vivere, quello vero, era di
stanza nel presente. E da
parte sua Heine, quando sarà
guarito
della
febbre
romantica,
ricondurrà
l’interesse
tedesco
per
quell’epoca all’assenza di un
vero
Illuminismo
in
Germania. S’intende che
molti (tutti?) i romantici
potevano anche rispecchiarsi
nel detto di Schlegel: «Il
nòcciolo, il centro della
poesialosidevetrovarenella
mitologia e nei misteri degli
Antichi.
Saturate
il
sentimentodellavitacoll’idea
dell’infinito, e intenderete gli
Antichi e la poesia». Bene,
qui si afferra certo una
tangenza con Leopardi; ma
non con tutto Leopardi, se è
vero com’è vero – e come
hanno sottolineato studi
recenti su di lui (Rigoni,
Baldacciecc.)–cheunodegli
aspetti che caratterizza più
nettamente
il
Leopardi
maturo è precisamente il
sentimento e la certezza
dell’irrecuperabilità
dell’Antico da parte dei
moderni.
Infine,retrocedendo:nonè
cosa per nulla leopardiana il
culto per il magico-fantastico
e per il satanico (metto di
seguito per comodità le due
cose). Quanto al primo
aspetto, ecco ad esempio il
Phantom di Coleridge (e in
un frammento dell’Osorio
dellostessostascritto:«Quali
come lei amano troppo il
meraviglioso / per non
crederci…»); il Satana
fuggito di Shelley; vari testi
di Landor; La belle dame
sansmercidiKeats;Unefée,
Lesylphe,Laféeetlapéridi
Hugo;leLoreleydiBrentano,
di Eichendorff (per es.
Waldergespräche), di Heine
più volte, e i loro equivalenti
orientali (e il capolavoro di
Keats, La belle dame sans
merci, darà il titolo a un
capitolo del libro di Praz,
istituzionale
sul
Romanticismo assieme a
quello di Béguin); quindi a
Oriente la Rusalca e la
Tamara di Lermontov, e
sempre nella fertile terra
tedesca tanto altro Heine (le
tre fantasime ecc.) o Der
Feuerreiter, Die Geister am
Mummelsee, Gesang Weilas
diMörikeecosìvia.Esemi
è permesso dare un’occhiata
alla prosa narrativa, non
possononandarecolpensiero
anzitutto
alla
deliziosa
OndinediLaMotte-Fouquée
all’Isabella d’Egitto di
Arnim.
Quanto al vero e proprio
meraviglioso-demoniaco, o
anche
macabro-mortuario,
citerò subito «il re del male»
de L’âme di Hugo e, quasi
emblematico, il finale del
poema Éloa di Vigny: «Chi
dunque sei tu? – Satana»,
assiemealCaïndiNervalea
duepassidiByron:«Lafame
aveva scritto: Demonio», e
nel Manfred: «Vedo una
figura terribile e oscura
sorgeredallaterra!/Comeun
dio infernale, / dal viso
avvolto / in un mantello…».
E ancora l’Anti-Cristo di
Coleridge
(L’incanto
stregone), i Diavoli e Spettri
di Lamb (Hypochondriacus),
ilHeinrichdiNovaliscolsuo
«orrido esercito di scheletri»
(e F. Schlegel si è trovato a
scrivere: «Il Satana dei poeti
italiani e inglesi è forse più
poetico;mailSatanatedesco
è più satanico…»), il
Belzébuth di Musset, lo
SchatzgräberdiEichendorffe
i molti luoghi demoniaci di
Heine (in uno chi dice io
chiamaildiavolo,ericonosce
stupito in lui un vecchio
conoscente); infine I diavoli,
Il demone, Il profeta di
Puškin
e
ancor
più
decisamente il poema Il
demone di Lermontov. E per
quanto è del macabro
mortuario si può confrontare,
che so, il mortuario appena
accennatodi Sopra il ritratto
di una bella donna di
Leopardi col numero 8 dei
Dolori giovanili di Heine:
«ed ecco, ogni tomba s’è già
scoperchiata», «d’ossa un
sinistro urtare e scrosciare»,
«urlando
ogni
spirito
scomparenellatomba»ecc.
Sembra chiaro che i tre
temi,elamaggiorpartedelle
realizzazionichehoricordato,
rientrano in un arcitema
generale, la favola in quanto
ancheconnessaconlapoesia
popolare, che è messa in
pagina anche ad esempio da
poeti inglesi come Coleridge
(cfr.inparticolareChristabel)
e Keats ma soprattutto da
poeti
tedeschi,
accompagnando
o
proseguendo la grande
raccoltadiArnimeBrentano
Ilcornomagicodelfanciullo
(vol. I 1805). Ora una sola
poesia di Leopardi contiene
neltitololaparolafavola,ma
sono le «favole antiche» del
mito greco; allo stesso modo
in un passo dello Zibaldone
(4351) saranno chiamate
«favole»quellediOmeroche
concernono le divinità, e in
un altro luogo del ‘Diario’
(3462 ss.) vengono irrise le
scimmiottature da parte dei
moderni delle favole degli
antichi; del resto già nel
Discorso le «favole greche»
vengono contrapposte a
quelle«settentrionali»ecc.
Facendo un passo indietro,
c’èamiaconoscenzaunsolo
luogoincuiLeoparditoccao
sfioraitemidicuisopra,edè
nella figura della Natura
come
gigantessa
perversamente
insensibile
dell’Operetta Dialogo della
Natura e di un Islandese
(1824),costruitaunpo’infatti
come
l’Ozimandias
di
Shelley, per non saltare alla
Géante di Baudelaire. Ma va
sempre tenuto presente che
questa Operetta segna la
svoltadecisiva,subitoripresa
nello Zibaldone, del pensiero
di
Leopardi,
con
la
dichiarazione senza riserve
dellamalvagitàassolutadella
Natura.
Comunque
l’argomento è convertibile:
Leopardi,almenodauncerto
anno in poi, non ha bisogno
deldemoniacoproprioperché
demoniacaèlaNaturatuttain
quanto tale. Senza dire che
già nella Canzone Alla
Primavera bontà e bellezza
della natura erano ricacciate,
un po’ come anche nella
‘fonte’
schilleriana,
nel
passato remoto del Mito
(resuscitato anche, fra l’altro,
in suoi episodi tragici, e non
solo idillici), e qui magari si
può cogliere qualche affinità
con
romantici
come
Wordsworth.
Credo infine che non si
tratti solo di differenze
tematiche, in presenza e in
assenza: queste producono o
sono prodotte da un
diversissimomododipoetare,
che in molti romantici anche
insigniprocedeperaccumulo,
espansione ed esplicitezza
creativa, in Leopardi al
contrario
secondo
condensazione, concisione e
implicitezza.
E
quando
capovolge
la
Leopardi
propria
concezione originaria di
natura, cancella precisamente
quell’idea roussoviana di
bontà originaria della natura
stessa, pervertita da uomini,
società e storia, che continua
ad essere spesso la base
dell’ideologiaromantica,eda
noi per esempio ancora di
Foscolo (Schelling: «l’uomo
è entrato in conflitto e in
contraddiziome
con
la
natura…»).
Dunque
Coleridge detta To Nature,
parlando della «Natura
Sposa» e scrivendo: «Nulla
v’è di malinconico nella
natura!» ecc.; Wordsworth
elevaunveroinnoallanatura
nella sua famosa Tintern
Abbey: «la natura non tradì
mai / il cuore del suo
innamorato», «io, occhio /
adoratore della Natura» ecc.;
Lamartine, con un’ulteriore
iniezione di spiritualismo,
«Dionascosto…lanaturaèil
tuo tempio» (vi attingerà
evidentemente Baudelaire),
oppure nel commento a Le
lac, suo capolavoro: «il
grande poeta, è la natura» e
via dicendo. Qui mi fermo, e
ricordo soltanto che lo stesso
Schiller oscillava fra l’idea
della persistenza dell’antica
natura («il sole di Omero,
guarda, sorride anche a noi»)
e lo stato d’animo con cui
inizia la celebre Nänie, poi
musicata non a caso da
Brahms, con queste parole:
«Ancheilbellodevemorire»,
e poi «il bello tramonta», e
altro.
Una postilla. Nel Discorso
di un italiano (ed. Besomi et
al., p. 15) Leopardi aveva
scritto: «la natura non si
palesamasinasconde»,detto
che può anche costeggiare le
atmosfere romantiche, però
cinque anni dopo nello
Zibaldone, 2705 ss., 22
maggio 1823, cioè subito
prima del Dialogo della
NaturaediunIslandese,egli
detterà, con razionalismo
quasi
galileiano
o
diderottiano, «la natura ci sta
tutta spiegata davanti, nuda e
aperta». Ciò è l’esatto
contrario della concezione
romantica della natura come
mistero e inconoscibilità (o
semmai penetrabile per via
magica ed esoterica, come
talora in Eichendorff), e in
particolare lo è di queste
righe roussoviane di un
teorico come Friedrich
Schlegel (Philosophie der
Geschichte): «la natura, che
all’inizio stava davanti al
chiaro occhio dell’uomo,
apertaetrasparentecomeuno
specchio trasparente della
creazione divina, gli divenne
orapiùepiùincomprensibile,
estranea e terribile». Non
ingannino
le
apparenti
convergenze: nel caso di
Leopardièingiocolafiducia
nellacapacitàdellaragionedi
penetrareciòchenellanatura,
per malvagia che sia, è
tuttavia «tutto spiegato».
Semmai è da tener conto che
nei romantici tedeschi – e
qualche volta anche negli
inglesi – si contrappongono
unanaturaattualepiùcalmae
serena rispetto a quella delle
epoche
«possenti
e
gigantesche», dell’«antica,
disumana natura» (Novalis,
HeinrichvonOfterdingen).
È nutriente ora toccare,
all’interno del rapporto
uomo-natura,
il
tema
dell’opposizione di luce e
sole a buio, di giorno a notte
e viceversa. Come è
notissimo molte liriche di
Leopardi, poeta della luna,
sono in tutto o in parte dei
notturni – verrebbe da dire,
come nel suo omologo
Chopin–garantidell’intimità
edellasolitudinealuicare,e
dell’espandersideisentimenti
che solo nella solitudine è
possibile. Ma nessun passo
suo celebra l’autenticità della
notte e la sua superiorità sul
giorno;anzigliultimiversi–
forse – da lui scritti, nel
Tramonto della luna, ci
diconoconinauditaancheper
lui potenza la gloria del
sorgere del sole. S’impone il
confronto con un’opera
chiave
del
primo
Romanticismo, gli Inni alla
notte di Novalis, dove,
precedendo l’eterna notte
wagneriana (Tristano: «il
magico regno della notte», il
«vasto regno / della notte
universale»contro«ilperfido
giorno» col «suo vano
splendore» ecc.) si parla
addirittura, con metaforizzare
suggestivo ed estremo,
ossimorico,
quanto
significativo, di cielo e luce
dellaNotte,dellaNottecome
«Madre», e addirittura del
«Sole»dellaNotte:edètutto
l’assieme che va letto. Non
molto
diversamente
il
Manfred di Byron recita ad
esempio (parole del sesto
spirito): «La mia casa è
l’ombra della notte, / Perché
latuamagiamitorturaconla
luce», oppure: «Ed un sole il
giorno avrà / Che ancora la
notte ti farà invocare»;
oppure, e forse proprio sul
modello novalisiano, così
inizia
la
canzone
dell’Arciduca nell’Isabella
d’Egitto di Arnim: «Notte,
amata notte oscura» (e in
un’altracanzone,quelladello
Studente, si legge: «Il giorno
mihatenutoprigionieronella
foresta, / m’ha liberato la
notte oscura»). E non dicono
nulla di diverso certe grandi
battute del saturnino Principe
di Homburg nel dramma di
Kleist: «Ora la notte
m’inghiotta! … la notte dai
capelli d’oro mi accolse con
amore, tutta stillante di
profumi, come una sposa
persianaaccoglieilfidanzato,
cosìmisonoabbandonatonel
suo grembo». D’altra parte è
possibile che sia di origine
novalisiana l’indimenticabile
immagine del «Soleil noir de
la Mélancolie» del testo più
celebre
di
Nerval,
competentissimo di cose
tedesche.
È
evidente
il
retroterraspiritualisticooanzi
irrazionalistico, che mai
Leopardi avrebbe potuto
accettare,diquestomitodella
‘Notte’;epiùprecisamenteil
suo
forte
accento
antilluministico, se poi
consideriamo compimento
artistico del secolo dei Lumi
il Flauto magico di Mozart,
con le figure della Regina
della Notte, e del nero
Monostato, contrapposte alla
luminosa
saggezza
umanistica dei Sacerdoti e di
Sarastro;
cito
solo
brevissimamente dal finale:
«IraggidelSole/discacciano
la Notte». E Schiller: «E le
immagini della Notte cedono
alla virtù della Luce». E
qualcosa dello stesso tipo
poteva essere detto nel
Settecento
in
modo
graziosamente libertino, con
tutt’altro tipo di elogio della
Notte.ÈlacanzonediPhiline
nel Meister di Goethe: «La
solitudine della notte / non
cantateincupamelodia;/no,
obelledelmiocuore,/èfatta
per la compagnia… Potete
rallegrarvi del giorno / che
soltanto tronca le gioie? …
Perciò durante il giorno così
lungo / ricordati, amato
cuore:/ognigiornohailsuo
cruccio / e la notte ha le sue
gioie». Più avanti, un poeta
abbondantemente passato per
ilRomanticismo,Heine,potrà
però scrivere in un suo testo
famoso
(anche
questo
musicato da Brahms): «La
Morte è la fredda Notte, / la
Vita è il giorno afoso». Si
rinvia comunque a un
capolavoro critico come
1789. I sogni e gli incubi
della
ragione
di
Jean
Starobinski.
Siamo, mi pare, al punto
cruciale, cioè all’assoluta
continuità di Leopardi, che
semmai più volte lo
radicalizza, col materialismo
e razionalismo illuministici,
di contro all’antilluminismo
spiritualistico
se
non
irrazionalistico dei romantici
(Novalis: «Chi vuol cercare
Dio lo trova dappertutto»).
Dei suoi compatrioti dirà
Nietzsche in Aurora: «La
tendenza principale dei
tedeschifututtadirettacontro
l’Illuminismo e contro la
rivoluzionedellasocietà,che,
con
un
grossolano
fraintendimento,
era
considerata conseguenza di
esso».Senepossonomettere
in rilievo vari aspetti. Uno,
solo
apparentemente
marginale, è il costante
antiplatonismo di Leopardi
(ma non per lo stile, cfr.
soprattuttoZib.2150),finoal
Dialogo di Plotino e di
Porfirio, di contro a questa
eloquente affermazione di
Friedrich Schlegel: «La
filosofia di Platone è una
degna
prefazione
alla
religione avvenire». Ma
veniamo a uno dei capitoli
fondamentali, il rapporto o
meno fra ragione e natura.
Tutti sappiamo che in un
primo tempo, quando la sua
idea di natura è ancora
positiva, in Leopardi questo
rapporto si pone come
antitesi: la ragione fredda e
analitica è acerrima nemica
dellasantanatura.Madopola
svolta del 1824, o di subito
prima, la ragione, nella
pienezza delle sue facoltà, è
l’unica
garante
della
comprensione della natura,
del mondo, e questo è tutto
(respingo senz’altro la tesi,
avanzata da taluno, secondo
cui la ragione di Leopardi
sarebbe in lui meramente
«strumentale»). Ho citato
primaunpassodecisivodello
Zibaldone, cui sarebbe facile
aggiungerne vari altri. Ma
viceversa Wordsworth: «Con
l’analisi noi uccidiamo», e
Novalis in un suo Pensiero:
«Noi cerchiamo dappertutto
l’assoluto e troviamo sempre
soltanto cose» (ma invero le
ideediNovalisinmaterianon
sono così univoche). Quindi
Lamartine: «Che la mia
ragione taccia, e che il mio
cuore adori», e anche: «La
natura, uscendo dalle mani
del Creatore, / Spargeva in
tutti i sensi il nome del suo
autore»; con cui Hugo:
«Tutto canta e mormora, /
Tuttoparlanellostessotempo
/Fumoetverzura,/Inidiei
tetti; / Il vento parla alle
quercie, / L’acqua parla alle
fontane; / Tutti i respiri
[haleines]/Diventanovoci!».
La natura, con le sue
correspondances, è oggetto
non
di
comprensione
razionale e analitica ma di
abbandono sentimentale o di
percezione totalizzante. Si
può anche ricordare Diderot
che scriveva nelle Pensées
phylosophiques: «Una sola
dimostrazionemicolpiscepiù
dicinquantafatti».
La questione si può
stringere meglio guardando
più
specificamente
al
rapportoio-nonio.Noncredo
abbia
bisogno
di
dimostrazione il fatto che in
Leopardiiduesonosempree
nettamentedistinti:siachein
una
serie
di
poesie
celeberrime l’io poetico
leopardianosipongaversola
realtà come spettatore e
partecipe esistenziale ma
nello stesso tempo come
interprete razionale, sia che
quell’io sia titolare di
domande disperate e vane a
cui la natura non può né
vuole rispondere (Ultimo
canto di Saffo, Pastore
errante ecc.), e così via – il
chevaleanchequando,come
spesso,ilsoggettodiscorrente
è un alter ego o specchio
dell’io poetico stesso. Qui è
opportuno ricordare la giusta
idea critica di Solmi circa il
fatto che Leopardi mette fra
parentesi progressivamente
l’‘ioautobiografico’,che–si
può aggiungere – quando
ricompare nella strepitosa
quartalassadella Ginestralo
è per essere annichilito dalla
visione dell’Altro, che è
l’abissodeimondisemprepiù
remoti
e
infiniti.
Diversamente
nel
Romanticismo, e specie nel
piùforteetutt’unocolprimo
Idealismo, quello tedesco.
Facciamo parlare prima
Schelling, che già nelle
giovanili Lettere filosofiche
sul dogmatismo scrive di
«identità di soggetto e
oggetto» e poi scrive che «al
di fuori dell’identità assoluta
nulla è in sé» (commenta
Szondi che per il filosofo
«tutto ciò che è è la stessa
identitàassoluta»,datochein
lui l’«avvicinamento a uno
scopo spostato nell’infinito»
diviene qualcosa che «è
sempre già raggiunto»);
passiamo quindi soprattutto a
Novalis. Partirò dal celebre
passo dei Discepoli a Saisin
cui un discepolo solleva il
velo alla Dea e vi scorge,
meraviglia delle meraviglie,
se stesso (non è inutile
osservare che questo passo
acquista maggior valore
segnaletico se, come mi
sembra, è una polemica o
parodianeiconfrontidell’ode
di tutt’altro spirito Immagine
velata di Sais di Schiller,
dove una voce chiede: «chi
alza questo velo scorgerà la
verità?», ma quello che egli
ha visto non può confessarlo
eloporteràallatomba:«guai
a chi alla verità si accosta
nella tomba, / non sarà mai
gioioso per lui»). Altre
dichiarazionidellostessotipo
abbondano in Novalis, già
negli stessi Discepoli a Sais,
e ne cito alcune di corsa da
altri testi: «Il mondo è un
pensierorilegato»,«Ilmondo
diventa sogno, il sogno
mondo»,epiùesplicito:«Gli
altri
farneticano.
Non
riconoscono nella natura la
copia fedele di loro stessi»
ecc.«L’ioèundecodificatore
del proprio testo» dice di
Novalis uno studioso del
rango di Blumenberg. Per il
secondo
Romanticismo
tedescomilimiteròacitareda
una poesia di Brentano
«Beato chi, … non fuori dai
sensi, simile a Dio, /
cosciente solo di sé e
poetando,/creailmondo,che
è se stesso»; e anche questa
volta è naturale arrivare a
Wagner,semprealTristanoe
sempre al duetto del secondo
atto: «allora sono / io stessoio stessa il mondo». E per
esempio nel Romanticismo
spagnolo (come noto di
sviluppo tardo), il suo
maggior
rappresentante,
Bécquer, in Saeta que
voladora potrà dire di se
stessod’esseretutt’unoconla
freccia volante, la foglia
secca, l’onda gigantesca, la
luce
tremante;
e
analogamente ad esempio in
Espíritusinnombre.
Naturalmente
non
sto
dicendo che l’identità io-non
io dei romantici (specie
tedeschi) sia un fatto a priori
e statico – magari in
Schelling sì –, in tanti casi
sarà piuttosto il punto
d’arrivo di uno Streben.
Tuttavia la differenza con
Leopardirestaabissale,etale
diventa soprattutto quando
egli scopre il carattere
universalmente maligno e
antiumano della Natura
(1824): il non io diviene
assolutamente
non
assimilabile ma solo altro ed
ostile.Mipermettodiaddurre
qui
un
passo
per
me
impressionante dell’Estetica
di Hegel, evidentemente in
contropiede al precedente
Idealismo: «lo spirito fa
valere il suo diritto e la sua
dignità solo nell’interdire e
maltrattare la natura, a cui
restituisce quella necessità e
violenza che ha subito da
essa», anche se poi si
ammette la necessità della
«conciliazione», dialettica,
che però è evidentemente
altra cosa dall’«identità»
romantica,
superandola
polemicamente
nel
riconoscimento
dell’autonomia della realtà,
con cui il pensiero deve
lottare.Egiàquattroversidel
Faust goethiano suonavano
così:«Follechisocchiudendo
gli occhi volge lo sguardo
lontano, / e immagina sopra
lenuvolequalcosadiugualea
sé;/stiasaldosullaterraesi
guardi attorno, / per chi è
capace di intendere questo
mondononèmuto».
Ancoradueappunti,chesi
inscrivono
più
particolarmente nell’ambito
delsensismoleopardiano.Un
aforisma del Dialogo che
chiude le Operette, quello di
Tristano e un amico, suona
perentoriamente così (e si
tenga presente che con ogni
probabilità Leopardi ha
conosciutoancheLaMettrie):
«l’uomo è il suo corpo»; ma
inveceColeridge:«Ilcorpo,/
eterna Ombra dell’Anima
finita, / simbolo dell’Anima
stessa…», e Novalis che
nell’Heinrich parla del corpo
umano come simbolo: «il
delicato simbolo che è il
corpo umano», con le sue
«membraspirituali»,ealtrove
scrive, ricalcando la I lettera
di Paolo ai Corinzi, 3, 16:
«C’è un solo tempio al
mondo,edèilcorpoumano».
In un’altra sua pagina
Novalisdettava:«Lemalattie
contraddistinguono l’uomo
dagli animali e dalle piante».
Ma Leopardi nel brano forse
più
sconvolgente
dello
Zibaldone, «Tutto è male»
(4174-4177, 22 aprile 1826),
accredita di souffrance,
rappresentandola
drammaticamente, non solo
glianimalimaanchelepiante
(fra i luoghi paralleli si può
invocarealmenol’invenzione
dell’umile ginestra). E mi
pare che in questo luogo del
Diario si diano la mano,
antiromanticamente, appunto
un
sensismo
spinto
all’estremo,
ma
anche
rovesciato in universale
carità, l’idea sempre viva
dell’universaleepercosìdire
imparziale malvagità della
natura e infine quella che è
certo una delle conquiste
intellettualipiùnotevolidello
Zibaldone, delle Operette e
dei Canti, cioè una
concezione del mondo non
solo antiantropocentrica, ma
anche antigeocentrica, in cui
l’uomo è un mero accidente.
Qui si può aggiungere un
corollario: nei romantici, in
lineagenerale,ilpensiero,oil
pensiero-intuizione, ha una
funzione
fortemente
costruttiva; per Leopardi
invece, come lo Zibaldone
non si stanca di ripeterci e
come già ritenevano tanti
illuministi, a partire da
Voltaire,lafilosofiamoderna,
cioè appunto illuministica,
non può costruire nulla, può
solo distruggere, distruggere
l’errore (così appunto nel
caso vistoso e decisivo del
rovesciamento dell’idea di
natura benefica). Di qui,
anche, la disperata eppure
feconda
solitudine
leopardiana.Esivedainvece
sull’altra sponda un verso di
Musset: «Voltaire getta per
terra tutto quello che vede in
piedi».
Madecisivosaràsempreil
responso dello stile, con
quantoquestoveicoladiidee.
Mi riallaccio quindi a quanto
accennato sulla ricchezza, e
spesso
dissipazione
e
ridondanzafiguraledeigrandi
romantici
rispetto
alla
continenza leopardiana. E lo
perfeziono presentando altri
fatti,cioèduebrevilirichedi
ShelleyediHugo,forseipiù
figurali fra i romantici, tutte
intessuteacatenadifiguredi
somiglianza, che quasi
sgorgano l’una dall’altra,
come mai e poi mai è
accadutoaLeopardi.Shelley,
seconda strofa di To Jane:
TheRecollection:«Vagammo
versolapineta/Chesfiorala
spumadell’Oceano,/ilvento
lievissimo era nel suo nido, /
la tempesta nella sua casa. /
Le onde bisbiglianti erano
quasiaddormentate,/lenubi
eranoandateagiocare,/esul
grembo del mare profondo /
posava il sorriso del
cielo…»;eHugo,adesempio
una strofetta della II parte di
L’aurore s’allume: «Verità,
bel fiume / Che nulla
dissecca! / Sorgente dove
tuttos’abbevera,/ Stelodove
tuttofiorisce! / Lampadache
Dio posa / Accanto a tutte le
cose!/Splendorechelacosa
/InviaalloSpirito!».
Anni fa, occupandomi di
questa stessa questione, mi
era parso ragionevole legare
l’indefesso
metaforismo
romantico a una sottostante
concezione della realtà e del
mondo,edellostessopensare
umano, come analogia e
metamorfosi. E cito subito
NovalischeneiPensieriparla
di «affinità senza numero» e
poi ragiona così: «Tutte le
idee sono affini. L’air de
famille si chiama analogia»,
mentre nei Discepoli a Sais
leggiamo: «Egli non tardò a
scoprireintuttocollegamenti,
relazioni, coincidenze; più
nulla
ormai
gli
pareva
isolato…
Godeva
a
ricollegarecoselontane…»(e
anche: «in quel grande
cifrario che ovunque ci
appare»). Ricorro ancora a
Blumenberg
che
così
caratterizza
l’‘idealismo
magico’novalisiano:«visione
del mondo fondata sulla
scambiabilità
e
sulle
permutazioni»(eperSchlegel
nella mitologia «tutto è
relazione e metamofosi»).
Ognuno vede, e perciò non
insisto, il rapporto stretto fra
questo analogismo e la
tendenziale indistinzione fra
soggetto e oggetto, sia il
primoacrearepercosìdireil
secondo o da questo venga
risucchiato
panicamente.
Anche si potrebbe ragionare
sulla
connessione
fra
l’analogismo e la tendenza a
far virare l’allegoria in
simbolismo (tendenza del
tuttoestraneaaLeopardi),ma
anche qui non insisto, anche
perché
Schegel
come
vedremo subito parla di
allegoria,
e
piuttosto
aggiungo qualche altro
raffronto. Lo stesso Friedrich
Schlegel scrive in un
Pensiero sulla mitologia:
«tutto è relazione e
metamorfosi»; Wordsworth
in Rimprovero e risposta
parladi«unamoltitudine/di
cose
perennemente
dialoganti»; Hugo: «il mio
spirito
è
ricco
in
metamorfosi» (Dicté en
présence du glacier du
Rhône);Keats,OdeaPsiche:
«Sì,lasciasiaioiltuocoro,e
pianga… lascia ch’io sia la
tua voce, il tuo liuto, il tuo
flauto, il tuo dolce incenso /
chefumadalturiboloscosso;
/iltuosantuario,iltuobosco,
il tuo oracolo, il tuo ardore /
di profeta sognante dalla
pallida bocca» (il ‘tu’ è la
Dea-Psiche):
perfetto
esempio
di
rapporto
necessario
fra
senso
dell’analogia
e
della
metamorfosi
e
fuoco
d’artificiofigurale.
Altro sentimento che
provoca l’eccesso figurale, o
analogico,
è
quello
dell’ineffabile.
Ancora
Schlegel: «ogni bellezza è
allegoria. Il sommo, proprio
per il fatto che è ineffabile,
possiamo esprimerlo solo
allegoricamente»,
interessantissima
congiunzione; e cfr. anche
Novalis,InniallaNotte:«alla
sacra, indicibile, misteriosa
Notte», Hugo alla fine de La
pente de la rêverie: «Nel
profondo dell’abisso egli
nuotò solo e nudo / Sempre
andando
dall’ineffabile
all’invisibile». Altra cosa il
leopardiano «Lingua mortal
non dice / Quel ch’io sentiva
in seno», preceduto e seguito
(qui anche con sottolineature
esclamative) dalla vitalità di
sensazioni e ricordi belli. E
mai
nello
Zibaldone
l’ineffabilità è una categoria
dipensiero.
Ma
entriamo
ora
nell’officina
rispettiva.
Leopardi
foggia
un
linguaggio – e a questo si
tiene in sostanza pur nella
varietà delle fasi dei Canti –
che esprime una grande
novità ideologica ed estetica
però
assorbendo
e
rivitalizzando intensivamente
una tradizione poetica che è
quellaitalianamasonoanche
e forse più Omero e gli altri
grecieilatinicomeVirgilioe
Orazio (in Zib. 3416 ss., e
non solo lì, sta scritto
chiaramente
che
la
condizione per l’eleganza
poetica è l’antichità della
lingua). E questa scelta
s’innesta nell’idea sua mai
abbandonata che la lirica,
sommodellapoesia,nonpuò
essere tale se non al modo
degli antichi, e ciò per la
ragione fondamentale – tra
altre–checaratteristicadella
modernità è anche quella di
respingere la poesia stessa.
D’altra
parte
Leopardi
istituisce un rapporto stretto,
di cui tutti vediamo in lui la
necessità,
fra
quel
razionalismo e materialismo
cui i romantici voltano
combattivamentelespalleeil
classicismo nella forma, ivi
compresa l’opportunità di
mettere la sordina classica ai
propri
pronunciamenti
materialisti e nichilistici, il
che vuol dire, si faccia
attenzione, non velarli, ma
renderli al contrario più
evidenti (enárgheia) e quasi
epigrafici.
Alcontrario,èlampantela
connessione fra eccesso
stilistico e spiritualismo, e
ancheegotismo,neiromantici
o nella maggior parte di essi.
Di
fatto,
nella
potente
rivoluzione
poetica,
e
ideologica, che si svolge tra
fineSettecentoeOttocento,la
vocazione
romantica
all’eccessononportasoltanto
con sé una corrispondente
rivoluzione linguistica e
formale,
ma
l’apertura
irreversibile di una stagione,
che si può dire duri fino ad
oggi, in cui la poesia potrà
vivere,
attraverso
avanguardie, sperimentazioni
formalistiche, cancellazione
del passato ecc., solo come
continua rivolta contro sé
medesima. Penso che a
rifletterci un attimo non
sfugga il rapporto con
quell’aspetto del capitalismo
moderno che il pensiero
marxista, nell’ammirazione
dei caposcuola per il
dinamismo della nuova
borghesia, ha definito come
necessità
di
innovare
incessantemente mezzi e
strumenti di produzione,
insomma
tecnologia.
Leopardi resta al di qua di
questoprocesso,eanzitutto–
quasi non occorre dirlo – per
labuonaragionecheilgrande
pensiero settecentesco per lui
non è affatto una spiacevole
parentesiantispiritualisticada
cancellare, ma un punto
fermo rispetto al quale ogni
spiritualismo è un inganno e
un
irrimediabile
passo
indietro. Forse è anche per
questo motivo che Leopardi
appare ed è l’ultimo dei
classici.
Naturalmente
nell’opposizione
Leopardi/Romanticismo si
devedistinguere,comeanche
idatichehopresentatofanno
intravvedere. La distanza di
Leopardi
è
certamente
massima dal Romanticismo
per
eccellenza,
quello
tedesco, un po’ minore da
quello inglese (ma sì da
Coleridge e Shelley, con
qualche tangenza invece con
Keats), massima di nuovo da
francesi eminenti e influenti
comeLamartineeHugo.Qui
qualche elemento comune si
ha solo con Vigny, come
indica
in
particolare
l’attitudine stoica verso la
mortepredicatasianellaMort
duloupchenelBrutominore
– non è vero però come è
stato detto che in Leopardi
come in Vigny coesistono
due idee di natura: è
probabilmente così nel
francese,mainLeopardi,non
mi stanco di ripeterlo, il
DialogodellaNaturaediun
Islandese del ’24 segna una
cesuradefinitiva,unpuntodi
non ritorno. E altrettanto
naturalmente c’è un fatto di
sostanza nel quale Leopardi
converge
coi
grandi
romantici,edèlasuapotente
collaborazione – sostenuta
anche da una precisa poetica
che emerge da tante pagine
dello Zibaldone – all’idea e
praticadellaliricacomesede
del‘grandestile’,luogoincui
l’energia
tragica
dell’individuo si oppone
all’ordine
della
società
vigente,
nonché
all’operazione che rende
possibile
questa
sublimazione, vale a dire la
trasformazione della lirica da
genere poetico fra i tanti in
forma
assoluta
dell’espressione e stampo
poetico non fungibile del sé
(cfr. ancora il grande saggio
diAdornosuLiricaesocietà,
egiàlepaginediHegelsulla
lirica«soggettiva»).
Ultimo
dei
classici,
Leopardi fu certo, rispetto
all’attualità dei romantici, un
inattuale: nel senso, si
capisce, in cui erano o si
sentivano tali Nietzsche e
Mahler,
in
seguito
attualissimi. Anche in Italia,
per non parlare del resto del
mondo civilizzato, la storia
letteraria dell’Ottocento si è
svolta, come in tanti hanno
notato, quasi come se
Leopardi non fosse esistito.
Bisogna arrivare, salvo
Sainte-Beuve, a Nietzsche da
un lato, a Pascoli dall’altro
perchéilsuopensieroelasua
poesia trovino ascoltatori di
rango. E la linea poetica
vincente è comunque quella
Romanticismo-Simbolismo.
Nonvapoidimenticatocheil
geniale Zibaldone vede la
lucesolonell’estremoscorcio
del secolo (ognuno di noi si
trova spesso a sognare cosa
avrebbe potuto essere un
incontro di Nietzsche con lo
Zibaldone!). E comunque nel
secolopassatoincuilapoesia
di Leopardi ha nutrito tutti i
migliori, il suo pensiero è
rimasto molto a lungo fuori
del circolo filosofico a causa
dell’obiettiva alleanza di
cattolicesimo e idealismo,
anche in veste di sinistra
(poche cose Croce ha capito
così poco come Leopardi).
Con le parole pungenti di
Baldacci «un connubio tra
socialismo e cristianesimo
che ha messo per sempre la
mordacchia a tutti i problemi
che più urgevano al filosofo
di Recanati»; e anche in
interpretazioni recenti più
aperte e complici non può
sfuggire certa tendenza a
elidere
precisamente
il
materialismo del filosofo e
poeta.
Non vorrei però, lo dico
oraincoda,esserfrainteso.Il
tavolo sopra il quale ho
giocato non comporta affatto
cheiononsappiaesentache
grandissimi poeti sono
Wordsworth,
Coleridge,
Hugo,
Eichendorff,
e
soprattutto Keats, e ciò non
nonostante ma in forza del
loro terriccio ideologico
spiritualistico ed egotistico
che sprigiona tanta energia
poetica.Echenonsappiache
lamodernitàpoeticas’innesta
in linea di massima sul
Romanticismo, ci piaccia o
meno la nostra modernità
come tale, con molte e forti
eccezioni che sono ad
esempio Hardy o Machado e
Salinas, Saba e Auden, la
Achmátova e Larkin – e per
altroaspettoBrecht(mentreè
sempre eloquente che in uno
dei massimi, Apollinaire,
convivano
pacificamente
l’avanguardismo più sfrenato
e allegro e uno squisito
melodismo ‘verlainiano’). In
ognicaso,apoetiestraneialla
linea
‘mallarméana’
privilegiata a torto da
Friedrich si opponga ad
esempio
da
jonction
Baudelaire-Browning cara a
poeticomePoundeMontale.
Ecioèunapoesia‘metafisica’
(definizione montaliana) ad
unaermetica.Sempreilpoeta
italiano ha definito la prima
comecozzodellaragionecon
tutto ciò che non è ragione:
per caso la formula non si
addirebbe
anche
alle
convinzionieallaprassidello
stessoLeopardi?
Tutto ciò non toglie che
non occorre condividere tutte
le tesi del classico libro di
Lukács per dover dargli
ragione quando vede in tanto
romanticismo il punto di
partenza
di
quella
«distruzione della ragione»
che contrassegna per tanti
aspettilamodernità.
II
Dueformedel
discorsopoetico
leopardiano
La poesia del Leopardi – per
quanto caratterizzata dalla
peculiarità e dall’individualità
di ogni singolo componimento
– è riconducibile ad alcune
‘fasi’; a queste ‘fasi’
corrispondono
specifiche
modalità
costruttive.
L’allegoria leopardiana è
sempre chiara ed esplicita e
metteinlucesiailfigurato,sia
ilfigurante.
ÈcosarisaputacheiCanti
si possono scandire, salvi
alcuni individui irriducibili o
altri che hanno una funzione
che possiamo definire di
‘ponte’, in una serie precisa
difasicaratterizzatecometali
non solo da costanti di
ideologia e contenuto, ma
anche di stile (metrica
compresa, anzi in primo
luogo). Provo a ricapitolare
con cautela, ponendomi dal
puntodivistadelrapportofra
l’iopoeticoel’altrodaluioil
mondo, ma cercando nello
stesso tempo di non
dimenticare
che,
inversamente, è fortissima in
Leopardi la tendenza a
caratterizzare
in
modo
altamente specifico ogni
singola sua lirica, o d’altra
parte quella a procedere per
‘dittici’(adesempioleprime
due canzoni o la Quiete e il
SabatooledueSepolcrali)[1].
Le varie fasi della poesia
leopardiana
non
sono
costituite da serie di varianti,
ma da costellazioni di
individui.
In una prima fase l’io
dialogaconlegrandiessenze
della storia e del mito, e non
diradodellastoriacomemito
(in parte All’Italia, Inno ai
Patriarchi…), sicché sul
telone della storia-mito sono
proiettate anche le occasioni
della quotidianità perfino
domestica (Alla sorella
Paolina, A un vincitore; cfr.
14 «Del barbarico sangue in
Maratona…») o dell’attualità
culturale(Angelo Mai). Sono
le Canzoni, con l’eccezione
almeno parziale dell’ultima
scritta, e inoltre spostata
avanti nella struttura della
raccolta, la ‘platonica’ Alla
suaDonna[2].
NegliIdilli,contemporanei
alle Canzoni ma ad esse
volutamente contrapposti già
nel metro e nelle misure, e
che possono giungere a una
sortadiistantaneitàpercettiva
(mentre l’uso dello sciolto è
perfettamente in funzione del
carattere di quei testi, la
narrazione piuttosto che
descrizione o evocazione
delle
proprie
esperienze
esistenziali),negliIdillil’iosi
confronta con una natura
prossima e quasi domestica,
consolatrice o sublimatrice
delle pene personali; e vi si
confronta quasi mettendo fra
parentesi il relativo contesto
sociale, sicché quella natura
quotidiana diventa la natura
in tutta la sua maestà: natura
insomma, e non paesaggio,
come mostra esemplarmente
il tragitto dal secondo alla
prima nell’Infinito. Sogno a
parte, che per certi aspetti fa
coppia col più antico Primo
amore, si stacca dal
rimanente l’ultimo Idillio
scritto, La vita solitaria, che
perunversoriassumeedilata
iquattroprecedenticonpunte
anzi più ‘idilliche’ in senso
tradizionale o settecentesco
(la «capanna»…), per l’altro
guarda avanti facendo in
particolare da ponte verso i
Canti pisano-recanatesi, col
suo ambientarsi non più solo
al cospetto del paesaggio-
natura, ma del «borgo». È
negliIdillicomunquechel’io
poetico tende a coincidere
conl’ioesistenzialepiùnudo
esolo.
Dopol’annunciosquillante
del Risorgimento i Canti
pisano-recanatesi
approfondiscono quel tema
del disinganno (illusorietà
dellasperanza,delpiacere,di
un’attivitàstessasottrattaalla
noia)chegiàavevacosìgran
parte nello Zibaldone e nelle
Operettemorali; ma la scena
è ora decisamente all’interno
del borgo di Recanati, che
diventa in quelle liriche
supremeunodeglihautslieux
della poesia di tutti i tempi:
entro di esso l’io poetico più
che contemplare accoglie il
mondo esterno in sé ma
soprattutto rammemora, e
l’attività del borgo, mentre
esprime quella vivacità e
quellagraziachepureoffrono
una momentanea felicità,
nellostessotempoèlafigura
dellaVitachevieneconfutata
dalla voce dolorosamente
ferma del perenne dolore
umano. Reduce dalle sue
prose ‘in forma’ (gran parte
delle Operette) e no (quasi
tutto lo Zibaldone), qui
veramenteLeopardidàalsuo
pensiero
poetante
(con
l’espressione
felice
di
AntonioPrete)unassettoche
è tanto senza scampo quanto
èliberamadefinitivanelsuo
ritegno classico la forma del
proprio discorso poetico, che
per lo più è la ‘canzone
libera’. Naturalmente sta
alquantoasél’ultimoindata
– a parte probabilmente il
Passero solitario – di questi
testi, il Canto notturno, non
fosse altro che per l’enorme
slargarsi,
che
tende
all’infinito, dello spazio
(«solitudine immensa» ecc.),
cui
corrisponde
l’indeterminazione, o arcana
retrocessione, nel tempo (la
‘fonte’ di questo Canto parla
di «chants historiques» di
quei popoli). La diversa
impostazione, come si sa, ha
immediati riflessi nella
metrica (l’unicum della rima
costante a fine di ogni lassa,
con eloquente ripresa anche
all’inizio dell’ultima secondo
l’antico artificio delle coblas
capcaudadas), e in tanto
altro: a cominciare dalla
fisionomia della seconda
protagonista, la luna, che in
parte conserva il vecchio
ruolo di affettuosa e
femminile
compagna
dell’uomo (specie prima
lassa) ma più assume quello
di un astro tacito e lontano,
immagine
e
parte
dell’insensibilità della natura
(«Silenziosa»2,«solinga»61,
«muta» 80 ecc.). Non c’è
dubbio:ilCantonotturno,più
ancora degli altri Pisanorecanatesi, non è concepibile
senza le recenti meditazioni
della prosa dell’autore, e
anche per questo apre
senz’altro
verso
la
desolazione
cosmica
dell’ultimoLeopardi.
L’‘esistenzialismo’
negativo
di
Leopardi
raggiunge la sua punta nel
cosiddetto Ciclo di Aspasia,
nella lirica a lei intitolata,
unica contro una donna, e
ancor più nei sedici rotti,
affannati e testamentari versi
di A se stesso; ma occorre
mettere
l’accento
sull’eterogeneità (anche nello
stile, qui massimamente
divaricato) dei cinque carmi
che lo compongono: estremo
e singolare accostamento di
Leopardi al Romanticismo, e
non al migliore, in Consalvo
(penso particolarmente a
Rolla di Musset, ma cfr. ad
esempio anche Alastor di
Shelley o Le Trappiste di
Vigny), del resto anticipato
dall’autorenellasequenzadei
Canti; altro inno ‘platonico’
all’amore,
ma
più
architettonicoedenso,equasi
non finito, è nel vasto
Pensierodominante,el’ancor
più notevole Amore e morte
intreccia
agli
elementi
comuni col Canto che lo
precede motivi e una
costruzione stessa che fanno
presagireleSepolcrali.
Nella quinta e ultima fase
della sua poesia, a Napoli,
l’io esistenziale si sublima e
sconcretizzatotalmente,tanto
che le due Sepolcrali non
muovono da occasioni vitali
ma dal fuori tempo e
dall’emblematicità
della
statuaria; e affronta quasi da
spettatore o meglio da
‘coscienza’ se non da
legislatorelequestioniultime
dellamorteedelcosmo.Maè
pure rilevante che questo
allargamento di orizzonti
speculativi, come se il
giovanileInfinitofossemesso
al cubo, mentre invece i
predicati tante volte discussi
della morte divengono carne
e sangue, comporti anche
un’attenzione nuova alla
società contemporanea nel
suo intero, non più nella
misuradellachiusaearcaica,
e in qualche maniera
protettiva, particolarità del
«borgo».ÈlaPalinodia – da
affiancarsi soprattutto agli
esercizi sarcastici dei Nuovi
credenti
e
della
Batracomiomachia, esclusi
dalla raccolta –, ma è
soprattutto l’intreccio di
visione sociologica e visione
cosmica, di società e natura
distruttiva nella smisurata
Ginestra.
Tuttavia
il
Tramonto della luna, fratello
del grande carme per la
potenza
dello
sguardo
cosmico, in grandiosa ripresa
dall’alto
opposta
e
complementareallaancorpiù
grandiosa esplorazione del
cosmo dal basso della
Ginestra,
declina
quella
visione della natura con una
dolcezzaeunabbandonoche
sonoquasiquellidegliIdillie
dei Pisano-recanatesi: è, per
dircosì,uncosmo-paesaggio.
Mi sono permesso questa
ovvia ricapitolazione per
poterinserirenellaseriedelle
‘fasi’ dei Canti due modalità
costruttive che a me paiono
fondamentali del discorso
poetico di Leopardi, e che in
linea di massima non sono
affatto ubique. La prima è la
presenza protagonistica e in
genere dotata della propria
voce di ‘personaggi’ che in
un modo o nell’altro
funzionano da alter ego o
sosia dell’io poetico, se non
vogliamo dire senz’altro da
Doppelgänger,comesuonail
protagonista di una lirica di
Heine (Heimkehr 20; e vedi
ancheibidem60)musicatain
modo
sconvolgente
da
Schubert.Ilterrenodicultura
di questi ‘doppi’ sono
soprattutto le Canzoni[3],
come vuole la proiezione
eroica e agonistica dell’io
nella storia e nel mito: la
figura di Simonide in
All’Italia[4], soprattutto ma
nonsoloilTasso(cuipoisarà
dedicata
un’Operetta)
nell’Angelo Mai, Bruto
(‘doppio’ più di tutti), Saffo:
tre di questi quattro parlano
con la loro voce, l’ultima,
Saffo,
anche
senza
introduzione ‘narrativa’ o
rievocativa.
Controprova
dell’urgenza
di
questo
modello nelle Canzoni mi
pareilfattochenella Sorella
Paolina la protagonista e
dedicataria,
che
evidentementenonpuòessere
giudicata in senso stretto un
alter ego dell’io poetante ma
un suo complemento fraterno
(sororale), sprigiona via via
due doppi di sé, più
rapidamente
la
«sposa
giovanetta» spartana che
affronta fieramente la morte
delmarito(vv.71-75)epiùa
lungo,perleduestrofefinali
intere, la romana Virginia.
Prescindendo per ora dal
Canto notturno, che per la
sua complessità va tenuto a
parte, il procedimento del
Doppelgänger si ritrova in
duetestipiùtardimache,per
quel che vale nel caso la
constatazione, Leopardi ha
arretratonell’ordinedeiCanti
rispetto
alla
data
di
composizione, il Passero
solitario (vedi per un
possibile paragone The
Nightingale di Coleridge) e
comes’èdettoConsalvo:eil
primo, che finisce per
collocarsi non lontano dalle
Canzoni, ha questo di
caratteristico,
che
la
specularità si realizza non in
assenza (e dunque in
sottinteso) dell’io, ma in sua
presenza, e la figura dell’io,
dopo essere stata posta in
forma ‘analogica’, alla fine
vienepostainformainversao
oppositiva.Vedremopiùtardi
trattamenti
simili
dell’allegoria.
È
anche
interessante
osservare che nella lingua
prestataaqueitalipersonaggi
delleCanzoniemerganoversi
o espressioni simili ad altri
che più avanti nei Canti
apparterranno alla voce
dell’io poetante. Cfr. per
esempio
All’Italia
80:
«Guardandol’etraelamarina
e il suolo» (molte mosse
simili
nel
Leopardi
successivo); 127-128: «Ecco
iomiprostro,/Obenedettial
suolo», cfr. Sera del dì di
festa23-24:«Equiperterra/
Mi getto e grido e fremo»,
con uguale figura ritmica,
quinario più settenario a
cavallo dei versi interessati;
Angelo Mai (a proposito del
Tasso) 128-129: «Amore, /
Amor di nostra vita ultimo
inganno…» e Vita solitaria
39-40: «Amore, amore, assai
lungi volasti / Dal petto
mio…»;Brutominore45:«E
maligno alle nere ombre
sorride», da cfr. coi finali
della Vita solitaria e di
Aspasia; Ultimo canto di
Saffo 64-65: «poi che perìr
gl’inganni e il sogno / Della
mia fanciullezza», e A Silvia
49-52:«Ancheperìafrapoco
/ La speranza mia dolce, agli
anni miei / Anche negaro i
fati / La giovinezza» ecc. E
globalmentesipuòdirecheil
tema dell’alter ego esperito
nelle
Canzoni
passa
soprattutto da queste alla
prosa critica delle Operette,
nelle quali è continuo, a
segnare ancora una volta la
precedenza dell’invenzione
poetica sulla riflessione della
prosa (il caso più eclatante è
L’infinito, il cui contenuto
concettuale è discusso più
volte nello Zibaldone dopo e
nonprimadell’idillio).
Conlaritornantefiguradel
doppioLeopardipareinserirsi
in un tema che percorre tutto
l’Ottocento: la narrativa
(Hoffmann,
Chamisso,
Dostoevskij, Stevenson ecc.),
come la poesia: dalle liriche
già citate di Musset ecc. al
Dèmone (trad. Spendel e
Giudici)diPuškin,aNotteII
eIIIeaIlmiodemone(trad.
Landolfi) di Lermontov, ai
due testi appena ricordati di
Heine cui vanno aggiunti
almeno dello stesso il
«Blutfinster Gesell» di
Traumbilder 7 e l’Atlas di
Heimkehr 24 (pure musicato
genialmente da Schubert), e
via dicendo[5]. Ma mentre
nelle opere ottocentesche ora
menzionate e in tante altre
simili il trattamento del tema
è, tipicamente, visionariodemoniaco, Leopardi sfiora
appenaquestadimensionenel
Bruto, ma propriamente non
latoccamai,contrapponendo
a quella dissoluzione dell’io
una proiezione eroica del sé
quale era possibile non solo
nell’ambito di una poetica
‘classica’ ma anche, diciamo
pure, per il fatto che
Leopardi, soprattutto nelle
Canzoni, si poneva come un
io antagonistico strettamente
individuale, non come un io
‘sociale’.Comegliavvienedi
regola, anche in questo a
Leopardi
accade
che,
muovendosidaunaposizione
storica più arretrata e
decentrata di quella dei
contemporanei
romantici,
proprio per ciò finisce per
collocarsi non dico più
indietronépiùavantidiloro,
maaltrove.
Ec’èqualcosanellefigure
del doppio che, guardando
ora all’interno delle forme
poetiche leopardiane in sé, è
anche più notevole, ed è che
quegli alter ego (compresa
Virginia) pronunciano in
genere (e sempre nelle
Canzoni) dei veri e propri
monologhi tragici, degni di
SchillerodiGrillparzerodel
grande
monologo
del
protagonista nel Ruy Blas
hugoliano.
Perciò
quel
Leopardichefindall’inizioe
sempre
ha
proclamato
l’eccellenza della lirica sopra
le altre forme di poesia, o
addirittura il suo essere
l’unica vera forma di poesia,
in realtà carica le Canzoni(e
poi il Canto notturno) di
istanze
elocutive
che
dobbiamo definire narrative
e,ancorpiù, teatrali, in virtù
delle quali quei testi sono di
fattomoltolontanidallamera
lirica, quella stessa che
Leopardi esperiva allo stato
puro,
contemporaneamente
alleCanzoni,negli Idilli.Dai
quali dunque esse si
differenziano, fra tanto altro,
per dispiegarsi in forme
liriche che così spesso
contengono in sé la
contraddizione,
o
la
dilatazione estrema fin quasi
all’esplosione, dell’essenza
lirica. Ne deriva anche che
quei testi, a modo loro,
realizzano
la
pulsione
all’oralità che sempre più ci
appare primaria in Leopardi,
e sempre più un segno forte
del suo distacco effettivo
dalla tradizione, mentre
dichiarano già da parte loro
quellavocazionealcantoche
sarà sempre più forte nel
poeta (il poeta dei Canti,
titolo insolito), e che in
questo lo avvicina a una
istanza
primaria
della
Romantik.
La seconda modalità
costruttiva, e cioè l’allegoria,
è del tutto estranea alla fase
che ospita in modo più
organicolafiguradel‘sosia’,
cioè la fase delle Canzoni, e
comunque
sta,
con
un’importante eccezione su
cui ci fermeremo, quasi in
distribuzione complementare
rispetto a quella. Di fatto
l’allegorismo si affaccia per
la prima volta, dopo il
cosiddetto ‘silenzio’ poetico
degli anni 1823-27, nella
lirica fondativa del nuovo
Leopardi, ASilvia. E però vi
si
affaccia,
come
è
significativo,inunaformada
un lato ancora indiretta ma
dall’altro molto singolare, e
non solo perché Silviafiguranteagisceinpresenzae
non in assenza del suo
figurato,
la
speranza
giovanile. Infatti ormai si
deve ammettere, soprattutto
sullabasedelgrandefinale(e
tuttoiltestoneacquistatanto
piùdisuggestione),chel’una
e l’altra si fondono, e che la
morte
metaforica
della
speranza sprigiona da sé
quella reale di Silvia, o
viceversa: ma allora si deve
ancheammetterecheinrealtà
figuranteefiguratosembrano
scambiarsi di funzione, e che
se Silvia ‘rappresenta’ la
speranza, a sua volta la
speranzarappresentaSilvia:è
un’allegoriareciproca.Questa
ambiguitàèunadelleragioni
chefannodiASilvianonsolo
uno dei capolavori poetici di
Leopardi, ma uno dei suoi
testi concettualmente più
ricchi.
Nelle Ricordanze invece,
complicel’andamentodisteso
enarrativoelafocalizzazione
sulla molteplicità dei ricordi,
Nerina,adifferenzadiSilvia,
resta Nerina e basta, quasi
ampliamento elegiaco della
prima
(coppia
Nerinagiovinezza
vs
Silviasperanza) e senza sensi
ulteriori. Ma subito dopo,
nella Quiete e nel Sabato,
l’allegorismo prende fiato, e
si designa con una nettezza
che è come la controparte
dell’indicibile
e
aerea
icasticità con cui le scene di
vita nel borgo sono non
evocate, ma descritte in
contemporanea e quasi
simultaneamente: nella prima
la ripresa della vita attiva
dopolatempestaèimmagine
parlantedelcarattereeffimero
e vano del piacere, puro
prodotto della cessazione del
dolore
(o
terrore);
nel
secondo, dall’angolo di vista
oppostomacomplementare,è
di scena l’attesa, destinata ad
essere fatalmente delusa, di
una felicità futura («Diman
tristezza e noia…» in rima
antitetica con «gioia»); e
nell’allocuzione
finale
sconsolata eppur tenera al
«garzoncello»
(come
in
Ricordanze 74 ss.) non
diremo magari che si delinea
un’allegoria minore entro la
maggiore,
ma
certo
quest’ultima è richiamata
dalla doppia occorrenza, e
doppiamente in rima, del
sostantivo tematico festa che
fa gruppo con quelli della
Quiete e del Passero (qui
anche festeggiar). Meglio si
potrà dire che un’allegoria
minore entro la maggiore è
ospitata nella Quiete, se il
«passeggercheilsuocammin
ripiglia» che chiude la prima
lassa può essere indiziato di
‘figura’ dell’io tristemente
pensante che s’appresta a
relativizzarne e contraddirne
le vitali e festose apparenze
nel mentre che se ne
allontana.
Proprio la coppia di
opposti e complementari
costituita dalle due allegorie,
che colpiscono entrambi gli
aspettidellateoriadelpiacere
elaborata per tempo dal
filosofo o ‘moralista’, ci fa
subito comprendere che
l’allegorismo non avrebbe
potuto profilarsi nei Canti se
nonavesseavutoallespallela
riflessione dello Zibaldone e
delle Operette (queste a loro
volta non prive di allegorie);
odettoinaltromodochec’è
un rapporto preciso fra
l’allegorismo e una poesia
che sempre più acquista
carattere speculativo. Va
sempre ricordato che al
tempo dei Canti pisanorecanatesi (e a maggior
ragione dopo) Leopardi ha
giàscrittolapartepiùgrande
delle Operette e quasi
terminate le Note dello
Zibaldone. Ciò vuol dire che
da questo momento in poi
l’istanza speculativa passa in
carico alla poesia, che deve
dotarsi di nuovi strumenti,
unodeiquali,enonl’ultimo,
è appunto l’allegoria, con la
sua evidenza razionale. Ma
non
solo:
l’impianto
allegorico, in questi Canti e
altrove (cfr. soprattutto il
Tramonto della luna) è ciò
che permette a Leopardi di
mettere
in
scena
contemporaneamente le due
opposte istanze della sua
poetica, quella del pensiero
che nega ma anche quella
della Vita che brulica e
rallegra il cuore. E quindi,
ben lungi dall’essere un
marchingegno
intellettualistico, scaturisce
dal cuore stesso della mente
poetica leopardiana. Ai due
testi
recanatesi
appena
ricordati si deve poi
aggiungere, quale che sia la
sua datazione (’28 o, com’io
preferisco, alquanto più
tardi),
e
anzi
come
particolarmente
probante,
l’Imitazione da Arnaut:
particolarmente probante sia
nel suo riprendere il tema
allegorico archetipico della
foglia come simbolo della
condizione umana (Omero,
Mimnermo, Bibbia…, e fino
a Verlaine e Ungaretti: ma
qui spesso, non è male
osservare, al plurale), sia e
ancor più perché Leopardi, a
tanta distanza di tempo da
quanto ha conosciuto La
feuille – non meno di dieci
anni–vaa‘imitare’unalirica
già
in
se
stessa
dichiaratamente allegorica, e
lo fa trasformando una
simbologia tra esistenziale e
politica (la foglia è Arnaut
stessochevagasmarritodopo
che è mancato il suo
sostegno,
la
querciaNapoleone) in una nuda
rappresentazione
dell’universale destino degli
uomini; e sono accentuazioni
particolari in questo senso il
comune vento che non è
l’eccezionale orage, «e tutto
l’altro ignoro», quasi come
nelPastoreerrante, in luogo
di «sans me plaindre ou
m’effrayer», mozione degli
affetti, e meglio di tutto
l’aggiuntivo «naturalmente»,
cioè‘perleggedinatura’.La
foglia è la pura e universale
umanità.
EsiamoalCantonotturno,
diverso dagli altri Pisanorecanatesi e in genere dal
resto dei Canti da non pochi
puntidivista,cominciandoda
quelli accennati più sopra.
Mentretuttelealtreallegorie
finora esaminate sono, Canto
per Canto, uniche, in quello
delpastoresonoplurime.Nel
contenente principale, il
discorso o canto del pastore
come allegoria dell’umana
condizione (Montaigne), ne
sono incassate altre due: la
seconda
lassa
del
vecchierello, sorta di miseen
abyme,
che
potremmo
considerareilrovesciotragico
del vecchio pellegrino di
Wordsworth,
in
modo
differente
esprime
il
medesimo significato del
tutto («tale / È la vita
mortale»), ma non in forma
statica e definitiva bensì
sgranandolo
lungo
un’esistenza dolorosa vista
non globalmente ma nella
progressione
dei
suoi
accidenti; e quanto alla
greggia – Zibaldone ma
anche la metafora di
Ricordanze 43 alla mano –
altro non può significare che
quella parte meno sensibile
del genere umano che non
prova il tedio e il suo potere
mortifero, in ciò opposta al
pastore che dunque vale a
questo punto non per
l’umanitàinteramaperlasua
porzionepiùsensibile:eperò,
come suona il finale, l’una e
l’altra
comunque
sono
destinate all’infelicità («È
funesto a chi nasce il dì
natale»,ultimoverso).Siamo
quindi di fronte a un testo
dall’allegoria
plurima
e
inoltre, a potersi esprimere
così,mobile.Enonèsoltanto
questa la specificità, dal
nostro punto di vista, del
Canto notturno. L’altra sta
nel fatto che è l’unica lirica
dei Canti in cui coesistono
allegorismo – anzi più
frastagliato del solito – e
presenza (per l’ultima volta
nellaraccolta)dellafiguradel
‘sosia’, cioè evidentemente il
pastore come Doppelgänger
dell’io poetante leopardiano,
carico dell’essenze, spremute
ai loro minimi, della sua
‘filosofia’. Anche questa
angolatura
ci
permette
dunque di vedere come il
Canto notturno, vera e
propria antropologia poetica,
sia il testo più denso e
importante
dell’intera
raccolta,eforseilpiùgrande.
Come c’era da attendersi,
nessun segno di allegoricità
comparenelCiclodiAspasia,
diviso
fra
brucianti
dichiarazioni
dell’io
esistenziale ferito e vindice e
grandicostruzioniintellettuali
sulla essenza d’amore (come
è noto i due temi si
incontrano
proprio
in
Aspasia). C’è bensì, e si
comprende, l’ultima ripresa
della figura del doppio in
Consalvo, significativamente
collocato poi da Leopardi
subito prima, e non dopo, i
Pisano-recanatesi.
Forse
l’allegoria, o ancor più lo
sdoppiamento, sono sfiorati
nella«dicotomiafralamente,
cheparla,eilcuore»(Carrai)
di A se stesso, benché il
dialogo col proprio ‘cuore’
riprenda
l’evidente
sineddoche della tradizione
poeticadalMedioEvoinpoi
ecosteggiuntoposromantico
(Heine,Mussetecc.):infattiil
‘tu’ s’intercambia presto con
l’‘io’(«micredei»,«sento»)o
col‘noi’inclusivo,edelresto
il titolo è appunto A se
stesso[6]enon*Almiocuore.
Concludendocongliultimi
Canti, è chiaro che bisogna
separare
dagli
altri
la
Palinodia; eppure con due
riserve: la sua prossimità ai
prettamente allegorici, e nel
senso esopiano del termine,
Paralipomeni;
e
la
similitudine,
notoriamente
rielaborata da Zib. 4421, dei
vv. 154 ss.: «Quale un
fanciullo…», che potremmo
definire
para-allegorica,
tant’è che ai vv. 170 ss. sta
scritto: «La natura crudel,
fanciullo
invitto
ecc.».
Quantoaglialtriquattrotesti,
evidentemente non cade
dubbiosullanaturaallegorica
della prima Sepolcrale («Mai
nonvederlaluce/Era,credo,
il miglior… Prima che… I
lugubri suoi lampi il ver
baleni», «Madre temuta e
pianta / Dal nascer già
dell’animal
famiglia
/
Natura… Che per uccider
partoriscienutri»ecc.),equi
pure si affaccia una
similitudine che costeggia
l’allegoria:(«Comevaporein
nuvoletta accolto…» 36 ss.),
e forse a maggior ragione
dellaseconda(«Cosìriduceil
fato/Qualsembianzafranoi
parvepiùviva/Immaginedel
ciel. Misterio eterno /
Dell’esser nostro»; «Natura
umana,orcome…?»).
Ma è bene fermarsi
soprattutto sul Tramonto
dellalunaesullaGinestra.Il
Tramontopresentacomesisa
l’equazione
allegorica
tramonto della luna =
tramonto della giovinezza
nella forma particolarmente
maestosa
ed
evidente
dell’amplissima similitudine
interstroficachesisollevafin
dal primo verso: Quale…,
comparante nell’intera prima
lassa–Tal…,comparatonella
seconda (e si noteranno a
confermalerelazionilessicali
e concettuali di «In fuga /
Vanl’ombreelesembianze/
Dei dilettosi inganni» 22-24
vs «ombre» concreto 6 e 12,
«ingannevoli»
5;
«Abbandonata,oscura/Resta
la vita» 27-28 vs «Oscurità»
14ecc.).Entroquestoquadro
può assumere una curvatura
allegorica,unpo’forsecome
già il «passegger» in chiusa
dellaprimalassadellaQuiete,
il «carrettier» di I, 19,
commutato a II, 29, altro
relais, nel «confuso viatore».
Maancorpiùcaratteristicodi
questo Canto è il fatto che,
svoltinellaterzalassal’elegia
della giovinezza e il quadro
della miserabile vecchiezza,
nella quarta quello che nelle
due
prime
era
una
similitudine allegorica per
affinità,
diventa
una
similitudine allegorica per
contrasto: la natura può
rinnovarsi e risplendere di
nuovo(ilriaffacciarsidelsole
ècantatodaLeopardiinversi
di inaudita evidenza e
potenza), mentre la «vita
mortal»,
infaustamente
rettilinea e non ciclica, non
può che correre dalla fine
dellagiovinezza allamaturità
alla vecchiaia alla morte, suo
«segno» o punto d’arrivo
predeterminato[7].
Nella Ginestra, come pure
è ben noto, i portatori di
allegoriasonodue,perdipiù
fatti coesistere circolarmente
nella prima e ultima lassa
dello sconfinato Carme: lo
«sterminator Vesevo» e la
«odorata ginestra / Contenta
de’ deserti», che intanto,
contro le evidenze naturali, è
nominataalsingolare(enella
prospettiva allegorica si
faccia mente locale anche al
sostantivo deserti)[8].Segnalo
allora appena un paio di
elementi che ne collegano lo
svolgimentoaquantoavviato
nei Canti precedenti: la
presenzadel«passeggero»13
e del «peregrino» 276, e le
duegrandisimilitudinideivv.
138 ss. e 202 ss., la prima
dichiaratamente allegorica, la
seconda
esplicata
ulteriormentecometaleaivv.
241 ss: «Non ha natura al
seme / Dell’uom più stima o
cura/Cheallaformica…»(e
cfr. anche 271-272: Pompei
«come sepolto / Scheletro»).
La
Ginestra
è
ben
contemporaneadelTramonto;
eloèancheperlacircostanza
chela«lentaginestra»,chesi
piegaall’oppressioneomicida
della natura senza vane
resistenze o preghiere e
orgoglio altrettanto vani,
rappresentaecontrario («Ma
più saggia, ma tanto / Meno
inferma dell’uom») lo stolto
atteggiamento degli umani –
o della loro stragrande
maggioranza.Maadifferenza
del Tramonto e invece come
il Canto notturno (col quale
converrebbe scrutare le
somiglianze) l’ultimo Carme
di Leopardi è un testo ad
allegorie plurime, sia pure
subordinateallaprincipale.
Cognata dell’allegoria è la
prosopopea
o
personificazione.
La
distribuzione di questa figura
nei Canti è pure interessante
(mi devo limitare al rimando
ai versi): All’Italia 6 ss. (ma
nel complesso Leopardi
riduce
l’ampiezza
della
personificazione del modello
principe della sua canzone,
quella all’Italia di Petrarca);
Sopra il monumento 42-43,
60-61, 92 ss.; Passero
solitario41-44;Seradeldìdi
festa 14-16; Ricordanze 124125; Pensiero dominante 15
ss.; Amore e Morte 10 ss.;
Sopraunbassorilievo50ss.;
Palinodia 55 ss. e 142-143;
Tramonto della luna 22 ss.;
Ginestra 52 ss., 80 ss., 124125, 227-230, 292-295, 304
ss. (è la ginestra!). Anche se
certo
avrò
dimenticato
qualcosa (ma ovviamente mi
sonoguardatodalmetterenel
conto la luna), il quadro che
si
delinea
è
eloquente.
Dapprima nobile omaggio
allo stile classico (come ad
esempioleperifrasi,poniamo
in Patriarchi 42-43, Ultimo
canto 11-12 e 62-63), la
figura della personificazione,
quasi assente negli Idilli e
assente come è ovvio nel
CiclodiAspasia(chesemmai
conta
il
‘doppio’
del
Consalvo), tende a situarsi
precisamente là dove si
colloca
l’allegorismo,
addensandosi nel Leopardi
ultimo. Comunque, e ciò
verrà buono in seguito, nel
complessolepersonificazioni
nei
Canti
sono,
verosimilmente, poche[9], e
tendono pure a svolgersi in
spazibreviobrevissimi.Èun
punto
di
differenza
sostanziale
coi
grandi
romanticieilorodintorni.
Ma torniamo alle due
figure cui s’intitolano queste
pagine. A quanto già detto
sulla loro indeterminazione,
annullata
solo
nello
specialissimoCantonotturno,
va aggiunto almeno che sia
l’una che l’altra sono
totalmenteassentinegliIdilli,
cioè nella serie in cui
Leopardidismettel’attitudine
eroica che lo proietta nella
storia e nel mito (o nella
storia
come
mito)
contrappuntandola con un
atteggiamento
nudamente
esistenziale dell’io poetico,
che esperimenta la propria
vitasentimentaleemeditativa
neltestaatestaconlanatura,
coltanellasuainfinitacalma,
prima di rappresentare nei
Pisano-recanatesi anche la
benefica vitalità umana: cfr.
Vita solitaria 23 ss.: «Talor
m’assido in solitaria parte, /
Sovra un rialto, al margine
d’unlago/Ditaciturnepiante
incoronato. / Ivi, quando il
meriggioincielsivolve,/La
sua tranquilla imago il Sol
dipinge, / Ed erba e foglia
nonsicrollaalvento,/Enon
ondaincresparsi,enoncicala
/ Strider, nè batter penna
augelloinramo,/Nèfarfalla
ronzar nè voce o moto / Da
presso nè da lunge odi nè
vedi. / Tien quelle rive
altissima quiete: / Ond’io
quasi me stesso e il mondo
obblio / Sedendo immoto; e
già mi par che sciolte /
Giaccian le membra mie, nè
spirto o senso / Più le
commova, e lor quiete antica
/ Co’ silenzi del loco si
confonda»;passo,aguardarlo
bene, estremo, in cui sono
confiscati
sia
l’attività
intellettuale dell’Infinito sia i
ricordi dolorosi di Alla luna,
e la quiete metafisica della
natura, e dell’io, è espressa,
moltopiùchedailessemiche
la
indicano
direttamente,
quasi secolarizzando i modi
della mistica, con un cumulo
a non finire di negazioni.
Quanto allo stabilizzarsi
dell’allegorismo, dopo il
grande hors-d’oeuvre del
Canto notturno, nell’ultima
serie dei Canti, non c’è
bisognodimoltespiegazioni.
In quella fase innalzamento
del livello speculativo e
allegoriavannodiparipasso,
e ciò meraviglia ancor meno
in un poeta e filosofo
materialista come Leopardi,
per il quale, come è scolpito
soprattutto in una grande
pagina dello Zibaldone,
piccolo e grande, terreno e
cosmico, uomo e natura
costituiscono
un’unità
organica che reclama sempre
spiegazioni
o
rappresentazioni organiche:
sicché come simbolo di
quanto l’uomo ha – o
dovrebbe avere – di meglio
può ben stare la minuta
ginestra,
che
Leopardi
guardava
amorevolmente,
nelloscorciodellasuavita,là
sulle pendici del vulcano
annientatore.
Maunavoltadipiùnonsi
può e non si deve evitare
anche a questo proposito il
confronto col Romanticismo
poetico a Leopardi inviso, o
coisuoimaggioricampioni.È
un’evidenza che l’allegoria è
ben presente anche nei poeti
romantici, e però sarebbe
inopportuno accogliere la
generalizzazione a categoria
comprensiva
di
questa
presenza quale si ha già in
Friedrich Schlegel («ogni
bellezza è allegoria. Il
sommo, proprio per il fatto
che è ineffabile, possiamo
esprimerlo
solo
allegoricamente»[10]: notare
subito
il
ricorso
all’ineffabilità), e poi in
pagine altrettanto suggestive
che
discutibili
di
Benjamin[11].
Conviene
invece,ancheeproprioperil
Romanticismo,
mantener
viva, d’accordo con altri fra
cui Péter Szondi[12] e già
Hegel (Estetica) la nozione
moderna di «simbolo» – che
sostanzialmente risale alle
Maximen und Reflexionen di
Goethe[13] e poi altrettanto
incisivamenteaColeridge,ed
è operante anche in ambito
romantico,adesempioinquel
Creuzer che è utilizzato
nell’Estetica di Hegel ma è
noto allo stesso Leopardi
dello Zibaldone e discusso
recentemente anche da
Szondi.Lasecondaevidenza,
a non voler usare le due
categorie in modo troppo
personale, è che nella
maggiore poesia romantica
allegorismo e simbolismo si
alternano e intrecciano, così
come avverrà nel suo
maggiore erede e superatore,
Baudelairefra,perisolaredue
titoli,
Allégorie
e
Correspondance[14] (sempre
per i titoli cfr. anche ad
esempio
An
Allegory,
sottotitolo di Time, Real and
ImagerydiColeridge).Come
si deve classificare, per fare
qualche
caso,
questo
passaggio di À Albrecht
Dürer di Hugo, 35 ss.: «J’ai
senti… Comme moi palpiter
et vivre avec mon âme, / Et
rire,etseparlerdansl’ombre
à demi-voix, / Les chênes
monstrueux qui remplissent
les bois», oppure questo di
L’aurores’allume9ss:«Tout
chante et murmure, / tout
parleàlafoisecc.»?Ocome
questo passo ancor più
esplicito di Lamartine, La
prière 18-19: «Je lis au front
des cieux mon glorieux
symbole»? Oppure si rilegga
uncapolavorocomeLecordi
Vigny, dove la superba
orchestrazione fonica, che
alludesottosemanticamenteal
suonodelcornoprotagonista,
è un esempio sottile quanto
decisivodisimbolismo.
Ci sono varie circostanze
generalichefavoriscononella
poesia
romantica
il
simbolismo
a
scapito
dell’allegorismo. La prima è
la sottostante concezione
analogica[15] della realtà
(Hugo: «mon esprit est riche
en métamorphoses»; ma
l’analogismo permea anche,
in forme diverse, un sovrano
della narrativa come Balzac),
invirtùdellaquale,adirlain
breve, tutto può stare per
tutto[16]. E pare evidente,
specie nei romantici tedeschi
(Brentano, Nachklänge, cit.:
«Selig, wer ohne Sinne /
Schwebt, wie ein Geist auf
demWasser…Selbstsichnur
wissendunddichtend/Schaft
erdieWelt,dieerselbstist»),
la
correlazione
dell’analogismo con l’idea
della realtà esterna come
proiezione o addirittura
creazione del soggetto, tipica
di Fichte e della prima
esteticaromanticaedespressa
esemplarmente nel detto
spinoziano di Schelling («la
natura è lo spirito visibile, lo
spiritoèlanaturainvisibile»)
comenelfinaledeiDiscepoli
di Sais di Novalis, trad.
Alfero: «Un tale riuscì a
sollevare il velo alla dea di
Sais.Ebbene,chevide?–egli
vide, miracolo sommo, se
stesso»[17]. Nulla può essere
più estraneo di tale
atteggiamentoalmaterialismo
ealrazionalismoleopardiani.
GiànelgiovanileInfinito,che
piùsembracosteggiarequesti
temi romantici, la scoperta
dei mondi sconfinati nello
spazio e nel tempo non è per
nulla opera di intuito o
sensibilità o immaginazione
nella loro immediatezza
irrazionale,madellavorodel
pensiero, parola-chiave della
lirica, e si svolge secondo
concatenazione
logica;
sempre in lui l’oggetto si dà
come oggetto determinato,
maiindeterminato.Neipressi
dell’analogismo si possono
collocare alcuni motivi
ricorrenti
nella
lirica
romantica, come quello della
favola (vedi in particolare
Heine) e quello del sogno[18]
(lo stesso: Traumbilder ecc.,
Lermontov, Brentano e via
dicendo). Ora Leopardi ha
sacrificatounavolta,eaisuoi
inizi,aquestomotivod’epoca
nell’idillio che lo porta in
titolo, ma solo allora e
moderatamente,
senza
accedere ai suoi connotati,
cosìfrequentinellaRomantik,
di indistinzione onirica e
demonismo.
Anzi
nel
FrammentoXXXVII del 1819
(Odi, Melisso…), dapprima
intitolato Il Sogno e inserito
fra gli Idilli, Leopardi aveva
senz’altro volto in scherzo
(ancheinsensomusicale),tra
leggerezza e gioco amebeo,
questo perturbante motivo
‘romantico’.
Un’altra
circostanza
fondamentaleèiltipicotema
romantico dell’ineffabilità (o
mistero o chimera o sfinge o
anchemascheraecc.)[19],che,
contrariamente all’idea di
Schlegel,
sembra
precisamente
inibire
quell’esplicitezza e quel
rapporto razionale e univoco
tra figurante e figurato che
sonolaragiond’esserestessa
della allegoria. Qualche
riferimento: Coleridge, The
Rime of the ancient Mariner,
IV: «O happy living things!
No tongue / Their beauty
might declare»; Novalis,
Hymnen I: «zu der heiligen,
unauspechlichen,
geheimnisvollen
Nacht»;
Landor, Death stands…:
«Death stands above me,
wispering low / I know not
what into my ear…»; id.,
Poem: «I cannot tell, not I,
why she / A while so
gracious,nowshouldbe/So
grave…»; Chamisso, Zur
Antwort: «Ich kann leben,
kosen,küssen,/Aberdichten
kann ich nicht»; Shelley,
Ozymandias:«theleavesdead
/Aredriven,likeghostsfrom
an enchanter fleeing»; Keats,
Sleep and Poetry: «And to
what shall I compare it?»;
Hugo,Lapentedelarêverie:
«Toujours de l’ineffable
allant à l’invisible» (!) e così
via. Quanto all’analogismo,
già è significativa la sobrietà
in Leopardi dei figuranti,
metafore e similitudini, di
fronte alla loro frequenza, e
non di rado cumulo ed
eccesso,neiromantici[20].Eal
simbolismo romantico si
addice a pennello questa
definizione
del
funzionamento psicologico
dell’uomo (moderno?): «C’è
una misteriosa unione tra il
significato concreto, esplicito
di un’emozione e gli infiniti
possibili significati della
stessa emozione che sono
implicitamente espressi nel
significato concreto… È
come versare un insieme
infinitoinungruppolimitato
di relazioni: un ‘quanto’»
(Matte Blanco). C’è semmai
da chiedersi se a questa
perfetta diagnosi psicologica
non se ne possa sottendere
unastorica.Nelsenso–detto
inpocheparole–chedopola
Rivoluzionefrancese(eisuoi
precedenticulturali)edopola
dittatura e le guerre di
conquista napoleoniche il
crollo,
avvenuto
o
minacciato, degli Anciens
Régimes sottrae all’uomo
europeo,
e
soprattutto
italiano, la certezza del suo
spazioconclusocomedelsuo
rapporto con organizzazioni
socialieistituzionisecolari–
e sottrae all’intellettuale la
sicurezza della sua funzione
‘cortigiana’–,proiettandoliin
una realtà tanto più vasta
quanto nuova e incerta, non
piùinunquimainunlàche
èsempreminacciatoeattratto
daunal-di-là.
Come in Leopardi sono
assenti o quasi simili cause,
cosìglièpraticamenteignoto
il simbolismo di stampo
romantico. E domina invece,
dal’28inpoi,l’allegoria,con
le sue conseguenze decisive
sulla struttura e la condotta
(tendenti alle forme bipartite
o meglio oppositive) dei
Canti, e con le sue
concomitanze
stilistiche
(scarsa incidenza delle figure
di
somiglianza,
delle
personificazioni ecc.). Con
questo non intendo certo
staccare più del necessario
Leopardi dal suo tempo: per
esempio Ozymandias di
ShelleyepiùtardiLaGéante
di Baudelaire realizzano una
personificazione-allegoria
sorprendentemente analoga a
quella leopardiana della
Natura in dialogo con
l’Islandese.Maunaltropunto
mi appare decisivo. Anche
nei romantici l’allegoria può
essere esplicita, o per dirlo
piùchiaramentespiegata:cfr.
ad esempio Puškin, trad.
Spendel e Giudici, Il carro
dellavita(l’esplicitazionesta
già nel titolo); Novalis,
Hymnen:
«An
jenem
Hügel…», ed è il Golgota;
l’albatros di Coleridge, The
Rime, sorta di antimodello di
quello parimenti esplicato di
Baudelaire; la Mort du loup
diVigny:allegoriainversa,la
dignitàdellupodifrontealla
morte contro la debolezza e
viltà umane; Le nuage di
Hugo: «Ce beau nuage, ô
Vierge, aux hommes est
pareil… Hélas! Ton beau
nuage aux hommes est
pareil»; Musset, La nuit de
Mai: il pellicano, pur
conservando la connotazione
cristologica, rappresenta «les
grandspoètes»,coilorocanti
disperatichesonoipiùbelli;
Eichendorff, Im Abendrot:
«ist dies etwa der Tod?»;
Heine,
Romanzen
19,
Lebensgruss; Chamisso: Das
KindandieerloscheneKerze
ecc. Però mentre nei
romantici l’allegoria può
essere e può non essere
esplicata (come, per fare un
paio di casi, nell’Arione di
PuškinoinDerSchatzgräber
di Eichendorff), in Leopardi
loèsempre. E in quanto tale
l’allegoriastessanontoccané
sfioramaiilsimbolismo.
Non è certo un caso che
Leopardi si volga alla poesia
allegorica dopo che ha già
scritto gran parte delle
Operette morali e sta
esaurendo lo Zibaldone:
l’allegoria comporta in lui
precisamente una diversa
messaapuntodeirapportifra
poesia e pensiero, oltre che
un’assunzione nella poesia
dei nuovi contenuti del
propriopensiero.Eredeanche
come poeta del Settecento
razionalista, Leopardi –
questopoeta«trascendentale»
per dirla con Friedrich
Schlegel[21] – persegue
attraverso l’allegoria la
luminosa chiarezza del
messaggio, via via rifiutando
anche l’affine ma meno
limpida figura dell’alter ego
per un progressivo distacco,
contemporaneamente,
dall’individualismo lirico e
dal mito. E rifiuta le
scorciatoie suggestive e
oniriche del simbolo, quasi
sapesse che la nebulosità
delle corrispondenze e dei
simboli può condurre a quel
caratteredienigmadell’opera
d’artechetormenteràl’ultimo
Adorno[22], e arretrasse
davantiaisuoipresupposti.Il
chesembrarenderlo,percosì
dire, meno ‘interessante’ o
menovario(certamentemeno
profuso) dei suoi colleghi
romantici.
Malaragioneelastoria,si
sa, hanno le loro astuzie, e
non si allineano di necessità
al cosiddetto spirito del
tempo. Chi vive in una
condizione storica arretrata,
che altrove è stata vinta o
‘sorpassata’,può,proprioper
questo,
esplorare
organicamente possibilità di
pensiero e d’arte che per chi
vive sulla punta schiumosa e
travolgente della storia sono
difficoltose, o precluse. Nel
casodiLeopardilapossibilità
che egli ha colto o meglio
fondato,fortediunafilosofia
di profondità negata ai suoi
colleghiediunavocepoetica
perfettamenteintonata,èstata
lasintesidellirismopiùpuro
e
della
più
impavida
razionalità, dell’esaltazione
dellavitanellasuaevidenzae
concretezza e della dialettica
negativa del pensiero. Di qui
lasuaassolutaindividualitàe
autenticità,
che
stanno
perfettamenteallaparidelsuo
valoredipoeta.Lasua‘voce’
è sempre riconoscibile ad
apertura di pagina, aliena dai
pronunciamentichenonsiano
fortemente pensati. Lo dice
anche l’esiguità del corpo
poetico ammesso che ci ha
lasciato. Allo stesso modo,
nella dimensione dello stile,
l’essenzialità, l’antieloquenza
e il procedere in ‘levare’ del
Leopardi maturo, che come
tutti i classici ci dà così
spesso l’impressione di
ottenere il massimo della
significanzacolminimodelle
parole, si oppone alla
tendenziale
ridondanza
verbale, o in altri termini
all’eloquenza (pur attinta da
Leopardi nelle Canzoni, ma
senza l’effusione romantica e
quasi aspra), che nei grandi
contemporanei stranieri, e
segnatamente in poeti come
Lermontov
o
Shelley,
Lamartine o Hugo e, sì,
ancora in Baudelaire, è,
magari splendidamente, la
regola. Non sarei anzi alieno
dallo
stabilire
una
proporzione: la sobrietà sta
all’effusionestilisticacomela
chiarezzaunivocaerazionale
dell’allegoria
sta
alla
dispersione e plurivocità del
simbolo.
Ma occorre soffermarsi
ancora sull’allegoria. Proprio
il fatto che in Leopardi essa
sia sempre, oltre che limpida
e
univoca,
esplicita,
dispiegata
alla
presenza
dell’io poetico che la detta e
ragiona, fa sì che non si
pervenga mai a quella
«distruzione della realtà
immediata ecc.» che temeva
per l’allegorismo Lukács[23],
cosìcomenonvipervenivala
figuralità dantesca: basta
leggere
capolavori
dell’evidenza rappresentativa
come la Quiete, il Sabato, il
Tramonto della luna. Nelle
figurazioni
allegoriche
leopardiane non solo sta in
piena luce il figurato o
rappresentato, in virtù della
«corrispondenza de’ pensieri
poetici al vero»[24] (la caduta
delle illusioni, l’impossibile
felicità, l’azione distruttiva
della
verità,
l’orrida
vecchiezza ecc.), ma anche e
forse ancora di più il
figurante: che via via è, nel
mondo dell’uomo e della
natura,Silvialietaepensosa,
ilritornoall’attivitàel’attesa
della festa nel borgo, la
fragilefoglia,l’umileginestra
ecc., cioè la Vita; sicché
quest’ultima, sentita e detta
con un pathos e quasi una
nostalgia d’appartenenza che
non hanno eguali, non si
dissolve mai in quanto tale
nel risucchio negativo del
pensiero, ma continua a
spiegarsi davanti ai nostri
occhi nella sua grazia e
verginità. Questa è la cifra
suprema, e in certo senso
anche la contraddizione
produttiva,diLeopardi:come
scriveva il suo affine
Hölderlin: «Chi ha pensato
ciòcheèpiùprofondo,onora
ciò che è più vivo», Werdas
Tiefste gedacht, ehrt das
Lebendigste. E a questa
evidenza
dei
figuranti
contribuisce fortemente da
parte sua la stessa strategia
discorsiva di Leopardi, che li
implica nella gran parte dei
casi nel movimento, prima
ancoraaffettivochestilistico,
dell’allocuzione: Silvia e la
speranza,lalunaelagreggia,
il garzoncello, le due donne
delleSepolcrali,le«collinette
e piagge», la ginestra, attratti
in un dialogo affettuoso che
ne fa quasi espressioni del
sé[25].Invirtùdeltrattamento
cheèsuodell’allegoria,vitae
pensiero
nel
Leopardi
dell’ultimo decennio non si
intricano l’una nell’altro, ma
vengonopiuttostoacostituire
una singolare polarità, che è
anche un singolare e potente
sdoppiamento
dell’io
poetante. Qui è anche una
delle ragioni, e non l’ultima,
della grandezza e per tanti
versidell’unicitàdiLeopardi.
[1] Cfr. L. Blasucci, I titoli dei
«Canti» e altri studi leopardiani,
Napoli, Morano, 1989, p. 129; Id., Lo
stormiredelventotralefoglie.Saggie
percorsi
leopardiani,
Venezia,
Marsilio,2003,p.183.
[2]SulleCanzoni,nell’assiemeeuna
per una, va citato soprattutto
l’eccellente saggio di L. Blasucci, in I
tempi dei «Canti». Nuovi studi
leopardiani,Torino,Einaudi,1996,pp.
3-43. Da un’altra ottica cfr. anche M.
Santagata, Quella celeste naturalezza.
Le canzoni e gli idilli di Leopardi,
Bologna,IlMulino,1994,pp.15-44.
[3] E già nel ’17 figura l’abbozzo
della Vita di «Silvio Sarno», doppiato
piùtardidaquellodi«GiulioRivalta»,
e che nella cultura più attuale di
Leopardi figurava l’insigne esempio di
doppio dell’Ortis foscoliano (con la
relativa ‘fonte’ goethiana); e cfr. anche
dello stesso l’Ulisse del sonetto A
Zacinto.
[4] Vanno ricordate, in quella che si
puòchiamarel’«Appendice»deiCanti,
le due versioni o imitazioni Dal greco
di Simonide e Dello stesso: si tratta,
come per il Volgarizzamento della
satira di Simonide sopra le donne del
1823 (ed. Rigoni, pp. 601 ss.) non di
Simonide di Ceo ma dell’Amorgino,
però Leopardi non era in grado di
distinguereilsecondodalprimo.Ecfr.
E. Peruzzi, Studi leopardiani, Firenze,
Olschki, 1987, vol. II, pp. 7-74; M.
Gigante, Leopardi e l’antico, Napoli,
Istituto Italiano per gli Studi Storici,
2002,pp.81-118.
[5]ComeèbennotonelNovecentoil
tema avrà uno sviluppo infinito, e tale
anche da incidere nelle modalità di
presentazione autoriale, in Pessoa, che
non per nulla ha scritto una
Autopsicographia: ma non senza
manierismi epigonali. Cfr. tra i
moltissimi esempi Venho de longe e
tragonoperfil o, in persona di Àlvaro
deCampos,Lisbonrevisited.
[6] L’origine del titolo è stata
indicata
recentemente
(Lonardi,
Commento
Gavazzeni-Lombardi)
nell’èis eautòn di Marco Aurelio, ma
cfr. ora anche S. Carrai, in Studi in
onore di Pier Vincenzo Mengaldo,
Firenze, Sismel Galluzzo, 2007, pp.
879-885, che avanza altre proposte (in
particolare l’epistola metrica Ad se
ipsumdiPetrarca).Èiseautòns’intitola
ancheunaliricadiHölderlin.
[7]VediancheG.Contini,Antologia
leopardiana,Firenze,Sansoni,1988,p.
113: «allegoria e contrario della
giovinezza». Un andamento simile ha
untestocelebrediunautorebencaroe
memorizzato da Leopardi, il Casa, O
dolce selva solitaria, amica, dove
tuttavia la dissociazione finale del
comparato umano dal comparante
vegetale non ha carattere senz’altro di
opposizione,madigradazione.
[8] F. Meregalli, Presenza della
letteratura spagnola in Italia, Firenze,
Sansoni, 1974, pp. 54-55, ha segnalato
l’analogia del simbolo leopardiano con
quello della Rosa del desierto di
Nicasio Álvarez de Cienfuegos (17641809), ma è difficile stabilire se
Leopardi potesse o no conoscere quel
testo (cfr. commento GavazzeniLombardi). Per parte mia ricordo la
quartina più tarda del maggiore poeta
romantico spagnolo, Gustavo Adolfo
Bécquer: «¿Como vive esta rosa que
has perdido / junto a tu corazón? /
Nunca hasta ahora contemplé en el
mundo/juntoalvolcánlaflor»(cfr.ad
es. G.A. Bécquer, Rime, con testo a
fronte, introduzione e versioni di I.
SchweigerAcuti,Parma,Guanda,1967,
p. 84). Inutile insistere sulla
diversissima (anche per potenza
concettuale) utilizzazione del simbolo.
Cfr. di recente A. Prete, Il deserto e il
fiore. Leggendo l’ultimo Leopardi,
Roma, Donzelli, 2004, pp. 19-25 e G.
Sandrini, Il fiore del deserto e altri
studi su Leopardi, Padova, Esedra,
2007, pp. 8-79, importante soprattutto
perlastoriadell’immagine,oanaloghe.
È anche ben noto che l’ultimo verso
della quartina becqueriana funge da
esergo, con una libertà probabilmente
mnemonica(Sobreperjunto)aiMottetti
diMontale.Nonhomaipotutolevarmi
dal capo che in Montale il verso dello
spagnolo stia anche per un rimando
allusivoallaGinestra.
[9] Stando per ora solo in Italia,
personificazioni e perifrasi anche
diffuse sono invece ben presenti nel
Foscolo,cfr.primadituttoAllasera,e
continue nel Manzoni lirico: cfr.
soprattutto gli Inni sacri. Ma in tanti
romanticistranierilapersonificazioneè
endemica e spesso espansa, cfr. ad es.
Novalis,HymnenanderNacht (oltre a
Luce e Notte, il Giorno, la Regina dei
Mondi,l’Eterno,ilRicordo,laVerità,il
Tempo ecc.); Lamartine, À Elvire
(inizio, e le Temps e la Mort),
L’immortalité (la mort), Le désespoir
(le Malheur e le Temps) ecc.; Puškin,
trad.SpendeleGiudici,Nelprofondodi
miniere siberiane; Lermontov, trad.
Landolfi, Predizione (la peste), I doni
del Terek (il fiume Terek) ecc.; Vigny
per es. Les Destinées (Destinée,
Fatalité, Croix, Sort, Grâce); Hugo, À
mademoiselleLouiseB.(le monde), Le
sacre (Paris), Lune (la France) ecc.;
Byron, Stanzas for Music (Hope,
Memory), On this Day… (Glory,
Greece); Shelley, To Jane: The
Invitation (Year), The Witch of Atlas
(molte); Keats, in cui il fenomeno è
ancorpiùfrequente(cfr.peres.Ode to
aNightingale);Heine,Lieder2(leore),
7 (il Reno), Heimkehr 16 (il sole),
NordseeII3(lenubi),EinFichtenbaum
steht einsam; Eichendorff, Der
Glücksritter;Mörike,DerGenesenean
die Hoffnung; Brentano, Säusle, liebe
Myrte (la morte) ecc.; per non parlare
piùtardidiBaudelaire.
[10] Cfr. F. Schlegel, Dialogo sulla
poesia,in Frammenticriticiescrittidi
estetica, introduzione e trad. di V.
Santoli,Firenze,Sansoni,1967,p.202.
[11] Cfr. W. Benjamin, Il dramma
barocco tedesco, trad. di E. Filippini,
Torino, Einaudi, 1971 (ed. or. 1928),
pp. 166-201. Ciò che mi appare
discutibile si può riassumere in due
punti:eccessivodistacco(manonperil
Barocco!) dalla nozione comunemente
accettata di allegoria, e mancato
riconoscimento
che
già
nel
Romanticismo è di casa quella
coabitazione fra simbolo e allegoria
cosìbenindividuatadaBenjaminstesso
in Baudelaire. Aggiungo: Th.W.
Adorno interpreta la splendida Im
Walde di Eichendorff come allegorica
nel preciso senso benjaminiano: Note
per la letteratura, 1943-1961, Torino,
Einaudi,1979(ed.or.1958),p.77.
[12]P.Szondi,LapoeticadiHegele
Schelling, Torino, Einaudi, 1986 (ed.
or.1974),pp.86ss.,105.
[13] Una ricca esposizione del
concetto goethiano è ad es. in G.
Lukács,Estetica,ed.ridottaacuradiF.
Fehér, trad. di F. Codino, Torino,
Einaudi,1975(ed.or.1973),pp.804ss.
In generale cfr. soprattutto l’ottimo M.
Mancini, Allegoria, in Enciclopedia
Feltrinelli Fischer. Letteratura, a cura
di G. Scaramuzza, Milano, Feltrinelli,
1976, vol. I, pp. 11-31 (anche per
l’allegoria); T. Todorov, Teorie del
simbolo,Torino,Einaudi,1984(ed.or.
1977).
[14] A commento e integrazione di
notissime pagine su Baudelaire di
Benjamin,cfr.W.Menninghaus,Walter
Benjamins Teorie der Sprachmagie,
Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1997, pp.
134-177.
[15] Sempre interessante come
impostano il problema dell’analogia I.
Perelman e L. Olbrechts-Tyteca,
Trattatodell’argomentazione.Lanuova
retorica, Prefazione di N. Bobbio,
Torino, Einaudi, 1976 (ed. or. 1958),
spec.vol.I,pp.392-432.
[16] Ne deriva l’uso tanto frequente
nei romantici quanto ostico a Leopardi
deicostruttianalogicipercopulazioneo
apposizione, e anche di quelli
prepositivi che dilagheranno col
Simbolismo: cfr. a mo’ d’esempio
Novalis,HymnenandieNachtI,IV,V;
Heine,DerTod,dasistdiekühleNacht;
Mörike,Erist’s;Brentano,Nachklänge
Beethovenscher Musik: le analogie
iniziali della «Einsamkeit» e «In dem
Monde meiner Wehmut»; Lamartine,
Le lac: «sur l’océan des âges», La
prière:«levoiledesnuitssurlesmonts
se déplie»; Hugo, Novembre: «aux
premiers amours, / Frais papillons»,
DictéenprésenceduglacierduRhône:
«Alors,nuageerrant,mahautepoésie»,
Où donc est le bonheur: «l’enfance
éphémere, / Ruisseau de lait qui fuit
sous une goutte amère»; L’aurore
s’allume, II: «Verité, beau fleuve…
Sourceoùtouts’abreuve…Lampeque
Dieuposa…»;Shelley,OdetoLiberty:
«My soul spurned the chains of its
dismay», The Witch of Atlas: «There
yawned an inestinguishable well / Of
crimson fire»; Keats, Sleep and Poetry
75 ss. (identificazione analogica
prolungataperun’interastrofa)ecc.Per
altro verso la poetica delle analogie o
‘corrispondenze’ dei romantici porta
con sé anche l’uso della sinestesia,
diffuso quanto in Leopardi è limitato:
mi limito a citare Shelley, The
Sensitive-Plant 25 ss. (doppia) e Hymn
toIntellectualBeauty4ss.(cumulo),a
partenaturalmenteBaudelaire.
[17] Cfr. ancora una volta, per la
continuitànovecentesca,Pessoa(cheha
scritto anche un testo intitolato O
contrasymbolo),Oiçopasar:«Ah,tudo
èsimboloeanalogia…Tudonosnarra
oquenosnãodiz[ineffabilità]…Tudo
éunissonoesemelhante»ecc.
[18]Sempreattualeilgrandelibrodi
A. Béguin, L’âme romantique et le
rêve, Paris, Corti, 1939 e edd.
successive.
[19] Qualche dichiarazione di
ineffabilità si può reperire anche in
Leopardi, per es. A Silvia 26-27:
«Lingua mortal non dice / Quel ch’io
sentiva in seno», ma subito segue
l’appassionato ricordo di quel passato:
«Che pensieri soavi! / Che speranze,
checori,oSilviamia!ecc».
[20] Un’esposizione in P.V.
Mengaldo, Sonavan le quiete stanze.
Sullo stile dei «Canti» di Leopardi,
Bologna,IlMulino,2006,pp.115-146.
[21] Schlegel, Dialogo sulla poesia,
cit.,p.83.
[22] Cfr. Th.W. Adorno, Teoria
estetica, a cura di E. De Angelis,
Torino, Einaudi, 1975 (ed. or. 1970),
pp. 170-194. Valga per es. a riscontro
Benn,EinWort:«EinWort,einSatz–:
ausChiffrensteigen/erkanntesLeben,
jäherSinn…».
[23]Lukács,Estetica,cit.,pp.829ss.
[24] Il Parini, ovvero della gloria,
cap. VII, § 6; ma si rilegga tutto il
magnificopasso.
[25] Fanno eccezione le due prove
forsepiùaltedell’oggettivitàcreaturale
delpoeta,laprimalassadella Quietee
ilpiùdelSabato.
III
‘Io’e‘noi’neiCanti
Nei Canti emergono – per ciò
che riguarda l’interrelazione
fralepersone–dueparadigmi:
quello dialogico, imperniato
sul rapporto io/tu, e una
relazione io/noi, che comporta
anch'esso una dialogicità,
anche se ad un livello più
profondo della significazione.
Entrambiitermini–il‘tu’eil
‘noi’ – sono uno specchio
dell’io: tuttavia il noi,
diversamente dal tu, include e
rispecchia l’io, preparando il
terreno al solidarismo che
emergerànellaGinestra.
Nulla forse è più tipico
della lirica, e non della
moderna soltanto ma di
quella di sempre e ovunque,
cheildialogofral’iopoetico
e dei ‘tu’, dove il primo può
essere
espresso
linguisticamente – e allora la
cosa è più rilevante –, ma
anche sottinteso nel semplice
fattodirivolgersiaun‘tu’[1],
talora quasi nascondendosi o
invece universalizzandosi in
questo modo. Almeno nella
lirica
italiana,
ma
probabilmente non solo in
quella, in nessun poeta più
che nell’autore dei Canti, il
solitarioabitatodallaassoluta
necessità di dialogare e
quindi di esprimersi per
allocuzionieapostrofi,questa
tendenza
è
talmente
pronunciata, con continue
conversioni di una poesia
potenzialmente
narrativa,
dell’‘egli’, in dialogante[2], e
non è il caso di tornarvi
sopra, anche se ne dovrò dar
conto più di una volta per il
suo carattere invasivo e
soprattutto per il suo
intrecciarsi con la mia
questione.
Cheèinvecequesta:nonil
rapporto
‘io’-‘tu’
ma
l’allargarsidelprimoaunnoi
(nostro, prima plur, ci/ne):
che a parte significati più
ristretti (come nella Sorella
Paolina 7: ‘noi due’) sta per
l’umanità intera e perciò va
visto assieme a formule
ricorrenti in Leopardi quali
«mortale, -i», «vita mortale»,
«mortale stato», «l’uom(o)»,
«umana prole», «umana
famiglia», «umane genti» e
altre.
Chelaquestioneinoggetto
sia rilevante lo mostra subito
e fin dal titolo il monologo
truccato da dialogo di A se
stesso (e non *Al suo cuore)
[3],
la lirica più personale e
nudamente esistenziale che
Leopardi abbia scritto. Il
dialogo fra l’io e il cuore –
del resto comune nella
tradizione–dopoaverceduto
subito all’a noi inclusivo e
reciproco, o ‘duale’ del v. 4,
che in realtà coincide
semanticamente con un *‘a
me’ (in quanto titolare di
affetti e passioni), prosegue
come si sa con una serie di
ingiunzioni al cuore: «Posa»
ecc.; ma soprattutto include,
dopounaseriedislarghi(«La
terra», «la vita»), e a
precedere
successive
generalizzazioni, «la natura»,
«il brutto / Poter», «infinita»
eil«tutto»,ultimaparolaein
rima ma altro è questo
passaggio, 12-13: «Al gener
nostroilfato/Nondonòche
il morire» (l’espressione, con
lo stesso valore generale, era
già in Alla Primavera 78 e
tornerà in Palinodia 95,
Ginestra 40), che si correla
soprattuttoa«comundanno».
Dunque l’io poetico si
esprime
dapprima
nel
rapportoconun‘tu’fittizioe
metonimico di sé medesimo
(il che mostra come sempre
che urgenza avevano in
Leopardi
dialogo
e
allocuzione; ma qui direi
anche la pietà per se stesso):
per
slittare
poi
improvvisamente, nello stile
insieme
lapidario
e
aggrovigliato del breve
Canto, come esemplare
dell’umanità intera di cui si
sente, anche, portavoce[4].
Diviene per così dire un io
anche corale in una poesia
che non potrebbe essere più
monodica.
Siaconsentitooraunpasso
indietro ai due testi più
antichi dei Canti: il
Frammento XXXIX, breve
tratto
della
«Cantica»
Appressamento della morte
del1816eIlprimoamoredel
’17. Nel Frammento l’io è
assentesenonimplicitamente
nell’esclamazione
«Come
fuggiste, o belle ore serene»
25; il «tu» di 22 è del tutto
generico. Il breve testo è una
descrizioneatinteforti,incui
domina «Ella»[5]. (Invece il
Frammento precedente, tratto
da una vecchia elegia per
Gertrude Cassi, comincia
senz’altro con «Io qui
vagando…» e prosegue con
unasecondapersonacheperò
è il «turbine», non la donna
che parte.) Il ‘noi’ è assente
in entrambi. Invece nell’altra
ex elegia per la Cassi, Il
primo
amore,
domina
assoluto l’io, dialogante col
proprio «cuore» («col mio
cuore / In un perenne
ragionare sepolto» dicono i
versi più stringenti delle
terzine), ma verso la fine
compare, e in rima, l’arcaico
nui, «Deh quanto, in verità,
vani siam nui!», e il cuore
agiscecomeegli89,mentreil
cidi92valecertamente‘ioe
il cuore’. È una situazione
ancoraconfusa.
E ora uno dei capolavori
deiCanti,Ilpasserosolitario,
in cui la prima plurale
pronominale e i suoi satelliti
sono completamente assenti.
Forsecontaqualcosaancheil
fatto che è un testo in cui il
dialogo ‘io’-‘tu’ è non solo
profondamente pervasivo ma
vario e complicato: perché il
confronto con l’«augellin»
dapprima riesce a un
proclamadiidentitàoalmeno
affinità («Oimè, quanto
somiglia / Al tuo costume il
mio!»), ma quando viene
ripreso,quasiacornice,nella
terza e ultima lassa, è per
dichiarare – come poi il
pastore con la greggia – la
diversità
dell’io
umano
rispetto all’animale: «Tu,
solingo augellin…» – «A
me», = ‘a me invece’. E
inoltre la lassa centrale
contiene un altro confronto
disgiuntivo, quello tra la
gioventù «vestita a festa» e
l’«Io solitario» (= ancora ‘io
invece’).Naturalmentenonfa
eccezione il restrittivo «al
nostroborgo»,esevogliamo
al transito fra i due dialoghi
l’amore
è
introdotto
allocutivamente.
Ma
insomma,fralegrandipoesie
deiCanti,il Passeroèquella
incuil’universalizzazionedel
proprio stato esistenziale è
piùtenutasottotraccia.
Ora si proceda con ordine.
Ma prima diamo un’occhiata
alle due canzoni del ’19, Per
unadonnainferma…eNella
morte di una donna fatta
trucidare…chenonostantela
datasonostateescluse,eben
aragione,daiCanti,anzitutto
per il loro soggetto
crudamente contemporaneo.
E
l’‘io’,
in
continua
allocuzione e continuamente
sottolineatocometale,findal
primoverso(«Iosoben…»e
«Mentre i destini io
piango…») e nella seconda
come titolare di un «canto»
94 ss., non è un io
esistenziale ma un io
testimone e vindice, al limite
un io giornalista. Ne deriva
che le estensioni al ‘noi’ o
suoi equivalenti sono in tutto
una per canzone (I, 79:
«Poveri
noi
mortali»,
coordinatoal«Miserome»di
55,eII,1:«nostridanni»,poi
nulla).
Da All’Italia in poi, lungo
tutto le Canzoni s’instaura
invece un io sofferente ma
eroico,
eventualmente
trasposto anche in sosia o
alter ego, e ciò, con
l’eccezione che si vedrà,
consente e quasi impone
l’estensione
dei
propri
sentimenti e idee all’umanità
intera. Non però ancora nella
prima Canzone, All’Italia
appunto, dove la presenza
giudicatrice, visionaria e
utopica di quell’io («Io
veggio, o parmi» 45) è
marcatacomenonpiùaltrove
(cfr. soprattutto, entro un
chiasmoperfetto,«io solo» –
«sol io» 37-38: notare
l’aggettivo);nélecosevanno
diversamente quando il
locutorepassalaparolaalsuo
‘doppio’, l’antico Simonide.
Ma già la contemporanea e
‘sorella’,Soprailmonumento
di Dante, è altra cosa. Il
discorso, rivolto dapprincipio
ai «pietosi» e «cari» solleciti
del monumento dantesco da
erigersi in Firenze, tiene
dapprima l’io in minore
(«Quali a voi note invio…?»
51),mapoiviinsistecomein
«Ecco voglioso anch’io»,
smorzato da «anche», ma
all’iniziodistrofa,69,«ioso
ben», 78 ecc.; ma soprattutto
dà luogo più avanti a tutta
unaseriediprimepluraliche
oscilla fra la denotazione di
‘noi italiani’ e quella di ’noi
uomini’:
«che
non
soffrimmo?» 117; «Perché
venimmo a sì perversi
tempi?»120,incipitdistrofa;
«Perché il nascer ne desti o
perchéprima/Nonnedestiil
morire, / Acerbo fato?» 121123; «Pugnò, cadde gran
parte anche di noi» in
combinatio, 134; l’eco «In
eterno perimmo?» 188 e
subito dopo «e il nostro
scorno / Non ha verun
confine?» 188-189, il tutto
sostenuto, come si vede
dall’esclusività
delle
interrogative,
da
un’impostazione fortemente
‘retorica’.
Siamo comunque sulla
strada dell’Angelo Mai, dove
le prime plurali hanno senza
dubbio misure più larghe e
universali (anche se l’occhio
è pur sempre puntato
sull’Italia e la sua storia
eccellente):«inostripadri»3,
«Egraveèilnostrodisperato
obblio» 18, ne 19, «anco si
cura / Di noi qualche
immortale» 22, «veggiam»
26, «Di noi serbate, o
gloriosi, ancora / Qualche
speranza?Intutto/Nonsiam
periti?[comenelMonumento
diDante]»31-33,inapertura
di strofa, e martellando: «E
pur men grava e morde / Il
mal che n’addolora / Del
tediochen’affoga… Anoile
fasce/Cinseilfastidio;anoi,
presso la culla / Immoto
siede,esulatomba,ilnulla»,
in fine strofa, 74-75, precoce
formulazione di grandi temi
nichilistici dello scrittore,
«Nostri sogni leggiadri ove
son giti…», a inizio strofa,
91, altro squisito motivo
leopardiano ecc. (tra 121 e
136 si rispondono due noi
all’attacco di due strofe
successive). Ed è anche da
osservare – coincidenza non
priva di senso – che gli io
espliciti sono rari, da un lato
perché la scena è dominata
daigrandiprotagonistiitalici,
ma dall’altro certo perché
l’io, in simile pluralità, è
comeassorbitoneisentimenti
e nelle idee di una comunità
aperta o dell’umanità tutta.
Rispettoaquestigrandianche
sefaticosiaffreschilaSorella
Paolina è un caso diverso,
perché l’aspirazione eroica è
delegata ottativamente alla
titolare (a parte «a noi» 7
anche «quest’ermo lido» si
riferiscesoltantoadestinatore
e destinataria): la missione
della sorella a sua volta è
autenticata ‘storicamente’ da
un suo duplice doppio, che
qui dunque non è dell’io, la
«sposa giovanetta» spartana
che spandeva le «negre
chiome» (come quelle di
Silvia) sul corpo del marito
ucciso, e la romana Virginia,
cuicomeaPaolinasirivolge
un’apostrofechesiritorcepoi
sull’io poetante, 76, inizio
strofa, e 85 ss. Che l’oggi
deva
prender
norma
dall’antico è dunque detto
con un’evidenza mai così
netta,proprioperchéobliqua.
E tuttavia, appunto per
questo, i segnali del ‘noi’
abbondano: «umane cose»
20, «chi nasce» 21, «Virtù
viva sprezziam, lodiamo
estinta» in fine strofa 30,
«nostra etate» 38, «nostra
natura» 42; ma non più in
seguito,forseperchél’Antico
appare a Leopardi per sua
stessa natura l’universale-
modello. E nel Vincitore nel
pallone, che in parte
condivide lo schema della
Canzone precedente («Dal
barbarico
sangue
in
Maratona…» 14 ss.), e dove
l’urgenza dell’appello è
sottolineatanellaprimastrofa
dal
grandinare
delle
allocuzioni (le ultime tre in
anafora), ecco «de’ mortali»
33, «A noi» 34, «Nostravita
a che val…» 60. Però l’io
esplicito è del tutto assente,
c’è da credere a norma di
pindarismo.
Nelle successive – che
tratto di seguito – Bruto
minore e Ultimo canto di
Saffo l’io è evidentemente
quello dei due ‘doppi’ storici
diLeopardi,delsuosconfitto
desiderio di gloria e di
suicidio agonistico, e della
sua scarsa venustà (nella
secondainteramente,cioècon
laparoladiSaffocheentrain
medias res, senza la prima
strofa narrativa, piedistallo o
lunga didascalia teatrale, che
situailmonologodiBruto)[6].
NelBruto è interessante che,
a parte conglomerati come
«gl’infermi schiavi di morte»
31-32(aseguireil«destino»),
il‘noi’esplicitoemerga,dopo
l’isolato «travagli nostri» 48,
solo tardi, nella penultima
strofa: «oh gener vano!
abbietta parte / Siam delle
cose… nostra sciagura» 101
ss., e addirittura che l’io
s’affacci apertamente solo
nell’ultima: «Non io ecc.» –
«A me dintorno…» 107 ss.
(inizio strofa) e 116 ss.
Quella di Bruto è una
parabola individuale ma è
anche una grande diagnosi
che si vuole oggettiva, e che
perciò si dichiara come
concepimento
individuale
solo
alla
fine
(né
dimentichiamocomunqueche
al Canto appartengono le più
coinvolgenti
forme
di
allocuzione che Leopardi fin
quiabbiainventato:«Etu…»,
inizio strofa; «tu», «Tu», «e
tu»76ss.).Nelcanto-lamento
tutto individuale della Saffo
colpiscono le oggettivazioni
di se stessa che la
protagonista propone, «Alla
misera Saffo» 22, «il prode
ingegno» in chiusa 70, cui
certamente va associata la
vitalizzazione fremente della
natura,tantopiùbellaquanto
meno Saffo, sua creatura, lo
è.Trai‘noi’occorrecomesi
sa distinguere: tra i
maiestatici – che vanno
assieme a quanto appena
detto – specie nella prima
strofa e nel solenne,
virgiliano «Morremo» che
avvia l’ultima, i «duali»
(Straccali, le due anime della
poetessa) e gli effettivamente
umani di «nostro dolor» 47,
«Negletta prole / Nascemmo
alpianto»47-48,«sefelicein
terra/Vissenatomortal»6162, «nostra età» 66[7]. E
questomentreil‘tu’,comeha
osservato Felici[8], passa
inversamente dal generale al
particolare:
le
«amene
sembianze» naturali, poi la
natura stessa, infine, Faone,
nonnominato.
Alla
Primavera
e
i
Patriarchi richiedevano una
marcata
oggettività,
a
garantire fra l’altro il senso
dell’incolmabile distanza fra
la modernità – e dunque l’io
stesso – e l’Antico. Nella
prima si ha perciò all’inizio
«questo[‘ilmio’]gelidocor»
18, ma per trovare la prima
persona plurale occorre
andare nuovamente all’inizio
della strofa finale, e in
contrasto: «Ma non cognato
al nostro / Il gener tuo» 7778. Nei Patriarchi, dopo due
strofe di mossa descrizione
narrativa, la terza ospita un
dialogofraun‘tu’el’io,7173, 77, ma nella seguente
spicca il ‘noi’ o suoi
equivalenti:
«il
sangue
nostro» 90, «nostra caduca
età»92,«l’umanastirpe»99,
«Nostra placida nave» 103,
«il nostro / Scellerato
ardimento» 110-111. Il
confronto, perdente per la
seconda, è appunto tra due
‘stirpi’.
Lasciando da parte per ora
Alla sua Donna, siamo al
rovescio, per così dire, delle
Canzoni, cioè agli Idilli
nell’accezione
forte
e
antisettecentesca in cui
Leopardi li intendeva, cioè
come relazioni dei processi
psicologici ed esistenziali
dell’io. Qui l’io è solo,
contemplativamente
ma
ancora agonisticamente, di
fronte alla natura e all’Altro:
la siepe non impedisce anzi
stimola la creazione mentale
dell’infinito. Negli Idilli
dunque l’io esistenziale, che
hacomeassorbitoinséquello
‘eroico’, è tutto presente a se
stessoequasiautosufficiente:
«Ionelpensiermifingo»,con
doppia marcatura e quindi
nell’evocazione del passato
storico «il pensier mio»; «O
donna mia», «m’affaccio»;
«io mi rammento», «l’etate /
Del mio dolore»; «Talor
m’assido in solitaria parte»,
attacco di lassa, «Ond’io
quasi me stesso e il mondo
obblio», «Me spesso rivedrai
solingo e muto» ecc. Nella
Sera il dialogo io-tu è
nettamente
antagonistico,
come segnalano l’anafora su
«Tudormi»7-11eloscontro
immediato con l’io nel
secondo caso: «Tu dormi:
io…»(‘ioinvece’);el’azione
crudele della Natura è tutta
concentratasulsé:«ioquesto
ciel… a salutar m’affaccio, /
E
l’antica
Natura
onnipossente / Che mi fece
all’affanno» 11 ss.[9]; ed è
quella
stessa
Natura,
personificata, a negare al
soggetto ogni speranza, 14-
16. Segnato dalla prima
persona tutta evidente nei
suoiattièancheilfinaledella
lirica, che attinge al ricordo:
«io doloroso in veglia… Già
similmente mi stringeva il
core».El’unico‘noi’35non
conta, perché certo Leopardi
nonpotevacertodire*«imiei
avifamosi».
DiAllaluna,lapiùnitidae
quasi
oggettiva
nella
soggettività degli Idilli, basta
direchenelbrevedialogocon
l’astro, su 16 versi si
rincorrono 2 io (il primo nel
primo verso), 2 mi e 3 mioe
altre forme[10]. Nella lirica
purissima il dialogo, ancor
più che con la diletta luna, è
con se stesso («… io mi
rammento» ecc.) e con la
propriaesistenza.Pochissimo
da commentare quanto al
Sogno,
dominato
dal
colloquiooniricoio-tuedove
leprimeplurali(«noi»13,se
non sia maiestatico, e
«Nascemmo»,«vivernostro»,
«nostri affanni» 55 ss.)
riguardanoidueinquestione
e non altri. Più intricato il
discorso per la Vitasolitaria,
che come si sa ha caratteri
specialirispettoaglialtriidilli
nonostante il parallelismo
dellaprimalassaconlaprima
del Sogno[11]: ma non tanto
per ciò che qui interessa.
L’allargamento
dell’io
infelice «agl’infelici» 21 è
appena un passaggio, dovuto
fra l’altro alla chiamata in
causa di una natura dal
doppio volto (e cfr. «questa
infelice / Scena del mondo»
46-47,epoianche«Ilmisero
mortal» 52, «Questa flebil…
umana sede» 103 e poco
altro);maperilrestoregnain
sostanza l’io, dominatore
della seconda lassa e anche
titolare di forti effusioni:
«Amore, amor, assai lungi
volasti/Dalpettomio,chefu
sì caldo un giorno, / Anzi
rovente» 39-41, «Questo mio
cor di sasso» 67 (marca del
soggetto è anche «questi
occhi» 54). Ciò che è
veramentenuovosemmaièil
fattochel’antagonismoverso
la natura e la propria storia
d’infelicità s’apra nell’ultima
lassaadantagonismoversoil
peggiodellasocietàpresente,
espresso
con
accenti
pariniani,perripiegarsiinfine
inquantolanaturahaancora
di materno e accogliente:
«Infesto alle malvage menti
[il lume della luna], / A me
sempre benigno il tuo
cospetto / Sarà…» 91-93. Ed
è
in
questa
lassa,
significativamente,
che
affiora la più parte delle
formule generalizzanti sopra
citate.C’èdunqueunadoppia
spiegazione dei passaggi – e
siapurpuntinistici–dall’ioa
(tutti) gli altri: l’inchiesta
poetica sul duplice e opposto
carattere della natura e la
nuovaaperturaallasocialitàe
al‘borgo’.
Anche dal nostro, pur
peculiare, angolo visuale gli
Idillidichiaranonettamentela
loro differenza dalle Canzoni
e,comesivedràsubito,anche
damoltodiciòcheseguenei
Canti.Insomma,mentrenelle
Canzoni l’individualità è
perseguita proiettandola in
figure e situazioni storiche o
mitiche fraterne o anche
remote(econfrontandolacon
queste ultime), negli Idilli
l’universalità è perseguita e
raggiunta
attraverso
la
massima individuazione (cui
si rapportano, nell’Infinito e
nella Sera, le stesse
profondità
storiche):
quell’individuazione
che
secondo l’estetica di Hegel e
di altri è il contrassegno più
eloquente della poesia lirica.
Del resto il nuovo stile
idillico influisce più o meno
vistosamente nelle Canzoni
più recenti: palpabilmente
nell’Ultimo canto di Saffo,
almeno per la cascata di
scioltiprimadellacombinatio
finale;eanchenellaCanzone
piùtardaesingolare,Allasua
Donna,
che
nella
strutturazione dei Canti
Leopardi ha posto, anche in
grazia della sua data, come
spartiacquefraleduestagioni
della
propria
poesia,
staccandola dal corpo delle
Canzoni. E in realtà a
nessuno
sfuggirà,
in
particolare, il tono ‘idillico’
della terza strofa. Dunque
continua
esposizione
dell’‘io’, nel dialogo con la
«cara beltà», anche in forme
risentite e soprattutto, come
atteso, nella terza strofa («E
ben chiaro vegg’io» 28, «io
rimembroepiagno/Iperduti
desiri e la perduta / Speme
de’giornimiei»38-40,«dite
pensando / A palpitar mi
sveglio»40-41,«Epotess’io/
Nelsecoltetroeinquestoaer
nefando…» 41-42: gli ultimi
tre brani sono di seguito,
concentrato di reazioni
individuali). Ma l’inno alla
«donna che non si trova» e
l’omaggiocheleèindirizzato
sono insieme un’esperienza
personale
e
una
utopisticamente universale
(«Or leve intra la gente /
Anima voli?» 9-10, «agli
avvenir» 11 ecc.), per cui
ecco «a noi» contrapposto
«agliavvenir»ibidem,«nostri
affanni»31(eanche«Diqua
dove son gli anni infausti e
brevi» 54), mentre nel verso
finale
l’individuo-poeta
s’avvolge
madrigalescamente, quasi a
celarsi,nellosquisito«Questo
d’ignotoamanteinnoricevi».
Dell’isolato
Pepoli,
occasionale e didascalico,
non occorre dir molto. Nella
prima lassa l’allocuzione
iniziale, che pur tenta
strappare l’occasione verso il
sé,ivarinoidi39,41,44,47,
nostro44(concui«imortali»
27, «l’umana prole» 53)
sovrastano il solo ‘io’ debole
(metalinguistico e prolettico)
di48:«iodico».Nelseguito,
sempre costellato di noi ed
equivalenti («Umana sorte»
79, «l’umana stirpe» 144),
l’io esplicito compare, e ora
conpiùforzapersonalizzante,
dapprima
nella
serie
paraidillica di 121 ss.
(accompagnato da «questo
petto» 129), poi nella chiusa
della penultima lassa, 148,
infine meno accusatamente
nella brevissima ultima. Si
direbbe che il poemetto, più
cheunaconversazionefraun
io e un tu, sia un dialogo fra
unioeunnoi.
E i Canti pisanorecanatesi? Va naturalmente
tenuto
a
parte
il
Risorgimento,chedatoilsuo
carattere di annuncio o
manifesto esistenziale e
insieme di poetica, che il
metro
settecentesco
intelligentemente
alleggerisce,
è
tutto
concentrato
sullo
stato
presente e sui ricordi dell’io:
«Credei…», «L’amor mi
venne meno…», «Piansi…»,
«in me», «Giacqui: insensato
attonito / Non dimandai
conforto…» e via dicendo.
Sicchésihaunsolonoi,non
particolarmentegrave,80,eil
ci inclusivo 8 allude a
un’esperienza non tanto
generalmente
quanto
genericamente umana (e cfr.
infatti 7: «qualunque cosa»).
E in A Silvia, nel suo
dialogismo
tenero
e
lancinante, mai così fitto[12],
per la prima volta i morfemi
di prima plurale – «ci
apparia» 30, «ragionammo
insieme» 58 – non indicano
affatto la comunanza di
esperienze
e
«affetti»
personali con l’umanità tutta,
masoloconun’altrapersona,
Silvia,oSilvia-speranza,ola
speranza attraverso Silvia. E
un’estensione si verifica, non
esplicita,
complice
l’allocuzione‘secondaria’alla
natura,nonpiùchein«ifigli
tuoi» 39 e in «umane genti»
59.
Una situazione analoga si
dà per molti versi nelle
successive
Ricordanze,
scontata la ben più ampia
affabulazione,
a
getto
continuo,eilfattostessoche
Leopardi ha l’accortezza di
mettere in versi il ricordo di
Nerina in modo totalmente
diverso che con la ‘sorella’
Silvia: terminale di una
catena memoriale ininterrotta
(lasuaevocazionetiendietro
a quella alle «Vaghe stelle
dell’Orsa» 1, al «caro tempo
giovanil»44ss.,allesperanze
e «ameni inganni», ancora in
incipitdilassa,78);elasciata
nella sua pura evidenza
creaturale, anzi vista un po’
come dal di fuori, senza
significati o aloni simbolici.
L’elegia delle Ricordanze,
nell’alternarsi di momenti
rammemorativi-estatici
e
raccontativi,conoscedunque,
accanto
a
una
personalizzazione spinta e
amara («io non credea»,
incipit assoluto, «Questa mia
vita dolorosa e nuda» 26
ecc.), il ‘noi’ implicito del
«rapito mortal» e del
«mortale ignaro / Della
sventura»
nella
più
generalizzante sesta lassa,
122 e 132-133, mentre il
gioco allocutivo e dialogico
s’infittisce ovviamente nella
lassa finale di Nerina, con
una più vistosa presenza
dell’ioesplicitofindalprimo
verso, 136: «O Nerina… non
odo», in rima identica o
meglioepiforacon«nonodo»
144; e poi: «quella finestra /
Ond’eri usata favellarmi»,
variante più narrativa e
domestica di una situazione
di A Silvia ecc., fino
all’anaforasuDico160,164,
168, che insiste con
significativo metalinguismo
sulla centralità dell’io che
rammemoraeriflette.
Quanto agli altri quattro
Cantirecanatesi,sièdettodel
Passerosolitario;eilSabato,
che insieme a quello si può
considerare erede più diretto
degli Idilli, ne ripete la
mancatatransizionedall’ioal
noi (se non si vuole dar
troppo peso al «ciascun» di
42, che è un po’ come «il
nostro borgo» del Passero),
consona
all’obiettività
rappresentativa del tutto ma
anche, si direbbe, surrogata
daipersonaggichevivononel
Canto
quasi
come
protagonisti:ladonzelletta,la
vecchierella,ifanciullipiùlo
zappatore e il «legnaiuol»
godono
di
un’insolita
ampiezzadidescrizione(e,si
può osservare, uguale per
tutti: sette versi). Anche qui
l’‘io’ esplicito compare solo,
a suggello, nella breve lassa
finale, e con un singolare
sottotono fraterno («Altro
dirtinonvo’»50).
Ma le cose cambiano
radicalmente,
con
un’autentica esplosione delle
prime plurali ed equivalenti,
nei due testi recanatesi,
Quiete e Canto notturno
(ordine di composizione), in
cuiLeopardimetteinscenale
punte aguzze del proprio
pensiero, allora tutto definito
in pratica fra Zibaldone e
Operette.Decisivelaseconda
eterzalassadella Quieteche
ritorcono – in nome della
teoria del piacere a Leopardi
carissima – l’animata e
vitalissima descrizione del
borgo della prima lassa (non
dissimile,mapiù‘veloce’,da
quella del Sabato). Qui del
resto l’io si affacciava, quasi
a dire la sua partecipazione
testimoniale ai moti della
natura e delle «creature della
vita» (Saba), solo con
l’«Odo» iniziale, 2, peraltro
sfumato presto dall’«odi»
impersonale di 22. E perciò
«nostre offese» 40, «fra noi»
46,
accompagnati
da
«L’uomo» 29, «le genti» 39,
«i mortali» 45, «umana /
Prole» (in allocuzione) 45. E
ilgrandissimoCantonotturno
è pur tutto occupato dalla
figura fraterno-allegorica (o
‘doppio’) del pastore, subito
situatoinloco(«questevalli»
ecc.) e dotato di stacchi e
insorgenze che ne dicono lo
stremato
agonismo,
ad
esempio «ed io che sono?»
89,«amelavitaèmale»104,
«Ed [con carico avversativo]
io pur seggo…» 117, o il
«Me…» sempre avversativo
di133(laresaeilnichilismo
del pastore sono, occorre
sempre ricordarlo, via via in
crescita lungo il Canto). Ma
d’altrapartevv.55-56:«Sela
vita è sventura, / Perché da
noi si dura?», 64: «il patir
nostro»,
col
fitto
accompagnamento
di
espressioni quali «la vita
mortale» 38, «l’uomo» 39,
«l’umano stato» e «lo stato
mortale» 49 e 58, «Questo
viver
terreno»
63,
«l’innumerabile famiglia» 92
ecc., fino a «chi nasce» 143
in derivatio immediata con
«(il dì) natale», e sono le
ultimeparoledelCanto.
E siamo al ‘Ciclo di
Aspasia’;cosiddettopervarie
ragioni. Tra le quali: la
dispersionemetrica,contando
due canzoni libere (e la
prima,Ilpensierodominante,
di forma particolarissima,
sgranata in 14 lasse anche
breviobrevissime),unalassa
isolatadicanzoneliberaedue
sciolti diffusi, uno dei quali
fral’altro,Consalvo,arretrato
daLeopardinellasuccessione
dei Canti, fra l’ultimo idillio
e Alla sua Donna. La
presenza relativa di Aspasia
stessa, tutta e carnalmente
viva,erifiutata,soloneltesto
a lei intitolato, visibile in
controluce in A se stesso,
forse romanzata nell’Elvira
del Consalvo, presente solo
intertestualmente in Amore e
Morte grazie a un passo di
una lettera a Fanny che
risuona peraltro anche nel
Consalvo99-100[13];eforsesi
puòaggiungerel’anti-Aspasia
che
potrebbe
essere,
celatamente, la seconda
Sepolcrale[14]. Infine la
grandedifferenza,nonsolodi
forma, fra un testo e l’altro.
Perché se Aspasia e A se
stesso si implicano, Il
pensiero dominante e Amore
eMorte più che implicarsi si
intersecano, e il secondo
completa o se si vuole
‘supera’ilprimo,e Consalvo
è un unicum nei Canti,
romanzo o novella in versi
comealtridell’Etàromantica,
il cui protagonista è e non è
l’alter ego dell’io scrivente
chescorgiamoneglialtritesti
del‘Ciclo’.
Data
la
curvatura
fortemente
soggettiva
e
persino autobiografica di
queste liriche, il ‘noi’ se non
vedo male è presente, oltre
cheasorpresainAsestesso,
solo nel «noi mortali» del
Pensiero
dominante,
l’individuo più speculativo
della serie, 83 – e cfr. «vita
mortal» 91 (d’altro genere il
«noi» di 8, in rima, partenza
dal generale per scendere al
particolare, replicato in
qualche modo da «Solo un
affetto / Vive tra noi» più
«uman core» 77-79). Nel
testo, giusta l’assunto del
«dominante»
del
titolo
(dissociato al v. 2 in
«Dominator di mia profonda
mente»), l’obiettivo è tutto
sull’io poetante, modellato e
occupato,
sia
pure
attivamente, da un pensiero
d’amore
concepito
metafisicamente, con un
interessante
incremento,
come in altri casi, nel finale,
disteso nella quasi epifora
sovrapposta alla rima di 127
ss.: «… io vivo… io
respiro… io miro…». Le
allusioniall’umanitàincapace
difarsidominaredalpensiero
dell’amore sono quindi
aspramente negative: oltre al
«secco ed aspro / Mondano
conversar» 34-35 cfr. le
formule esplicite di «mondo
sciocco» 38, «mondo inetto»
48, «umana viltà» 58 ecc., o
ancor più chiaramente ad
esempio «A scherno / Ho gli
umani giudizi; e il vario
volgo / A’ bei pensieri
infesto, / E degno tuo
disprezzator,
calpesto».
AmoreeMorte, uno dei certi
capolavori dei Canti, è il più
mossoevariegatodellaserie.
Dopo«ilmortale»36–ecfr.
«forzamortale»77(restrittivo
è«l’affannosoamante»50),e
soprattutto
«l’umana
famiglia», più comprensivo
chemai,92–l’ioesplicitosi
affaccia solo nella lassa
finale, sempre in dialogo col
caratteristicorilancio«Etu…
invoco» 96-97 ecc., s’alza
orgoglioso
nel
solitario
agonismo di «Me…», per
guardarsi infine teneramente
nel
mirabile
distico
conclusivo, «Quel dì ch’io
pieghiaddormentatoilvolto/
Nel tuo virgineo seno», con
settenario smorzante, in
contrattempo,comesoloinA
Silvia. Occorre considerare
peròcheilCantoègremitodi
altri ‘personaggi’ che sono
come squisite stilizzazioni
delle vive creature dei Canti
pisano-recanatesi:«lanegletta
plebe» 62, «l’uom della
villa…» 63, «la donzella
timidetta e schiva» 65
(donzella+timidetta
=
donzelletta, mentre schivo è
anche attributo spiccante di
Silvia, e con questo valore
solo di lei), «il villanello
ignaro» e ancora «la tenera
donzella» («tenerella» era
Silvia) 83-84, e subito, con
ulteriore stilizzazione e a un
livello
più
alto,
nel
trascinante crescendo, «i
fervidi,i felici, / Gliamorosi
ingegni» 88-89 (oltre alla
doppia anafora, agisce la
stringenteallitterazione).
Per Consalvo – e
ovviamente – non occorre
ricordare più che «la natura
terrena» 113 e il «mortal»
123. E veniamo ad Aspasia
(nominata nel titolo e poi
altre due volte, anche qui
comeunasortadirovesciodi
A Silvia), col suo risentito
agonismo interindividuale.
Ha forse qualche interesse,
anche per il relais col
Pensiero dominante, che
nelle prime tre lasse ai
morfemi di prima persona si
intrecci, quasi sovrastandoli,
la ‘metonimia’ «il mio
pensier(o)»/«ilpensiermio»
1, 28, 33, 62 – e nella prima
come nella terza lassa in
contatto immediato con
«Aspasia»
(s’aggiungano
«l’alma»7e«l’indomitomio
cor» 92). E vanno guardate
con
attenzione
alcune
circostanze: fra 28 e 33 il
ritorno dell’espressione sta a
cavallo
di
due
lasse,
contribuendo a legarle in
continuità;a1,cioènelverso
d’apertura,il«pensiero»dello
scrivente
s’oppone
al
«sembiante» e alla «beltà»
delladonnaenonsoloalsuo
nome;nellasecondalassa«il
miopensier(o)ȏugualmente
in incipit, e quasi così anche
nellaterza(inentrambenella
forma «al mio pensiero»).
L’ioesplicitosiscatenaanche
inAspasianelfinale,apartire
dalla metà della terza lassa,
con formulazioni vigorose e
amare come il cozzo
immediato «io te», rincarato
da «ma ecc.» 78, lo stremato
«me di me privo» 96, e
finalmente la chiusa che
ricalca un po’ quella della
Vitasolitaria,maquasifosse
pronunciata da un Bruto:
«Qui neghittoso immobile
giacendo,/Ilmarlaterraeil
ciel miro e sorrido» (altra
cosasono«ilpiagatomortal»
e «il rapito amante» di 38 e
42). Tornando al punto
precedente, dunque Aspasia
si caratterizza anche per il
fattochel’espressionedell’io
attraverso il «pensiero» e il
cuore da una parte guarda
come accennato al Pensiero
dominante, dall’altra si
espande in A se stesso (o ne
deriva).
Le due Sepolcrali formano
ilditticopiùstrettodeiCanti.
Eppure, per varie ragioni che
non è il caso di riassumere
qui, si distinguono piuttosto
nettamente l’una dall’altra (a
partire dal fatto che nella
prima la donna s’avvia alla
morte, nella seconda è morta
da tempo). Come sempre, in
Leopardi l’individuazionedel
Canto singolo fa aggio sugli
accoppiamenti, che quindi
non sono variazioni di uno
stesso tema, ma piuttosto
elaborazioni dello stesso da
un diverso punto di vista,
integrazioni o addirittura
‘superamenti’.Ilpiùdiffusoe
raziocinante Basso rilievo
abbondadimorfemidiprima
plurale:«portiam»e«i nostri
danni» 68-69, «dimostrarci»
in chiusa di lassa 74, il
rafforzato tutti noi 77, «in
noi» 105, nostro… nostro
109, verso finale; e insieme
«il mondo» 31, «animal
famiglia»45,«questasensibil
prole»57,«l’umancorso»64,
«al mortale il mortal» 107. E
anche
in
questo
testo
prendono posto, stilizzati
nellalorocategoria,personae
concrete, nei bei versi 98 ss.
È veramente un dosaggio
molto notevole. Nello stesso
tempo l’io esplicito si
dichiara due volte in forme
decise:«iostessoinme»14e
«com’io per fermo estimo»
82. Nel più conciso Sopra il
ritratto registriamo «esser
nostro» 23, con «mortale
stato» 31, «lo spirto umano»
44, «Natura umana» 50; ma
l’io in quanto esplicitamente
tale è assente. Questo assetto
sipotràanchespiegareconla
situazione per cui, come del
resto
nella
precedente,
l’interlocutorefondamentaleè
la
«natura,
illaudabil
maraviglia» (Basso rilievo
47), che qui però ha
definitivamente compiuto la
sua opera distruttiva; e forse
anche col fatto che la
controparte femminile non è
una creatura viva ma un
artefatto,siapureispiratoredi
immaginiumaneviventi.
NellaPalinodia,datoilsuo
carattere di poemetto a un
interlocutore e di lode
antifrastica (fin dalla prima
parola,«Errai»)dellasuperba
civiltà presente, l’‘io’ e il
‘noi’ si bilanciano. Basti
evidenziare per il secondo
«gener nostro» 95 e anche
«secol nostro» 106, «saper
nostro» 226, nonché la
formula,consonaall’indirizzo
a un interlocutore, «il mio
secolo e tuo» 212; per il
primo i vv. 20 ss.:
«Riconobbievidi…evidi…
conobbi…vidi»,sicuramente
variazione
insistita
dei
danteschi «vidi e conobbi»,
«e vidimi e conobbemi», Inf.
III 38 e Purg. XI 76, e il
metalinguistico «mentre io
scrivo» in apertura di lassa,
135. Più importano le due
grandilirichefinalideiCanti,
Il tramonto della luna e La
ginestra, e il loro confronto.
Nel Tramonto, dominato
ciclicamente dalle due grandi
descrizioni postidilliche della
prima e quarta lassa – capaci
così di puntualizzarsi nel
bellissimo
sgranamento
polisindetico di «E rami e
siepi e collinette e ville» 8
come di rinnovarsi nella
potente, cosmica ecfrasi del
sorgere del sole, 58 ss. –
compare appena, per il ‘noi’,
«Nostra misera sorte» 35
accompagnato da «l’età
mortale» 21, da «la mortal
natura» 26, da «la vita
mortal» 63 (anche da «ogni
animale» 40), e l’io non è
presente che implicitamente
nell’allocuzione
«Voi,
collinette e piagge…» 51 ss.
E si comprende, data la
compresenza e fusione nel
Canto di descrittività e
allegoria; e va pure notato al
proposito che nell’allegoria
maggiore sono inclusi due
‘personaggi’ minori a lor
modo
allegorici,
il
«carrettier»19esoprattuttoil
«confuso
viatore»
29,
entrambieredidelpasseggero
che riprende il suo cammino
alla fine della prima lassa
dellaQuiete.
Tutt’altro statuto quello
della Ginestra, nella quale
l’oggettività degli spazi
slargati,
prospettici
o
immensi e della «triste
scienza» (Adorno) è detta
continuamente da un io
insieme
eloquente
e
contemplativo, in alcuni
momenti estatico. Fa quindi
testo che tutta a carico di
quell’io
agonisticamente
sconfitto nella sua finitezza
sia la grande e quasi infinita
immersione cosmica della IV
lassa, 158 ss., inaugurata da
una
rima
interna
equiposizionale
Seggo-
Veggo, per proseguire con
appunto… miro… al pensier
mio… io premo; senza dire
cheilQuiribattutoinattacco
sia della prima che della
seconda lassa (e qui
sdoppiato
in
anafora
immediata:«Qui…equi…»)
rende
immediatamente
sincrono lo spettacolo al
soggetto, o meglio colloca
ancora una volta il soggetto
dentro lo spettacolo (e cfr.
analogamente«Ortiriveggo»
14). All’io giudicante e
sarcastico vanno attribuiti
invece almeno «Non io…»
63,«mirido»71,«Noncredo
io già» 99. È ben chiaro che
la Ginestra è non la somma
ma la dialettica (e questa
volta con un barlume di
soluzione) di due (o più)
registri.Quantoal‘noi’citerò
«il nostro stato» e «il gener
nostro»39-40,«risorgemmo»
74,«Chenatura cidiè»80,e
quindi «l’uman seme» 43,
«comun fato» 113, «prole /
Dell’uomo»
183-184,
«il
seme / Dell’uom» 231-232
ecc., e soprattutto «l’umana
compagnia»129,cuisegueil
manifestomilitante«Tutti fra
se confederati estima / Gli
uomini, e tutti abbraccia…»
nella «guerra comune». E
anche nella Ginestra la
duplice allegoria maggiore (e
ciclica)
del
vulcano
sterminatore e dell’umile
ginestra chiamata a sé in
dolcissimeapostrofi,contiene
agentimicroallegoriciqualiil
passeggero
13
(qui
precisamente come nella
Quiete),
il
«villanello
intento» 240 ss. (cfr. Bruto
minore 96 e soprattutto
Amore e Morte 82)[15], il
peregrino 276. Non solo dal
nostropuntodivistailgrande
poema sembra sviluppare in
contemporanea tutte le
possibilità del discorso
poetico.
All’ingrosso, come s’è
visto, le transizioni o
compresenze fra ‘io’ e ‘noi’
appartengono soprattutto a
due fasi e modi della poesia
dei Canti: le Canzoni e una
parte notevole dei Canti
napoletani,conesclusionedel
‘noi’ quasi totale, invece,
negli Idilli e per ragioni
opposte in gran parte del
‘Ciclo di Aspasia’. Anche da
questoristrettoangolovisuale
si conferma dunque come
orientativa la tradizionale
distinzione in cinque zone
dellapoesiadeiCanti,macol
correttivo, almeno, che la
grande stagione dei Canti
pisano-recanatesi, mentre per
certi
aspetti
continua
notoriamente gli Idilli, per
altrisiprotende,specieconla
Quiete e ancor più col Canto
notturno, verso l’ultimo
Leopardi.
La
presenza
massiccia del ‘noi’ nelle
Canzoni e negli ultimi Canti
appare significativa anzitutto
per questo motivo: che
proprio là dove agisce più
intensamente l’io agonistico
di Leopardi là a quell’io si
affianca (o lo contiene) un
‘noi’,cioèl’uomoingenerale
colsuodestinotragico;cheè
tantopocoastratto,fral’altro,
quantosonovarieneiCantile
espressioni sue ‘sinonimiche’
che abbiamo passato in
rassegna, fino all’«umana
compagnia»dellaGinestra.E
parlare unicamente di io
agonistico è anche riduttivo:
perché a partire da un centro
chepuòesserecollocatonegli
ultimi Canti recanatesi,
quell’io agonistico è nello
stesso
tempo
un
io
sapienziale, della sapienza
diagnostica e nichilistica,
conscia
dell’universale
malvagità della natura, che
emerge
a
tutte
lettere
soprattutto in due Operette
del ’24, il Dialogo della
Natura e di un Islandese e il
Cantico del gallo silvestre.Il
cantore del proprio io eroico
o idillico o esistenziale è
divenuto anche il filosofopoetadell’infelicecondizione
umana, a cui importa, per
usare un passo dei Diari di
Kafka (25 settembre 1917),
«sollevareilmondonelpuro,
nelvero,nell’immutabile».
In queste condizioni il
‘noi’ ma ancor più l’‘io’
tendono a esporsi in forme
più marcate e/o ripetute, sia
dal punto di vista elocutivo
che posizionale: quante volte
in particolare l’io, assente o
raronellaparteprecedentedi
un Canto, assume, e anche
con insistenza, posizione nel
finale dello stesso, avocando
eloquentementealséaffettie
pensieri espressi in forma
menopersonalenellestanzeo
lasse anteriori. È certo anche
un modo per esprimere con
forza la natura pienamente
lirica
di
quei
testi,
disegnandola, oltre che come
complesso, come sviluppo e
punto d’arrivo. In questo
Leopardiriaffermailcarattere
sempre
dinamico
e
progressivodellasuascrittura
(si prenda, serrato ma
eloquentissimo in questo
senso, l’Infinito). E se è ben
vero, come ha visto
soprattutto Blasucci, che
Leopardi dispone così spesso
i propri testi per coppie
similari o dittici, non è men
vero che anche il nostro
peculiare punto di vista
conferma la sua fortissima
tendenzaadifferenziarlinello
stesso tempo più o meno
fortemente in nome della
superiore istanza, alla quale
s’è già accennato, a
caratterizzarecomeindividui
unici tutti e sempre i singoli
Canti. Si veda più sopra la
diversitàfraAll’ItaliaeSopra
il monumento di Dante, e
soprattutto fra le due
Sepolcrali e fra il Tramonto
della luna e la Ginestra. È
un’altra
forma
di
quell’individuazione che è
necessariaalgrandelirico.
Più in generale possiamo
dire che nel complesso dei
Canti quanto alla presenza e
al ruolo delle persone
convivono, s’intrecciano e si
sommano due paradigmi,
quello io/tu, esplicitamente
dialogico, e quello io/noi,
apparentementenondialogico
ma tale anch’esso, a me
sembra, a un livello più
profondodellasignificazione.
Naturalmente il primo è più
diffuso e più ramificato, ed è
anche in grado di rovesciarsi
quanto alla funzione del
dialogante:altro‘tu’èlaluna
diprima(peres.Allaluna)e
invece nel Canto notturno,
dove l’astro non è più
prossimo e sororale (o
materno) ma remoto e muto;
altroil‘tu’dellanaturaprima
e dopo la scoperta della sua
distruttivitàsenzaeccezionie
senza limiti; altro ancora il
‘tu’ di Silvia e quello di
Aspasia ecc. Per non dire di
quandoil‘tu’è,inprofondità,
uno specchio dell’io: perché
per Leopardi si può invertire
la
celebre
formula
rimbaldianaedire:‘unaltroè
io’. Quanto all’altro schema,
comes’èvistotendeadessere
assente, con rare eccezioni,
laddove per ragioni diverse
domina un io fortemente
esistenziale e addirittura
autobiografico; e la sua
temperatura è per così dire
costante, sovrapposto com’è
alle pur luminose circostanze
che muovono vivaci appelli,
tenere allocuzioni, e mosso
invecedallaspintanonmeno
costantenelpoeta-pensatorea
universalizzare.Mainquesta
costanza, o se vogliamo
ripetitività, sta anche la sua
importanza, come di uno
schema teoretico potenziale
che può continuamente farsi
presenteefluidoneitesti.Ora
iononvogliocertodirechela
frequente
compresenza
dell’io e di un ‘noi’ che lo
rispecchia e include vada
messa sullo stesso piano del
dichiarato solidarismo della
Ginestra (e di alcune prose
dello scrittore); ma se
qualcuno mi suggerisse che
gli
è
congenere
e
sotterraneamente lo prepara,
nonpotreicheconsentire.
[1] Cfr. da ultimo «Vaghe stelle
dell’Orsa…». L’«io» e il «tu» nella
lirica italiana, a cura di F. Bruni,
Venezia, Marsilio 2005. Naturalmente
perimieirilieviadoperoinmodolibero
imiglioricommentideiCanti,Fubinie
Bigi, G. e D. De Robertis, Contini,
GavazzenieLombardi,Muñiz.
[2]Mipermettodirimandarealmio
Sonavanlequietestanze.Sullostiledei
«Canti» di Leopardi, Bologna, Il
Mulino,2006,passim.
[3]Cfr.soprattuttoS.Carrai,inStudi
in onore di Pier Vincenzo Mengaldo,
Firenze, Sismel-Edizioni Galluzzo,
2007, pp. 879-885. Decisivo per il
diverso tono il confronto con Primo
amore 15-17: «Dimmi, tenero core, or
chespavento,/Cheangosciaeralatua
fra quel pensiero / Presso al qual t’era
noiaognicontento?».
[4] Che possano coesistere nello
stessotestoleopardianoun‘noi’dualee
uno generale mostra soprattutto
l’Ultimo canto di Saffo, cfr. infra. Di
implicazione dell’io nei destini della
specieparlaappropriatamentelaMuñiz
nelsuoottimocommento,adl.
[5] Nell’insieme dell’Appressamento
lecosevannodiversamente,maquinon
importa.
[6]
Per
l’importanza
dell’investimento in Bruto va sempre
tenuta presente la lettera a Louis de
Sinnerancoradel14maggio1932(ed.
Brioschi e Landi, num. 1749): «Mes
sentimentsenversladestinéeontétéet
sont toujours ceux que j’ai exprimés
dansBrutominore».
[7]V.L.Blasucci,Ititolidei«Canti»
e altri studi leopardiani, Napoli,
Morano,1989,pp.70-90.
[8] Cfr. L. Felici, L’Olimpo
abbandonato, Venezia, Marsilio, 2005,
pp.85ss.
[9] Qualcosa di simile in Vita
solitaria14ss.
[10]Esitengacontocheneivv.1314,aggiuntipiùtardi,ognimorfemadi
prima sing. è assente, per cui le
proporzioni
sono
anche
più
impressionanti.
[11] Cfr. Mengaldo, Sonavan le
quietestanze,cit.,pp.147-177.
[12] Notare, a parte tutti gli altri
elementi, che nome della fanciulla o
suoi sostituti pronominali sono sempre
in posizione forte, a inizio o chiusa di
lassaoinentrambeleposizioni:Silviasalivi suo anagramma 1-6, «tu solevi»
penultimo verso 13 (col verbo che
rimanda ancora fonicamente a
«Silvia»),«oSilviamia»secondov.29,
«Tu pria…» inizio di lassa 40, «teco»
penult. v. 47, «Tu, misera, cadesti»,
avvio della conclusione, «mostravi» v.
finale63.Qualcosadisimilesidicaper
l’io:lasecondalassa,l’unicadedicataa
lui interamente, si apre con «Io…» e
termina con «… io sentiva in seno»
(con l’allitterazione che compatta),
quindi mia a inizio lassa e in rima
baciata29,«Lasperanzamiadolce:agli
anni miei…» secondo v. dell’ultima
lassa.
[13] Ed. Brioschi e Landi, num.
1777: «E pure certamente l’amore e la
morte sono le sole cose belle che ha il
mondo, e le sole solissime degne di
esseredesiderate».
[14] F. Fortini, Le rose dell’abisso.
Dialoghi sui classici italiani, a cura di
D. Santarone, Torino, Bollati
Boringhieri, 2000, p. 74, così scrive,
pensando certamente agli aspetti
macabri del testo: «la seconda
[Sepolcrale] appare essere da molti
punti di vista una sorta diciamo di
ricognizione della salma di Aspasia…
[Leopardi] si accanisce a vederla nella
tomba». Più prudentemente si può
pensare alle descrizioni delle rispettive
bellezze,chenelcasodelladonnadella
Sepolcrale comprende, anzi come
primo, il «dolce sguardo» che faceva
tremare chi lo fissava, mentre dal
ritratto sensuale di Aspasia gli occhi
sono,noncasualmente,assenti.
[15] È indicativo dell’‘orecchio’ di
Leopardi che in tutti e tre i casi, gli
unicideiCanti, il tenero vezzeggiativo
occupilastessaposizionepenultimanel
verso, e sia seguito, in sinalefe, da un
aggettivo trisillabo piano iniziante con
i-:«industre»,«ignaro»,«intento».
IV
Notedisintassi
poeticaleopardiana
Un’analisi dell’uso e della
frequenza del polisindeto nella
poetica leopardiana permette
di evidenziare modificazioni e
continuità
del
gusto
compositivo di Leopardi. La
sintassi leopardiana dell’e
evidenzia la ‘grecità’ del
Leopardi
e
il
suo
convincimento
che
la
dimensione
poetica
per
eccellenzasiaquellaallalirica.
Apriamo il libro dei Canti
al suo primo (di data,
prescindendo
dall’acerbo
Primo amore, e posizione)
individuo,
la
canzone
All’Italia,
interrogandola
dapprima circa un fenomeno
microsintattico,ilpolisindeto.
I suoi 140 versi sono
attraversati da ben undici
polisindeti: uno subito in
avvio e per di più
quadrimembre,«Opatriamia,
vedolemuraegliarchi/Ele
colonne e i simulacri, e
l’erme / Torri degli avi
nostri», cui fa riscontro con
circolaritàsintattica,19-20,in
chiusa della stessa stanza,
«Le genti a vincer nata / E
nellafaustasorteenellaria»,
e cfr. poi ad esempio 41-42,
61-62 ad attacco di stanza,
81-82 idem, dove va pure
notato l’inizio della stanza
con una E che lega, non
staccarispettoallaprecedente
(come per esempio il Né di
Allaprimavera58evarialtri
casi simili nei Canti: cfr. qui
il capitolo successivo). Da
aggiungere che raramente la
figuraèmoderata(daanafora
a 28-29) o evitata (111: «La
fugaicarrieletendecadute»,
ma forse la fuga è oggetto).
Così stando le cose, non
meraviglia che, salvo errore,
nel testo si trovi un solo
esempio (34-37) dell’opposta
figura dell’asindeto – non
moderato da anafora o simili
– e che i molti polisindeti
cadano, come è normale, in
periodi brevi e scanditi, al
limite, 29, un periodo di un
solverso.Elaprimacanzone
non si segnala ancora per
quell’ampiezza del periodare
che caratterizzerà via via le
successive, anche in virtù
delle frequenti esclamative e
interrogative, fra eloquenti e
patetiche, che – come in
generale – si attestano di
preferenzainperiodibrevi.
Ma già nel contemporaneo
e fratello Monumento di
Dante la situazione sintattica
e stilistica è cambiata, ed è
più sobria quanto a
polisindeti: sei casi su 200
versi (ad esempio 141-142,
anche in presenza di una
congiunzione che apre il
periodo: «e lor fea l’aere e il
cielo/Egliuominielebelve
immensa guerra»). Viceversa
da una parte il periodare si
slarga (vedi in particolare 74
ss.) e aumentano gli stacchi
asindetici, quattro (105,
moderato dall’anafora, 107,
133-134, 179), e a 144 un
polisindeto
è
evitato:
«Semivestiti,
maceri
e
cruenti», anzi è evitato in
sede di correzione (lez.
precedente «S. e squallidi
e…»).Ulterioreriduzionenel
Mai, con quattro polisindeti
in 180 versi: si citerà
soprattutto
la
mirabile
rievocazione del mondo del
Furioso, 111 ss.: «O torri, o
celle,/Odonne,ocavalieri,/
O giardini, o palagi!», che
stringelacitazionedelprimo
versodelpoemafradueaeree
variazioni. E in questo testo
la
struttura
sintattica,
passibile di ampiezze, è
simile
a
quella
del
Monumento, gli asindeti si
contanosulladecina,eunodi
essi, 136, parte ex abrupto a
inizio di strofa, mentre la
chiusadellastrofaultimaneè
fieramente martellata. Siamo
sullastradadiquantoavverrà
nellecanzonicheseguono.
Della Sorella Paolina mi
limitoaricordarechel’unico
polisindeto cade ancora
nell’attacco della lirica (che
pure presenta fra l’altro
l’arcaicaparaipotassi,89-90),
e però quella stessa prima
strofa è saturata da un unico
periodo di 11 versi, con
quattro
subordinate
e
un’apposizione (altro periodo
esteso è a 68 ss.); del
Vincitorechenonviètraccia
di polisindeti se non quello
protratto di 42-46, che anche
qui la sintassi è mossa, come
indica subito la lunga
parenteticadeivv.5-7,sicché
lasecondastrofa,di13versi,
è occupata da due soli
periodi,consviluppirelativie
unaconsecutivaachiudere,e
la quarta da uno, affannato
dai continui rilanci delle
congiunzioni ad apertura di
frase.
Arriviamo così al Bruto
minore, prima grande prova
leopardiana
nel
genere
canzone, dopo il finale del
Mai,distileintercisoediarte
dello staccato. Un solo
polisindeto
(92,
e
moderatamente) fa eccezione
a tutti gli stacchi asindetici,
altrettante, e non meno fiere
che rotte, affermazioni
perentorie di verità nel
negativo e di estrema
opposizione morale alla
sventura:andràcitatoalmeno
quello, straordinario, di 80
ss.: «Cognati petti il vincitor
calpesta, / Fremono i poggi,
dalle somme vette / Roma
antica ruina; / Tu sì placida
sei?» con Tu subito replicato
in
anafora,
come
il
leopardianissimo e parimenti
splendido E tu che apre la
strofa ed è ripreso a distanza
al v. 86. Tutti questi staccati,
questi abrupti, convivono
nella Canzone, quasi a
contrasto, con la maestosità
del periodare (cfr. sempre 76
ss.),
dichiarata
quasi
programmaticamente dalla
strofa-proemio iniziale, dopo
la quale la parola passa al
protagonista, che è tutta
occupata da un solo periodo
di 15 versi. È una bivalenza
cheparerispondereapuntino
aciòcheneimotivieneltono
èlacompresenza/conflittodi
pathoserazionalitàdisperata,
la stessa che fa iniziare con
Dunque una delle domande
‘retoriche’,lietenomasicure,
di Bruto, 25 (le due
precedenti occorrenze nelle
Canzoni, come poi nel
Consalvo, sono interne alla
frase; iniziale, ma con tanta
minor forza, solo nel Sogno
39). Alla stessa stregua
rileviamo almeno il Ma
fortemente avversativo ad
attacco di verso, 64, anche
questoleopardismotipicogià
dalle
prime
canzoni
(All’Italia101,Monumentodi
Dante44ss.,86,AngeloMai
76: ad apertura di strofa) e
poisempreneiCanti;oppure
il martellato anaforico sulle
particellenegativenè,nonnel
finaledelCanto[1].
Basterannocenniessenziali
per il rimanente delle
Canzoni. Nessun polisindeto
nei 95 versi di Alla
Primavera e neppure nella
terminaleAllasuaDonna(55
versi), segnate invece da un
periodare largo e complesso
(cfr. della prima soprattutto
l’inizio della prima strofa e i
vv. 85-95, della seconda la
prima strofa per intero e per
intero pure la strofa finale,
quasi ad anello); mentre
l’inizio di Alla Primavera
esponeunafortissima,audace
giustapposizione: «Perché…
Ristori…
e
perché…
avvivi…; / Credano il petto
inerme / Gli augelli al
vento…». Un po’ diversa la
condizionede L’ultimo canto
diSaffo,doveitrepolisindeti
tra i 72 versi della canzone,
58 ss., 67, 70-72, sono certo
in
funzione
del
suo
nuovissimo, ardente pathos
(«E tu cui lungo / Amore
indarno,elungafede,evano
/ D’implacato desio furor mi
strinse…»), e il terzo si
spegnerallentatodallevirgole
nel silenzio della chiusa, che
è anche la morte («e il prode
ingegno/HanlatenariaDiva,
/ E l’atra notte, e la silente
riva»).Veroèperòcheconla
relativa eccezione dei vv. 813 e qualche altro luogo
simile,ilCantononconoscei
periodi lunghi e avvitati di
altre Canzoni, e può arrivare
invece a scandire così:
«Incaute voci / Spande il tuo
labbro: i destinati eventi /
Move
arcano
consiglio.
Arcano è tutto, / Fuor che il
nostro dolor.» 44 ss., con
sottolineatura
dell’ineluttabile; «Ogni più
lieto / Giorno di nostra età
primo s’invola. / Sottentra il
morbo, e la vecchiezza, e
l’ombra/Dellagelidamorte»
65ss.(appuntoinpresenzadi
polisindeto), e addirittura a
battere ad attacco di strofa
una frase monorematica
(«Morremo.» 55); il discorso
si snoda sulle anafore o
ripetizioni di noi o me, tra
pathos e orgoglio, cui fanno
contrasto quelle delle belle
entità dalle quali la forte
infelice è esclusa: sembianze
coi relativi aggettivi euforici,
bello, con beltà, felice. Nei
Patriarchi, aggregati da
Leopardi
alle
Canzoni
nonostante il diverso metro,
questo e il tema fanno capire
almeno in parte il ritorno a
un’eloquenza e discorsività
ormai in deroga allo stile più
denso ed essenziale che il
poeta
aveva
conquistato:
quindi in 117 versi sei
polisindetieunpo’deltipodi
quelli ospitati in All’Italia
(per es. 22 ss.), sia pure
controbilanciati da stacchi
asindetici (in particolare 114
ss., e nel breve il grande
effettodi«lafugace,ignuda/
Felicità»
116-117);
comunque contenuti entro
periodi medio-lunghi (vedi
particolarmente
11-21).
LascioperdereinfineIlprimo
amore,datalasuaarcaicitàdi
data e di stile (metro
compreso, unico nei Canti a
parte l’«Appendice» su cui
vengosubito).
Concludo per le Canzoni.
In All’Italia e parzialmente
nelle due successive la
frequenza dei polisindeti
appare in sostanza debitrice
di uno stilema poetico
tradizionale, come conferma,
senza uscire dai Canti, la
terza rima del Frammento
XXXIX, tratto dalla cantica
Appressamento della morte
del 1817, con ben sei
polisindetiin76versi(unosu
15 versi è anche nel
Frammento
XXXVIII,
probabilmente del ’18, e in
verità è il bellissimo «O care
nubi, o cielo, o terra, o
piante» 7, sebbene con o
vocativo, da considerarsi
forse archetipo di simili
mosse del Leopardi futuro).
Evidenteèpurechegiànelle
Canzoni questo fenomeno
retorico-sintattico di tanto è
eliminato,
o
limitato
drasticamente, di quanto in
esse crescono nel tempo fino
ai risultati vertiginosi del
Bruto l’audacia agonistica e
quasi programmatica nel
periodare e l’opposta tecnica
drammatica
asindetici.
degli
stacchi
Questo però era solo uno
deiduetavolisucuilavorava
inqueglianniLeopardipoeta,
l’altro essendo quello tutto
diversamente sagomato degli
Idilli.Equiiltrattosintattico
e stilistico che nelle Canzoni
eradiventatoprestoresiduale,
cambiadifisionomiaevalore
e diciamo di ambientazione
sintattica, e si rivela in essi
fondamentale,equasipernoi
un
segno
sicuro
di
riconoscimento. Dei cinque
testidellaserie,unosoloneè
privo,Allaluna,ecredosene
capisca il perché guardando
aiduelegamiperiodaliconE
della breve poesia, il
firmatissimo «E tu» 4 e l’«E
pur mi giova» 10, cui si
appoggianol’edeilnèdi9(e
cfr. anche 16 = il primitivo
14); per il resto la lirica
presenta
una
struttura
sintattica simile a quella
dell’affine Infinito (parlo
ancora
della
redazione
anteriore all’aggiunta tarda
dei vv. 13-14)[2], con periodi
brevi (due versi a 10-12) e
nessi subordinativi scarsi e
rapidi.
Alle
giunture
coordinativeappenaosservate
si
oppone
solo
più
risentitamente l’avversativa
Ma di 6, stacco fra la
descrizioneestaticadellaluna
sul colle e il ritorno alla
propria angoscia, però con
successivo
rientro
rammemorativo
e
contemplativo a 10 ss. («E
pur…»),esecondoloschema
‘dialettico’ su cui ha posto
giustamente l’accento la
Brose[3]. Ma per il rimanente
della serie il polisindeto
s’incarna
profondamente
nelle
intime
narrazioni
idilliche,
creandone
il
mirabile
‘legato’
e
rallentandone il corso in
funzione
meditativa
e
‘infinitiva’ (Blasucci): forse
l’espressione-simbolo ne è
l’«a poco a poco» con cui
smuore
allontanandosi
il
canto sentito nell’infanzia
dellaSeradeldìdifesta.
Ed ecco dunque l’Infinito,
primo in cronologia e, lo
sappiamobenesoprattuttoper
merito di Blasucci, fornitore
degli altri Idilli tutti (e non
soltanto). Sono, come noto,
quattro momenti logico-
sintatticiincrescendoscanditi
da tre congiunzioni (ma il
richiamo al sonetto non mi
pareopportuno):Ma,E,Così
(che vale più o meno ‘e
allora’), e che in se stessi
sono non soltanto contenuti
ma fortemente paratattici: il
primo con una sola e
semplice relativa, il secondo
con due gerundi coordinati
senzaespansioni,ilterzocon
unabrevetemporale,ilquarto
con una lieve coordinazione.
Entro questa chiara scatola
dispositiva, chiara quanto il
movimento immaginativo è
sempre
governato
dal
«pensiero», si distendono in
15 versi, e precisamente al
loro centro, i due grandi e
maestosi e frenati polisindeti
cheoccorrepursemprecitare
benché
notissimi:
«…
interminati / Spazi di là da
quella e sovrumani / Silenzi,
e profondissima quiete / Io
nel pensier mi fingo», con
questo ritardando accentuato
dalla posposizione del verbo,
e«ioquello/Infinitosilenzio
a questa voce / Vo
comparando: e mi sovvien
l’eterno,/Elemortestagioni,
e la presente / E viva, e il
suon di lei», che potremmo
classificare
come
un
polisindeto minore, alla fine,
entro uno maggiore, il tutto
per così dire annunciato
dall’inarcatura rallentante e
agrammaticale su quello in
luogodiciòcheinprosaein
lingua comune dovrebbe
essere «quell’». E la
dominante polisindetica è
accompagnata da elementi
consanguinei,l’epifrasidelv.
2 («e questa siepe») e come
s’è visto l’attacco con E del
terzo periodo, e infine quella
che avvia impulsivamente la
conclusione,
nell’ultimo
verso.
Altrettanto
memorabile
degli appena citati è il
polisindeto incipitario, che
detta il tono, della Sera:
«Dolce e chiara è la notte e
senza vento» (nato, come è
bene ricordare, da geniale
correzione
di
«Oimè,
chiara…»),cuifannoseguito,
quasicomeeco,letransizioni
coordinative di «E queta…»
2,«edilontanrivela…»3,«e
pei balconi…» 5 (poi anche
«e non ti morde… e già non
sainépensi…»8-9,l’epifrasi
di 12-13, «e forse… e
quanti…»18-19);quindi,con
altrotimbro,«equiperterra/
Mi getto, e grido, e fremo»
(da«emiravvolgo»),munito
delle consuete virgole che
rallentano
ulteriormente,
insiemeacuivedipure30ss.,
34ss.,38-39,finoall’avviodi
chiusa«edallatardanotte…»
43. E l’impianto sintattico vi
è spiccatamente semplice e
paratattico,consediciperiodi
concisi o concisissimi su 46
versi (cfr. in particolare 2324), anche quando non si
tratti di esclamative o
interrogative ‘sentimentali’,
entro
i
quali
la
subordinazione
è
estremamente rara; di segno
inverso solo l’asindeto di 11:
«Tu dormi: [in anafora] io
questo ciel…», opportuno a
marcare l’antitesi io-tu. Del
Sogno è sufficiente dire che
su 100 versi conta ben
trentatré periodi, anche brevi
o brevissimi (cfr. soprattutto
19-21, quattro periodi di un
emistichioopocopiù)dovuti
anche a battute di dialogo e
frasi elative, e che scorre per
legamenti coordinativi, fin
dall’attacco: «Era il mattino,
e per le chiuse imposte…»,
probabilmente
memore
dell’erat + cum ‘inverso’
latino, coi veri e propri
polisindeti di 58 ss., 95-97;
benché certo il carattere più
costruito e narrativo del non
eccelso carme comporti
qualche periodo ampio (a
partire dal primo), e il suo
impianto dualistico rechi con
sé due netti asindeti a 43 e
85-86.
Come per tutti gli altri
aspetti, La vita solitaria sta
piuttosto a sé fra gli Idilli[4].
Lapercentualedeiperiodiper
versi diminuisce rispetto al
Sogno – 23 su 107 –, già
l’attacco è un periodo
abbastanza sostenuto, e così
se ne contano vari altri (si
vedanoparticolarmente56-66
e75-85),perònoncompaiono
asindeti veramente notevoli,
masolomoderatidall’anafora
(come ad esempio su Infesto
75-85-91); è cospicua invece
la presenza di polisindeti o
comunquedilegamenticone
o nè, anche a catena, che
s’affollano, come è molto
indicativo, proprio nei passi
più schiettamente idillici (nel
senso ‘neoarcadico’ da un
lato,nuovoesololeopardiano
dall’altro) della composita
lirica: «E sorgo, e i lievi
nugoletti, e il primo / Degli
augelli sussurro, e l’aura
fresca, / E le ridenti piagge
benedico» 8-10, poi nella
grande descrizione estatica
dellasecondalassa:«Ederba
ofoglianonsicrollaalvento,
/ E non onda incresparsi, e
non cicala / Strider, nè batter
penna augello in ramo, / nè
farfalla ronzar, nè voce o
moto/Dapressonèdalunge
odinèvedi»quindi«egiàmi
par che sciolte / Giaccian le
membra mie, nè spirto o
senso/piùlecommova,elor
quieteantica/Co’silenzidel
loco si confonda» 28 ss., e
ancora «Brillano i tetti e i
poggielecampagne»58ecc.
CosìLeopardinegliIdilli–
o nelle zone più ‘idilliche’
degli Idilli – si crea una
sintassi altrettanto sobria che
fluida, che fa scorrere uno
dopol’altro,opiuttostol’uno
dentrol’altro,quasicomeuna
serie di improvvisi o
agnizioni,
le
esperienze
mentali e i moti dell’animo
(ricordi, visioni, meditazioni,
balzi del cuore…) senza
gerarchizzarli a posteriori,
vale a dire narrandoli
piuttosto che descrivendoli o
enunciandoli. Qui la catarsi
deriva anche da questo moto
ondoso, cullante, eppure in
unostiletuttofuso(ilvecchio
Vasari avrebbe parlato di
«unione»),cheritraenell’ioi
flussi delle epifanie, e che è
pervaso da un ‘legato’ sia
sintattico che prosodico (la
copiadisinalefi)cuinonsisa
trovare in altra arte il simile
che
nelle
maggiori
espressioni della musica a
Leopardi contemporanea. È,
per tornare al punto, quello
che potremmo chiamare uno
stile della e, che riduce al
minimo indispensabile la
subordinazione e comunque
nonlaporta quasi mai, come
invece avviene in tanti
momenti delle Canzoni, a
quegli assetti cumuliformi, a
quei lunghi grovigli, a quegli
slanci quasi senza limite (ma
beninteso sempre dominati
dallaragione).
Già negli sciolti, ma
altrimenti estesi, del Pepoli
(1826)lecosevannoalquanto
diversamente: ad esempio ai
vv. 4-5 il polisindeto «O
gioconde o moleste opre» è
preceduto
immediatamente
dall’asindeto
con
lieve
anafora «in che pensieri, in
quanto…», e altri polisindeti
(64, 106 e, nel finale, 158)
sono più che bilanciati da
giunture
asindetiche,
generalmente con anafora, 9,
19-20,86,87,101ecosìvia,
nonché
dall’accostamento
immediatodidueaggettivi,e
allitteranti, a 49 («improba,
invitta / Necessità», con
figura similissima a quella
sopracitatadaiPatriarchi),di
tre aggettivi a 70 e a 103 (il
notevole «Dono del ciel, ma
grave, amaro, infesto»),
mentre è evitato un
polisindeto a 98: «Col
mercatar,conl’armi,econle
frodi» ecc. I periodi sono
spesso gonfi, come a 27-37,
44-53 e di seguito 53-62, a
chiuderlalassa,ealtrisimili:
sicché, quasi di conseguenza,
sono nel complesso rari i
rilanci morbidi con e. In
realtàquestocarmedalnostro
punto di vista è importante
per
il
suo
ruolo
di
compromesso e transizione
fra due stili: ciò che si vede
ancor meglio se si osserva
che ai periodi ‘costruiti’, e
anche a qualche ‘arcaismo’
(necessitate 48), si alternano
tuttavia momenti di sintassi
serrata ed essenziale, come a
119-121o135-136(zeugma).
A volte sembra già di
respirare l’aria degli ultimi
Canti.
Quanto ai Canti pisanorecanatesi, una volta di più
essi
continuano
ma
soprattuttononcontinuanogli
Idilli. Ovviamente sta a sé il
Risorgimento, situato com’è
nell’alveo metrico e stilistico
che sta fra il Settecento
arcadico e metastasiano e gli
Inni
sacri.
Nessun
polisindeto, e rare perfino le
coppie
aggettivali
con
congiunzione, in un ductus
rapido ed euforico dominato
dalla giustapposizione spinta
(ad esempio 5-6, 16, 19 ss.,
37-40,53-56conanafora,58,
59,81,83-84conanadiplosie
viadicendo).EdoraASilvia.
Anche qui niente polisindeti
(ne è evitato uno a 23-25), e
viceversa si distende in un
endecasillabo
la
serie
disgiunta di 57: «I diletti,
l’amor, l’opre, gli eventi». E
d’altra parte un periodare
snello anche per la fitta
presenzadisettenari,mateso:
il
primo
movimento,
proemiale, seppur breve
constadiunsoloperiodo,per
di più di quella fattura
interrogativa che di solito in
Leopardi predilige gli spazi
brevi, ed eventualmente le
replicazioni; e circa così è
anche un’altra apertura di
movimentoa15-22ecc.Però
ecco anche le riprese con
congiunzione che smorzano
gli stacchi «Era il maggio
odoroso: e tu solevi…» 1314, «… Perivi, o tenerella. E
non vedevi / …» ecc., fino
alla chiusa: «… e con la
mano / La fredda morte ed
unatombaignuda/Guardavi
di lontano». I periodi si
restringono volentieri fino ai
due versi, e a rassodarli sono
spesso le ripetizioni, specie
anaforiche, segni tipici
dell’insistenza sulle note del
pathos ma anche delegate a
chiudere,odiremmomeglioa
sospendere, le lasse (vedi
specialmente 13-14, 26-27 e
ancora il finale), una delle
quali comunque attacca con
Anche, 49. Quella che nel
Pepoli era una aggregazione,
qui è una fusione di due
impulsi stilistici diversi,
condotta con mano leggera
chenonpareavernervieche
perciò continua a giovarsi
dello stile congiuntivo degli
Idilli.
Nelle Ricordanze, stante il
diversometroel’estensionee
la narratività cumulativa e
composta, prendono maggior
piede da un lato lo stile
spezzato (anche con qualche
rientro
dalle
Canzoni),
dall’altro il gesto largo.
Perciò, tralasciando per ora
gli addossamenti asindetici,
per lo più con anafora (ma
non il bellissimo «arcani
mondi, arcana / Felicità
fingendo al viver mio» 2324), e il fatto – molto più
significativocheinASilvia–
che anche qui mancano i
polisindeti, ecco che accanto
a periodi sostenuti, fin dai
due iniziali, se ne insinuano
altridibreviobrevissimi.Fra
questi
meritano
particolarmente
la
segnalazione quelli che si
addensano ai vv. 149 ss.: «.
Altro tempo.», novissimo
inciso nominale che certo è
alla base del montaliano
«Altro tempo frastorna / la
tua memoria» (Casa dei
doganieri);
la
frase
monorematicafraduepunti«.
Passasti.», che sembra già
guardare, come del resto la
precedente, ad A se stesso; e
infinelaripresa«.Marapida
passasti.»,
incisività
accresciuta dall’improvviso
dell’avversativa; e cfr. pure
subito
dopo
«.
Ivi
danzando;», con punto e
virgolacorrettodaiduepunti
precedenti, e anche «, / E
giacevi.». Forse si può dire
anzi qualcosa di più, che
nell’ultima lassa dedicata al
ricordo di Nerina, 136 ss.,
Leopardi esperimenta, dopo
gli Idilli, un linguaggio del
ricordo doloroso non più
affidato a scorrimento e
fusione, ma a un colpeggiare
successivo di piccole frasi
addossate e strette. E tuttavia
nell’affollarsi
delle
rievocazioni si affollano
anche i legamenti con l’e
d’accumulo
e
di
moltiplicazione:
«E
la
lucciolaerravaappolesiepi/
E in su l’aiuole, sussurrando
al vento / i viali odorati, ed i
cipressi / Là nella selva; e
sottoalpatriotetto/Sonavan
voci alterne e le tranquille /
Oprede’servi.Echepensieri
immensi…», o a inizio di
lassa«Némidicevailcor…»
29,«Egiànelprimogiovanil
tumulto…»104,oancora39,
42, 76, 84 ecc. Per contro,
anche prescindendo dai casi
più spinti annotati sopra, si
osserverà
ad
esempio
l’incremento delle gerundiali
e oppostamente dello style
coupé, altrettanto ‘tagliato’
che sintetico, quale si ha in
«intraunagente/Zotica,vil»
30-31, «Qui passo gli anni,
abbandonato, occulto [in
precedenza
«solitario,
ascoso»], / Senz’amor, senza
vita» 38-39, «Il pensier del
presente, un van desio» [da
«un desir cieco»] 59,
«l’acerbo, indegno / Mistero
delle
cose»
71-72,
«indelibata, intera [con
allitterazione] … La sua
vita…» 73-75, «Fantasmi,
intendo / Son la gloria e
l’onor; diletti e beni / Mero
desio[zeugma];nonhalavita
un frutto, / Inutile miseria
[apposizione]» 81-84 ecc.
Sonoquestigliesitistilisticie
concettuali di chi ha già
scritto gran parte delle
Operette e quasi tutto lo
Zibaldone, per cui le
constatazioni dell’infelicità
personale e umana tendono
ad assumere le forme
scorciate
e
definitive
dell’aforisma. Anche per
questo
le
Ricordanze
meritano di esser collocate
piùinaltodiquantofacciano
giudizi critici legati alla loro
presunta ‘impurità’ – che
inveroèpiuttostoricchezzadi
toni e grande esperimento
narrativo.
Della prima lassa della
Quiete
basta
mettere
rapidamenteaverbale,tantaè
l’evidenza del fatto, la stretta
unione di frasi brevi e
brevissime
(cominciando
dalla prima, il settenario
«Passata è la tempesta.»,
etichetta o forse meglio
sottotitolo), e il dominio dei
legami asindetici, anche
appoggiatiadanafore,sianei
sintassemi corti che nei
lunghi (Ecco, apre per due
volte),eilfattochedunquele
congiunzioni e sono solo le
strette necessarie (2, 7, 16,
22). Ma un punto di
valutazione generale va
segnato, ed è che un
contenuto non dissimile da
quelli ‘idillici’ viene gestito
qui con una strategia
sintatticanonsolodiversama
inversa (si pensi appena al
secondo movimento della
Vita solitaria). È anche il
segno di una nuova
oggettività, di un presentarsi
singolare e creaturale delle
epifanie come un in sé, non
più
risucchiate
nella
risonanza sentimentale e
mentale dell’io? Per quanto
concerne le altre due lasse,
condotte in modo simile
(tanto che l’«Ogni cor si
rallegra…» della prima
diventa
nella
seconda,
rovesciandosi,
frase
autonoma: «Si rallegra ogni
core.» 25), il risultato più
notevole è forse la frase
nominaleepigrafica,questasì
aforisma a pieno titolo
nell’ambito
della
teoria
leopardiana del piacere,
«Piacer figlio d’affanno», e
quindi tutti gli asindeti con o
senzaanafora,adesempio26,
33, 44-45, 47-48 ecc., con
l’avvertenzachel’ultimo,5354, calca lo schema in
crescendo del makarismós
(assaifelice–beata),echela
nuda terna asindetica di 38:
«Fredde, tacite smorte» è
peròvariatanelsuocorrelato
così: «Folgori, nembi e
vento» 41. Per altre
osservazioni rimando al mio
saggio sul Canto in questo
volume(l’ultimo).
Il Sabato ha, soprattutto
nellaprimaepiùlungalassa,
un andamento più disteso e
infine – un po’ come tutta la
lirica – più narrativo che
semplicemente
descrittivo
(già i suoi due primi periodi
contanorispettivamente7e8
versi): tanto che, nel breve,
una ripresa anaforica è
preceduta da congiunzione,
«Torna azzurro il sereno, e
tornanl’ombre/Giùdaicolli
e dai tetti…» (17-18) e che
con E inizia il periodo di 28
ss. Ma: «Odi il martel
picchiare, odi la sega…» 33,
in
distribuzione
complementare
all’unico
polisindeto, il vicino «E
s’affretta, e s’adopra» 36; e
nella pur non drastica gnome
ecco
«Giorno
chiaro,
sereno…»46e«statosoave,/
Stagion lieta è codesta» 4849, sostenuto dall’anafora
fonica sta-sta. Mettendo qui,
senza sbilanciarmi troppo
sulla precisa datazione, il
Passero[5],notofindall’inizio
«Brillanel’ariaeperlicampi
esulta [con chiasmo]» 6 ma
«Odi greggi belar, muggire
armenti[altrochiasmo];/Gli
altri augelli contenti…» 8-9,
«. Tu…» fortemente (ma
implicitamente) avversativo
di 12 – a cui risponde l’«. A
me…»di50–,esoprattuttoil
sintassema
nominale
anaforico di 13: «Non
compagni, non voli», seguito
da due frasi verbali, e cfr.
anche 23-24 (con anafora),
29-30 ecc. Aggiungo, sia il
testo del ’28 o più tardo[6],
l’Imitazione da Arnaut, per
far notare 7-8: «Dal bosco
alla campagna, / Dalla valle
miportaallamontagna»,con
zeugma (ma l’asindeto è
anche
nell’‘originale’
francese),eanche10-11,con
anafora(idem).
Per ultimo, in base alla
cronologia ma anche per
un’ampiezza e uno sviluppo
ignotialleprecedenticanzoni
libere, considero il Canto
notturno. E richiamo subito
l’altra sua ben nota
particolarità, vale a dire –
secondo
una
possibile
allusione a canti pastorali
arcaici e remoti – la rima
finalecostantediognilassain
-ale, che fra l’altro collabora
a compattare una materia
altrimenti a rischio di
disperdersi, e comunque
abbraccia
voci
semanticamente
connesse
come
immortale-mortale-
natale e anche taleequale e
fra le due ultime lasse dà
luogo in più a coblas
capcaudadas (animale :
assale : ale, rima inclusiva).
Che qui Leopardi potenzi la
tecnica delle strofe che,
diceva Dante, cadono rimate
con bell’effetto nel silenzio
non è estraneo alle soluzioni
sintattiche: basti guardare la
seconda lassa dove al lungo
periodo (16 versi), quasi
faticosamente trascinato, del
vecchierelloinfermonesegue
però in coda uno di solo due
settenari baciati (e vedi A
Silvia). Altre notazioni: a 13
il polisindeto è evitato:
«Greggi fontane ed erbe», e
dove sia, come appunto nella
secondalassa,ècircondatoda
forme sintattiche di segno
opposto: «Per sassi acuti, ed
alta rena, e fratte» 25, ma
«Per montagna e per valle»
24,«Alvento,allatempesta»
26,«Correvia,corre,anela,/
Varca torrenti e stagni, /
Cade,
risorge…»
28-30,
«Abisso orrido, immenso»
35,concomplessivodominio
dell’asindeto e una sorta di
respirazione
affannosa.
Ancora:
molti
altri
addossamenti
asindetici,
quasi un po’, verrebbe da
dire, per riflusso delle
Ricordanze: «Poi stanco si
riposa in su la sera: / Altro
mai non ispera» (lez.
primitiva «E altro…»: anche
per evitare la sinalefe?) 1415, «dimmi: ove tende /
Questo vagar mio breve, / Il
tuocorsoimmortale?»19-20,
«Il patir nostro, il sospirar,
che sia» 64, «Del tacito,
infinito
[da
«taciturno,
antico»]andardeltempo»72,
«;/Me…»avversativocome
nel Passero 50 ecc. (vedi
sottoperAmoreeMorte),ein
più molti altri asindeti
accompagnati da anafora.
Allo stesso modo del
vecchierello,ancheilpastore,
che in lui si rispecchia, ha il
respiro affannato. E fra
quanto ha scritto Leopardi, il
Canto notturno è forse la
lirica più abbandonata alle
ripetizioni,
lessicali
e
sintattiche e metriche (per il
lessico parla il ritorno
continuo delle parole tema
greggia e luna), come vuole
il vano aggirarsi del suo
protagonista, alter ego di
Leopardi, attorno a domande
la cui risposta negativa è
certa. È anche interessante
che le legature con e si
accumulino nella penultima
lassa, nei versi 115 ss. (con
l’Ed di 117 e probabilmente
di 126 piuttosto in funzione
avversativa): sono i versi del
tedio;ecfr.pure87ss.
Nel cosiddetto ‘Ciclo di
Aspasia’ il polisindeto è,
quasi ad insegna negativa
delle
cifre
stilistiche
dominanti, del tutto assente.
E occhieggiamo subito il
testo, A se stesso, d’altronde
studiatissimo,cheèunasorta
di concentrato dello stile
conciso e spezzato che
Leopardi
si
andava
conquistando, e invero fino
dallepiùrotteCanzoni.Senza
dettagliare, cada l’accento
sulla frase monorematica di
due sillabe «Perì.» 3 (in
anafora); sui versi 3 ss. dove
– con altro forte staccato – è
evitatalanormalesubordinata
dichiarativa a favore di due
principali: non *«Ben sento
che…» ma «Ben sento. / In
noi di cari inganni… è
spento»,
con
rima
paronomastica sento-spento
che sembra trasferire su altro
piano l’insolita paratassi;
sulla costruzione del v. 5
equivalente a un *«non solo
la speranza ma anche…»;
sull’ellissi per via di zeugma
di 9-10 che dà quasi ad
«Amaro e noia ecc.» lo
statuto di frase nominale. E
l’unicacongiunzionedeltesto
è quella che chiude con
stanca verità il referto nel
nome
della
sentenza
dell’Ecclesiaste. Tutto il
brevissimo testo è poi
attraversato
dalla
sovrapposizione di misure
versaliedallalineaserpentina
delle corrispondenze di rima
o analoghe, già analizzate
così bene da Monteverdi[7],
che allo spietato andamento
direzionale della breve lirica,
quasi
una
lucida
dimostrazione
entro
la
disperata presa d’atto del
nulla, intrecciano qualcosa
cheèsimileaungroviglio.
Anche negli altri testi del
ciclo, più estesi e sciolti, le
tendenze ora accennate sono
purvive.Cfr.subitoPensiero
dominante 1-2: «Dolcissimo,
possente / Dominator…», in
unione con anafora fonica e
all’interno di un periodo che
se non vedo male è,
eccezionalissimamente,
apposizione nominale del
titolo, 8-9 (con anafora), 65:
«; / Maggior mi sento», 73:
«Avarizia, superbia, odio,
disdegno», 128-129 ecc. E
nelle arcate sintattiche i
periodi brevi e incisivi,
epigrafici (come nelle prime
duelasse)–anchesottolineati
da rima baciata o vicina
conclusiva,52-53,66-68ecc.;
a 134-135 ripresa con la
stessa modalità del Canto
notturno all’inizio di strofa –
si alternano col lungo di 29
ss., otto versi e un’intera
strofa, quasi a ripresa delle
Canzoni da un lato, ad
anticipo dei Canti ultimi
dall’altro (così pure nella
fattura lessicale di 35:
«Mondano
conversar
vogliosamente»),ecfr.anche
92-99, 100-107 (ma lenito
dall’anafora).AmoreeMorte.
Asindeti a 5-6 e 8-9 (con
anafore),a37-39ilbellissimo
«quella/Nova,sola,infinita/
Felicità», slancio ‘infinitivo’
ottenuto come in altri casi
analoghi anche per via
sintattico-metrica, 41-42, con
anafora,66:«Osaallatomba,
alle funeree bende…», 66-70
(con anafora), 82-83: «il
villanello ignaro, / La tenera
donzella»,
88-89,
altro
momento altissimo, dove il
sempre dialogante poeta
s’apre di colpo a una nuova
allocuzione: «Ai fervidi, ai
felici, / Agli animosi
ingegni…» (anafore, inclusa
la fonica aife-aife) ecc.; e si
osservi come ad es. a 74-75
vadano assieme sentenziosità
e compressione sintattica:
«Tanto alla morte inclina /
D’amor la disciplina…», con
sovrappiù di rima (al mezzo)
baciata. Quanto al periodare
vale come caso più
rappresentativo di ampiezza
quello di 96 ss., aperto
dall’attaccotipicissimoEtue
svolto per dodici versi,
ovviamente
con
varie
subordinateaincassatura,ma
brevi e con pause e riprese o
presedifiatoconsentitedalle
frequentianafore:Etu-Tu,ses(e). Qui stesso, 108, si
inalbera l’orgoglioso stacco
«. Me certo troverai…»,
interessante anche perché
ripete la fattura sintattica,
ritmica e fonica del primo
emistichio di Vita solitaria
104:
«.
Me
spesso
rivedrai…». In questo Canto,
che a mio gusto è una delle
grandissime
riuscite
di
Leopardi,
è
comunque
realizzata nella forma finora
più attraente la perfetta
convivenza di sintassi ampia
e style coupé, vale a dire
anche di costruttività e
decostruzione in frammenti,
integratineltuttoaunaltroe
superiore (mentale) livello,
che è quello ‘metafisico’ del
cozzo della ragione con ciò
chenonèragione,ecomedi
un perpetuo sdoppiarsi della
interiorità,
senziente
e
pensante.
Non meno interessante la
lirica da cui si denomina il
‘ciclo’,Aspasia.Anzituttoper
il carattere anche in essa
«epigrafico» che vi ha visto
giustamente
Spitzer[8].
Conciso,quasidaraccontoin
prosa, è già l’incipit della
narrazione:«Tornadinanzial
mio pensier talora / Il tuo
sembiante,Aspasia»;equindi
nella prima lassa il periodo
diversamenteampioaseguire
2-8, che contiene l’asindeto
anaforico di 4-5: «o per
deserti campi, / Al dì sereno,
alle tacenti stelle»; ancor più
ampio il periodo di 10-26,
fitto di subordinate (tre
participiali di seguito a 16-
19)econlargadistanzafrala
principale «E mai non
sento…» e la consecutiva
«Ch’io…» e fra «il giorno
che» e «a me s’offerse», un
rilancio subordinativo del
periodo, «quando tu…» – e
qui asindeto breve: «fervidi
sonanti / Baci» –, con
frequenza di apposizioni ecc.
Un altro periodo breve,
equipollente all’iniziale, apre
la seconda lassa: «Raggio
divino…», e anche qui segue
un periodo più lungo, 37-43,
cheincludelaternaasindetica
di 41: «Tutta al volto, ai
costumi, alla favella»; quindi
fra altro la dura sentenza di
52-53: «Non cape in quelle /
Anguste
fronti
ugual
concetto», 14 o 13 sillabe, e
l’asindeto di 56. Terza lassa:
cfr.peresempiolaconcisione
tombale,
sintattica
e
concettuale
di
«Or
quell’Aspasia è morta / Che
tanto amai» 70-71, e in
genere un periodare mediobreve cui si oppone quello
lungodi77-88(entroilquale
l’asindeto secco di 79). La
quartalassas’apreaddirittura
con un periodo contratto di
seisillabe:«Ortivanta,cheil
puoi», quasi eco di A se
stesso, cui tengono dietro
asindeti a 90-91 (anaforico,
dentro
un’anafora
più
‘grande’), 95 e 97 (terna
anaforica),
98-100
(accostamento di verbi), la
ritorsione secca di «Cadde
l’incanto…: onde m’allegro»
103 (si noti anche che
l’espressione «Senno con
libertà» 106 sta in luogo del
più normale *«Senno e
libertà»). Il tutto si distende
solo nel maligno ma insieme
liberatorio finale, periodo
lungo ma fondamentalmente
coordinativo. Nell’insieme, a
proiettare per dir così in una
sincronia ideale i fenomeni
che si susseguono e
intrecciano linearmente nei
versi, si può dire che la
formula di Aspasia (e con
tutte le varianti del caso, di
questo Leopardi già a partire
dal Canto notturno) è più o
meno la seguente: periodi
generosi e ‘tenuti’ che
contengono periodi mediobrevi o anche brevissimi che
a loro volta contengono, nei
trattiancorpiùbrevi,giunture
asindetiche. Nessuna traccia
piùdelpolisindeto‘idillico’.
Brevemente sul Consalvo,
che condivide l’assenza di
polisindeti di tutto il ‘ciclo’.
Viceversa si affollano gli
asindeti:14-15(conanafora),
74: «Del trepido, rapito
amante» ecc.; la spezzatura
della sintassi in periodi
minimali come «. Or dunque
addio.»31,«.Pesami,èvero,
/ Che te perdo per sempre.»
seguitoda«Oimèpersempre
/Partodate.»45-47,«.Anzi
feliceestimo/Lasortemia.»
98-99 e così via, sino al
finale: «. Tacque: » 149; e
sono altrettanto frequenti le
subordinate implicite e le
apposizioni(2,10,15,26,36,
40, 54, 68 ecc.), nonché le
ripetizioni di vario tipo:
Conscia… conscia 14, Ben
mille… e mille 16 (più BenBenchèancheinizialidiverso
16-19),Premio… premio 3334,per sempre… per sempre
46, un bacio… un bacio 5051 e via dicendo. Poemetto
para-autobiografico
e
spiccatamente narrativo, con
continui
sobbalzi
elativi,
Consalvo abbisognava di
essere rinforzato ai giunti e
alle pause, sicché alle
replicazioni ‘interne’ fanno
da interessante pendant le
epifore:tempo:tempo2-5,la
tematicaElvira:Elvira78-85
(questa creata correggendo
con un’inversione), giorno :
giorno
125-127,
ancora
tempo : tempo 134-142; ed è
pure notevole che queste
permangano anche nella
seconda parte del testo, dove
scompaiono o quasi le rime
presenti invece all’inizio[9].
Carme che sta a sé, anche in
quanto sviluppa quella sua
specie di cartone che è il
Sogno,
sintatticamente
Consalvos’accompagnabene
agli altri della stessa fase,
salva la mancata propensione
ai periodi estesi che ben si
spiega con le ragioni già
accennate, e inoltre col suo
caratteredialogico.
Giunti ai Canti napoletani,
occorre distinguere: le due
Sepolcrali,chegiànelprofilo
metrico hanno qualcosa in
comune con Amore e morte,
la specialissima Palinodia –
semmaidaaggregarecomesi
sa a testi esterni alla raccolta
–eidueCantiestremi.Come
vuoleiltemaSopraunbasso
rilievo, del tutto priva di
polisindeti, affida invece
all’asindeto,spintocomeinA
sestesso,lapropriasecchezza
epigrafica, come di una
vicenda che è legge e
allegoriadeldestinogenerale:
«… il patrio tetto / Sì per
tempo abbandoni? a queste
soglie / Tornerai tu? farai tu
lieti un giorno…?» 4-7;
«Asciuttoilciglioedanimosa
in atto, / Ma pur mesta sei
tu», con zeugma, 7-8; con
anaforadise15-17;«Morteti
chiama: al cominciar del
giorno / L’ultimo istante
[ellissi e sintassi nominale].
Al nido onde ti parti, / Non
tornerai. L’aspetto… Lasci
per sempre. Il loco / A cui
movi, è sotterra: / Ivi fia
d’ogni
tempo
il
tuo
soggiorno» 18-24: dunque
con periodi e periodi-frase
secchi; cui subito dopo se ne
opponeunovasto,28-43,che
sembra
preannunciare
Tramonto e Ginestra. E più
avanti ad esempio gli stacchi
di 53, 55-56, 58-62:
«Piacquetichedelusa/Fosse
ancor dalla vita / La speme
giovanil; piena d’affanni /
L’onda degli anni; ai mali
unico schermo / La morte»
(doppio zeugma e rima
baciata al mezzo): sicché
anche un periodo più esteso
può essere in realtà scandito,
complicelaseriedisettenari,
secondobreviunitàsingole:è
il celebre e umanissimo
«Come,ahicome,onaturail
cor ti soffre / Di strappar tra
le braccia / All’amico
l’amico, / Al fratello il
fratello,/Laprolealgenitore,
/ All’amante l’amore…» 98
ss., dove il procedere per
enunciatibrevièsostenutoda
ripetizioni varie, parallelismi,
rime al mezzo identiche e
immediate, chiasmo[10]. E se
compaiono ancora periodi
ampi,
quello
finale,
l’apoftegma, è affidato a non
più che due endecasillabi,
benchéunoscissooacavallo
di versi («Ma da natura /
Altro negli atti suoi / Che
nostro male o nostro ben si
cura», con rima-suggello al
mezzo). Sopra il ritratto
s’apre con una frase minima
(vedisempreAsestesso),sia
pure relata al titolo: «Tal
fosti», quindi si susseguono
asindeti: con anafora a 9 ss.,
‘puri’ a 18-19, 22-23, con
frasenominaleesignificativa
rima al mezzo immediata:
«Misterio eterno / Dell’esser
nostro.
Oggi
d’eccelsi,
immensi / Pensieri e
sensi…», 28-29, anaforico e
con
interessante
echeggiamento lessicale e
timbrico dell’Infinito: «Di
sovrumanifati, / Di fortunati
regni», 33 (terna): ma tutti
questi ultimi entro un unico
periodochesidispiegadalv.
23 al 38 (un altro a 39-46
contienelostaccato«permar
delizioso, arcano»). Torna in
mente la formula escogitata
per Aspasia, con la sola
variante che qui l’unico
polisindeto, assieme ad altri
elementi, mette in atto come
non
sorprende
troppo
inversione
sintattica
e
distensione ritmica nella
chiusa: «Come i più degni
tuoimotiepensieri/Soncosì
di leggeri / Da sì basse
cagioniedestiespenti?».
La peculiare mescolanza
degli stili della Palinodia si
rivela tale ad ogni livello, a
cominciare dal metrico, nel
quale, quasi per un rifluire
negliscioltidellospiritodella
canzone libera, rime e quasirime, evidenti e più ancora
nascoste,contraddiconocome
nonmainellostessoLeopardi
lo statuto del metro. È
sufficiente
guardare
all’ultimo ‘tempo’, venti
versi, 260 ss., che comincia
come
da
paradigma
a
terminazioni
disgiunte,
senonché il segno al mezzo
del primo verso va a
riprendereilpegnodellalassa
precedente, 256, a sua volta
inrimainizialepiùassonanza
con «penso» e «pelo»; e poi
ciel – donzelle interna, più
sfavilla in quasi-rima con
ville,
che
d’altra
parte
anagramma velli; barbati –
serbato al m.; il duplice
crescerà in rima interna con
poserà; tutta – frutto;
Ellesponto – mondo al m.;
sicuro–spauri;lalungaserie
interna in -ar(e), con cari (e
cfr.spauri);Eletta–aspettial
m.;consonanzainternaRidi–
cittadi; serbato – cotanto al
m.; e certo mi sarà sfuggito
qualcosa(cfr.comunqueinfra
il sesto saggio). Ma a questa
piccola selva aggiungono
qualche arbusto fenomeni
para-metrici
come
la
geminatio«Cresci,cresci…»,
l’accostamento (in chiasmo)
dei due crescerà, la ‘rima
iniziale’
«Veder»
–
«Vecchiezza»
ecc.
Polistilismo ad ogni livello,
ho detto: e infatti al numero
inconsueto di polisindeti per
quest’epoca(novesu379vv.)
si oppongono gli asindeti più
o meno netti, 13 ss., 29, 42
ss.,56,75ss.,90-92ecc.Ese
il carme comincia con un
pacato periodo breve, serrato
dall’epifora su errai, e tipi
simili ricompaiono lungo il
suo corso, tuttavia è proprio
in esso che si leggono alcuni
dei periodi più arditi che
Leopardi abbia finora osato,
un po’ per afferrare tutti i
tentacoli della dispersa
modernità ma più per
affermare il proprio dominio
razionale su questa: cfr. 5968, 97-107, 135-153 ecc., e
uno
soprattutto,
il
comparativo di 154 ss.:
«Quale un fanciullo… Così
natura…», che si proietta
decisamente verso i due
ultimi Canti, e non per nulla
la base, anche formale, ne è
un
passo
recente
dello
Zibaldone,4421:«Lanaturaè
come un fanciullo… Così
nell’uomo».
L’ardimento
poeticosinutrediprosa.Èda
osservaresemmaiinaggiunta
che nella Palinodia Leopardi
tendeapausareesmorzarein
modo speciale il periodare
ampio, con la consueta
punteggiatura
medio-forte,
evitando subordinate troppo
vistose e così via: cfr. nel
brano che prosegue l’appena
citato le due subordinate
leggere, la replica di mille a
168,l’apposizionea170,itre
gerundi, gli ultimi due dei
qualidispostiancorasecondo
lo schema dell’Infinito:
«Distruggendo e formando»,
che a loro volta riprendono
proprio come in quei vecchi
sciolti un altro gerundio in ando, 168; infine la chiusa
che si placa e distende nella
doppiacongiunzione.
AncheperlaGinestra,che
per comodità di discorso
esaminoprimadelTramonto,
conviene partire dalle rime,
che (quasi a rovescio della
Palinodia) assieme ai loro
sostituti sono in misura
nettamente minore che in
ognialtrotestoastrofelibere
di
Leopardi,
salve
naturalmentelasaldezzadella
combinatio
e,
quasi
naturalmente, la lassa finale;
e si comprende, dato il suo
carattere intensamente e però
liberamente meditativo, di
unameditazionechesaanche
intridersi di tensione lirica.
Ciò comporta pure, ad
esempio, che un periodo
lungo come quello di 126135,eciòcheseguesubito,si
svolga come una catena di
coordinate con e. Così nella
grande arcata che si svolge a
partiredall’iniziodellaquarta
lassa,167-185,«Epoichegli
occhi
a
quelle
luci
appunto…», il susseguirsi
delle congiunzioni sembra
mimare il continuo crescere
su di sé del pensiero poetico
cheviaviasiconfrontaconla
crescente grandezza e quindi
infinità del cosmo, secondo
l’idea geniale, cara al
Leopardi ‘pensatore’, per cui
l’infinitamente grande oltre
che lontano è rappresentato
conciòcheappareall’occhio
umano infinitamente piccolo:
èquesto«punto»chesitrova
alla fine del solenne,
stordente crescendo. E vedi
similmente il successivo
periodo dei vv. 185-197 e la
grande, tesa comparazione di
202-230. Qui compaiono
infatti i più degli almeno
cinque
polisindeti
che
adornano il poema (cfr.
soprattutto 215: «Di ceneri e
di pomici e di sassi», con la
prima congiunzione aggiunta
in un secondo tempo, che
varia211:«Schiaccia,diserta
ecopre»).D’altrondevediper
esempio «Dove… e dove…»
21-22,«Fur…Fur…efur…»
24 ss., «Qui mira e qui ti
specchia» 52, «qual merto…
o qual pensiero…» 198-199
ecc., di fronte a cui contano
meno del solito gli stacchi
asindetici,
comunque
moderati per lo più
dall’anafora, 106 ss., 170,
246 ecc. Pur nella gigantesca
mole, c’è qualcosa nello stile
della Ginestra che guarda
indietro, o meglio recupera
testamentariamente il già
detto: ne è spia soprattutto
l’indimenticabileattaccodella
lassa conclusiva: «Etu, lenta
ginestra…».
Forse per la Ginestra è
troppo (o troppo poco) dire
che l’eredità, come portata
alla potenza, delle Canzoni
piùmaturesicomponeconla
freschezza sentimentale – e
sintattica–degliIdilliedegli
stessiCantipisano-recanatesi.
Ma per il Tramonto della
luna
mi
pare
che
un’approssimazione simile
sia proponibile. Conviene
ancheinquestocasomuovere
dal sistema delle rime, che,
dopo un breve avvio ancora
una volta nudo, è fitto come
nei Canti pisano-recanatesi,
coninsistentirimebaciatefra
endecasillabi e settenari e
anchefrasettenari,etaleche
tendeacostituirsiinstrutture
più ricche e chiuse alla fine
delle lasse: I, 15 ss.:
aAb(b)CDdC; II, 29 ss.:
Abc(a: quasi-rima)c(b)A; IV,
64 ss.: AAXbB, più
assonanze e consonanze e la
quasi-rima interna insino-fine
al v. 66. Il vasto periodo
iniziale interstrofico di 28
versi, «Quale in notte
solinga… / … / Tal si
dilegua…»,
è
tuttavia
fondamentalmente
coordinativo («E mille vaghi
aspetti, / E ingannevoli
obbietti…») e reca in sé lo
splendido
polisindeto
a
quattro membri «E rami e
siepi e collinette e ville» 8,
conuncrescendocheprimaè
di estasi contemplativa poi,
ma con gli stessi mezzi, di
compianto sulla giovinezza,
le speranze e i «dilettosi
inganni» che si dileguano. È
allora istruttivo notare che la
terzalassa,lapiùragionativa,
è governata da altra sintassi:
anafora
lontana
sul
significativo Troppo 34-39;
subordinate anche insolite
(«se il giovanile stato…
Durasse…»36-38);l’iperbato
di 38: «tutto della vita il
corso» ecc.: e dunque
addensamenti asindetici in
serie, «Incolume il desio, la
speme estinta, / Secche le
fonti del piacer, le pene /
Maggiori sempre…», con
chiasmi e ripetizioni che
scolpiscono
meglio
le
sentenze inceppando nello
stessotempoilritmo,piùche
mai qui da ‘staccato’. La
quarta e ultima lassa torna
comprensibilmente, in forma
appena più contenuta dato il
suodupliceeoppostotono,al
regime delle prime due: «e
sorger l’alba» 57, «E
folgorando intorno» 59,
«non…nè…»64-65,«edalla
notte…» 66, con subordinate
minime e implicite, 52, 58,
59. Perciò due soli asindeti
nellazonadellameditazionee
accusa più intensa, 45:
«Degnotrovato,estremo/Di
tutti i mali», incorniciato
dalla rima in -ali e dalla
derivatio trovato-ritrovàr, e
48: «Incolume il desio, la
speme estinta», ancora in
chiasmo; e il tratto finale,
concluso dalla voce-simbolo
sepoltura, non inizia con una
coordinativa,
ma
con
l’avversativa agonistica Ma.
In totale comunque la copia
di coordinazioni ci dice
anch’essaquellocheèquesto
capolavoro, un ritorno della
sensibilità ‘idillica’ ma
confrontataallaseveritàdella
meditazioneeproiettatanello
spazio cosmico che è anche
della Ginestra (decisiva
l’inusuale,
potente
descrizione ‘espressionistica’
della luce solare, 59 ss.).
Allontanandocidaidueultimi
carmi di Leopardi, un
ulteriore dettaglio d’altro
tipo. Sia la Ginestra (due
voltepiùunaalplurale)cheil
Tramonto (una al singolare e
una al plurale) riprendono in
evidenzaeconvaririmantiin
comune le rime-refrain in ale del Canto notturno.
Ginestra: 97-98 (settenari
baciati): uguale : animale (il
secondo termine è anche,
fuori rima, nella vicina
Palinodia);
200-201:
endecasillabi baciati a fine
lassa, assale : prevale; 315317, chiusa assoluta, frali :
immortali (entrambe le voci
anche nel Canto notturno,
mentre un frale fuori rima è
ancoraquia117,edentrambi
hanno anche riscontro in
quello, segnato da forte
allitterazione, di Imitazione
2). E il Tramonto: 20-21:
«Tal si dilegua, e tale» :
mortale; 44-46: immortali
agg.:mali al m. (il primo in
derivatio con morto 43); da
aggiungere che immortale
aggettivo per il resto è solo
nelCantonotturno.
Ora conviene incrociare
più
corsivamente
le
osservazioni fin qui condotte
con un altro paradigma
sintattico, quello dell’ordine
delle parole. Ci si può
attendere che quest’ultimo
sarà tanto più soggetto a
perversiones,
distrazioni,
iperbati quanto più i periodi
siano ampi e protratti. Per le
Canzoni,
concentriamoci
ancora sul Bruto minore. E
quisubitoidueprimitratti,13, 3 ss., sono disposti
nell’ordine
inverso
(semplifico
l’indicazione)
CBA, e il soggetto, Bruto, è
allontanato al v. 11
anticipandogli
anche
l’apposizione «Sudato e
molle…». Qualche altro
sondaggio: ai vv. 40 ss., con
l’accompagnamento
di
inversioni più locali, l’ordine
è BCAD, a 62 ss. quello a
cinque
membri
completamente
rovesciati
EDCBA; a 106 ss. la
distrazione fra «Non io» e il
verbo relativo appello li
separa a inizio e fine della
terzina. In due canzoni
successive sia mature che di
sintassilarga,AllaPrimavera
eAllasuaDonna,accadeper
esempio: nella prima, 28 ss.,
data una disposizione non
rettilineadeimembricadeun
doppio iperbato quale «al
fiorito / Margo adducea de’
fiumi/Lesitibondeagnelle»,
a 40 ss. si ha sia inversione
che distrazione: «Conscie…
Fur…», a 69-70 la sequenza
globale BCAD contiene
anche un iperbato: «E te
d’umani eventi / Disse la
fama esperto, / Musico augel
che…». In Alla sua Donna i
vv.12-13presentanol’ordine
DCAB, oppure a 55 la
sequenza invertita del verso
finale, che chiude un periodo
di 11 vv., dà luogo
nuovamente a un iperbato
forte: «Questo d’ignoto
amante inno ricevi», envoi
ben lavorato. Certamente
risultatianaloghidarebberole
altreCanzoni,eperampiezza
diperiodieperl’influssodel
regime sintattico della poesia
italiana tradizionale: ma
questi risultati diventano
molto
significativi
se
confrontati con quelli degli
Idilli(omeglioviceversa).La
Sera del dì di festa, complici
l’andamento coordinativo e i
periodi brevi, conosce quasi
sololelimitateinversionidel
tipo di «di lontan rivela»,
«da’trastulli/Prendiriposo»,
e invece ecco ad esempio 24
ss.:«Ahi,perlavia/Odonon
lunge il solitario canto /
Dell’artigian, che riede a
tardanotte,/Dopoisollazzi,
alsuopoveroostello,/E…»,
con cui soprattutto la chiusa:
«Nellamiaprimaetà,quando
s’aspetta / Bramosamente il
dìfestivo,orposcia/Ch’egli
era spento, io doloroso, in
veglia,/Premealepiume;ed
allatardanotte/Uncantoche
s’udia per li sentieri /
Lontanando morire a poco a
poco. / Già similmente mi
stringeva il core» (notare in
entrambi i casi la posizione
‘naturale’ di subordinate e
complementi).
Così
in
sostanza nell’inizio e nel
finale di Alla luna – più
intorta la zona centrale,
dedicata al «travaglio».
Fanno parziale eccezione
l’Infinito, per la sua potente
curvatura contemplativa (cfr.
soprattutto
«interminati
spazi… Io nel pensier mi
fingo», assorbimento dei
predicati dell’infinità nell’io
pensante), e per altre ragioni
– narratività, politonalità – la
Vita solitaria: cfr. subito la
prima lassa, idillica per il
tema ma non per l’armatura
sintattica, 8 ss.: «E sorgo e i
lievi nugoletti e il primo…
benedico»; così la grande
descrizione della seconda
lassacominciaconunterzetto
quasi perfettamente normale
(«Talor m’assido…») ma
prosegue con una marcata
posticipazione dei sintagmi
verbali: «E non onda
incresparsi ecc. odi nè vedi»,
e però è in ordine naturale,
accanto ad altri luoghi (per
esempio44-48),ilfinale,con
solo un’inversione in chiusa.
Non mi soffermo sul poco
omologo Sogno, se non per
segnalare la tranquillità
dell’inizio, e poi ad esempio
24ss.,74ss.
Tralasciando
i
testi
intermedi, ripartiamo per i
Pisano-recanatesi dalla nitida
escorrevoleASilvia,dovele
inversioni non impegnano
quasi mai più di due singoli
costituenti, secondo l’usus
poetico («il limitare / Di
gioventù
salivi»,
che
evidenzia l’anagramma con
«Silvia»)[11],
«all’opre
femminiliintenta»,«inmente
avevi»: entrambi complice la
rima. Eccezioni solo il tratto,
peraltro con zeugma, di 2223, l’iperbato di 33-34, e 4748, ma sono invece sequenze
normalissime
1
ss.
(posposizione
solo
del
«salivi» finale), 19-22: «D’in
suiveroni…»,23ss.,42ss.,e
ordinenaturaleeartificialesi
susseguononelgrandefinale,
solo con la variante di un
chiasmocheperòriproducele
collocazioni naturali (in
questi casi) agg.-sost. / sost.agg.: «All’apparir del vero /
Tu, misera, cadesti; e con la
mano / La fredda morte ed
una tomba ignuda / Mostravi
di lontano». Quasi ovvio che
siadiversaancheinquestola
situazionedelleRicordanze–
altro metro, altra ampiezza
narrativa, altra struttura
mentale – per cui cfr. ad
esempio 28 ss.: «Nè mi
diceva il cor che l’età
verde…»o146ss.(masubito
dopo «. Altro tempo.»); e
viceversa, tra l’altro, 43 ss.:
«eintantovola/Ilcarotempo
giovanil, più caro / Che la
fama e l’allor…», per non
dire di tocchi semplicissimi
come 50-51: «Viene il
vento…», oppure 81 ss., 113
ss. Ma ravvolto è il finale,
170 ss., e in totale possiamo,
quanto al fenomeno in
questione, parlare di una
sintassi‘mista’.
Ora la prima lassa della
Quiete. Dopo la circoscritta
inversione del primo versosottotitolo, tutto si svolge
nella descrizione linearmente
fino a 20, e solo da qui (in
relazionealcambioditonoe
forse al carattere figurale del
«passegger») cominciano le
inversioni, fino alle ultime:
«il carro stride / Del
passegger che il suo cammin
ripiglia», con verbo a
chiudere letterariamente la
strofa. Nel v. 25, che apre le
due lasse ‘nichilistiche’, «Si
rallegra
ogni
core»,
l’inversione
dell’ordine
naturale di «Ogni cor si
rallegra…» 8, ci dice subito
cheladialetticanegativadilì
in poi rovescerà la vitalità
della prima lassa. E dunque
non ci sorprende che in un
regime ora aspramente
ragionativo, già in 26-28 e
poi nell’accanimento della
negazione 48-50, accentuata
dallepause,siabbianoordini
invertiti.
Eppure
occorre
notare, questa volta nel
contesto di un crescendo
drammatico, l’ordo naturalis
di 37 ss.: «Onde in lungo
tormento…»
(tormento
«lungo»
scandito
retoricamente dalle terne di
38e41).L’iniziodelSabato,
con
lievi
collocazioni
poetiche come «Ornare ella
s’appresta» e qualcos’altro,
scorre tutta con ordine
sintattico normale per ben
trenta versi, di cui i primi
quindicidivisiindueperiodi,
del resto composti di un
lessico
estremamente
familiare.Èuncasopiùunico
cherarodiordinenormalein
periodi ‘lunghi’, il che in
fondo non sorprende nel
luogo dove la vita del
«borgo» ancor più che
descritta
è
narrata,
affettuosamente. E anche la
seconda lassa è dello stesso
tipo. Che la situazione cambi
un po’ nella terza e quarta
lassa,ènell’ordinedellecose
(ed
è
annunciato
già
esplicitamente
dalla
contrapposizione di 38-39:
«tristezza e noia» vs «speme
e…gioia»,conrimapuressa
antitetica). Ma dove, sempre
nellaquartalassa,siriaffaccia
la dolcezza della vita
giovanile, sia pur destinata
alla fine, s’impone di nuovo
l’ordinelineare,46-49(segue
però una inversione seppure
lieve:«Altrodirtinonvo’»).
Quanto
al
Passero
solitario,laprimalassa,tolta
qualche veniale anastrofe
(come «Per lo libero ciel fan
mille giri» 9), anch’essa
procede al naturale, il che è
sottolineato anche dalla
punteggiatura forte o media
(cfr.inparticolare3-4).Altro
aspettomostranoleduestrofe
seguenti, più dedicate alla
meditazione:
cfr.
specialmente
la
sostenutissima inversione di
18 ss.: «Sollazzo e riso…»,
con un brevissimo sintagma
verbale posposto che regge
oggettisgranatipertreversie
mezzo; e tuttavia anche qui,
al ritorno delle immagini e
sensazionivitali,idueperiodi
di 29 ss. scorrono naturali,
con l’unica e non marcata
anastrofe finale «e in cor
s’allegra».
Ancor
più
convoluti sono però i vv. 36
ss.,
inquadratura
delle
sofferenze dell’io poetante,
manonloèaffattolaclausola
ocadenzafinale:«…Mifere
il sol che tra lontani monti, /
Dopo il giorno sereno, /
Cadendosidilegua,eparche
dica / Che la beata gioventù
vien meno». Qualcosa di
simile si dirà della terza
strofa, e perciò non sto a
dettagliare (cfr. solo 50 ss.,
conordinecomplesso,percui
la forte antitesi «A me»
ritrova «Che parrà» dopo 6
versi). Infine il Canto
notturno, la cui struttura
sintattica
eccezionalmente
lineare(oltrechesobria)sarà
fors’anche una mimesi
trascendentale della voce del
«semplice
pastore»:
vedi
dunque 3-4, 11-15 (solo con
un’inversioneachiudere),4244, 69 ss., in particolare 80
ss. ecc. Naturalmente altro
discorso va tenuto per la
secondalassa,perònontanto,
perché il lungo periodo è
molto più accumulativo che
gerarchizzato,edèchiusodal
breve e contenuto, solenne e
dolceinsieme,«Vergineluna,
tale/Èlavitamortale».Non
c’èdubbiodunquecheanche
dal lato dell’ordo verborum
quelli che si usano pure
chiamare «Grandi idilli»
continuano la linearità e
purezza sintattica, e cioè
anche
l’‘oralità’
da
monologo, dei «Piccoli», ma
intrecciandovi in modo più
cospicuo
arditezze,
complicazioni e costruzioni
letterarie. Il perché andrà
visto
soprattutto
nella
transizione fra descrizioni
filtrate nell’eco sentimentale
del soggetto, e descrizioni,
ora tanto più oggettive e
ricche, sottoposte al vaglio e
alla contraddizione della
ragione filosofica. Operette
morali e Zibaldone sono
ormai quasi interamente
compiute, e forniscono alla
poesia spunti di riflessione e
materiali. Da questo punto di
vista, come da altri, i Canti
pisano-recanatesi
segnano
una svolta decisiva della
liricaleopardiana.
Il primo testo del Ciclo di
Aspasia,
il
Pensiero
dominante,s’aprecomevisto
conunperiodosospeso;enel
complesso il Canto, saturo di
esclamative come di agganci
lessicali (cfr. solo 26 ss.: «E
divanopiacerlavanaspeme,
/Allatoaquellagioia,/Gioia
celeste che da te mi viene»,
reduplicatioinanadiplosiche
smorza la subordinazione),
corre spesso con un
andamento fra ‘parlato’ e
incisodallostilespezzato;ma
qualcosa di diverso accade
come non sorprende nella
comparativa di 29 ss., ed
anchealtrove(adesempio53
ss.:«Sempreicodardi…»).È
questa anzi la cifra sintattica
che domina la canzone, fino
allatrattafinale,cheinmodo
diversodallaprimarestaperò
anch’essa come sospesa, ciò
che del resto Leopardi ama
spesso fare, in deroga alla
perentorietà affermativa: 141
ss.: «Bella qual sogno… che
spero / Altro che gli occhi
tuoi veder più vago? / Altro
più dolce aver che il tuo
pensiero?».Nonpernientela
parolainiziale(neltitolo)ela
finaleèpensiero.CosìAmore
e Morte inizia con una serie
di periodi brevi, ma tutti a
inversioni,comeilsuccessivo
e più ampio 10-14, per non
diredelpiùampioancora1726 («Nè cor fu… Come per
questoperigliaraperigliarfu
pronto» e «Ch’ove tu porgi
aita… e sapiente in opre, /
Non in pensier invan,
siccome suole, / Divien
l’umana prole»). Un po’
comenellaliricaprecedenteè
unasintassicheprendeforma
dalla volontà di ragionare
senza semplificarne il senso
su dati sentimentali per parte
loro complessi e sfuggenti.
Ma ecco per esempio che
all’interno di un periodo
letterariamente architettato si
inserisce uno dei più begli
asindeti leopardiani, a tre
membri e staccato per di più
entro un settenario, «quella /
Nova, sola, infinita /
Felicità…» 37-38. Altrove
l’ampiezza
e
torsione
periodica
è
contenuta
dall’anafora (Osa… Osa 6870), altrove ancora un
successivo periodo largo
inizia con la doppia anafora
in asindeto che già abbiamo
notato,88-89ecc.,eunapure
doppia ripetizione frena
anchelastrofafinale(Ogni…
Ogni,sola;/Solo),dondepoi
ladolcissimachiusa,naturale
e quasi mormorata: «Solo
aspettarsereno/Queldìch’io
pieghiaddormentatoilvolto/
nel tuo virgineo seno»
(settenario finale di testo
comesoloinASilvia).
Esempio eccezionale in
Leopardi di allocuzione a se
stesso e di sintassi a scatti
brevi, a singhiozzo, cui dà
mano
l’estrema
concentrazione
lessicale
(anche nelle forme delle
quasi-rime:estremo–eterno,
fango – fato, Dispera –
disprezza),Asestesso,questo
anti-Infinito,
alterna
anch’esso nel breve e
brevissimo
sintassemi
costruiti
letterariamente,
anche a scopo di messa in
rilievo («Assai / Palpitasti»,
in inarcatura ecc.), e
comunque per conferire
qualche
movimento
a
segmenti lessicalmente e
sintatticamentecosìsaturi,ad
enunciati semplicissimi, da
monologo, questi demandati
specialmente ad apertura e
chiusa e destinati ancor più
degli altri a scandire
l’ineluttabile.
Neppure
Aspasia predilige l’ordine
retto, e neppure nei brevi
periodi iniziali delle lasse, di
cui i secondi versi si
rispondonoperfettamente(«Il
tuo sembiante, Aspasia» 2 e
«Donna, la tua beltà» 34,
entrambi settenari interni in
pausa; e vedi pure 1: «Torna
dinanzialmiopensier…»1e
«Raggio divino al mio
pensiero apparve» 33, coi
rispettivi secondo e terzo
verso che ripetono il nome
della donna); fa eccezione
l’attacco dell’ultima lassa,
concisissimo e in sequenza
normale: «Or ti vanta, che il
puoi»[12]. Ma a differenza di
altri testi leopardiani il finale
non solo è disteso (106-112),
ma è ricco di inversioni fino
alla cascata conclusiva e alla
sardonica chiusa; e così
avviene anche entro il
periodopiùlungo–ederotico
–delcanto,10-26(«delcolor
vestita / Della bruna
viola…»).
Semmai
la
tensione è frenata da
espansioni brevi, dalla serie
di
subordinate
implicite
sintetiche, 14, 16, 19, 24, e
dall’apposizione, 18-19, e
vedi anche 37-39 ecc.
(interessante la somiglianza
di«Purquell’ardorchedate
nacqueèspento»77conAse
stesso 5: «Non che la speme,
ildesiderio è spento»). Mi si
consentirà di tralasciare per
brevitàilConsalvo.
Canti napoletani. Nella
lassa iniziale della prima
Sepolcrale, tutta a rapide
interrogative a catena, ai
primi tre versi perfettamente
‘prosastici’ ne seguono
quattro più lavorati, semmai
alleggeriti dalla combinatio
che è di tutte le lasse – qui,
nellasecondaterzaequintaa
rima baciata, nella quarta
secondo a7b7(b5)A, nella
sesta secondo a7b7a7c7c7B,
nell’ultima,conprevalenzadi
endecasillabi, a7Xba7B, e
non c’è dubbio che la
serratezza metrica ‘contiene’
e armonizza la letterarietà
sintattica.Un’occhiatasoloal
periodo maggiore che, a
partire
dall’attacco
avversativo
Ma
così
leopardiano di 28, indice
come sempre di scatto
mentale,terminaalv.44,fine
della lassa, dopo aver
abbracciato anche una veloce
comparativa, 36-37: si veda
ad esempio 34-35: «Prima
che incontro alla festosa
fronte/ilúgubrisuoilampiil
ver baleni», con serie di
allitterazioni,o81-94,dovea
tre versi in ordine normale
segue inversione in chiasmo,
oancora100ss.ecc.InSopra
ilritrattolaprimainversione
negli scheletrici periodi
iniziali è fatta apposta per
rilevare il contrasto fra
bellezzapassata«Tufosti:»e
presentemiseriadelcadavere:
«Polve e scheletro sei», con
cadutaintonativasulpresente
del verbo; ma subito dopo
viene un periodo ad alto
gradodiartificialità,2-7:«Su
l’ossa e il fango /
Immobilmente
collocato
invano, / Muto, mirando
dell’etadi il volo, / Sta, di
memoria solo / E di dolor
custode, il simulacro / Della
scorsa beltà». L’esempio può
rappresentare press’a poco
l’interotesto;magarifacendo
mentelocaleallachiusa,dove
l’interrogazione protratta che
occupa l’intera strofa è
frenata
spezzandola
in
membri
diversi,
legati
dall’anafora
della
congiunzioneSe(eaccentodi
seconda in tutti e tre i casi).
SaltoperbrevitàlaPalinodia,
in tutto e per tutto
idiosincraticaentroiCanti.
Che nella Ginestra la
dimensione quasi sempre
amplissima dei periodi – uno
dei quali di ben 35 versi
occupa un’intera lassa, in
coincidenza
con
una
comparativa – implichi
altrettanto
spesso
una
collocazione molto costruita
delleparole,ècosaovvia:cfr.
le inversioni e gli iperbati di
117:«Eilbassostatoefrale»,
136-137:«elaccioporre/Al
vicino ed inciampo», 175176: l’iconico «Quegli ancor
più senza alcun fin remoti /
Nodi quasi di stelle», 228229: «a cui sgabello / Son le
sepolte, e le prostrate mura»
ecc. Si dovrà semmai notare,
dal lato opposto, che la
frequentissima inserzione di
settenariinfunzionedipausa
erilanciocomportavolentieri
sequenze in ordine retto (fin
dasubito,1-3:«Quisull’arida
schiena…», e poi 9, 40, 52,
77, 78, 145 ecc.), e che i
periodi tendono a ridursi
quando è di scena l’odorata
ginestra, 1-7, 297-304, in
entrambiicasiadaperturadi
lassa, prima e ultima; oppure
nell’idillismocosmicodi158166(quitreediseguito);ma
è maestoso il periodo
successivo che trasferisce lo
sguardo
dall’esperienza
visiva usuale, quasi per
successiveagnizioni,aquella
del cosmo. Ancora una volta
la testura del Tramonto della
lunaèdiversa,purconampie
zone di parentela con la
Ginestra:
contemplazioni
paesistiche
protratte,
vastissima comparativa qui
addirittura
interstrofica
(«Quale…» 1, distanziato
anche da «Scende la luna» –
«Tal…» 20 (e cfr. pure la
Palinodia 154-172) – si noti
però la ripresa idillica: «/
Scende la luna; e…» 12,
come «/ Posa la luna, e…»,
Sera del dì di festa 3).
Dunque: stando sulla prima
lassa iperbato o epifrasi a 2:
«Sovra campagne inargentate
ed
acque»,
completa
inversione ai vv. 4-8, ma
ancheunasequenzadicinque
settenari,quasiannunciatada
quello che inizia la lassa
come tutte le altre, e
legamenti
scorrevoli
mediantecongiunzionesiatra
sintagmi che tra frasi, 4-5
(anafora), 8 (come si è visto,
polisindeto),10(o…o…),12,
13,
16,
cosicché
le
subordinate sono brevi o
minime o implicite: in totale
cinquesubordinatedicuidue
coordinate fra loro, contro
setteprincipali,da12inpoia
catena. Più avvolta su di sé
nellasuapiegaragionativala
seconda lassa, ma ecco la
quarta:
innestata
dall’allocuzione,
stigma
dell’affettuositàleopardianae
della prossimità che è solo
sua di soggetto e oggetto
(«Voi,
collinette
e
piagge…»),lalassapartecon
una sintassi periodica ma poi
lascioglie(ea57,59,76,nè
a 65); e qui pure prevalgono
le subordinate implicite, 52,
58,59,oquellepiùsemplici,
indice di castità espressiva
(«poi
che
la
bella
/
Giovinezzasparì»).Ealresto
pensaillessico,cheanchenei
suoi elementi unici o quasi
nei
Canti
(collinette,
folgorare, «fuggente luce»,
inargentato
due
volte,
imbiancare,inondare,lucido,
occidente,oscurità),unificail
tutto con effetti di acuità
visiva e luminismo mai così
pregnantiecompatti.
Ora
qualche
spunto
conclusivo, o incremento,
senza sistematicità ma non
senza ripetizioni. In linea di
massima anche i fenomeni
sintatticischedaticonfermano
ciò che già ci dice il lessico,
cioèilrifluiredell’esperienza
delle Canzoni entro quella
degli ultimi Canti, specie dei
napoletani. Tuttavia anche in
questo caso conviene sostare
sulle differenze piuttosto che
sulle affinità. Perché nelle
Canzoni l’ardimento – in
omaggio ai temi grandiosi e
remoti – era coassialmente
sintattico e lessicale, mentre
per gli ultimi Canti si deve
anche parlare di una
riduzione di quella distanza
fra lingua della poesia e
linguadellaprosachecomesi
sa Leopardi accusava come
grave difetto dell’italiano,
giudicandolequasiduelingue
diverse. E certo alla base di
questa fusione sta anche il
cospicuo defluire in essi di
passi e idee delle Operette e
dello Zibaldone, mentre in
precedenzapotevaavvenireil
contrario
(precedenza
dell’Infinitorispettoailuoghi
del Diario sulla «veduta
ristretta», di A Silvia sulla
bellissima pagina di Zib.
4310-4311). E forse si può
dire
che,
quasi
di
conseguenza,
i
Canti
napoletani
riprendono
l’ampiezza della sintassi che
era già delle Canzoni, ma a
meno di quella intricatezza,
quasi di quella prevalenza
dell’elocuzione sul motivo.
Parla chiaro la quarta e
straordinaria lassa della
Ginestra,ilperiodopiùesteso
che Leopardi abbia dettato
(vv.158-201,coincidentecon
la lassa stessa) e che non è
come un tempo centripeto,
ma centrifugo, per successivi
rilanci e ampliamenti che
comegiàaccennatosembrano
mimare in crescendo le
successive e sempre più
decisive scoperte dell’occhio
e della coscienza (un po’
come,seèlecitocomparareil
grande col piccolo, negli
Idilli: vedi infatti il ricorrere
dellecongiunzionieedanche
o).
Mentre
insomma
l’ardimento delle Canzoni,
che come nel Bruto minore
poteva arrivare a esperimenti
eccezionali di style coupé, si
muoveva pur sempre entro
strutture date, e sia pure
fortemente intaccate, nei
Canti ultimi è un ardimento
illimitato che travolge ogni
struttura, sia questa la stanza
di canzone isolata di A se
stesso, come dilatata e fatta
esploderedall’urtodelletante
frasi brevi e dalle pause dei
tanti silenzi, sia il profilo
dell’immensaGinestra,chesi
fa fatica a credere quello che
è, una canzone libera. Qui
come altrove nel Leopardi
tardo la sintassi non si
modellainformaconsecutiva
sugli enunciati come, e
perfettamente,negliIdilli,ma
sembra quasi estendersi
audacemente sopra di essi,
con quello che mi è già
accaduto di chiamare un
ductus che spazializza il
linguaggio. E tuttavia è già
nelle maggiori Canzoni che
Leopardi inventa e mette a
punto quella sintassi che –
eccezion fatta, e non è da
poco,perilcastoefluidostile
idillico–glisaràpoipropria:
una sintassi a larghe diastoli
che però si contraggono
continuamente in sistoli, ad
ampie e maestose costruzioni
razionali pronte però a
invertirsi continuamente in
rapidi improvvisi che dicono
più intensamente i moti del
cuoreeinfattiospitano,anche
a cascata, i movimenti
espressivi più caratteristici
del poeta: le allocuzioni
inattese(«Tusìplacidasei?»)
eidialoghi,leinterrogazioni,
leesclamazioni,icrescendi,i
rientri subitanei nell’io, le
disarmate constatazioni («.
Altrotempo.»),leformedella
gnome. Il che vuol dire,
ancora una volta: strappi di
oralitàentrolasapienzadella
scrittura.
Ma non è il caso di
prendere le quattro o meglio
cinque ‘fasi’ dei Canti come
cosasalda.Standoancorasui
Canti napoletani, è evidente
la complementarità, da ogni
punto di vista, delle due
Sepolcrali, che d’altra parte
nell’asindetismoanchespinto
misto allo stile periodico
sembrano
risentire
di
soluzioni esperite nei Canti
fiorentini. Però non solo la
Palinodia
sta
a
sé
incrociandosialmassimocon
qualchepassodellaGinestra,
ma il Tramonto della luna,
mentrenelledueprimestrofe
condivide – sia pur
diversamente declinato – il
gigantismo della Ginestra, lo
contraddicepoiconfenomeni
di metrica e di microsintassi
che riprendono e potenziano
le esperienze decisive della
tratta
Idilli-Canti
pisano-
recanatesi.Dipiù:dall’analisi
sintattica sopra abbozzata
riesce quasi totalmente
dissolta l’unità del Ciclo di
Aspasia: già è relativa la
parentela fra i primi due
individui, ma gli altri si
differenziano profondamente
l’unodall’altro;aessercauti,
si deve parlare, per cinque
componimenti,
Consalvo
compreso, di quattro ‘tipi’
differenti.
Massimo
di
singolarità è naturalmente in
Asestesso,colsuostilerotto
portato all’estremo e la sua
‘prosa’ (fra molte virgolette)
di monologo; ed è da vedere
se le due caratteristiche
sintattiche più marcate di
quella
strofa
isolata,
epigrafismo
e
frammentazione da un lato,
inversioni magari in vista di
mise en relief dall’altro, si
componganoveramenteinun
tutto unitario o stiano in una
almeno
latente
contraddizione. In ogni caso
Asestessoèl’eccezionedelle
eccezionineiCanti.
Ma anche all’interno di
‘sezioni’ più compatte come
gli Idilli sono emerse
ulteriormente le singolarità.
Confermata è anzitutto la
posizione particolare della
Vita solitaria, epitome degli
altri Idilli però anche snodo
fra questi e il futuro,
compreso
quello
non
immediato: ma la sua
singolarità è soprattutto
tematica e lessicale. E anche
Alla luna, questo idillio al
gradozeroconlasuaassoluta
castità verbale e naturalezza
dell’enunciazione, tale che è
deltuttoesentedametaforee
altre figure di somiglianza, è
tuttavia priva di polisindeti,
sfraghìs degli altri Idilli: in
effetti il delizioso carme
piuttosto che scorrere per
onde successive si presenta
come accennato nella forma
di
piccolo
congegno
dialettico: vv. 1-5 = tesi; vv.
6-10 (introdotti dal deciso
Ma) = antitesi; vv. 10-14, o
16 nella redazione definitiva,
= sintesi, che contiene
appunto sia tesi che antitesi
anche se, s’intende, non si
trattadiunaAufhebungenon
si
profila
una
vera
‘soluzione’.
Non mi soffermo sulle
molte ragioni che entro i
Canti
pisano-recanatesi
conferiscono anche al Canto
notturno una funzione di
ponte, e anticipo di modi
dell’ultimo
Leopardi.
Viceversa:quasiestravagante
è nella sezione, e in tutta la
raccolta, il Risorgimento, ma
è molto probabile che a
questo esercizio si deva
l’esplosionedisettenarichesi
ha
a
partire
dalla
contemporaneaASilviaepoi
in tutte le canzoni libere
successive: già in A Silvia
iniziano con settenario la
prima strofa e con lei tutte
fuorché una, con settenario
tuttesispengonoequasitutte
hanno
eptasillabi
in
prevalenza;guardandolecose
da altra angolatura, s’arriva
niente meno che ai sei
settenari di seguito in Amore
eMorte o ai cinque in Sopra
il ritratto, Tramonto della
luna, Ginestra. Colpisce la
differenza con le Canzoni
vere e proprie: in cui i
settenari sono per lo più in
minoranza, in numero pari
agli endecasillabi solo nella
Sorella Paolina e nel Bruto
minore,innumerosuperioree
in attacco solo nella prima
strofa della Canzone più
liberata,AllasuaDonna.Esi
scorra invece l’Ultimo canto,
a strofe di 18 versi: 16
endecasillabi di seguito, poi
unsolosettenariochevariala
rima baciata finale, con
endecasillabo. Conviene però
spostarsi dalla spiegazione
genetica a una immanente: è
molto
probabile
che
l’aumento dei settenari dal
’28 in poi ci porti a uno dei
centridelpoetarediLeopardi,
vale a dire la sua volontà di
risolverlo,ancheattraversola
copia e le colate di settenari,
tantopiùincantoquantopiùi
suoi contenuti sono diventati
irrimediabilmentenichilistici.
Matorniamoagli Idilli e a
quanto li prosegue fino alla
riemersione carsica nel
Tramonto
della
luna.
Contemporanei alle Canzoni,
gli Idilli oppongono a quello
stile teso ed ardito, in modo
stupefacente non meno che
coerente, uno stile che come
nellessicononèpiùsublime
nell’eroico e nel mitico, ma
sublime nella quotidianità,
cosìsiesprimeinunasintassi
della continuità e della
scorrevolezza, una sintassi
comedettodell’e:nellaquale
ciòchecontaècertamentela
fusione musicale, ma più
ancoralasuaappropriatezzaa
un’attività dei sentimenti e
della coscienza che senza
dubbio appare nel qui-e-ora
(questo, ecco) ma soprattutto
si svolge e si racconta,
contempla se stessa nel
momento
medesimo
che
contempla l’esterno a sé.
Poeta sempre del tempo – e
nel Canto notturno, nel
Tramonto e nella Ginestra
dello spaziotempo del cosmo
– Leopardi scopre con gli
Idilli e poi coi Canti pisanorecanatesi una dimensione
temporale altra da quella a
ritrosodellastoriaedelmito,
il tempo dell’interiorità che
ascolta e quasi misura il
proprio sviluppo, e di
conseguenza
temporalizza
anche gli oggetti ed eventi, o
epifanie,
della
propria
contemplazione.
E forse si può aggiungere
altro. Se è vero come è vero
quanto
ha
detto
memorabilmente il grande
Wilamowitz del greco, che è
«la lingua del mén e del
dé»[13],
questa
sintassi
leopardiana dell’e non è che
un altro aspetto della sua
‘grecità’: garante dell’unica
condizione alla quale per
Leopardi, saltando sopra la
decadenza e la prigionia del
moderno, si può e si deve
veramente poetare, specie
nell’unica autentica, per lui,
dimensione poetica, quella
lirica. Sarebbe un elemento
daaggiungereaquelguardare
ai Greci per cui Leopardi
prosegue Foscolo – ma con
tanta più filologia –
opponendosiperòaisuoidue
maggiori contemporanei in
poesia, Monti, tutto latino[14],
elostessoManzonianchelui
latino sebbene di una diversa
latinità (accanto ai classici le
Scritture,
la
letteratura
cristianaanticaemoderna…).
Ilchecertolocollega–maè
unadellerarefratellanzevere
–
ai
grandi
romantici
tedeschi.
[1]Maèindispensabilevedereorasu
questa lirica L. Blasucci, Saggio di
commento a un canto leopardiano:
«Bruto minore», in Studi in onore di
Pier Vincenzo Mengaldo, Firenze,
Sismel-EdizionidelGalluzzo,1987,pp.
841-878.
[2] Cfr. L. Lugnani, Il tramonto di
«Allaluna»,Padova,Liviana,1976.
[3] M. Brose, Moontime and
Memory: Leopardi’s «Alla luna», in
«StanfordItalianReview»,9,1989,pp.
155-179.
[4] Cfr. P.V. Mengaldo, Sonavan le
quietestanze.Sullostiledei«Canti»di
Leopardi,Bologna,IlMulino,2006,pp.
147-167.
[5] Ma mi sembra ricca di indizi
decisivi l’analisi di F. De Rosa, Dalla
canzonealcanto.Studisullametricae
lostiledei«Canti»leopardiani,Lucca,
PaciniFazzi,2001,pp.139-172.
[6] Cfr. E. Pasquini, in «Studi e
problemi di critica testuale», 1, 1970,
pp.195-217e6,1973,pp.198-199.
[7]A.Monteverdi,Frammenticritici
leopardiani,
Napoli,
Edizioni
ScientificheItaliane,1967,pp.125-136.
[8] L. Spitzer, Saggi italiani, a cura
diC.Scarpati,Milano,VitaePensiero,
1976,pp.251-291.
[9] Cfr. abbandonato : stato 7-11,
stringendo:rendo28-31(conSentendo
al m. 26), rende : discende che fa eco
allaprecedente34-43,laseriein-atodi
108 ss. e la quasi-rima appariro –
Elvira75-78.
[10] Come mi suggerisce l’amico
Alfredo Stussi, può ben darsi che la
scelta per l’asindeto non sia solo
stilistica ma semantica, marcando una
progressione; e ad es. cfr. ancora Alla
suadonna21:«es’ancoparialcuna/Ti
fosse al volto, agli atti, alla favella».
Verissimo, e tuttavia altrove effetto
analogo è ottenuto col polisindeto (cfr.
ades.Infinito4-6).
[11] Vedi per questo S. Agosti, Il
testo poetico. Teorie e pratiche
d’analisi, Milano, Rizzoli, 1972, pp.
39-41.
[12] Considero l’ordine possessivoverbo del cosiddetto ‘imperativo
tragico’ normale nella lingua poetica
dell’epoca.
[13]Permaggiorchiarezzamilimito
a citare due testi ben noti a Leopardi,
«Coluimisembrapariaglidei»diSaffo
e i versi di Simonide sui morti alle
Termopili (vedi Lirici greci, testo a
fronte, a cura di S. Beta, trad. di F.M.
Pontani,Torino,Einaudi,2008,pp.88e
170).
[14] Cfr. F. Gavazzeni, Studi di
critica e filologia italiana tra Otto e
Novecento, Verona, Valdonega, 2006,
pp.3-14epassim.
V
Trastrofeestrofedei
Canti
NeiCantisonoriscontrabilipiù
che altrove fenomeni di
continuità sintattica e testuale
fra strofe successive: questi
non sono semplicemente
l’eredità
della
canzone
‘antica’, ma mettono in luce il
pindarismodiLeopardieilsuo
gusto per l’immediatezza e
l’oralità.
La
tecnica
compositiva
leopardiana
rappresenta la vittoria della
libertàdelsoggettopoetante.
L’ultima e più irregolare
(salvo l’Ultimo canto di
Saffo) delle Canzoni di
Leopardi, Alla sua donna
(1823)
conserva
ormai
soltanto,
della
forma
tradizionale, la combinatioin
fine di strofe e soprattutto lo
stesso numero di versi per
strofa – non la stessa
struttura, più o meno salda
nelle Canzoni precedenti, e
chequiinvecevariadistrofa
in strofa[1]. C’è tuttavia
qualcosa che sintatticamente,
o testualmente, attenua la
partizione fra prima e
seconda strofa, ed è la
presenza
del
pronome
personale di 2a persona
all’attaccodiII:«Vivamirarti
omai…»
12
(lezione
precedente «Te veder viva»)
[2] che riprende i morfemi di
I:«Forsetu…»7,«ote…»10
(evedipoi18,20,21).
Fenomeni simili o più
marcati di continuità e
coesione sintattica o testuale
(o d’altro tipo) tra strofe
successive,chequasifannodi
due una, sono più frequenti
nei Canti di quanto forse ci
aspetteremmo, e non senza
ragioni. Si documenterà a
partire da quelli ‘metrici’, o
più generalmente lessicali e
retorici.
All’Italia 17-18: «… e
piange. / Piangi, che ben hai
donde, Italia mia…», 21-22:
«Sefossergliocchimieidue
fontivive,/Mainonpotrebbe
il pianto…» (dapprima «Non
potrei pianger tanto»)[3]; 3644:«…perte?…Nessunde’
tuoi?» – «Dove sono i tuoi
figli? [inizio di strofe] … i
tuoi
figliuoli»,
56-66:
Consorte al mezzo – morte :
forte, 113-125: -anno – ando.Sopra il monumento di
Dante 34-36: «Qualunque
petto amor d’Italia accende»
– «Amor d’Italia, o cari, /
Amor…».AngeloMai20-31:
poi: eroi–noi al m., 30-31:
«… Anco ti giovi…» – «Di
noi serbaste, o gloriosi,
ancora…», 45-46 (lezione
primitiva senza Anco a 30,
con ancor interno a 31)[4]:
«Siam fatti esempio alla
futura etade» – «Bennato
ingegno [sempre in 4a-5a
posizione], or quando altrui
non cale»[5], 104-106: primo
(interno)–primo(fineverso),
121-136 (versi iniziali di
strofa): «O Torquato, o
Torquato…» – «Torna
torna…» (altra geminatio in
invocazione, e si tratta
sempredelTasso),136-140:anda(rimabaciatafinale)–ando, 159-166: Memorando
int. – Disdegnando id., a
inizio strofa e seguito da
fremendo.
Alla
sorella
Paolina 60-61: «core… non
di fanciulle, amore» (rima
baciata finale) – «Madri
d’imbelle prole» : cole, 85-
91.
Volonterosa
int.
–
generosaid.ainiziostrofa.A
unvincitore 12-13-14: cara:
prepara – barbarico (al
mezzo; dapprima, ancor più
significativamente, «Non del
barbaro…»)[6],26-31:Eufrate
al m. (ultimo verso) – scote
(primo verso) : rote. Bruto
minore 26-32: pietà –
Necessità entrambi int., 104110: sciagura : cura (baciata
finale) – futura int. Alla
Primavera 20-21 e 39-40
(inizidistrofe):«Vivitu,vivi,
o santa / Natura? Vivi…?» –
«Vissero i fiori e l’erbe, /
Vissero i boschi un dì», 7577:scellerato:cognatoint.,il
secondo a inizio strofa.
Ultimo canto di Saffo 35-37:
Disdegnando – nefando
entrambi int., il secondo a
inizio strofa, 54-55: «Virtù
non luce in disadorno
ammanto» – «Morremo. Il
velo indegno a terra
sparto…». Pepoli 86-89:
indarno – fraterno entrambi
in fine v. Ricordanze 49-50:
«O dell’arida vita unico
fiore»(lez.precedenteunpo’
diversa)[7] – «Viene il vento
recandoilsuondell’ora»(più
«borgo» al mezzo e
«conforto»
al
verso
successivo), 76-78: beltà –
età,entrambiinterni,ilprimo
infinestrofa.Laquietedopo
la tempesta 40-42: offese :
cortese
e
a
8-25
il
particolarisssimo Ogni cor si
rallegra – Si rallegra ogni
core (inizio strofa). Il sabato
delvillaggio 31 (al mezzo) e
38-42: intorno – giorno
(inizio lassa) : ritorno (e
Giorno al m. 46, altra lassa).
Canto
notturno
34-39:
affaticar – fatica (inizio
strofaefineverso),59-62:sei
– sei (il primo in fine v.),
131-133: animale : assale
(rimain-aleinchiusadiogni
lassa) : ale (rima inclusiva a
inizio
lassa).
Passero
solitario 11-20: migliore :
fiore(ultimov.dellastrofa)–
core(conlorosempreinfine
v.),27-45:sera(: primavera)
: sera (inizio lassa, la prima
«sera» ‘propria’, la seconda
metaforica).
Pensiero
dominante 115-117: «… al
ver s’adegua» – «E tu per
certo, mio pensier, tu
solo…», 134-135 e 136-137:
leggiadria : sia : pria : seria
(alm.).AmoreeMorte24-33:
sapiente
(al
m.)
:
novellamente
:
sente
:
possente(alm.),44-47:«Che
già, mugghiando, intorno
intornooscura» : «E fulmina
nel cor l’invitta cura».
Consalvo 118-120: paventato
: beato(interna).Aspasia2633: «Apparve / novo ciel,
novaterra,equasiunraggio/
divino al pensier mio» –
«Raggio
divino
al
mio
pensiero apparve…», 59-61:
essa al m. : stessa (inizio
lassa).Sopraunbassorilievo
6-12: tetto : ricetto : aspetto
(con atto), 53-59: vita (in
rima baciata finale) : vita.
Sopra il ritratto 17-20: «or
fango / Ed ossa sei» – «Così
riduce il fato»[8], 33-42:
abbietto : aspetto : concetto
(al m.) : concento, 47-56:
accento : momento (fine
lassa) – senti : spenti (fine
testo). Palinodia 36-42:
Profondamente
–
Concordementeentrambiint.,
44-58: choléra : Suderà (al
m,):danzerà(alm.):seguirà
(al m.) : volerà (al m.) –
ciberà, deporrà (entrambe al
m.) ecc., 54-56: seme (fine
lassa) – fame, 205-218:
ammira(con«ancora»ecc.)–
inspira (con «ancora» e
«adora»), 256-260: pegno
(con «penso», «crescendo»,
«pelo») : segno. Ginestra
155-160: fondata – desolate,
indurato (tutte al m.). Non
poco mi sarà sfuggito o qui
nonsiregistra.
Si può pensare, specie per
le vere e proprie Canzoni
(relativamente) tradizionali
(1818-23) che questi agganci
continuativitrastrofaestrofa
siano un’eredità, sia pure
maneggiata con grande
libertà,dellacanzone‘antica’
(coblas capfinidas ecc.). Ma
nonèspiegazionesufficiente:
questi fenomeni sembrano
indicare,dipiù,ilprofilarsidi
un’asincronia fra metro e
discorsopoetico,chenelcaso
delle Canzoni andrà visto
anche come un anticipo di
quellachesaràlanovitàforse
maggiore delle canzoni
libere,daASilviainpoi,cioè
la varietà estrema nelle
misureestrutturedellestrofe
o lasse. Tale asincronismo
appare con ogni evidenza in
tutta un’altra serie di
fenomeni che creano una
continuità di genere non
‘retorico’ ma sintattico e
testuale di una strofa o lassa
con la precedente, per via di
congiunzione,
avverbi
temporali,
aggettivi
o
pronomi personali ‘anaforici’
ecc.[9] Isolerò intanto le
Canzoni.
All’Italia81:«Edilacrime
sparsoambeleguance,/Eil
petto ansante e vacillante il
piede…», 101: «Ma non
senza
de’
Persi
orrida
pena…» (periodo di due
versi, che tien dietro a 100:
«Senza baci moriste e senza
pianto»; il complemento è
sempre retto dunque da
moriste, e si noti pure che a
102 segue un Come
comparativo che spesso
gradisce la posizione iniziale
di strofa o lassa). Sopra il
monumento 52-53: «Voi
spirerà… E(d) … premeravvi
alseno»(lez.inizialesenzaa
voieintotalediversa)[10],cfr.
a voi 49; ibidem 85-87: «…
Pianga tua stirpe a tutto il
mondooscura.//Manonper
te; per questa ti rallegri /
poverapatriatua…»(periodo
di due versi), 120-121:
«Perchè venimmo a sì
perversi tempi? Perchè… o
perchè…?», a seguire la
cascata di interrogative che
chiudelastrofaprecedente(e
vedi anche similmente 180
ss.), 154: «Di lor querela il
boreal
deserto»,
con
l’aggettivo personale riferito
a sostantivo della strofa che
precede (periodo di due
versi),171:«Divoigiànonsi
lagna» (cfr. vostro più volte
nella strofa antecedente).
Angelo Mai 76: «Ma tua
vita…», contrapposto questa
volta alle prime plurali che
costellano la chiusa della
strofa che precede; 151: «Di
tefinoaquest’ora…»,cfr.Ti
(prima T’)[11] 150. Bruto
minore76:«Etudalmarcui
nostro sangue irriga…»[12],
ripresodaEtu86ecfr.Tu…
Tu… 83, mentre la strofa
precedente contiene un
doppio a voi, 106 ss.: «Non
io… E non… Non te…», a
proseguire nella chiusa della
strofa precedente e non…
Non… Nè; Alla Primavera
58:
«Nè
dell’umano
affanno…», 77: «Ma non
cognato al nostro / il gener
tuo.» (lez. primitiva diversa)
[13],
periodo
nominale
brevissimo di un verso e
mezzo, e cfr. sopra E te ecc.
Inno ai Patriarchi 22: «Tu
primoilgiorno…»,57ss.:«E
tu… o tu…», 71: «Or te…
te… E di tuo seme…»
(periodo di due versi e
mezzo) – e si ricordi che il
carme inizia, del tutto
eccezionalmente, con E voi;
per Alla sua donna vedi
citazioneall’inizio.
Ciò per le Canzoni, ma è
ancor più interessante che
questa
tecnica
della
sovrainarcatura, o inarcatura
‘testuale’
continui
a
manifestarsianch’essaoltrele
Canzoni stesse, nelle quali il
sottinteso poteva essere
appunto quello di metterne
sottilmenteincrisil’isocronia
strofica[14]. E certo già in
questitestiilfenomeno–che
allarga a cavallo delle strofe
questa o quella sezione di
discorso lasciandone come in
sospeso il primo segmento –
conviveconqualcosachenon
possiamo definire altrimenti
che pindarismo o gusto e
genio dell’improvviso, con
quanto questo comporta di
immediatezza e una volta
ancora di oralità. Del resto
nessuno si sorprende quanto
si trova a toccare con mano
infinitevoltechenellapagina
poetica di Leopardi, o del
Leopardi sintatticamente più
costruito,
la
sintassi
modellata su un respiro
ampio e disteso conosce
continuamente al suo interno
accelerazioni e frenate,
contrazioniesprezzature.
Ecco gli esempi (non
sapreisetutti)successivialle
Canzoni
(trascuro
ovviamente, come per i tipi
precedenti di legatura, il
Risorgimento). A Silvia 49
ss.: «Anche peria fra poco…
Anche…» (e vedi Perivi 42).
Ricordanze 28: «Nè mi
diceva il cor…» (19 ss.: «E
che pensieri immensi… e
quantevolte…»),104:«Egià
nel
primo
giovanil
tumulto…». Canto notturno
61: «Pur tu, solinga, eterna
peregrina…» (59-60: «Ma tu
mortal non sei… ti cale»).
Sabatodelvillaggio31:«Poi
quando intorno è spenta ogni
altra face…». Pensiero
dominante 7: «Di tua natura
arcana…»,cioèdel«pensiero
dominante» specificato nella
prima strofa come stretta
appartenenza del locutore
(mia,miei,ame2,5,6),7681: «Al paragon di lui?» –
«se non per lui, per lui…»,
117: «E tu per certo, o mio
pensier…» (cfr. anche morte
116-120 e sei al m. 113 che
anticipalarimamieieancora
sei della lassa successiva),
imago 132 in fine verso ma
non rimato che anticipa la
rima ancora di imago con
vago della lassa seguente.
Amore e Morte 45: «Poi,
quando tutto avvolge…», più
la rima interstrofica già
segnalata. Consalvo 34: «Ma
ruppe alfin la morte il nodo
antico…», 130: «Or tu vivi
beata…»
(periodo
brevissimo,ecfr.beato120).
Aspasia 61: «Nè tu finor
giammai quel che tu
stessa…»insiemeallarimaal
mezzoconessasopracitata,e
il periodo conta meno di tre
versi,89:«Ortivanta,cheil
puoi.», e cfr. anche tollerar
88 : piegar 90 (interna).
Sopra un basso rilievo 18:
«Morte ti chiama», secca
frasedimezzoverso,ecfr.tu
17; Tramonto della luna 1-
20:
«Quale
in
notte
solinga…;//Talsidileguae
tale…», unica comparativa
interstrofica dei Canti, e a
parte le varie corrispondenze
semanticheetematichefrale
duelasse(«ilcarrettier»–«il
confuso viator» ecc.), ecco
che meno 24, senza rima
entro la sua lassa, riprende
Tirreno:seno10-11,esente:
veramente amplia fuggente
(alm.)senzarimanellalassa,
17. Ginestra 52: «Qui… e
qui…»(cfr.queste50),e297,
movimento supremo: «E tu,
lentaginestra…Anchetu…».
Qualche
conclusione
interpretativa, basata anche
sui legamenti retorici ma
soprattutto su quelli sintattici
e testuali, più significativi.
Anche per quanto riguarda
questi ultimi, dunque, una
tecnica costruttiva – o
piuttosto decostruttiva –
impiegata da subito nelle
Canzoni, e lì forse anche per
le ragioni specifiche già
accennate, si prolunga da
quellealleCanzonilibereein
genere
al
Leopardi
successivo: anche se, occorre
pur notare, le partizioni dei
testi ora non sono più
isocrone e quindi possono
essere, in teoria, modellate
più liberamente sulle unità
discorsive. Pure qui dunque
gliattacchistrofici‘inlevare’
o‘acontinuare’oppongonola
fluenza
discorsiva
alla
discontinuità o al discreto
della metrica; per così dire,
profilano in più casi una
metrica doppiamente ‘libera’.
È un’ulteriore vittoria della
libertà del soggetto poetante,
eunaconfermaulterioredella
bontà
della
celebre
definizione
carducciana
dell’ultimo Leopardi: «forma
senza forma», che risulta
addirittura estensibile, sulla
base del fenomeno censito, a
tutto l’arco dei Canti. Ma è
pure da credere che questo
fenomeno sia per altro verso
un effetto di chi sempre ha
esercitato anche la prosa, e
qui pure diventando presto
eccellente: quella prosa che
almeno in essenza contempla
il modellarsi delle sue
partizioni interne sulle unità
didiscorso.
D’altrapartequestiattacchi
strofici che sintatticamente e
testualmente
chiudono
piuttosto
che
aprire,
funzionano come cuscinetti
che, mentre sedano la
precedente
energia
espressiva, preparano gli
ulteriori balzi di quella,
spesso
nell’ordine
tipicamente
leopardiano
dell’improvviso e quindi
anche della oralità[15]: basti
controllare quante volte ad
essiseguanoimmediatamente
movimenti
sintattici
variamente ‘marcati’, come
interrogative (o esclamative)
anche a catena, allocuzioni,
affermazioni dell’io: quando
già non li contengano in sé.
Siamo perfettamente entro il
‘genio’ della sintassi poetica
deiCanti,chetendesemprea
contrapporre, alternando il
respiro, volute ampie e
maestose e breviationes,
strette[16], sempre nell’ordine
della miracolosa coesistenza
di costruzione razionale e
improvvisoespressivo.Enon
è fuori luogo considerare
queste sovrainarcature dello
stesso genere, se non della
stessaspecie,diciòchenella
strutturaminutadeiCantièil
continuo fluire e accavallarsi
degli enjambements, che non
oppongono soltanto le unità
sintattiche a quelle versali,
ma creano spessissimo
attraverso di queste, come è
bennoto,nuovemisure,versi
dentro i versi (cfr. anche il
saggio successivo). È chiaro
poicheicollegamentiditipo
metrico,lessicale,retoricofra
strofa e strofa, lassa e lassa,
non avrebbero una funzione
particolare nella direzione
indicata–sarebberoinsomma
solointelligentirielaborazioni
di tecnicismi tradizionali
nella forma – canzone –, se
non ci fosse appunto l’ampia
distribuzione
delle
sovrainarcature sintattiche e
testuali (che più di una volta
le
accompagnano
topologicamente) ad attrarle
nella loro sfera. Anch’esse,
nella
loro
apparente
formalizzazione, partecipano
dunque alla creazione della
«formasenzaforma».
[1] D. De Robertis, Leopardi. La
poesia, Bologna-Roma, Cosmopoli,
1996, p. 107 (e ss.) le appone
acutamente l’etichetta beethoveniana –
emontaliana–di«quasiunafantasia».
Per la morfologia delle Canzoni in
generale cfr. soprattutto L. Blasucci, I
tempi dei «Canti». Nuovi studi
leopardiani,Torino,Einaudi,1996,pp.
3-43e(ancheperlacanzonelibera)eF.
DeRosa,Dallacanzonealcanto.Studi
sulla metrica e lo stile dei «Canti»
leopardiani,Lucca,Pacini-Fazzi,2001.
Avverto che qui mi limito a una scelta
dei casi; ulteriori esempi si troveranno
inaltricapitolidellibro.
[2] G. Leopardi, Canti, ed. critica di
E. Peruzzi con la riproduzione degli
autografi,Milano,Rizzoli,1981,p.366.
[3]Ibidem,p.8.
[4]Ibidem,pp.78-79.
[5] Esempio rafforza una rima in egnonelPensierodominante55-58.
[6] Leopardi, Canti, ed. critica
Peruzzi,cit.,p.130.
[7]Ibidem,p.446.
[8]L’importanzadiquestaassonanza
forte,orimaparonomastica,antinomica
ègarantitadaAsestesso10-12(alm.).
[9]Esempidelledueprimecategorie,
permaggiorchiarezza,all’internodelle
strofeolasse:All’Italia78:«Esulcolle
d’Antela…»;Infinito4:«Masedendoe
mirando…»;Allaluna6:«Manebuloso
etremulo…»; Pepoli 44: «Ma noi, che
il viver nostro…»; Ricordanze 152:
«Marapidapassasti…»;Cantonotturno
14:«Poistancosiriposainsulasera»,
98: «Ma tu per certo, /», 117: «Ed io
pur seggo…» (con sfumatura
avversativa); Sabato del villaggio 20:
«Or la squilla dà segno…»; Palinodia
194-197: «Ma della vita… Ma novo e
quasi / Divin consiglio…»; Tramonto
della luna 63: «Ma la vita mortal…»;
Ginestra 63: «Non io…», 65: «Ma il
disprezzo più tosto…», 94: «Ma se di
forza e di tesor mendico…», 307-314:
«Ma non piegato insino allora
indarno… ma non eretto… Ma più
saggia, ma tanto / Meno inferma
dell’uom…»: Frammento XL 29: «Ma
persentenziamia…»ecc.
[10] Leopardi, Canti, ed. critica
Peruzzi,cit.,p.38.
[11]Cfr.ibidem,p.102.
[12]IlrilancioconE(e)tuallocutivo
(anche Ma, Nè, Pur tu) – talora con
replica del pronome – è una vera e
propria sfraghìs leopardiana: cfr., oltre
a quanto citato di seguito, Alla Sorella
Paolina 90; Inno ai Patriarchi 25, 57;
Vita solitaria 17; A Silvia 5; Canto
notturno 69; Amore e Morte 96;
Palinodia271.
[13] Cfr. Leopardi, Canti, ed. critica
Peruzzi,cit.,p.38.
[14] Notevoli osservazioni in
Blasucci, I tempi dei «Canti», cit., pp.
103-122.
[15] Fanno testo le allocuzioni
subitanee e le aperture col presentativo
ecco, anche queste marca ricorrente
dell’espressività leopardiana, come (e
non di rado nella stessa posizione
interna al verso, prima di un segmento
diquattrosillabelegatoall’avverbioda
sinalefe) in All’Italia 127; Monumento
diDante69e150;AngeloMai97e99;
Alla sorella Paolina 95 e 97 (in
simmetria); Bruto minore 91; Inno ai
Patriarchi39eUltimocanto68(fattura
simile);Quietedopolatempesta4e19,
duevolte(realizzazionimassime)ecc.
[16]BeneDeRosa,Dallacanzoneal
canto,cit.,2001,p.72.
VI
‘Legato’e‘staccato’
neiversideiCanti
NeiCanti gli endecasillabi che
contengono
almeno
una
sinalefe (definiti di tipo I)
prevalgono
in
maniera
consistente – sono più di sette
voltetanti–sugliendecasillabi
con ‘staccato’, senza alcuna
sinalefe(ditipoII).L’adozione
delle due tipologie risponde a
necessità diverse sul piano
sintattico-metrico:
gli
endecasillabi di tipo II sono
spesso corrispondenti a frasiverso; al contrario, quelli di
tipo
I
debordano
sintatticamente oltre il confine
delverso.
Chiamo endecasillabi (per
ora) con ‘legato’, o tipo I,
quellichecontengonoalmeno
una sinalefe, pur rendendomi
bencontochealtroèunsolo
legamento per verso, magari
minimo(comeadesempioeil), altro tre o addirittura
quattro, a parte fenomeni
d’accompagnamento
di
diverso carattere. Ma non
posso
in
via
iniziale
procedere altrimenti, sia
perchéulteriorisuddistinzioni
sarebbero ardue sia perché
impedirebbero conteggi per
quanto approssimativi (e il
lettore faccia sempre un po’
di tara ai miei numeri e
percentuali). Chiamo invece
endecasillabi con ‘staccato’
(tipo II) quelli senza sinalefe
alcuna, vale a dire con
addossamento totale alle
precedenti (terminino in
vocale o consonante) di
parole
ad
attacco
consonantico.
Do
per
scontato che la lingua
italiana, a differenza ad
esempio dell’inglese, è una
lingua fortemente ‘vocalica’,
con attacchi molli e
terminazioni quasi sempre
vocaliche[1] (ma meno in
poesia a causa delle
istituzionali apocopi), ed è
tale perciò da implicare
frequenti sinalefi, il che fa sì
che il tipo I è in netta o
nettissima
maggioranza
presso
qualunque
poeta
rispetto al II, a meno che
quest’ultimo
non
sia
perseguito per particolari
effetti
del
messaggio
stilistico,comenelmartellato
ossessivo del Cavalcanti o
nella ricerca di gravitas del
DellaCasa[2].
Detto questo non guasta
subito qualche confronto di
percentuali con i poeti più
notevoli che precedono e
anche influenzano Leopardi
(per i Canti ho spogliato
nell’Appendice
solo
i
Frammenti
XXXVIII
e
XXXIX). Nel totale i Canti
presentano
la
seguente
proporzione: il tipo II ricorre
assaimenodi1/7divoltedel
tipo I. Invece: Meriggio del
Parini = c. 1/6; Monti, l. VII
dell’Iliade = un po’ meno di
1/6; Bellezza dell’Universo =
1/5; Sciolti al Chigi = più di
1/5;Pensierid’amore=,forse
significativamente,unpo’più
di 1/7; Foscolo, Sonetti = un
po’ meno di 1/6 (e in tre
sonetti si hanno quattro
endecasillabi del tipo II);
Sepolcri,
un
po’
inaspettatamente, = più di
1/7. Date appunto le
caratteristiche
prosodiche
dell’italiano
anche
le
differenze numeriche non
vistose sono senz’altro
indicative. E ancor più lo
diverrebbero,ècerto,tenendo
conto almeno dei seguenti
due fattori: a) della relazione
tra endecasillabi e settenari
nelle Canzoni, tradizionali o
libere, dei Canti (cfr. oltre);
b) della scorrevolezza e
libertà nei rapporti sintassimetro o verso tipica di
Leopardi, tale che in lui si
verifica tanto più spesso che
nei citati precedessori la
formazione di endecasillabi a
cavallo di due versi
successivi
legati
da
episinalefe. Nell’Infinito, per
fare subito un caso estremo,
leoccorrenzediquestiversia
cavallo sono almeno quattro
susoloquindiciposizioni(1-
2,
7-8,
12-13,
13-14).
Qualche altro esempio o
numero,
sicuramente
approssimativi per difetto e
tralasciando le Canzoni
fuorché Alla sua Donna
(probabilmente influenzata
dall’esperienzadegliIdilli),e
altri testi: Passero solitario
34-35:«eincors’allegra./Io
solitarioinquesta/…»;Sera
del dì di festa 27-28: «al suo
povero
ostello;
/
E
fieramente…»; Alla luna 910: «nè cangia stile, / O mia
dilettaluna»;Vitasolitaria910: «e l’aura fresca, / E le
ridenti piagge»; Alla sua
Donna9-10:«Orleveintrala
gente / Anima voli?», 40-41:
«Di te pensando, / A palpitar
mi sveglio», e altri due casi
ibidem; A Silvia 42-43: «e
nonvedevi/Ilfiordeglianni
tuoi», più altri cinque casi
ibidem; Ricordanze 125-126:
«e quasi / (Inusitata
maraviglia!)»; ben dodici
esempi nel Canto notturno,
cinquenellaQuieteebenotto
nelSabato;ancoramoltissimi
in Amore e morte (undici) e
in Aspasia (nove); Tramonto
dellaluna14-15:«eilmonte
imbruna; / Orba la notte
resta»[3].
Naturalmente
importanza e per così dire
legittimitàdelfenomenosono
anche
garantiti
dalla
frequenza (benché minore,
comeèmoltosignificativo)di
endecasillabi a cavallo senza
episinalefe, che questa volta
esemplificorapidamentedalle
Canzoni: All’Italia 3-4:
«Torri degli avi nostri, / Ma
lagloria…»,55-56:«…eper
la pia / Consorte e i figli
cari»; Sopra il monumento
82-83: «s’unqua cadrai, /
Cresca se crescer può…»,
109-110: «Non degl’itali
ingegni / Tratte l’opre…»;
AngeloMai20-21:«Ancoraè
pio / Dunque all’Italia il
cielo»; Sorella Paolina 7172: «la sposa giovanetta il
fido / Brando…», 87-88:
«anzi che l’empio letto / Del
tiranno…»; Brutominore65-
66: «o da montano sasso /
Dare al vento…»; Alla
Primavera 3-4: «onde fugata
e sparta / Della nubi…» (?)
ecc.
Inoltreilpiùomenoesteso
legato è accompagnato più
volte
da
dieresi
tradizionali/latineggianti o da
iatinaturali,cheprolunganoe
rallentano
la
dizione:
All’Italia 107: «Tal fra le
Persetormeinfuriava»;Sopra
il monumento 180: «La
ritraesse! O glorioso spirto»;
Sorella Paolina 41: «Per
vostra mano? Attenuata e
franta»; Bruto minore 46:
«SpiaceagliDeichiviolento
irrompe», 78: «E l’inquieta
notte e la funesta»; Alla
Primavera45:«Congliocchi
intenti il viator seguendo»
(altri cinque casi del genere
nellaCanzone);Ultimocanto
8:«Noil’insuetoallorgaudio
ravviva»; Infinito 8: «Il cor
non si spaura. E come il
vento»; Alla luna 1: «O
graziosa luna, io mi
rammento»; Il sogno 2: «Per
lo balcone insinuava il sole»
(qui altri cinque versi del
genere); Alla sua Donna 42:
«Nel secol tetro e in questo
aernefando»;Ricordanze16:
«Ivialiodoratiedicipressi»;
Canto notturno 6: «Di
riandare i sempiterni calli»;
Sabato 6: «Un mazzolin di
rose e di viole»; Amore e
Morte 60: «Dall’imo petto
invidiò colui»; Sopra un
basso rilievo 46: «Natura
illaudabil maraviglia»; Sopra
ilritratto 43: «Onde per mar
delizioso,arcano»ecc.[4]
Come accennato, sono ben
frequenti gli endecasillabi
legati,comesupontisospesi,
datresinalefi,adesempio,fra
i moltissimi, All’Italia 5:
«Non vedi il lauro e il ferro
ond’eran carchi»; Sopra il
monumento 193, complice il
polisindeto: «E le carte e le
tele e i marmi e i templi»
(dunque anche con E
iniziale);AngeloMai,oltread
altri, tre versi così sagomati
di
seguito
a
163-165;
Vincitore nel pallone 37:
«Costume ai forti errori esca
nonpose»(conl’appoggiodi
fitte allitterazioni); Bruto
minore 117: «Le penne il
bruno augello avido roti»,
Ultimocanto19:«Belloiltuo
manto,odivocielo,ebella»;
Vita solitaria 58: «Brillano i
tettieipoggielecampagne»,
ancora con polisindeto; Alla
sua Donna 21: «Ti fosse al
volto, agli atti, alla favella»
(quifondendounparallelismo
asindetico); Ricordanze 160:
«Dico:oNerina,aradunanze,
afeste»(altramoderazionedi
asindeto);Asestesso10:«La
vita,altromainulla;efangoè
il mondo»; Aspasia 26: «Al
seno ascoso e desiato.
Apparve»(notare:de-si-a-to),
41:«Tuttaalvoltoaicostumi
alla favella» (cfr. sopra);
Soprailritratto33:«Sozzoa
vedere, abominoso, abbietto»
(asindeto e allitterazione);
Tramonto della luna 8: «E
rami e siepi e collinette e
ville» (polisindeto ed E
d’attacco,
cfr.
sopra);
Ginestra 303: «Ma non
piegato
insino
allora
indarno». E si può arrivare a
versi con quattro sinalefi:
All’Italia 45: «Attendi, Italia,
attendi. Io veggio, o parmi»;
SorellaPaolina 36 (cinque!):
«E il forte adopra e pensa; e
quanto il giorno»; Inno ai
Patriarchi 49: «Mortali egro,
anelante, aduna e stringe»,
65: «Riede alla terra, e il
crudo affetto e gli empi»;
Consalvo 119 (inizio di
lassa):«OhElvira,Elvira,oh
luifelice,ohsovra»;Seradel
dì di festa 23: «Mi getto, e
grido, e fremo. Oh giorni
orrendi»,
anche
con
polisindeto e come spesso
con legatura di ciò che
punteggiatura e sintassi
dividono; Sabato 31: «Poi
quando intorno è spenta ogni
altra face»; Tramonto della
luna 66: «Vedova è insino al
fine;edallanotte»,ealtri.
Dai pur selettivi esempi
citati credo emerga qualcosa
di più importante della cura
del legato in sé, ed è – come
già accennato – il fatto che i
legamenti fondono ciò che
sintatticamente è disgiunto o
discreto. Nella microsintassi,
ed è il caso soprattutto delle
sinalefi che ammorbidiscono
asindeti o simili (vedi ancora
ad esempio Vita solitaria 85
per l’anafora). Ma ancor più
nella macrosintassi, data
l’abitudine leopardiana di
iniziare un nuovo periodo, o
di inserire una subordinata,
dopo punteggiatura media o
forte, al centro del verso o
ancheallasuapunta(comein
Aspasia 26 cit.). Quindi le
sinalefi fondono con ciò che
precede riprese coordinative
con e(d) – spessissimo e
ancheridondante:Ricordanze
136 –, a(d), ahi, allor(a),
almen(o), ancor(a), anzi,
assai,ecco,il,in,io,ognora,
oh, oimè, or(a) ecc.; o
introduttori di subordinata
come allor che, infin che,
ove, il frequentissimo onde
ecc. Molto meno frequenti
sono le coordinazioni o
subordinazioni con staccato,
Soprailmonumento 102: «O
caro immaginar; da te
s’apparta»ecosì ibidem115,
Sorella Paolina 9, Vincitore
nel pallone 8, 13, 57, Bruto
minore 6, 35-36, 64 (Ma),
110, Alla Primavera 40, 47,
93 ecc. Una breve analisi
differenziale sull’Infinito: 2,
13: «E questa siepe, che da
tanta parte», «… e il suon di
lei. Così tra questa», ma
legatureanchefortia4,5,6,
7(ove),8(.E),9(io),11,12,
13.
Evidentemente non è il
caso
di
generalizzare,
anzitutto per il buon motivo
che il linguaggio poetico
italianovive,egloriosamente,
appunto dell’alternanza fra i
due tipi e della loro diversa
realizzazione
fonica[5].
Tuttavia si può tentare
qualche considerazione sul
tipo II, cominciando col
chiedersiselasuacondizione
minoritaria
non
lo
predisponga
a
qualche
privilegio di marcatezza, in
primo luogo di carattere
posizionale. E infatti in non
pochi casi l’endecasillabo a
‘staccati’ va a collocarsi ad
attaccooinchiusadistrofa(e
pure ad attacco e chiusa
assoluti).BasticitareSoprail
monumento 52: «Voi spirerà
l’altissimosubbietto»;Angelo
Mai 136: «Torna torna fra
noi,sorgidalmuto…»;Bruto
minore 1: «Poi che divelta
nella tracia polve», 90:
«Rintronerà quella solinga
sede»; Inno ai Patriarchi
104: «Tal fra le vaste
californie selve»; Passero
solitario 44: «Che la beata
gioventùvienmeno»;Infinito
1;Vitasolitaria38,dopouna
grande colata coordinativa,
«Co’ silenzi del loco si
confonda» (notare anche la
doppia allitterazione); Pepoli
77: «La più degna del ciel
cosa mortale» (con iperbato);
Consalvo
118:
«Nel
paventato
sempiterno
scempio»
(doppia
aggettivazione anticipata);
Ricordanze 123: «Moti del
cor, la rimembranza acerba»;
Quiete 54: «Se te d’ogni
dolor morte risana»; A se
stesso15:«El’infinitavanità
del tutto» ecc., e ancora nel
Pepoli 99-101 lo staccato
chiude una lassa per poi
aprirelasuccessiva(edessere
seguitodaunversoanalogo):
«La destinata sua vita
consuma» – «Te più mite
desio, cura più dolce» (e
«Regge nel fior di gioventù,
nel bello»). Resta comunque,
per quanto è lecito ragionare
su numeri bassi, che gli
staccati in posizione marcata
sembrano
allogarsi
di
preferenza in individui non
proprio insigni dei Canti,
qualiilPepolieilConsalvoe
lostessoSoprailmonumento.
E accenno appena a casi in
cui l’effetto di staccato
prevale,cedendoallasinalefe
solo in fine di verso: così,
appunto in finale assoluto,
Alla Primavera 95: «Pietosa
no, ma spettatrice almeno»,
secca
esecuzione
della
correctio.
A voler poi indicare – con
cautela – qualche costante
espressiva tendenziale degli
endecasillabi del tipo II, si
potràsuggerirecheessi
a. scolpiscono momenti di
‘agitato’, per lo più
sottolineati anche da
ripetizioni verbali di
vario tipo: ad esempio
All’Italia 28: «Perchè,
perchè? Dov’è la forza
antica…», 37: «Nessun
pugna per te? Non ti
difende / Nessun de’
tuoi…?»
(anafora
metrica e asindeto);
Sopra il monumento 62:
«Come cadrà, come dal
tempo rosa…?»; Bruto
minore, lo strappo
potente di 83: «… Tu sì
placida sei? Tu la
nascente…»;
Alla
Primavera 18: «Questo
gelido cor, questo
ch’ancora»
(notare
l’elisione); Ultimo canto
60: «D’implacato desio
furor
mi
strinse»;
Passero solitario 57:
«Chediquest’annimiei?
Che di me stesso?»
(anche qui con elisione)
ecc.
b. Si
reperiscono
in
endecasillabi di struttura
ternaria, e generalmente
con presenza di un
polisillabo (forse perché
sentito spesso come
‘prosastico’?), ad es.
Primo
amore
59:
«Stupidamente per la
muta stanza»; Il sogno
97: «Di sconsolato
pianto le pupille»; Vita
solitaria
102:
«Dominatricedell’etereo
campo»;
Ricordanze
114: «Sul conscio letto,
dolorosamente»,
doppiato da un altro
endecasillabo
tutto
stacchichepuòrientrare
nella stessa categoria:
«Alla fioca lucerna
poetando»;
Pensiero
dominante
2:
«Dominator di mia
profonda mente» (vedi
sopra l’esempio dalla
Vita solitaria); Aspasia
21: «Allettatrice, fervidi
sonanti»(loprecedonoe
seguono altri due versi
tutti a stacchi), 68:
«Esecutor di musici
concenti»; Sopra il
ritratto
16:
«Visibilmente di pallor
si tinse»; Ginestra 268:
«Durabilmente
sopra
quei si spiega», 301:
«Soccomberai
del
sotterraneo foco» (con
allitterazioni).
È
evidente che a questi
versitrimembrispettadi
regola una speciale
enárgheia. Ad essi
possiamo
dunque
aggiungere
altri
endecasillabi che la
condividono, per fattura
simileeperessere,come
quasi sempre quelli, dei
versi-frase (cosa che in
Leopardi, va ripetuto, è
tutt’altro che la regola):
All’Italia 75: «Serse per
l’Ellesponto si fuggia»;
Sopra il monumento
128: «Lo spietato dolor
chelastracciava»;Bruto
minore 5: «Il calpestio
dei barbari cavalli»; La
sera 6: «Rara traluce la
notturna lampa» (con
allitterazioni); Alla luna
15: «Il rimembrar delle
passate cose»; A Silvia
2:«Queltempodellatua
vita mortale» (con ictus
ribattuto di 6a-7a), 22:
«Che percorrea la
faticosa tela»; Aspasia
54:«Alvivosfolgorardi
queglisguardi»;Soprail
ritratto14:«Sentìgelida
far la man che strinse»,
46: «Ardito notator per
l’Oceano»; Tramonto
della luna 16: «E
cantando, con mesta
melodia,»;Ginestra163:
«Veggo
dall’alto
fiammeggiar le stelle»
ecc.
c. Altrohabitattipicodegli
endecasillabi del tipo II
èquellodeglienunciatia
fortetensionenegativa,e
che
ancor
più
caratteristicamente
contengono correctiones
e un ma intensamente
contrastivo: ad esempio
Sopra il monumento
136: «Ma per la
moribonda / Italia no;
per li tiranni suoi»;
Angelo Mai 155: «a cui
dalpolo/Maschiavirtù,
non
già
da
questa
mia…», e vedi anche
l’avversativaimplicitadi
Bruto minore 83; Vita
solitaria 41: «… Anzi
rovente. Con sua fredda
mano…», 52: «… Il
miseromortal.Manonsì
tosto…»;Ricordanze58:
«Dolce per se; ma con
dolor
sottentra…»;
Canto notturno 98: «…
Indovinar non so. Ma tu
percerto…»;Sabato50:
«Altro dirti non vo’; ma
la tua festa…»; Aspasia
78: «Perch’io te non
amai,
ma
quella
Diva…», e così via. Gli
esempi
delle
tre
categorieabbozzatesono
quasi
sempre
accomunatidaspiccoed
energia, talora anche da
asprezza (pure ritmica,
come in Sopra il
monumento 61, a ictus
centraliribattuti).
d. Ma
non
endecasillabi
mancano
con la
stessa
struttura
‘consonantica’
che
hanno invece carattere
piùdiscorsivo,narrativo,
sentenzioso ecc., o
senz’altro di ‘prosa’:
Primo amore 39: «…
Che
l’aleggiava,
volossene via»; Vita
solitaria 15: «Benché
scarsa pietà pur mi
dimostra»;Consalvo2122: «Era del gran desio
stato più forte / Un
sovrano timor. Così
l’avea…»;Pepoli2:«…
Che noi vita nomiam,
come sopporti…?», 46:
«Necessità,
cui
provvedernonpuote…»;
Ricordanze
37:
«A
personagiammainonne
fo
segno»;
Canto
notturno 112: «Ma più
perché giammai tedio
non provi»; Sabato 48:
«Godi, fanciullo mio,
statosoave…»;Pensiero
dominante 60: «Che di
vote
speranze
si
nutrica»,135:«Solavera
beltà parmi che sia»;
Sopra un basso rilievo
45: «Dal nascer già
dell’animal famiglia»,
97: «Veder d’in su la
soglia levar via»; Sopra
il ritratto 42: «Per
natural virtù, dotto
concento»;
Tramonto
della luna 26: «Ove
s’appoggia la mortal
natura», 49: «Secche le
fonti del piacer, le
pene…»; Ginestra 5960:«Altuopargoleggiar
gl’ingegni tutti, / Di cui
lor sorte rea padre ti
fece»,
155:
«Ove
fondata probità del
volgo», 192: «Per tua
cagion,
dell’universe
cose» (elisione), e altri
casi, cui se ne potranno
aggiungerealcunicensiti
alpuntob.Hocercatodi
scegliere gli esempi dal
totale con una voluta
proporzionalità,
per
indicare che, a parte le
‘eccezioni
narrative’
come Primo amore,
Pepoli, Consalvo, gli
endecasillabi del tipo II
classificati sotto questo
punto
d
vanno
aumentando
sensibilmente
nell’ultimo Leopardi in
rapporto
all’aumento
dellecadenzemeditative
e della ‘prosa’, con
punte massime nella
Ginestra, e ancor più
evidentemente
nella
Palinodia (ad es. 7, 34,
48,55–inizialedistrofa
–,114ecc.;quianchetre
endecasillabi a staccato
diseguito,82-84).
Tornando ai due insiemi,
sembra avvertibile un loro
comportamento
tendenzialmente diverso sul
piano
sintattico-metrico.
Mentre gli endecasillabi del
tipo II tendono (non più di
questo) a chiudersi in
segmenti
sintatticamente
compiuti, insomma in frasi-
verso(cfr.soprattuttoilpunto
b), quelli del tipo I al
contrario tendono, come si è
già indicato, a scivolare
sintatticamente
oltre
il
confine del verso, spesso
aggiungendo alle sinalefi
interne un’episinalefe con
l’endecasillabo o settenario
successivo. Si potrebbe dire
che la loro scorrevolezza si
armonizza alla fluidità del
dettato, segnata soprattutto
dalla ricchezza di inarcature,
e
l’una
e
l’altra
contribuisconoacrearequella
che Contini[6] ha chiamato
giustamente «incomparabile
maestà» del discorso poetico
leopardiano.
Conviene
tuttavia vedere se e cosa
emerge disaggregando i due
assiemi e il relativo rapporto
secondo le varie fasi o
momenti della poesia dei
Canti.Unaprimaindicazione
è che i due testi anteriori
all’anno1818delledueprime
Canzoni, cioè il Frammento
XXXIX e il Primo amore,
entrambi
narrativi
ed
entrambiinterzineincatenate,
presentano una proporzione
fra i due tipi nettamente più
alta della media a favore del
tipo II: entrambe circa 1/4
dell’altro. Anche di fronte a
queste primizie spicca la
situazione diversissima di
molteCanzoni,dovesivadal
meno 1/8 di All’Italia all’1/8
esatto del Mai, all’1/10 e
rispettivamente
1/11
dell’Ultimo canto e del
Vincitore, fino all’1/13 dei
Patriarchi,peraltroindiverso
metro,eall’1/14dellaSorella
Paolina.
Le,
relative,
eccezioni sono piuttosto
razionalizzabili,enonoccorre
insistere:Monumento37/112,
l’aspro Bruto minore 14/66,
lapiùtardaemeditativa Alla
sua Donna 7/31. Si può
aggiungerecheilFrammento
XXVII in sciolti (1819) e il
XXXVIII (forse fine ’18)
concordano col più delle
Canzoni: meno di 1/10 e
1/15.
L’andamento
fonico-
prosodico dominante nelle
Canzoni – e negli anni delle
Canzoni – è vivamente
accentuato
negli
Idilli.
L’Infinito attacca con due
endecasillabiastaccato(mail
secondo inizia con E e
dunque fa episinalefe col
primo),poiprosegueconuna
colata di tredici versi legati
all’interno così come lo sono
sintatticamente dal crescendo
delle coordinate e da altre
ulteriori episinalefi («quello /
Infinito silenzio»!). Nella
Seralaproporzioneè3/43,in
Alla luna, un po’ come
nell’Infinito, 1/15, nel Sogno
6/94, perfino nella politonale
Vita solitaria 9/98. A parte
l’aumento
proporzionale
degli endecasillabi legati
negliIdillirispettoanchealla
maggioranza delle Canzoni,
penso che l’interpretazione
nonpossaesserelastessaper
leuneeperglialtri.Scontata
la naturale fluidità e
cantabilità
del
ductus
leopardiano, nelle Canzonila
grande frequenza dei legati
saràunsegnodellacontinuità
con l’eloquenza e solennità
del
linguaggio
poetico
tradizionale,chequiLeopardi
conservaenellostessotempo
supera (Aufhebung): negli
Idilli si tratterà invece di un
fenomeno coesteso alla loro
mirabile
fusione
e
scorrevolezza stilistica, a
quello che altrove (cfr. il
terzo saggio) ho chiamato
linguaggiodell’e,conciòche
questo esprime, la narrazione
senzafratturedistatid’animo
checrescono,comesgorganti
l’unodall’altro,susestessi.
Lasciando stare il Pepoli,
ecco che anche dal punto di
vista che ci interessa i Canti
pisano-recanatesi spiegano
tutt’altro carattere fonicoprosodico rispetto agli Idilli
(anche in linea, vien da
pensare, col dettato di Alla
sua Donna): A Silvia 8/21;
Ricordanze 39/124; Canto
notturno 15/55; Quiete 3/21;
Sabato 6/21; Passero 8/32;
Imitazione
0/3
(ma
prevalgono assolutamente i
settenari,vedioltre).Ilfattoè
anzitutto che in questi
capolavori
il
momento
idillico è, molto di più che
negli Idillistessi,attraversato
dalle strettoie e dalle
contraddizioni del «pensiero
poetante» (Prete) e dalla
dialettica fra vitalità e
nichilismo. E dove la
pronuncia leopardiana è,
proverbialmente, più casta,
allora si può rilevare che
mancano
pure
gli
endecasillabi tutti fusi da tre
(o quattro) sinalefi, e cioè
troppo oliati per l’orecchio
del
pensatore-poeta:
così
nella Quiete e nel Passero,
così quasi (una sola
eccezione)nelSabato.
Per ragioni in parte simili
inpartediverse(resediconto
insieme
esistenziali
e
universali),leproporzionidei
Pisano-recanatesi
si
mantengono simili anche nel
Ciclo di Aspasia: più di un
quarto di endecasillabi del
tipo II rispetto agli altri nella
condotta varia e come tutta a
sbalzi
del
Pensiero
dominante, che per di più
presenta–casoassolutamente
eccezionale – due lasse con
rapporto3/1e3/3(mapoi,ad
es., nella dodicesima 0/10!);
più di un terzo in Amore e
morte; un quarto in A se
stesso; un quarto in Aspasia,
dove capita anche di reperire
– contro le abitudini – due o
treendecasillabideltipoIIdi
seguito (20-22, 30-31, 37-38,
85-86); infine un sesto in
Consalvo. Ormai questo è
l’orecchio di Leopardi,
sensibileaicontrastioltreche
allacostantefluiditàdellasua
musica, e perciò nei Canti
napoletanisiha:1/5inSopra
un basso rilievo; addirittura
piùdi1/3inSoprailritratto;
poco meno di 1/3 nel
Tramonto; diverse, ma è da
credere anche per la loro
ampiezza, solennità ecc., la
Palinodia (meno di 1/7) e la
Ginestra(unpo’piùdi1/9).
Nella maggior parte dei
Canti però, come è evidente,
gli endecasillabi non vivono
dasolimainuncontrappunto
piùomenofittocoisettenari,
in totale assai più fitto nelle
‘Canzoni libere’ che nelle
Canzoni vere e proprie, per
quanto via via ‘liberate’. Ora
èintuitivocheneisettenarila
probabilità di essere scanditi
secondo
staccati
è,
generalmenteparlando,molto
più alta che per gli
endecasillabi.
Facciamo
prova su Leopardi stesso, col
Risorgimento,doveisettenari
deltipoIIsonoben61contro
i 99 del tipo I: proporzione
impensabile
per
gli
endecasillabi, in Leopardi e
istituzionalmente,
e
va
aggiunto che, se non vedo
male, in quel testo fra i
settenarideltipoIsolocinque
in tutto scivolano su doppia
sinalefe. Nonostante ciò, o
anziproprioperquesto,varrà
lapenadifarentrarenelmio
discorso anche i settenari.
Intanto per prendere atto che
evidentemente con essi i
contrappunti fra staccato e
legato
divengono
più
frequenti: il che non è meno
interessantedellealtreragioni
per cui la dialettica
endecasillabo-settenario e il
moltiplicarsi di questi ultimi
nelle canzoni libere a partire
da A Silvia ecc., sono
elementidiprimaimportanza.
Mi limito a un paio di
assaggi.NelledueCanzoniin
cui gli endecasillabi del
primo tipo preponderano più
nettamente su quelli del
secondo,cioèAll’ItaliaeAlla
sorella Paolina, il rapporto
fra i settenari del II tipo e
quelli del I è rispettivamente
19/28 e 12/23: normale
proporzione
e
normali
contrapposizionialprevalente
legatodegliendecasillabi.Ma
nella zona dei Pisanorecanatesi, dove già il
rapporto fra i due tipi di
endecasillabi
è
meno
squilibratoafavoredelprimo
(cfr. sopra), quello fra i due
tipi di settenari è: 15/18 in A
Silvia; 27/36 nel Canto
notturno; 13/15 nella Quiete;
12/13 nel Sabato, addirittura
13/7 nel Passero solitario: e
già la liberatissima Alla sua
Donna dà 6/8. Ciò sembra
confermare che in questi
Cantiilcontrappuntofonicoe
prosodico di tanto s’infittisce
diquantoilragionarpoetando
intride il lirismo, o vi si
contrappone.
E
una
controprovasihascindendoi
diversi momenti o ‘tempi’ di
due testi particolari. Nella
prima lassa della Quiete,
descrizionefluidaedaperta,i
settenari del tipo II sono 3
contro 6 degli altri, mentre
nelle
due
seguenti,
aspramente ragionative e
nichilistiche, sono all’inverso
11 contro 7; e nel Passero,a
una parità circa nelle prime
due lasse (7/6), segue nella
terza una squilibratissima
proporzione 6/1. E per fare
solo un passo avanti, nel
Tramonto della luna, dove
l’aspetto lirico-descrittivo e
quello mentalistico sono
molto
più
fusi
che
giustappostiacontrasto,ecco
che la proporzione totale è
altra: 12/22, nella norma per
cosìdire.
Anche da questi minimi
risulta e la fluidità della
versificazione leopardiana e
lasuatendenza,crescentecol
tempo e col crescere del
caratterespeculativodellasua
poesia,
a
contrapporre
funzionalmente due tipi
differenti di verso. Quasi
come un equivalente fra
vivacitàescorrevolezzadelle
rappresentazioni della vita e
fermezza commentante del
pensierochenega.
[1] Cfr. C. Segre, Le caratteristiche
della lingua italiana, appendice a Ch.
Bally,Linguistica italiana e linguistica
francese,Milano,IlSaggiatore,1963.
[2]Cfr.P.V.Mengaldo,Attraversola
poesia italiana. Analisi di testi
esemplari, Roma, Carocci, 2006, pp.
22-25e95-97.
[3] Generalmente frase o sintagma
inarcati si distribuiscono tra inizio e
fine dei rispettivi emistichi, ma non
mancanoinarcatureconattaccoinpunta
di verso, ad es. All’Italia 60 (con forte
enjambement),SorellaPaolina17,Inno
ai Patriarchi 4, Vita solitaria 14, 71,
98,Consalvo131,Pepoli7,125,145,A
Silvia 56, Ricordanze 9 («allora /
Che…»),44,46,Quiete47,48,50ecc.
[4] Viceversa in tutti i Canti non
vedo,salvoerrore,cheunasoladialefe
d’eccezione, Sabato 26. «E qua e là
saltando»,conacutafunzioneiconica.
[5] Da un particolare punto di vista
cfr. P.V. Mengaldo, Una ‘norma’
eufonica del verso italiano, in
«Stilistica e metrica italiana», 6, 2006,
pp.3-19.
[6] Antologia leopardiana, a cura di
G.Contini,Firenze,Sansoni,1988.
VII
Quantosono‘sciolti’
gliscioltidi
Leopardi?
Gli
‘sciolti’
leopardiani
differisconodaquellipariniani
e foscoliani per lo stile
peculiaredelpoeta,chetendea
‘nascondere’ e ad alleggerire
in misura maggiore rispetto a
quanto abbiano fatto i suoi
omologhi nei Giorni e nei
Sepolcri. È riscontrabile negli
‘sciolti’
del
Leopardi
un’animazione fonica prodotta
dall’arricchimento
degli
schemiusuali.Rimeepararime
sono rinvenibili all’interno dei
versi–piuttostocheallafine–
e in corrispondenza degli
attacchiedellechiusedeitesti.
È chiaro che per ragioni
quasi fisiologiche[1], gli
scioltiitalianinonsonomaio
quasi mai veramente tali.
Prima di affrontare quelli di
Leopardi, esaminerò per
interoopercampioniitestiin
sciolti più illustri, e più o
meno intensamente attivi sui
Canti,
del
Settecento-
primissimi Ottocento, e cioè
il Giorno (ed. Isella),
l’Ossian di Cesarotti (ed.
Bigi[2]),gliScioltialChigiei
Pensieri d’amore di Monti
(ed. Muscetta[3]) e infine i
Sepolcri(ed.Gavazzeni).
Nelle prime tre lasse o
paragrafi
del
Mattino
(seconda redazione) si ha
quanto segue: rima caro :
paro 5-12, con appoggio di
appare 2 e fabbro 14; quasirima inclusiva al mezzo
orizzonte – onde 3-4; quasirima notte – scote 7-10;
assonanze forti rifrange –
sonante 13-14 e inquieto –
argento 17-18; mense in
quasi-rimaalmezzoacavallo
dilassaconpungente,questo
inrimaalm.concadente2022-24. Nel seguito molto
meno materiale: trascuro le
assonanze facili e segnalo
solo la rima al m. inversa
tenèbre – superbe 39-40, la
quasi-rimaalm.verdi–siedi
50-51, mentre la rima
inclusiva fèo: Morfeo è
troppolontana,42-59.
E ora i primi due
movimenti della Notte.
Sempre
trascurando
le
assonanze facili, ecco la
corrispondenza interna di
sdrucciole analoghe nella
stessa posizione, squallida –
timida
5-6
(seguono
rispettivamente «mesta» e
«terra»);rimalontanavanno:
affanno8-24;epifora«smorte
fiamme» a contatto, 17-18;
consonanza al mezzo lento –
manto 21-23, e rima int. di
questo con tanto e poi
rispondenza fonica con
affannocit.eululando23ss.;
quasi-rimaalm.sospettoso–
ascose 21-23; altra e triplice
corrispondenza di sdrucciole
a 25 ss. Basti dire che i §§
successivi presentano molto
meno materiale. Nei due
spezzoni insieme si ha
dunque una sola rima nel
Mattino, l’altra essendo
neutralizzata dalla troppa
distanza, così com’è lontana
quella della Notte; però si
presenta un brulichio di echi
vicini alla rima che tuttavia,
ed
è
naturalmente
significativo, calano di
quantità e qualità quando dal
primo
movimento,
decisamente più ‘lirico’, si
passaaisuccessivi.
Maèutileprocedereunpo’
di più con la Notte. È vero
che i vv. 39-60 sono privi di
fenomeni rimici o pararimici
salienti, ma è anche vero che
sono
dominati
dalla
ricorrenza di sdruccioli in
fine verso (precisamente 10
su 22 versi, cui ne va
aggiunto
qualcuno
all’interno).
Più
avanti
ancora, nella lassa del
‘cocchio’siaffaccianorimeo
quasi-rime ma a distanza,
gridando–pertanto82-92eare 83-93, giusto di seguito,
più rime interne abbastanza
ovvie in -on, -ar, e cfr. pure
s’empia – tempo 96-101. Ma
veniamo alla gran strofa
finale, violenta di sarcasmo.
Rimaalm.lato:ostinato638-
640eneiparaggialte–alveo
all’int. 640-643; quasi-rima
int. ricca memorati –
numerata
651-654:
consonanza
prettamente
‘comica’ stizza – aguzza int.
659-660; rima al m.
dimenando:rotando660-667;
epifora ‘ricca’ «con la gobba
enorme / E il naso enorme e
la forchetta enorme»; ingoiainnoltra 663-666, e un’altra
consonanza al m. faceto –
grato 668-672: il tutto
attraversato
da
molti
sdruccioli interni (642, 645,
646,649ecc.).
Idatiquiraccoltiinvitanoa
scorrere, almeno per due
punti,l’interotesto.Ilqualeè
largamenterimato,maconla
tendenza, accanto alle rime
prossime–peròmaibaciate[4]
– (ad es. Mt 93-98, 592-597,
852-857, 1061-1066, 11331135, Mg 646-650 ecc.), a
disporre le rime, sempre
‘facili’, a distanza, quasi più
per inquadrare porzioni di
testo che per ottenere effetti
fonici (ad es., solo nella Nt,
83-93 cit., 193-203, 323-334,
356-366, 476-489). D’altra
parte, e secondo me a
conferma non già ad
opposizione della tendenza
ora notata, spicca la quantità
di rime identiche che meglio
si interpreteranno come
epifore, e queste volentieri
ravvicinate e spesso baciate:
Mt (ma con notevole
alleggerimento rispetto al
Mattino del ’63) 238-239,
321-322,984-992,Mg46-49,
165-178, 243-244, 263-264
ecc., realizzate a volte anche
in forma di poliptoti, figure
etimologiche ecc.: Mt 359360 sposi, -e, 569-570 forte-
fortuna,
581-585
degni-
disdegnano, Mg 373-374
sposo,-a,377-384scherza,-i
e così via. Per il resto,
lasciando le facili assonanze
(che comunque non sono
quasi mai ‘a catena’),
colpisce il numero di quasirime (del tipo impure – furo
Mt 179-183) e soprattutto di
consonanze, quasi a evitare
troppe chiuse melodiche dei
versi: ad esempio, solo nel
Mattino, 261-262 uscendo –
mondo, 389-392 quanti –
viventi, 459-461 crine –
espone, 503-505 seno-mano,
590-593 volume – chiome
ecc.Siamodunquedifrontea
un sistema rimico e
pararimico piuttosto intenso,
ma d’altra parte a una
frequenza di consonanze che
realizzano con minor facilità
il ritorno fonico, e a
un’insolitaquantitàdiepifore
cheallarima(diperséspesso
‘grafica’) sostituiscono così
spesso lo sdoppiamento di
paroleosegmenti–chediper
sé possono avere valore di
chiave–,comesiaddiceaun
poemettonarrativo.
Tutt’altra la condizione
dell’Ossian di Cesarotti, di
cui, adocchiando il tutto, ho
spogliato Fingal, II, 1-113,
Cartone 86-193, Selma 1-51.
L’elemento comune con
Parini è l’ancor più notevole
presenzadiepiforeaqualche
distanza, Fingal 63-70, e al
m. 52-56, 69-73, Cartone
141-175: canto (con accanto
145),Selma 28-36, 46-51 (in
fine di partizione); le rime
vere e proprie sono invece
scarseequasicasuali, Fingal
57-60 e interna 60-61,
Cartone141-145(piùlefacili
-avae-ia int.), Selma 35-47,
adistanza.Perilresto,molta
misura nelle quasi-rime e
nelle consonanze (ad es.
Fingal 21-22 scudi:vidi, 3144 al m. arresta-celeste, 99103 temo – nembo, Cartone
86-93 pace-luce e 110-113
sfavilla – mille – favelli,
Selma 2-7 splendi – venti –
torrente, 46-49 collina –
bruna) e perfino nelle
assonanze. Nel Cesarotti gli
effettidirimaopararimanon
arrivano
mai,
e
verosimilmente
non
lo
vogliono, a mettere in
discussione lo statuto degli
sciolti, che le epifore
confermano.
E ora Monti. Negli Sciolti
alChigisiaffaccianoalmeno
quattro rime, due delle quali
non prossime: 63-68 -etto,
78-85 -ore, 170-175 -ora,
206-216 -ia. E ricco è il
contorno.Andandoinordine,
a parte un’ovvia rima interna
in -or all’inizio, un’altra
sempreinternain-ura11-16,
e poi quasi-rima al m.
sguardo – scarso 7-8,
momentaneo – sgomenta int.
25-27, consonanza fiso –
nascoso 37-38, assonanza
forte lunge – luce 39-41,
consonanza chiome-sublime
50-52, letto – cheto 68-69
(perfetta
per
un
settentrionale),quasi-rimaint.
Insetti – fuggenti 72-74,
gagliardo–scaltroint.93-94,
rime int. lago : immago
(come nella Vita solitaria…)
112-114 e sentimento : vento
119-123, consonanza lungi –
cangi 164-165 e così via
dicendo. I Pensieri d’amore
mostranounacertariduzione,
dovuta forse anche al fatto
della divisione in parti, a
volte brevi o brevissime. I:
quasi-rimanovello – procelle
3-7 e così tregua – persegue
8-14, ma soprattutto al v. 20
unprocuraquiirrelatorimaa
distanza con oscura di II 2.
SempreinII:rimaalm.vôte:
gote 7-12 rafforzata da notte
6,rimaint.Rio:io17-20.III:
solo qualche assonanza, a
partiredaimmota–ingombra
3-4. IV: quasi nulla di
notevolesesiescludelarima
ritmicastringere–misero1011. E quindi le consonanze
int. ed est. Tratto – affetto e
sento – estinto VI 2-3, 6-8,
l’assonanzaforteoquasi-rima
vento – percotendo VII 12-
18,
l’assonanza
spinta
intanto: prostrato VIII 20-21
e ivi la rima interna questa :
mesta (più questi) 27-30,
l’assonanza-consonanza
sventura – ancora – perduta
IX 13-15-16, la quasi-rima
identica int. Piante – pianto
ivi 21-26, poi la forte
assonanza continuata Tempo
– immenso – lamento –
silenzioX1-5,equistessola
rima al m. Fato : scellerato
21-24 (ma la prima parola
assuona
anche
leopardianamenteconfango),
e non molto altro. E giocano
anche, come negli Sciolti al
Chigi,
le
ripercussioni
orizzontali, come «da lei
veloceecollevôltespalle»,e
naturalmenteleripetizioni(ad
es.«eparcheciglioaciglio,/
gote a gote congiunga» III
13-14;
«Perdona…
perdona…» IV 7-8; «… altri
contenti: / Oh contenti…» V
18-19; «e dove, dove…» VI
1-2 ecc.). Gli altri sciolti
montiani sembrano mostrare
unafisionomiaanaloga.
Altra la situazione e
l’envergure dei Sepolcri.
Finchéiltestoèmeditativo,o
narrativo, le rime o effetti
similaripuressendofrequenti
tendono a collocarsi a
distanza come altrettanti
paletti che scandiscono il
procedere del discorso, o
dell’orazione poetica, e ne
legano le sezioni: urne –
future1-7(piùamore 11 che
vaasuavoltaconmorte15);
infinite:Dite14-25; viveint.
due volte 26-32; mira –
sospiro – natura 42-49-50;
noi:buoialm.eacavallodi
movimento 50-59; cantandovivande 54-71; vagolando :
ramingando al m. 71-79;
luttüoso : amoroso al m. 8490 (fine lassa), con cui poi
pietose 92; impugnando :
versandoalm.115-124;Sole
: vïole 119-125, amore :
tremore al m. 132-139 ecc.
Piùrariinvece,equasimaiin
forma di rima, i rintocchi
vicini:
ramingando
:
ululando, rima facile, 79-80;
Luna-upupa
81-82,
consonanza al m. sensiresponsi 96-98; quasi-rima
eredi–cedri113-114;bella:
terra 152-153; grande –
temprando al m. 155-156 (e
sangue 158): sfronda –
grondi int., quest’ultimo in
rima sempre int. con mondi
158-159-162 (e siano in un
passo
stilisticamente
accusato)ecc.
Quandoperòsiarrivaaun
grandemomentoepico-lirico,
il notturno düreriano della
battaglia di Maratona (201
ss.), ecco che i procedimenti
visti finora s’accumulano e
intrecciano quasi in una
geniale mimesi della fosca
mischia.Intantoveleggiò202
riprende in rima int. il sacrò
dell’annuncio; poi, a parte la
rima int. prolungata in -ar e
quella simile in -or 195-197,
ecco l’altrettanto protratta al
mezzo in -ea, 202 ss.;
l’assonanza al m. scintillepire 203-205; e infine la
chiusa,
che
andando
a
riutilizzare la quasi-rima al
mezzo navigante – cozzanti
(seguito da brandi) 201-204,
presenta via via silenzi,
campi, falangi, accorrenti,
scalpitanti e finalmente la
rima int. allo stesso verso, di
particolare portata semantica,
pianto : canto, con cui
termina l’episodio[5]. E da
questa foltissima vegetazione
esce qualche ramo anche per
l’episodiosuccessivo(«Felice
te…»), eminentemente la
rima accorrenti : venti 210213cuisiappoggiaverdiint.
214,quindilarimaint.in-ar
ealtroancora.
Terminato l’episodio di
Ippolito le cose procedono
piùomenocomevistoperla
parte
che
precede
l’evocazione di Maratona –
ad esempio la rima gente :
assente non è vicina, 240246, un’altra gerundiale è
facile e neppur essa vicina,
251-256 ecc. Ma le cose
vanno diversamente nel gran
finale del Carme, altra sua
puntaepico-lirica:secreti284
siagganciaallarima-ecoinete dei versi precedenti;
splendidamente 286 rima, sia
pure alla lontana, con
santamente sempre dei versi
cheprecedono,278,sihauna
prolungata rima int. in -à a
partire da narrerà 284; e
quindi fatati-vate al m. nello
stessov.,288,eastringerela
serie, anche all’esterno,
placandoecanto289,quante
290, gran e Oceano 291,
pianti 292, santo e lacrimato
293, il secondo in rima int.
con versato 294, umane295,
parolaconclusivadelCarme.
Qualche
deduzione.
Il
Cesarotti
ossianico
è
certamente quello che turba
meno le acque placide degli
sciolti, forse anche perché
‘traduce’ da prosa; e infatti
nellasuaversionedall’Elegia
del Gray[6] le cose cambiano
sensibilmente:
groppo
diffonde – traendo – mondo
in apertura, rime in -ombra
11-21,in-ade53-58,in-ente
73-82,in-orno 121-128, in anco177-184,rimealmezzo
ecc. Nel Monti i fenomeni
rimici e pararimici non sono
inastrattomenofrequentiche
inParinieinFoscolo.Forseè
da notare la frequenza delle
consonanze, in funzione
rassodante e antimelodica
(non è male dare un’occhiata
al traduttore dell’Iliade, che
alle assonanze ovviamente
piùfrequentieaqualcherima
alterna consonanze anche
baciate come avremmo –
sommo
II
108-109,
ricondusse – Ulisse III 413414,Allora–fiera IV 585 –
586 ecc.). La differenza con
MontistanelfattocheParini
e Foscolo, poeti più grandi,
non usano quegli artifici
soltanto in forma, per così
dire, ornamentale e di
variabile, ma anche e
intensamente
in
forma
espressiva, saturando di echi
e grovigli fonici i momenti
più‘lirici’,chedunqueanche
da questo punto di vista
spiccano sul rimanente. E
forsesipuòdirecheFoscolo,
per eccellenza ‘espressivo’,
accentua i già stupefacenti
effetti pariniani: fortissimo è
ilcontrastofralealtretrattee
quella sulla battaglia di
Maratona o la finale, che fra
l’altroammettonoravvicinate
quellerimevereeproprieche
in precedenza erano quasi
solo a distanza, e comunque
le inseriscono in un tessuto
fonicamente densissimo e
‘ridotto’ che per così dire
esaltaogniformante.
Giunti
agli
sciolti
leopardiani, si procederà
ovviamente secondo la
cronologia di composizione,
senza riguardo – in linea di
massima – alla collocazione
voluta
da
Leopardi
nell’ordine dei Canti. E si
partirà ovviamente dagli
Idilli:quinonsiinsisteràmai
abbastanza sul significato
dell’opposizione del loro
metro, veicolo di libertà,
flusso
sentimentale
e
interiorizzazione, a quello,
pur
progressivamente
‘liberato’,delleCanzoni,sedi
del mito e della storia,
eventualmente dei doppi
dell’io (da Simonide in poi),
ma non del puro io
esistenziale. Tuttavia non
vanno trascurati gli incroci
fra le due esperienze: perché
selatecnicadelleCanzoniva
pure ritenuta responsabile
dell’intrusione
–
che
documenteremo
–
di
fenomeni rimici e pararimici
negli sciolti degli Idilli;
d’altra parte, e soprattutto, le
prime ospitano per motivi di
contenuto un testo in sciolti,
l’Inno ai Patriarchi, sempre
considerato da Leopardi
‘canzone’,eunacanzonevera
e propria, l’Ultimo canto di
Saffo, che nei diciotto versi
dellesuestrofeospitaiprimi
sedici sciolti, per chiudere
comeincontrotempoconuna
combinatio
baciata
di
settenario-endecasillabo. Si
puòdirechenelledueseriesi
attuano
processi
di
liberazione
proporzionalmenteinversi.
Naturalmentelabrevitàdei
primi due idilli inibisce
troppo sfoggio di rime.
L’Infinito ne ha solo una,
interna, grammaticale e non
vicina, mirando 4 (in
consonanza col precedente
sedendo)–comparando11,e
però si tratta di due parole
intensamente tematiche: pure
distante è la consonanza
orizzonte-presente 3-12 (ma
cfr.anchevento8,pianteint.
9 che a sua volta risponde a
parte 2). Notoriamente il
fenomeno più spiccante e
originale è la quasi-rima
doppia
in
sospensione
«interminati
/
Spazi…
sovrumani / Silenzi» 4-6, ma
ancora
va
rilevato,
specialmente nell’area nasale
già
emersa,
l’ulteriore
serpeggiamento «Sempre» –
«Silenzi» – «pensier» –
«silenzio» – «sovvien» –
«Immensità» – «pensier». E
Ambrosini[7] ha notato il
dominio
globale
della
sibilante s: come dire il
fruscio
dell’infinito.
Il
carattere totalizzante delle
sonorità,franasaliesibilanti,
èunaltroaspettodellagittata
unicadelpensieropoetico.
Più
classicamente
ma
parimenti stretta Alla luna.
Consonanza rammento –
pianto 1-6, quasi-rima ricca
rimirarti–rischiari3-5,rima
int. antitetica graziosa –
travagliosa1-8(mapassando
per la quasi-rima con
nebuloso 6), rima int. nella
prima redazione vicina etate
–
passate
11-15,
e
qualcos’altro.
Invece
ha
diverso carattere anche da
questo punto di vista il
Frammento
XXXVII,
scherzoso, dialogico e in
assenza dell’io poetante: ma
anch’esso probabilmente del
1819edapprimaappartenente
agli Idilli. Due rime, stava :
approssimava 3-7 e parea :
stridea 6-11, più una interna
di gerundi 15-17, e una
altrettanto facile di infiniti di
seconda 25-26, consonanza
guisa – cosa 19-21, ed è in
sostanza tutto; però ciò che
più colpisce, ma in carattere
coltono,sonoleepifore,cioè
lenotetenute,diprato4-9-14
(il secondo int. ma in chiusa
di periodo), luna sempre int.
3-6-14-22-27, stelle al m.
nello stesso v. (botta e
risposta, a gradino) 24; non
per nulla il primo e l’ultimo
v. finiscono con la parola
sogno, che era quella del
titolo originario. Qui dunque
le ripetizioni sottolineano gli
attanti principali del breve
mimo.
Un anno dopo, nella Sera
del dì di festa – media per
data ed estensione fra gli
Idilli –, la tecnica esperita
nell’Infinito e in Alla luna
colpisce ancor più perché
attuata su scala più larga e
anche
uniformemente
distribuita. E si capisce,
perchédituttalaseriequesta
è la lirica in cui la presenza
dell’ioèpiùforteedolorante
(«io doloroso, in veglia»).
Dunque: rima int. Chiara :
rara 1-6; vento – sentiero al
m. 1-5; paromasia affaccio –
affanno (da travaglio) al m.
12-14(ecfr.pianto16);rima
prolungata
onnipossente
(seguitoduevoltedaspeme):
fieramente al m. : accidente
al m. : Bramosamente al m.
(con spento 42) : similmente
al m. (effetto di correzione)
13-28-33-41-46, l’ultimo in
chiusa del testo; pianto –
quanti 16-19 (preceduto nel
verso da un altro quanti), e
poiIntantoalm.–Quantoal
m.–canto21-22-25;rimaint.
Piacesti:resti19-22;passa–
lascia al m. 29-30; fuggito :
grido30-34;giorno–umano
alm.–suono31-33;succede
– accidente int. 32-33;
fragorio : io al m. 36-42;
oceano–ragiona(eposa)3738-39;posa(dacorrezione)–
poscia, quasi-rima identica,
38-41ed’altrapartedoloroso
al m. 42; spento – canto –
Lontanando, tutti int. 42-4445; e altro ancora. È un
tappeto tibetano tanto più
lavorato se si considerano le
molte ripetizioni di parole e
sintassemi (anche in forma
analoga al ritornello) che
caratterizzano il Canto. E si
possono notare rapidamente
almeno altre due cose: il
tracciato delle voci in (m)ente che costituisce come
una spina dorsale fonica (e
non solo) del testo; e il fatto
che gli echi si moltiplicano,
come in un crescendo di
significanti affini, nel finale
delCanto.
Nei due Idilli successivi,
più ampi e narrativi (e il
secondo anche diviso in
parti),ifenomeniinquestione
decresconorispettoallequote
della Sera, ma certo non
quanto ci aspetteremmo. Il
sogno: imposte – balcone al
m.–sole–albore:amore12-6-7; stanza : sembianza :
ricordanza tutte int. 3-10-12;
leve – soave int. 4-5;
riguardommi : lasciommi :
Appressommi int. 6-8-11;
pianto : quanto (due volte) –
e sospirando 8-11-14; parea
int.:credea(dacorrez.)9-15.
Al contrario che nella Sera,
qui è l’inizio ‘lirico’ a essere
marcato, e fortemente. In
seguitolapercentualescende:
questo – vedesti 16-23; rima
int.Dolor:cor37-39;detti–
dilettaint.39-40;era:intera
40-43 (con cara, cfr. sotto, e
tenerella42);altrarimafacile
int.Pallor – cor – Dolor5961-68;amore–allora – sola
–soccorra–conforta61-6467-69-71; altre rime int. o al
m. stava : traballava 85-86,
colei
:
miei
87-88,
teneramente-finalmente (con
menti int.) 87-91; giornoindarno-eterno int. 86-80-93;
rima al m. sfortunato : fato :
sconsolato (anzi «s. pianto»)
90-94-97. Tra gli echi
orizzontali citerò soprattutto
«Diquellaspemechesotterra
è spenta» 33. Rime e
pararime si aumentano
nuovamente nel finale,
mentreciòchecaratterizzala
parte centrale, oltre al loro
rarefarsi, è la comparsa di
rime identiche o meglio
epifore, che di solito stanno
con gli altri fenomeni in
rapportotendenzialedimutua
esclusione, come s’è visto su
altriautori:cara37-42,e79,
vecchiezza
52-54
(in
opposizione a giovanezza),
giorni65-71.
La vita solitaria. Il primo
movimento, il cui inizio si
legachiaramenteaquellodel
Sogno («chiusa stanza» vs
«cieca stanza»), è unificato
più che altro da assonanze
(duediseguitosuàneiprimi
quattro versi); s’aggiungano
laquasi-rimaint.Gallinella–
augelli 3-9, la rima al m.
cadenti : ridenti 5-10
(rafforzata da Dolcemente 7)
e l’altra ma lontana mura :
natura 11-20 (più sciagure
int. 19), la rima int. Pietà :
Felicità 15-20, la quasi-rima
quanto – sdegnando 16-18;
s’aggiunga magari pioggia –
piagge 1-10, e qualcos’altro.
Densità notevole, ma ancor
più lo è quella della
straordinaria seconda lassa,
sorta
di
controfigura
dell’Infinito:«solitariaparte»
23 (e cfr. margine 24); parte
–piante al m. 23-25; rima al
m. lago : imago 24-27,
arricchita da rialto al m. e
incoronato 24-25; tranquilla
int. – crolla int. (e foglia) –
cicala – farfalla int. 27-2829-31; dipinge – lunge al m.
27-32;io: obblioalm.nello
stessov.,34;Sedendoalm.–
senso 35-36 (e cfr. silenzi 38
int.); né vanno trascurati il
ritorno della parola-tema
quiete 33-37 (la prima volta
in fine v.) e la figura
etimologica
immoto
–
commova 35-37, con la
seconda parola a sua volta
apparentata a confonda 38,
ultima del brano. È una
disseminazione, su soli 16
versi,
non
meno
che
eccezionale.
Va da sé che il seguito,
come più narrativo o
meditativo, e sottratto al
dionisiaco, sia meno ricco,
ma
pur
sempre
più
dell’atteso. Terza lassa: mio
40rimaalm.allalontanacon
desio
49,
e
questo
esternamente ancora con mio
53 ma soprattutto riprende la
rima al m. citata in -io della
lassa precedente; quindi
volasti – scendesti al m. 3944,mano–seno al m. 41-44
(e scena int. 47), rima int.
Speranza : danza 49-51 (e
Balza int. 50), consonanza al
m.vagabondo–soffermando
61-62,quasi-rimaalm.canto
– estrano 66-68, ed è quasi
tutto. Si può osservare che i
ritorni fonici sono più
frequenti nella parte iniziale
dellalassa,echequi,a43-45,
cade l’epifora al mezzo di
tempo, quasi fossimo già
nelle Ricordanze. Quarta
lassa: rima int. Mattina :
reina 72-75; false – salve –
balze tutte int. 73-74-76, e
ancor più paronomasia selvesalveint.71-74;rimaint.inor 74-79; core int. – occorre
83-85; rima int. in -endo 8889;rimealm.mura: spaura
ibidem e ardenti : menti 9091; Infesto al m. – cospetto
91-92;rimaint.prolungatain
-ar; rima al m. serena : lena
101-107(attraversoumanaal
m. 103); verdi-seder-erbe (e
sede 103) 105-106. A quanto
pare,sihaun’intensificazione
dei fenomeni nel finale (cfr.
ancheleripetizioniumano,-i,
-a 98 ss. e guardo-riguardi
98-103). E l’ultima parola
della lassa e della lirica,
l’irrelata avanza, si riallaccia
alla stanza che ne termina il
secondo verso, attraverso la
già notata rima in -anza al
centro. Così forse il core,
altra parola irrelata ma
pregnante dell’ultimo verso,
chissà che non risvegli
l’attacco della terza lassa,
Amore,amore… e il relativo
core 48 con cui questo rima
al m. alla lontana. Se ciò è
possibile, questo finale allora
èdoppiamentemarcato.
Inbaseaquantoaccennato
più sopra, occorre esaminare
l’Ultimo canto di Saffo. I
strofa:quasi-rimaint.Notte–
ignote 1-5; fato – insueto
(dapprimailfemminile-a)al
m.5-8;rimaarride:divide613; rima int. Polveroso :
tenebroso, semanticamente
ricca, 11-13 (e cfr. dilettose
sempre int. 4, da desiate);
falsa rima identica carro (e
segue ancora carro) – capo
11-12; quasi-rima al m.
profonde–sponda:onda1417-18. II: rima al m. manto :
canto con frammezzo invano
19-26-29; cotesta (ma cfr.
anchevastadacorrezione15)
–addettaalm.20-24efenno
– intendo int. 23-27; rima al
m. vezzose : flessuose 25-34;
rimaint.in-ati30-32(ecfr.ate36);mattutino–seno int.
29-33efaggi30cheanticipa
la rima finale in -agge. Si
noterà pure che la strofa è
ricca di sdruccioli, non di
radoequiposizionali.III:rima
al m. di nefando 37 col
Disdegnando
della
str.
precedente, 35; torvo – volto
(da correz.) 38-39; misfatto
(anche questo da correz.) –
disfiorato int. 41-42; Spande
– arcano 2 volte – pianto –
sembianze 2 volte 45 ss., e
pianto al m. 47 rima con la
combinatio finale; speme –
amene al m. 49-51; virili –
liraint.52-53.IV:rimaint.in
-à 56-57; rima int. Ignudo :
crudo 56-57 (con lungo 58);
rima int. in -or 58-60 (da
correz.)–63;indarno–vano
(stessov.)–implacatoalm.–
avaro59-63;rimaint.in-ato
60-62; sogno-ingegno 64-70;
la tematica fanciullezza :
vecchiezza int. 65-67; tante /
sperate palme 68-69; da
aggiungere Vivi – Visse
entrambiainiziodiverso,6162. Come si vede, il bottino
non è meno ricco che negli
scioltiveriepropri.
Due mesi dopo l’Ultimo
canto (luglio 1822) Leopardi
scrive una Canzone tutta in
sciolti, l’Inno ai Patriarchi.
Vediamo. I lassa: rima
tematicacanto:pianto1-7(e
cfr.Lodando3);quasi-rimaal
m. padri–cari2-4;eterno–
estremo, come poi in A se
stesso,3-9(ecfr.pureetereo
al m. 8); quasi-rima al m.
armaro – parto 17-19; rima
int. in -ato 19-21; in
successione grembo-materno
20.II:padre–errante24-25;
valli (da correz.) – colli 2732; rima int. errante :
anelante 43-49, preceduta da
sangue – nefande (da
cruente) 39-41; quasi-rima al
m. incesta – secreta 41-44;
quasi-rima al m. venti – tetti
45-46 e poi ricetti al m. –
inerti (da correz.) – imbelli
50-53-55; rima al m. lontana
venti : menti 45-55 (e cfr.
pentimento int. 48). III:
mugghiante 57 che ripete
anelante di II al m., 49 (ma
cfr. anche natanti al m. 60);
Scampi al m. – empi 59-65.
IV: menti 78 al m. in quasirima con frequente 81. V:
rima lontana cara : ignara
90-97; dilettosa 90 che fa
rima interna seppure lontana
col vezzosa della lassa
precedente, 83. VI: rima int.
Cura : natura 106-12; bosco
– giorno – nostro 107-109-
110; quasi-rima al m. violate
–ignorati (corr. da inesperti)
114-115 (e cfr. Scellerato
111); educa : ignuda nello
stesso v. 116. Stante la
maggiorlunghezza(unavolta
e mezzo) rispetto all’Ultimo
canto,ilbottinosembrameno
ricco, anche in virtù di varie
soluzioni ‘facili’ e della
lontananza di varie rime, e
soprattutto sembra che lo
slancio decorativo dell’inizio
si attenui sensibilmente nelle
lassesuccessive.
Le Ricordanze sono come
èbennotogliuniciscioltidei
Canti pisano-recanatesi (ivi
compresis’intendeilPassero
solitario e l’Imitazione): per
certi aspetti si collegano agli
Idilli più ampi, Sogno e Vita
solitaria, e in genere
ripropongono, ancor più
diffuso, l’io esistenziale di
quella serie. Ma è opportuno
segnarne
soprattutto
la
differenza,lunghezzaaparte,
dagli altri Pisano-recanatesi.
Perché se da un lato
continuano la poetica della
rimembranza di A Silvia,
dall’altro
però
si
differenziano
nettamente
dalle altre due modalità
principali della serie: l’io
spettatoreinpraesentia e poi
giudice
razionale,
e
l’espressione indiretta del sé
attraverso allegoria e alter
ego. È un flusso inarrestabile
di sentimenti e sensazioni
risvegliatidairicordi,ecome
tale sollecita fortemente i
fenomeni di cui ci stiamo
occupando.
I lassa: quasi-rima int.
Paterno–albergo3-5;quasirimaalm.giardino–fine3-6;
allora–zolla9-10;«Mirando
il cielo, ed ascoltando il
canto» 12 : sussurrando int.
15,ecfr.peraltroversovento
15 e poi tetto 17; rana –
campagna 13; cipressi –
immensi 16-19; lontano –
arcani, arcana 21-23; quasirima identica int. Monti –
mondi21-23;rimaalm.fato:
cangiato (ultima parola della
lassa)
25-27.
È
subito
un’intensa caratterizzazione
armonica. II: dannato al m.
29cherimaconl’ultimarima
della lassa precedente e
anticipa abbandonato al m.
38(dasolitario);rimainversa
int. Strani – dottrina 31-33;
segno – divengo – rendo –
perdo 37-40-42-46; rima int.
in -or 42-45 (e cfr. fiore in
fine lassa, 49); rima
derivativa int. Giorno :
Soggiorno 46-48; diletto –
questo 47. III: ora 50 (fine
primo verso) che fa quasirima con fiore, ultima parola
della lassa precedente, e cfr.
anche terrori al m. 54; senta
alm.edentro–sottentra(da
correz.) – presente al m. –
armentialm.:possente al m.
56-58-59-63-66; fianco –
parlando int. : sibilando int.
65-66-69;queste–finestreal
m. : celeste al m. 68-69-76;
Mistero int. – intera –
ammira (ultima parola della
lassa) 72-73-76. IV: età 78
che rima con beltà alla fine
della lassa che precede,
mentresperanze,speranzedel
primo verso richiama amante
diIII,74;rimaint.in-ar7980; tempo – intendo 79-81;
rimalontanafrutto:tutto8393, passando per oscuro 85;
ripenso – dolente – Sento
tutte int. 88-91-93; rime int.
di futuri in -rà 96 ss.; rima
int.mia:fia 97-98; rima int.
in -ammi 96 ss.; certo :
acerbo 99-101. V: contenti
int.–lungamente(dacorrez.)
– sedetti int. 105-106-107,
poidolorosamenteinclausola
solenne 114; rima al mezzo
desio : mio 105-109 e int.
ricca dolor : Malor 109-110;
forse–fiore110-111;rimaal
m. quasi identica spesso :
stesso 113-117; rima int.
Lamentai : cantai 116-118;
poetando – canto : quando
115-118-121. VI: giovinezza
(da correz.)-Vezzosi 120-121;
giorni-intorno
120-123;
primieramente 123, cfr.
sopra; mondo – inchinando
126-129; lampo – tempo (da
correz.) 131-134. VII: rima
int. in -ar 137 ss.; finestra –
deserta al m. 141-144; rima
inversa odorati – vita int.
151-153;rimaint.Cor:amor
157-158; altra rima inversa
mia – giammai 164-165;
torna–giornoalm.164-166;
amore–miroemira:sospiro
165-167-169-170; sento –
sensiint.167-172.
Vanotatoconforzachenel
lungo testo i già imponenti
effetti rimici e pararimici
sono accompagnati, oltre che
dalle consuete allitterazioni e
armonizzazioni orizzontali
(«Viene il vento…» 50,
«Delle torre del borgo era
conforto» 51, «Dolce…
dolor…» 58, «al tempo che
l’ecerbo indegno / mistero
delle cose…»), da tutta una
seriediritorniverbalidivario
tipo,eprimadituttodiparole
‘vuote’, il che mi pare non
abbia uguale nei Canti, ed è
tale da indurre continui
parallelismi che sul piano
lessicale o sintagmatico sono
come
l’equivalente
dei
fenomeni fonici registrati.
«Quante… quante» 7; «E
che…
Che…»
19-20;
«arcani… arcana…» 23;
«Qui… Qui…» 38-41;
«Senz(a) … senza» 39;
«caro… più caro… più
che…» 44-45; «Quella…
queste… Quei…» 61-63;
anche «indelibata, intera…
inesperto»
73-75;
«O
speranze, speranze…» 77;
«… sebben… sebben…» 8485; «E quando… quando…»
95-97; «Sospirar mi farà,
farammi acerbo» 101 (qui
come altrove, reduplicatio);
«Passasti… passasti…» 149152 (e «passar» 150), e cfr.
159-160;
«splendea,
splendea» 154; «Quel…
quel…» 155; la continua
invocazione di Nerina, 157
ss.; «Se a feste… Se a
radunanze… a radunanze, a
feste…» 158-160; anafora di
«Dico» 160-164-168; «Tu
non… più, tu più non» 161;
«Se torna… non torna… non
torna» 162-164-165 ecc. È
una fioritura impressionante,
chenonacasosifapiùricca
ancora nella lassa finale
dedicata a Nerina, al cui
nome infatti è diretta la serie
più diffusa di ripetizioni del
Carme. Questa costante di
ampiezza inusuale, e forse
soprattutto questa, che non
pernullavaspessoatoccarei
deittici di prossimità, ci dice
dunque che siamo di fronte
allaliricaincuipiùLeopardi
si abbandona alla propria
emotività,inunariscopertadi
luoghi e persone eccitata dai
ricordi: una lirica, piuttosto
che
‘onniaccogliente’,
onnipatetica,
e
perciò
fonicamente e lessicalmente
diffusiva.
Nel cosiddetto ‘Ciclo di
Aspasia’ hanno a differenza
degli altri uno spiccato
carattere
narrativo
(e
copertamente
o
scopertamente
autobiografico) due testi,
ConsalvoeAspasia,edunque
sono in sciolti che – si può
anchedire–modernizzanola
forma delle terzine dantesche
del Primo amore. Partiamo
dalConsalvo. I lassa: epifora
su tempo 2-5; rima al m.
sospirato : abbandonato :
stato5-7-11(ecapo4,fianco
al m. 10); lieto – detto –
ripetutoint.15-16;rimaalm.
costante:amante17-18;rima
alm.solea:avea18-22;rima
int. amor – timor 19-22, più
amore23,ultimaparoladella
lassa. II: rima al m. e poi
perfettaSentendo:stringendo
:
rendo
26-28-31;
dogliosamente al m. –
prevenne–discende (in rima
lontana con rende 34, da
correzione) 37-41-43; rima
int.Vedrò: udrò48-49;rima
al m. lasciarmi : donarmi :
vantarmi 50-51-53; quasirima int. semispento (da
semivivo) – Eternamente 5456.III: atto 59 (primo verso)
in rapporto con detto della
precedente, 56; rima int. in ea 62-63; core – ardori (da
correz.) 63-66 (e sospiro 69,
pure da correz.); anni (da
correz.) – affanno 68-71;
quasi-rima int. Argomento –
Dolcemente 69-70 (e cfr.
amante int. 74). IV: quasirimaappariro – Elvira75-78
e poi epifora con altra Elvira
85 (collocata in fine verso
concorrez.);rimaalm.tenea
: battea 78-79; rima int.
ancor : amor 82-87 (nelle
vicinanzeamore e mortedue
volte ciascuno); affetto –
contento (da correz.) 92-94;
rima int. sorte (da destin) :
morte 99-100; quieto (da
correz.) – sofferto 103-107;
rimaint.in-ato109-112-114118, con l’accompagnamento
di cotanto 111, patto 114,
volando 116. V: epifora su
giorno 125-127 (più altro
giornoint.129esogno123).
VI: sembiante al m. –
«Quanto, deh quanto! 131133, quindi pianta 135,
gelando136;rimaint.amor:
cor:amor133-136-142:rime
int. di -ar (più amaro) e -ir
infinitivi,137-138e137-140;
rima al m. Passato : dato
142-143; quasi-rima int.
diletta (da correz.) – affetto
145-147.
Con qualche maggiore
accensione,
Aspasia,
conclusione e liquidazione
del ‘Ciclo’, è sulla stessa
linea, a cominciare dalla
presenzadiepifore,sugiorno
9-13, come nel Consalvo, su
fianco 18-28, su apparve 2633. Per il resto, I: lampeggia
3 – piaggia 11; accolta –
dotta13-20;laseriefianco–
sonanti–intanto – desiato –
raggio – fianco – braccio –
ululando 18 ss. e quando –
porgendo int. 20-24. II: rima
int. in -ar 37-43; ancora –
incolpa44-47;rimaint.adira
: inspira 47-50. III: stessa in
rima al m. con essa di II, 5;
Potesti int. – intensi –
Movesti – concenti 63 ss.;
ignora: «ad ora ad ora» 6773 (più adopra – ascolta –
morta69-70);rimaint.in-or
68-75-77; quanto : tanto –
spento
72-75-77
(e
conoscente int. 82); vivi –
Diva 74-78; adora – chiaro
80-82; rima int. beltà : già
81-86. IV: piegar 90 in rima
int. con tollerar di III, 88;
rimaint.in-or91-93-96-101;
tremante – sommessamente
int.95-98;seriesuatonica-o
97 ss., rima int. in -ar 101-
105; contento – senno int. –
giacendo105-106-111;affetti
–vendetta al m.; Orba int. –
erba107-110.
Come nel Consalvo, non è
tanto la quantità degli echi
fonicichefadifetto,quantola
loro qualità: rime tronche,
grammaticali, lontane ecc., e
le epifore che segnalano la
fuoruscita dalla fluidità lirica
versolascansionenarrativa,e
si consideri infatti l’uso che
ne fa un grande narratore in
versi come Parini. Ma il
Canto si caratterizza per la
quantità, che appare anche di
ragione ossessiva, delle
ripetizioni verbali: alle
epifore citate si aggiungano
fiorita – fiori – fiori 11-1215, beltà – bellezza 34-35,
Vagheggia, -are 37-43,
amorosa – amante – amar –
ama–amanti39ss.,donna–
donna 42-48, Che… che…
che… e che… 64-65, amai
duevolte71-78,vita–vivi–
vita 72-74-79, Bella… bella
75, Narra… Narra 89-90, a
cui… a cui 90-91, mio-mio
92-93,Me…medime95-96,
Ogni… ogni… ogni 97 (più
100) ecc. Anche il nome
Aspasia torna a distanza, I, 2
e III, 63-70: ma mentre il
continuonominareNerinaera
un abbandono a un ricordo
incancellabile e dolce, come
un non sapersi staccare dal
nome che era la cosa, qui la
ripresa fa transitare il nome
della
«donna»
(così,
anonimamente, a 34) dal
ricordo della sua attrattiva
sensuale alla sua dura
condanna, di chi sta per
(vuole) staccarsene («Or
quell’Aspasia è morta / Che
tanto amai»). Ma tornando al
punto: da una parte la non
invasivitàdegliechifonicifa
scorrere un racconto che è
anche la «vendetta» (cfr.
110),madall’altrailcontinuo
ritorno di lessemi che
riguardano lei, l’io, l’amore,
la
ritorsione
configura
appunto un’ossessione che
l’andamento costruito e
direzionale della storia non
riesceavincere.
Infine, rompendo per una
volta
la
consecuzione
cronologica,
considero
assieme il Pepoli (1826) e la
Palinodia (1834), per molti
versi affini, a partire
dall’impostazione allocutivoepistolare. Prendendo la
prima lassa del Pepoli, ecco
cheoltreaqualcheassonanza
baciataeaunarimaint.in-àr
e a una sempre int. vero :
nocchiero, 9-16-20 e 18-19,
compare
quasi
prevedibilmente un’epifora,
suvita 8-15 (la parola anche
all’interno, tematicamente, 2
e 17); lontana la quasi-rima
periglio – famiglia 26-35;
altra epifora su mano 44-55,
supportatadainvano58egià
da manto 52. Quasi
nient’altro, e le lasse
successive mostrano anche
meno. Da citare semmai a
cavallodilassaindarno 86 –
fraterno 89, la rima perde :
verde 112-116, e piante –
canto – piagge 126-130-131;
anche l’ultima lassa si lega
alla penultima, ma mediante
la rima int. facile in -àr.
Pochissimoaltro.Quantoalla
Palinodia, tastiamo tre lasse.
I: rima int. in -ài con errai
due volte 1 ss.; rima al m.
odorato:fato:onorato6-1114 (e prima beata 5, poi
gelatialm.16);rimaint.inor 17-23; epifora su vidi, poi
ripetuto all’int. a 28, 20-24;
rimaint.studi:virtudi26-27;
rima al m. ansando :
meditando
31-35
(più
vedendo 34 e Stupende int.
27,cheperaltroversovaalla
lontana con Profondamente
36); qualche assonanza, tra
cuiquellaanchesemanticadi
18-19,rifulse–luce.IVlassa,
dove si raccoglie poco:
qualcheassonanzaprossimae
ricca (ad es. repugnanti –
parti 100-101, innanzi –
panni 108-111, fabbri –
leggiadri 112-115), e le
quasi-rime tappeti – letti int.
116-118 e Certamente –
appartamenti al m. 116-119;
rima al m. identica su
dischiuso 126-127 e int. su
vie 130-132. E ora l’ultima
lassa:segno,primov.,260,fa
rima al m. con pegno della
lassa anteriore; ciel e sfavilla
263annuncianodonzelle264,
velli 267, favellare 276, ville
277;comespessorimeint.in
-àe-àr;quasi-rimaalm.vola
– prole 265-267 (e prole si
ripete a 275) ed Eletta –
aspetti 274-275; quasi-rima
sicuro – spauri 270-273;
consonanzaint.Ridi–cittadi
275-277, e qualcos’altro. Su
unospaziodiventiversi,non
èpochissimo.
Proviamo, in conclusione,
a
segnare
o
riprendere
qualche traccia generale.
Anzitutto: la sollecitazione
fonica
degli
sciolti
leopardiani viene dopo – a
trascurare esempi più lontani
– quella imponente di varie
zone del Giorno e dei
Sepolcri,
ma
si
ha
l’impressione che rispetto ai
momentipiùaccesidell’unoe
degli
altri
Leopardi
alleggeriscaalquantoe,come
dire, ‘nasconda’ di più.
Sfolgora anche in questo la
straordinaria
personalità
tecnica del poeta, o diciamo
meglio il suo orecchio, una
tecnicamaiostentataequindi
mai decorativa, ma sempre
sottomessa al messaggio.
Anche negli sciolti il
messaggio è detto con un
continuo – ma per lo più
segreto – sommovimento o
sollecitazione dei significanti
che a guardar bene non sono
altro che una manifestazione
di quella vitalità che per il
poeta
era
l’unico
contrapposto al male di
vivere e al nichilismo del
pensiero, e nella poesia
nasceva dall’autore e si
comunicava al lettore con la
suaenergia,qualichefossero
i contenuti, anche i più
negativi, del testo. Ed è
interessante commentare un
aspetto che risulta dai dati
offerti, e cioè che spesso le
concordanze
foniche
provengono da correzioni (il
fenomenoinversoèpiùunico
che raro): eloquente in
particolare il caso del
Consalvo, che senza il
numero più alto del solito di
interventiintalsensosarebbe
stato piuttosto nudo. Si può
anche dire che l’animazione
fonica degli sciolti avviene
conglistessimezziconcuiè
realizzata la corrosione
metrica nelle Canzoni libere,
e già nelle Canzoni
‘tradizionali’stesseinquanto
si liberano dagli schemi
usualienecreanoicompensi,
o arricchimenti. Quello
dell’Ultimo canto di Saffo è
qualcosadipiùdiunepisodio
particolare, ma ci suggerisce
cheneltotaledeiCanti,come
mostrano i nostri spogli,
Canzoni e sciolti, scritti su
due tavoli diversi, da una
parte si oppongono ma
dall’altra si incrociano e si
regalanopiùdiqualcosa.
Già
utilizzati
nelle
Traduzionipoetiche,seidelle
quali,daMosco,sono‘Idilli’
in sciolti, come anche Le
rimembranze del ’16[8], in
quellichesarannoiCantigli
sciolti prendono posto subito
negliIdillidel’19equindiin
tuttalaserie:edèinteressante
che quello poi confinato tra i
Frammenti (XXXXVII, Odi,
Melisso), e di tono tutt’altro
rispetto ai compagni, abbia
anche per i fenomeni in
questioneunafisionomiacosì
differente. Fra i cinque Idilli
canonici
spicca
per
animazione dei significanti
La sera del dì di festa, dove
pathos
e
personalismo
esistenziale sono più forti; e
sono più o meno le ragioni
per cui si caratterizzano alla
stessa maniera la seconda
lassadellaVitasolitariaepoi
– pariteticamente su tutta
l’ampia superficie – le
Ricordanze, più diretto erede
fra i Canti pisano-recanatesi
degli Idilli ed espressione,
con un flusso quasi infinito,
del
patetico
e
del
‘sentimentale’ delle istanze
memoriali. Ma intanto la
disseminazione
dei
significanti diventa molto
meno
sensibile
nell’occasionaleedidascalico
Pepoli;epoiperaltreragioni
nei due sciolti dei Canti
fiorentini,
Consalvo
e
Aspasia,
dove
la
concentrazione lirica cede a
un
andamento
fondamentalmente narrativo,
magari anche disperso (e il
mutamento è segnato fra
l’altro dall’instaurarsi di
epifore in luogo di rime o
pararime); e ancora e
ovviamente nella sequenza
didascalica e meditativa e
satirica della Palinodia,
rappresentazione e critica
stridente del moderno che
richiede, come si vede bene
dal lessico, non omogeneità
maplurilinguismo,senonsia
il sarcasmo stesso a eccitare
la
rispondenza
dei
significanti. Grosso modo, si
può dire in generale che la
disseminazione fonica è
proporzionale al grado di
‘lirismo’ e passionalità del
testoinoggetto.
Ma
c’è
un’altra
correlazione evidente, che
non è più col tono
complessivodeltestomacon
le sue sezioni. Dagli spogli
effettuati risulta chiaro che
tendenzialmente (o quasi
sempre) – e anche in un
regime non accentuato del
fenomeno – rime e pararime
siinfittiscononegliattacchie
delle chiuse dei testi,
fungendo,comegiàavveniva
particolarmente in Parini, da
loro ‘segnale’, come una
carica e scarica elettriche.
Infine merita attenzione il
fatto che rime e pararime
tendano a situarsi, piuttosto
che in fine di verso,
all’interno o al mezzo.
Certamente è in gioco la
tendenza di Leopardi, poeta
sempre segreto, a nascondere
ed ovattare questi fenomeni
anzichéesporli–chesarebbe
anche una violazione troppo
esplicita del genere metrico
deglisciolti.Maandràtenuto
conto di un altro fattore, e
cioè
dell’abitudine
di
Leopardi,
poeta
dell’inarcatura continua, a
iniziare o chiudere periodo o
fraseancorpiùall’internoche
allafinedelverso,sicchénon
è più questa ma l’interno a
calamitare le rispondenze
foniche.
[1] Nell’assieme dei testi che
esamineremotral’altro,conl’eccezione
diParini,mancanoquasiassolutamente
le uscite sdrucciole e, se non ho visto
male,assolutamenteletronche.
[2] Dal Muratori al Cesarotti, vol.
IV, a cura di E. Bigi, Milano-Napoli,
Ricciardi,1960,pp.87-269.
[3] V. Monti, Opere, a cura di M.
Valgimigli e C. Muscetta, MilanoNapoli,Ricciardi,1953.
[4] L’unica che vedo è però al
mezzo, Mg 422-423, e cfr. anche la
celebre aita aita : impietosita, ibidem
669-671.
[5] Altrove (Attraverso la poesia
italiana. Analisi di testi esemplari,
Roma,Carocci,2008,p.123)honotato,
oltrealmagisterosintatticodelbrano,il
trattoanchegenialedelleparoleinfine
verso tutte plurali con l’eccezione del
versod’avvioedelfinale,placante.
[6] Dal Muratori al Cesarotti, cit.,
pp.270-275.
[7] R. Ambrosini, Per un’analisi
linguistica
dell’«Infinito»,
in
«Linguistica e letteratura», VIII, 1983,
pp.65-80.
[8] Cfr. ad es., la versione del
secondodell’Eneide,dicuihospogliato
i primi 312 vv.: rima al m. Infando :
miserando : ragionando 2-5-11, più
pianto 10 e persuadendo al m. 13;
quasi-rima infine – divina 18-20; id.
stanchi: fianco 19-26; epifora su lido
33-39; rima e quasi-rima gittasse –
ardesse – forasse 52-54; epifora con
poliptoto occulte-occulta 53-63 (e di
nuovoocculte 80); quasi-rima fianco –
inganno54-61ecc.Latecnicaèpiùche
esplorata, ma non certo al livello degli
scioltideiCanti,ecosìsidicaancheper
leversionidaMosco.
VIII
Strutturefinie
costruzionenella
Seradeldìdifesta
LaSeradeldìdifestapresenta
una disseminazione di rime e
pararime.Imotividelcontrasto
tematico si alternano lungo
tuttoilCanto,quasirievocando
le forme del fugato musicale.
La Sera, che pure non ha mai
goduto di una grande fama
presso la critica idealistica, è
uno dei componimenti in cui
emerge
maggiormente
l'attenzione per la costruzione
del
componimento
del
Leopardi.
Scritta probabilmente nella
primavera del 1820, come si
ricaverebbe
dai
riscontri
tematicisottocitati.Unasola
rima, e non vicina né
speciale, pianto : canto 1625, appoggiata da quanti 19,
mapiùdiunainterna,chiara
:Rara1-6(cfr.ancheAppare
sempre a inizio verso 12),
luna : nessuna 3-9 (con
notturna6),Cura:natura9-
13, piacesti : resti 19-22,
riede:succede(conaccidente
33) 26-32, Intanto : quanto :
canto al mezzo 21-22-25, e
parecchie
assonanze,
consonanze e quasi-rime per
lo più interne e al mezzo,
vento – sentiero 1-5, tace –
traluce5-6,altro–pianto1516, verde – riede 20-22,
passa–lascia 29-30 (questa,
secondo un’ipotesi poco
plausibiledell’Antognoni,per
evitare una rima perfetta
passa : *lassa)[1], fuggito –
grido – fragorio (a sua volta
in rima al m. con io 42) 3034-36, giorno – suono –
oceano 31-33-37, posa –
poscia – doloroso 33-41-42,
spento-canto-Lontanando 4244-45 ecc. Tra queste è
particolarmente
notevole
affaccio – affanno al m. 1214(lasecondaparolacorretta
da un precedente travaglio e
appoggiata anche a pianto
16).Ecfr.sottoperlevociin
-(m)ente. Anche se gli sciolti
leopardiani sono sempre
attraversati
da
rime
e
pararime, la disseminazione
che si ha in questo Canto è
impressionante, e forse va
considerata omologa ai
fenomeni di eco e ripresa
tematicieverbalidicuisotto.
Endecasillabi entro gli
endecasillabi
appaiono
almeno a 4-5, 23-24. Gli
enjambementssonomenofitti
che nel precedente Infinito,
ma sono comunque molte le
frasioiperiodichescattanoa
metà verso, come subito a 4
(e cfr. oltre). Particolarmente
numerosi gli endecasillabi di
x-6a-10a, veloci e con un
largo spazio atono nel
secondo emistichio, dunque
funzionali al ‘canto’, anche
sopra le medie leopardiane
(diciannove su quarantasei
versi,eseidiseguitoa35-40;
cfr. in particolare «E l’antica
natura onnipossente» 13)[2].
Come sempre negli Idilli (un
po’ meno nei Canti pisanorecanatesi)ildiscorsopoetico
leopardiano
procede
attraverso
un
continuo
‘legato’: dei suoi quarantasei
versi due in tutto (6 e 44)
contengono solo scontri
consonantici (ma il primo è
finemente
armonizzato:
«Rara traluce la notturna
lampa»), gli altri almeno una
sinalefe, e fino a tre già a
partire
dall’incipit,
e
addiritturaaquattroin2,23e
33. Ne consegue, ed è ancor
più interessante, che tutte le
non poche volte che una
nuova frase s’apre al centro
del verso, comincia quasi
sempre con vocale e di
conseguenza si unisce alla
fine della frase precedente
mediantesinalefe:adesempio
«Serena ogni montagna. O
donna mia…» 4, «Tu dormi:
ioquestociel…»11,«Chemi
fece all’affanno. A te la
speme…» 14 ecc.[3]. Unica
eccezione,sevedobene,20.
Nel lessico può essere
indicata come elemento
unificatore
del
Canto
l’inconsueta (a quest’epoca)
frequenza di polisillabi non
comuni in -ente, -mente, col
loro potenziale ‘infinitivo’
(cfr. specialmente Zib. 17441745), e ora raziocinanti ora
intensamenteesistenziali,che
finiscono per agire come
armonici successivi del testo:
onnipossente 13 (prodotto di
correzione: un solo altro
esempioneiCanti,ecfr.Zib.
3746), accasato fra voci in eme, -emme; fieramente 28
(hapax);
accidente
33
(compare nei Paralipomeni,
ma
mai
nei
Canti);
bramosamente 41 (altro
hapax, e adiacente a
«doloroso»), con spento pure
all’interno 42; similmente 46
(hapax).
Queste
parole
solenni hanno tanto più
spicco perché cadono in un
Canto che sia nell’estatico
largo iniziale sia nella
rappresentazionediundolore
selvaggiopoggiadiregola,un
po’
come
avveniva
nell’Infinito, sulle catene di
bisillabi(«Dolceechiaraèla
notte e senza vento», «Mi
getto,egrido,efremo»ecc.).
Qui
pure
comunque
Leopardi costruisce il Canto
con un tessuto lessicale
specifico, ma nello stesso
tempo per nulla accusato: ai
lemmi appena elencati si
aggiungano traluce 6 (solo ente nei Paralipomeni, e si
osservi l’effetto d’eco con
tace 5), lampa ibidem (cfr.
Zib. 1066; una sola altra
attestazione nei Canti),
agevole 7 (solo un’altra
attestazione nei Frammenti
finali), solenne 17 (un solo
altro esempio nella raccolta),
trastulliibidem(unsoloaltro
esempio nei Canti), fragorio
36
(altrove
meno
cosmicamente
e
meno
fonosimbolicamente fragore),
lontanare 45 (già nel solo
Appressamento della morte)
che riprende l’altro infinitivo
di lontan 3 (su parole come
lontano, «poeticissime e
piacevoliperchédestanoidee
vaste, e indefinite, e non
determinabili e confuse» cfr.
Zib. 1789; per ulteriori
distinzioni cfr. ibidem 20532054). A questo lessico si
accompagnanonellasintassii
polisindeti così tipici degli
Idilli, fin dall’estatico verso
iniziale e poi a 2-3, 23 ecc.,
ma che qui vanno piuttosto
assieme all’affanno delle
ripetizioniverbaliacontattoe
ai relativi sbalzi o ristagni
emotivi: speme – speme 1415, quanti – quanti 19,
piacesti – Piacquero 19-20,
Oh – Ahi 23-24, festivo –
festivo 31, Or dov’è – or
dov’è 33-34 ecc. Alla
specificità generale del
lessico del Canto va poi
aggiunta
quella
che
caratterizza in opposizione
l’inizio, vv. 1-9, e il seguito.
Da una parte, dove sono di
scenailpaesaggiolunareela
donna (o possiamo dire la
donna-luna?), dominano i
lessemi e sintassemi che
indicano coralmente pace e
serenità: «senza vento» 1,
«queta» 2, «Riposa» 3 nella
redazione
iniziale
(poi
«Posa»), «Serena» 4, «tace»
5, «agevol» 7, «chete» (che
ripetendo sia pure con
variazione
2
sottolinea
l’appartenenza della donna al
regno della serenità della
natura), «e non ti morde /
Curanessuna»8-9.
Nella più ampia sezione
successiva, invece, dove si
esprime e si dibatte l’io
dolorante, non si contano le
sottolineature aggressive e
disfemiche, drammatizzate
dalle interiezioni e dalle
esclamazioni
o
interrogazioni: «morde» e
«Cura» (alla latina) 9,
«Quanta piaga m’apristi» 10,
«affanno» 14, «Nego» 15,
«pianto» 16 anche rilevato
dalla rima, «per terra / Mi
getto, e grido, e fremo» 23
(notare sempre le virgole
isolanti; per il tutto non
bisogna
pensare
a
convergenza
col
Romanticismo,
ma
all’oppostoconleespressioni
veementi del dolore negli
antichi,dicuipiùdiunavolta
nello Zibaldone, e con
immaginisimili:76ss.,24342435, 4156, 4243), «orrendi»
ibidem, «fieramente mi si
stringe
il
core»
28,
«accidente» 33, «doloroso»
42, «mi stringeva il core»,
chiusa, 46 ecc. E anche in
questi casi, si noti, senza
attingereaunlessicosuperbo
eraro.
Mediana per data nei
cinqueIdilli(prescindendoda
Il sogno, poi intitolato Lo
spavento notturno, che
dapprima faceva parte della
serie, poi è emigrato come
XXXVII dei Frammenti), la
Seraloèancheperestensione
eperlatransizioneinternada
uno stile contemplativo ad
uno elegiaco e narrativo; e
come qua e là riprende
l’Infinito e Alla luna (cfr.
subitosotto)cosìdàqualcosa
aidueIdillisuccessivi,cfr.in
particolare,conPeruzzi[4],11-
13 nella prima stesura e Vita
solitaria 52-69. Il punto è
comunquechelaSeranonva
assolutamente misurata sulla
sublime o deliziosa e
compatta brevitas dei due
Idilli del ’19, accusandone
l’eterogeneità tonale e la
mancanzadiunità(purtroppo
qualcuno è arrivato perfino a
definirla
un
«Infinito
contraffatto da un commento
inopportuno»!).
Il fatto è anzitutto che qui
si passa, come ha fissato
benissimo Blasucci, dall’io
metafisico dell’Infinito e da
quello contemplante di Alla
luna, a un io ‘singolare’ e
sofferente, come mostra
subito la frequenza delle
interiezioni e delle disarmate
interrogazioni consecutive,
con un ductus anche per
Leopardi
estremamente
mosso e libero dalle
costrizioniversali(ilrapporto
tra i versi che iniziano dopo
inarcatura e quelli che
iniziano dopo pausa di fine
versoèdi34a11!),einoltre
tendenzialmente franto in
periodi concisi o brevissimi
(16 su 46 versi), cfr. in
particolare22-23,30-33.
Donde il suo carattere di
resa dei conti poetica di stati
esistenziali
(ma
anche
estatici)diffusamentedescritti
intestigeneralmente‘privati’
anteriori o contemporanei:
Ricordi d’infanzia e di
adolescenza,
p.
1190
Damiani; secondo Idillio da
Mosco29-31;Appressamento
della morte 13-15; Le
rimembranze1-3;Discorsodi
un italiano sopra la poesia
romantica, p. 60 Besomi et
al., con citazione di Iliade
VIII553ss.checertohadato
qualcosaall’iniziodellaSera:
«Sì come quando graziosi in
cielo / Rifulgon gli astri
intornodellaluna,/El’aereè
senza vento, e si discopre /
Ogni cima de’ monti…» (e
cfr.anchePetrarca,Tr.Morte
I 166 ss.: «senza venti…
posar»); Zib. 36, 50-51:
«Dolormionelsentireatarda
notte seguente al giorno di
qualche festa il canto
notturno
de’
villani
passeggeri. Infinità del
passato che mi veniva in
mente, ripensando ai Romani
cosìcadutidopotantoromore
ecc.», ibidem 398: «io mi
getto e mi ravvolgo per
terra…»,515-518:«osservate
che forse la massima parte
delle immagini e sensazioni
indefinite che noi proviamo
pure dopo la fanciullezza e
nel resto della vita, non sono
altro che una rimembranza
della fanciullezza ecc.», 529,
718-720; lettera al Giordani
del 6 marzo 1820, Epist.,ed.
Brioschi e Landi, num. 287:
«… poche sere addietro,
prima di coricarmi, aperta la
finestra della mia stanza, e
vedendo un cielo puro e un
bel raggio di luna…», e allo
stesso, 24 aprile del
medesimo anno, Epist., num.
298: «Io mi getto e mi
ravvolgo
per
terra,
domandandomi quanto mi
resta ancora a vivere»; in
seguito cfr. soprattutto, per il
fascino del canto lontano di
notte, Zib. 1928-29, 4293; e
fra i testi altrui si ricordino
con Binni, anche qui,
soprattutto i Canti di Ossian
(motivo dell’ubi sunt, quello
delcantoches’allontana…).
Ma non mancano echi,
formali e tematici, del
recentissimo e istituzionale
Infinito: cfr. i rispettivi
attacchi:«Sempre caro mi fu
quest’ermo colle / E questa
siepe…»e«Dolceechiaraè
la notte e senza vento, / E
quetasovra…», anche con la
stessa
accentazione
e
distribuzione per bisillabi, il
vento parimenti in fine verso
ecc., nonché ovviamente il
passaggio dal piano spaziale
al temporale con l’identico
richiamo
alle
«morte
stagioni»,ecfr.perentrambii
testi Zib. 50-51 cit. poco
sopra. Con Alla luna c’è
invece, meno decisivamente,
soprattutto
qualche
coincidenza di vocabolario
(pianto in fine verso,
travagliosa-doloroso
in
analogo contesto, affanno,
etate ecc., e d’altra parte il
verso iniziale analogo per
contenuto e terminante come
quello della Sera con una
voce in -ento, mentre sono
similari i rispettivi vv. 7-8 e
15-16). Per situare poi il
carme in una sensibilità
d’epoca, basterà citare un
brano di diario del fratello in
musica di Leopardi, Chopin:
«È già notte tarda. E non ho
voglia di dormire; non so
cosa mi manca, e ho già più
divent’anni»[5].Eanzisipuò
risalirediparecchidecenni,a
un passo del Saggio sulla
pittura di Diderot: «E se ne
[di un torrente] sento lo
strepito in lontananza, senza
vederlo, mi accadrà di dire:
“Così sono passati quei
flagelli così famosi nella
storia: il mondo resta, e tutte
leloroimpresesisonoormai
dissipate in un vano rumore
che riesce solo a farmi
fantasticare”»[6].
Diversamente dall’Infinito
edaAllalunala Seraappare
fondata su contrasti tonali,
tenendo pure presente che la
contemplazione lirica si fa
essa stessa tramite di
infelicità e che, come ha
notato acutamente la Muñiz,
qui come già nell’Ultimo
canto di Saffo «la bellezza è
per se stessa – in quanto
silenzio
insondabile,
ignoranza e indifferenza
dell’inanimato–ilsegnoela
forma
canonica
dell’esclusione», e cfr. anche
Girardi, p. 892 (cfr. del resto
il vero e proprio sviluppo di
Zib. 718-720, 5 marzo 1821:
«Egli sente subito e
continuamentechequelbello,
quellacosach’egliammiraed
ama e sente, non gli
appartiene. Egli prova quello
stessodolorechesiprovanel
considerare o nel vedere
l’amata nelle braccia di un
altro, o innamorata di un
altro,edeltuttononcurantedi
voi. Egli sente quasi che il
bello e la natura non è fatta
per lui… Egli insomma si
vedeeconosceesclusosenza
speranza…»). Tali contrasti
sono spesso veicolati dalla
tecnica
dell’‘improvviso’:
«… O donna mia…» 4,
«io…»,
senza
accompagnamento
di
congiunzioni,11,«…Intanto
iochieggo…»21,«Ohgiorni
orrendi…»23,«…Ahiperla
via…»
24
(sobbalzo
acustico), «… Ecco è
fuggito…» 30 (cfr. ad es.
All’Italia 127, Sopra il
monumento di Dante 150,
AllasorellaPaolina95e97),
che a sua volta trae ulteriore
efficacia dal fatto che questi
improvvisi prendono inizio
non dall’attacco ma dal
centrodelverso,squilibrando
il rapporto fra discorso e
metro. Ed entrambe le
situazioni sono fortemente
confermate dalla redazione
primitiva dell’incipit, tanto
inferiore poeticamente alla
successivaquantotonalmente
e
strutturalmente
significativa:«Oimè,chiaraè
la notte e senza vento» (cfr.
«Oimè, quante ferite…» di
All’Italia8,confunzionenon
troppo differente). Sarebbe
stato(Contini)l’unicocasodi
attacco interiettivo dei Canti,
paragonabilesolamente,maa
iniziodilassaenonassoluto,
aquestaaperturadelPassero
solitario: «Oimè, quanto
somiglia…», dove valeva
pure
a
compattare
immediatamente
purezza
della natura e dolore
personale.
La
mirabile
correzione in Dolce e (sorta
di ysteron proteron: Peruzzi;
e la notte è come sentita
prima di esser vista: G. De
Robertis) non ha solo creato
unodeiversipiùaltiesoffici
della lirica universale, ma
nella logica contrastiva
dell’idillio ha determinato il
passaggio, oltre che dal
soggettivo
all’oggettivo,
dall’esplicito all’implicito e
dall’immediato al differito.
Ne risulta in particolare
l’unico attacco paesistico dei
Canti (troppo diversa è la
prima lassa del Tramonto
della luna) che non sia
evocato per allocuzione o
comunqueinpresenzadell’io
ma si distenda nella sua pura
essenza,
bello[7].
metonimia
del
Resta
naturalmente
fondamentale che quella
geniale correzione aggiunge
un elemento – e nella
posizione forte dell’attacco –
al carattere della descrizione,
checomeètipicodiLeopardi
(cfr. A Silvia, la Quiete, il
Sabato…) non è globale o
riassuntivo, ma distributivo:
tre qualificativi per la notte;
non solo i tetti ma anche gli
orti; non le montagne ma –
frutto della correzione di due
versi in cui figuravano
appunto «le montagne» –
«ogni montagna», anche con
legato fonico (eccellente la
chiosa di De Robertis sr.:
«tutte cioè e ognuna… Le
vedi ad una ad una, e le
abbracci con lo sguardo»);
«ogni sentiero» (quando è il
caso Leopardi non teme
affatto la ripetizione!); e lo
stesso «Rara traluce…» (cfr.
con La Penna Virgilio, Aen.
IX 189-190: «lumina rara
micant… silent late loca», e
anche Aen., IX 383 e 507509[8], ed entro Leopardi il
successivo«Aure,lenubiela
titania
lampa»,
Alla
Primavera
41).
Inoltre
l’inserzionedi Dolcerafforza
l’assetto
aggettivale,
qualificativodelladescrizione
iniziale, contrapposta anche
inciòalseguito,poverissimo
di aggettivi e invece fondato,
come s’addice a uno
psicodramma tragico, sugli
incontri
verbo-sostantivo
(«piaga»–«apristi»,«speme»
– «nego» – «speme»,
«brillin»–«pianto»ecc.).
È
l’occasione
per
accennare ad alcune altre
correzioni di questo Canto
moltolavorato.Ilmovimento
è in primo luogo nel senso
dell’attenuazione
classica:
travaglio 14 > affanno (per
gli acquisti fonici cfr. sopra);
vestigio > quasi orma; si
travolge(iltempo)32>sene
porta; slontanando 45 >
lontanando;
o
dell’indeterminazione, che è
anche portare gli eventi e il
compianto personali su un
piano
universale:
eliminazione di da quand’io
nacqui 11 e di Non ebbi nè
sperainèmerto12,passaggio
daFindaqueglianni46aAl
modo istesso e poi a (Pur)
Già similmente, e anche
Questo canto > Un 44,
mentre a 42 è contratta una
coppia aggettivale, per di più
allitterante, doloroso e desto
> doloroso, in veglia. Una
solaeliminazione,dicheto38
(v. 2 e soprattutto 8), può
essere senz’altro assegnata a
gustodellavariatio.Quantoa
3, del passaggio da «La luna
si riposa» a «Posa la luna»
saràmagaricausaefficienteil
riposo di 18, ma il fatto è
anche che l’umanizzazione
della luna creata dalla prima
lezione costituiva eccezione
alla sublime oggettività
descrittiva della sequenza
quale risulta con le
correzioni:
come
l’Oimè
d’avvio
contrapponeva
esplicitamente e subito
l’infelicità personale alla
placidità impersonale del
paesaggio,
così
riposa
opponeva
implicitamente
quella quiete alla assenza di
‘riposo’ dell’io poetico. In
genereconvienesempretener
presentechemoltecorrezioni
leopardiane
dovute
in
apparenza al solo gusto della
variatio,inrealtàsonomosse
anche, o soprattutto, da
esigenze
di
precisione
semantica,
evidenza
(enárgheia), proprietà nel
contesto.Qualcosadianalogo
dipotràdireperl’evoluzione
del titolo stesso, da «… del
giornofestivo»a«…deldìdi
festa» (il sintagma genitivale
è simile in Sabato 7): la
ragione più vistosa è
naturalmente la presenza del
doppiodìfestivo31e41(più
unaltrofestivosemprea41):
ma forse Leopardi ha anche
voluto evitare (come ha
ipotizzato
Marati)[9]
nell’evidenza del titolo il
novenarioisoritmicodi2a-5a8a già sgradito a Dante?
Un’occhiataaititolideiCanti
mostra che: o non sono
assimilabili a versi, o sono
endecasillabi in due casi
(Soprailritrattodiunabella
donna – considerando il
rimanente sottotitolo – e La
ginestra o il fiore del
deserto),settenariinaltri,ein
altri e più, ma poco
significativamente, quinari,
altre sei volte ottonari
(Ultimo canto di Saffo, Il
passero solitario, La vita
solitaria, Il sabato del
villaggio,
Il
pensiero
dominante, Il tramonto della
luna), mentre due sono sì
novenari, ma non isoritmici
(A un vincitore nel pallonee
La quiete dopo la tempesta).
Esipotrebbeancheosservare
che festa, che diventerà
parola-temaneiCantipisanorecanatesi,
emana
un
riverbero sui sentimenti del
soggetto
che
a
festivo,
calendariale,nonappartiene.
Ma come funziona la
struttura della Sera? Fra le
varie suddivisioni proposte
(Straccali, Santagata, Marati
ecc.) la più semplice e
fondata mi appare quella di
Peruzzi,indueparti:I=1-24;
II = 24-46 (dunque proprio
equipollenti), con la seconda
asuavoltadivisaindueparti,
IIa = 24-39, IIb = 40-46.
Occorre
osservare
con
attenzione come i motivi che
costituiscono il contrasto
tematico fondamentale si
replichino e alternino senza
sostasututtalasuperficiedel
Canto, spesso attraversando i
confini fra le sezioni, in una
forma che può ricordare per
certi aspetti il fugato
musicale.
L’impianto
tematico così essenziale è
arricchitoecomplicatoanche
o soprattutto per questa via.
Semplificando: la notte si
affaccia a 1-4, poi a 5-6, poi
ancora a 26, quindi a 43 (e
qui la correzione di «muta
notte» in tarda, contro il
principio della variatio,
rafforzalasimilaritàcon26);
ladonnaevocatasipresentaa
4 e in atto di riposo a 7-8,
quindidinuovoa11(ecfr.il
passodegli Appuntie ricordi
cit. da D. De Robertis),
mentreilmotivodelripososi
allarga a riposo di tutti a 3839;a7-11sihaanaforadiTu
dormi (con cui in sogno 19),
col
secondo
elemento
proveniente da correzione,
nonsolo,malapresentazione
del dolore dell’io s’inserisce
entro
questa:
«Quanta
piaga…»; l’indifferenza della
donna per chi scrive è
enunciata a 8-10, ripresa a
18-21 per poi allargarsi a
indifferenza generale della
naturaodeltempoa32ss.;il
dolore presente dell’io è
sbozzato a 10, poi a 13-14,
poi a 23-24 per tornare
anch’esso in seguito; il
motivo del canto udito in
lontananza è delineato a 24-
27[10] per replicarsi a 44-45
(altrabellaosservazionedella
Muñiz: il dolore passato
prefigura quello presente e il
ricordo li contiene entrambi
come
un’immagine
en
abîme); quello della caducità
della festa, 30-32, incastrato
nel motivo più vasto della
caducità delle grandezze del
passato e del tutto (29-37) si
ripresenta come tale a 42-43;
con più evidenza strutturale,
lasezioneIIbs’apreechiude
colrichiamoall’infanzia.
Altrosipotrebbeosservare
nel dettaglio (per es. la
doppia
opposizione
pronominale «Tu dormi…
m’apristi»–«Tudormi:io…»
7-11, ma per il tutto vanno
tenutipresentisoprattuttodue
punti: che l’alternanza dei
motivièlaformadrammatica
del contrasto tematico –
ancora come nell’Ultimo
canto di Saffo – fra
contemplazioni, visive e
auditive,
minimalmente
liberatrici,
e
violente,
bruciantiespressionididolore
ed
esclusione
(già
l’affacciarsi alla finestra in
certosensoloè);echequasi
sempreilritornodeimotiviè
marcatooarricchitodaritorni
verbali. Una scelta: «chete
stanze» 8 (dapprima, senza
l’effetto indeterminativo del
plurale, «cheta stanza»)
riprende «E queta… posa la
luna»2-3;«Eccoèfuggito/Il
dìfestivo,edalfestivo…»31
vs «Questo dì fu solenne»»
17–ecfr.«ildìfestivoecc.»
41;«Tuttoepaceesilenzioe
tuttoposa / Il mondo» 38-38
con lo stesso verbo di «Posa
laluna…»3(ecfr.sopra);«E
fieramente mi si stringe il
core» 28 che torna quasi
uguale nel verso finale, «Già
similmente mi stringeva il
core» (e «similmente» è
esplicito raccordo logico col
verso riecheggiato); l’inizio,
«Dolce e chiara è la notte e
senzavento,/Equetasovrai
tetti e in mezzo agli orti /
Posalalunaedilontanrivela
/ Serena ogni montagna. O
donna mia, / Già tace ogni
sentiero…», regala qualche
elemento, con rapporto
anulare, al finale: «ed alla
tarda notte / Un canto che
s’udia per li sentieri /
Lontanando morire a poco a
poco…» (e cfr. «alla tarda
notte»
43).
Meno
evidentemente
ma
senza
dubbio il «Tutto è pace e
silenzio…» di 38 rimanda
tonalmente e per riprese
foniche all’attacco della
lirica: «Dolce e chiara è la
notteesenzavento».
DunquequestoCantopoco
gradito in genere alla critica
idealistica (ma che ha avuto
singolare fortuna in Francia:
cfr. scheda di Rigoni) è in
realtà
uno
dei
più
sapientemente costruiti di
Leopardi,esecondomodalità
che, salvo errore, lo rendono
eccezionale nella raccolta,
così come isolato negli Idilli
(seInfinitoeAllalunadauna
parte, Sogno e Vita solitaria
dall’altra fanno in qualche
modo coppie o dittici, e
d’altra natura, per non dire
della differenza con quello
che diventerà il Frammento
XXXVII)[11]. L’opposizione
natura/vitalità contro dolore
personaleeuniversalenonvi
è,comedisolito(anchenelle
Ricordanze cui per certi
aspetti la Sera prelude),
stagliataablocchi,madiffusa
mediante
intrecci,
sovrapposizioni
o
contrappunti, e in totale
insistenze.
[1] Cfr. G. Leopardi, ICanti, a cura
di A. Straccali, III ed. corretta e
accresciuta da O. Antognoni, nuova
presentazione di E. Bigi, Firenze,
Sansoni,1985(Ied.1892),p.65.
[2] Ma vale la pena di completare il
quadro.Aiduetipimaggiori,disestae
ottava (e tali sono pacatamente i due
versifinali),seneaffiancanononpochi
ad ictus ribattuto di sesta-settima, che
vannodiconservaagliattacchidifrasi,
spesso esclamative o interrogative, che
partono dal centro verso (cfr. 17 ecc.);
uno solo l’endecasillabo di quartasettima,mapercosìdireinunmomento
dicontenutoumile:«Dopoisollazzi,al
suo povero ostello» 27 (accento di
settima su «povero»); uno solo anche
l’endecasillabo interamente giambico,
edèilsoggettivoetrascinato(ancheper
la presenza di virgole rallentanti e di
quattro sinalefi) «Mi getto, e grido, e
fremo.Ohgiorniorrendi»23.
[3] E cfr. già nell’Infinito «… Il cor
nonsispaura.Ecomeilvento…»,«…
Vo comparando: e mi sovvien
l’eterno…», in Alla luna «… Era la
vita:edè,nècangiastile…»,«…Omia
dilettaluna.Epurmigiova…»,«…Del
miodolore.Ohcomegratooccorre…».
[4] Elenco qui subito i contributi
fondamentali sulla Sera: G. Leopardi,
Canti, a cura di G. e D. De Robertis,
Milano,Mondadori,1978(ilcommento
del solo Giuseppe è del 1927); E.
Peruzzi, Studi leopardiani. I: La sera
del dì di festa, Firenze, Olschki, 1979;
L. Blasucci, Leopardi e i segnali
dell’infinito,Bologna,IlMulino,1985;
G.Leopardi,Poesieeprose.I:Poesie,a
cura di M.A. Rigoni, con un saggio di
C. Galimberti, Milano, Mondadori,
1987;Antologialeopardiana, a cura di
G.Contini,Firenze,Sansoni,1988;W.
Binni,Lezionileopardiane,acuradiM.
Bellucci con la collaborazione di M.
Dondero, Firenze, La Nuova Italia,
1994, pp. 126-132; M. Santagata,
Quella celeste naturalezza. Le canzoni
e gli idilli di Leopardi, Bologna, Il
Mulino, 1994, pp. 113-134; G.
Leopardi, Cantos, edición bilingüe de
M. de las Nieves Muñiz Muñiz,
traducción de M. de las Nieves Muñiz
Muñiz,Madrid,Cátedra,1998;R.Rea,
Ilnotturnodella«Seradeldìdifesta»,
in G. Brugnoli e R. Rea, Studi
leopardiani,Pisa,ETS,2001,pp.9-38;
A.Girardi,La «Sera» tra gli Idilli, gli
Idilli dentro ai «Canti», in AA.VV.,
Studi in onore di Pier Vincenzo
Mengaldo,acuradegliallievipadovani,
Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo
2007,pp.887-900;L.Blasucci,Perun
commentoa«Laseradeldìdifesta»,in
«Studi italiani», XXI, 2009, pp. 75-93.
Per le varianti mi sono servito
soprattutto della chiara ed. di Peruzzi:
G. Leopardi, Canti, ed. critica di E.
Peruzzi con la riproduzione degli
autografi,Milano,Rizzoli,1981.
[5] F. Chopin, Lettere, a cura di V.
Rossella, Introduzione di G. Pestelli,
Torino,IlQuadrante,1986,p.102.
[6] D. Diderot, Scritti di estetica, a
cura di G. Neri, Milano, Feltrinelli,
1957,p.168.
[7]Sipuòanchenotarechequestoè
ilsolocasoneiCantiincuil’aggettivo
«dolce» è usato per la notte, e che la
notte è tale soprattutto perché «senza
vento», con rispondenza quindi
dell’inizio con la fine del verso. Da
osservare ancora che eliminando
l’interiezionedidoloreLeopardivienea
distanziare,
rendendola
quindi
strutturalmentepiùchiaraedefficace,la
contrapposizione fra la dolce serenità
del paesaggio e la sofferenza senza
eccezioni dell’io, o se si vuole fra due
‘nature’, la natura-paesaggio che può
essere bellissima e la natura-potenza
che può condannare l’uomo, o l’io, a
eternainfelicità.
[8] Cfr. A. La Penna, in «Studi
italiani»,X,1998,pp.115-119.
[9] Vedi P. Marati, Strutture e
variantidella«Seradeldìdifesta»,in
«Studi leopardiani», 12, 1998, pp. 1938:19-20.
[10] Su questi versi è acuto il
commento di Saba (anche se come
sempre un po’ sopra le righe) cit. da
Girardi,p.887.
[11] La collocazione della Sera fra
Infinito e Alla luna dipenderà forse
dallavolontàdicelareundittico?
IX
UnaletturadiA
Silvia
A Silvia è anzitutto il dialogo
con un’assente: il tema – che
verrà ripreso nel Novecento –
halesueorigininell’antichità.
La figura di Silvia permette al
poetadiavviareundialogocon
un tu che è anche –
metaforicamente – portatore
della «speranza» propria della
gioventù. Il componimento è
dominato da una patina
anticheggiante, da una veste
lirica che fa riferimento alla
grecitàletteraria,contuttociò
che essa comporta, in
particolare
la
castità
espressivaacuisiaccompagna
la capacità di dire molto con
poco.
Cominciodaqualcosache,
per essere ovvio, non è per
ciò meno toccante. In una
letteradel2maggio1828alla
dilettasorellaPaolina(Epist.,
ed. Brioschi e Landi, num.
1246)[1], Giacomo scriveva:
«dopo due anni, ho fatto de’
versi quest’aprile; ma versi
veramente all’antica, e con
quel mio cuore d’una volta».
Aveva appena composto,
dopo anni di silenzio poetico
(più lungo di quanto egli
stessodica,sesiescludonoil
Coro del Ruysch, 1824 e il
didascalico Pepoli, 1826), il
Risorgimento e A Silvia,
entrambi
a
brevissima
distanza in quell’aprile.
Lonardi[2] ha mostrato come
la canzone sia fittamente
intessuta
di
materia,
mirabilmente ritessuta, di
testi antichi come il Libro di
Giobbe, Saffo, Orazio ecc. e
soprattutto Omero, anche
nella traduzione di Monti,
nonché dello stesso Leopardi
precedente[3]. Ciò nonostante
l’interpretazione
di
«all’antica» come ‘alla
maniera degli antichi’ appare
un po’ forzata, e per ragioni
anzitutto contestuali va
preferita quella tradizionale
cherimandaalpassatostesso
del poeta: ‘allo stesso modo
delmestessodiuntempo’.Si
veda del resto la lettera alla
stessaPaolinadel25febbraio
diquell’anno,sempredaPisa
(Epist., num. 1223): «Vi
assicuro che in materia
d’immaginazioni, mi pare di
esser tornato al mio buon
tempoantico».
Come la grande intuizione
dell’Infinito è ripresa nelle
osservazioni sulla «veduta
ristretta»
ecc.
dello
Zibaldone,
così
l’idea
centrale di A Silvia è
sviluppata come si sa in una
splendida pagina di poco
successiva del Diario, 43104311, 30 giugno 1828, che
citoconqualchetaglio:
Unadonnadi20,25
o 30 anni ha forse
più d’attraits, più
d’illecebre, ed è più
atta a ispirare, e
maggiormente
a
mantenere,
una
passione…
Ma
veram. una giovane
dai 16 ai 18 anni ha
nelsuoviso,ne’suoi
moti, nelle sue voci,
salti ec. un non so
che di divino, che
niente
può
agguagliare… quel
fiore
purissimo,
intatto, freschissimo
di gioventù, quella
speranza vergine,
incolume che gli si
legge nel viso e
negli atti, o che voi
nel
guardarla
concepiteinleieper
lei;
quell’aria
d’innocenza,
d’ignoranza
completa del male,
delle sventure, de’
patimenti; quel fiore
insomma,
quel
primissimofiordella
vita; tutte queste
cose, anche senza
innamorarvi, anche
senza interessarvi,
fanno
in
voi
un’impressione così
viva, così profonda,
così ineffabile, che
voinonvisaziatedi
guardarquelviso,ed
io non conosco cosa
chepiùdiquestasia
capace di elevarci
l’anima,
di
trasportarci in un
altromondo,didarci
un’idea d’angeli, di
divinità,difelicità…
Del resto se a quel
che ho detto, nel
vedere
e
contemplare
una
giovane di 16 o 18
anni, si aggiunga il
pensiero
dei
patimenti
che
l’aspettano,
delle
sventure che vanno
ad
oscurare
e
spegner ben tosto
quella pura gioia,
dellavanitàdiquelle
care speranze, della
indicibilefugacitàdi
quel fiore, di quello
stato, di quelle
bellezze;siaggiunga
il ritorno sopra noi
medesimi; e quindi
un sentimento di
compassione
per
quell’angelo
di
felicità, per noi
medesimi, per la
sorte umana, per la
vita, (tutte cose che
nonpossonomancar
di
venire
alla
mente), ne segue un
affetto il più vago e
il più sublime che
possa
immaginarsi[4].
Edèmoltointeressanteche
nel finale Leopardi disponga
quasila‘situazione’informa
ditemapoetico.
A Silvia è il testo che
inaugura la «forma senza
forma»(Carducci,benissimo,
che occorre pur sempre
citare), caratteristica del
Leopardi maturo e tardo,
della cosiddetta «canzone
libera»: da non staccarsi
troppo, tuttavia, da quella
progressivamente ‘liberata’
delle Canzoni vere e proprie.
Si veda, per non parlare
dell’UltimocantodiSaffoche
harimesolonellacombinatio
finale, Alla sua Donna:
questa, che è l’ultima scritta,
1823,haancorastrofeconlo
stesso numero di versi, ma
non della stessa struttura né
rimate
esaurientemente,
sicché
della
canzone
tradizionale resiste ancora e
solo, oltre alla parità
numerica, ma non strutturale,
delle strofe, la combinatio
finale delle rime in ognuna
(che tornerà ad esempio in
forma più spinta nel Canto
notturno). La novità della
canzone libera si può
riassumere in due punti.
Primo, strofe di differente
dimensioneestruttura:quiin
particolare la prima, che è la
piùbreveditutte,assumeuna
funzionesimileaquelladiun
‘proemio’,
e
viceversa
l’ultima,conlasuamaggiore
estensione,
accompagna
l’intensificarsi
della
disperazione e il tragitto alla
morte.Secondopunto,ilfatto
che le rime sono sì
abbondanti
ma
non
sistematiche né esaustive, e
danno ampiamente luogo a
fenomeni
accessori
o
pararimici come assonanze,
consonanze, rime al mezzo e
interne. Ecco subito nella
prima lassa, di soli sei versi,
«mortale»2–«limitare»5,e
inoltre «ancora» 1 –
«pensosa» 5 al mezzo[5]. Ma
vallapenadidocumentarein
esteso: oltre ai casi che si
vedranno più avanti ecco
sedevi al m. : avevi : solevi
11-12-13; sudate (prima
dilette) : dorate entrambe
interne 15-24; spendea :
percorrea entrambe interne
18-22; voce : veloce – dice
20-21-26;-ato–tanto31-3438; perivi al mezzo : schivi :
festivi 42-46-47 (con vedevi
42); core : amore – chiome
44-45-48 (entro 45 anche
«dolce lode») : come
(replicato in geminatio al
verso successivo) – speme :
insieme 52-55-58 (e «dolce»
50); passata : lacrimata
entrambe interne 53-55;
questi – diletti int. : cadesti
int. 56-57-61 (più eventi :
genti 57-59); sorte : morte
entrambi int. ma di
particolare valore tematico
59-62; umane int. – mano :
lontano59-61-63.Sipossono
aggiungere la caduta su
tonica finale in parole
semanticamente connesse:
beltà – gioventù 2-6, o la
paronomasia interna man –
mar 21-25 (con suon e
mortal,sempreint.,20,26).È
però da notare senz’altro che
se talora questi riscontri
fonicisupplisconoaunarima
assente (come subito nella
prima
lassa,
significativamentepiù‘libera’
dellealtre,oancoraa22),più
spesso
ne
rafforzano
riccamente di già esistenti,
con una funzione che
potremmo
chiamare
sovrastrutturale
o
incondizionata,disaturazione
timbricaemelodicadeltesto:
è forse una legge generale
della poesia leopardiana,
ricchezza espansiva del
significantenellanettezzadel
significato e nella purezza
dell’elocuzione. All’inverso,
è una sorta di altra legge
generale che in contesti
fortemente
‘rimati’
l’eventuale parola anarima
spicchi proprio per questo di
più:einfattiquièsoprattutto
il caso del tremolo luminoso
al v. 3, splendea[6], di
«combattuta e vinta» 41
(‘travagliata e alla fine
sopraffatta’)[7],
di
«All’apparir del vero» 60,
l’arido vero che uccide
illusioni e speranze, e chi le
ha nutrite in sé, e di «tomba
ignuda»62.
L’aspetto più rilevante
della metrica di A Silvia è il
ruolo che vi assumono,
anzitutto
rispetto
alle
Canzoni, i settenari: più
frequenti degli endecasillabi
con cui si combinano
(precisamente 34 contro 29),
essi iniziano tutte le lasse ad
eccezione della patetica,
gravequintadoveperl’unica
volta
prevalgono
gli
endecasillabi anzi l’aprono
con tre di seguito (vedi già
per gli inizi settenari Alla
sorella Paolina e Alla
Primavera), chiudendole poi
tuttecompresalafinale(come
solo, poi, in Amore e morte,
conunversochehaunpo’la
tonalità di A Silvia, «Nel tuo
virgineo seno»); e non per
nullailmotivodelcantodella
fanciullaèdettomirabilmente
contresettenaridiseguito,79:«Sonavanlequiete/Stanze
e le vie dintorno / Al tuo
perpetuo canto». Anche in
questo ovviamente A Silvia
offre lo schema-base per le
canzoniliberefuture,incuisi
potranno avere serie anche
piùnutritedisettenari(ades.
otto nel Sabato del villaggio
20 ss.). Ma probabilmente la
precellenzadelsettenarionon
si avrebbe se nel testo non
fervesse ancora lo spirito
della canzonetta metastasiana
di settenari che pochi giorni
prima
Leopardi
aveva
(eccezionalmente)provatocol
Risorgimento[8].
Già
da
questoemergecomeLeopardi
esprima non solo la «lingua
della gioia» (Mandel’štam)
nella rievocazione della
fanciulla e della propria
giovinezzachesiesprimenel
dialogo muto con lei, ma la
stessa materia così dolente e
luttuosa,informadi‘canto’o
di cantabile (del resto il
«canto» di Silvia è motivo
centrale della lirica), cioè
secondo quella «vitalità» che
in lui e secondo lui non è
soltanto l’impeto d’affetto
quasimeravigliatoperlecose
e le creature della vita (si
rileggano almeno la Quiete e
il Sabato), ma promana dalla
formapoeticastessa[9].
Qualcos’altro va detto. Per
non eccedere in cantabilità
Leopardi in A Silvia (a
differenza di quanto accadrà
dopo) non solo evita la rima
baciata in chiusa di strofa o
‘movimento’[10], ma non
colloca mai le frequenti
baciate fra due settenari,
bensì solo, smorzando, fra
endecasillabi(12-13,46-47)o
fraquestieisettenari(10-11,
20-21, 29-30, 35-36). D’altra
parte però l’alta frequenza,
generalmente
tipica
di
Leopardi, degli endecasillabi
‘veloci’conritmodix-6a-10a,
e dunque accelerando nel
secondo emistichio[11], non
produce soltanto di per sé
effetti di oralità ancor prima
che di cantabilità, ma genera
un buon numero di segmenti
interni che dal punto di vista
ritmico e spesso anche
sintattico («Era il maggio
odoroso: / …», «Perivi, o
tenerella./…»,«Lasperanza
miadolce:/…»)equivalgono
a settenari e perciò ne
ribadisconolamelodia[12].
Quanto ancora alle rime.
Se scopo di Leopardi in
questa lirica è, in una col
canto, la semplicità più
‘greca’, ecco che le rime
sono, assolutamente senza
eccezioni, normali, piane, e
nella maggioranza vocaliche;
einquestecondizionièquasi
stupefacente che solo due di
esse si ripetano, ma perché
l’immagine in un caso, la
parola concetto nell’altro,
sono intensamente tematiche:
«occhi… ridenti e fuggitivi»
(: «salivi») 4-6 e «sguardi
innamorati e schivi» (già
quasi nel Risorgimento) in
concomitanza col motivo
tipicamente leopardiano dei
«dì festivi» 46-47; e
«speme», per eccellenza
tematico assieme al suo
allotropo «speranza», che
genera rima a 32-33 e a 5558. Ma in realtà la struttura
metrica di A Silvia richiede
qualche
approfondimento
ulteriore, tanto è vero che in
questo Canto la grande
linearità e naturalezza degli
enunciati
convive
con
un’altrettanto
notevole
complessitàdellacostruzione.
Quasi come insegna della
nuova libertà metrica, e a
scandire la diversa identità
delle sei lasse, ogni verso
incipitario
di
queste
è
anarimoall’internodellalassa
stessa (con la parzialissima
eccezione di 1). È anche
questo un tecnicismo che si
era già profilato nella
evoluzione delle canzoni
‘regolari’.Senelleprimedue,
nella Sorella Paolina e nel
VincitorenelPalloneilprimo
versorimavacolquartoocol
quinto, già nel più ricco
Angelo Mai le cose vanno
diversamente (tutti i versi
incipitari, e sono ben dieci,
mancano di rima), come poi
nel Bruto minore, in Alla
Primavera, per forza di cose
nel liberatissimo Ultimo
canto, parzialmente nella
terminale Alla sua Donna. E
va da sé che questo
tecnicismo, attraverso lo
snodo di A Silvia, si accasa
nelle
Canzoni
libere
successive. Per fare qualche
esempio, nel Canto notturno
sono rimati i versi iniziali
dellelasseesterneIeVI,non
quelli delle interne; nel
Pensiero dominante è rimato
solo il v. 1, e in condizioni
sintattiche particolari (la
prima lassa è probabilmente,
seadottiamoancheinesegesi
il criterio della lectio
difficilior,
tutta
un’apposizione del titolo),
nonpiùgliinizialidellealtre
strofe; in Sopra il ritratto
ogni verso iniziale di lassa è
anarimo; nella Ginestra è
rimato solo il primo
dell’ultima ecc. Ma è
notevole che in A Silvia si
instaurino,
e
sistematicamente, effetti di
rimaoquasichevannoinun
certomodoinsensoopposto,
legando sovrametricamente
l’una all’altra tutte le lasse,
nonostante la loro forte
peculiarità tematica, anzi, si
direbbe, proprio per questo,
cioèsubordinandoilprincipio
della distinzione a quello
dellacontinuità,edunqueuna
volta di più del canto. I-II:
ridenti int. 4 – intenta :
contenta 10-11 – mente int.
12; pensosa int. 5 – odoroso
int.13;limitare5–menareal
m. 14; II-III: odoroso int. 13
–faticosaint.22;menareint.
14 – carte (preceduto da
sudate): parte 16-18; giorno
finale di lassa 14 – paterno
19;III-IV:viealm.24–mia
: apparia 29-30; orti 24 –
cori al m. 29; IV-V: Acerbo
34 – erbe int. e verno 41 –
morbo 42; poi : tuoi 37-39 e
nuovamente tuoi 43; allor :
fior ambedue int. 38-43; VVI: chiome 45 : come
replicatoingeminatio52(più
-eme55-58),innamoratialm.
46:fati51.
E c’è un punto ancora più
importante,chequimilimito
ad
accennare
avendone
trattatospecificamentealtrove
(cfr. il secondo saggio di
questo libro). Nel momento
stesso che Leopardi istituisce
con A Silvia la forma che,
salva la coabitazione con
alcunisciolti,domineràlasua
poesia fino agli ultimi carmi,
avvia anche la figura di
pensiero, cioè l’allegoria,
prima assente, che parimenti
dominerà
(con
la
comprensibile eccezione del
cosiddetto‘CiclodiAspasia’)
daiCantipisano-recanatesiai
Napoletani. Anzi, in tutta
questa fase l’allegoria farà
mostra di sé sempre in
presenza di canzoni libere,
mai di sciolti (caso parlante:
nei Pisano-recanatesi sono
allegorici tutti i testi in
canzoni libere, compresa la
strofa isolata dell’Imitazione,
manonlesoleRicordanze,in
sciolti). È un’inattesa quanto
singolare implicazione tra
formaepensieropoetico.
Già la struttura metrica
regaladunquealCantolasua
irripetibileindividualità,cheè
tutt’uno con quel ritorno alla
poesia o «risorgimento» che
come promuove l’unicum
della
spumeggiante
canzonetta così, entro il già
sperimentatissimo contenente
della canzone, fa nascere
quasi di necessità una forma
nuova,
anche
se
nell’ispirazione
riprenda
volentieri tratti lessicali e
figurativi propri degli Idilli:
cfr.quiinparticolareivv.23
ss.e,sebbenelìsitrattidiun
notturno, La sera del dì di
festa 2 ss.: «e queta sovra i
tetti e in mezzo agli orti /
Posalalunaedilontanrivela
/ Serena ogni montagna».
Altrettanto evidente in A
Silvia è l’individuazione
lessicale, ottenuta fin da
subito o tramite correzione,
attraverso una serie di parole
che nei Canti appartengono
solo a questo: il più fresco e
sensuale odoroso 13, di
contro al latineggiante e
foscoliano odorato di altri
testi leopardiani; veroni 19,
più nobile di balconi (usato
altrove,peresempio Seradel
dìdifesta5,semprenelsenso
di‘finestre’)dacuiècorretto,
e più in chiave col vicino
ostello[13]; il virgiliano (Aen.
VII 14: «percurrens pectine
telas»)percorrea(latela)22,
splendida correzione sempre
nel senso della vivacità e del
moto del precedente, solo
percussivo, percotea e come
da questo generato[14]; «vie
dorate»24;cori29nelsenso
non comune di ‘affetti’,
’sentimenti’; il dolcissimo
allocutivo tenerella 42 (solo
nelSogno e in un precedente
testo leopardiano, ma come
aggettivo), che è anche
l’unico
alterato
(vezzeggiativo) del Canto, e
collocato in unione con
«perire»trascendedeltuttola
propria origine tassescoarcadica; innamorati attivocausativo, ‘che innamorano’
46[15]; lacrimata participio-
aggettivo 55, detto della
speranza, esito di correzione
da
«sventurata»
e
«sfortunata» che non sarà
solodovutaalprincipiodella
variatio, ma è tale da
trasformare
la
nozione
dall’oggettività
di
una
vicenda all’intimità del
soggetto. Altrove la novità è
data
da
un
felicissimo
processo di risematizzazione
‘interna’:
gli
stupendi
«occhi… ridenti e fuggitivi»
di Silvia, 4, che Croce
paragonava al pure meno
sobrio «pur regard amoureux
etsouffrant»dellaMaisondu
berger di Vigny, recuperano
in accezione diversa e
ineffabile (come chiosare il
secondo aggettivo?)[16] due
terminiusatiancoradalpoeta,
ma il primo come tipico
attributo
paesistico,
il
secondo in senso proprio. E
limitare
5
era
solo
nell’eccentrico Frammento
XXXVIII (già Elegia prima),
inaridire 40 solo nel
vicinissimoRisorgimento.
Anche le allotropie o
sinonimie interne sono da
ammirare per la loro
proprietà: al v. 4 leggiamo
occhi (dapprima sguardi) ma
sguardi a 46 in un contesto
sinonimicomarelazionale;al
v. 6 gioventù, obiettivamente
in un contesto di plasticità
figurativa, ma a 52, con eco
sentimentale, giovanezza (e
vedi nelle appena successive
Ricordanze,
135:
«Se
giovanezza, ahi giovanezza è
spenta?»); speranze 29 fuori
rimaèseguitodaspeme32in
rima
baciata,
che
difficilmente potrebbe essere
declinato al plurale, e così a
speranza 50, segue più
intenso, ancora in rima e in
consonanza con come,speme
55; dato sovviemmi di 32 il
primitivo sovvienti di 1 è
sostituito prima da rammenti
poidarimembri:maquièda
direchelacorrezionenonva
assegnata solo, come si fa
troppo spesso, a gusto della
variazione o sinonimia, dato
che sovvienti, come mostra
anche l’uso di 32 e la stessa
struttura del verbo, sta per
emergenza
memoriale
momentanea, improvvisa e
per dir così ‘passiva’
(qualcosa che ‘torna alla
mente’), mentre rimembrare,
che ricompare non a caso in
Ricordanze119(evedianche
57) è continuativo e indica
elaborazione personale del
ricordo; solo il secondo
perciò è adatto al contesto, e
in particolare a qualcosa che
nonèunmomentooepisodio
mailtempo2,comepoia17
(notare anche che Leopardi
non dice «il» ma «quel»)[17].
E
può
essere
pure
significativo che l’aggettivo
di 50, «La speranza mia
dolce», abbia come variante
alternativa vaga, all’inverso
ma analogamente per quanto
avvieneperil«vagoavvenir»
sognato da Silvia, 12, con
variante alternativa dolce[18].
In un caso infine la
differenziazioneèmeramente
morfologica:ilfatodi31èil
futuro che arride immaginato
dalla confidente giovinezza,
maifatidi51(cfr.lat.,anche
virgiliano, fata) è il destino
presto dispiegato nella sua
crudeltà, e cfr. Ricordanze
71-72. A questa specificità
lessicale,
che
sempre
caratterizza
i
Canti
leopardiani e contribuisce a
individualizzarli
anche
quando formino coppie o
dittici, si unisce però in A
Silvia
un
linguaggio
familiare,retaggioinsostanza
degli Idilli, che è la lingua
stessa dell’intimità, di chi
parlaasestessomentreevoca
lavergineingenuitàdiSilvia:
«occhi… ridenti», «quiete /
Stanze», «contenta», «porgea
gli orecchi al suon della tua
voce», «pensieri soavi», «o
tenerella», «dolce lode», e il
più firmato degli attributi
affettivi di Leopardi, «cara
compagna…» («o caro
immaginar», «oh dilettose e
care…», «Sempre caro mi
fu…»,«Ocaraluna»,«Ilcaro
tempo giovanil; più caro…»
ecc.); e cfr. tenerella e
innamorati.
Repliche rispetto ad altri
Cantiofrapuntidiversidella
stessa A Silvia hanno il loro
puntuale significato: «negre
chiome» 45 riprende una
giunturadellaSorellaPaolina
73, e non è l’unico rapporto
fra le due liriche (la Sorella
Paolinahaanchemolcere,7)
[19]; il metaforico compagna
(la speranza, dell’io poetico
stesso) 54, ripete il concreto
compagne di Silvia 47, come
ragionammo,
anche
d’«amor(e)»,
metaforico,
interiore 58 è anticipato dal
concreto
Ragionavan
(«d’amore») di coloro 48, e
vedi anche la ripetizione di
dolce 45-50, con la stessa
distribuzione. Sono tutti
legamenti trasversali che,
insieme a Perivi-peria 42-49
(il secondo preceduto da
«anche»),
detti
rispettivamente della fisica
consunzione di Silvia e poi
della morte della «speranza»
del locutore, e altro ancora,
valgono come ulteriore
argomento non indifferente
all’ipotesi,
ormai
generalmente accettata, che
l’astratta speranza finale del
Canto contenga, o meglio si
identifichi con, Silvia stessa.
Prove o indizi ne sono poi la
centralitàdella«speranza»,la
prima volta personificata e
con
quell’aggettivo
(«speranza vergine»), nel
brano citato all’inizio dello
Zibaldone, e contestualmente
il gesto finale, sobriamente
neoclassico, con cui la
«speranza» indica tomba e
morte
(vedi,
con
l’accompagnamento
delle
osservazioni di Lonardi,
L’orodiOmero,cit.,pp.183
ss.,Tasso,Ger.Lib.XII685
ecc.: «man nuda e fredda»),
mentre «di lontano», che
varia «da lungi» 25 e chiude
in modo caratteristicamente
‘infinitivo’
(Blasucci)
la
lirica[20], può riferirsi sia al
riguardante che alla cosa
contemplata: tanto più che
all’inizio del testo la stessa
Silvia non è atteggiata in
modo diverso, con quel
movimento
non
solo
anticheggiante
ma
prettamentefigurativoequasi
archetipico, di ascesa al
tempio:«Etu,lietaepensosa,
il limitare / Di gioventù
salivi».
Iltragittodell’interapoesia
èdunquequellostessopercui
il tema iniziale, il compianto
sulla
giovinetta
morta
anzitempo, diviene, nello
stesso
tempo
e
indissolubilmente, compianto
su sé medesimo, sulla morte
della propria giovinezza,
unica età per Leopardi degna
della vita (cfr. soprattutto,
oltre a tanto Zibaldone, le
Ricordanze e il Tramonto
della luna), e con lei delle
proprie speranze (Anche…
Anche…49-51).Equisipuò
inserire l’acuta osservazione
della Muñiz: «Il segreto di A
Silvia risiede precisamente in
questa dualità ambivalente,
che la fa nello stesso tempo
emblema contemplato da
lontano
e
individualità
percepita dal di dentro». Il
tono della lirica sublime
s’intende poi meglio tenendo
presente un passo dello
Zibaldone 479-480 (gennaio
1821): «Il veder morire una
personaamata,èmoltomeno
lacerante che il vederla
deperire e trasformarsi nel
corpo e nell’anima da
malattia (o anche da altra
cagione). Perchè? Perchè nel
primo caso le illusioni
restano,
nel
secondo
svaniscono e vi sono
interamente annullate e
strappate a viva forza. La
persona amata, dopo la sua
morte,sussisteancoratalqual
era, e così amabile come
prima
nella
nostra
immaginazione.Manell’altro
caso, la persona amata si
perde
affatto,
sottentra
un’altra persona ecc.», cui
corrisponde alla lettera Detti
di Filippo Ottonieri, cap. III,
§ 1: «il perdere una persona
amata, per via di qualche
accidente repentino, o per
malattiabreveerapida,nonè
tanto acerbo, quanto è
vedersela distruggere a poco
a poco… da un’infermità
lunga,dallaqualeellanonsia
prima estinta, che mutata di
corpoed’animo,eridottagià
quasi un’altra da quella di
primaecc.»[21].Sidirebbeche
Leopardi abbia inscenato con
Silvia e Nerina, evocate
antiromanticamente senza il
minimo accenno alla loro
distruzioneedecomposizione
fisica, la prima possibilità,
con la donna di Sopra il
ritratto, più tardi, la seconda
(«Polve e scheletro sei», «or
fango/Edossasei»).
Iltitolo,cheènotoriamente
identico a quello di un’ode
pariniana (e dopo l’Aminta
del Tasso, dove c’è pure una
Nerina, Silvia è tipico nome
letterario; s’aggiunga magari
con Fubini e Bigi che Silvio
era il Sarno cui Leopardi
intendeva
dedicare
un
romanzo autobiografico), più
che semplicemente di dedica
è allocutivo[22]; e senz’altro
allocutivo
è
l’attacco,
secondo una modalità che
fregia buona parte dei Canti
leopardiani, e che è da parte
sua responsabile di quel
commutarsi
della
rappresentazione in dialogo
affettivo che è una delle
grandi caratteristiche del
poeta: così Leopardi, da quel
‘lirico puro’ che anzitutto è,
ritrae
immediatamente
l’oggetto
nell’interiorità
rievocante e interrogante del
soggetto. Da parte sua il
settenario iniziale in un certo
senso anticipa l’intero del
componimento,contenendone
in stretta sequenza la
protagonista,
il
tema
fondamentale del ricordo
(vedi la chiusa delle
Ricordanze: «la rimembranza
acerba»eZibaldone,passim),
lasuadurataeproblematicità
(ancora) e la protratta curva
intonativa che dice, assieme
allo stupore (o classicamente
meraviglia)
dell’interrogazione,
la
profondità della ferita. Non
solo, ma esclusi un paio di
attacchi diversi, con perifrasi
(«O patria mia», «Italo
ardito»), questo è l’unico
Canto a inizio allocutivo che
reca come prima parola
assoluta il semplice nome
della deuteragonista, che
rimbalzaimmediatamentedal
titoloedettailtonodialogico
eaffettuosodellaprimalassa
(«tua», «tuoi», «tu»), come
della successiva, e cfr.
soprattutto
la
contrapposizione
quasi
immediata fra tu e io a
cavallodilassa,vv.13-15.
Interrogazionedaunlatoe
allocuzione dall’altro fissano
subitoquellatonalitàmossae
patetica che disloca via via
(altra grande peculiarità di
Leopardi) sentimenti e punti
divistadelsoggettopoetante,
e che si esprimerà come
altrove[23] ora nello scambio
fral’«io»eil«tu»(ipronomi,
ancora, sono in posizione
rilevataall’iniziodilassaa15
e 40), che si fonderanno nel
«ci» del v. 30 e nella prima
plurale seguita da «insieme»
di58;oranelleesclamativedi
28-31 e 52 ss. e nelle
interrogativedi36-39e56ss.
(con ellissi che accresce
l’affannosità);
ora
nell’incalzare
delle
ripetizioni,a28-29(suche,e
vedi Ricordanze 19: «E che
pensieriimmensi…»),36(«O
natura, o natura», tutta entro
un settenario), 37-38 (su
perchè), 49-51 (Anche), 5659 (questo, in serie
interrogativa), e soprattutto
l’indimenticabile
geminazione
di
52-53,
rallentata dall’enjambement
che quasi rilancia la dolente
esclamazione: «Ahi come, /
Come passata sei…»; infine
nelleinteriezionidi36,52,56
ecc.; e in orizzontale vale il
cumulo asindetico già notato
di 57. Per non dire delle
inarcature (se n’è appena
vista una memorabile) che
mutano a ogni passo il
rapporto sintassi-metro e
perciòl’andamentomelodico,
e per esempio sospendono in
pausaleparolechediconole
belleenostalgicheemergenze
della memoria: «Sonavan le
quiete / Stanze…», il canto
chedàrilievoallatranquillità,
e viceversa, 7-8 (ma nel
secondo idillio da Mosco
«quiete stanze», e senza
dieresi né inarcatura), o
inversamente i momenti più
drammatici, la perdita:
«All’apparir del vero / Tu,
misera, cadesti…» 60-61 (e
qui collabora il patetico
inciso, parallelo e opposto,
comenonèmaleosservare,al
«tu, lieta e pensosa,»
dell’inizio, 5), per non dire
dell’altroenjambementsubito
successivo
che
sospende
come nel vuoto la mano
accrescendone la suggestione
insieme
figurativa
e
simbolica: «e con la mano /
Lafreddamorteedunatomba
ignuda / Mostravi di
lontano».
Il ritorno – pure in tale
rinnovamento – alla forma
canzone comporta, rispetto
allo stile fondamentalmente
coordinativo degli Idilli,
anche un ritorno almeno
parziale
alle
misure
sintattiche larghe e allo stile
periodico. La strofa esastica
iniziale è occupata per intero
daununicoperiodo(peròcon
una
sola
subordinata,
temporale), e ugualmente di
sei versi è quello che si
stende nella lassa successiva
(sempreconlatemporaleche
rinviaalpassato),dalqualesi
‘stacca’ il distico finale,
simplicissimus
munditiis:
«Era il maggio odoroso: e tu
solevi / Così menare il
giorno» (per solere come
parola di significato «vasto
per la copia di rimembranze
checontiene»cfr.Zib.1789).
Ugualmente è ancora di otto
versi quello che apre la terza
lassa(eiltalordi16risponde
posizionalmente all’allor di
10, mentre il tutto è chiuso
ancoradaundisticodigrande
sobrietà).Ilrimanenteèassai
piùmossoefranto,sumisure
brevi e con collegamenti per
lo più asindetici. Impossibile
non notare che la diversa
situazione sintattica risponde
puntualmente
ad
una
tematica:alleprimetrelasse,
beatamente rievocative e
perciò sintatticamente più
ariose, si contrappongono le
ultime tre, notizie angosciate
e affannose di disinganno e
morte, perciò affidate a
segmenti sintattici brevi,
incalzati come visto da
replicazioniemosseelative.
Ma è la microsintassi a
indicare quella ricerca di
purezza e natività greche che
qui Leopardi persegue come
in tutti i Pisano-recanatesi, e
dicuilafigurastessadiSilvia
è
in
qualche
modo
l’emblema. A differenza che
nelle Canzoni l’ordine delle
parole non è mai troppo
distratto o invertito («il
limitare / Di gioventù salivi»
5-6, «all’opre femminili
intenta» 10, «Io gli studi
leggiadri / Talor lasciando e
le sudate carte» 15-16,
piuttostoepifrasicheiperbato
ecc.), in ogni caso senza
giungere mai alle inversioni
protratte e agli iperbati spinti
delle Canzoni (ad es. Angelo
Mai 16-20: «Certo senza de’
numi alto consiglio / Non è
ch’ovepiùlento/Egraveèil
nostro disperato obblio, / A
percoter ne rieda ogni
momento / Novo grido de’
padri»; Ultimo canto 4-6:
«Oh dilettose e care / mentre
ignotemifurl’erinnieilfato,
/Sembianzeagliocchimiei»;
Alla sua Donna 55: «Questo
d’ignoto
amante
inno
ricevi»).Piùspessoinvecegli
enunciatisisvolgonoinpiano
e scorrevole ordine lineare,
come «Porgea gli orecchi al
suon della tua voce ecc.» 20
ss., «Mirava il ciel sereno
ecc.» 23 ss., «Tu pria che
l’erbe
ecc.»
40
ss.,
«All’apparir del vero / Tu,
misera cadesti» 60-61, e così
via. Né l’estasi dei ricordi
domestici né la registrazione
dell’azione distruttrice della
natura e del «vero» tollerano
una sintassi che non sia
semplice, vicina al parlato
interiore. Si badi più di tutto
allaposizionedegliaggettivi,
che è quasi sempre quella
normale nella lingua, e
proprio in grazia di questa
normalitàesaltalaforzadegli
epiteti (e vedi più avanti):
«vita mortale», «occhi tuoi
ridenti e fuggitivi», «quiete /
Stanze»,«perpetuocanto»[24],
«studi
leggiadri»
(semanticamenteunagiuntura
nuovissima), «man veloce»,
«viedorate»,«pensierisoavi»
ecc.: sicché i casi del tutto
minoritari di posizionamento
letterario
sono
magari
introdotti per variare col
chiasmo la linea sintattica
(«sudate carte»[25] vs «studi
leggiadri», «faticosa tela» vs
«man veloce»)[26]; ma nel
fermo e disperato penultimo
verso c’è sì chiasmo, che dà
maggiorrilievoallaparentela
semantica fra i due aggettivi,
ma appunto perché questi
conservano la collocazione
normale:«Lafreddamorteed
una tomba ignuda». Qui più
chemaicomunquelanovitàe
purezzadelcantodiLeopardi
non va misurata secondo la
nostra
competenza
linguistica, ma proiettandola
contro le abitudini, ben più
letterarie nell’ordine delle
parole, della poesia italiana
del
tempo,
Manzoni
compresoconlesueragioni.
A Silvia è un dialogo con
un’assente («ciò che è perito
per sempre torna brevemente
a una sorta di seconda vita»:
Rigoni): modello, sia detto
perinciso,cheimportamolto
per tanta poesia italiana del
Novecento, a partire dalla
Casa dei doganieri di
Montale e da molto Sereni;
un’assente interpellata col tu
–comemaiprobabilmentein
vita, se vale qualcosa
l’identificazione tradizionale
con quella tale Teresa[27]: ciò
appartiene
a
tutta
una
tradizionepoeticama,comeè
stato notato anche uscendo
dalle righe (Silvia come
Persefone ecc.), risale al rito
arcaico dell’evocazione dei
morti. Specifico del Canto è
cheildialogoconlamortasi
doppi e risolva in quello con
la propria stessa intimità
passata, cosicché il tu da
proprio diviene metaforico, o
meglio centrato sul locutore
medesimoinquantoportatore
di giovanile «speranza» poi
calpestata (non arriverei però
a parlare, con Contini di
«identità di Silvia con
l’autore»)[28]. Al movimento,
comeabbiamoaccennato,più
distesamente e felicemente
evocativo delle prime tre
lasse,
dominato
dall’imperfetto durativo e
replicativo, che si carica
anch’esso di infinità o
indefinitezza come Leopardi
ben sapeva («Porgea gli
orecchi al suon della tua
voce»: non una sola volta),
mentre intorno s’agita, come
quasi sempre nei Pisanorecanatesi, la lieta e vivida
animazione della natura nel
borgo, si contrappone quello
agitato e drammatico delle
ultime tre, in assenza di
paesaggio se non per le erbe
che però presto l’inverno
disseccherà: dove i tempi del
passato
rientrano
continuamente nel presente
dellariflessionesconsolata.
ASilvia, così grondante di
lirismo, è però anche una
poesianarrativa,chesidipana
secondo una precisa freccia
direzionale, dalla gioventù di
entrambi i protagonisti alla
morte, fisica o interiore, il
passaggio
dal
«maggio
odoroso» (maggio è la
stagione dell’illusione vitale
anche in Ricordanze 162)
all’appressarsi dell’inverno,
dal salivi iniziale al cadesti
finale[29]: tanto più se
ammettiamo
come
è
necessariochelasperanzasia
anche Silvia stessa, o meglio
che Silvia diventi nella
memoria la speranza precaria
di
chi
parla:
in
un’oscillazione
fra
personificazione e allegoria,
nuova in questo Canto
rispetto a tutti i precedenti.
Non è solo l’impostazione
‘figurativa’ a legare inizio e
fine, ma qualcosa di più
preciso: la chiusa tombale
con la parola morte finisce
per essere come un’eco dei
versi d’avvio dove la vita di
una bellezza giovanile che
sboccia in splendore è detta
«mortale»,
con
probabilissima
ambiguità
semantica: anzi, mortale è al
secondoversocomemorteal
penultimo.Igrandipoetisono
anche grandi architetti. La
struttura del componimento
richiede dunque ancora una
sosta. È evidentemente un
testo insieme progressivo e
circolare, anzi la circolarità
del tutto è come anticipata,
quasi mise en abîme, dalla
circolarità della partizione
inizialese,comehasuggerito
Agosti[30], la parola prima e
decisiva,
Silvia,
è
anagrammata
nell’ultima,
salivi. E se la prima
partizione è il nartece o la
prolessi della costruzione, le
duecheseguonosonoricordi
dell’io, gioiosi, vitali e
affermativi, dove l’unica
negazione è in realtà una
dichiarazione di ineffabilità,
«Lingua mortal non dice…»
26, ma subito seguita dalle
beate esclamazioni che
evocano
ancora
l’insostituibile
giovinezza
(«Chepensierisoavi…»).Ma
le lasse successive (con la
quartachefadaponte,inuna
specie di inarcatura tematica,
fra i due opposti momenti, il
‘prima’eil‘dopo’)sonotutte
percorse da indici negativi
della
consunzione,
del
disinganno e della morte:
«Perchénonrendipoi…»37,
«non vedevi» 42, «Non ti
molceva il core» 44, «Nè
teco…» 47, e poi sventura,
perivi
e
peria,
negaro,
passataseiecc.
Come sempre in Leopardi
(ma molto meno nel
prosatore!)lavestelinguistica
di A Silvia è di dignitosa
antichità. Trascegliendo si
citeranno veroni (vedi sopra)
e ostello (cfr., anche per
l’aggettivo, patrio ostello,
Primo amore 27), sovviemmi
32,priaeverno 40, molceva
44 che peraltro ‘contiene’ il
dolce del verso successivo,
parolachiavedellacanzone,i
fati 51, speme alternante con
«speranza»(cfr.sopra).Enel
settore fonomorfologico ecco
core (in prosa Leopardi usa
cuore)enova,opre,leprime
persone dell’imperfetto in -a,
le
terze
delle
altre
coniugazioni in -ea, -ia (il
primo, splendea 3, è corretto
da -eva per ragioni insieme
sistematiche ed espressive,
cfr. nota 3), «negaro» e così
via, cui è da aggiungere il
bassocontinuodelleapocopi.
Ma non si insisterà mai
abbastanza che questa patina
aulica
o
meglio
anticheggiante nei Canti
pisano-recanatesi come negli
Idillicoabitasenzastridori(a
differenza
che
nel
polistilismo delle Canzoni)
conunlinguaggiopianamente
familiare (vedi sopra), che
scaturisce
anche
dalle
correzioni, vedi soprattutto
49-51 Anco > Anche; e
soprattutto che va messa in
relazione con la nota e
suggestiva
diagnosi
leopardiana sull’impossibilità
della lirica, vera o superiore
forma di poesia, nella
modernità.Sedunquelalirica
può
riproporsi,
in
controtendenza,
anche
in
quest’epoca, può farlo solo a
patto di indossare una veste
antica o per dirla tutta greca.
Senza dire che è la
disponibilità di allotropi o
sinonimi più letterari o più
rari a permettere in qualche
caso, in sede di revisione, il
passaggio dal determinato
all’indeterminato o al meno
determinato, come avviene
nelcit.percotea>percorrea,
in pudica[31] > pensosa 5,
dolor o cordoglio > affetto
32, occulto > chiuso,
ammirevole, 41, o anche nel
cit.splendeva>-ea,tantopiù
ricco di armonici, e nello
stesso (Porgea) l’orecchio >
gli orecchi 20 (orecchie nel
Dialogo di Plotino e di
Porfirio,§55).
Magrecitàvuoldireprima
di tutto castità espressiva,
capacità di dir molto e
moltissimo con poco. Come
di regola nel Leopardi
maturo,
si
potrebbe
approssimare anche A Silvia
conquestaformula:«purezza
lessicale entro agitazione
sintattica». Conviene tornare
all’aggettivazione,chenondi
rado è sottratta, con
opposizione ‘in levare’ alle
consuetudini italiane del
tempo: «le vie dintorno» 8,
«gli orti» 24, «il mar… il
monte» 25 (nelle più
affabulanti Ricordanze 21
«lontano
mar…
monti
azzurri»),«l’erbe…ilverno»
40 ecc., o sostituita da
semplici
quantificatori
(«cotanta speme» 32, e vedi
anche «Quale allor ci
apparia» 30); e comunque il
sostantivosiappagadiregola
di uno, e uno solo, epiteto, e
perdipiùcomegiàosservato
in collocazione ‘normale’:
«quiete / Stanze» 7-8,
«perpetuo canto» 9, v. n. 24,
«vago avvenir» 12, «maggio
odoroso», con la bella
posposizione, non epitetica
ma
qualificativa,
dell’aggettivo, 13, «studi
leggiadri» 15 (dapprima
dolci; correzione forse da
mettereinrapportocolPepoli
138: «altri studi men dolci»),
«man veloce» 21, «il ciel
sereno, / Le vie dorate» 2324, «pensieri soavi» 28 e via
dicendo:
ogni
ornamentazione superflua è
evitata, ogni aggettivo, per
esser solo, acquista maggiore
intensità. E così, con la sola
eccezione
del
peraltro
splendido e nient’affatto
dittologico
«Acerbo
e
sconsolato» 34 (l’«affetto»
che «preme» il locutore)[32],
le poche coppie aggettivali,
col loro colore per lo più
ossimorico, sono riservate a
Silvia,
e
naturalmente
ospitate
dai
più
distesi
endecasillabi:
«occhi…
ridentiefuggitivi»4,«lietae
pensosa»
5,
«sguardi
innamorati e schivi» 46
(ripresa isorimica di 4), cui è
daaggiungerecoiparticipila
climax di 41: «combattuta e
vinta» (vedi con Fubini
Petrarca, Rvf xxvi 2). La
perfetta aggettivazione non è
l’ultimo
segreto
degli
immortalisessantatréversi.
[1] Segnalo qui altri contributi, oltre
a quelli citati di seguito, utili per la
lettura e interpretazione del testo:
AA.VV., Leopardi e la stagione di
Silvia, a cura di F. Ceragioli, Roma,
Sossella, 2001; F. Brugnoli, La
strutturazione
di
«A
Silvia»
nell’officina di Leopardi, in AA.VV.,
Giacomo Leopardi e la sua presenza
nelle culture esteuropee, in Giacomo
Leopardi:l’uomo,ilpoeta,ilpensatore,
a cura di B.E. Smaragda, Bucureşti,
Editura Fundiatiei Culturale Române,
1999, pp. 71-95; C. Ferrucci, A Silvia,
in AA.VV., Lectura leopardiana. I
quarantuno «Canti» e i «Nuovi
credenti», a cura di A. Maglione,
Venezia, Marsilio, 2003, pp. 393-404;
M. Fubini, Metrica e poesia. Lezioni
sulle forme poetiche italiane. I: Dal
Duecento al Petrarca, Milano,
Feltrinelli, 1962 (o ed. successiva), pp.
297-303; G.L., Canti, Introduzione e
commentodiM.Fubini,ed.rifattacon
la collaborazione di E. Bigi, Torino,
Loescher, 1964; G.L., Cantos, Edición
bilingüe de M. de las Nieves Muñiz
Muñiz, Madrid, Cátedra, 1998; A.
Girardi,LinguaepensieroneiCantidi
Leopardi,Venezia,Marsilio,2000.
[2] G. Lonardi, L’oro di Omero.
L’«Iliade», Saffo: antichissimi di
Leopardi, Venezia, Marsilio, 2005, pp.
139-186.
[3] Per questo cfr. soprattutto L.
Blasucci, Lo stormire del vento tra le
piante. Testi e percorsi leopardiani,
Venezia, Marsilio, 2003, pp. 131 ss.
(ma tutti i contributi leopardiani di
Blasucci sono sempre indispensabili).
Perleripresedall’Appressamentodella
morte cfr. F. D’Intino, I misteri di
Silvia. Motivo persefoneo e mistica
eleusina (per altri aspetti assai
discutibile), in «Filologia e critica»,
XIX,1994,pp.231ss.
[4] Cito dall’ed. a cura di R.
Damiani,Milano,Mondadori,1997.
[5] Può essere anche questa una
ragionedellacorrezioneinpensosadel
peraltro corrivo (e assente dal brano
delloZibaldone)pudicaprecedente.Ma
la principale rimane certo l’acquisto,
attraverso il noto recupero di una
coppia petrarchesca, di un’altra di
quelle definizioni ossimoriche o vicine
all’ossimorochecaratterizzanoSilvia,o
lasperanza-Silvia,intuttoilCanto(cfr.
vv.4,forse11-12,46,54-55ecc.);esi
capisce:èlagiovinezzachenelricordo
convivecolpropriodestinodimorte.
[6] Cfr. G. Contini, Varianti e altra
linguistica. Una raccolta di saggi,
Torino,Einaudi,1970,pp.42-43eP.V.
Mengaldo, Prima lezione di stilistica,
Roma-Bari, Laterza, 2007, p. 48: qui
anche i probabili motivi della
correzionedalprecedentesplendeva.
[7]Inunprimotempoconsumata:la
correzione (che ancora una volta
conserva il profilo fonetico della
lezioneoriginaria)avràinteso,oltreche
dissimulare rispetto a luoghi vicini dei
Canti (cfr. Lonardi, L’oro di Omero,
cit.,p.141n.)armonizzarelametafora
al campo referenziale del successivo
vinta, e forse anche cancellare
antirealisticamente ogni allusione alla
tisi.Ecfr.oltre.
[8] Da segnalare perciò le
concordanze fra i due Canti:
Risorgimento33–ASilvia49:frapoco
‘dopo poco’, in entrambi i casi con
variante fra breve; Ris. 58: «sguardi
furtivi, erranti» – A S. 4: «occhi…
ridenti e fuggitivi», 46: «sguardi
innamorati e schivi» (ma cfr. con
Contini «Occhio… fuggitivo e vago»,
Primo amore 86; il riscontro con
un’odedelRolli,segnalatoadessodaG.
Gaspari,inFilologiaestorialetteraria.
Studi per Roberto Tissoni, Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura, 2008,
pp.435-443,siaddicedipiùadASilvia
per la partitura fonica, ma di più al
Risorgimento lessicalmente); Ris. 6263: «candida ignuda mano, / foste voi
pure invano» – A S. 61-62; e
qualcos’altro.
[9] Altre osservazioni sul settenario
leopardianoneimieiSonavanolequiete
stanze. Sullo stile dei «Canti» di
Leopardi,Bologna,IlMulino,2006,pp.
34 ss., e Esperienze metriche di un
lettoredipoesia,in«Stilisticaemetrica
italiana», 9, 2009, pp. 63-86: 72-74.
Non
è
privo
d’interesse
che
nell’elaborazione vari endecasillabi
scendanoasettenari:ades.AngeloMai
71, 127, Alla sua Donna 5, Canto
notturno15,21,Sabatodelvillaggio 5
(cfr. edizioni critiche Peruzzi o
Gavazzenietal.,adll.).
[10] Cfr. Blasucci, Lo stormire, cit.,
p.142.
[11] Per fornire un esempio
particolarmente chiaro, nei 15
endecasillabi dell’Infinito ne sono di
questotipobensette(piùunodi6a-7a).
[12]Nonguastauncalcoloesatto.Di
fronte a 14 occorrenze dei normali
endecasillabi equilibrati di 4a-8a (uno,
45, con ribattimento di quinta), se ne
hanno ben 10 del tipo su indicato. Gli
altrisonospiccioli:duedi3a-6a-8a;due
di 6a-7a: al v. 2 con contraccento
sull’aggettivo possessivo secondo una
precisa tradizione italiana (cfr.
ottimamenteF.Brugnolo,«Quel tempo
dellatuavitamortale».Perlastoriadi
unafiguraritmica,inStudiinonoredi
Pier Vincenzo Mengaldo, Firenze,
EdizionidelGalluzzo-Sismel,2007,pp.
1725-1748), e poi al v. 57, notevole
perché cade sulla stessa vocale della
vivaceserieasindetica«Idiletti,l’amor,
l’opre, gli eventi», possibile eco del
primo verso del Furioso già alluso in
Angelo Mai 111 ss.; uno solo tutto
giambico,edèlosplendidorallentando,
ulteriormentedistesodagliechifonicie
semantici, di 25: «E quinci il mar da
lungi, e quindi il monte». È poi da
notarechegliendecasillabi,comesono
sapientemente composti coi settenari,
cosìtendonoadalternarsisecondoidue
tipi principali, cfr. 18-19-20, 40-41-42,
e mai comunque l’uno o l’altro tipo si
ripeteperpiùdidueversi.
[13] È questo l’unico verso
propriamente aulico della lirica, quasi
adaccennareperviapuramentetonale–
in un testo in cui è pur fatta uguale a
zero la dialettica padrone-servo – alla
differenza fra la dimora signorile e la
semplicestanzadellafanciulla.
[14] Cfr. Contini, Varianti e altra
linguistica, cit., p. 51. Lo stesso
Contini, ibidem, osserva che due versi
prima Virgilio porta «adsiduo resonat
cantu» (già cit. da Leopardi nel
Discorsosopralapoesiaromantica,p.
60Besomietal.) che certo ha agito su
«Sonavan… al tuo perpetuo canto»; e
cfr.pure Ricordanze 17-19: «e sotto al
patriotetto/Sonavan voci alterne e le
tranquille/Oprede’servi».
[15] Qui mi pare del massimo
interesse la concordanza del luogo con
un distico di un canto popolare
marchigiano cit. dallo stesso Leopardi
in Zib. 29 dove si ha appunto
innamorati nel senso di ‘che
innamorano’ («occhi… ’nnamorati»), e
cfr. ibidem 4140, con rimando a
Petrarca.AltridatinellaMuñiz.
[16]VeramenteE.Peruzzi,Saggiodi
lettura leopardiana,
in
«Vox
romanica»,XV,2,1956,pp.94-163,in
basealsignificatochel’aggettivohain
altri luoghi leopardiani, avanza
l’interpretazione
di
‘morente’,
‘morituro’ o simili, ma a parte altre
considerazionil’ipotesipareesclusadal
luogo parallelo del Risorgimento già
citato:«sguardifurtivi,erranti»,nonché
dallavarianteincerti.
[17] E cfr. anche il Commento ai
Canti di Gavazzeni e Lombardi,
Milano,Rizzoli,1998,adl.
[18] Mi chiedo se l’alternativa non
debba decidere per l’interpretazione di
vago come ‘desiderabile’, ‘luminoso’,
anziché ‘incerto’ come altri interpreta,
nonostantelavariantecit.allan.17.
[19]Ètuttaviapossibile,comeèstato
sostenuto, ma non probabile che in A
Silvia il nero dei capelli alluda
anch’esso a destino di morte precoce.
Ed è magari da notare che nei Canti
solonegro,mai nero, è disponibile per
disforici e cupi traslati concreti (Sogno
15: «mia negra vita», Pepoli 85: «la
negracura»,DalgrecodiSimonide24:
«negrecure»),echesoloquestesonole
occorrenzedell’aggettivoaparteledue
«negrechiome».TuttaviagiànelDiario
d’amore del ’17 (cfr. G. Leopardi,
Autobiografie imperfette e Diario
d’amore,acuradiM.A.Terzoli,Roma,
Cesati, 2004, p. 92) Giacomo
dichiarava la sua appassionata
preferenza per le donne dai capelli e
dagli occhi neri. Sarebbe forse una
rivincita della lettera contro gli eccessi
dell’interpretazione?
[20]AncheseASilviaèunaliricadi
raraplasticità,nonperquestoLeopardi
vi rinuncia ai suoi tipici effetti di
sfumato: i plurali (10, 19, 28-29, 51
ecc.), l’agg. vago 13, da lungi 25, la
dichiarazione di ineffabilità di 26-27,
sia pure seguita dalle esclamazioni di
unamemoriaquasieuforicaecc.
[21] Cito dall’ed. critica delle
Operette a cura di O. Besomi, Milano,
Fondazione Arnoldo e Alberto
Mondadori,1979.
[22] Cfr. L. Blasucci, I titoli dei
«Canti» e altri studi leopardiani,
Napoli,Morano,1989,pp.163-164.
[23] Per i due pronomi personali in
posizione forte, e spesso contrapposti,
cfr. rispettivamente, ad es., Bruto
minore106,Seradeldìdifesta11e20,
Ilsogno64e72,Ricordanze1,Passero
solitario36,Cantonotturno 117 e 126
e Bruto minore 76 e 83, Ultimo canto
58,Seradeldìdifesta11e20,Ilsogno
90, Vita solitaria 17, Canto notturno
73, Passero solitario 45 ecc. (spesso
nellaforma«Etu…»).
[24] Qui occorre anche chiedersi se
perpetuo non sia più pregnante di
quanto sembra (Silvia che canta
sempre, che non si stanca di cantare),
alludendo a una giovanile fiducia nella
durata della propria vita che la natura
invecespezzerànelfiordeglianni,enel
pienodiquella‘speranza’.
[25] Come ripeto, da un precedente,
sempreinposizionenormale,dilette.
[26] E vedi ancora «perpetuo canto»
– «opre femminili» 9-10; «vago
avvenir» – «maggio odoroso» 12-13;
«studi leggiadri» – «sudate carte» 1516; «dolce lode… negre chiome» –
«sguardi innamorati e schivi» 45-46;
«etàmianova,/Mialacrimataspeme»
54-55.
[27]Cfr.daultimol’ed.Terzolicit.,
pp.133-134.
[28] Cfr. Antologia leopardiana, a
curadiG.Contini,cit.,adl.
[29] Cfr. Lonardi, L’oro di Omero,
cit.,p.153.
[30] Il testo poetico. Teorie e
pratiche d’analisi, Milano, Rizzoli,
1972,pp.39-41.
[31]Sipuòanchenotarechepudicaè
l’ultimaparoladiASilviadelParini.
[32] Acerbo si può considerare un
vero e proprio leopardismo: cfr. in
particolare Passero solitario 21:
«Sospiro acerbo dei provetti giorni»,
Ricordanze71-72:«l’acerbo,indegno/
Mistero delle cose», 173: «la
rimembranza acerba», chiusa di
componimento, Coro di morti del
Dialogo di Federico Ruysch 21-22:
«quel punto acerbo / Che di vite ebbe
nome».
Peruncommento
allaQuietedopola
tempesta
Tutti i testi leopardiani, per
esserecompresi,necessitanodi
uninquadramentogeneralenel
contesto in cui nascono. La
Quiete dopo la tempesta è
apparentabile (è lecito parlare
di un dittico) con il Sabatodel
villaggio. L’intera poesia è
animata
da
una
contraddizione/divaricazione
fra la ragione filosofica e
quellapoetica.
Avantesto e titolo. Come è
notoilprecedentepiùpreciso
del Canto[1] è una nota dello
Zibaldone
2599-2602
(7
agosto1822)incuiLeopardi,
dopo aver affermato che
«l’uniformità è noia» e che
«la continuità de’ piaceri…
anch’essaècontinuità,eperò
noia, e però nemica del
piacere» ecc., prosegue
(isolo,contagli,unbrano):
Ecco come i mali
vengono ad esser
necessariiallastessa
felicità, e pigliano
vera e reale essenza
di beni nell’ordine
generale
della
natura… Laonde le
convulsioni
degli
elementiaaltrecose
che
cagionano
l’affanno e il male
del timore all’uomo
naturaleocivile…si
riconoscono
per
conducenti, e in
certo
modo
necessarii
alla
felicitàdeiviventi,e
quindi con ragione
contenuti e collocati
ericevutinell’ordine
naturale, il quale
mira in tutti i modi
alla predetta felicità.
E
non
solo
perch’essi
mali
dannorisaltoaibeni,
eperchèpiùsigusta
la sanità dopo la
malattia, e la calma
dopo la tempesta:
maperchèsenzaessi
mali, i beni non
sarebbero
neppur
beni a poco andare,
venendo a noia, e
non essendo gustati,
nè sentiti come beni
e piaceri, e non
potendo
la
sensazione
del
piacere, in quanto
realmente piacevole,
durar lungo tempo
ec.
(Spuntipiùframmentariad
esempio negli Argomenti di
Elegie,ed.Rigoni,p.618:«E
infinerimettendosilacalmae
spuntando il sole e tornando
gli uccelli al canto…», nella
«Prima idea» della Telesilla,
ed.Rigoni,p.671:«…canto
mattutino degli uccelli, sole
nascente,comemaituttoèin
calma…», e soprattutto nella
stessa Telesilla 13 ss.: «in
poco d’ora / Torna il
sereno… Ecco già ’l nembo
allenta… Ecco vien fuori il
sole/e’lcantodegliucceisi
rinnovella…».)Ecfr.ancheil
passo della Storia del genere
umano cit. dalla Muñiz e
d’altra parte l’idillio di
GessnersegnalatodaVossler.
Sembradunquecheiltitolo
della Quiete[2] riformuli
l’espressione
che
ho
evidenziato in corsivo del
Diario. Così però esso, per
rispondere
al
requisito
essenziale della brevità,
risulta meno transitivo verso
il contenuto del testo di altri
titoli leopardiani (come il
comprensivo Canto notturno
ecc.); e non solo ovviamente
perché non ne sintetizza
l’intero arco, ma perché – a
differenza di quello della
seconda anta del dittico, Il
sabato del villaggio – non
risponde neppure a quanto
rappresentato ed espresso
nellaprimalassa:chenonèil
momento di tranquillità dopo
ilterrore,malaripresavivace
dell’attività umana (e tanto
più mossa e lieta dopo quel
terrore), alla quale si associa
lanaturastessa.Elatempesta
coi suoi effetti è sì
rappresentata
o
meglio
suggerita,
in
modo
estremamentesinteticoesolo
alla fine della seconda lassa,
con
un’inversione
dell’intreccio rispetto alla
fabula, ma in tal modo
accostandola strettamente al
motivo
‘filosofico’
del
«piacer figlio d’affanno».
(Non è inutile comunque
ricordare che una descrizione
dettagliata di una tempesta,
con «vento», «nembo»,
«lampi»e«baleno»figuranel
FrammentoXXXIXdeiCanti,
ivi
introdotto
solo
nell’edizione del ’35 ma
tratto dai primi 82 versi
dell’antica, 1816, «cantica»
Appressamento della morte.)
Si potrà ipotizzare che il
titolo indichi un non detto,
cioèl’antecedente (la «calma
dopo la tempesta») delle
scene d’azione descritte nella
primalassa?Oaddiritturache
residuiunadiversaintenzione
rappresentativa di questa?
Tuttosommatoèforsemeglio
accogliereancheperlaQuiete
le osservazioni generali di
Blasucci: «Verrebbe fatto di
pensareaunasortadilangue
titolatoria, rispetto alla quale
la parole fu costituita dai
testi», e: «scarto fra la
tradizionalittà dei ‘soggetti’
annunciati dai titoli e la
novità delle esecuzioni» ecc.
[3]
Quanto alla struttura
nell’assieme, va osservato
che le tre lasse sono di
ampiezzadecrescente,24-1713 vv.: Blasucci ha parlato
opportunamente di una
«stretta», e certo l’effetto
averbale è quello di una
progressiva
chiusura
sentimentale.
Ilassa.Varicordatochele
modalità
d’inizio
che
prevalgono nei Canti sono
due (non di rado intrecciate):
l’allocuzione e il periodare
protrattoeaspirale,conforti
subordinazioni[4].
Questo
della Quiete, narrativo e
‘normale’, è fra le eccezioni,
quasi
a
preannunciare
l’andamento paratattico – e
talora asindetico – e il
fraseggiare
breve
che
caratterizzeranno,
con
intenzioni via via diverse,
tutto il Canto. Non è male
osservare che le regole di
maggioranza valgono per
tutte le Canzoni (compreso
l’Inno ai Patriarchi) e per
tutti i Canti ‘napoletani’,
anche in ciò eredi delle
Canzoni (tuttavia l’attacco di
Sopra il ritratto, se è
allocutivo, è a segmenti
brevissimi); mentre gli inizi
‘narrativi’ si trovano solo
negliIdillieneiCantipisanorecanatesi(L’infinito, La vita
solitaria, La sera del dì di
festa,incertosensoIlsogno,
Ilsabato,Il passero solitario
–stannoaséIl primo amore
e Il risorgimento), dove
s’instaura il gusto per la
rappresentazione obiettiva,
rivissuta ma non tutta
riassorbitanelsoggetto,epoi
nel cosiddetto ‘Ciclo di
Aspasia’ (Amore e morte,
Consalvo, Aspasia), e si
comprende
il
perché
soprattutto per i due ultimi
individuicitati.
Questa strofa nella quale
Leopardi canta (nel senso
letterale
del
termine)
l’epifania creaturale della
struggente quotidianità che
torna a manifestarsi dopo la
minaccia
(Vossler
ha
osservato giustamente che il
Canto non parla mai di
«quiete», ma sì di gioia di
vivere), s’affida come forse
non mai nei Canti a una
grande specificità lessicale,
atta a catturare la varietà e
singolarità dei realia. Circa
un terzo delle parole piene o
sintagmi coesi che l’abitano
sonoinfattihapax(olessicali
o semantici o in un caso
formale) nella raccolta e
magari in tutta la poesia
leopardiana.Precisamente:su
66‘parole’ein24versisono
unica nei Canti le seguenti:
far festa 2 (è nel saggio di
traduzione
dall’Odissea),
gallina 2 (gallinella, assai
meno
‘realistico’,
più
settecentescooarcadiconella
Vita solitaria), verso (in
questo significato) 4, rompe
(id.) 5 da un precedente
spunta, vedi oltre, ponente 5
(un esempio anche nei
Paralipomeni), sgombrasi 6
(esempi solo nel Leopardi
‘minore’), umido 11 (vari
esempi solo nel Leopardi
minore), fassi ‘s’affaccia’ 13
(esempi simili solo nelle
traduzionipoetiche),uscio13
(esempi
nel
Leopardi
minore), vien fuor 14 (cfr.
Telesilla sopra cit. e
Paralipomeni),femminetta14
(contutt’altraconnotazione,e
al plur., solo nei Nuovi
credenti),cor(re)14insenso
fisico, cfr. tutt’al più Guerra
deitopiedelleraneIII8(tre
difila!),piova15(altrovenei
Canti sempre pioggia, come
nelrimanenteconl’eccezione
significativa di Telesilla 12,
115), erbaiuol 16, sorride
metaforico 19 (un altro
esempio, ma contestualmente
diverso, nell’Appressamento
dellamorte),terrazzi21(solo
un altro esempio, nei
Paralipomeni), famiglia nel
senso arcaico di ‘servitori’
(non
credo
opportuna
l’interpretazione
attenuata
‘gente di casa’), (via)
corrente 22, tintinnio 23,
sonagli23,ripiglia 24, come
solo in un testo poetico
minore (nei Canti non
compare
mai
neppure
riprendere). In tutto 21, cifra
eccezionale,chesipuòinoltre
completare con voci attestate
solo un’altra volta nei Canti,
come, sempre nell’ordine del
quotidiano, artigiano 11,
giornaliero (questo ritorna
solo nella specialissima
Palinodia),logge21.Sivedrà
che la situazione delle due
lasse successive è tutt’altra.
Più direttamente, il vitale
affaccendarsi
dopo
la
tempesta è espresso anche
dalle ripetizioni iterative o
moltiplicative: Tornata 3 –
Torna 10; ogni… in ogni 8,
Di sentiero in sentiero 17,
Ecco…ecco19,Apre…Apre
20-21, e vedi anche RisorgeTorna a inizio dei successivi
9-10equantosidiràdeiverbi
aprefissori-.
Dunque in questa prima
lassaLeopardiparticolareggia
al massimo, e gioca la sua
rappresentazione tutta sulle
‘azioni’. Tant’è vero che vi
leggiamo solo due aggettivi
qualificativi, chiaro e umido
(questohapax come visto), e
per di più entrambi non
statici, pittorici, ma indicanti
uno stato che deriva da un
mutamento rispetto a un
prima (il fiume non più
offuscato, il cielo inumidito
dalla pioggia recente: cfr.
Paralipomeni VI 29, 4: «ed
umide
parean
dalla
procella»).
Ancora
più
significativa è la rarità di
quegli elementi che Luigi
Blasucci ha memorabilmente
individuato e definito come
«infinitivi»,
o
indeterminati/indefiniti[5]. In
dettaglio:l’unicolessemacon
questo valore è lontano 22
(piuttosto avverbio che
aggettivo),perdipiùinpunta
di verso e in inarcatura, che
significativamente appare nel
momento
finale
della
rappresentazione, in cui
questa sfuma dal borgo e
accenna ad altro; e a
«lontano»
si
possono
accostare «là da ponente» 5
(vedi «Incontro là dove…»,
Sabato 10), la sintassi
‘presimbolista’ di «alla
montagna»,forsel’assenzadi
articolo in «augelli» 2 (v. ad
l.)e«tintinnio»23.Leuniche
parole di quattro sillabe sono
femminetta 4 e giornaliero
18,cuièimpossibileprestare
connotazioni
infinitive.
Mancano
i
plurali
‘moltiplicativi’ (i quattro di
20-21 sono ben concreti,
pertengono alla varietà del
quotidiano). Ancora: non si
puòosservareunaprevalenza
significativa del timbro à se
nonsolonellostraordinariov.
7. Restano gli enjambements
(vv. 4-5, 8-9, 13-15, 19-20,
22-23), ma in primo luogo
nonsonoquinécosìfrequenti
e consecutivi né così arditi
come in altro Leopardi, e
soprattutto la loro funzione,
tenuto a parte il caso di 2223, non è tanto rallentativa,
sospensiva, quanto quella di
legare l’una all’altra secondo
unritmoda‘allegro’lescene
del ritorno alla vita,
rilevandone quella lieta
velocità di successione che è
tutt’uno, come Leopardi per
primo sapeva benissimo, con
la
loro
ideale
contemporaneità: Zib. 2041-
2042,3novembre1821:
La rapidità e la
concisione
dello
stile, piace perchè
presenta all’anima
una folla s’idee
simultanee, o così
rapidamente
succedentisi,
che
paionosimultanee,e
fanno
ondeggiar
l’anima in una tale
abbondanza
di
pensieri,oimmagini
e
sensazioni
spirituali, ch’ella o
non è capace di
abbracciarle tutte, e
pienamente
ciascuna, o non ha
tempo di restare in
ozio, e priva di
sensazioni. La forza
dello stile poetico,
che in gran parte è
tutt’uno
colla
rapidità, non è
piacevole per altro
cheperquestieffetti,
e non consiste in
altro ecc. (e cfr.
anche ibidem 2239,
2336-2337
e
Novalis, Frammenti
241: «Chissà quali
effetti meravigliosi
darebbe
il
sincronismo di più
azioniecc.»).
Eperciòillessicodiquesta
prima lassa tende a indicare
momentaneità nel tempo,
finitezza nello spazio: via 3,
«conl’oprainman»12,uscio
13, «Di sentiero in sentiero»
17, grido 18 ecc., e più
vistosodituttoildeitticocaro
a Leopardi ecco che appare
tre volte, 4, 19, di cui due, a
marcare ancor più l’allegro,
in anafora lineare[6]. Con
questodaprecisare,che,dato
il tema del ‘ritorno alla vita’,
lalassaètuttaattraversatada
semantemi che dicono il
passaggio
dal
chiuso
all’aperto,daldentroalfuori,
dall’indistinto al distinto: cfr.
almeno
«Sgombrasi
la
campagna» 6, appare 7,
«Fassiinsul’uscio»13,Vien
fuor (la «femminetta»), tra
l’altro
usualissimo,
e
replicato nell’incipit del
Sabato:«Ladonzelletta…»(e
vedi anche Ricordanze 50:
«Viene il vento…»); Apre in
anafora20-21.
Delrestoalleminisequenze
con ordine inverso, e dunque
con rallentando, delle parole
(1, 6-7, 11-13, 20-21, 23-24)
si intrecciano, prevalendo,
quelle con ordine retto (2-4,
4-5, 8-10, 13-15, 16-18, 1920, 22-23), e la rapidità ed
essenzialitàcosìottenutesono
rafforzate dal fatto che si
tratta comunque di frasi
semplici o semplicissime,
senza espansioni, con poche
subordinate che sono tutte o
implicite
o
elementari
(relative brevissime), fattuali:
«Odo… far» 2, Tornata 3,
Che ripete 4, a mirar 11,
cantando 12, a còr 14, che
ritorna19,che…ripiglia24.
Mai forse Leopardi è
riuscitoaesprimeretantocon
così poco (anche con tale
modestia di registro). Viene
inmentelacelebrerispostadi
Mozart a Giuseppe II che gli
rimproverava di aver usato
«troppe note» nel Ratto dal
Serraglio: «Neppure una più
delnecessario,Maestà».Così
lavorano i classici. Ma
l’estrema semplicità, al
servizio
non
meno
dell’enárgheia che del canto,
che distingue la lassa anche
rispetto ai testi precedenti
dell’autore, non impedisce
che questi versi siano poi
strutturati, pur senza eccesso
di determinazione, in modo
sapiente,alternandoiriquadri
relativi all’udito con quelli
relativi alla vista, così: 2-4
udito; 4-7 vista; 8-10 udito;
11-13, cioè al centro, l’uno e
l’altro; 13-15 vista; 16-18
udito; 19-21 vista; 22-24
udito.
Tale
alternanza
attraversa la bipartizione
d’altra natura di ‘esseri o
fenomeni non umani’ 1-7 /
‘esseri umani’ 7 ss. (con
confine
dunque,
accortamente, entro lo stesso
verso):
con
la
sola
interruzione di 19-20 dove
però il sole «ritorna» e
«sorride», cioè è dotato di
metafore umanizzanti, tanto
più notevoli in un poeta
scarsamentemetaforicocome
Leopardi.
Ancorpiùsignificativaèla
formametrica,primaadover
risolvere la rappresentazione
in canto. Fino al v. 18
dominano i settenari (11
contro7endecasillabi),dicui
quattrodiseguitoa15-18,per
di più a coppie di rime
baciate (la prima preceduta
anche da rima con 13), e
baciate sono anche le rime
con endecasillabi di 1-2, al
mezzo, e di 5-6. A questo
andamento cristallino e
melodiososiopponeloslargo
finale, 19-24, che funge pure
da‘segnaledichiusa’,eilcui
avvio è segnato dalla
accelerazione sospinta dalla
doppia anafora (ecco, apre):
tutti endecasillabi. A guardar
megliosivedechecomunque
gli endecasillabi hanno il
ritmo arioso e rapido, così
caro a Leopardi, di x-6a-10a
(eventualmente
6a-7a),
dunque ripetendo al loro
interno la forma del
settenario, e spesso, a
confermarla, all’interno di
versi con pause più o meno
marcate dopo la settima
sillaba(2,4,5,8ecc.).Unica
eccezione, e sempre nello
slargo finale simile a una
«coda», proprio l’ultimo
endecasillabo, di 4a-8a. Per
inciso è da vedere, in questo
finale, se il personaggio del
passegger non possa essere
intesoanchecomeallegoriao
figura dell’io poetante che si
stacca («il suo cammin
ripiglia») da quelle care
manifestazioni di vita per
rientrare in sé e giudicarne il
senso[7]. Ciò darebbe anche
meglio ragione della sua
diversità, anzitutto di ritmo e
distensione, da ciò che lo
precede.
L’ipotesi
pare
confermata dal fatto che in
un’Operetta del ’32 un
allegorico
Passeggero
dialogherà con un venditore
di almanacchi, e anche dal
viatore,
preceduto
dal
carrettier,delTramontodella
luna29(e19),ecfr.ancorala
Vitasolitariacitatasotto.
Da molti punti di vista
questa prima lassa della
Quiete può considerarsi la
prova generale delle due
prime del Sabato. Ma le
differenze sono forse più
notevoli delle affinità. Se
all’artigiano e all’erbaiuolo
rispondono lo zappatore e il
legnaiuolo (rima ‘virtuale’ a
distanza), la «femminetta» si
sdoppia
nelle
pur
vezzeggiative «donzelletta» e
«vecchierella», e nuovi nel
Sabatosonoi«fanciulli»(che
pur
«gridano»
come
l’erbaiuolo), a uno dei quali
non per nulla si rivolge la
gnome finale: «Garzoncello
scherzoso…».Nonsolo,maa
trediquestipersonaggispetta
uno sviluppo sintattico (1-7,
8-15, 31-37) ignoto, anche
per via delle subordinate
‘larghe’ che abitano queste
tratte, alla prima lassa della
Quiete, che fissa singoli atti
puntuali, quando invece
quello della donzelletta si
protende
nell’immediato
futuro
della
festa,
la
vecchierella
recupera
narrandolo il suo passato e il
lavoro del legnaiuolo si
prolunga lungo tutta la notte.
Questamaggiorenarrativitàe
diffusionesicollegaancheal
fattochenellaQuietelevarie
scene sono immediatamente
successive
o
meglio
idealmente
contemporanee,
mentre quelle del Sabato si
sgranano
lungo
l’arco
temporale
tramonto-seranotte.
Si
lasciano
questi
ventiquattro versi, tra i
mirabilissimi di Leopardi,
con la sensazione che la
descrizionecheviècondotta,
come e ancor più quella del
‘gemello’Sabato,nonsolosi
distacchi totalmente dalle
stilizzate e convenzionali in
voga nella lirica precedente,
ma in realtà aggetti sulle
descrizioni della grande
narrativa ‘realistica’ del
secolo (penso ad esempio,
conGirardi,aTurgenev).
1. Inizio (che fa eco al
titolo
e
riassume
il
presupposto
della
descrizione) settenario, come
altre volte nelle Canzoni
‘regolari’elibereapartireda
AllaSorellaPaolina,mamai
come qui a costituire un
periodo-verso (cfr. semmai
solo l’attacco epigrafico di
Soprailritratto:«Tufosti:or
qui sotterra…», e vedi
Contini, che paragona con
«Perìl’ingannoestremo»diA
se
stesso:
«inversione
enfatica,delsoggettoedentro
ilpredicato»).Puòessereche
l’anastrofe,
comune
in
Leopardi,risentadellatino.E
vedi il commento della
Muñiz.
2. augelli, voce letteraria
(esclusiva nei Canti; cfr. per
contro anzitutto il titolo di
un’Operetta, Elogio degli
uccelli e uccelli in testi altri
daiCanti),èseguitosubitoda
gallina, parola familiare. Ma
mentre nelle Canzoni e nei
Canti fiorentino-napoletani
simili compresenze danno
volentieri
luogo,
espressivamente, a scontro
tonaleocozzodell’aulicocol
prosaico, negli Idilli e nei
Canti
pisano-recanatesi
sembrano,
quasi
miracolosamente,
armonizzarsi senza residui. È
quanto avverrà anche nel più
leopardiano dei poeti del
Novecento, Saba, che parlerà
di «creature della vita / e del
dolore». – far festa (che ha
sostituito anche per le
suddette ragioni metriche la
lezioneovviacantare: le due
espressioni
alternano
all’inizio dell’Elogio degli
uccelli, dove è anche il loro
tacere nella «tempesta»): la
parola tematica festa fa rima
al mezzo immediata e
antinomica con l’altrettanto
tematico
tempesta,
presentando subito i due
opposti concettuali della
strofa,
e
quasi
a
preannunciare anche da
questo punto di vista il
Sabato, dove festa rima al
mezzo con appresta 6-7
(figura metrica identica a
questadellaQuiete),tornando
poi sempre al mezzo a 12 (e
vedifestaalm.: diresti22)e
due volte, una al mezzo, in
rima con cotesta 47-49-50.
Metricamente va osservato
chelarimabaciatainizialedi
settenario
con
settenario
‘interno’ non ha esatti
equivalenti nel resto dei
Canti, dove si trovano tutt’al
più, e forse proprio per
sviluppo di questo incipit
della Quiete, a7A11 (Il
pensierodominante)eA11a7
(Amoreemorte).–lagallina:
di qui in poi tutte le creature
cheagiscononellalassasono
munite
di
articolo
determinativo:lagallinaecc.,
come anche in Di Giacomo,
Natavernella…,checertoha
per modello la prima strofa
della Quiete, mentre ad
esempio in Pascoli, Primi
poemetti, L’alba, I, si ha:
«Raspavaunagallinasoprail
ciglio / d’un fosso», e vedi
nello
stesso
Leopardi,
Supplemento agli Idilli, p.
637Rigoni,l’indeterminativo
plurale: «Galline che tornano
spontaneamente la sera alla
loro stanza al coperto».
Poichéildeterminativononè
solo deittico e specificante,
ma
indica
il
noto
(l’indeterminativo invece il
nuovo), ne viene che questa
scelta rivela in modo tanto
sottile quanto determinante il
carattere
fortemente
creaturale
della
rappresentazione, e anzi il
fatto che quelli che Leopardi
via via mette in scena non
sono apparizioni (epifanie)
inconsuete
ma
riconoscimenti. Quel ritorno
alla vita che è il tema
oggettivo centrale della lassa
è dunque anche il tema
centrale dell’io poetante, che
festeggia questo ritorno (per
le ragioni dette non va
accettatal’ipotesidiStraccali
e Antonioni che femminetta
14 sia sineddoche per il
plurale).Lastessastrategiasi
ripeterà,conlacomprensibile
eccezione dei fanciulli, nel
Sabato, e anzi si confronti il
suo primo verso col similare
degli Argomenti di Idilli, II,
Lefanciullenellatempesta,p.
636Rigoni,sempre in avvio:
«Donzellette sen gian per la
campagna». Per la gallina
notare ancora l’opposizione
del
suo
determinativo
all’indeterminativo plurale di
augelli, che s’aggiunge a
quelladellessemaquotidiano
alletterario.
3. Tornata si ripete in
modo
quasi
anaforico
(sintomaticamente
per
correzione) nel Torna di 10.
È
appunto
il
tema
fondamentale della lassa,
rafforzato da tutti i verbi con
prefisso ri- che, come notato
da L. Blasucci[8], la
percorrono:
ripetere 4,
risorgere 9, rinnovare 16,
ritornare 19, ripigliare 24;
accanto ai quali si può citare
il riconfortarsi di Sabato
23[9]. Per altro verso tornata
farimainternaconPassata1,
come
via
all’esterno
imperfettamente con gallina
2,ilcheaggiuntoallarimaal
mezzo di 1-2 costituisce la
stretta gabbia metrica che
avvolge
l’inizio
della
strofa[10].
4. verso: la parola, di
timbropopolarepiuttostoche
dotto, data anche la presenza
dellavariantecantarealv.2,
e di campagna in rima 6, è
implicata quasi sicuramente
con la correzione di verso in
canto(dellarana)nellevicine
Ricordanze
12
(con
campagna in punta di verso
13 e anche Mirando il cielo
12, cfr. qui 11). – sereno,
nella relazione con chiaro 7:
cfr. Sabato 46: «Giorno
chiaro,sereno».
5.
Rompe
‘erompe’,
irrompe’: acquisto netto
rispetto al precedente spunta,
non solo in quanto passaggio
dal più al meno ovvio, dal
generico allo specifico (e
rompereneiCantihasempre
altri significati), ma per
l’aumento di vitalità ed
energia, che rimbalzano nel
successivo
sdrucciolo
Sgombrasi, anche allitterante
a inizio verso con Rompe.
Peruzzi e Lonardi[11] hanno
ipotizzato un rapporto con
l’omerico (Il. XVI 297)
uperráge áspetas aither ‘s’è
rotto l’immenso cielo’, ma
invero usi del tutto simili del
verbocadonoinautoriitaliani
certo presenti a Leopardi,
come il Frugoni: «al romper
de la luce», il Bartoli, da lui
ammiratissimo: «al romper
dell’alba», e cfr. GDLI, s.v.,
§§ 79-85, nonché il Foscolo,
Ortis, cit. da D. De Robertis.
Sarà forse da questo luogo
leopardiano che Montale,
Notiziedall’AmiataI,rileverà
il suo «dove tra poco
romperai». Sembra trattarsi
comunque di uso metaforico
poligenetico, cfr. ad esempio
ChrétiendeTroyes,Ivain,ed.
Roques4923:«quantvintque
l’aube fu crevee», o in
tutt’altra area Trakl, Die
Sonne, in chiusa: «Sonne aus
finstererSchluchtbricht».
6. La rima baciata
montagna:campagna,eanzi
precisamente
fra
endecasillabo e settenario, è
anche nell’Imitazione da
Arnaut,6-7.
7.Èilversochenonatorto
pareva a Saba il più bello
della letteratura italiana. Ma
anche questo non nasce dalla
testa di Giove, diviene e si
compie.Alpostodiapparesi
aveva dapprima splende e la
correzione, oltre a cassare
qualcosa di piuttosto trito e
ridondante(rispettoachiaro),
va dal decorativo e statico al
puramente fenomenico e
dinamico,ealsemplicissimo.
Ma la semplicità del verso
divino
sprigiona
pure
risonanze
che
solo
l’immissione di appare crea:
assonante fortemente con
«valle» e in quasi-rima, a
cornice, con «chiaro». Da
aggiungere che appare in
punta di verso (e rima
baciata) è documentato solo
in Angelo Mai 90, in chiusa
della strofa forse più
notevole, sulla conoscenza
delmondochenediminuisce,
fuorché al «fanciullin», la
vastità.
8-10.Periodovelocetuttaa
stacchi asindetici, come si
conviene al rivelarsi e
accavallarsi
di
queste
ricorrenze del già noto e
amato (vedi ancora in
seguito16
e,
moderati
dall’anafora,19e20-21,eper
finire23).
9.
Allitterazione
fonosimbolica su r, ri o r+o;
dapartesuarumorioèancora
un lessema iterativo (da cfr.
con «fanno un lieto romore»
Sabato27,hapax,cheinvece
indica l’effetto complessivo),
replicato più avanti da
tintinnio23.
10. Lezione primitiva
«Riede il garrire usato»,
normalizzata: il petulante
garrire sarebbe stato hapax
nei Canti, mentre la
sostituzione di riede andrà
messa in relazione con
Sabato 28: «E intanto riede
alla sua parca mensa…» e
soprattuttocon Seradeldìdi
festa 26: «… dell’artigian
che riede a tarda notte…».
Alla lezione corrigente si
deve anche un rapporto
fonico più perfetto col verso
precedente:
«Torna
il
lavoro». – usato ‘abituale’
come giornaliero ‘di tutti i
giorni’ 18 e anche suo ‘suo
solito’ 4 sottolineano il
motivo del ritorno agli atti e
alle occupazioni quotidiane.
Per tutto il verso cfr. poi
Sabato41-42,finestrofa:«ed
al travaglio usato / Ciascun
unsuopensierfaràritorno».
11. Qui ricompare dopo
Sera 26 il sostantivo ‘di
genere’, cui nel Sabato
corrisponderà quello più
concreto, di specie, il
legnaiuol. – naturalmente
mirar non va inteso come
doppione
aulico
di
«guardare», ma nel suo
preciso valore di azione
continuata e lieta (vedi del
resto cantando 12): cfr.
«Mirava il ciel sereno» A
Silvia 23, «Mirando il cielo»
Ricordanze 12. E per
l’assieme vedi, a parte Sera
deldìdifesta25-27,Parini,Il
mattino II 14-16: «Allora
[alla «nascente del sol luce»]
sorgeilfabbro e la sonante /
Officina riapre, e all’opre
torna/L’altrodìnonperfette
ecc.», da cfr. anche, qui, con
Apre… Apre 20-21 e
soprattuttocontornaall’opre
30.
12.
opra
‘manufatto’
specificaillavorodicuia10,
e i due sostantivi sono
accostati in Ginestra 207;
vediancheRicordanze18-19:
«le tranquille / Opre de’
servi». – cantando: la
suggestione del verbo è
accresciuta,
oltre
che
dall’incisoinfineverso,dagli
echi fonici: «con» e «man».
Non sfugga ancora una volta
il maggior ‘realismo’ del
Sabato29:Fischiando.
13. Fassi: l’analogia
fonetica, sintattica e di
posizione con Sgombrasi 6
suggerisce il rapporto di
causa ed effetto fra
illimpidirsidellanaturaelieto
affacciarsidell’artigianofuori
dellabottega.
14.
Verso
legato
da
allitterazione di f- e rima
interna
fuor-còr.
La
femminetta, certo d’origine
dantesca
(o
anche
manzoniana ecc.), è da
leggere, come la donzelletta
(elavecchierella)delSabato,
quale alterato dolcemente
affettivo. Anzi se veramente
qui Leopardi rimodula Dante
e la sua femminetta
samaritana, allora ne riesce
accresciuta
la
viva
creaturalitàdel‘personaggio’.
15. piova: cfr. Zib. 4495;
giuntura con novella e
posizioneinrimarendonopiù
che
possibile
il
riecheggiamento di Ger. Lib.
XIV 32, 8 (: nova), e
comunque l’allotropo era
della tradizione (Dante…);
ma non è escluso il concorso
della forma regionale, il che
insinuerebbeunaltrotoccodi
realismo.Notarepurelarima
paronomasticaconprova.
19-21. La costruzione dei
due segmenti è interamente
chiastica:inordinenormaleil
primo, 19-20, in ordine
inverso,VOS,ilsecondo,2021; e le replicazioni
anaforiche delle due parole,
entrambebisillabiche,stanno,
sempre inversamente, nelle
stesse posizioni: in apertura
di verso il primo Ecco e il
secondo Apre, in sede di
settima-ottava dopo pausa, e
ribattendo l’ictus di sesta il
secondoeccoeilprimoApre.
Comunque
la
duplice
anticipazione del verbo
rispetto al soggetto, la
famiglia,èincarattereconla
natura fortemente verbale,
cioè evenemenziale, di tutta
lalassa.Esemanticamentesia
i due avverbi deittici che i
due verbi di novità e moto,
anticipati,veicolanononsolo
la velocità di percezione, ma
un’alacrità da ‘improvviso’
che è di tutte le scene. Si
osservi infine la quasi-rima
interna poggi – logge,
ambedue pure bisillabi. Per
sorride cfr. Pepoli 128-129:
«degli aprichi / Campi il
serenoesolitarioriso».
22-24. Si sa che questi
versi rielaborano il primo
appunto (poetico) dello
Zibaldone, luglio o agosto
1817:«Nella/(dalla)maestra
via s’udiva il carro / Del
passegger, che stritolando i
sassi,/Mandavaunsuon,cui
precedeadalungi/Iltintinnio
de’ mobili sonagli», a sua
volta in rapporto con un
luogo della Notte pariniana
(D. De Robertis). La
rielaborazione
comporta
come ci si attende un lavoro
‘inlevare’eunabbassamento
di registro: tre versi in luogo
di quattro, eliminazione
dell’esornativo
mobili,
passaggio da da lungi a
lontano ecc. Ma restano i
cardini
della
rappresentazione, come il
sintagmaDelpasseggernella
stessaposizioneainizioverso
esonagli,cheoraanzivienea
creare rima inversa al mezzo
con «famiglia»: «ripiglia».
Due le sostituzioni notevoli:
da(via) maestra(cosìancora
come variante nell’autografo
del Canto) a corrente,
probabile regionalismo e che
va a riprendere ponente (in
pausa) 5; e da «stritolando i
sassi» a stride, con cui si
elimina una notazione troppo
‘espressiva’ e realistica, ma
conservando acutamente la
sillaba iniziale fonosimbolica
stri- e aggiungendo quasirima al mezzo con l’aguzzo
grido di 18. Cfr. anche Vita
solitaria 78 ss.: il «ladron»
«ch’a teso orecchi / Il fragor
delle rote e de’ cavalli / Da
lungi osserva o il calpestio
de’ piedi… Al passegger…»
(qui anche una ragione del
passaggiodalungi>lontano
nella
Quiete?).
Interessantissima
è
la
transizione
dall’Odo
personaledi2aquest’odiche
non è certo autodialogico ma
impersonale, come indicato
dal s’udiva dello Zibaldone
cit.edaidueodidiSabato33
(con cui diresti 22).
Transizione chiarissima, a
conferma di quanto detto più
sopra,
da
una
rappresentazione diretta dalla
regìa del soggetto ad una
vivacissimasìmaoggettiva.
II lassa. È nettamente
divisa, dal punto di vista sia
sintattico che tonale, in due
parti. Nella prima, 25-31,
dopo il verso d’avvio che si
aggancia come vedremo alla
prima lassa, si sussegue una
cascatadiinterrogative,anche
sostenute da anafore (Sì 25,
Quand(o) 27-28 e 31, O30),
breviequasicompulsive,che
sonotipicissimedellostiledi
Leopardi, sempre oscillante
tra affermazioni definitive e
meraviglia, appello: cfr. fra i
tanti esempi, eventualmente
pure anaforici, All’Italia 2537; Sopra il monumento 54
ss.; Angelo Mai 1 ss.; Alla
sorella Paolina 39-45, a
lasciar sospesa, come anche
altrove,lafinedistrofa;Aun
vincitore
27-34;
Alla
primavera 1-22, a cavallo di
strofa;Seradeldìdifesta33
ss.; A Silvia 56-60;
Ricordanze
136-140;
Pensiero dominante 69-76 e
136-147 (l’intera ultima
strofa); Sopra un basso
rilievo 1-7 (un’intera strofa);
Sopra
il
ritratto
50-56
(un’intera strofa, l’ultima). E
anchequestofenomeno,quasi
assente dagli Idilli e
dall’unicum che è il
Risorgimento, appare come
un lascito dello stile mosso e
patetico delle Canzoni al
Leopardi speculativo più
tardo.
La seconda parte, 32-41, a
partire dal concisissimo
aforisma in sintassi nominale
di
32,
procede
appositivamente
secondo
modalità ragionative che
comportano pure lo slargarsi
dei periodi, con subordinate
incassate (anche qui con
anafora su onde, ma a
distanza, 34-37, a pausare lo
sviluppo
periodale).
È
singolare e notevole che a
marcare ulteriormente questa
bipartizione la lassa sia
costruita, ovviamente con
libertà, un po’ come una
stanza di canzone: 25-30,
‘fronte’ abbacC, con la serie
più lungamente stretta da
rime
del
testo;
concatenazione a 31 con
«ricorda» che riprende in
figura etimologica core e
anche «amore» – or –
«torna»; quindi una sorta di
sirma liberamente rimata, ma
con timore 34 che fa rima al
mezzo coi due -ore della
fronte.Adifferenzachenella
prima lassa, qui dominano
assolutamente i settenari (13
su 17 versi, e due volte in
sequenze rispettivamente di
cinque e quattro: 25-29, 3538),
coerentemente
all’affanno interrogativo e
(apparentemente) euforico da
un lato, alla scansione
sentenziosa e meditativa, e
nettamente
disforica,
dall’altro. Ma si può
osservarecheil‘taglio’chesi
viene a determinare fra i vv.
31e32separaunapartedella
lassa che sta con la I come
commento alla descrizione, e
una seconda che sta con la
terza come suo avvio
ragionativo, per cui alla
divisione in tre strofe si
sovrappone,conunaspeciedi
doppia
inarcatura
interstrofica, una bipartizione
elocutivaetonale.
Portato comunque il
discorso sulla costanza della
ragione, prevale ovviamente
nella lassa il lessico
intellettuale, per sua natura
scarsamentespecificorispetto
a quello specificissimo della
lassa precedente: due hapax
in tutto, smorte 38 e folgori
41, nel luogo in cui la
diagnosi del negativo aguzza
la propria espressività. E
infatti come lì venivano alla
luce creature differenziate
colte in un loro atto
caratteristico,
qui
si
accampano
astrazioni
totalizzanti, sinonimie di un
unico denotato, l’uomo in
generale
(ogni
core,
metonimia, 25, e ancor più
chiaramente L’uomo 29 e le
genti, plurale antico e
francesizzante,39).
25. Il verso rovescia in
chiasmo
perfetto
o
antimetabole l’«Ogni cor si
rallegra»di8,producendonel
cambio d’intonazione un
accordo di amaro e pur
pietoso sarcasmo verso le
illusionideiviventi(‘già,tutti
si rallegrano, ma…’), e
annunciando sottilmente nel
rovesciamento
sintattico
quello ragionativo delle lasse
II-IIIneiconfrontidellaI.Lo
slittamento poi è tale anche
perchéciòchelàerarelativo,
compiendosi nella frase che
seguiva («Ogni cor si
rallegra,inognilato…»),qui
diviene assoluto, stretto nel
settenario e dal punto fermo.
Sebastiano
Timpanaro,
seguito da Blasucci[12], ha
visto giustamente in questo
verso un aprosdóketon o
‘effettodisorpresa’.
26-27. gradita : vita, vedi
(età) fiorita : vita (il verso
contienefesta),Sabato44-47,
e soprattutto la rima identica
vita:vitanel Cantonotturno
9-10(almezzo),17-18,53-55
(e
comunque
vita,
con
viver(e),vièparola-chiave).–
Perilparticipio-aggettivocfr.
Sabato38:«Questodisetteè
il più gradito giorno». – Il
deittico temporale or segnala
la contemporaneità ideale del
commentante al commentato,
essenziale nella Quiete; così
OrinSabato20.
28.
amore:
meno
determinata
e
meno
‘filosofica’ la variante senza
seguito diletto, che d’altra
partesarebbestataripetutada
diletti44,-o46,evedianche
Passerosolitario38.
29. studi ‘occupazioni’,
‘impegni’ (latinismo) oltre
cheinVincitorenelgiocodel
pallone 39 è in Operette,
Dialogo di Timandro e
Eleandro, § 31. Intendere in
questo senso e costrutto è
arcaizzante/latineggiante,ein
unione con studi lo usa il
Monti(cfr.GDLI,s.v.).
30.torna:riprendeilverbo
chiavedellalassaprecedente,
2 e 10. – opre: generalizza
l’opra di 12. – cosanova: in
unprimotempocosenove.Il
passaggio al singolare è
interpretabile sia come
dissimilazione rispetto al
plur. «opre» che come
impulsoacategorizzare(vedi
sopra).–Ilverso,chiusadella
‘fronte’, si arricchisce perciò
di
una
rima
quasi
paronomastica,
oltre
che
baciata,diunapartituraquasi
omotimbricasullaòeinoltre,
cosa tutt’altro che frequente
inLeopardi,diunritmolento
euniforme,tuttogiambico.
31. mali suoi: aggettivo
posposto per enfasi, sicché si
hachiasmocolsuoistudi,più
neutro, di 29 (la vera realtà
dellavitasonoimali).
32. Verso eccezionale per
lacongiunzionedellabrevitas
aforistica con la sintassi
nominale in funzione di
principale da cui dipende in
forma di apposizione il resto
della lassa. Schegge di
sintassi
nominale
non
mancanoinLeopardi(cfr.per
es. Alla Primavera 77-78;
Passero
solitario
13,
Ricordanze 148, A se stesso
9-10), ma mai con questa
energia di pronuncia[13]. Il
singolare-etichetta piacer(e)
porta con sé anche quello di
affanno (così anche ad
esempio in Canto notturno
108, ma ad esempio «dolci
affanni» in Ricordanze 5,
«affanni intensi» in Aspasia
64).
33. vana: quasi-rima al
mezzo con affanno, e per il
concetto cfr. Dialogo della
Natura e di un’Anima, § 16:
«nell’universale miseria della
condizione
umana,
e
nell’infinita vanità di ogni
suodilettoevantaggio»;Ase
stesso16:«El’infinitavanità
del
tutto»,
Pensiero
dominante 26: «E di vano
piacer la vana speme» ecc.
Quasi inutile ricordare che la
vanitas è motivo dominante
inLeopardi.
34. timore: cfr. Zib. 66, e
per la congiunzione t. –
affanno Cantico del gallo
silvestre,§15.–siscosse:da
un precedente fu vinto: forse
anche per eliminare la quasi
identitàconvento40,purein
punta di verso (e vedi n. a
40);nenascecomunquerima
imperfetta al mezzo con
Mossi.
35-36. Altro chiasmo, che
dà
ulteriore
rilievo
al
cortocircuitomorte-vita.
37.Onde:comeètipicodei
Canti, l’anafora (unita alla
pausa media del punto e
virgola) da un lato marca un
crescendo ma dall’altro frena
un periodo ‘lungo’. Ripresa
solosimilediondein Ultimo
cantodiSaffo38-41.
38. Nuda e concentrata
terna
asindetica
che
distribuisce gli effetti del
terrore, senza ridondanza
alcuna,fratresensidiversi.
39. Osservare la rima
interna che sottolinea il
terrore (e di solito il verbo
palpitareèusatodaLeopardi
per il linguaggio del cuore).
Quanto ai passati remoti,
comemostralegenti(eanche
il successivo nostre) si tratta
quasicertamentediperfettial
modo dei perfetti cosiddetti
«gnomici»
(o
meglio
‘acronici’)
latini.
Il
riferimento ai protagonisti
della I lassa sembrerebbe del
tuttoimprobabileestonato.
40.
È
notevole
la
sovrapposizione
dell’inclusivo nostre (che
anticipa il noi di 46) a un
grammaticalmente corretto
*loro: quanto dire ancora
passaggio dall’exemplum a
una
legge
generale
dell’esistenza umana, che
peròcoinvolgeemotivamente
chil’enuncia.
41. La stretta correlazione
con la terna di 38 è però
variata sapientemente dalla
congiunzione tra secondo e
terzo elemento, che per altro
verso è opportuna in sede di
chiusa di lassa, che come
sempre
predilige
il
rallentamento. – vento rima
espressivamente (e anche
semanticamente)
con
tormento 37, ma in realtà
anche con «paventò» 35,
«genti» e «vedendo» 39.
Dunque la parola finale della
lassa è sovradeterminata
fonicamente.
III lassa. Anche qui
l’andamento ragionativo e
gnomico va assieme al
carattere mentalistico, e
perciò non più specifico, del
lessico. Gli hapax, oltre al
risana che sigilla il testo (e
dev’essere inteso in senso
prettamentematerialistico),si
concentrano nel sobbalzo
sarcastico e amaro del v. 49:
«Che per mostro e miracolo
talvolta…»
(coppia
parasinonimica).Alcontrario,
per prendere solo due casi, il
verbo spargere è di notevole
frequenza nei Canti, e
l’espressione «umana prole»
vi ricorre più volte, fino a
Ginestra 199 (col precedente
«prole/Dell’uomo»).Eancor
più che nei versi discussi
finora la stretta semantica si
appoggia alle ripetizioni
verbali: questi 43-44, la serie
interna «porgi» – «spargi» –
«sorge»
45-47-48
(quest’ultimo, anche per
variatio rispetto a 50, da un
precedente nasce), pena-pene
45-47,duolo-dolor(«D’alcun
dolor» non per nulla corretto
da «Da i mali tuoi») – dolor
47-53-54, felice (in rima
inclusivaconlice)–beata(v.
sotto) 51-53, la coppia anche
allitterante di 49 ecc. È in
totale un linguaggio da
saggista
o
‘moralista’
impavido, che però si anima
poeticamente attraverso il
movimento allocutivo, la
sintassi chiusa e affannosa, il
crescendo finale. La sintassi:
di fronte al periodo lungo e
avvolgente che occupa la
‘sirma’ della II lassa, si
staglia qui un periodare
fortemente
assertivo
e
martellato a frasi brevi o
brevissime legate quasi
sempre asindeticamente – un
po’comeseognunafosseuna
gnome a sé (congiunzione
solo a 47 entro il periodo
relativamente più sviluppato
perché è il centro della
dimostrazione,
ampliando
l’aforismadi32).
42. La posticipazione
dell’aggettivo
nell’allocuzione è sottilmente
sarcastica, e lo è comunque
l’espressione e ciò che segue
se confrontata col suo
parallelo intertestuale, Vita
solitaria 14 ss.: «Alcuna /
Benché scarsa pietà pur mi
dimostra / Natura in questi
lochi, un giorno oh quanto /
Verso me più cortese!». Il
valore antifrastico e disforico
dell’invocazione
è
anche
confermato
dalla
rima
(apparentemente) antitetica
con offese della lassa
precedente, 40, che da parte
sua sembrerebbe appoggiare
l’ipotesi di una sostanziale
bipartizione del Canto.
Legamentimetriciosintattici
(aperture con e ecc.) tra una
strofa e l’altra sono peraltro
frequenti nei Canti (cfr. il
quartosaggiodiquestolibro),
sovrapponendounacontinuità
deldiscorsoalladiscontinuità
metrica.Peraltreinvocazioni
alla natura cfr. in particolare
A Silvia 36: «O natura, o
natura…» e Sopra un basso
rilievo 98: «Come, ahi come
onaturailcortisoffre…».
43-44. Altro chiasmo
(parziale) e quasi-rima al
mezzodoni–sono.
45-46. Altra transizione
dall’oggettivo al soggettivoinclusivo: mortali-noi. E lo
stretto accostamento fra pena
e diletto intensifica il
paradosso della sentenza.
Sullaqualevedispecialmente
il parere dell’Islandese nel
relativo Dialogo, chiave di
volta nello sviluppo del
pensiero leopardiano, § 6:
«disperato dei piaceri, come
di cosa negata alla nostra
specie, non mi proposi altra
cura che di tenermi lontano
dai patimenti» e § 10: «non
godendononpatire»,eanche
il passo del Ruysch cit. da
Straccali.
47. L’inversione disloca al
primo posto del verso pene,
facendolo corrispondere, per
insistenza
sui
termini
dell’infelicitàumana,aduolo
che lo chiude. Con mano si
apre una catena fonica che
prepara la rima conclusiva
Umana:risana:«Spontaneo»
48,
«tanto»
ibidem,
«affanno» e «guadagno» 50.
La riduzione fonica cresce in
tutta la lassa su quella
lessicaleosemantica.
51-54. Il crescendo nel
negativodell’allocuzione,che
come è tipico di Leopardi
consegue con la veemenza
del pathos alla catena di
asserzioni senza scampo,
sfocia nel paradosso (o
apparente ossimoro) della
morte risanatrice, ed è
scandito
per
maggiore
inevitabilità secondo il
cosiddetto
schema
del
makarismós, «assai felice…
beata», già usato nei Canti,
meno perfettamente ma
sempre in chiusa assoluta, in
Vincitorenelpallone61-65,e
poi in Consalvo 119 ss.
Leopardi
avrà
avuto
probabilmente in mente
l’esempio
celebre
dei
Sepolcri di Foscolo, 165 ss.:
«Tebeata…Mapiùbeata…»
(poco dopo la Quiete cfr. ad
es. Monti, Feroniade I 142
ss.: «Felice… e felice… ma
mille volte / più felice e
beato», invero con la
sovrabbondanza del poeta
«dell’orecchio»). Per il
concetto vedi tra altro
Dialogo di un fisico e un
metafisico,§23:«Mainfine,
la vita debb’esser viva, cioè
veravita;olamortelasupera
incomparabilmente
di
pregio»; Coro del Ruysch;
Cantico del gallo silvestre, §
13: «Pare che l’essere delle
coseabbiapersuoproprioed
unicoobbiettoilmorireecc.»,
preceduto dallo straordinario
passoquasihegeliano(§12):
«Tal cosa è la vita, che a
portarla, fa di bisogno ad ora
ad
ora,
deponendola,
ripigliare un poco di lena, e
ristorarsiconungustoequasi
una particella di morte»;
Dialogo di Plotino e di
Porfirio, § 45. Altri riscontri
neiCommentatori.
51.
eterni:
eufemismo
classicheggiantecherisponde
a mortali 45; e tutta la frase
esclamativa
vale
come
corollario e intensificazione
dell’iniziale
«O
natura
cortese…». Quanto alla
correzione
estrema
del
primitivodegna di pianto!in
cara agli eterni (e cfr. «gli
eterni» in Tramonto della
luna
46),
risponderà
all’intenzione di diminuire il
patetico a favore del
sarcastico.
51-52. Cfr. la rima interna
lice : infelice in Palinodia
190-192.
54.
L’assoluto
ogni
(lezione iniziale ripresa
significativamente dopo aver
correttoindeltuo)sioppone
risolutivamente al relativo
alcun detto al v. precedente
sempre del dolore, come
l’anticipazione e conseguente
tonicità
del
pronome
personale di seconda persona
(te)riferitoall’«umanaProle»
personalizza
amaramente
l’allocuzione. Per il concetto
è da citare almeno il VI dei
Pensieri(ed.Durante,p.10):
«Lamortenonèmale:perché
liberal’uomodatuttiimali,e
insieme coi beni gli toglie i
desiderii ecc.», e soprattutto
Dialogo di Plotino e di
Porfirio, § 12: «la natura ci
destinòpermedicinadituttii
mali la morte», e ibidem, §
46.
Conclusioni
provvisorie
1. Naturalmente nei suoi
scritti o appunti filosofici
Leopardi
può
anche
assimilare piacere e felicità
(cfr. ad es. Dialogo di
TorquatoTasso,§15(11ss.),
Zib.4087:«dipiacere,valea
dire di felicità», e cfr. anche
ibidem3877),madiregolane
sottolinea
piuttosto
l’implicazione (ibidem 3877:
«desideriodifelicità,equindi
di piacere», 4128: «Il fine
naturale dell’uomo e di ogni
vivente, in ogni momento…
nonènèpuòesserealtroche
la felicità, e quindi il
piacere…»),
e
dunque
distingue i due concetti (cfr.
adesempioibidem2599ss.e
in genere formule come «La
felicità nè il piacere», «il
piacere nè la felicità»). E
nella Quiete l’oggetto della
meditazione poetica non è
evidentemente la duratura
felicità ma il passeggero
piacere (cfr. anche gioia
apposizione immediata di
piacer 33, diletti-diletto 4446): sulla cui natura, non
meno che sull’altra nozione,
Leopardi
ha
meditato
continuamentenelsuoDiario
(epoinelleOperette,comeil
Tasso,§§11ss.:«ilpiacereè
sempre o passato o futuro, e
non mai presente», e il
fondamentale Islandese) a
partire almeno dall’aprile
1820 (165-167), riducendolo
a mera cessazione del dolore
(o del terrore ecc.), secondo
quanto aveva ragionato
diffusamente il razionalismo
del
Settecento,
da
Montesquieu e Maupertuis a
Pietro Verri e Ortes. E vedi
anche, per il piacere come
«privazione» o «depressione
di sentimento» piuttosto che
«sentimentovivo»,Zib.40744075, per la sua natura di
concetto o desiderio e non di
realtà cfr. ancora Dialogo di
TorquatoTasso,§11.Quanto
allafelicità,adessocollegata,
cfr. almeno le affermazioni
drastiche del Dialogo della
Natura e di un’Anima, § 16:
«tutte le anime degli
uomini… sono assegnate in
preda all’infelicità», del
Dialogo di Timandro e
Eleandro, 29: «Tutti siamo
infelici, e tutti sono stati», e
diZib.4074-4075:«…lavita
è naturalmente uno stato
violento [espressione che
torna nel Tasso], perché
naturalmente priva del suo
sommo e naturale bisogno,
desiderio, fine e perfezione,
che è la felicità. E non
cessandomaiquestaviolenza,
non v’è un solo momento di
vita sentita che sia senza
positiva infelicità e positiva
pena e dispiacere» (o ancora
ad esempio ibidem 3814
sull’equivalenzadiinfelicitàe
morte, 3846 sulla felicità
‘negativa’, 4074-4075, 4175,
4505, 4517, Dialogo di un
fisico e un metafisico, § 6
ecc.).
2.Nessuntestoleopardiano
singolo è comprensibile fuori
delsuocontesto,unaraccolta
così essenziale e studiata
come i Canti. Nel caso della
Quiete si impone però prima
dituttoilconfrontoserrato,al
quale ho cercato di portare
contributi,
col
Sabato,
cronologicamentevicinissimo
e tematicamente assimilabile,
alpuntochesipuòsenz’altro
parlare di una coppia o
dittico[14]: al piacere come
cessazione
dal
terrore
nell’una si affianca e inverte
nell’altra il piacere come
attesa,entrambifugacievani:
dunque,esaustivamente,idue
aspetti della vanità del
piacere. E alla similarità
tematica si aggiunge, cosa
ancor più importante, la
similarità
e
talora
intercambiabilità verbale, che
risultaanchedallepagineche
precedono. Tuttavia proprio
le strette somiglianze fanno
risaltaremeglioledifferenze,
chenonsonodapoco.Infatti
leprimeduestrofedelSabato
non
solo
distendono
la
rappresentazione in una
narratività,scanditaanchedal
trascorreredelleoreofasidel
giorno, che è altra cosa dalla
rapidità e dal quasi
simultaneismo della prima
della Quiete; ma intonano
quella rappresentazione della
natura e soprattutto della
comunità umana a qualcosa
chenonèpiùsoltantovitalità
ma che va anche definito
grazia:
la
indicano
immediatamente
i
tre
vezzeggiativi dei principali
‘protagonisti’,
donzelletta
(donzella in Amore e morte
65e83,maaccompagnateda
aggettivi
affettuosi
o
vezzeggianti),
vecchierella,
garzoncello (come in Vita
solitaria48,Ricordanze 74 e
ss.),concuiancheifanciulli.
E benché quello che nella
Quiete era un lieto ritorno al
lavoro usato nel Sabato sia,
con evidente parallelismo
oppositivo, minaccia del
ritorno non lieto al travaglio
usato, non c’è dubbio che le
ultime due strofe di
quest’ultimo
suonino
diversamente dalle due
paralleledellaQuiete:quiuna
dimostrazione serrata e senza
scampo della natura effimera
delpiacere,dell’onnipresenza
deldoloreedellamortecome
unico
risarcimento
dei
mortali; là un’estensione del
‘piacere’all’interagiornata(e
a una giornata di ogni
settimana) e l’affettuoso
invito al garzoncello di
godersi
il
«giorno
d’allegrezza pieno», con la
speranza che la festa della
vita, cioè la maturità, non gli
«sia grave» (cfr. soprattutto,
conFubinieBigi,Zib.4146,
18 ottobre 1825). Ora non si
vuol dire con questo che il
Sabatosiaunacorrezionealla
Quiete (e se tale, sarebbe
comunque
provvisoria,
perché presto verrà il Canto
notturno), ma certo ne è
un’attenuazione, come di chi
guarda allo stesso nodo della
condizione umana da due
punti di vista che non
coincidono: l’assurdità del
piacere da un lato, dall’altro
lasuapossibilitàdicomporsi
con la speranza e con quelle
illusioni che, come sappiamo
bene da tante pagine di
Leopardi,sonoperluil’unico
saledellavita.
3. In questo Canto la
ragione ‘filosofica’ della II e
soprattutto della III lassa
relativizza drasticamente e in
certo modo ‘distrugge’
l’apparenzadigioiaevitalità
della I (e Leopardi sapeva
bene
che
«l’attività
massimamente, è il maggior
mezzo di felicità possibile»,
Zib. 649, 12 febbraio 1821,
cit. da D. De Robertis e più
ampiamente ibidem 41854187, 13 luglio 1826, cit. da
Gavazzeni e Lombardi nelle
notealPepoli,Dialogodiun
fisico e di un metafisico, §
14). Ma nella ragion poetica
lecosevannodiversamente,e
quel nichilismo non può
affatto
distruggere
l’affettuosa animazione della
natura e delle creature del
borgo che si dispiega
vivissima nella I lassa[15],
sostenutadaunritmoalacree
arioso che è altro da quello
stretto e martellato delle due
strofe seguenti. Che poi è
quantodirechel’«attività»di
quei contenuti promuove una
maggiore ‘attività’ dell’io
poetante
stesso,
come
Leopardi sapeva benissimo.
Nel senso ora indicato, può
anche essere significativo
che, come appena accennato,
il
Sabato
porti
un’attenuazione, e, come
dire?,
una
maggiore
affettuosità
anche
nelle
conclusioni negative, rispetto
alla Quiete. E guardando la
questionenellasuageneralità
non si può dimenticare
quanto Leopardi ha scritto
acutissimamente,
e
costeggiando
in
tutta
indipendenza un filone
fondamentale
dell’estetica
modernachevagrossomodo
da Schiller alla Scuola di
Francoforte, sul fatto che la
poesia in quanto tale, quali
che siano i suoi contenuti,
non può che comunicare
vitalità: «Hanno questo di
proprioleoperedigenio,che
anche quando rappresentino
al vivo la nullità delle cose,
quando anche dimostrino
evidentemente e facciano
sentire l’inevitabile infelicità
della vita, quando anche
esprimano le più terribili
disperazioni, tuttavia ad
un’anima grande che si trovi
ancheinunostatodiestremo
abbattimento,
disinganno,
nullità,noiaescoraggiamento
dellavita,onellepiùacerbee
mortiferedisgrazie…servono
sempre di consolazione,
riaccendono l’entusiasmo, e
non
trattando
né
rappresentando altro che la
morte, ne rendono, almeno
momentaneamente,
quella
vita che aveva perduta ecc.»
(Zib. 259-260, 5 ottobre
1820),eanche:«Dellalettura
di un pezzo di vera,
contemporanea poesia, in
versi o in prosa (ma più
vivace impressione è quella
de’ versi) si può, e forse
meglio, dir quello che di un
sorriso diceva lo Sterne; che
essaaggiungeunfiloallatela
brevissima della nostra vita.
Essa ci rinfresca, p(er) così
dire;eciaccrescelavitalità»
(ibidem 4450, 1o febbraio
1829,dunqueallespallequasi
immediate della Quiete; e si
noti che l’ultima frase è
aggiunta)[16]. E al di qua del
valore di queste asserzioni
perl’esteticagenerale,nonne
sfugge evidentemente il
risvolto personale (basti il
rimando al Dialogo della
Natura e di un’Anima, §§ 4
ss. e 13 ss.; da un’ottica più
‘morale’ vedi anche Dialogo
di Timandro e Eleandro, §§
9-10). Ma tornando allo
specifico del nostro testo,
rimane che in esso si
prospetta una divaricazione
fra la ragione filosofica e la
ragion poetica, o in altre
parole che esso ci comunica
due verità (non, mi
raccomando, una doppia
verità). Ma: divaricazione o
contraddizione? Non credo
che si debba temere di usare
questo termine e questo
concetto per un’opera di
poesia manifestamente così
alta, al contrario. Almeno se
siamo sensibili al richiamo
autorevole che ci viene da
duepensatoriparticolarmente
importanti
sulla
contraddizione come essenza
stessa dell’opera d’arte[17].
Che una contraddizione
attraversi la Quiete dopo la
tempesta, che questa lirica
anzi ne sia un esempio da
manuale, sarebbe allora un
segno non solo del suo
carattere ma anche del suo
rango. Usa dire che il
problemaèlasoluzione[18];io
temochequilasoluzionesia
il problema. O forse la
soluzione sta in uno
splendido passo dello stesso
Leopardi, Zib. 4129, 5-6
aprile 1825 (e cfr. anche, più
analiticamente, Zib. 40994100,2giugno1824):
la
natura,
la
esistenza non ha in
niunmodoperfineil
piacere nè la felicità
degli
animali;
piuttostoilcontrario;
ma ciò non toglie
che ogni animale
abbia di sua natura
p.
necessario,
perpetuo e solo suo
fine il piacere, e la
sua felicità, e così
ciascuna
specie
presainsieme,ecosì
la universalità dei
viventi.
Contraddizione
evidente
e
innegabile
nell’ordine
delle
cose e nel modo
della
esistenza,
contraddizione
spaventevole; ma
nonperciòmenvera:
misterio grande, da
non potersi mai
spiegare, se non
negando (giusta il
mio sistema) ogni
verità o falsità
assoluta,
e
rinunziando in certo
modo anche al
principio
di
cognizione,
non
potest idem simul
esseetnonesse.
[1] Le proposte che seguono sono
solo quelle che suppongo, in linea
generale, più o meno nuove o diverse
rispetto alla letteratura a me nota sul
Canto,einparticolareaicommenti,che
dunque non ripeterò se non in casi
speciali. Ho tenuto presenti soprattutto
questicommenti:StraccalieAntognoni,
Firenze, Sansoni, 1985 [1892] (con
nuovapresentazionediE.Bigi);Fubini
e Bigi, Torino, Loescher, 1964; De
Robertis e De Robertis, Milano,
Mondadori, 1978; Contini, Firenze,
Sansoni, 1988; Gavazzeni e Lombardi,
Milano, Rizzoli, 1998; Muñiz Muñiz,
Madrid, Cátedra, 1998. Per le ‘letture’
cfr.ades.K.Vossler,Leopardi,trad.it.
Napoli,Ricciardi,1925(ed.orig.1923)
e da ultimo L. Blasucci, I tempi dei
«Canti». Nuovi studi leopardiani,
Torino,Einaudi,1996,pp.123-140;A.
Girardi, Leopardi, Pascoli e il
vocabolario della poesia, in «Studi
linguisticiitaliani»,XXXIII,2007,fasc.
1,pp.68ss.
[2]Cheancoranell’ed.fiorentinadel
’31 figura solo nell’indice, essendo i
testisemplicementenumerati.
[3]L.Blasucci,Ititolidei«Canti»e
altristudileopardiani,Napoli,Morano,
1989,pp.157e161.
[4] Cfr. il mio Sonavan le quiete
stanze. Sullo stile dei «Canti» di
Leopardi,Bologna,IlMulino,2006,pp.
41ss.
[5]L.Blasucci,Leopardi e i segnali
dell’infinito, Bologna, Il Mulino, 1985,
pp.123-151.
[6] Unico caso di tre occorrenze nei
Canti (al massimo anafora di ecco
‘verticale’ in Angelo Mai 97-99 e Alla
sorellaPaolina95-97).Esiosserviche
in due dei tre casi l’avverbio cade in
posizionedisettimaaribatterelasesta,
eprimadienjambement,aintensificare
l’effetto di sorpresa (è un ritmema che
torna spesso nel poeta, cfr. ad esempio
UltimocantodiSaffo 68: «della gelida
morte. Ecco di tante /»; La sera del dì
di festa 30: «e quasi orma non lascia.
Ecco è fuggito /»). Mi chiedo se nella
predilezione leopardiana per questo
deittico non abbia agito la memoria
dell’(et) ecce frequentissimo nella
Vulgata.
[7] E naturalmente l’intera e pur
freschissima prima lassa della Quiete
può o deve essere interpretata, allo
stessomododelSabato,comeallegoria
di un’esperienza tipica dell’humaine
condition. A mio parere o sospetto il
Leopardimaturoèunpoetafortemente
allegorico, a differenza di tanto
simbolismo
dei
romantici
e
postromantici. Ma di ciò un’altra volta
(cfr. tuttavia ora il secondo saggio di
questolibro).
[8]Itempidei«Canti»,cit.,p.131.
[9] A questa stregua ci si potrebbe
chiedere se non valga ‘tornare a
rallegrarsi’ il si rallegra di 8 e poi di
25, ma a parte altre considerazioni la
cosapareesclusadalluogoparallelodi
Alla sorella Paolina 50-53: «Non si
rallegra il cor quando a tenzone /
Scendono i venti, e quando nembi
aduna/L’olimpoefiedelemontagneil
rombo / della procella». È comunque
indicativa la presenza non sporadica di
versi dello stesso tipo nei Canti:
«rinascente anno» (Alla Primavera),
rimirare (Alla luna), rinacerbire
(Consalvo), ridestare (per es.
Risorgimento), ripensare (in partic.
Ricordanze) ecc. E cfr. ad es. in un
contesto breve di prosa (Dialogo di
Torquato Tasso, § 26) restituirsi,
ringiovanisce, ravvalora, rimette,
rinnuova.
[10] Cfr., con altre osservazioni
metriche sulla Quiete, F. De Rosa,
Dalla Canzone al Canto. Studi sulla
metrica e lo stile dei «Canti»
leopardiani,Lucca,PaciniFazzi,2001,
pp.128-129.
[11] E. Peruzzi, Studileopardiani,I.
Laseradeldìdifesta,Firenze,Olschki,
1979, p. 36 n., e G. Lonardi, L’oro di
Omero. L’«Iliade», Saffo: antichissimi
di Leopardi, Venezia, Marsilio, 2005,
pp. 46-47. Per l’affinità dei sette versi
iniziali con descrizioni di Omero e di
Arato vedi dello stesso Lonardi,
Classicismo e utopia nella lirica
leopardiana, Firenze, Olschki, 1969,
pp.74ss.,122-123,141.
[12] S. Timpanaro, in «Belfagor»,
XXV, 1970, p. 236; Blasucci, I tempi
dei«Canti»,cit.,pp.114e137.
[13] Il caso più notevole sarebbe
Pensiero dominante 1 ss., ma a mio
avviso potrebbe trattarsi di, sempre
straordinaria,serieappositivadeltitolo.
[14] Sull’abitudine leopardiana di
procederepercoppieoditticiditestiha
giustamenteinsistitoL.Blasucci,Ititoli
dei «Canti» e altri studi leopardiani,
Napoli, Morano, 1989, p. 189; Id., Lo
stormiredel vento tra le foglie. Testi e
percorsi
leopardiani,
Venezia,
Marsilio,2003,p.183.
[15] Vedi già, opportunamente,
Fubini nel ‘cappello’ al testo: «Il
pensierochemostralarealtànegativadi
quel piacere o la fallacia di quella
speranza viene a segnare la fine della
poesia,manonadissolverel’incantodi
quella effimera e preziosa vita». È
chiaro però che questa o simili
osservazioni non dovrebbero gettare
un’ombra, come accadeva alla critica
‘idealistica’, sulla forza specificamente
poeticadellaIIeIIIlassa.
[16] Sul fronte del primo
Romanticismo tedesco cfr. ad es.
Novalis (Fragmente, III, 981): «Ogni
Poesia interrompe lo stato abituale, la
vita comune, quasi come il Sogno, per
rinnovarci e mantenere in noi sempre
vivaceilsentimentodellavita».
[17] Cfr. M. Horkheimer e Th.W.
Adorno, Dialettica dell’illuminismo,
Torino, Einaudi, 1966 (ed. orig. 1947),
p.141:«Ilmomento–nell’operad’arte
– per cui essa trascende la realtà, è, in
effetti, inseparabile dallo stile; ma non
consiste nell’armonia realizzata, nella
problematica unità di forma e
contenuto,internoedesterno,individuo
e società, ma nei tratti in cui affiora la
discrepanza, nel necessario fallimento
della tensione appassionata verso
l’identità».
[18] Cfr. già, prima di scienziati e
filosofi moderni, un altro dei
FragmentediNovalis:«Unproblemaè
veramente risolto quando è distrutto
come tale» (Novalis, Frammenti,
introduzione di E. Paci, trad. di E.
Pocar,Milano,Rizzoli,1976,p.51).
Indicedeinomie
dellecosenotevoli
Achmátova,A.,31
Adorno,Th.Wiesengrund,
17,30,47n,52en,200
aggettivi,171-172,174-175,
180
Agosti,S.,97n,173en
allegoria,10,11,39-54,69,
70-71,90,138,163-164,183
en
allitterazione,187-188
allocuzione,100,102,104,
113en,141,151,168-169,
179,185
Ambrosini,R.,133en
anadiplosi,99
anafora,75-76,78,80,81,83,
84,85,86,87,88,89,91,93,
97,100,101,102,120,154,
182,183,187,189,190,193
anagramma,97
analogia,analogismo,27-28,
48-49
analogiepreposizionali,15,
28
anarimi,versi,162-63
AncienRégime,51
antichi,antichità,18,148,
173-174
antifrasi,69
antimetabole,191
antitesi,98
evediossimoro
Antognoni,O.,145en,177n,
185
Apollinaire,G.,31
apposizione,87,90,95,192
aprosdóketon,191
Arato,187n
Arcadia,11,81,82
arcaismo,41
Arnaut,F.,41,85-86
Arnim,L.A.von,19-20,22
articolo,185
asindeto,giustapposizione,9,
75-76,78,80,81,82,83,84,
85-86,88,89,90,93,94,100,
170,187
assonanzeeconsonanze,vedi
rime
Auden,W.H.,31
aulicismi,173-174
Bach,J.S.,12
Baldacci,L.,18,30
Bally,Ch.,115n
Balzac,H.de,49
Bartoli,D.,187
Baudelaire,Ch.,12,20,21,
31,46n,47n,48en,49n,51,
53
Bécquer,G.A.,25,44n
Beethoven,L.van,167n
Béguin,A.,19,49n
Bellucci,N.,148n
Benjamin,W.,47en,48n
Benn,G.,52n
Besomi,O.,21,159,164n,
168n
Beta,S.,106n
Bibbia,41,87,106,157
Bigi,E.,13,55n,127en,
145n,157n,168,177n,198
Binni,W.,148n,150
Blasucci,L.,10,13,33n,60n,
77n,79,107n,149n,150,
157,158n,161n,167,168n,
177n,178-179en,180-181,
181en,186en,191n,197n
Blumenberg,H.,25
Bobbio,N.,48n
Brahms,J.,21,23
Brentano,C.,15,19,20,25,
46n,48n,49
Brioschi,F.,59n,66n,150,
157
Brose,M.,79en
Browning,R.,31
Brugnoli,G.,148n,157n
Brugnolo,F.,162n
Bruni,F.,55n
Byron,G.,12,13,16,19,22,
45n
canzoneantica,109
Capitalismo,29
Carducci,G.,159
Carrai,S.,41en,56n
Cassi,G.,57
Cavalcanti,G.,115
Ceragioli,F.,157n
Cesarotti,M.,127,129,132
Chamisso,A.von,38,50,51
Chateaubriand,F.-R.de,13
chiasmo,91,94,101,171en,
171-172,192,193
Chopin,F.,12,22,150en
ChrétiendeTroyes,187
Cienfuegos,N.Alvarezde,
44n
classicismo,29
Codino,F.,47n
Coleridge,S.T.,15,16,18,
19,20-21,26,29,30,37,47,
48,51
collegamentitrastrofe/lasse,
10,107-113
comparazione,vedi
similitudine
Contini,G.,44n,55n,122e
n,148n,151,160n,161n,
164n,172en,177n
contraddizione,200
contrappunto,8,153-155
correctio,121
evedima
correzioni,vedivarianti
così,79
crescendo,103
Creuzer,G.F.,47
Croce,B.,30,165
Damiani,R.,150,158n
DanteAlighieri,61,86,140,
153,188,189
DeAngelis,E.,52n
deittici,70,106,139
DellaCasa,G.,44n,115
derivatio,94
DeRosa,F.,85n,107n,113n,
186n
DeRobertis,D.,55n,107n,
148n,154,177n,187,189,
198
DeRobertis,G.,55n,148n,
151,152,177n
descrizione,16-17,95,178
DeSinner,L.,59n
dialefe,117n
DiBreme,,14
Diderot,D.,21,24,150en
dieresi,117
DiGiacomo,S.,185
D’Intino,F.,158n
disseminazionefonica,139,
143,146,187
‘dittici’,33,68,155en,197
Dondero,M.,148n
‘doppio’,10,11,36-39,52,
133,138
Dostoevskij,F.M.,38
Durante,M.,196
Dürer,A.,131
e,79,80,81,85,87,102,
103,110n-111n,123
ecco,113n,182en
Eichendorff,J.von,19,20,
21,30,46n,47n,51,52
endecasillabo,82,105,115125,145-146,146en,105153,160-161,162n,183,189,
192
‘enigma’,52
enjambement,vediinarcatura
epifora,90,92,129,135,140,
141,142,143n,144
epifrasi,80,102
episinalefe,116,122,123
esclamative,80,99,147,169
Esopo,43
esotismo,17-18
evidenza,7,29
Fasano,P.,13
Fattorini,T.,172
favola,19-20,49
Féher,F.,47n
Felici,L.,60n
Ferrucci,C.,157n
Fichte,J.G.,49
figuraetimologica,129
Filippini,E.,47n
filosofia,26-27
Fortini,F.,66n
Foscolo,U.,20,36n,106,
116,127,130-132,142,187,
195
Francoforte,Scuoladi,199
Freud,S.,8
Friedrich,H.,31
Frugoni,F.F.,187
Fubini,M.,55n,157n,168,
175,177n,198,199n
Galilei,G.,21
Galimberti,C.,148n
Gaspari,G.,161n
Gavazzeni,F.,41n,44n,55n,
106n,127,166n,177n,198
geminatio,92,108
Gessner,S.,178
Gigante,M.,36n
Giordani,P.,150
giorno/notte,21-22
Girardi,A.,148n,150,154n,
157n,177n,184
Giudici,G.,38,45n,51
GiuseppeII,imperatore,182
Goethe,J.W.von,23,26,
36n,47n
Gray,Th.,132en
Greci,9,106,174
Grillparzer,F.von,38
Hardy,Th.,31
Hegel,G.W.F.,14,24-25,30,
47,187
Heine,H.,15,16,17,18,19,
23,36,38,41,46n,49,51
Herder,J.G.,13
Hoffmann,E.T.A.,38
Hölderlin,F.,11,14,41n,54
Horkheimer,M.,200n
Hugo,V.,14,15,16,17,19,
24,29,30,39,45n,48en,
49n,50,51,53
Idealismotedesco,24
Illuminismo,12,22,26
illusioni,198
imperativo‘tragico’,100n
imperfetto,172
‘improvvisi’,151
inarcatura,80,100,113,116
en,144,145-146,170,181
ineffabilità,47,50-51,51en,
147,173
‘infinitivi’,fenomeni,79,
167,180-181
inizio/fine,72,100,119,120121,134,135,136,139,144,
155
interiezioni,148,170
interrogative,9,80,101,168,
169,190
‘io’,9,10,24-26,34,46,5573,78,86,134,138,149,169
en
Isella,D.,127
Jonard,N.,15
Kafka,F.,71
Keats,J.,11,14,15,16,1718,19,129,30,45n,49n,50
Kleist,H.von,22
Lamartine,A.de,14,15,16,
17,21,24,29,45n,48en,53
Lamb,Ch.,19
LaMettrie,J.Offroide,26
LaMotteFouqué,F.H.K.de
la,19
Landi,P.,59n,66n,150,157
Landolfi,T.,38,45n
Landor,J.S.,19,50
LaPenna,A.,152n
lasse/movimenti,vedistrofe
‘legato’,9,10,115-25,146e
n
Leopardi,P.,157-158
Lermontov,M.J.,15,19,21,
38,45n,49,53
lessico,102-103,106,146-
148,150,154-155,164-167,
167en,170en,173-174,
178-180,184-190,191-196
lirica,12,20,30
Lombardi,M.M.,41n,44n,
55n,166n,177n,198
Lonardi,G.,41n,157en,
160n,167,173n,187n
luce/buio,vedigiorno/notte
Lugnani,L.,79n
Lukács,G.,31,47n,53en
ma,77,79,83,101,110en,
111n,121
Machado,A.,31
magico-fantastico,18-19
Mahler,G.,30
makarismós,195
Mancini,M.,47n
Mandel’štam,O.,161
Manzoni,A.,82,106
Marati,P.,153en
MarcoAurelio,41n
MatteBlanco,I.,50-51
medievismo,18
Mendelsohn,F.Bartholdi,17
Mengaldo,P.V.,7,50n,62n,
81n,85,105n,119n,131n,
160n,161n,179n
Menninghaus,W.,48n
meraviglioso/demoniaco,19
Meregalli,F.,44n
metafore,metaforicità,15,
27,105,183
metamorfosi,27-28
Metastasio(Trapassi),P.,82,
161
Mimnermo,41
monologhi,11
monorematica,frase,78,83,
87
Montaigne,M.Eyquemde,
41
Montale,E.,31,44n,83,
107n,172,187
Monteverdi,A.,87en
Monti,V.,106,116,127,
129-130,132,157,192,195
Mörike,E.,19,46n,48n
Mosco,143
Mozart,W.A.,12,22,182
MuñizMuñiz,M.delas
Nieves,55n,56n,148n,150,
154,157n,165n,168,177n,
178,184
Muscetta,C.,127en
Musset,A.de,14,15,16,35,
38,41,51
NapoleoneBonaparte,41
narratività,39,81,136,140,
141,144,172-173,179
natura,20-21,23,25-26,29,
69,149n
nè,81,102,110-111n
Neri,G.,150n
Nerval,G.de,17,19
Niccolini,G.B.,14
Nietzsche,F.,23,30
‘noi’,9,55-73,78,174,190,
192
nominale,sintassi,83,85,87,
190,192
Novalis(Harderbergvon),F.,
15,17,18,21,22,23-24,2425,26,27,45n,48n,49,50,
51,181,200n
novenario,153
Olbrechts-Tyteca,L.,48n
Omero,41,150,157,187n
oralità,39,113
Orazio,157
ordinedelleparole,95-102
Ossian,9,127,129,132
ossimoro,175
evediantitesi
Paccagnella,I.,12
Paci,E.,200n
Paolo,San,26
paraipotassi,76
Parini,G.,116,127-129,132,
141,142,144,168,174n,189
paronomasia,109n,160
Pascoli,G.,30,185
Pasquini,E.,85n
Perelman,I.,48n
Persefone,172
personificazione,15-16,4546
Pessoa,F.,38n,49n
Peruzzi,E.,36n,107n,110n,
111n,148en,151,153,
165n,187n
Pestelli,G.,150n
Petrarca,F.,41n,45,150,
164n,175
piacere,teoriadel,10,40,
178,196-198
platonismo,23,35
Pocar,E.,200n
poliptoto,129,143n
polisillabi,120
polisindeto,10,75-95,102,
105,117,118,147
Pontani,F.M.,106n
Pound,E.,31
Praz,M.,19
Prete,A.,34,44n,124
‘prosa’,121-122
Puškin,A.S.,15,19,38,45n,
51-52
qualificativi,152
Rea,R.,148n
Recanati,11,34
reduplicatio,99
ri-,186en
Rigoni,M.A.,18,36n,148n,
155,172,177,178,185
rime,9,10,11,35,86,87-88,
90en,92-95,100,101,108113,127-144,145,158-159,
162-163,185,191-196
ripetizione,86-87,90,100,
120,130,139,141,161n,
169-170,180,194
Rolli,P.,161n
Romanticismo,11,12,13-31,
39,42,106,148
Roques,M.,187
Rossella,V.,150n
Rousseau,J.-J.,20
Saba,U.,31,63,154n,185,
187
Saffo,106n,157
Sainte-Beuve,Ch.-Au.de,30
Salinas,P.,31
Sandrini,G.,44n
Santagata,M.,33n,148n,153
Santarone,D.,66n
Santoli,V.,47n
Scaramuzza,G.,47n
Schelling,F.W.,14,20,24,
25,49
Schiller,F.,14-15,21,22-23,
25,38,199
Schlegel,F.,17,18,19,21,
23,27,47en,52en
Schubert,F.,36,38
Schumann,R.,14
SchweigerAcuti,I.,44n
sciolti,endecasillabi,127-144
sdruccioli,127-128
Segre,C.,115n
Sensismo,26
Sereni,V.,172
settenari,9,82,100,102,
105,123-125,153,160-161n,
162en,169,183,191
sfumato,167n
Shelley,P.B.,15,16,17,18,
20,27,29,35,45n,49n,50,
51,53
simbolismo,10,47-51
Simbolismo,11,15,30
similitudine,15,43,92,101,
102
SimonidediAmorgo,36n
SimonidediCeo,36en,
106n
simultaneità,181
sinalefe,86,115,117-119,
146
sintassi,75-106,170-171,
179,182,190,194
Smaragda,B.E.,157n
società,8,36
sogno,44
Solmi,S.,24
Spendel,G.,38,45n,51
speranza,198
Spinoza,B.,49
‘staccato’,76,78,83-84,87,
88,91,94,99,100,103,115125
stanzadicanzone,190-191
Starobinski,J.,23
Stevenson,L.,38
Straccali,A.,145n,153,
177n,185,195
strofe,110,158,170,191
Stussi,A.,91n
subordinazione,77-78,81-82,
89,92-93
Szondi,P.,24,47en,47-48
TargioniTozzetti,F.,66
Tasso,T.,167,168,189
Terzoli,M.A.,167n,172n
Timpanaro,S.,13,191n
titolo,177-179
Todorov,Tz.,47n
Trakl,G.,187
‘tu’,9,55,72,80,169en,
172
Turgenev,I.S.,184
Ungaretti,G.,41
Valgimigli,M.,127n
varianti,8-9,86,107,138139,140,143,148en,151e
n,151-153,154,159n,160n,
161n,164,165-166,171n,
174,186,187,188,189,192
Vasari,G.,81
Verlaine,P.,41
Vico,G.B.,13
Vigny,A.de,15,16,18,19,
29,35,45n,48,51,165
Virgilio,143n,164en,166
‘vitalità’,8,161,199
Voltaire,(F.-M.Arouet),26
Wagner,R.,22,25
Wilamowitz,U.von,106
Wordsworth,W.,17,20,21,
23,30,41
zeugma,91