Canti - DropPDF
Transcript
Canti - DropPDF
LDB Mengaldo torna a cimentarsi con Leopardi, poeta prediletto, anzi, come lui stesso scrive, «il maggiore, e di gran lunga, lirico italiano dell’età moderna». Avvalendosi di raffinate conoscenze di linguistica e stilistica, tocca alcuni aspetti complessivi della poetica leopardiana (uno fra tutti: il carattere «antiromantico» del suo percorso), le costanti della lingua e della metrica dei «Canti» (l’abbondanza, peresempio,dirimebaciate), infine la natura profonda di tre testi fra i più significativi dellaraccolta:«Laseradeldì di festa», «A Silvia» e «La quiete dopo la tempesta». Ne risulta un’indagine in cui ciascun dato testuale e formale rimanda costantemente ad altro: un pensiero fermo e originalissimo che pervade ogni singola lirica del poeta diRecanati. PierVincenzoMengaldoha insegnatoStoriadellalingua italiananell’Universitàdi Padova.ConilMulinohagià pubblicato«L’epistolariodi Nievo»(1987),«Storiadella linguaitaliana.IlNovecento» (1994)e«Sonavanlequiete stanze.Sullostiledei«Canti» diLeopardi»(2006). PierVincenzo Mengaldo Leopardi antiromantico ealtrisaggisui "Canti" Copyright©bySocietà editriceilMulino,Bologna. Tuttiidirittisonoriservati. Peraltreinformazionisiveda http://www.mulino.it/ebook Edizioneastampa2012 ISBN978-88-15-23823-8 Edizionee-book2012, realizzatadalMulinoBologna ISBN978-88-15-31162-7 Indice Premessa I Leopardiantiromantico II Dueformedeldiscorso poeticoleopardiano III ‘Io’e‘noi’neiCanti IV Notedisintassipoetica leopardiana V TrastrofeestrofedeiCanti VI ‘Legato’e‘staccato’neiversi deiCanti VII Quantosono‘sciolti’gli scioltidiLeopardi? VIII Strutturefiniecostruzione nellaSeradeldìdifesta IX UnaletturadiASilvia X PeruncommentoallaQuiete dopolatempesta Indicedeinomiedellecose notevoli a Luigi Blasucci, leopardista principe eamicocaroevenerato Ringraziamenti I saggi qui raccolti sono in parte ancora inediti, con eccezioni; anche quelli già pubblicati sono comunque statirielaboratieaggiornati.Il primo,cheusciràanchenegli Atti del XXXIX Convegno interuniversitario di Bressanone, va completato in alcuni punti, specie per gli esempi, col saggio seguente, editoin«Belfagor»,LXIV,f. 6, 30 novembre 2009. Il quarto è uscito in «Lingua e stile», XLIV, 2, dicembre 2009.Ilquintoeilsestoerano già editi in «Stilistica e metrica italiana», 10, 2010. L’ottavoèincorsodistampa nella Miscellanea in onore di Ivano Paccagnella. Il nono, giàeditoin«Giornalestorico della letteratura italiana», CLXXXVII,218,2°trimestre 2010, è pubblicato qui con ritocchi: in esso amplio e correggounamialetturaassai più sintetica del Canto in Attraverso la poesia italiana, Roma,Carocci,2008,pp.150 ss. Anche il decimo, apparso in «Strumenti critici», XXIV, 121, f. 3, settembre 2009, è propostoquiconritocchi. Premessa Questa raccolta di saggi leopardiani tiene dietro ad una analoga pubblicata anni fa da questo stesso editore, Sonavanlequietestanzeecc., ma forse non sarebbe stata possibilesenzagliesercizidi letturadisingolicantiobrani di prosa del recanatese consegnati a due volumi di Carocci, 2011, Antologia leopardiana. La poesia e La prosa. Con questo intendo sottolineare l’utilità di scrutare gli individui per giungere a cogliere le leggi generali di uno stile e di un pensiero–manaturalmenteè veroanchel’inverso.Difatto il presente volume si può spartire in tre zone: saggi generali che vertono su aspetti complessivi del pensieroedellaprassipoetica di Leopardi; altri e più su alcune costanti della lingua e della metrica dei Canti; e infine tre letture di testi poeticichesonononsoltanto fraiverticidellaraccolta,ma appaiono fra i più significativi (si vedano in particolare le conclusioni che ho creduto di trarre dall’analisidellaQuiete). Questatripartizionenonmi dispiace, poiché corrisponde a modi diversi di lavorare sullo stesso oggetto, con differente illuminazione ora dell’assieme ora dei dettagli. Chi come l’autore di questo libro proviene alla critica dalla linguistica e dalla stilistica, non può che continuare a pensare che questo tipo d’approccio resti il privilegiato nell’analizzare la natura dei testi, ma nello stesso tempo rimandi costantemente ad altro, che nel caso dell’autore del grande Zibaldone è un pensiero fermo e originalissimo che intride ogni singola lirica, o meglio fa cozzare l’istanza concettualeconquella,incui Leopardi era maestro, rappresentativa, e tanto più dotata di evidenza (enárgheia) quanto più classicamente sobria. Si veda sempre, e forse sopra a tutto, laQuiete. Il pensiero, filosofico e poetico, di Leopardi ama svolgersi, come dichiara soprattutto lo Zibaldone, per opposizioni binarie senza sintesi o Aufhebung: antichi vsmoderni(conriversamento nei Canti,traAllaPrimavera el’InnoaiPatriarchi),natura vs ragione, individuo vs societàecc.Ciòcomportaalla fineunoschiacciamentodiun termine sull’altro, come nel caso della natura malvagia cheperseguitatuttiesempre, senza più distinzione fra antichi e moderni e fra più o menocivilizzati(ciòapartire dalDialogodellaNaturaedi unIslandeseedalCanticodel gallo silvestre, del ’24, ma con anticipi già nello Zibaldone); o che per così dire i due opposti vengano lasciati in sospensione, come per il concetto – con sfumature a tratti prefreudiane–dellasocietàcheè naturalmente nemica mortale dell’individuo, ma la cui necessità non può essere disconosciuta, dando anzi luogo a sottili distinzioni fra le società ‘strette’ e quelle ‘larghe’. E talora il meccanismo può essere più implicito: il lamento di Saffo sulla propria mancanza di venustà si rovescia quasi per compenso in una rappresentazioneincantataea tratti non meno che erotica della bellezza della natura («all’ombra / Degli inchinati salicidispiega/Candidorivo il puro seno… le flessuose linfe…»). Ma per i Canti importa di più un’opposizione sotterranea: quella fra nichilismo, impossibilità del piacereecc.eilforteaccento, affidato ancora a una pagina dello Zibaldone,sulfattoche l’opera poetica riuscita accresce comunque la nostra vitalità, massimo valore positivo per Leopardi, per negativiodolorosichesianoi suoi contenuti. Ne consegue, per prendere i due casi più evidenti, che nella Quiete e nel Sabato le ferme affermazioni dell’inanità del piacere non possono distruggere le scene vivaci e gioiose della vita del borgo che rinasce dopo la tempesta ochesiapprestaagoderedel giorno di festa – ma ovviamente vale anche l’inverso, e quanto più affettuoseesolarisonoquelle scene tanto più è senza appello il pensiero negativo cheledistruggeorelativizza. Enelleimmediatevicinanze– ora su un piano più strettamente personale – la rinnovata prigionia nel borgo selvaggio non esclude anzi implica il senso dolcissimo delritrovamentoedeiricordi del passato, già scatenato da A Silvia: tutto può essere distrutto fuorché la memoria. E prima, nella Sera del dì di festa, il conflitto fra l’estasi del paesaggio lunare e l’estraneità della donna vagheggiata sembra addirittura riversarsi nella struttura insolitamente contrappuntistica della lirica, mentre la gloriosa correzione del primo verso (da «Oimè, chiara è la notte e senza vento»a«Dolceechiara…») non dà solo luogo a uno dei versi più incantati di Leopardi,madelineaconpiù chiarezza l’opposizione tematica. In questi testi, come in tantialtrideiCanti,coabitano due verità, non solo concettuali ma poetiche. E così nel totale noi comprendiamo perché il poetasealtrimaidelpensiero abbia voluto e potuto, fino dalla edizione Piatti del ’31, fregiare la raccolta col titolo inconsueto di Canti (si ricordino magari quelli di Ossian). Lo sciogliersi ad ognirigadelpensieropoetico ancheilpiùaguzzoincantoo in musica è appunto ciò che fadiLeopardiunpoetaunico, nonsolodanoi.Naturalmente dell’ineffabile non si dà effabilità, tuttavia si possono segnalare qui almeno due indicatori della continua e quasi naturale risoluzione leopardiana del pensiero in canto: la frequenza di rime baciate, specie se prima di pausa sintattica; e quella dei settenari, che nel Sabato 20- 27 possono anche essere otto diseguito,acascata;eforseè ancor più significativa l’abbondanzadirimebaciate, di rime ricorrenti e di settenari in un testo massimamente speculativo come il Canto notturno, che appunto, come solo la canzone su Saffo, si chiama «canto».Dituttociòdelresto il poeta era perfettamente consapevole, quando affermava in tante pagine dello Zibaldone e nell’OperettaIlPariniodella gloria la consustanzialità del grande filosofo e del grande poeta, in entrambe le direzioni. Piùvolteèstatatracciatala parabola dell’‘io’ nei Canti: da quello eroico che si proiettaeraffigurain‘doppi’ come in tante canzoni a quello puramente esistenziale degli Idilli e, con segno rovesciato, di tanta parte del cosiddetto ‘Ciclo di Aspasia’ (si veda solo, sul piano stilistico, l’opposizione delle frasispezzateedegliasindeti di questo contro il legato degli Idilli), fino all’io autodistrutto dei Canti napoletani,chenellafavolosa quarta lassa della Ginestra è ridotto a un puntolino nel tutto,cosìcomelavisionedel mondo di Leopardi approda qui definitivamente a una concezione – e immaginazione – non antiantropocentrica soltanto ma antigeocentrica. Io ho credutoopportunocoglierele tracce non solo dell’eterno dialogo io-tu, ma della compresenza, in effetti consistente, dell’io e del ‘noi’, come se il primo scivolasse continuamente nel secondo. Ne risulta, fermo restando che la lirica è e non può non essere l’espressione dell’io, anche che, se posso azzardarmi, un po’ di Ginestra ha sempre abitato Leopardi.Eprobabilmenteva messo qui il gusto reiterato del poeta (si veda il secondo saggio) per l’allegoria – ma semprelimpidaedesplicata,e mai esposta a scivolare nel simbolismo come in tanti romantici. L’allegoria leopardiana è prodotto di un pensiero, non di una sensibilità. IlconfrontotralaQuietee ilSabatomostranonsoltanto latendenzadiLeopardi,efin dall’inizio, a disporre i suoi testi in dittici (vi ha insistito soprattutto Blasucci), ma quella a integrare o correggere, se non ‘superare’ il primo elemento col secondo. Ciò appare particolarmente chiaro nel dittico più dittico della raccolta, cioè le due Sepolcrali, come cercherò di mostrare in altra sede. Qui devo limitarmi a posare l’accentosulfattocheQuiete e Sabato esplorano i due aspetti opposti e complementari della leopardiana «teoria del piacere»,quellochenascedal pericolo (dal dolore) scampato e quello che nasce dall’attesa della prossima gioia.Entrambivani. Anche l’escussione di costanti tecniche della poesia leopardiana non si chiude soltanto entro queste, ma ci dice qualcosa sulla mens dell’autore. Prendiamo il caso, su cui ho voluto insistere, del legame formale e concettuale tra strofa e strofa, già evidente nelle canzoni ‘regolari’ poi dilagante nelle ‘libere’. Questo tecnicismo dimostra che per Leopardi la libera continuità del proprio discorso faceva aggio sulle partizioni metriche date, e in altre parole che già nelle canzoniregolaris’aggiungeva ai più evidenti un altro elemento di irregolarità. Mostraanziqualcosadipiù,e cioèchequestoprocedimento è coassiale a ciò che da A Silvia in poi sono le canzoni libere, per non esaustività delle rime (quasi simboleggiata dal fatto che il primoversodellelasseècosì spesso anarimo) e per strofismovariabilesecondole unità concettuali. Per così dire, le canzoni libere sono dunque due volte libere. In altri casi, come accennato, l’analisi linguistica e metrica mette meglio a fuoco i caratteri delle varie stagioni poetiche leopardiane. Si prendano gli Idilli: sintassi sempliceelineare,diffusione del polisindeto (basti guardare l’Infinito) e stile ‘legato’ ne fanno qualcosa di completamente diverso non solo dalle Canzoni (e la contemporaneità delle due maniere è poco meno che miracolosa), ma anche dal Ciclo di Aspasia, dove le condizioni dell’io ‘esistenziale’ sono radicalmente rovesciate (v. esemplarmente A se stesso): mentrelacontinuitàcoiCanti pisano-recanatesi, un tempo fin troppo affermata, regge proprio sul piano formale e specie laddove il metro è lo stesso,cioènelleRicordanze; a mio avviso la rottura decisivasihaconl’ultimoin data e diverso in ambientazione, il Canto notturno, che significativamente oppone a un’estrema scorrevolezza del dettato, del canto appunto (quasi messa al quadrato nell’uguaglianza della rima finale di ogni lassa), uno spostamento del pensiero sul pianodiunpaesaggioremoto e uguale, cosmico, ben lontano dai domestici ambienti recanatesi, e un’accentuazione del tema dell’infelicità universale, singolarmente incrociato, oltre che con l’allegoria, con l’ultima apparizione della figuradel‘doppio’oalterego che Leopardi ha utilizzato così spesso, in grandi monologhi ‘teatrali’ a partire giàdalSimonidediAll’Italia (si veda sempre il secondo saggio). Il Canto notturno annuncia non tanto alla lontana i modi dei Canti napoletani. In un certo senso il saggio acuitengodipiùèilprimo,e non perché pensi di aver potuto – e nella misura di pochepagine,nondiunlibro –esaurireilvastoargomento. Sono però certo che chi lo riprenderà con più lena non potrà che confermare le mie conclusioni, del resto basate per maggior forza dimostrativa quasi solo sulle liriche di Leopardi, non sul resto. Non è comunque cosa indifferente, ai miei occhi, averindicatocheilmaggiore, edigranlunga,liricoitaliano dell’età moderna procede per una strada che è tutt’altra da quelladeiromanticiedeiloro continuatori simbolisti, guardando per dir così indietro anziché avanti e in effetti realizzando in questo modo la sintesi della tradizione italiana ma – dev’essere evidente – anche la sua liquidazione. E d’altronde lo stile sobrio e casto, di cui gli echi della tradizione fanno parte, sta al materialismo come lo stile diffuso e accumulativo dei romantici, che ha sempre bisogno di dire qualche parola in spiritualismo. più, allo Ciò non toglie ovviamente che,condiversimezzi,anche Leopardi abbia portato il suo forte contributo a quelle che sembrano le svolte basilari della poesia europea tra fine SettecentoeprimoOttocento, fra Hölderlin e Keats per intendersi: la ricerca dello stile sublime e la parallela trasformazione della lirica da genere poetico fra gli altri, magari addetto a temi occasionali e socievoli come nella nostra Arcadia, in qualcosa di assoluto e totalmente devoluto a un io opposto alla società (su questo proprio le riflessioni dello Zibaldone, con la loro insistenza sulla peculiarità della lirica, fanno testo). Ma, ripeto, adoperando altri mezzi, e risultando l’unico grande poeta europeo di quel cinquantennio ancora nutrito del pensiero dei Philosophes e non del pensiero a quello opposto dell’idealismo e spiritualismo romantici. L’altra grande svolta si avrà di lì a poco con chi adibirà unostilealto,quasiraciniano, a una materia ora personalissima ora ‘bassa’, cioè con Baudelaire. La separazione chirurgica di Leopardi dai romantici non toglie solo di mezzo un equivoco perdurante, ma getta luce e su certi aspetti generali della letteratura italiana, e proprio sulla debolezza del nostro Romanticismo, se è esistito davvero, e sul suo carattere molto più ricevuto che necessitato (v. dunque la costantepolemicadiLeopardi verso Byron). Del resto che cos’erailmusicistaromantico per eccellenza e per tanti aspettiilfratelloinmusicadi Leopardi,valeadireChopin? I suoi idoli erano Bach e Mozart, e quando s’apprestava, a Maiorca, a comporre i suoi Preludi cosa teneva sotto braccio? Le partiture del Clavicembalo bentemperatodiBach. I Leopardi antiromantico La figura di Leopardi è stata per lungo tempo assimilata al Romanticismo; Mengaldo illustra – proprio a partire dai testi creativi e filosofici del Leopardi – come l’opera dell’autore si dimostri lontana dai canoni romantici. L’assenza di esotismi, di gusto medievistico e del culto per il magico-fantastico e il meraviglioso-demoniaco sono segnali della distanza leopardianadalRomanticismo. L’assimilazione di Leopardi al Romanticismo era un tempo moneta corrente, direi anche per scarsa conoscenza da parte della critica italiana del Romanticismo europeo. In seguito tale opinione ha subitoattacchiefalsificazioni secondomedecisivi,adopera per esempio di Sebastiano Timpanaro; ma vedo che a tutt’oggi non è morta. È dunque il caso di tornare sull’argomento. Lo farò – anche per distinguermi dagli importanti interventi in materia di Fasano, Bigi e Blasucci – puntando il più possibile sui testi creativi e filosofici di Leopardi e sul lorosenso,elasciandoquindi nello sfondo le prese di posizione metaletterarie dell’autore, come il Discorso diunitalianosopralapoesia romantica e le non poche pagine omologhe dello Zibaldone (basti ricordare 2944-2946, 12 luglio 1823). Inoltre terrò come punto di riferimento il maggiore Romanticismo europeo, e lascerò quasi del tutto fuori del discorso il povero Romanticismo italiano, se pure (riprendo il titolo di un vecchio libro sanamente provocatorio) un Romanticismo italiano è veramenteesistito. Non che non dispiaccia, beninteso, mettere fra parentesi il Discorso del ventenne, che è un autentico capolavoro di impostazione e di tecnica controversiale: basti avere a mente la contrapposizione della propria ragione all’opinione degliavversari;lafermabase materialistica e sensistica (i romantici hanno trasformato la poesia «di materiale e fantasticaecorporalecheera in metafisica e ragionevole e spirituale»), cui si lega l’insistenza sul diletto che la poesiadeveoffrire;l’analogia vichiana e herderiana fra gli antichi e noi stessi in quanto immaginiamo e ci illudiamo come fanciulli (cfr. anche celebri pagine dello Zibaldone); l’opposizione ragioneointellettovsnatura; il buon «sentimentale» dei classici contro il cattivo «sentimentalismo» romantico ecc. Non voglio tuttavia tacere di un passo giovanile delloscartafaccio(192)incui Leopardi arriva tranquillamente a dire che i romantici (italiani) «di vera psicologianons’intendonoun fico». Mi avvicino ora ai punti che più mi stanno a cuore attraverso qualcosa che riguarda, diciamo, il ‘gusto’. Prendiamo il caso di Byron, chepurehaavutoqualcheeco in Leopardi. In area romanticafranceseilsulfureo inglese è regolarmente esaltato e quasi divinizzato: soprattutto da Chateaubriand (Mémoires e Essay sur la littérature anglaise) e da Lamartine (che ha pure tradotto l’ultimo canto del Child Harold), ma anche da Hugo e Musset («le grand Byron»); e qui ricordo anche gliitaliani(DiBremeconcui polemizza il Discorso, Niccolini ecc.); ma ancor più forse conta il fatto che il principe del Romanticismo musicale tedesco, Schumann, ha messo in musica il Manfred. Ora è noto che i giudizi su di lui di Leopardi sono, quando non cauti, sostanzialmente o decisamente negativi, fin dal Discorso, toccando ex opposito punti chiave della propria stessa poetica (Byron è poeta dell’intelletto e di un’oscura psicologia; nel suo poetare si percepisce lo sforzo;ilsuo‘sentimentale’è poco efficace ecc.). Si potrebbe anche aggiungere che l’influsso del Manfred è sensibile nel Dialogo di MalambrunoeFarfarello,ma cheilmessaggiobyronianovi è preso senz’altro in contropiede. Occorreanchevederchiaro in casi in cui temi e svolgimenti della poesia leopardiana sembrano corrispondere a cose romantiche o quasi. Uno è quello di Alla Primavera o delle favole antiche del ’22. Non c’è dubbio sulla sua affinità con capolavori europei più o meno contemporanei quali l’ode Alla natura di Hölderlin (o magari anche il Frammento Alla primavera del romanzo incompiuto Clara di Schelling), o d’altra parte il mirabilesonettosuimarmidi lord Elgin di Keats (meno, a mio parere, con l’Ode su un’urna greca dello stesso), se non addirittura con alcune pagine memorabili sugli Dei greci dell’Estetica di Hegel. Ma il fatto è che, con ogni verosimiglianza, Leopardi aveva letto e memorizzato nella traduzione italiana (1808) la settecentesca ode Gli dei della Grecia dell’antiromantico Schiller («Quando vostro era il regno ebelloilmondo/gentibeate guidavate ancora / con le redini lievi della gioia, / esseri belli del mondo delle fiabe… indicava agli sguardi d’iniziati / tutto l’orma di un dio… Quel lauro si volse un dì chiedendo aiuto, / e Tantalide tace in questa pietra,/daquellacannas’udì il pianto di Siringa, / di Filomena il dolore da questo bosco… Tra uomini, divinità ed eroi / strinse amore un nodo di bellezza… Mondo bello, dove sei? Ritorna, / della natura soave primavera!»ecc.). Già il leopardista francese Norbert Jonard aveva segnalato la povertà di metafore (e similitudini) in Leopardi,eiostessomisono provato a dimostrarla, temo senza convincere tutti, proprio nel confronto non solo con poeti dell’eccesso figurale come Shelley e Hugo, ma anche ad esempio conKeats,Puškinelostesso Manzoni. E la differenza dai romantici, già notevole nelle CanzonieneiCantifiorentini e napoletani, è vistosissima nel tratto Idilli-Canti pisanorecanatesi in cui Leopardi realizza una sua inarrivabile poetica della sobrietà e naturalezza.Aquestopuntosi tratterebbe di introdurre nella differenza quantitativa delle gradazioni qualitative. Qui non posso farlo per esteso, e devolimitarmirapidamentea un paio di aspetti. Salvo errore, in Leopardi è impossibile trovare comparazioni o identificazioni analogiche in seriestrettaditre(insommail tipo come… e come… e come…), che sono invece abbondanti per non dire patologiche nei romantici. Nominalmente citerò ad esempio La mort de Socrate di Lamartine (dove il fenomenooccorreduevolte), AG…YdiHugo(trecomme inizialiin25versi),el’odeA un’allodola di Shelley (tre like di seguito): assicuro che lo stesso accade in liriche di Vigny, di Musset, di Coleridge,diKeats(quiinun casoiltipoèprecedutoda«E a che cosa la paragonerò?»), di Puškin, di Lermontov, di Brentanoecc.,convariealtre che ospitano eventualmente forme analoghe. Per non dire delle audaci analogie preposizionali più tardi di casa nel Simbolismo e impossibili in Leopardi: «vipere del pensiero», Coleridge; il «diadema di neve» e «l’oceano vitreo del monte di ghiaccio», Byron; «la rugiada della tua melodia» e «il grembo tenebroso dell’acqua», Shelley; «tormenti di cristallo»o«losguardocaldo del sole» che è anche personificante, Keats; le «vaste sale delle stelle», Novalis; «il lenzuolo di neve e gelo» e «il berretto a sonagli della follia» (altra personificazione), Heine; «lo sciame irrevocabile dei funesti piaceri», Lermontov; «la luna della mia tristezza», Brentanoecc. Sul significato di tutto questo tornerò, ma qualcosa si può già accostare ai fenomeni intravisti, e cioè la personificazione, che propriamente è un fatto metonimico di cui tuttavia l’analogiaèspessoilveicolo. Casi di personificazione naturalmentenonmancanoin Leopardi, anche perché sono normali nello stile classico: dunque l’Italia, secondo tradizione nazionale, la Primavera, la speranza di A Silvia (dove però si ha piuttosto un’identificazione tra la fanciulla eponima e quel sentimento) e altri esempi, cui sono da aggiungere nelle Operette Moda, Natura (due volte), TerraeLuna.Maanchequii romantici tendono a sovrabbondare, e io citerò parcamente. Lamartine personifica il Tempo, la Disgrazia, l’Entusiasmo («Entusiasmo, aquila vincitrice», personificazione più accostamente analogico), l’Infortunio, il Sole, la Malinconia e via dicendo; Hugo ad esempio l’Oceano («il leone Oceano», con fulminea identificazione analogica); Vigny lo stesso sole e le montagne, la Voluttà,ilSuicidio,ancorala Disgrazia ecc.; Musset la Rassegnazione («La Rassegnazione cammina con passi languenti»), l’Armonia, la Modestia, l’odio («cette vipèreimpie»),laFolliaecc.; Coleridge personifica il «Nero Orrore», il dolore, il «Cortese Sonno»; Byron per esempio la Guerra e il Ricordo e nel Manfred il Monte Bianco («il monarca dellemontagne»);Shelleytra l’altro la Verità e il Padre Sole(esidevevederelaserie di personificazioni in To Jane: The Invitation); Keats personifica il Sonno, lo Sconforto,laMalinconiaecc.; Brentano: «il sacro terrore della mezzanotte / striscia tremando per le selve oscure»;Heinelamorte,sole estelle,lenubi,ilvento(«sul mare / giace, a ventre sdraiato, / il vento deforme del Nord») e tanti altri enti; Puškin la speranza, il Successo, la Rima, il ricordo (che «svolge il suo lungo rotolo»), l’Inverno, e perfino un albero, cioè l’Ančar. La differenza con Leopardi, ancor più che quantitativa, appare qualitativa, in quanto l’italianosilimitaaentitutto sommato tradizionali e generici, senza arrivare mai alle personificazioni audaci e speciose, quando non terrificanti, che sono invece di casa nel Romanticismo poetico. Non è facile ridurre ad unumtuttoquestomateriale,e tanto altro affine. Arrischiandomidireicheesso rivelaneipoetiromanticiuna propensione generale al gigantismo,sianeisentimenti chenellavisionedellanatura, quasi a imitazione del gesto di Dio, e quella tendenza a intellettualizzare il sensibile che appunto Leopardi rimproverava alla ‘scuola’, e in particolare a Byron; e potremmo parlare anche, nella tecnica della descrizione, di un procedere per tratti emblematici e riassuntivi, ma d’altra parte addetti spesso al caos (Novalis nel Heinrich, in un passo di cui certo si è ricordato Adorno: «Sto per dire che in ogni poesia deve rifulgere il caos attraverso il regolare velo dell’ordine»). Seècosìemergeladifferenza daLeopardi,poetadipurezza greca, sensista anche in poesiacomeluistessohapiù volte richiamato, e come descrittore, anche di sentimenti,mairiassuntivoed emblematico ma sempre, per dirla così, distributivo e addetto al singolare concreto (cfr. prima di tutto le grandi aperture della Quiete e del Sabato). Schlegel ha parlato anche del «sentimentale» come «indistinzione fra apparenzaeverità,frailserio eloscherzoso»,maLeopardi è precisamente il poeta dell’assoluta distinzione fra apparenza (o manifestazioni della ‘vita’) e verità del pensiero (ma Novalis in un suo Pensiero: «Le cose ingenue non sono polari. Le sentimentalilosono»). Fin qui comunque differenzepesantimarelative. Ce ne sono però anche di assolute. La prima è l’assenza,assolutaappuntoin Leopardi, di quell’esotismo che dei romantici è una delle sigle. Nel Heinrich von Ofterdingen Novalis ha fissato:«Ilpaesedellapoesia, il romantico oriente ecc.». E così Lamartine scrive un Hymne oriental, La Charité; Hugo intitola Les Orientales la sua raccolta forse più geniale, e qui ad esempio dedica una lirica di straordinariosperimentalismo ai Djinns arabi e proclama: «L’oriente!l’oriente!Cosavi scorgete, o poeti? / Volgete verso l’oriente i vostri spiriti eivostriocchi!»(eOrientale s’intitolaunaliricasuccessiva dello stesso); Nerval carezza l’egizianismo in Horus; Shelley immagina «le tracce dei cervi sul Labrador deserto»; Heine ad esempio evoca in Auf Flügeln des Gesanges – presto musicata daMendelsohn–ilGange,il loto, la gazzella. Gli esempi sarebbero moltiplicabili a volontà, avvertendo comunque tre cose: che spesso i romantici conglomerano testualmente diversi esotismi (ad esempio Wordsworthaccostaaideserti dell’Arabia le settentrionali Ebridi, Hugo l’Alhambra e Fingal, mentre Heine, ancora lui,accostaGangeeLapponia in un’altra sua lirica); che in queste atmosfere esotiche s’inserisce spesso la rievocazione della Bibbia, non di rado trattata con un forte straniamento orientaleggiante (si veda invece per contrasto, di Leopardi, l’Inno ai Patriarchi); e che infine può accadere (per fare un caso nell’Endimione di Keats) che l’evocazione esotistica della Grecia moderna risucchi allusioni all’antica. Non c’è proprio bisogno di mostrare come Leopardi, in generale e nei particolari, sia del tutto estraneoaquestogusto,dalui giàbollatonelDiscorso. Così va da sé senza bisogno di prove, e quasi mi vergogno a richiamarlo, che Leopardi è completamente estraneoalgustomedievistico cheèinveceunacomponente essenziale della poesia romantica (mi limito a citare Vigny:«Comeèdolce,come èdolceascoltaredellestorie,/ Delle storie del tempo passato»,earicordaresempre di Vigny Le Cor, uno dei capolavori del Romanticismo poetico).Maquilaquestione è prima di tutto ideologica, data la formazione rigorosamenteilluministicadi Leopardi, giusta la quale il Medioevo era l’epoca della decadenza, del tutto priva di fascino; e troppo forte era in luilavenerazionedell’antico, eanchedelprimitivo.Manon meno ideologica, anzi, è la premessa che promuove sull’altra sponda la continua rievocazione dell’Età di mezzo: limitandomi a due posizioni, ma estreme, ecco che per Novalis perfino la Riforma è da respingere perché ha spezzato l’unità medievale, mentre Friedrich Schlegel ha affermato una voltacheilMedioEvoincui vivere, quello vero, era di stanza nel presente. E da parte sua Heine, quando sarà guarito della febbre romantica, ricondurrà l’interesse tedesco per quell’epoca all’assenza di un vero Illuminismo in Germania. S’intende che molti (tutti?) i romantici potevano anche rispecchiarsi nel detto di Schlegel: «Il nòcciolo, il centro della poesialosidevetrovarenella mitologia e nei misteri degli Antichi. Saturate il sentimentodellavitacoll’idea dell’infinito, e intenderete gli Antichi e la poesia». Bene, qui si afferra certo una tangenza con Leopardi; ma non con tutto Leopardi, se è vero com’è vero – e come hanno sottolineato studi recenti su di lui (Rigoni, Baldacciecc.)–cheunodegli aspetti che caratterizza più nettamente il Leopardi maturo è precisamente il sentimento e la certezza dell’irrecuperabilità dell’Antico da parte dei moderni. Infine,retrocedendo:nonè cosa per nulla leopardiana il culto per il magico-fantastico e per il satanico (metto di seguito per comodità le due cose). Quanto al primo aspetto, ecco ad esempio il Phantom di Coleridge (e in un frammento dell’Osorio dellostessostascritto:«Quali come lei amano troppo il meraviglioso / per non crederci…»); il Satana fuggito di Shelley; vari testi di Landor; La belle dame sansmercidiKeats;Unefée, Lesylphe,Laféeetlapéridi Hugo;leLoreleydiBrentano, di Eichendorff (per es. Waldergespräche), di Heine più volte, e i loro equivalenti orientali (e il capolavoro di Keats, La belle dame sans merci, darà il titolo a un capitolo del libro di Praz, istituzionale sul Romanticismo assieme a quello di Béguin); quindi a Oriente la Rusalca e la Tamara di Lermontov, e sempre nella fertile terra tedesca tanto altro Heine (le tre fantasime ecc.) o Der Feuerreiter, Die Geister am Mummelsee, Gesang Weilas diMörikeecosìvia.Esemi è permesso dare un’occhiata alla prosa narrativa, non possononandarecolpensiero anzitutto alla deliziosa OndinediLaMotte-Fouquée all’Isabella d’Egitto di Arnim. Quanto al vero e proprio meraviglioso-demoniaco, o anche macabro-mortuario, citerò subito «il re del male» de L’âme di Hugo e, quasi emblematico, il finale del poema Éloa di Vigny: «Chi dunque sei tu? – Satana», assiemealCaïndiNervalea duepassidiByron:«Lafame aveva scritto: Demonio», e nel Manfred: «Vedo una figura terribile e oscura sorgeredallaterra!/Comeun dio infernale, / dal viso avvolto / in un mantello…». E ancora l’Anti-Cristo di Coleridge (L’incanto stregone), i Diavoli e Spettri di Lamb (Hypochondriacus), ilHeinrichdiNovaliscolsuo «orrido esercito di scheletri» (e F. Schlegel si è trovato a scrivere: «Il Satana dei poeti italiani e inglesi è forse più poetico;mailSatanatedesco è più satanico…»), il Belzébuth di Musset, lo SchatzgräberdiEichendorffe i molti luoghi demoniaci di Heine (in uno chi dice io chiamaildiavolo,ericonosce stupito in lui un vecchio conoscente); infine I diavoli, Il demone, Il profeta di Puškin e ancor più decisamente il poema Il demone di Lermontov. E per quanto è del macabro mortuario si può confrontare, che so, il mortuario appena accennatodi Sopra il ritratto di una bella donna di Leopardi col numero 8 dei Dolori giovanili di Heine: «ed ecco, ogni tomba s’è già scoperchiata», «d’ossa un sinistro urtare e scrosciare», «urlando ogni spirito scomparenellatomba»ecc. Sembra chiaro che i tre temi,elamaggiorpartedelle realizzazionichehoricordato, rientrano in un arcitema generale, la favola in quanto ancheconnessaconlapoesia popolare, che è messa in pagina anche ad esempio da poeti inglesi come Coleridge (cfr.inparticolareChristabel) e Keats ma soprattutto da poeti tedeschi, accompagnando o proseguendo la grande raccoltadiArnimeBrentano Ilcornomagicodelfanciullo (vol. I 1805). Ora una sola poesia di Leopardi contiene neltitololaparolafavola,ma sono le «favole antiche» del mito greco; allo stesso modo in un passo dello Zibaldone (4351) saranno chiamate «favole»quellediOmeroche concernono le divinità, e in un altro luogo del ‘Diario’ (3462 ss.) vengono irrise le scimmiottature da parte dei moderni delle favole degli antichi; del resto già nel Discorso le «favole greche» vengono contrapposte a quelle«settentrionali»ecc. Facendo un passo indietro, c’èamiaconoscenzaunsolo luogoincuiLeoparditoccao sfioraitemidicuisopra,edè nella figura della Natura come gigantessa perversamente insensibile dell’Operetta Dialogo della Natura e di un Islandese (1824),costruitaunpo’infatti come l’Ozimandias di Shelley, per non saltare alla Géante di Baudelaire. Ma va sempre tenuto presente che questa Operetta segna la svoltadecisiva,subitoripresa nello Zibaldone, del pensiero di Leopardi, con la dichiarazione senza riserve dellamalvagitàassolutadella Natura. Comunque l’argomento è convertibile: Leopardi,almenodauncerto anno in poi, non ha bisogno deldemoniacoproprioperché demoniacaèlaNaturatuttain quanto tale. Senza dire che già nella Canzone Alla Primavera bontà e bellezza della natura erano ricacciate, un po’ come anche nella ‘fonte’ schilleriana, nel passato remoto del Mito (resuscitato anche, fra l’altro, in suoi episodi tragici, e non solo idillici), e qui magari si può cogliere qualche affinità con romantici come Wordsworth. Credo infine che non si tratti solo di differenze tematiche, in presenza e in assenza: queste producono o sono prodotte da un diversissimomododipoetare, che in molti romantici anche insigniprocedeperaccumulo, espansione ed esplicitezza creativa, in Leopardi al contrario secondo condensazione, concisione e implicitezza. E quando capovolge la Leopardi propria concezione originaria di natura, cancella precisamente quell’idea roussoviana di bontà originaria della natura stessa, pervertita da uomini, società e storia, che continua ad essere spesso la base dell’ideologiaromantica,eda noi per esempio ancora di Foscolo (Schelling: «l’uomo è entrato in conflitto e in contraddiziome con la natura…»). Dunque Coleridge detta To Nature, parlando della «Natura Sposa» e scrivendo: «Nulla v’è di malinconico nella natura!» ecc.; Wordsworth elevaunveroinnoallanatura nella sua famosa Tintern Abbey: «la natura non tradì mai / il cuore del suo innamorato», «io, occhio / adoratore della Natura» ecc.; Lamartine, con un’ulteriore iniezione di spiritualismo, «Dionascosto…lanaturaèil tuo tempio» (vi attingerà evidentemente Baudelaire), oppure nel commento a Le lac, suo capolavoro: «il grande poeta, è la natura» e via dicendo. Qui mi fermo, e ricordo soltanto che lo stesso Schiller oscillava fra l’idea della persistenza dell’antica natura («il sole di Omero, guarda, sorride anche a noi») e lo stato d’animo con cui inizia la celebre Nänie, poi musicata non a caso da Brahms, con queste parole: «Ancheilbellodevemorire», e poi «il bello tramonta», e altro. Una postilla. Nel Discorso di un italiano (ed. Besomi et al., p. 15) Leopardi aveva scritto: «la natura non si palesamasinasconde»,detto che può anche costeggiare le atmosfere romantiche, però cinque anni dopo nello Zibaldone, 2705 ss., 22 maggio 1823, cioè subito prima del Dialogo della NaturaediunIslandese,egli detterà, con razionalismo quasi galileiano o diderottiano, «la natura ci sta tutta spiegata davanti, nuda e aperta». Ciò è l’esatto contrario della concezione romantica della natura come mistero e inconoscibilità (o semmai penetrabile per via magica ed esoterica, come talora in Eichendorff), e in particolare lo è di queste righe roussoviane di un teorico come Friedrich Schlegel (Philosophie der Geschichte): «la natura, che all’inizio stava davanti al chiaro occhio dell’uomo, apertaetrasparentecomeuno specchio trasparente della creazione divina, gli divenne orapiùepiùincomprensibile, estranea e terribile». Non ingannino le apparenti convergenze: nel caso di Leopardièingiocolafiducia nellacapacitàdellaragionedi penetrareciòchenellanatura, per malvagia che sia, è tuttavia «tutto spiegato». Semmai è da tener conto che nei romantici tedeschi – e qualche volta anche negli inglesi – si contrappongono unanaturaattualepiùcalmae serena rispetto a quella delle epoche «possenti e gigantesche», dell’«antica, disumana natura» (Novalis, HeinrichvonOfterdingen). È nutriente ora toccare, all’interno del rapporto uomo-natura, il tema dell’opposizione di luce e sole a buio, di giorno a notte e viceversa. Come è notissimo molte liriche di Leopardi, poeta della luna, sono in tutto o in parte dei notturni – verrebbe da dire, come nel suo omologo Chopin–garantidell’intimità edellasolitudinealuicare,e dell’espandersideisentimenti che solo nella solitudine è possibile. Ma nessun passo suo celebra l’autenticità della notte e la sua superiorità sul giorno;anzigliultimiversi– forse – da lui scritti, nel Tramonto della luna, ci diconoconinauditaancheper lui potenza la gloria del sorgere del sole. S’impone il confronto con un’opera chiave del primo Romanticismo, gli Inni alla notte di Novalis, dove, precedendo l’eterna notte wagneriana (Tristano: «il magico regno della notte», il «vasto regno / della notte universale»contro«ilperfido giorno» col «suo vano splendore» ecc.) si parla addirittura, con metaforizzare suggestivo ed estremo, ossimorico, quanto significativo, di cielo e luce dellaNotte,dellaNottecome «Madre», e addirittura del «Sole»dellaNotte:edètutto l’assieme che va letto. Non molto diversamente il Manfred di Byron recita ad esempio (parole del sesto spirito): «La mia casa è l’ombra della notte, / Perché latuamagiamitorturaconla luce», oppure: «Ed un sole il giorno avrà / Che ancora la notte ti farà invocare»; oppure, e forse proprio sul modello novalisiano, così inizia la canzone dell’Arciduca nell’Isabella d’Egitto di Arnim: «Notte, amata notte oscura» (e in un’altracanzone,quelladello Studente, si legge: «Il giorno mihatenutoprigionieronella foresta, / m’ha liberato la notte oscura»). E non dicono nulla di diverso certe grandi battute del saturnino Principe di Homburg nel dramma di Kleist: «Ora la notte m’inghiotta! … la notte dai capelli d’oro mi accolse con amore, tutta stillante di profumi, come una sposa persianaaccoglieilfidanzato, cosìmisonoabbandonatonel suo grembo». D’altra parte è possibile che sia di origine novalisiana l’indimenticabile immagine del «Soleil noir de la Mélancolie» del testo più celebre di Nerval, competentissimo di cose tedesche. È evidente il retroterraspiritualisticooanzi irrazionalistico, che mai Leopardi avrebbe potuto accettare,diquestomitodella ‘Notte’;epiùprecisamenteil suo forte accento antilluministico, se poi consideriamo compimento artistico del secolo dei Lumi il Flauto magico di Mozart, con le figure della Regina della Notte, e del nero Monostato, contrapposte alla luminosa saggezza umanistica dei Sacerdoti e di Sarastro; cito solo brevissimamente dal finale: «IraggidelSole/discacciano la Notte». E Schiller: «E le immagini della Notte cedono alla virtù della Luce». E qualcosa dello stesso tipo poteva essere detto nel Settecento in modo graziosamente libertino, con tutt’altro tipo di elogio della Notte.ÈlacanzonediPhiline nel Meister di Goethe: «La solitudine della notte / non cantateincupamelodia;/no, obelledelmiocuore,/èfatta per la compagnia… Potete rallegrarvi del giorno / che soltanto tronca le gioie? … Perciò durante il giorno così lungo / ricordati, amato cuore:/ognigiornohailsuo cruccio / e la notte ha le sue gioie». Più avanti, un poeta abbondantemente passato per ilRomanticismo,Heine,potrà però scrivere in un suo testo famoso (anche questo musicato da Brahms): «La Morte è la fredda Notte, / la Vita è il giorno afoso». Si rinvia comunque a un capolavoro critico come 1789. I sogni e gli incubi della ragione di Jean Starobinski. Siamo, mi pare, al punto cruciale, cioè all’assoluta continuità di Leopardi, che semmai più volte lo radicalizza, col materialismo e razionalismo illuministici, di contro all’antilluminismo spiritualistico se non irrazionalistico dei romantici (Novalis: «Chi vuol cercare Dio lo trova dappertutto»). Dei suoi compatrioti dirà Nietzsche in Aurora: «La tendenza principale dei tedeschifututtadirettacontro l’Illuminismo e contro la rivoluzionedellasocietà,che, con un grossolano fraintendimento, era considerata conseguenza di esso».Senepossonomettere in rilievo vari aspetti. Uno, solo apparentemente marginale, è il costante antiplatonismo di Leopardi (ma non per lo stile, cfr. soprattuttoZib.2150),finoal Dialogo di Plotino e di Porfirio, di contro a questa eloquente affermazione di Friedrich Schlegel: «La filosofia di Platone è una degna prefazione alla religione avvenire». Ma veniamo a uno dei capitoli fondamentali, il rapporto o meno fra ragione e natura. Tutti sappiamo che in un primo tempo, quando la sua idea di natura è ancora positiva, in Leopardi questo rapporto si pone come antitesi: la ragione fredda e analitica è acerrima nemica dellasantanatura.Madopola svolta del 1824, o di subito prima, la ragione, nella pienezza delle sue facoltà, è l’unica garante della comprensione della natura, del mondo, e questo è tutto (respingo senz’altro la tesi, avanzata da taluno, secondo cui la ragione di Leopardi sarebbe in lui meramente «strumentale»). Ho citato primaunpassodecisivodello Zibaldone, cui sarebbe facile aggiungerne vari altri. Ma viceversa Wordsworth: «Con l’analisi noi uccidiamo», e Novalis in un suo Pensiero: «Noi cerchiamo dappertutto l’assoluto e troviamo sempre soltanto cose» (ma invero le ideediNovalisinmaterianon sono così univoche). Quindi Lamartine: «Che la mia ragione taccia, e che il mio cuore adori», e anche: «La natura, uscendo dalle mani del Creatore, / Spargeva in tutti i sensi il nome del suo autore»; con cui Hugo: «Tutto canta e mormora, / Tuttoparlanellostessotempo /Fumoetverzura,/Inidiei tetti; / Il vento parla alle quercie, / L’acqua parla alle fontane; / Tutti i respiri [haleines]/Diventanovoci!». La natura, con le sue correspondances, è oggetto non di comprensione razionale e analitica ma di abbandono sentimentale o di percezione totalizzante. Si può anche ricordare Diderot che scriveva nelle Pensées phylosophiques: «Una sola dimostrazionemicolpiscepiù dicinquantafatti». La questione si può stringere meglio guardando più specificamente al rapportoio-nonio.Noncredo abbia bisogno di dimostrazione il fatto che in Leopardiiduesonosempree nettamentedistinti:siachein una serie di poesie celeberrime l’io poetico leopardianosipongaversola realtà come spettatore e partecipe esistenziale ma nello stesso tempo come interprete razionale, sia che quell’io sia titolare di domande disperate e vane a cui la natura non può né vuole rispondere (Ultimo canto di Saffo, Pastore errante ecc.), e così via – il chevaleanchequando,come spesso,ilsoggettodiscorrente è un alter ego o specchio dell’io poetico stesso. Qui è opportuno ricordare la giusta idea critica di Solmi circa il fatto che Leopardi mette fra parentesi progressivamente l’‘ioautobiografico’,che–si può aggiungere – quando ricompare nella strepitosa quartalassadella Ginestralo è per essere annichilito dalla visione dell’Altro, che è l’abissodeimondisemprepiù remoti e infiniti. Diversamente nel Romanticismo, e specie nel piùforteetutt’unocolprimo Idealismo, quello tedesco. Facciamo parlare prima Schelling, che già nelle giovanili Lettere filosofiche sul dogmatismo scrive di «identità di soggetto e oggetto» e poi scrive che «al di fuori dell’identità assoluta nulla è in sé» (commenta Szondi che per il filosofo «tutto ciò che è è la stessa identitàassoluta»,datochein lui l’«avvicinamento a uno scopo spostato nell’infinito» diviene qualcosa che «è sempre già raggiunto»); passiamo quindi soprattutto a Novalis. Partirò dal celebre passo dei Discepoli a Saisin cui un discepolo solleva il velo alla Dea e vi scorge, meraviglia delle meraviglie, se stesso (non è inutile osservare che questo passo acquista maggior valore segnaletico se, come mi sembra, è una polemica o parodianeiconfrontidell’ode di tutt’altro spirito Immagine velata di Sais di Schiller, dove una voce chiede: «chi alza questo velo scorgerà la verità?», ma quello che egli ha visto non può confessarlo eloporteràallatomba:«guai a chi alla verità si accosta nella tomba, / non sarà mai gioioso per lui»). Altre dichiarazionidellostessotipo abbondano in Novalis, già negli stessi Discepoli a Sais, e ne cito alcune di corsa da altri testi: «Il mondo è un pensierorilegato»,«Ilmondo diventa sogno, il sogno mondo»,epiùesplicito:«Gli altri farneticano. Non riconoscono nella natura la copia fedele di loro stessi» ecc.«L’ioèundecodificatore del proprio testo» dice di Novalis uno studioso del rango di Blumenberg. Per il secondo Romanticismo tedescomilimiteròacitareda una poesia di Brentano «Beato chi, … non fuori dai sensi, simile a Dio, / cosciente solo di sé e poetando,/creailmondo,che è se stesso»; e anche questa volta è naturale arrivare a Wagner,semprealTristanoe sempre al duetto del secondo atto: «allora sono / io stessoio stessa il mondo». E per esempio nel Romanticismo spagnolo (come noto di sviluppo tardo), il suo maggior rappresentante, Bécquer, in Saeta que voladora potrà dire di se stessod’esseretutt’unoconla freccia volante, la foglia secca, l’onda gigantesca, la luce tremante; e analogamente ad esempio in Espíritusinnombre. Naturalmente non sto dicendo che l’identità io-non io dei romantici (specie tedeschi) sia un fatto a priori e statico – magari in Schelling sì –, in tanti casi sarà piuttosto il punto d’arrivo di uno Streben. Tuttavia la differenza con Leopardirestaabissale,etale diventa soprattutto quando egli scopre il carattere universalmente maligno e antiumano della Natura (1824): il non io diviene assolutamente non assimilabile ma solo altro ed ostile.Mipermettodiaddurre qui un passo per me impressionante dell’Estetica di Hegel, evidentemente in contropiede al precedente Idealismo: «lo spirito fa valere il suo diritto e la sua dignità solo nell’interdire e maltrattare la natura, a cui restituisce quella necessità e violenza che ha subito da essa», anche se poi si ammette la necessità della «conciliazione», dialettica, che però è evidentemente altra cosa dall’«identità» romantica, superandola polemicamente nel riconoscimento dell’autonomia della realtà, con cui il pensiero deve lottare.Egiàquattroversidel Faust goethiano suonavano così:«Follechisocchiudendo gli occhi volge lo sguardo lontano, / e immagina sopra lenuvolequalcosadiugualea sé;/stiasaldosullaterraesi guardi attorno, / per chi è capace di intendere questo mondononèmuto». Ancoradueappunti,chesi inscrivono più particolarmente nell’ambito delsensismoleopardiano.Un aforisma del Dialogo che chiude le Operette, quello di Tristano e un amico, suona perentoriamente così (e si tenga presente che con ogni probabilità Leopardi ha conosciutoancheLaMettrie): «l’uomo è il suo corpo»; ma inveceColeridge:«Ilcorpo,/ eterna Ombra dell’Anima finita, / simbolo dell’Anima stessa…», e Novalis che nell’Heinrich parla del corpo umano come simbolo: «il delicato simbolo che è il corpo umano», con le sue «membraspirituali»,ealtrove scrive, ricalcando la I lettera di Paolo ai Corinzi, 3, 16: «C’è un solo tempio al mondo,edèilcorpoumano». In un’altra sua pagina Novalisdettava:«Lemalattie contraddistinguono l’uomo dagli animali e dalle piante». Ma Leopardi nel brano forse più sconvolgente dello Zibaldone, «Tutto è male» (4174-4177, 22 aprile 1826), accredita di souffrance, rappresentandola drammaticamente, non solo glianimalimaanchelepiante (fra i luoghi paralleli si può invocarealmenol’invenzione dell’umile ginestra). E mi pare che in questo luogo del Diario si diano la mano, antiromanticamente, appunto un sensismo spinto all’estremo, ma anche rovesciato in universale carità, l’idea sempre viva dell’universaleepercosìdire imparziale malvagità della natura e infine quella che è certo una delle conquiste intellettualipiùnotevolidello Zibaldone, delle Operette e dei Canti, cioè una concezione del mondo non solo antiantropocentrica, ma anche antigeocentrica, in cui l’uomo è un mero accidente. Qui si può aggiungere un corollario: nei romantici, in lineagenerale,ilpensiero,oil pensiero-intuizione, ha una funzione fortemente costruttiva; per Leopardi invece, come lo Zibaldone non si stanca di ripeterci e come già ritenevano tanti illuministi, a partire da Voltaire,lafilosofiamoderna, cioè appunto illuministica, non può costruire nulla, può solo distruggere, distruggere l’errore (così appunto nel caso vistoso e decisivo del rovesciamento dell’idea di natura benefica). Di qui, anche, la disperata eppure feconda solitudine leopardiana.Esivedainvece sull’altra sponda un verso di Musset: «Voltaire getta per terra tutto quello che vede in piedi». Madecisivosaràsempreil responso dello stile, con quantoquestoveicoladiidee. Mi riallaccio quindi a quanto accennato sulla ricchezza, e spesso dissipazione e ridondanzafiguraledeigrandi romantici rispetto alla continenza leopardiana. E lo perfeziono presentando altri fatti,cioèduebrevilirichedi ShelleyediHugo,forseipiù figurali fra i romantici, tutte intessuteacatenadifiguredi somiglianza, che quasi sgorgano l’una dall’altra, come mai e poi mai è accadutoaLeopardi.Shelley, seconda strofa di To Jane: TheRecollection:«Vagammo versolapineta/Chesfiorala spumadell’Oceano,/ilvento lievissimo era nel suo nido, / la tempesta nella sua casa. / Le onde bisbiglianti erano quasiaddormentate,/lenubi eranoandateagiocare,/esul grembo del mare profondo / posava il sorriso del cielo…»;eHugo,adesempio una strofetta della II parte di L’aurore s’allume: «Verità, bel fiume / Che nulla dissecca! / Sorgente dove tuttos’abbevera,/ Stelodove tuttofiorisce! / Lampadache Dio posa / Accanto a tutte le cose!/Splendorechelacosa /InviaalloSpirito!». Anni fa, occupandomi di questa stessa questione, mi era parso ragionevole legare l’indefesso metaforismo romantico a una sottostante concezione della realtà e del mondo,edellostessopensare umano, come analogia e metamorfosi. E cito subito NovalischeneiPensieriparla di «affinità senza numero» e poi ragiona così: «Tutte le idee sono affini. L’air de famille si chiama analogia», mentre nei Discepoli a Sais leggiamo: «Egli non tardò a scoprireintuttocollegamenti, relazioni, coincidenze; più nulla ormai gli pareva isolato… Godeva a ricollegarecoselontane…»(e anche: «in quel grande cifrario che ovunque ci appare»). Ricorro ancora a Blumenberg che così caratterizza l’‘idealismo magico’novalisiano:«visione del mondo fondata sulla scambiabilità e sulle permutazioni»(eperSchlegel nella mitologia «tutto è relazione e metamofosi»). Ognuno vede, e perciò non insisto, il rapporto stretto fra questo analogismo e la tendenziale indistinzione fra soggetto e oggetto, sia il primoacrearepercosìdireil secondo o da questo venga risucchiato panicamente. Anche si potrebbe ragionare sulla connessione fra l’analogismo e la tendenza a far virare l’allegoria in simbolismo (tendenza del tuttoestraneaaLeopardi),ma anche qui non insisto, anche perché Schegel come vedremo subito parla di allegoria, e piuttosto aggiungo qualche altro raffronto. Lo stesso Friedrich Schlegel scrive in un Pensiero sulla mitologia: «tutto è relazione e metamorfosi»; Wordsworth in Rimprovero e risposta parladi«unamoltitudine/di cose perennemente dialoganti»; Hugo: «il mio spirito è ricco in metamorfosi» (Dicté en présence du glacier du Rhône);Keats,OdeaPsiche: «Sì,lasciasiaioiltuocoro,e pianga… lascia ch’io sia la tua voce, il tuo liuto, il tuo flauto, il tuo dolce incenso / chefumadalturiboloscosso; /iltuosantuario,iltuobosco, il tuo oracolo, il tuo ardore / di profeta sognante dalla pallida bocca» (il ‘tu’ è la Dea-Psiche): perfetto esempio di rapporto necessario fra senso dell’analogia e della metamorfosi e fuoco d’artificiofigurale. Altro sentimento che provoca l’eccesso figurale, o analogico, è quello dell’ineffabile. Ancora Schlegel: «ogni bellezza è allegoria. Il sommo, proprio per il fatto che è ineffabile, possiamo esprimerlo solo allegoricamente», interessantissima congiunzione; e cfr. anche Novalis,InniallaNotte:«alla sacra, indicibile, misteriosa Notte», Hugo alla fine de La pente de la rêverie: «Nel profondo dell’abisso egli nuotò solo e nudo / Sempre andando dall’ineffabile all’invisibile». Altra cosa il leopardiano «Lingua mortal non dice / Quel ch’io sentiva in seno», preceduto e seguito (qui anche con sottolineature esclamative) dalla vitalità di sensazioni e ricordi belli. E mai nello Zibaldone l’ineffabilità è una categoria dipensiero. Ma entriamo ora nell’officina rispettiva. Leopardi foggia un linguaggio – e a questo si tiene in sostanza pur nella varietà delle fasi dei Canti – che esprime una grande novità ideologica ed estetica però assorbendo e rivitalizzando intensivamente una tradizione poetica che è quellaitalianamasonoanche e forse più Omero e gli altri grecieilatinicomeVirgilioe Orazio (in Zib. 3416 ss., e non solo lì, sta scritto chiaramente che la condizione per l’eleganza poetica è l’antichità della lingua). E questa scelta s’innesta nell’idea sua mai abbandonata che la lirica, sommodellapoesia,nonpuò essere tale se non al modo degli antichi, e ciò per la ragione fondamentale – tra altre–checaratteristicadella modernità è anche quella di respingere la poesia stessa. D’altra parte Leopardi istituisce un rapporto stretto, di cui tutti vediamo in lui la necessità, fra quel razionalismo e materialismo cui i romantici voltano combattivamentelespalleeil classicismo nella forma, ivi compresa l’opportunità di mettere la sordina classica ai propri pronunciamenti materialisti e nichilistici, il che vuol dire, si faccia attenzione, non velarli, ma renderli al contrario più evidenti (enárgheia) e quasi epigrafici. Alcontrario,èlampantela connessione fra eccesso stilistico e spiritualismo, e ancheegotismo,neiromantici o nella maggior parte di essi. Di fatto, nella potente rivoluzione poetica, e ideologica, che si svolge tra fineSettecentoeOttocento,la vocazione romantica all’eccessononportasoltanto con sé una corrispondente rivoluzione linguistica e formale, ma l’apertura irreversibile di una stagione, che si può dire duri fino ad oggi, in cui la poesia potrà vivere, attraverso avanguardie, sperimentazioni formalistiche, cancellazione del passato ecc., solo come continua rivolta contro sé medesima. Penso che a rifletterci un attimo non sfugga il rapporto con quell’aspetto del capitalismo moderno che il pensiero marxista, nell’ammirazione dei caposcuola per il dinamismo della nuova borghesia, ha definito come necessità di innovare incessantemente mezzi e strumenti di produzione, insomma tecnologia. Leopardi resta al di qua di questoprocesso,eanzitutto– quasi non occorre dirlo – per labuonaragionecheilgrande pensiero settecentesco per lui non è affatto una spiacevole parentesiantispiritualisticada cancellare, ma un punto fermo rispetto al quale ogni spiritualismo è un inganno e un irrimediabile passo indietro. Forse è anche per questo motivo che Leopardi appare ed è l’ultimo dei classici. Naturalmente nell’opposizione Leopardi/Romanticismo si devedistinguere,comeanche idatichehopresentatofanno intravvedere. La distanza di Leopardi è certamente massima dal Romanticismo per eccellenza, quello tedesco, un po’ minore da quello inglese (ma sì da Coleridge e Shelley, con qualche tangenza invece con Keats), massima di nuovo da francesi eminenti e influenti comeLamartineeHugo.Qui qualche elemento comune si ha solo con Vigny, come indica in particolare l’attitudine stoica verso la mortepredicatasianellaMort duloupchenelBrutominore – non è vero però come è stato detto che in Leopardi come in Vigny coesistono due idee di natura: è probabilmente così nel francese,mainLeopardi,non mi stanco di ripeterlo, il DialogodellaNaturaediun Islandese del ’24 segna una cesuradefinitiva,unpuntodi non ritorno. E altrettanto naturalmente c’è un fatto di sostanza nel quale Leopardi converge coi grandi romantici,edèlasuapotente collaborazione – sostenuta anche da una precisa poetica che emerge da tante pagine dello Zibaldone – all’idea e praticadellaliricacomesede del‘grandestile’,luogoincui l’energia tragica dell’individuo si oppone all’ordine della società vigente, nonché all’operazione che rende possibile questa sublimazione, vale a dire la trasformazione della lirica da genere poetico fra i tanti in forma assoluta dell’espressione e stampo poetico non fungibile del sé (cfr. ancora il grande saggio diAdornosuLiricaesocietà, egiàlepaginediHegelsulla lirica«soggettiva»). Ultimo dei classici, Leopardi fu certo, rispetto all’attualità dei romantici, un inattuale: nel senso, si capisce, in cui erano o si sentivano tali Nietzsche e Mahler, in seguito attualissimi. Anche in Italia, per non parlare del resto del mondo civilizzato, la storia letteraria dell’Ottocento si è svolta, come in tanti hanno notato, quasi come se Leopardi non fosse esistito. Bisogna arrivare, salvo Sainte-Beuve, a Nietzsche da un lato, a Pascoli dall’altro perchéilsuopensieroelasua poesia trovino ascoltatori di rango. E la linea poetica vincente è comunque quella Romanticismo-Simbolismo. Nonvapoidimenticatocheil geniale Zibaldone vede la lucesolonell’estremoscorcio del secolo (ognuno di noi si trova spesso a sognare cosa avrebbe potuto essere un incontro di Nietzsche con lo Zibaldone!). E comunque nel secolopassatoincuilapoesia di Leopardi ha nutrito tutti i migliori, il suo pensiero è rimasto molto a lungo fuori del circolo filosofico a causa dell’obiettiva alleanza di cattolicesimo e idealismo, anche in veste di sinistra (poche cose Croce ha capito così poco come Leopardi). Con le parole pungenti di Baldacci «un connubio tra socialismo e cristianesimo che ha messo per sempre la mordacchia a tutti i problemi che più urgevano al filosofo di Recanati»; e anche in interpretazioni recenti più aperte e complici non può sfuggire certa tendenza a elidere precisamente il materialismo del filosofo e poeta. Non vorrei però, lo dico oraincoda,esserfrainteso.Il tavolo sopra il quale ho giocato non comporta affatto cheiononsappiaesentache grandissimi poeti sono Wordsworth, Coleridge, Hugo, Eichendorff, e soprattutto Keats, e ciò non nonostante ma in forza del loro terriccio ideologico spiritualistico ed egotistico che sprigiona tanta energia poetica.Echenonsappiache lamodernitàpoeticas’innesta in linea di massima sul Romanticismo, ci piaccia o meno la nostra modernità come tale, con molte e forti eccezioni che sono ad esempio Hardy o Machado e Salinas, Saba e Auden, la Achmátova e Larkin – e per altroaspettoBrecht(mentreè sempre eloquente che in uno dei massimi, Apollinaire, convivano pacificamente l’avanguardismo più sfrenato e allegro e uno squisito melodismo ‘verlainiano’). In ognicaso,apoetiestraneialla linea ‘mallarméana’ privilegiata a torto da Friedrich si opponga ad esempio da jonction Baudelaire-Browning cara a poeticomePoundeMontale. Ecioèunapoesia‘metafisica’ (definizione montaliana) ad unaermetica.Sempreilpoeta italiano ha definito la prima comecozzodellaragionecon tutto ciò che non è ragione: per caso la formula non si addirebbe anche alle convinzionieallaprassidello stessoLeopardi? Tutto ciò non toglie che non occorre condividere tutte le tesi del classico libro di Lukács per dover dargli ragione quando vede in tanto romanticismo il punto di partenza di quella «distruzione della ragione» che contrassegna per tanti aspettilamodernità. II Dueformedel discorsopoetico leopardiano La poesia del Leopardi – per quanto caratterizzata dalla peculiarità e dall’individualità di ogni singolo componimento – è riconducibile ad alcune ‘fasi’; a queste ‘fasi’ corrispondono specifiche modalità costruttive. L’allegoria leopardiana è sempre chiara ed esplicita e metteinlucesiailfigurato,sia ilfigurante. ÈcosarisaputacheiCanti si possono scandire, salvi alcuni individui irriducibili o altri che hanno una funzione che possiamo definire di ‘ponte’, in una serie precisa difasicaratterizzatecometali non solo da costanti di ideologia e contenuto, ma anche di stile (metrica compresa, anzi in primo luogo). Provo a ricapitolare con cautela, ponendomi dal puntodivistadelrapportofra l’iopoeticoel’altrodaluioil mondo, ma cercando nello stesso tempo di non dimenticare che, inversamente, è fortissima in Leopardi la tendenza a caratterizzare in modo altamente specifico ogni singola sua lirica, o d’altra parte quella a procedere per ‘dittici’(adesempioleprime due canzoni o la Quiete e il SabatooledueSepolcrali)[1]. Le varie fasi della poesia leopardiana non sono costituite da serie di varianti, ma da costellazioni di individui. In una prima fase l’io dialogaconlegrandiessenze della storia e del mito, e non diradodellastoriacomemito (in parte All’Italia, Inno ai Patriarchi…), sicché sul telone della storia-mito sono proiettate anche le occasioni della quotidianità perfino domestica (Alla sorella Paolina, A un vincitore; cfr. 14 «Del barbarico sangue in Maratona…») o dell’attualità culturale(Angelo Mai). Sono le Canzoni, con l’eccezione almeno parziale dell’ultima scritta, e inoltre spostata avanti nella struttura della raccolta, la ‘platonica’ Alla suaDonna[2]. NegliIdilli,contemporanei alle Canzoni ma ad esse volutamente contrapposti già nel metro e nelle misure, e che possono giungere a una sortadiistantaneitàpercettiva (mentre l’uso dello sciolto è perfettamente in funzione del carattere di quei testi, la narrazione piuttosto che descrizione o evocazione delle proprie esperienze esistenziali),negliIdillil’iosi confronta con una natura prossima e quasi domestica, consolatrice o sublimatrice delle pene personali; e vi si confronta quasi mettendo fra parentesi il relativo contesto sociale, sicché quella natura quotidiana diventa la natura in tutta la sua maestà: natura insomma, e non paesaggio, come mostra esemplarmente il tragitto dal secondo alla prima nell’Infinito. Sogno a parte, che per certi aspetti fa coppia col più antico Primo amore, si stacca dal rimanente l’ultimo Idillio scritto, La vita solitaria, che perunversoriassumeedilata iquattroprecedenticonpunte anzi più ‘idilliche’ in senso tradizionale o settecentesco (la «capanna»…), per l’altro guarda avanti facendo in particolare da ponte verso i Canti pisano-recanatesi, col suo ambientarsi non più solo al cospetto del paesaggio- natura, ma del «borgo». È negliIdillicomunquechel’io poetico tende a coincidere conl’ioesistenzialepiùnudo esolo. Dopol’annunciosquillante del Risorgimento i Canti pisano-recanatesi approfondiscono quel tema del disinganno (illusorietà dellasperanza,delpiacere,di un’attivitàstessasottrattaalla noia)chegiàavevacosìgran parte nello Zibaldone e nelle Operettemorali; ma la scena è ora decisamente all’interno del borgo di Recanati, che diventa in quelle liriche supremeunodeglihautslieux della poesia di tutti i tempi: entro di esso l’io poetico più che contemplare accoglie il mondo esterno in sé ma soprattutto rammemora, e l’attività del borgo, mentre esprime quella vivacità e quellagraziachepureoffrono una momentanea felicità, nellostessotempoèlafigura dellaVitachevieneconfutata dalla voce dolorosamente ferma del perenne dolore umano. Reduce dalle sue prose ‘in forma’ (gran parte delle Operette) e no (quasi tutto lo Zibaldone), qui veramenteLeopardidàalsuo pensiero poetante (con l’espressione felice di AntonioPrete)unassettoche è tanto senza scampo quanto èliberamadefinitivanelsuo ritegno classico la forma del proprio discorso poetico, che per lo più è la ‘canzone libera’. Naturalmente sta alquantoasél’ultimoindata – a parte probabilmente il Passero solitario – di questi testi, il Canto notturno, non fosse altro che per l’enorme slargarsi, che tende all’infinito, dello spazio («solitudine immensa» ecc.), cui corrisponde l’indeterminazione, o arcana retrocessione, nel tempo (la ‘fonte’ di questo Canto parla di «chants historiques» di quei popoli). La diversa impostazione, come si sa, ha immediati riflessi nella metrica (l’unicum della rima costante a fine di ogni lassa, con eloquente ripresa anche all’inizio dell’ultima secondo l’antico artificio delle coblas capcaudadas), e in tanto altro: a cominciare dalla fisionomia della seconda protagonista, la luna, che in parte conserva il vecchio ruolo di affettuosa e femminile compagna dell’uomo (specie prima lassa) ma più assume quello di un astro tacito e lontano, immagine e parte dell’insensibilità della natura («Silenziosa»2,«solinga»61, «muta» 80 ecc.). Non c’è dubbio:ilCantonotturno,più ancora degli altri Pisanorecanatesi, non è concepibile senza le recenti meditazioni della prosa dell’autore, e anche per questo apre senz’altro verso la desolazione cosmica dell’ultimoLeopardi. L’‘esistenzialismo’ negativo di Leopardi raggiunge la sua punta nel cosiddetto Ciclo di Aspasia, nella lirica a lei intitolata, unica contro una donna, e ancor più nei sedici rotti, affannati e testamentari versi di A se stesso; ma occorre mettere l’accento sull’eterogeneità (anche nello stile, qui massimamente divaricato) dei cinque carmi che lo compongono: estremo e singolare accostamento di Leopardi al Romanticismo, e non al migliore, in Consalvo (penso particolarmente a Rolla di Musset, ma cfr. ad esempio anche Alastor di Shelley o Le Trappiste di Vigny), del resto anticipato dall’autorenellasequenzadei Canti; altro inno ‘platonico’ all’amore, ma più architettonicoedenso,equasi non finito, è nel vasto Pensierodominante,el’ancor più notevole Amore e morte intreccia agli elementi comuni col Canto che lo precede motivi e una costruzione stessa che fanno presagireleSepolcrali. Nella quinta e ultima fase della sua poesia, a Napoli, l’io esistenziale si sublima e sconcretizzatotalmente,tanto che le due Sepolcrali non muovono da occasioni vitali ma dal fuori tempo e dall’emblematicità della statuaria; e affronta quasi da spettatore o meglio da ‘coscienza’ se non da legislatorelequestioniultime dellamorteedelcosmo.Maè pure rilevante che questo allargamento di orizzonti speculativi, come se il giovanileInfinitofossemesso al cubo, mentre invece i predicati tante volte discussi della morte divengono carne e sangue, comporti anche un’attenzione nuova alla società contemporanea nel suo intero, non più nella misuradellachiusaearcaica, e in qualche maniera protettiva, particolarità del «borgo».ÈlaPalinodia – da affiancarsi soprattutto agli esercizi sarcastici dei Nuovi credenti e della Batracomiomachia, esclusi dalla raccolta –, ma è soprattutto l’intreccio di visione sociologica e visione cosmica, di società e natura distruttiva nella smisurata Ginestra. Tuttavia il Tramonto della luna, fratello del grande carme per la potenza dello sguardo cosmico, in grandiosa ripresa dall’alto opposta e complementareallaancorpiù grandiosa esplorazione del cosmo dal basso della Ginestra, declina quella visione della natura con una dolcezzaeunabbandonoche sonoquasiquellidegliIdillie dei Pisano-recanatesi: è, per dircosì,uncosmo-paesaggio. Mi sono permesso questa ovvia ricapitolazione per poterinserirenellaseriedelle ‘fasi’ dei Canti due modalità costruttive che a me paiono fondamentali del discorso poetico di Leopardi, e che in linea di massima non sono affatto ubique. La prima è la presenza protagonistica e in genere dotata della propria voce di ‘personaggi’ che in un modo o nell’altro funzionano da alter ego o sosia dell’io poetico, se non vogliamo dire senz’altro da Doppelgänger,comesuonail protagonista di una lirica di Heine (Heimkehr 20; e vedi ancheibidem60)musicatain modo sconvolgente da Schubert.Ilterrenodicultura di questi ‘doppi’ sono soprattutto le Canzoni[3], come vuole la proiezione eroica e agonistica dell’io nella storia e nel mito: la figura di Simonide in All’Italia[4], soprattutto ma nonsoloilTasso(cuipoisarà dedicata un’Operetta) nell’Angelo Mai, Bruto (‘doppio’ più di tutti), Saffo: tre di questi quattro parlano con la loro voce, l’ultima, Saffo, anche senza introduzione ‘narrativa’ o rievocativa. Controprova dell’urgenza di questo modello nelle Canzoni mi pareilfattochenella Sorella Paolina la protagonista e dedicataria, che evidentementenonpuòessere giudicata in senso stretto un alter ego dell’io poetante ma un suo complemento fraterno (sororale), sprigiona via via due doppi di sé, più rapidamente la «sposa giovanetta» spartana che affronta fieramente la morte delmarito(vv.71-75)epiùa lungo,perleduestrofefinali intere, la romana Virginia. Prescindendo per ora dal Canto notturno, che per la sua complessità va tenuto a parte, il procedimento del Doppelgänger si ritrova in duetestipiùtardimache,per quel che vale nel caso la constatazione, Leopardi ha arretratonell’ordinedeiCanti rispetto alla data di composizione, il Passero solitario (vedi per un possibile paragone The Nightingale di Coleridge) e comes’èdettoConsalvo:eil primo, che finisce per collocarsi non lontano dalle Canzoni, ha questo di caratteristico, che la specularità si realizza non in assenza (e dunque in sottinteso) dell’io, ma in sua presenza, e la figura dell’io, dopo essere stata posta in forma ‘analogica’, alla fine vienepostainformainversao oppositiva.Vedremopiùtardi trattamenti simili dell’allegoria. È anche interessante osservare che nella lingua prestataaqueitalipersonaggi delleCanzoniemerganoversi o espressioni simili ad altri che più avanti nei Canti apparterranno alla voce dell’io poetante. Cfr. per esempio All’Italia 80: «Guardandol’etraelamarina e il suolo» (molte mosse simili nel Leopardi successivo); 127-128: «Ecco iomiprostro,/Obenedettial suolo», cfr. Sera del dì di festa23-24:«Equiperterra/ Mi getto e grido e fremo», con uguale figura ritmica, quinario più settenario a cavallo dei versi interessati; Angelo Mai (a proposito del Tasso) 128-129: «Amore, / Amor di nostra vita ultimo inganno…» e Vita solitaria 39-40: «Amore, amore, assai lungi volasti / Dal petto mio…»;Brutominore45:«E maligno alle nere ombre sorride», da cfr. coi finali della Vita solitaria e di Aspasia; Ultimo canto di Saffo 64-65: «poi che perìr gl’inganni e il sogno / Della mia fanciullezza», e A Silvia 49-52:«Ancheperìafrapoco / La speranza mia dolce, agli anni miei / Anche negaro i fati / La giovinezza» ecc. E globalmentesipuòdirecheil tema dell’alter ego esperito nelle Canzoni passa soprattutto da queste alla prosa critica delle Operette, nelle quali è continuo, a segnare ancora una volta la precedenza dell’invenzione poetica sulla riflessione della prosa (il caso più eclatante è L’infinito, il cui contenuto concettuale è discusso più volte nello Zibaldone dopo e nonprimadell’idillio). Conlaritornantefiguradel doppioLeopardipareinserirsi in un tema che percorre tutto l’Ottocento: la narrativa (Hoffmann, Chamisso, Dostoevskij, Stevenson ecc.), come la poesia: dalle liriche già citate di Musset ecc. al Dèmone (trad. Spendel e Giudici)diPuškin,aNotteII eIIIeaIlmiodemone(trad. Landolfi) di Lermontov, ai due testi appena ricordati di Heine cui vanno aggiunti almeno dello stesso il «Blutfinster Gesell» di Traumbilder 7 e l’Atlas di Heimkehr 24 (pure musicato genialmente da Schubert), e via dicendo[5]. Ma mentre nelle opere ottocentesche ora menzionate e in tante altre simili il trattamento del tema è, tipicamente, visionariodemoniaco, Leopardi sfiora appenaquestadimensionenel Bruto, ma propriamente non latoccamai,contrapponendo a quella dissoluzione dell’io una proiezione eroica del sé quale era possibile non solo nell’ambito di una poetica ‘classica’ ma anche, diciamo pure, per il fatto che Leopardi, soprattutto nelle Canzoni, si poneva come un io antagonistico strettamente individuale, non come un io ‘sociale’.Comegliavvienedi regola, anche in questo a Leopardi accade che, muovendosidaunaposizione storica più arretrata e decentrata di quella dei contemporanei romantici, proprio per ciò finisce per collocarsi non dico più indietronépiùavantidiloro, maaltrove. Ec’èqualcosanellefigure del doppio che, guardando ora all’interno delle forme poetiche leopardiane in sé, è anche più notevole, ed è che quegli alter ego (compresa Virginia) pronunciano in genere (e sempre nelle Canzoni) dei veri e propri monologhi tragici, degni di SchillerodiGrillparzerodel grande monologo del protagonista nel Ruy Blas hugoliano. Perciò quel Leopardichefindall’inizioe sempre ha proclamato l’eccellenza della lirica sopra le altre forme di poesia, o addirittura il suo essere l’unica vera forma di poesia, in realtà carica le Canzoni(e poi il Canto notturno) di istanze elocutive che dobbiamo definire narrative e,ancorpiù, teatrali, in virtù delle quali quei testi sono di fattomoltolontanidallamera lirica, quella stessa che Leopardi esperiva allo stato puro, contemporaneamente alleCanzoni,negli Idilli.Dai quali dunque esse si differenziano, fra tanto altro, per dispiegarsi in forme liriche che così spesso contengono in sé la contraddizione, o la dilatazione estrema fin quasi all’esplosione, dell’essenza lirica. Ne deriva anche che quei testi, a modo loro, realizzano la pulsione all’oralità che sempre più ci appare primaria in Leopardi, e sempre più un segno forte del suo distacco effettivo dalla tradizione, mentre dichiarano già da parte loro quellavocazionealcantoche sarà sempre più forte nel poeta (il poeta dei Canti, titolo insolito), e che in questo lo avvicina a una istanza primaria della Romantik. La seconda modalità costruttiva, e cioè l’allegoria, è del tutto estranea alla fase che ospita in modo più organicolafiguradel‘sosia’, cioè la fase delle Canzoni, e comunque sta, con un’importante eccezione su cui ci fermeremo, quasi in distribuzione complementare rispetto a quella. Di fatto l’allegorismo si affaccia per la prima volta, dopo il cosiddetto ‘silenzio’ poetico degli anni 1823-27, nella lirica fondativa del nuovo Leopardi, ASilvia. E però vi si affaccia, come è significativo,inunaformada un lato ancora indiretta ma dall’altro molto singolare, e non solo perché Silviafiguranteagisceinpresenzae non in assenza del suo figurato, la speranza giovanile. Infatti ormai si deve ammettere, soprattutto sullabasedelgrandefinale(e tuttoiltestoneacquistatanto piùdisuggestione),chel’una e l’altra si fondono, e che la morte metaforica della speranza sprigiona da sé quella reale di Silvia, o viceversa: ma allora si deve ancheammetterecheinrealtà figuranteefiguratosembrano scambiarsi di funzione, e che se Silvia ‘rappresenta’ la speranza, a sua volta la speranzarappresentaSilvia:è un’allegoriareciproca.Questa ambiguitàèunadelleragioni chefannodiASilvianonsolo uno dei capolavori poetici di Leopardi, ma uno dei suoi testi concettualmente più ricchi. Nelle Ricordanze invece, complicel’andamentodisteso enarrativoelafocalizzazione sulla molteplicità dei ricordi, Nerina,adifferenzadiSilvia, resta Nerina e basta, quasi ampliamento elegiaco della prima (coppia Nerinagiovinezza vs Silviasperanza) e senza sensi ulteriori. Ma subito dopo, nella Quiete e nel Sabato, l’allegorismo prende fiato, e si designa con una nettezza che è come la controparte dell’indicibile e aerea icasticità con cui le scene di vita nel borgo sono non evocate, ma descritte in contemporanea e quasi simultaneamente: nella prima la ripresa della vita attiva dopolatempestaèimmagine parlantedelcarattereeffimero e vano del piacere, puro prodotto della cessazione del dolore (o terrore); nel secondo, dall’angolo di vista oppostomacomplementare,è di scena l’attesa, destinata ad essere fatalmente delusa, di una felicità futura («Diman tristezza e noia…» in rima antitetica con «gioia»); e nell’allocuzione finale sconsolata eppur tenera al «garzoncello» (come in Ricordanze 74 ss.) non diremo magari che si delinea un’allegoria minore entro la maggiore, ma certo quest’ultima è richiamata dalla doppia occorrenza, e doppiamente in rima, del sostantivo tematico festa che fa gruppo con quelli della Quiete e del Passero (qui anche festeggiar). Meglio si potrà dire che un’allegoria minore entro la maggiore è ospitata nella Quiete, se il «passeggercheilsuocammin ripiglia» che chiude la prima lassa può essere indiziato di ‘figura’ dell’io tristemente pensante che s’appresta a relativizzarne e contraddirne le vitali e festose apparenze nel mentre che se ne allontana. Proprio la coppia di opposti e complementari costituita dalle due allegorie, che colpiscono entrambi gli aspettidellateoriadelpiacere elaborata per tempo dal filosofo o ‘moralista’, ci fa subito comprendere che l’allegorismo non avrebbe potuto profilarsi nei Canti se nonavesseavutoallespallela riflessione dello Zibaldone e delle Operette (queste a loro volta non prive di allegorie); odettoinaltromodochec’è un rapporto preciso fra l’allegorismo e una poesia che sempre più acquista carattere speculativo. Va sempre ricordato che al tempo dei Canti pisanorecanatesi (e a maggior ragione dopo) Leopardi ha giàscrittolapartepiùgrande delle Operette e quasi terminate le Note dello Zibaldone. Ciò vuol dire che da questo momento in poi l’istanza speculativa passa in carico alla poesia, che deve dotarsi di nuovi strumenti, unodeiquali,enonl’ultimo, è appunto l’allegoria, con la sua evidenza razionale. Ma non solo: l’impianto allegorico, in questi Canti e altrove (cfr. soprattutto il Tramonto della luna) è ciò che permette a Leopardi di mettere in scena contemporaneamente le due opposte istanze della sua poetica, quella del pensiero che nega ma anche quella della Vita che brulica e rallegra il cuore. E quindi, ben lungi dall’essere un marchingegno intellettualistico, scaturisce dal cuore stesso della mente poetica leopardiana. Ai due testi recanatesi appena ricordati si deve poi aggiungere, quale che sia la sua datazione (’28 o, com’io preferisco, alquanto più tardi), e anzi come particolarmente probante, l’Imitazione da Arnaut: particolarmente probante sia nel suo riprendere il tema allegorico archetipico della foglia come simbolo della condizione umana (Omero, Mimnermo, Bibbia…, e fino a Verlaine e Ungaretti: ma qui spesso, non è male osservare, al plurale), sia e ancor più perché Leopardi, a tanta distanza di tempo da quanto ha conosciuto La feuille – non meno di dieci anni–vaa‘imitare’unalirica già in se stessa dichiaratamente allegorica, e lo fa trasformando una simbologia tra esistenziale e politica (la foglia è Arnaut stessochevagasmarritodopo che è mancato il suo sostegno, la querciaNapoleone) in una nuda rappresentazione dell’universale destino degli uomini; e sono accentuazioni particolari in questo senso il comune vento che non è l’eccezionale orage, «e tutto l’altro ignoro», quasi come nelPastoreerrante, in luogo di «sans me plaindre ou m’effrayer», mozione degli affetti, e meglio di tutto l’aggiuntivo «naturalmente», cioè‘perleggedinatura’.La foglia è la pura e universale umanità. EsiamoalCantonotturno, diverso dagli altri Pisanorecanatesi e in genere dal resto dei Canti da non pochi puntidivista,cominciandoda quelli accennati più sopra. Mentretuttelealtreallegorie finora esaminate sono, Canto per Canto, uniche, in quello delpastoresonoplurime.Nel contenente principale, il discorso o canto del pastore come allegoria dell’umana condizione (Montaigne), ne sono incassate altre due: la seconda lassa del vecchierello, sorta di miseen abyme, che potremmo considerareilrovesciotragico del vecchio pellegrino di Wordsworth, in modo differente esprime il medesimo significato del tutto («tale / È la vita mortale»), ma non in forma statica e definitiva bensì sgranandolo lungo un’esistenza dolorosa vista non globalmente ma nella progressione dei suoi accidenti; e quanto alla greggia – Zibaldone ma anche la metafora di Ricordanze 43 alla mano – altro non può significare che quella parte meno sensibile del genere umano che non prova il tedio e il suo potere mortifero, in ciò opposta al pastore che dunque vale a questo punto non per l’umanitàinteramaperlasua porzionepiùsensibile:eperò, come suona il finale, l’una e l’altra comunque sono destinate all’infelicità («È funesto a chi nasce il dì natale»,ultimoverso).Siamo quindi di fronte a un testo dall’allegoria plurima e inoltre, a potersi esprimere così,mobile.Enonèsoltanto questa la specificità, dal nostro punto di vista, del Canto notturno. L’altra sta nel fatto che è l’unica lirica dei Canti in cui coesistono allegorismo – anzi più frastagliato del solito – e presenza (per l’ultima volta nellaraccolta)dellafiguradel ‘sosia’, cioè evidentemente il pastore come Doppelgänger dell’io poetante leopardiano, carico dell’essenze, spremute ai loro minimi, della sua ‘filosofia’. Anche questa angolatura ci permette dunque di vedere come il Canto notturno, vera e propria antropologia poetica, sia il testo più denso e importante dell’intera raccolta,eforseilpiùgrande. Come c’era da attendersi, nessun segno di allegoricità comparenelCiclodiAspasia, diviso fra brucianti dichiarazioni dell’io esistenziale ferito e vindice e grandicostruzioniintellettuali sulla essenza d’amore (come è noto i due temi si incontrano proprio in Aspasia). C’è bensì, e si comprende, l’ultima ripresa della figura del doppio in Consalvo, significativamente collocato poi da Leopardi subito prima, e non dopo, i Pisano-recanatesi. Forse l’allegoria, o ancor più lo sdoppiamento, sono sfiorati nella«dicotomiafralamente, cheparla,eilcuore»(Carrai) di A se stesso, benché il dialogo col proprio ‘cuore’ riprenda l’evidente sineddoche della tradizione poeticadalMedioEvoinpoi ecosteggiuntoposromantico (Heine,Mussetecc.):infattiil ‘tu’ s’intercambia presto con l’‘io’(«micredei»,«sento»)o col‘noi’inclusivo,edelresto il titolo è appunto A se stesso[6]enon*Almiocuore. Concludendocongliultimi Canti, è chiaro che bisogna separare dagli altri la Palinodia; eppure con due riserve: la sua prossimità ai prettamente allegorici, e nel senso esopiano del termine, Paralipomeni; e la similitudine, notoriamente rielaborata da Zib. 4421, dei vv. 154 ss.: «Quale un fanciullo…», che potremmo definire para-allegorica, tant’è che ai vv. 170 ss. sta scritto: «La natura crudel, fanciullo invitto ecc.». Quantoaglialtriquattrotesti, evidentemente non cade dubbiosullanaturaallegorica della prima Sepolcrale («Mai nonvederlaluce/Era,credo, il miglior… Prima che… I lugubri suoi lampi il ver baleni», «Madre temuta e pianta / Dal nascer già dell’animal famiglia / Natura… Che per uccider partoriscienutri»ecc.),equi pure si affaccia una similitudine che costeggia l’allegoria:(«Comevaporein nuvoletta accolto…» 36 ss.), e forse a maggior ragione dellaseconda(«Cosìriduceil fato/Qualsembianzafranoi parvepiùviva/Immaginedel ciel. Misterio eterno / Dell’esser nostro»; «Natura umana,orcome…?»). Ma è bene fermarsi soprattutto sul Tramonto dellalunaesullaGinestra.Il Tramontopresentacomesisa l’equazione allegorica tramonto della luna = tramonto della giovinezza nella forma particolarmente maestosa ed evidente dell’amplissima similitudine interstroficachesisollevafin dal primo verso: Quale…, comparante nell’intera prima lassa–Tal…,comparatonella seconda (e si noteranno a confermalerelazionilessicali e concettuali di «In fuga / Vanl’ombreelesembianze/ Dei dilettosi inganni» 22-24 vs «ombre» concreto 6 e 12, «ingannevoli» 5; «Abbandonata,oscura/Resta la vita» 27-28 vs «Oscurità» 14ecc.).Entroquestoquadro può assumere una curvatura allegorica,unpo’forsecome già il «passegger» in chiusa dellaprimalassadellaQuiete, il «carrettier» di I, 19, commutato a II, 29, altro relais, nel «confuso viatore». Maancorpiùcaratteristicodi questo Canto è il fatto che, svoltinellaterzalassal’elegia della giovinezza e il quadro della miserabile vecchiezza, nella quarta quello che nelle due prime era una similitudine allegorica per affinità, diventa una similitudine allegorica per contrasto: la natura può rinnovarsi e risplendere di nuovo(ilriaffacciarsidelsole ècantatodaLeopardiinversi di inaudita evidenza e potenza), mentre la «vita mortal», infaustamente rettilinea e non ciclica, non può che correre dalla fine dellagiovinezza allamaturità alla vecchiaia alla morte, suo «segno» o punto d’arrivo predeterminato[7]. Nella Ginestra, come pure è ben noto, i portatori di allegoriasonodue,perdipiù fatti coesistere circolarmente nella prima e ultima lassa dello sconfinato Carme: lo «sterminator Vesevo» e la «odorata ginestra / Contenta de’ deserti», che intanto, contro le evidenze naturali, è nominataalsingolare(enella prospettiva allegorica si faccia mente locale anche al sostantivo deserti)[8].Segnalo allora appena un paio di elementi che ne collegano lo svolgimentoaquantoavviato nei Canti precedenti: la presenzadel«passeggero»13 e del «peregrino» 276, e le duegrandisimilitudinideivv. 138 ss. e 202 ss., la prima dichiaratamente allegorica, la seconda esplicata ulteriormentecometaleaivv. 241 ss: «Non ha natura al seme / Dell’uom più stima o cura/Cheallaformica…»(e cfr. anche 271-272: Pompei «come sepolto / Scheletro»). La Ginestra è ben contemporaneadelTramonto; eloèancheperlacircostanza chela«lentaginestra»,chesi piegaall’oppressioneomicida della natura senza vane resistenze o preghiere e orgoglio altrettanto vani, rappresentaecontrario («Ma più saggia, ma tanto / Meno inferma dell’uom») lo stolto atteggiamento degli umani – o della loro stragrande maggioranza.Maadifferenza del Tramonto e invece come il Canto notturno (col quale converrebbe scrutare le somiglianze) l’ultimo Carme di Leopardi è un testo ad allegorie plurime, sia pure subordinateallaprincipale. Cognata dell’allegoria è la prosopopea o personificazione. La distribuzione di questa figura nei Canti è pure interessante (mi devo limitare al rimando ai versi): All’Italia 6 ss. (ma nel complesso Leopardi riduce l’ampiezza della personificazione del modello principe della sua canzone, quella all’Italia di Petrarca); Sopra il monumento 42-43, 60-61, 92 ss.; Passero solitario41-44;Seradeldìdi festa 14-16; Ricordanze 124125; Pensiero dominante 15 ss.; Amore e Morte 10 ss.; Sopraunbassorilievo50ss.; Palinodia 55 ss. e 142-143; Tramonto della luna 22 ss.; Ginestra 52 ss., 80 ss., 124125, 227-230, 292-295, 304 ss. (è la ginestra!). Anche se certo avrò dimenticato qualcosa (ma ovviamente mi sonoguardatodalmetterenel conto la luna), il quadro che si delinea è eloquente. Dapprima nobile omaggio allo stile classico (come ad esempioleperifrasi,poniamo in Patriarchi 42-43, Ultimo canto 11-12 e 62-63), la figura della personificazione, quasi assente negli Idilli e assente come è ovvio nel CiclodiAspasia(chesemmai conta il ‘doppio’ del Consalvo), tende a situarsi precisamente là dove si colloca l’allegorismo, addensandosi nel Leopardi ultimo. Comunque, e ciò verrà buono in seguito, nel complessolepersonificazioni nei Canti sono, verosimilmente, poche[9], e tendono pure a svolgersi in spazibreviobrevissimi.Èun punto di differenza sostanziale coi grandi romanticieilorodintorni. Ma torniamo alle due figure cui s’intitolano queste pagine. A quanto già detto sulla loro indeterminazione, annullata solo nello specialissimoCantonotturno, va aggiunto almeno che sia l’una che l’altra sono totalmenteassentinegliIdilli, cioè nella serie in cui Leopardidismettel’attitudine eroica che lo proietta nella storia e nel mito (o nella storia come mito) contrappuntandola con un atteggiamento nudamente esistenziale dell’io poetico, che esperimenta la propria vitasentimentaleemeditativa neltestaatestaconlanatura, coltanellasuainfinitacalma, prima di rappresentare nei Pisano-recanatesi anche la benefica vitalità umana: cfr. Vita solitaria 23 ss.: «Talor m’assido in solitaria parte, / Sovra un rialto, al margine d’unlago/Ditaciturnepiante incoronato. / Ivi, quando il meriggioincielsivolve,/La sua tranquilla imago il Sol dipinge, / Ed erba e foglia nonsicrollaalvento,/Enon ondaincresparsi,enoncicala / Strider, nè batter penna augelloinramo,/Nèfarfalla ronzar nè voce o moto / Da presso nè da lunge odi nè vedi. / Tien quelle rive altissima quiete: / Ond’io quasi me stesso e il mondo obblio / Sedendo immoto; e già mi par che sciolte / Giaccian le membra mie, nè spirto o senso / Più le commova, e lor quiete antica / Co’ silenzi del loco si confonda»;passo,aguardarlo bene, estremo, in cui sono confiscati sia l’attività intellettuale dell’Infinito sia i ricordi dolorosi di Alla luna, e la quiete metafisica della natura, e dell’io, è espressa, moltopiùchedailessemiche la indicano direttamente, quasi secolarizzando i modi della mistica, con un cumulo a non finire di negazioni. Quanto allo stabilizzarsi dell’allegorismo, dopo il grande hors-d’oeuvre del Canto notturno, nell’ultima serie dei Canti, non c’è bisognodimoltespiegazioni. In quella fase innalzamento del livello speculativo e allegoriavannodiparipasso, e ciò meraviglia ancor meno in un poeta e filosofo materialista come Leopardi, per il quale, come è scolpito soprattutto in una grande pagina dello Zibaldone, piccolo e grande, terreno e cosmico, uomo e natura costituiscono un’unità organica che reclama sempre spiegazioni o rappresentazioni organiche: sicché come simbolo di quanto l’uomo ha – o dovrebbe avere – di meglio può ben stare la minuta ginestra, che Leopardi guardava amorevolmente, nelloscorciodellasuavita,là sulle pendici del vulcano annientatore. Maunavoltadipiùnonsi può e non si deve evitare anche a questo proposito il confronto col Romanticismo poetico a Leopardi inviso, o coisuoimaggioricampioni.È un’evidenza che l’allegoria è ben presente anche nei poeti romantici, e però sarebbe inopportuno accogliere la generalizzazione a categoria comprensiva di questa presenza quale si ha già in Friedrich Schlegel («ogni bellezza è allegoria. Il sommo, proprio per il fatto che è ineffabile, possiamo esprimerlo solo allegoricamente»[10]: notare subito il ricorso all’ineffabilità), e poi in pagine altrettanto suggestive che discutibili di Benjamin[11]. Conviene invece,ancheeproprioperil Romanticismo, mantener viva, d’accordo con altri fra cui Péter Szondi[12] e già Hegel (Estetica) la nozione moderna di «simbolo» – che sostanzialmente risale alle Maximen und Reflexionen di Goethe[13] e poi altrettanto incisivamenteaColeridge,ed è operante anche in ambito romantico,adesempioinquel Creuzer che è utilizzato nell’Estetica di Hegel ma è noto allo stesso Leopardi dello Zibaldone e discusso recentemente anche da Szondi.Lasecondaevidenza, a non voler usare le due categorie in modo troppo personale, è che nella maggiore poesia romantica allegorismo e simbolismo si alternano e intrecciano, così come avverrà nel suo maggiore erede e superatore, Baudelairefra,perisolaredue titoli, Allégorie e Correspondance[14] (sempre per i titoli cfr. anche ad esempio An Allegory, sottotitolo di Time, Real and ImagerydiColeridge).Come si deve classificare, per fare qualche caso, questo passaggio di À Albrecht Dürer di Hugo, 35 ss.: «J’ai senti… Comme moi palpiter et vivre avec mon âme, / Et rire,etseparlerdansl’ombre à demi-voix, / Les chênes monstrueux qui remplissent les bois», oppure questo di L’aurores’allume9ss:«Tout chante et murmure, / tout parleàlafoisecc.»?Ocome questo passo ancor più esplicito di Lamartine, La prière 18-19: «Je lis au front des cieux mon glorieux symbole»? Oppure si rilegga uncapolavorocomeLecordi Vigny, dove la superba orchestrazione fonica, che alludesottosemanticamenteal suonodelcornoprotagonista, è un esempio sottile quanto decisivodisimbolismo. Ci sono varie circostanze generalichefavoriscononella poesia romantica il simbolismo a scapito dell’allegorismo. La prima è la sottostante concezione analogica[15] della realtà (Hugo: «mon esprit est riche en métamorphoses»; ma l’analogismo permea anche, in forme diverse, un sovrano della narrativa come Balzac), invirtùdellaquale,adirlain breve, tutto può stare per tutto[16]. E pare evidente, specie nei romantici tedeschi (Brentano, Nachklänge, cit.: «Selig, wer ohne Sinne / Schwebt, wie ein Geist auf demWasser…Selbstsichnur wissendunddichtend/Schaft erdieWelt,dieerselbstist»), la correlazione dell’analogismo con l’idea della realtà esterna come proiezione o addirittura creazione del soggetto, tipica di Fichte e della prima esteticaromanticaedespressa esemplarmente nel detto spinoziano di Schelling («la natura è lo spirito visibile, lo spiritoèlanaturainvisibile») comenelfinaledeiDiscepoli di Sais di Novalis, trad. Alfero: «Un tale riuscì a sollevare il velo alla dea di Sais.Ebbene,chevide?–egli vide, miracolo sommo, se stesso»[17]. Nulla può essere più estraneo di tale atteggiamentoalmaterialismo ealrazionalismoleopardiani. GiànelgiovanileInfinito,che piùsembracosteggiarequesti temi romantici, la scoperta dei mondi sconfinati nello spazio e nel tempo non è per nulla opera di intuito o sensibilità o immaginazione nella loro immediatezza irrazionale,madellavorodel pensiero, parola-chiave della lirica, e si svolge secondo concatenazione logica; sempre in lui l’oggetto si dà come oggetto determinato, maiindeterminato.Neipressi dell’analogismo si possono collocare alcuni motivi ricorrenti nella lirica romantica, come quello della favola (vedi in particolare Heine) e quello del sogno[18] (lo stesso: Traumbilder ecc., Lermontov, Brentano e via dicendo). Ora Leopardi ha sacrificatounavolta,eaisuoi inizi,aquestomotivod’epoca nell’idillio che lo porta in titolo, ma solo allora e moderatamente, senza accedere ai suoi connotati, cosìfrequentinellaRomantik, di indistinzione onirica e demonismo. Anzi nel FrammentoXXXVII del 1819 (Odi, Melisso…), dapprima intitolato Il Sogno e inserito fra gli Idilli, Leopardi aveva senz’altro volto in scherzo (ancheinsensomusicale),tra leggerezza e gioco amebeo, questo perturbante motivo ‘romantico’. Un’altra circostanza fondamentaleèiltipicotema romantico dell’ineffabilità (o mistero o chimera o sfinge o anchemascheraecc.)[19],che, contrariamente all’idea di Schlegel, sembra precisamente inibire quell’esplicitezza e quel rapporto razionale e univoco tra figurante e figurato che sonolaragiond’esserestessa della allegoria. Qualche riferimento: Coleridge, The Rime of the ancient Mariner, IV: «O happy living things! No tongue / Their beauty might declare»; Novalis, Hymnen I: «zu der heiligen, unauspechlichen, geheimnisvollen Nacht»; Landor, Death stands…: «Death stands above me, wispering low / I know not what into my ear…»; id., Poem: «I cannot tell, not I, why she / A while so gracious,nowshouldbe/So grave…»; Chamisso, Zur Antwort: «Ich kann leben, kosen,küssen,/Aberdichten kann ich nicht»; Shelley, Ozymandias:«theleavesdead /Aredriven,likeghostsfrom an enchanter fleeing»; Keats, Sleep and Poetry: «And to what shall I compare it?»; Hugo,Lapentedelarêverie: «Toujours de l’ineffable allant à l’invisible» (!) e così via. Quanto all’analogismo, già è significativa la sobrietà in Leopardi dei figuranti, metafore e similitudini, di fronte alla loro frequenza, e non di rado cumulo ed eccesso,neiromantici[20].Eal simbolismo romantico si addice a pennello questa definizione del funzionamento psicologico dell’uomo (moderno?): «C’è una misteriosa unione tra il significato concreto, esplicito di un’emozione e gli infiniti possibili significati della stessa emozione che sono implicitamente espressi nel significato concreto… È come versare un insieme infinitoinungruppolimitato di relazioni: un ‘quanto’» (Matte Blanco). C’è semmai da chiedersi se a questa perfetta diagnosi psicologica non se ne possa sottendere unastorica.Nelsenso–detto inpocheparole–chedopola Rivoluzionefrancese(eisuoi precedenticulturali)edopola dittatura e le guerre di conquista napoleoniche il crollo, avvenuto o minacciato, degli Anciens Régimes sottrae all’uomo europeo, e soprattutto italiano, la certezza del suo spazioconclusocomedelsuo rapporto con organizzazioni socialieistituzionisecolari– e sottrae all’intellettuale la sicurezza della sua funzione ‘cortigiana’–,proiettandoliin una realtà tanto più vasta quanto nuova e incerta, non piùinunquimainunlàche èsempreminacciatoeattratto daunal-di-là. Come in Leopardi sono assenti o quasi simili cause, cosìglièpraticamenteignoto il simbolismo di stampo romantico. E domina invece, dal’28inpoi,l’allegoria,con le sue conseguenze decisive sulla struttura e la condotta (tendenti alle forme bipartite o meglio oppositive) dei Canti, e con le sue concomitanze stilistiche (scarsa incidenza delle figure di somiglianza, delle personificazioni ecc.). Con questo non intendo certo staccare più del necessario Leopardi dal suo tempo: per esempio Ozymandias di ShelleyepiùtardiLaGéante di Baudelaire realizzano una personificazione-allegoria sorprendentemente analoga a quella leopardiana della Natura in dialogo con l’Islandese.Maunaltropunto mi appare decisivo. Anche nei romantici l’allegoria può essere esplicita, o per dirlo piùchiaramentespiegata:cfr. ad esempio Puškin, trad. Spendel e Giudici, Il carro dellavita(l’esplicitazionesta già nel titolo); Novalis, Hymnen: «An jenem Hügel…», ed è il Golgota; l’albatros di Coleridge, The Rime, sorta di antimodello di quello parimenti esplicato di Baudelaire; la Mort du loup diVigny:allegoriainversa,la dignitàdellupodifrontealla morte contro la debolezza e viltà umane; Le nuage di Hugo: «Ce beau nuage, ô Vierge, aux hommes est pareil… Hélas! Ton beau nuage aux hommes est pareil»; Musset, La nuit de Mai: il pellicano, pur conservando la connotazione cristologica, rappresenta «les grandspoètes»,coilorocanti disperatichesonoipiùbelli; Eichendorff, Im Abendrot: «ist dies etwa der Tod?»; Heine, Romanzen 19, Lebensgruss; Chamisso: Das KindandieerloscheneKerze ecc. Però mentre nei romantici l’allegoria può essere e può non essere esplicata (come, per fare un paio di casi, nell’Arione di PuškinoinDerSchatzgräber di Eichendorff), in Leopardi loèsempre. E in quanto tale l’allegoriastessanontoccané sfioramaiilsimbolismo. Non è certo un caso che Leopardi si volga alla poesia allegorica dopo che ha già scritto gran parte delle Operette morali e sta esaurendo lo Zibaldone: l’allegoria comporta in lui precisamente una diversa messaapuntodeirapportifra poesia e pensiero, oltre che un’assunzione nella poesia dei nuovi contenuti del propriopensiero.Eredeanche come poeta del Settecento razionalista, Leopardi – questopoeta«trascendentale» per dirla con Friedrich Schlegel[21] – persegue attraverso l’allegoria la luminosa chiarezza del messaggio, via via rifiutando anche l’affine ma meno limpida figura dell’alter ego per un progressivo distacco, contemporaneamente, dall’individualismo lirico e dal mito. E rifiuta le scorciatoie suggestive e oniriche del simbolo, quasi sapesse che la nebulosità delle corrispondenze e dei simboli può condurre a quel caratteredienigmadell’opera d’artechetormenteràl’ultimo Adorno[22], e arretrasse davantiaisuoipresupposti.Il chesembrarenderlo,percosì dire, meno ‘interessante’ o menovario(certamentemeno profuso) dei suoi colleghi romantici. Malaragioneelastoria,si sa, hanno le loro astuzie, e non si allineano di necessità al cosiddetto spirito del tempo. Chi vive in una condizione storica arretrata, che altrove è stata vinta o ‘sorpassata’,può,proprioper questo, esplorare organicamente possibilità di pensiero e d’arte che per chi vive sulla punta schiumosa e travolgente della storia sono difficoltose, o precluse. Nel casodiLeopardilapossibilità che egli ha colto o meglio fondato,fortediunafilosofia di profondità negata ai suoi colleghiediunavocepoetica perfettamenteintonata,èstata lasintesidellirismopiùpuro e della più impavida razionalità, dell’esaltazione dellavitanellasuaevidenzae concretezza e della dialettica negativa del pensiero. Di qui lasuaassolutaindividualitàe autenticità, che stanno perfettamenteallaparidelsuo valoredipoeta.Lasua‘voce’ è sempre riconoscibile ad apertura di pagina, aliena dai pronunciamentichenonsiano fortemente pensati. Lo dice anche l’esiguità del corpo poetico ammesso che ci ha lasciato. Allo stesso modo, nella dimensione dello stile, l’essenzialità, l’antieloquenza e il procedere in ‘levare’ del Leopardi maturo, che come tutti i classici ci dà così spesso l’impressione di ottenere il massimo della significanzacolminimodelle parole, si oppone alla tendenziale ridondanza verbale, o in altri termini all’eloquenza (pur attinta da Leopardi nelle Canzoni, ma senza l’effusione romantica e quasi aspra), che nei grandi contemporanei stranieri, e segnatamente in poeti come Lermontov o Shelley, Lamartine o Hugo e, sì, ancora in Baudelaire, è, magari splendidamente, la regola. Non sarei anzi alieno dallo stabilire una proporzione: la sobrietà sta all’effusionestilisticacomela chiarezzaunivocaerazionale dell’allegoria sta alla dispersione e plurivocità del simbolo. Ma occorre soffermarsi ancora sull’allegoria. Proprio il fatto che in Leopardi essa sia sempre, oltre che limpida e univoca, esplicita, dispiegata alla presenza dell’io poetico che la detta e ragiona, fa sì che non si pervenga mai a quella «distruzione della realtà immediata ecc.» che temeva per l’allegorismo Lukács[23], cosìcomenonvipervenivala figuralità dantesca: basta leggere capolavori dell’evidenza rappresentativa come la Quiete, il Sabato, il Tramonto della luna. Nelle figurazioni allegoriche leopardiane non solo sta in piena luce il figurato o rappresentato, in virtù della «corrispondenza de’ pensieri poetici al vero»[24] (la caduta delle illusioni, l’impossibile felicità, l’azione distruttiva della verità, l’orrida vecchiezza ecc.), ma anche e forse ancora di più il figurante: che via via è, nel mondo dell’uomo e della natura,Silvialietaepensosa, ilritornoall’attivitàel’attesa della festa nel borgo, la fragilefoglia,l’umileginestra ecc., cioè la Vita; sicché quest’ultima, sentita e detta con un pathos e quasi una nostalgia d’appartenenza che non hanno eguali, non si dissolve mai in quanto tale nel risucchio negativo del pensiero, ma continua a spiegarsi davanti ai nostri occhi nella sua grazia e verginità. Questa è la cifra suprema, e in certo senso anche la contraddizione produttiva,diLeopardi:come scriveva il suo affine Hölderlin: «Chi ha pensato ciòcheèpiùprofondo,onora ciò che è più vivo», Werdas Tiefste gedacht, ehrt das Lebendigste. E a questa evidenza dei figuranti contribuisce fortemente da parte sua la stessa strategia discorsiva di Leopardi, che li implica nella gran parte dei casi nel movimento, prima ancoraaffettivochestilistico, dell’allocuzione: Silvia e la speranza,lalunaelagreggia, il garzoncello, le due donne delleSepolcrali,le«collinette e piagge», la ginestra, attratti in un dialogo affettuoso che ne fa quasi espressioni del sé[25].Invirtùdeltrattamento cheèsuodell’allegoria,vitae pensiero nel Leopardi dell’ultimo decennio non si intricano l’una nell’altro, ma vengonopiuttostoacostituire una singolare polarità, che è anche un singolare e potente sdoppiamento dell’io poetante. Qui è anche una delle ragioni, e non l’ultima, della grandezza e per tanti versidell’unicitàdiLeopardi. [1] Cfr. L. Blasucci, I titoli dei «Canti» e altri studi leopardiani, Napoli, Morano, 1989, p. 129; Id., Lo stormiredelventotralefoglie.Saggie percorsi leopardiani, Venezia, Marsilio,2003,p.183. [2]SulleCanzoni,nell’assiemeeuna per una, va citato soprattutto l’eccellente saggio di L. Blasucci, in I tempi dei «Canti». Nuovi studi leopardiani,Torino,Einaudi,1996,pp. 3-43. Da un’altra ottica cfr. anche M. Santagata, Quella celeste naturalezza. Le canzoni e gli idilli di Leopardi, Bologna,IlMulino,1994,pp.15-44. [3] E già nel ’17 figura l’abbozzo della Vita di «Silvio Sarno», doppiato piùtardidaquellodi«GiulioRivalta», e che nella cultura più attuale di Leopardi figurava l’insigne esempio di doppio dell’Ortis foscoliano (con la relativa ‘fonte’ goethiana); e cfr. anche dello stesso l’Ulisse del sonetto A Zacinto. [4] Vanno ricordate, in quella che si puòchiamarel’«Appendice»deiCanti, le due versioni o imitazioni Dal greco di Simonide e Dello stesso: si tratta, come per il Volgarizzamento della satira di Simonide sopra le donne del 1823 (ed. Rigoni, pp. 601 ss.) non di Simonide di Ceo ma dell’Amorgino, però Leopardi non era in grado di distinguereilsecondodalprimo.Ecfr. E. Peruzzi, Studi leopardiani, Firenze, Olschki, 1987, vol. II, pp. 7-74; M. Gigante, Leopardi e l’antico, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 2002,pp.81-118. [5]ComeèbennotonelNovecentoil tema avrà uno sviluppo infinito, e tale anche da incidere nelle modalità di presentazione autoriale, in Pessoa, che non per nulla ha scritto una Autopsicographia: ma non senza manierismi epigonali. Cfr. tra i moltissimi esempi Venho de longe e tragonoperfil o, in persona di Àlvaro deCampos,Lisbonrevisited. [6] L’origine del titolo è stata indicata recentemente (Lonardi, Commento Gavazzeni-Lombardi) nell’èis eautòn di Marco Aurelio, ma cfr. ora anche S. Carrai, in Studi in onore di Pier Vincenzo Mengaldo, Firenze, Sismel Galluzzo, 2007, pp. 879-885, che avanza altre proposte (in particolare l’epistola metrica Ad se ipsumdiPetrarca).Èiseautòns’intitola ancheunaliricadiHölderlin. [7]VediancheG.Contini,Antologia leopardiana,Firenze,Sansoni,1988,p. 113: «allegoria e contrario della giovinezza». Un andamento simile ha untestocelebrediunautorebencaroe memorizzato da Leopardi, il Casa, O dolce selva solitaria, amica, dove tuttavia la dissociazione finale del comparato umano dal comparante vegetale non ha carattere senz’altro di opposizione,madigradazione. [8] F. Meregalli, Presenza della letteratura spagnola in Italia, Firenze, Sansoni, 1974, pp. 54-55, ha segnalato l’analogia del simbolo leopardiano con quello della Rosa del desierto di Nicasio Álvarez de Cienfuegos (17641809), ma è difficile stabilire se Leopardi potesse o no conoscere quel testo (cfr. commento GavazzeniLombardi). Per parte mia ricordo la quartina più tarda del maggiore poeta romantico spagnolo, Gustavo Adolfo Bécquer: «¿Como vive esta rosa que has perdido / junto a tu corazón? / Nunca hasta ahora contemplé en el mundo/juntoalvolcánlaflor»(cfr.ad es. G.A. Bécquer, Rime, con testo a fronte, introduzione e versioni di I. SchweigerAcuti,Parma,Guanda,1967, p. 84). Inutile insistere sulla diversissima (anche per potenza concettuale) utilizzazione del simbolo. Cfr. di recente A. Prete, Il deserto e il fiore. Leggendo l’ultimo Leopardi, Roma, Donzelli, 2004, pp. 19-25 e G. Sandrini, Il fiore del deserto e altri studi su Leopardi, Padova, Esedra, 2007, pp. 8-79, importante soprattutto perlastoriadell’immagine,oanaloghe. È anche ben noto che l’ultimo verso della quartina becqueriana funge da esergo, con una libertà probabilmente mnemonica(Sobreperjunto)aiMottetti diMontale.Nonhomaipotutolevarmi dal capo che in Montale il verso dello spagnolo stia anche per un rimando allusivoallaGinestra. [9] Stando per ora solo in Italia, personificazioni e perifrasi anche diffuse sono invece ben presenti nel Foscolo,cfr.primadituttoAllasera,e continue nel Manzoni lirico: cfr. soprattutto gli Inni sacri. Ma in tanti romanticistranierilapersonificazioneè endemica e spesso espansa, cfr. ad es. Novalis,HymnenanderNacht (oltre a Luce e Notte, il Giorno, la Regina dei Mondi,l’Eterno,ilRicordo,laVerità,il Tempo ecc.); Lamartine, À Elvire (inizio, e le Temps e la Mort), L’immortalité (la mort), Le désespoir (le Malheur e le Temps) ecc.; Puškin, trad.SpendeleGiudici,Nelprofondodi miniere siberiane; Lermontov, trad. Landolfi, Predizione (la peste), I doni del Terek (il fiume Terek) ecc.; Vigny per es. Les Destinées (Destinée, Fatalité, Croix, Sort, Grâce); Hugo, À mademoiselleLouiseB.(le monde), Le sacre (Paris), Lune (la France) ecc.; Byron, Stanzas for Music (Hope, Memory), On this Day… (Glory, Greece); Shelley, To Jane: The Invitation (Year), The Witch of Atlas (molte); Keats, in cui il fenomeno è ancorpiùfrequente(cfr.peres.Ode to aNightingale);Heine,Lieder2(leore), 7 (il Reno), Heimkehr 16 (il sole), NordseeII3(lenubi),EinFichtenbaum steht einsam; Eichendorff, Der Glücksritter;Mörike,DerGenesenean die Hoffnung; Brentano, Säusle, liebe Myrte (la morte) ecc.; per non parlare piùtardidiBaudelaire. [10] Cfr. F. Schlegel, Dialogo sulla poesia,in Frammenticriticiescrittidi estetica, introduzione e trad. di V. Santoli,Firenze,Sansoni,1967,p.202. [11] Cfr. W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco, trad. di E. Filippini, Torino, Einaudi, 1971 (ed. or. 1928), pp. 166-201. Ciò che mi appare discutibile si può riassumere in due punti:eccessivodistacco(manonperil Barocco!) dalla nozione comunemente accettata di allegoria, e mancato riconoscimento che già nel Romanticismo è di casa quella coabitazione fra simbolo e allegoria cosìbenindividuatadaBenjaminstesso in Baudelaire. Aggiungo: Th.W. Adorno interpreta la splendida Im Walde di Eichendorff come allegorica nel preciso senso benjaminiano: Note per la letteratura, 1943-1961, Torino, Einaudi,1979(ed.or.1958),p.77. [12]P.Szondi,LapoeticadiHegele Schelling, Torino, Einaudi, 1986 (ed. or.1974),pp.86ss.,105. [13] Una ricca esposizione del concetto goethiano è ad es. in G. Lukács,Estetica,ed.ridottaacuradiF. Fehér, trad. di F. Codino, Torino, Einaudi,1975(ed.or.1973),pp.804ss. In generale cfr. soprattutto l’ottimo M. Mancini, Allegoria, in Enciclopedia Feltrinelli Fischer. Letteratura, a cura di G. Scaramuzza, Milano, Feltrinelli, 1976, vol. I, pp. 11-31 (anche per l’allegoria); T. Todorov, Teorie del simbolo,Torino,Einaudi,1984(ed.or. 1977). [14] A commento e integrazione di notissime pagine su Baudelaire di Benjamin,cfr.W.Menninghaus,Walter Benjamins Teorie der Sprachmagie, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1997, pp. 134-177. [15] Sempre interessante come impostano il problema dell’analogia I. Perelman e L. Olbrechts-Tyteca, Trattatodell’argomentazione.Lanuova retorica, Prefazione di N. Bobbio, Torino, Einaudi, 1976 (ed. or. 1958), spec.vol.I,pp.392-432. [16] Ne deriva l’uso tanto frequente nei romantici quanto ostico a Leopardi deicostruttianalogicipercopulazioneo apposizione, e anche di quelli prepositivi che dilagheranno col Simbolismo: cfr. a mo’ d’esempio Novalis,HymnenandieNachtI,IV,V; Heine,DerTod,dasistdiekühleNacht; Mörike,Erist’s;Brentano,Nachklänge Beethovenscher Musik: le analogie iniziali della «Einsamkeit» e «In dem Monde meiner Wehmut»; Lamartine, Le lac: «sur l’océan des âges», La prière:«levoiledesnuitssurlesmonts se déplie»; Hugo, Novembre: «aux premiers amours, / Frais papillons», DictéenprésenceduglacierduRhône: «Alors,nuageerrant,mahautepoésie», Où donc est le bonheur: «l’enfance éphémere, / Ruisseau de lait qui fuit sous une goutte amère»; L’aurore s’allume, II: «Verité, beau fleuve… Sourceoùtouts’abreuve…Lampeque Dieuposa…»;Shelley,OdetoLiberty: «My soul spurned the chains of its dismay», The Witch of Atlas: «There yawned an inestinguishable well / Of crimson fire»; Keats, Sleep and Poetry 75 ss. (identificazione analogica prolungataperun’interastrofa)ecc.Per altro verso la poetica delle analogie o ‘corrispondenze’ dei romantici porta con sé anche l’uso della sinestesia, diffuso quanto in Leopardi è limitato: mi limito a citare Shelley, The Sensitive-Plant 25 ss. (doppia) e Hymn toIntellectualBeauty4ss.(cumulo),a partenaturalmenteBaudelaire. [17] Cfr. ancora una volta, per la continuitànovecentesca,Pessoa(cheha scritto anche un testo intitolato O contrasymbolo),Oiçopasar:«Ah,tudo èsimboloeanalogia…Tudonosnarra oquenosnãodiz[ineffabilità]…Tudo éunissonoesemelhante»ecc. [18]Sempreattualeilgrandelibrodi A. Béguin, L’âme romantique et le rêve, Paris, Corti, 1939 e edd. successive. [19] Qualche dichiarazione di ineffabilità si può reperire anche in Leopardi, per es. A Silvia 26-27: «Lingua mortal non dice / Quel ch’io sentiva in seno», ma subito segue l’appassionato ricordo di quel passato: «Che pensieri soavi! / Che speranze, checori,oSilviamia!ecc». [20] Un’esposizione in P.V. Mengaldo, Sonavan le quiete stanze. Sullo stile dei «Canti» di Leopardi, Bologna,IlMulino,2006,pp.115-146. [21] Schlegel, Dialogo sulla poesia, cit.,p.83. [22] Cfr. Th.W. Adorno, Teoria estetica, a cura di E. De Angelis, Torino, Einaudi, 1975 (ed. or. 1970), pp. 170-194. Valga per es. a riscontro Benn,EinWort:«EinWort,einSatz–: ausChiffrensteigen/erkanntesLeben, jäherSinn…». [23]Lukács,Estetica,cit.,pp.829ss. [24] Il Parini, ovvero della gloria, cap. VII, § 6; ma si rilegga tutto il magnificopasso. [25] Fanno eccezione le due prove forsepiùaltedell’oggettivitàcreaturale delpoeta,laprimalassadella Quietee ilpiùdelSabato. III ‘Io’e‘noi’neiCanti Nei Canti emergono – per ciò che riguarda l’interrelazione fralepersone–dueparadigmi: quello dialogico, imperniato sul rapporto io/tu, e una relazione io/noi, che comporta anch'esso una dialogicità, anche se ad un livello più profondo della significazione. Entrambiitermini–il‘tu’eil ‘noi’ – sono uno specchio dell’io: tuttavia il noi, diversamente dal tu, include e rispecchia l’io, preparando il terreno al solidarismo che emergerànellaGinestra. Nulla forse è più tipico della lirica, e non della moderna soltanto ma di quella di sempre e ovunque, cheildialogofral’iopoetico e dei ‘tu’, dove il primo può essere espresso linguisticamente – e allora la cosa è più rilevante –, ma anche sottinteso nel semplice fattodirivolgersiaun‘tu’[1], talora quasi nascondendosi o invece universalizzandosi in questo modo. Almeno nella lirica italiana, ma probabilmente non solo in quella, in nessun poeta più che nell’autore dei Canti, il solitarioabitatodallaassoluta necessità di dialogare e quindi di esprimersi per allocuzionieapostrofi,questa tendenza è talmente pronunciata, con continue conversioni di una poesia potenzialmente narrativa, dell’‘egli’, in dialogante[2], e non è il caso di tornarvi sopra, anche se ne dovrò dar conto più di una volta per il suo carattere invasivo e soprattutto per il suo intrecciarsi con la mia questione. Cheèinvecequesta:nonil rapporto ‘io’-‘tu’ ma l’allargarsidelprimoaunnoi (nostro, prima plur, ci/ne): che a parte significati più ristretti (come nella Sorella Paolina 7: ‘noi due’) sta per l’umanità intera e perciò va visto assieme a formule ricorrenti in Leopardi quali «mortale, -i», «vita mortale», «mortale stato», «l’uom(o)», «umana prole», «umana famiglia», «umane genti» e altre. Chelaquestioneinoggetto sia rilevante lo mostra subito e fin dal titolo il monologo truccato da dialogo di A se stesso (e non *Al suo cuore) [3], la lirica più personale e nudamente esistenziale che Leopardi abbia scritto. Il dialogo fra l’io e il cuore – del resto comune nella tradizione–dopoaverceduto subito all’a noi inclusivo e reciproco, o ‘duale’ del v. 4, che in realtà coincide semanticamente con un *‘a me’ (in quanto titolare di affetti e passioni), prosegue come si sa con una serie di ingiunzioni al cuore: «Posa» ecc.; ma soprattutto include, dopounaseriedislarghi(«La terra», «la vita»), e a precedere successive generalizzazioni, «la natura», «il brutto / Poter», «infinita» eil«tutto»,ultimaparolaein rima ma altro è questo passaggio, 12-13: «Al gener nostroilfato/Nondonòche il morire» (l’espressione, con lo stesso valore generale, era già in Alla Primavera 78 e tornerà in Palinodia 95, Ginestra 40), che si correla soprattuttoa«comundanno». Dunque l’io poetico si esprime dapprima nel rapportoconun‘tu’fittizioe metonimico di sé medesimo (il che mostra come sempre che urgenza avevano in Leopardi dialogo e allocuzione; ma qui direi anche la pietà per se stesso): per slittare poi improvvisamente, nello stile insieme lapidario e aggrovigliato del breve Canto, come esemplare dell’umanità intera di cui si sente, anche, portavoce[4]. Diviene per così dire un io anche corale in una poesia che non potrebbe essere più monodica. Siaconsentitooraunpasso indietro ai due testi più antichi dei Canti: il Frammento XXXIX, breve tratto della «Cantica» Appressamento della morte del1816eIlprimoamoredel ’17. Nel Frammento l’io è assentesenonimplicitamente nell’esclamazione «Come fuggiste, o belle ore serene» 25; il «tu» di 22 è del tutto generico. Il breve testo è una descrizioneatinteforti,incui domina «Ella»[5]. (Invece il Frammento precedente, tratto da una vecchia elegia per Gertrude Cassi, comincia senz’altro con «Io qui vagando…» e prosegue con unasecondapersonacheperò è il «turbine», non la donna che parte.) Il ‘noi’ è assente in entrambi. Invece nell’altra ex elegia per la Cassi, Il primo amore, domina assoluto l’io, dialogante col proprio «cuore» («col mio cuore / In un perenne ragionare sepolto» dicono i versi più stringenti delle terzine), ma verso la fine compare, e in rima, l’arcaico nui, «Deh quanto, in verità, vani siam nui!», e il cuore agiscecomeegli89,mentreil cidi92valecertamente‘ioe il cuore’. È una situazione ancoraconfusa. E ora uno dei capolavori deiCanti,Ilpasserosolitario, in cui la prima plurale pronominale e i suoi satelliti sono completamente assenti. Forsecontaqualcosaancheil fatto che è un testo in cui il dialogo ‘io’-‘tu’ è non solo profondamente pervasivo ma vario e complicato: perché il confronto con l’«augellin» dapprima riesce a un proclamadiidentitàoalmeno affinità («Oimè, quanto somiglia / Al tuo costume il mio!»), ma quando viene ripreso,quasiacornice,nella terza e ultima lassa, è per dichiarare – come poi il pastore con la greggia – la diversità dell’io umano rispetto all’animale: «Tu, solingo augellin…» – «A me», = ‘a me invece’. E inoltre la lassa centrale contiene un altro confronto disgiuntivo, quello tra la gioventù «vestita a festa» e l’«Io solitario» (= ancora ‘io invece’).Naturalmentenonfa eccezione il restrittivo «al nostroborgo»,esevogliamo al transito fra i due dialoghi l’amore è introdotto allocutivamente. Ma insomma,fralegrandipoesie deiCanti,il Passeroèquella incuil’universalizzazionedel proprio stato esistenziale è piùtenutasottotraccia. Ora si proceda con ordine. Ma prima diamo un’occhiata alle due canzoni del ’19, Per unadonnainferma…eNella morte di una donna fatta trucidare…chenonostantela datasonostateescluse,eben aragione,daiCanti,anzitutto per il loro soggetto crudamente contemporaneo. E l’‘io’, in continua allocuzione e continuamente sottolineatocometale,findal primoverso(«Iosoben…»e «Mentre i destini io piango…») e nella seconda come titolare di un «canto» 94 ss., non è un io esistenziale ma un io testimone e vindice, al limite un io giornalista. Ne deriva che le estensioni al ‘noi’ o suoi equivalenti sono in tutto una per canzone (I, 79: «Poveri noi mortali», coordinatoal«Miserome»di 55,eII,1:«nostridanni»,poi nulla). Da All’Italia in poi, lungo tutto le Canzoni s’instaura invece un io sofferente ma eroico, eventualmente trasposto anche in sosia o alter ego, e ciò, con l’eccezione che si vedrà, consente e quasi impone l’estensione dei propri sentimenti e idee all’umanità intera. Non però ancora nella prima Canzone, All’Italia appunto, dove la presenza giudicatrice, visionaria e utopica di quell’io («Io veggio, o parmi» 45) è marcatacomenonpiùaltrove (cfr. soprattutto, entro un chiasmoperfetto,«io solo» – «sol io» 37-38: notare l’aggettivo);nélecosevanno diversamente quando il locutorepassalaparolaalsuo ‘doppio’, l’antico Simonide. Ma già la contemporanea e ‘sorella’,Soprailmonumento di Dante, è altra cosa. Il discorso, rivolto dapprincipio ai «pietosi» e «cari» solleciti del monumento dantesco da erigersi in Firenze, tiene dapprima l’io in minore («Quali a voi note invio…?» 51),mapoiviinsistecomein «Ecco voglioso anch’io», smorzato da «anche», ma all’iniziodistrofa,69,«ioso ben», 78 ecc.; ma soprattutto dà luogo più avanti a tutta unaseriediprimepluraliche oscilla fra la denotazione di ‘noi italiani’ e quella di ’noi uomini’: «che non soffrimmo?» 117; «Perché venimmo a sì perversi tempi?»120,incipitdistrofa; «Perché il nascer ne desti o perchéprima/Nonnedestiil morire, / Acerbo fato?» 121123; «Pugnò, cadde gran parte anche di noi» in combinatio, 134; l’eco «In eterno perimmo?» 188 e subito dopo «e il nostro scorno / Non ha verun confine?» 188-189, il tutto sostenuto, come si vede dall’esclusività delle interrogative, da un’impostazione fortemente ‘retorica’. Siamo comunque sulla strada dell’Angelo Mai, dove le prime plurali hanno senza dubbio misure più larghe e universali (anche se l’occhio è pur sempre puntato sull’Italia e la sua storia eccellente):«inostripadri»3, «Egraveèilnostrodisperato obblio» 18, ne 19, «anco si cura / Di noi qualche immortale» 22, «veggiam» 26, «Di noi serbate, o gloriosi, ancora / Qualche speranza?Intutto/Nonsiam periti?[comenelMonumento diDante]»31-33,inapertura di strofa, e martellando: «E pur men grava e morde / Il mal che n’addolora / Del tediochen’affoga… Anoile fasce/Cinseilfastidio;anoi, presso la culla / Immoto siede,esulatomba,ilnulla», in fine strofa, 74-75, precoce formulazione di grandi temi nichilistici dello scrittore, «Nostri sogni leggiadri ove son giti…», a inizio strofa, 91, altro squisito motivo leopardiano ecc. (tra 121 e 136 si rispondono due noi all’attacco di due strofe successive). Ed è anche da osservare – coincidenza non priva di senso – che gli io espliciti sono rari, da un lato perché la scena è dominata daigrandiprotagonistiitalici, ma dall’altro certo perché l’io, in simile pluralità, è comeassorbitoneisentimenti e nelle idee di una comunità aperta o dell’umanità tutta. Rispettoaquestigrandianche sefaticosiaffreschilaSorella Paolina è un caso diverso, perché l’aspirazione eroica è delegata ottativamente alla titolare (a parte «a noi» 7 anche «quest’ermo lido» si riferiscesoltantoadestinatore e destinataria): la missione della sorella a sua volta è autenticata ‘storicamente’ da un suo duplice doppio, che qui dunque non è dell’io, la «sposa giovanetta» spartana che spandeva le «negre chiome» (come quelle di Silvia) sul corpo del marito ucciso, e la romana Virginia, cuicomeaPaolinasirivolge un’apostrofechesiritorcepoi sull’io poetante, 76, inizio strofa, e 85 ss. Che l’oggi deva prender norma dall’antico è dunque detto con un’evidenza mai così netta,proprioperchéobliqua. E tuttavia, appunto per questo, i segnali del ‘noi’ abbondano: «umane cose» 20, «chi nasce» 21, «Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta» in fine strofa 30, «nostra etate» 38, «nostra natura» 42; ma non più in seguito,forseperchél’Antico appare a Leopardi per sua stessa natura l’universale- modello. E nel Vincitore nel pallone, che in parte condivide lo schema della Canzone precedente («Dal barbarico sangue in Maratona…» 14 ss.), e dove l’urgenza dell’appello è sottolineatanellaprimastrofa dal grandinare delle allocuzioni (le ultime tre in anafora), ecco «de’ mortali» 33, «A noi» 34, «Nostravita a che val…» 60. Però l’io esplicito è del tutto assente, c’è da credere a norma di pindarismo. Nelle successive – che tratto di seguito – Bruto minore e Ultimo canto di Saffo l’io è evidentemente quello dei due ‘doppi’ storici diLeopardi,delsuosconfitto desiderio di gloria e di suicidio agonistico, e della sua scarsa venustà (nella secondainteramente,cioècon laparoladiSaffocheentrain medias res, senza la prima strofa narrativa, piedistallo o lunga didascalia teatrale, che situailmonologodiBruto)[6]. NelBruto è interessante che, a parte conglomerati come «gl’infermi schiavi di morte» 31-32(aseguireil«destino»), il‘noi’esplicitoemerga,dopo l’isolato «travagli nostri» 48, solo tardi, nella penultima strofa: «oh gener vano! abbietta parte / Siam delle cose… nostra sciagura» 101 ss., e addirittura che l’io s’affacci apertamente solo nell’ultima: «Non io ecc.» – «A me dintorno…» 107 ss. (inizio strofa) e 116 ss. Quella di Bruto è una parabola individuale ma è anche una grande diagnosi che si vuole oggettiva, e che perciò si dichiara come concepimento individuale solo alla fine (né dimentichiamocomunqueche al Canto appartengono le più coinvolgenti forme di allocuzione che Leopardi fin quiabbiainventato:«Etu…», inizio strofa; «tu», «Tu», «e tu»76ss.).Nelcanto-lamento tutto individuale della Saffo colpiscono le oggettivazioni di se stessa che la protagonista propone, «Alla misera Saffo» 22, «il prode ingegno» in chiusa 70, cui certamente va associata la vitalizzazione fremente della natura,tantopiùbellaquanto meno Saffo, sua creatura, lo è.Trai‘noi’occorrecomesi sa distinguere: tra i maiestatici – che vanno assieme a quanto appena detto – specie nella prima strofa e nel solenne, virgiliano «Morremo» che avvia l’ultima, i «duali» (Straccali, le due anime della poetessa) e gli effettivamente umani di «nostro dolor» 47, «Negletta prole / Nascemmo alpianto»47-48,«sefelicein terra/Vissenatomortal»6162, «nostra età» 66[7]. E questomentreil‘tu’,comeha osservato Felici[8], passa inversamente dal generale al particolare: le «amene sembianze» naturali, poi la natura stessa, infine, Faone, nonnominato. Alla Primavera e i Patriarchi richiedevano una marcata oggettività, a garantire fra l’altro il senso dell’incolmabile distanza fra la modernità – e dunque l’io stesso – e l’Antico. Nella prima si ha perciò all’inizio «questo[‘ilmio’]gelidocor» 18, ma per trovare la prima persona plurale occorre andare nuovamente all’inizio della strofa finale, e in contrasto: «Ma non cognato al nostro / Il gener tuo» 7778. Nei Patriarchi, dopo due strofe di mossa descrizione narrativa, la terza ospita un dialogofraun‘tu’el’io,7173, 77, ma nella seguente spicca il ‘noi’ o suoi equivalenti: «il sangue nostro» 90, «nostra caduca età»92,«l’umanastirpe»99, «Nostra placida nave» 103, «il nostro / Scellerato ardimento» 110-111. Il confronto, perdente per la seconda, è appunto tra due ‘stirpi’. Lasciando da parte per ora Alla sua Donna, siamo al rovescio, per così dire, delle Canzoni, cioè agli Idilli nell’accezione forte e antisettecentesca in cui Leopardi li intendeva, cioè come relazioni dei processi psicologici ed esistenziali dell’io. Qui l’io è solo, contemplativamente ma ancora agonisticamente, di fronte alla natura e all’Altro: la siepe non impedisce anzi stimola la creazione mentale dell’infinito. Negli Idilli dunque l’io esistenziale, che hacomeassorbitoinséquello ‘eroico’, è tutto presente a se stessoequasiautosufficiente: «Ionelpensiermifingo»,con doppia marcatura e quindi nell’evocazione del passato storico «il pensier mio»; «O donna mia», «m’affaccio»; «io mi rammento», «l’etate / Del mio dolore»; «Talor m’assido in solitaria parte», attacco di lassa, «Ond’io quasi me stesso e il mondo obblio», «Me spesso rivedrai solingo e muto» ecc. Nella Sera il dialogo io-tu è nettamente antagonistico, come segnalano l’anafora su «Tudormi»7-11eloscontro immediato con l’io nel secondo caso: «Tu dormi: io…»(‘ioinvece’);el’azione crudele della Natura è tutta concentratasulsé:«ioquesto ciel… a salutar m’affaccio, / E l’antica Natura onnipossente / Che mi fece all’affanno» 11 ss.[9]; ed è quella stessa Natura, personificata, a negare al soggetto ogni speranza, 14- 16. Segnato dalla prima persona tutta evidente nei suoiattièancheilfinaledella lirica, che attinge al ricordo: «io doloroso in veglia… Già similmente mi stringeva il core».El’unico‘noi’35non conta, perché certo Leopardi nonpotevacertodire*«imiei avifamosi». DiAllaluna,lapiùnitidae quasi oggettiva nella soggettività degli Idilli, basta direchenelbrevedialogocon l’astro, su 16 versi si rincorrono 2 io (il primo nel primo verso), 2 mi e 3 mioe altre forme[10]. Nella lirica purissima il dialogo, ancor più che con la diletta luna, è con se stesso («… io mi rammento» ecc.) e con la propriaesistenza.Pochissimo da commentare quanto al Sogno, dominato dal colloquiooniricoio-tuedove leprimeplurali(«noi»13,se non sia maiestatico, e «Nascemmo»,«vivernostro», «nostri affanni» 55 ss.) riguardanoidueinquestione e non altri. Più intricato il discorso per la Vitasolitaria, che come si sa ha caratteri specialirispettoaglialtriidilli nonostante il parallelismo dellaprimalassaconlaprima del Sogno[11]: ma non tanto per ciò che qui interessa. L’allargamento dell’io infelice «agl’infelici» 21 è appena un passaggio, dovuto fra l’altro alla chiamata in causa di una natura dal doppio volto (e cfr. «questa infelice / Scena del mondo» 46-47,epoianche«Ilmisero mortal» 52, «Questa flebil… umana sede» 103 e poco altro);maperilrestoregnain sostanza l’io, dominatore della seconda lassa e anche titolare di forti effusioni: «Amore, amor, assai lungi volasti/Dalpettomio,chefu sì caldo un giorno, / Anzi rovente» 39-41, «Questo mio cor di sasso» 67 (marca del soggetto è anche «questi occhi» 54). Ciò che è veramentenuovosemmaièil fattochel’antagonismoverso la natura e la propria storia d’infelicità s’apra nell’ultima lassaadantagonismoversoil peggiodellasocietàpresente, espresso con accenti pariniani,perripiegarsiinfine inquantolanaturahaancora di materno e accogliente: «Infesto alle malvage menti [il lume della luna], / A me sempre benigno il tuo cospetto / Sarà…» 91-93. Ed è in questa lassa, significativamente, che affiora la più parte delle formule generalizzanti sopra citate.C’èdunqueunadoppia spiegazione dei passaggi – e siapurpuntinistici–dall’ioa (tutti) gli altri: l’inchiesta poetica sul duplice e opposto carattere della natura e la nuovaaperturaallasocialitàe al‘borgo’. Anche dal nostro, pur peculiare, angolo visuale gli Idillidichiaranonettamentela loro differenza dalle Canzoni e,comesivedràsubito,anche damoltodiciòcheseguenei Canti.Insomma,mentrenelle Canzoni l’individualità è perseguita proiettandola in figure e situazioni storiche o mitiche fraterne o anche remote(econfrontandolacon queste ultime), negli Idilli l’universalità è perseguita e raggiunta attraverso la massima individuazione (cui si rapportano, nell’Infinito e nella Sera, le stesse profondità storiche): quell’individuazione che secondo l’estetica di Hegel e di altri è il contrassegno più eloquente della poesia lirica. Del resto il nuovo stile idillico influisce più o meno vistosamente nelle Canzoni più recenti: palpabilmente nell’Ultimo canto di Saffo, almeno per la cascata di scioltiprimadellacombinatio finale;eanchenellaCanzone piùtardaesingolare,Allasua Donna, che nella strutturazione dei Canti Leopardi ha posto, anche in grazia della sua data, come spartiacquefraleduestagioni della propria poesia, staccandola dal corpo delle Canzoni. E in realtà a nessuno sfuggirà, in particolare, il tono ‘idillico’ della terza strofa. Dunque continua esposizione dell’‘io’, nel dialogo con la «cara beltà», anche in forme risentite e soprattutto, come atteso, nella terza strofa («E ben chiaro vegg’io» 28, «io rimembroepiagno/Iperduti desiri e la perduta / Speme de’giornimiei»38-40,«dite pensando / A palpitar mi sveglio»40-41,«Epotess’io/ Nelsecoltetroeinquestoaer nefando…» 41-42: gli ultimi tre brani sono di seguito, concentrato di reazioni individuali). Ma l’inno alla «donna che non si trova» e l’omaggiocheleèindirizzato sono insieme un’esperienza personale e una utopisticamente universale («Or leve intra la gente / Anima voli?» 9-10, «agli avvenir» 11 ecc.), per cui ecco «a noi» contrapposto «agliavvenir»ibidem,«nostri affanni»31(eanche«Diqua dove son gli anni infausti e brevi» 54), mentre nel verso finale l’individuo-poeta s’avvolge madrigalescamente, quasi a celarsi,nellosquisito«Questo d’ignotoamanteinnoricevi». Dell’isolato Pepoli, occasionale e didascalico, non occorre dir molto. Nella prima lassa l’allocuzione iniziale, che pur tenta strappare l’occasione verso il sé,ivarinoidi39,41,44,47, nostro44(concui«imortali» 27, «l’umana prole» 53) sovrastano il solo ‘io’ debole (metalinguistico e prolettico) di48:«iodico».Nelseguito, sempre costellato di noi ed equivalenti («Umana sorte» 79, «l’umana stirpe» 144), l’io esplicito compare, e ora conpiùforzapersonalizzante, dapprima nella serie paraidillica di 121 ss. (accompagnato da «questo petto» 129), poi nella chiusa della penultima lassa, 148, infine meno accusatamente nella brevissima ultima. Si direbbe che il poemetto, più cheunaconversazionefraun io e un tu, sia un dialogo fra unioeunnoi. E i Canti pisanorecanatesi? Va naturalmente tenuto a parte il Risorgimento,chedatoilsuo carattere di annuncio o manifesto esistenziale e insieme di poetica, che il metro settecentesco intelligentemente alleggerisce, è tutto concentrato sullo stato presente e sui ricordi dell’io: «Credei…», «L’amor mi venne meno…», «Piansi…», «in me», «Giacqui: insensato attonito / Non dimandai conforto…» e via dicendo. Sicchésihaunsolonoi,non particolarmentegrave,80,eil ci inclusivo 8 allude a un’esperienza non tanto generalmente quanto genericamente umana (e cfr. infatti 7: «qualunque cosa»). E in A Silvia, nel suo dialogismo tenero e lancinante, mai così fitto[12], per la prima volta i morfemi di prima plurale – «ci apparia» 30, «ragionammo insieme» 58 – non indicano affatto la comunanza di esperienze e «affetti» personali con l’umanità tutta, masoloconun’altrapersona, Silvia,oSilvia-speranza,ola speranza attraverso Silvia. E un’estensione si verifica, non esplicita, complice l’allocuzione‘secondaria’alla natura,nonpiùchein«ifigli tuoi» 39 e in «umane genti» 59. Una situazione analoga si dà per molti versi nelle successive Ricordanze, scontata la ben più ampia affabulazione, a getto continuo,eilfattostessoche Leopardi ha l’accortezza di mettere in versi il ricordo di Nerina in modo totalmente diverso che con la ‘sorella’ Silvia: terminale di una catena memoriale ininterrotta (lasuaevocazionetiendietro a quella alle «Vaghe stelle dell’Orsa» 1, al «caro tempo giovanil»44ss.,allesperanze e «ameni inganni», ancora in incipitdilassa,78);elasciata nella sua pura evidenza creaturale, anzi vista un po’ come dal di fuori, senza significati o aloni simbolici. L’elegia delle Ricordanze, nell’alternarsi di momenti rammemorativi-estatici e raccontativi,conoscedunque, accanto a una personalizzazione spinta e amara («io non credea», incipit assoluto, «Questa mia vita dolorosa e nuda» 26 ecc.), il ‘noi’ implicito del «rapito mortal» e del «mortale ignaro / Della sventura» nella più generalizzante sesta lassa, 122 e 132-133, mentre il gioco allocutivo e dialogico s’infittisce ovviamente nella lassa finale di Nerina, con una più vistosa presenza dell’ioesplicitofindalprimo verso, 136: «O Nerina… non odo», in rima identica o meglioepiforacon«nonodo» 144; e poi: «quella finestra / Ond’eri usata favellarmi», variante più narrativa e domestica di una situazione di A Silvia ecc., fino all’anaforasuDico160,164, 168, che insiste con significativo metalinguismo sulla centralità dell’io che rammemoraeriflette. Quanto agli altri quattro Cantirecanatesi,sièdettodel Passerosolitario;eilSabato, che insieme a quello si può considerare erede più diretto degli Idilli, ne ripete la mancatatransizionedall’ioal noi (se non si vuole dar troppo peso al «ciascun» di 42, che è un po’ come «il nostro borgo» del Passero), consona all’obiettività rappresentativa del tutto ma anche, si direbbe, surrogata daipersonaggichevivononel Canto quasi come protagonisti:ladonzelletta,la vecchierella,ifanciullipiùlo zappatore e il «legnaiuol» godono di un’insolita ampiezzadidescrizione(e,si può osservare, uguale per tutti: sette versi). Anche qui l’‘io’ esplicito compare solo, a suggello, nella breve lassa finale, e con un singolare sottotono fraterno («Altro dirtinonvo’»50). Ma le cose cambiano radicalmente, con un’autentica esplosione delle prime plurali ed equivalenti, nei due testi recanatesi, Quiete e Canto notturno (ordine di composizione), in cuiLeopardimetteinscenale punte aguzze del proprio pensiero, allora tutto definito in pratica fra Zibaldone e Operette.Decisivelaseconda eterzalassadella Quieteche ritorcono – in nome della teoria del piacere a Leopardi carissima – l’animata e vitalissima descrizione del borgo della prima lassa (non dissimile,mapiù‘veloce’,da quella del Sabato). Qui del resto l’io si affacciava, quasi a dire la sua partecipazione testimoniale ai moti della natura e delle «creature della vita» (Saba), solo con l’«Odo» iniziale, 2, peraltro sfumato presto dall’«odi» impersonale di 22. E perciò «nostre offese» 40, «fra noi» 46, accompagnati da «L’uomo» 29, «le genti» 39, «i mortali» 45, «umana / Prole» (in allocuzione) 45. E ilgrandissimoCantonotturno è pur tutto occupato dalla figura fraterno-allegorica (o ‘doppio’) del pastore, subito situatoinloco(«questevalli» ecc.) e dotato di stacchi e insorgenze che ne dicono lo stremato agonismo, ad esempio «ed io che sono?» 89,«amelavitaèmale»104, «Ed [con carico avversativo] io pur seggo…» 117, o il «Me…» sempre avversativo di133(laresaeilnichilismo del pastore sono, occorre sempre ricordarlo, via via in crescita lungo il Canto). Ma d’altrapartevv.55-56:«Sela vita è sventura, / Perché da noi si dura?», 64: «il patir nostro», col fitto accompagnamento di espressioni quali «la vita mortale» 38, «l’uomo» 39, «l’umano stato» e «lo stato mortale» 49 e 58, «Questo viver terreno» 63, «l’innumerabile famiglia» 92 ecc., fino a «chi nasce» 143 in derivatio immediata con «(il dì) natale», e sono le ultimeparoledelCanto. E siamo al ‘Ciclo di Aspasia’;cosiddettopervarie ragioni. Tra le quali: la dispersionemetrica,contando due canzoni libere (e la prima,Ilpensierodominante, di forma particolarissima, sgranata in 14 lasse anche breviobrevissime),unalassa isolatadicanzoneliberaedue sciolti diffusi, uno dei quali fral’altro,Consalvo,arretrato daLeopardinellasuccessione dei Canti, fra l’ultimo idillio e Alla sua Donna. La presenza relativa di Aspasia stessa, tutta e carnalmente viva,erifiutata,soloneltesto a lei intitolato, visibile in controluce in A se stesso, forse romanzata nell’Elvira del Consalvo, presente solo intertestualmente in Amore e Morte grazie a un passo di una lettera a Fanny che risuona peraltro anche nel Consalvo99-100[13];eforsesi puòaggiungerel’anti-Aspasia che potrebbe essere, celatamente, la seconda Sepolcrale[14]. Infine la grandedifferenza,nonsolodi forma, fra un testo e l’altro. Perché se Aspasia e A se stesso si implicano, Il pensiero dominante e Amore eMorte più che implicarsi si intersecano, e il secondo completa o se si vuole ‘supera’ilprimo,e Consalvo è un unicum nei Canti, romanzo o novella in versi comealtridell’Etàromantica, il cui protagonista è e non è l’alter ego dell’io scrivente chescorgiamoneglialtritesti del‘Ciclo’. Data la curvatura fortemente soggettiva e persino autobiografica di queste liriche, il ‘noi’ se non vedo male è presente, oltre cheasorpresainAsestesso, solo nel «noi mortali» del Pensiero dominante, l’individuo più speculativo della serie, 83 – e cfr. «vita mortal» 91 (d’altro genere il «noi» di 8, in rima, partenza dal generale per scendere al particolare, replicato in qualche modo da «Solo un affetto / Vive tra noi» più «uman core» 77-79). Nel testo, giusta l’assunto del «dominante» del titolo (dissociato al v. 2 in «Dominator di mia profonda mente»), l’obiettivo è tutto sull’io poetante, modellato e occupato, sia pure attivamente, da un pensiero d’amore concepito metafisicamente, con un interessante incremento, come in altri casi, nel finale, disteso nella quasi epifora sovrapposta alla rima di 127 ss.: «… io vivo… io respiro… io miro…». Le allusioniall’umanitàincapace difarsidominaredalpensiero dell’amore sono quindi aspramente negative: oltre al «secco ed aspro / Mondano conversar» 34-35 cfr. le formule esplicite di «mondo sciocco» 38, «mondo inetto» 48, «umana viltà» 58 ecc., o ancor più chiaramente ad esempio «A scherno / Ho gli umani giudizi; e il vario volgo / A’ bei pensieri infesto, / E degno tuo disprezzator, calpesto». AmoreeMorte, uno dei certi capolavori dei Canti, è il più mossoevariegatodellaserie. Dopo«ilmortale»36–ecfr. «forzamortale»77(restrittivo è«l’affannosoamante»50),e soprattutto «l’umana famiglia», più comprensivo chemai,92–l’ioesplicitosi affaccia solo nella lassa finale, sempre in dialogo col caratteristicorilancio«Etu… invoco» 96-97 ecc., s’alza orgoglioso nel solitario agonismo di «Me…», per guardarsi infine teneramente nel mirabile distico conclusivo, «Quel dì ch’io pieghiaddormentatoilvolto/ Nel tuo virgineo seno», con settenario smorzante, in contrattempo,comesoloinA Silvia. Occorre considerare peròcheilCantoègremitodi altri ‘personaggi’ che sono come squisite stilizzazioni delle vive creature dei Canti pisano-recanatesi:«lanegletta plebe» 62, «l’uom della villa…» 63, «la donzella timidetta e schiva» 65 (donzella+timidetta = donzelletta, mentre schivo è anche attributo spiccante di Silvia, e con questo valore solo di lei), «il villanello ignaro» e ancora «la tenera donzella» («tenerella» era Silvia) 83-84, e subito, con ulteriore stilizzazione e a un livello più alto, nel trascinante crescendo, «i fervidi,i felici, / Gliamorosi ingegni» 88-89 (oltre alla doppia anafora, agisce la stringenteallitterazione). Per Consalvo – e ovviamente – non occorre ricordare più che «la natura terrena» 113 e il «mortal» 123. E veniamo ad Aspasia (nominata nel titolo e poi altre due volte, anche qui comeunasortadirovesciodi A Silvia), col suo risentito agonismo interindividuale. Ha forse qualche interesse, anche per il relais col Pensiero dominante, che nelle prime tre lasse ai morfemi di prima persona si intrecci, quasi sovrastandoli, la ‘metonimia’ «il mio pensier(o)»/«ilpensiermio» 1, 28, 33, 62 – e nella prima come nella terza lassa in contatto immediato con «Aspasia» (s’aggiungano «l’alma»7e«l’indomitomio cor» 92). E vanno guardate con attenzione alcune circostanze: fra 28 e 33 il ritorno dell’espressione sta a cavallo di due lasse, contribuendo a legarle in continuità;a1,cioènelverso d’apertura,il«pensiero»dello scrivente s’oppone al «sembiante» e alla «beltà» delladonnaenonsoloalsuo nome;nellasecondalassa«il miopensier(o)»èugualmente in incipit, e quasi così anche nellaterza(inentrambenella forma «al mio pensiero»). L’ioesplicitosiscatenaanche inAspasianelfinale,apartire dalla metà della terza lassa, con formulazioni vigorose e amare come il cozzo immediato «io te», rincarato da «ma ecc.» 78, lo stremato «me di me privo» 96, e finalmente la chiusa che ricalca un po’ quella della Vitasolitaria,maquasifosse pronunciata da un Bruto: «Qui neghittoso immobile giacendo,/Ilmarlaterraeil ciel miro e sorrido» (altra cosasono«ilpiagatomortal» e «il rapito amante» di 38 e 42). Tornando al punto precedente, dunque Aspasia si caratterizza anche per il fattochel’espressionedell’io attraverso il «pensiero» e il cuore da una parte guarda come accennato al Pensiero dominante, dall’altra si espande in A se stesso (o ne deriva). Le due Sepolcrali formano ilditticopiùstrettodeiCanti. Eppure, per varie ragioni che non è il caso di riassumere qui, si distinguono piuttosto nettamente l’una dall’altra (a partire dal fatto che nella prima la donna s’avvia alla morte, nella seconda è morta da tempo). Come sempre, in Leopardi l’individuazionedel Canto singolo fa aggio sugli accoppiamenti, che quindi non sono variazioni di uno stesso tema, ma piuttosto elaborazioni dello stesso da un diverso punto di vista, integrazioni o addirittura ‘superamenti’.Ilpiùdiffusoe raziocinante Basso rilievo abbondadimorfemidiprima plurale:«portiam»e«i nostri danni» 68-69, «dimostrarci» in chiusa di lassa 74, il rafforzato tutti noi 77, «in noi» 105, nostro… nostro 109, verso finale; e insieme «il mondo» 31, «animal famiglia»45,«questasensibil prole»57,«l’umancorso»64, «al mortale il mortal» 107. E anche in questo testo prendono posto, stilizzati nellalorocategoria,personae concrete, nei bei versi 98 ss. È veramente un dosaggio molto notevole. Nello stesso tempo l’io esplicito si dichiara due volte in forme decise:«iostessoinme»14e «com’io per fermo estimo» 82. Nel più conciso Sopra il ritratto registriamo «esser nostro» 23, con «mortale stato» 31, «lo spirto umano» 44, «Natura umana» 50; ma l’io in quanto esplicitamente tale è assente. Questo assetto sipotràanchespiegareconla situazione per cui, come del resto nella precedente, l’interlocutorefondamentaleè la «natura, illaudabil maraviglia» (Basso rilievo 47), che qui però ha definitivamente compiuto la sua opera distruttiva; e forse anche col fatto che la controparte femminile non è una creatura viva ma un artefatto,siapureispiratoredi immaginiumaneviventi. NellaPalinodia,datoilsuo carattere di poemetto a un interlocutore e di lode antifrastica (fin dalla prima parola,«Errai»)dellasuperba civiltà presente, l’‘io’ e il ‘noi’ si bilanciano. Basti evidenziare per il secondo «gener nostro» 95 e anche «secol nostro» 106, «saper nostro» 226, nonché la formula,consonaall’indirizzo a un interlocutore, «il mio secolo e tuo» 212; per il primo i vv. 20 ss.: «Riconobbievidi…evidi… conobbi…vidi»,sicuramente variazione insistita dei danteschi «vidi e conobbi», «e vidimi e conobbemi», Inf. III 38 e Purg. XI 76, e il metalinguistico «mentre io scrivo» in apertura di lassa, 135. Più importano le due grandilirichefinalideiCanti, Il tramonto della luna e La ginestra, e il loro confronto. Nel Tramonto, dominato ciclicamente dalle due grandi descrizioni postidilliche della prima e quarta lassa – capaci così di puntualizzarsi nel bellissimo sgranamento polisindetico di «E rami e siepi e collinette e ville» 8 come di rinnovarsi nella potente, cosmica ecfrasi del sorgere del sole, 58 ss. – compare appena, per il ‘noi’, «Nostra misera sorte» 35 accompagnato da «l’età mortale» 21, da «la mortal natura» 26, da «la vita mortal» 63 (anche da «ogni animale» 40), e l’io non è presente che implicitamente nell’allocuzione «Voi, collinette e piagge…» 51 ss. E si comprende, data la compresenza e fusione nel Canto di descrittività e allegoria; e va pure notato al proposito che nell’allegoria maggiore sono inclusi due ‘personaggi’ minori a lor modo allegorici, il «carrettier»19esoprattuttoil «confuso viatore» 29, entrambieredidelpasseggero che riprende il suo cammino alla fine della prima lassa dellaQuiete. Tutt’altro statuto quello della Ginestra, nella quale l’oggettività degli spazi slargati, prospettici o immensi e della «triste scienza» (Adorno) è detta continuamente da un io insieme eloquente e contemplativo, in alcuni momenti estatico. Fa quindi testo che tutta a carico di quell’io agonisticamente sconfitto nella sua finitezza sia la grande e quasi infinita immersione cosmica della IV lassa, 158 ss., inaugurata da una rima interna equiposizionale Seggo- Veggo, per proseguire con appunto… miro… al pensier mio… io premo; senza dire cheilQuiribattutoinattacco sia della prima che della seconda lassa (e qui sdoppiato in anafora immediata:«Qui…equi…») rende immediatamente sincrono lo spettacolo al soggetto, o meglio colloca ancora una volta il soggetto dentro lo spettacolo (e cfr. analogamente«Ortiriveggo» 14). All’io giudicante e sarcastico vanno attribuiti invece almeno «Non io…» 63,«mirido»71,«Noncredo io già» 99. È ben chiaro che la Ginestra è non la somma ma la dialettica (e questa volta con un barlume di soluzione) di due (o più) registri.Quantoal‘noi’citerò «il nostro stato» e «il gener nostro»39-40,«risorgemmo» 74,«Chenatura cidiè»80,e quindi «l’uman seme» 43, «comun fato» 113, «prole / Dell’uomo» 183-184, «il seme / Dell’uom» 231-232 ecc., e soprattutto «l’umana compagnia»129,cuisegueil manifestomilitante«Tutti fra se confederati estima / Gli uomini, e tutti abbraccia…» nella «guerra comune». E anche nella Ginestra la duplice allegoria maggiore (e ciclica) del vulcano sterminatore e dell’umile ginestra chiamata a sé in dolcissimeapostrofi,contiene agentimicroallegoriciqualiil passeggero 13 (qui precisamente come nella Quiete), il «villanello intento» 240 ss. (cfr. Bruto minore 96 e soprattutto Amore e Morte 82)[15], il peregrino 276. Non solo dal nostropuntodivistailgrande poema sembra sviluppare in contemporanea tutte le possibilità del discorso poetico. All’ingrosso, come s’è visto, le transizioni o compresenze fra ‘io’ e ‘noi’ appartengono soprattutto a due fasi e modi della poesia dei Canti: le Canzoni e una parte notevole dei Canti napoletani,conesclusionedel ‘noi’ quasi totale, invece, negli Idilli e per ragioni opposte in gran parte del ‘Ciclo di Aspasia’. Anche da questoristrettoangolovisuale si conferma dunque come orientativa la tradizionale distinzione in cinque zone dellapoesiadeiCanti,macol correttivo, almeno, che la grande stagione dei Canti pisano-recanatesi, mentre per certi aspetti continua notoriamente gli Idilli, per altrisiprotende,specieconla Quiete e ancor più col Canto notturno, verso l’ultimo Leopardi. La presenza massiccia del ‘noi’ nelle Canzoni e negli ultimi Canti appare significativa anzitutto per questo motivo: che proprio là dove agisce più intensamente l’io agonistico di Leopardi là a quell’io si affianca (o lo contiene) un ‘noi’,cioèl’uomoingenerale colsuodestinotragico;cheè tantopocoastratto,fral’altro, quantosonovarieneiCantile espressioni sue ‘sinonimiche’ che abbiamo passato in rassegna, fino all’«umana compagnia»dellaGinestra.E parlare unicamente di io agonistico è anche riduttivo: perché a partire da un centro chepuòesserecollocatonegli ultimi Canti recanatesi, quell’io agonistico è nello stesso tempo un io sapienziale, della sapienza diagnostica e nichilistica, conscia dell’universale malvagità della natura, che emerge a tutte lettere soprattutto in due Operette del ’24, il Dialogo della Natura e di un Islandese e il Cantico del gallo silvestre.Il cantore del proprio io eroico o idillico o esistenziale è divenuto anche il filosofopoetadell’infelicecondizione umana, a cui importa, per usare un passo dei Diari di Kafka (25 settembre 1917), «sollevareilmondonelpuro, nelvero,nell’immutabile». In queste condizioni il ‘noi’ ma ancor più l’‘io’ tendono a esporsi in forme più marcate e/o ripetute, sia dal punto di vista elocutivo che posizionale: quante volte in particolare l’io, assente o raronellaparteprecedentedi un Canto, assume, e anche con insistenza, posizione nel finale dello stesso, avocando eloquentementealséaffettie pensieri espressi in forma menopersonalenellestanzeo lasse anteriori. È certo anche un modo per esprimere con forza la natura pienamente lirica di quei testi, disegnandola, oltre che come complesso, come sviluppo e punto d’arrivo. In questo Leopardiriaffermailcarattere sempre dinamico e progressivodellasuascrittura (si prenda, serrato ma eloquentissimo in questo senso, l’Infinito). E se è ben vero, come ha visto soprattutto Blasucci, che Leopardi dispone così spesso i propri testi per coppie similari o dittici, non è men vero che anche il nostro peculiare punto di vista conferma la sua fortissima tendenzaadifferenziarlinello stesso tempo più o meno fortemente in nome della superiore istanza, alla quale s’è già accennato, a caratterizzarecomeindividui unici tutti e sempre i singoli Canti. Si veda più sopra la diversitàfraAll’ItaliaeSopra il monumento di Dante, e soprattutto fra le due Sepolcrali e fra il Tramonto della luna e la Ginestra. È un’altra forma di quell’individuazione che è necessariaalgrandelirico. Più in generale possiamo dire che nel complesso dei Canti quanto alla presenza e al ruolo delle persone convivono, s’intrecciano e si sommano due paradigmi, quello io/tu, esplicitamente dialogico, e quello io/noi, apparentementenondialogico ma tale anch’esso, a me sembra, a un livello più profondodellasignificazione. Naturalmente il primo è più diffuso e più ramificato, ed è anche in grado di rovesciarsi quanto alla funzione del dialogante:altro‘tu’èlaluna diprima(peres.Allaluna)e invece nel Canto notturno, dove l’astro non è più prossimo e sororale (o materno) ma remoto e muto; altroil‘tu’dellanaturaprima e dopo la scoperta della sua distruttivitàsenzaeccezionie senza limiti; altro ancora il ‘tu’ di Silvia e quello di Aspasia ecc. Per non dire di quandoil‘tu’è,inprofondità, uno specchio dell’io: perché per Leopardi si può invertire la celebre formula rimbaldianaedire:‘unaltroè io’. Quanto all’altro schema, comes’èvistotendeadessere assente, con rare eccezioni, laddove per ragioni diverse domina un io fortemente esistenziale e addirittura autobiografico; e la sua temperatura è per così dire costante, sovrapposto com’è alle pur luminose circostanze che muovono vivaci appelli, tenere allocuzioni, e mosso invecedallaspintanonmeno costantenelpoeta-pensatorea universalizzare.Mainquesta costanza, o se vogliamo ripetitività, sta anche la sua importanza, come di uno schema teoretico potenziale che può continuamente farsi presenteefluidoneitesti.Ora iononvogliocertodirechela frequente compresenza dell’io e di un ‘noi’ che lo rispecchia e include vada messa sullo stesso piano del dichiarato solidarismo della Ginestra (e di alcune prose dello scrittore); ma se qualcuno mi suggerisse che gli è congenere e sotterraneamente lo prepara, nonpotreicheconsentire. [1] Cfr. da ultimo «Vaghe stelle dell’Orsa…». L’«io» e il «tu» nella lirica italiana, a cura di F. Bruni, Venezia, Marsilio 2005. Naturalmente perimieirilieviadoperoinmodolibero imiglioricommentideiCanti,Fubinie Bigi, G. e D. De Robertis, Contini, GavazzenieLombardi,Muñiz. [2]Mipermettodirimandarealmio Sonavanlequietestanze.Sullostiledei «Canti» di Leopardi, Bologna, Il Mulino,2006,passim. [3]Cfr.soprattuttoS.Carrai,inStudi in onore di Pier Vincenzo Mengaldo, Firenze, Sismel-Edizioni Galluzzo, 2007, pp. 879-885. Decisivo per il diverso tono il confronto con Primo amore 15-17: «Dimmi, tenero core, or chespavento,/Cheangosciaeralatua fra quel pensiero / Presso al qual t’era noiaognicontento?». [4] Che possano coesistere nello stessotestoleopardianoun‘noi’dualee uno generale mostra soprattutto l’Ultimo canto di Saffo, cfr. infra. Di implicazione dell’io nei destini della specieparlaappropriatamentelaMuñiz nelsuoottimocommento,adl. [5] Nell’insieme dell’Appressamento lecosevannodiversamente,maquinon importa. [6] Per l’importanza dell’investimento in Bruto va sempre tenuta presente la lettera a Louis de Sinnerancoradel14maggio1932(ed. Brioschi e Landi, num. 1749): «Mes sentimentsenversladestinéeontétéet sont toujours ceux que j’ai exprimés dansBrutominore». [7]V.L.Blasucci,Ititolidei«Canti» e altri studi leopardiani, Napoli, Morano,1989,pp.70-90. [8] Cfr. L. Felici, L’Olimpo abbandonato, Venezia, Marsilio, 2005, pp.85ss. [9] Qualcosa di simile in Vita solitaria14ss. [10]Esitengacontocheneivv.1314,aggiuntipiùtardi,ognimorfemadi prima sing. è assente, per cui le proporzioni sono anche più impressionanti. [11] Cfr. Mengaldo, Sonavan le quietestanze,cit.,pp.147-177. [12] Notare, a parte tutti gli altri elementi, che nome della fanciulla o suoi sostituti pronominali sono sempre in posizione forte, a inizio o chiusa di lassaoinentrambeleposizioni:Silviasalivi suo anagramma 1-6, «tu solevi» penultimo verso 13 (col verbo che rimanda ancora fonicamente a «Silvia»),«oSilviamia»secondov.29, «Tu pria…» inizio di lassa 40, «teco» penult. v. 47, «Tu, misera, cadesti», avvio della conclusione, «mostravi» v. finale63.Qualcosadisimilesidicaper l’io:lasecondalassa,l’unicadedicataa lui interamente, si apre con «Io…» e termina con «… io sentiva in seno» (con l’allitterazione che compatta), quindi mia a inizio lassa e in rima baciata29,«Lasperanzamiadolce:agli anni miei…» secondo v. dell’ultima lassa. [13] Ed. Brioschi e Landi, num. 1777: «E pure certamente l’amore e la morte sono le sole cose belle che ha il mondo, e le sole solissime degne di esseredesiderate». [14] F. Fortini, Le rose dell’abisso. Dialoghi sui classici italiani, a cura di D. Santarone, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, p. 74, così scrive, pensando certamente agli aspetti macabri del testo: «la seconda [Sepolcrale] appare essere da molti punti di vista una sorta diciamo di ricognizione della salma di Aspasia… [Leopardi] si accanisce a vederla nella tomba». Più prudentemente si può pensare alle descrizioni delle rispettive bellezze,chenelcasodelladonnadella Sepolcrale comprende, anzi come primo, il «dolce sguardo» che faceva tremare chi lo fissava, mentre dal ritratto sensuale di Aspasia gli occhi sono,noncasualmente,assenti. [15] È indicativo dell’‘orecchio’ di Leopardi che in tutti e tre i casi, gli unicideiCanti, il tenero vezzeggiativo occupilastessaposizionepenultimanel verso, e sia seguito, in sinalefe, da un aggettivo trisillabo piano iniziante con i-:«industre»,«ignaro»,«intento». IV Notedisintassi poeticaleopardiana Un’analisi dell’uso e della frequenza del polisindeto nella poetica leopardiana permette di evidenziare modificazioni e continuità del gusto compositivo di Leopardi. La sintassi leopardiana dell’e evidenzia la ‘grecità’ del Leopardi e il suo convincimento che la dimensione poetica per eccellenzasiaquellaallalirica. Apriamo il libro dei Canti al suo primo (di data, prescindendo dall’acerbo Primo amore, e posizione) individuo, la canzone All’Italia, interrogandola dapprima circa un fenomeno microsintattico,ilpolisindeto. I suoi 140 versi sono attraversati da ben undici polisindeti: uno subito in avvio e per di più quadrimembre,«Opatriamia, vedolemuraegliarchi/Ele colonne e i simulacri, e l’erme / Torri degli avi nostri», cui fa riscontro con circolaritàsintattica,19-20,in chiusa della stessa stanza, «Le genti a vincer nata / E nellafaustasorteenellaria», e cfr. poi ad esempio 41-42, 61-62 ad attacco di stanza, 81-82 idem, dove va pure notato l’inizio della stanza con una E che lega, non staccarispettoallaprecedente (come per esempio il Né di Allaprimavera58evarialtri casi simili nei Canti: cfr. qui il capitolo successivo). Da aggiungere che raramente la figuraèmoderata(daanafora a 28-29) o evitata (111: «La fugaicarrieletendecadute», ma forse la fuga è oggetto). Così stando le cose, non meraviglia che, salvo errore, nel testo si trovi un solo esempio (34-37) dell’opposta figura dell’asindeto – non moderato da anafora o simili – e che i molti polisindeti cadano, come è normale, in periodi brevi e scanditi, al limite, 29, un periodo di un solverso.Elaprimacanzone non si segnala ancora per quell’ampiezza del periodare che caratterizzerà via via le successive, anche in virtù delle frequenti esclamative e interrogative, fra eloquenti e patetiche, che – come in generale – si attestano di preferenzainperiodibrevi. Ma già nel contemporaneo e fratello Monumento di Dante la situazione sintattica e stilistica è cambiata, ed è più sobria quanto a polisindeti: sei casi su 200 versi (ad esempio 141-142, anche in presenza di una congiunzione che apre il periodo: «e lor fea l’aere e il cielo/Egliuominielebelve immensa guerra»). Viceversa da una parte il periodare si slarga (vedi in particolare 74 ss.) e aumentano gli stacchi asindetici, quattro (105, moderato dall’anafora, 107, 133-134, 179), e a 144 un polisindeto è evitato: «Semivestiti, maceri e cruenti», anzi è evitato in sede di correzione (lez. precedente «S. e squallidi e…»).Ulterioreriduzionenel Mai, con quattro polisindeti in 180 versi: si citerà soprattutto la mirabile rievocazione del mondo del Furioso, 111 ss.: «O torri, o celle,/Odonne,ocavalieri,/ O giardini, o palagi!», che stringelacitazionedelprimo versodelpoemafradueaeree variazioni. E in questo testo la struttura sintattica, passibile di ampiezze, è simile a quella del Monumento, gli asindeti si contanosulladecina,eunodi essi, 136, parte ex abrupto a inizio di strofa, mentre la chiusadellastrofaultimaneè fieramente martellata. Siamo sullastradadiquantoavverrà nellecanzonicheseguono. Della Sorella Paolina mi limitoaricordarechel’unico polisindeto cade ancora nell’attacco della lirica (che pure presenta fra l’altro l’arcaicaparaipotassi,89-90), e però quella stessa prima strofa è saturata da un unico periodo di 11 versi, con quattro subordinate e un’apposizione (altro periodo esteso è a 68 ss.); del Vincitorechenonviètraccia di polisindeti se non quello protratto di 42-46, che anche qui la sintassi è mossa, come indica subito la lunga parenteticadeivv.5-7,sicché lasecondastrofa,di13versi, è occupata da due soli periodi,consviluppirelativie unaconsecutivaachiudere,e la quarta da uno, affannato dai continui rilanci delle congiunzioni ad apertura di frase. Arriviamo così al Bruto minore, prima grande prova leopardiana nel genere canzone, dopo il finale del Mai,distileintercisoediarte dello staccato. Un solo polisindeto (92, e moderatamente) fa eccezione a tutti gli stacchi asindetici, altrettante, e non meno fiere che rotte, affermazioni perentorie di verità nel negativo e di estrema opposizione morale alla sventura:andràcitatoalmeno quello, straordinario, di 80 ss.: «Cognati petti il vincitor calpesta, / Fremono i poggi, dalle somme vette / Roma antica ruina; / Tu sì placida sei?» con Tu subito replicato in anafora, come il leopardianissimo e parimenti splendido E tu che apre la strofa ed è ripreso a distanza al v. 86. Tutti questi staccati, questi abrupti, convivono nella Canzone, quasi a contrasto, con la maestosità del periodare (cfr. sempre 76 ss.), dichiarata quasi programmaticamente dalla strofa-proemio iniziale, dopo la quale la parola passa al protagonista, che è tutta occupata da un solo periodo di 15 versi. È una bivalenza cheparerispondereapuntino aciòcheneimotivieneltono èlacompresenza/conflittodi pathoserazionalitàdisperata, la stessa che fa iniziare con Dunque una delle domande ‘retoriche’,lietenomasicure, di Bruto, 25 (le due precedenti occorrenze nelle Canzoni, come poi nel Consalvo, sono interne alla frase; iniziale, ma con tanta minor forza, solo nel Sogno 39). Alla stessa stregua rileviamo almeno il Ma fortemente avversativo ad attacco di verso, 64, anche questoleopardismotipicogià dalle prime canzoni (All’Italia101,Monumentodi Dante44ss.,86,AngeloMai 76: ad apertura di strofa) e poisempreneiCanti;oppure il martellato anaforico sulle particellenegativenè,nonnel finaledelCanto[1]. Basterannocenniessenziali per il rimanente delle Canzoni. Nessun polisindeto nei 95 versi di Alla Primavera e neppure nella terminaleAllasuaDonna(55 versi), segnate invece da un periodare largo e complesso (cfr. della prima soprattutto l’inizio della prima strofa e i vv. 85-95, della seconda la prima strofa per intero e per intero pure la strofa finale, quasi ad anello); mentre l’inizio di Alla Primavera esponeunafortissima,audace giustapposizione: «Perché… Ristori… e perché… avvivi…; / Credano il petto inerme / Gli augelli al vento…». Un po’ diversa la condizionede L’ultimo canto diSaffo,doveitrepolisindeti tra i 72 versi della canzone, 58 ss., 67, 70-72, sono certo in funzione del suo nuovissimo, ardente pathos («E tu cui lungo / Amore indarno,elungafede,evano / D’implacato desio furor mi strinse…»), e il terzo si spegnerallentatodallevirgole nel silenzio della chiusa, che è anche la morte («e il prode ingegno/HanlatenariaDiva, / E l’atra notte, e la silente riva»).Veroèperòcheconla relativa eccezione dei vv. 813 e qualche altro luogo simile,ilCantononconoscei periodi lunghi e avvitati di altre Canzoni, e può arrivare invece a scandire così: «Incaute voci / Spande il tuo labbro: i destinati eventi / Move arcano consiglio. Arcano è tutto, / Fuor che il nostro dolor.» 44 ss., con sottolineatura dell’ineluttabile; «Ogni più lieto / Giorno di nostra età primo s’invola. / Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l’ombra/Dellagelidamorte» 65ss.(appuntoinpresenzadi polisindeto), e addirittura a battere ad attacco di strofa una frase monorematica («Morremo.» 55); il discorso si snoda sulle anafore o ripetizioni di noi o me, tra pathos e orgoglio, cui fanno contrasto quelle delle belle entità dalle quali la forte infelice è esclusa: sembianze coi relativi aggettivi euforici, bello, con beltà, felice. Nei Patriarchi, aggregati da Leopardi alle Canzoni nonostante il diverso metro, questo e il tema fanno capire almeno in parte il ritorno a un’eloquenza e discorsività ormai in deroga allo stile più denso ed essenziale che il poeta aveva conquistato: quindi in 117 versi sei polisindetieunpo’deltipodi quelli ospitati in All’Italia (per es. 22 ss.), sia pure controbilanciati da stacchi asindetici (in particolare 114 ss., e nel breve il grande effettodi«lafugace,ignuda/ Felicità» 116-117); comunque contenuti entro periodi medio-lunghi (vedi particolarmente 11-21). LascioperdereinfineIlprimo amore,datalasuaarcaicitàdi data e di stile (metro compreso, unico nei Canti a parte l’«Appendice» su cui vengosubito). Concludo per le Canzoni. In All’Italia e parzialmente nelle due successive la frequenza dei polisindeti appare in sostanza debitrice di uno stilema poetico tradizionale, come conferma, senza uscire dai Canti, la terza rima del Frammento XXXIX, tratto dalla cantica Appressamento della morte del 1817, con ben sei polisindetiin76versi(unosu 15 versi è anche nel Frammento XXXVIII, probabilmente del ’18, e in verità è il bellissimo «O care nubi, o cielo, o terra, o piante» 7, sebbene con o vocativo, da considerarsi forse archetipo di simili mosse del Leopardi futuro). Evidenteèpurechegiànelle Canzoni questo fenomeno retorico-sintattico di tanto è eliminato, o limitato drasticamente, di quanto in esse crescono nel tempo fino ai risultati vertiginosi del Bruto l’audacia agonistica e quasi programmatica nel periodare e l’opposta tecnica drammatica asindetici. degli stacchi Questo però era solo uno deiduetavolisucuilavorava inqueglianniLeopardipoeta, l’altro essendo quello tutto diversamente sagomato degli Idilli.Equiiltrattosintattico e stilistico che nelle Canzoni eradiventatoprestoresiduale, cambiadifisionomiaevalore e diciamo di ambientazione sintattica, e si rivela in essi fondamentale,equasipernoi un segno sicuro di riconoscimento. Dei cinque testidellaserie,unosoloneè privo,Allaluna,ecredosene capisca il perché guardando aiduelegamiperiodaliconE della breve poesia, il firmatissimo «E tu» 4 e l’«E pur mi giova» 10, cui si appoggianol’edeilnèdi9(e cfr. anche 16 = il primitivo 14); per il resto la lirica presenta una struttura sintattica simile a quella dell’affine Infinito (parlo ancora della redazione anteriore all’aggiunta tarda dei vv. 13-14)[2], con periodi brevi (due versi a 10-12) e nessi subordinativi scarsi e rapidi. Alle giunture coordinativeappenaosservate si oppone solo più risentitamente l’avversativa Ma di 6, stacco fra la descrizioneestaticadellaluna sul colle e il ritorno alla propria angoscia, però con successivo rientro rammemorativo e contemplativo a 10 ss. («E pur…»),esecondoloschema ‘dialettico’ su cui ha posto giustamente l’accento la Brose[3]. Ma per il rimanente della serie il polisindeto s’incarna profondamente nelle intime narrazioni idilliche, creandone il mirabile ‘legato’ e rallentandone il corso in funzione meditativa e ‘infinitiva’ (Blasucci): forse l’espressione-simbolo ne è l’«a poco a poco» con cui smuore allontanandosi il canto sentito nell’infanzia dellaSeradeldìdifesta. Ed ecco dunque l’Infinito, primo in cronologia e, lo sappiamobenesoprattuttoper merito di Blasucci, fornitore degli altri Idilli tutti (e non soltanto). Sono, come noto, quattro momenti logico- sintatticiincrescendoscanditi da tre congiunzioni (ma il richiamo al sonetto non mi pareopportuno):Ma,E,Così (che vale più o meno ‘e allora’), e che in se stessi sono non soltanto contenuti ma fortemente paratattici: il primo con una sola e semplice relativa, il secondo con due gerundi coordinati senzaespansioni,ilterzocon unabrevetemporale,ilquarto con una lieve coordinazione. Entro questa chiara scatola dispositiva, chiara quanto il movimento immaginativo è sempre governato dal «pensiero», si distendono in 15 versi, e precisamente al loro centro, i due grandi e maestosi e frenati polisindeti cheoccorrepursemprecitare benché notissimi: «… interminati / Spazi di là da quella e sovrumani / Silenzi, e profondissima quiete / Io nel pensier mi fingo», con questo ritardando accentuato dalla posposizione del verbo, e«ioquello/Infinitosilenzio a questa voce / Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,/Elemortestagioni, e la presente / E viva, e il suon di lei», che potremmo classificare come un polisindeto minore, alla fine, entro uno maggiore, il tutto per così dire annunciato dall’inarcatura rallentante e agrammaticale su quello in luogodiciòcheinprosaein lingua comune dovrebbe essere «quell’». E la dominante polisindetica è accompagnata da elementi consanguinei,l’epifrasidelv. 2 («e questa siepe») e come s’è visto l’attacco con E del terzo periodo, e infine quella che avvia impulsivamente la conclusione, nell’ultimo verso. Altrettanto memorabile degli appena citati è il polisindeto incipitario, che detta il tono, della Sera: «Dolce e chiara è la notte e senza vento» (nato, come è bene ricordare, da geniale correzione di «Oimè, chiara…»),cuifannoseguito, quasicomeeco,letransizioni coordinative di «E queta…» 2,«edilontanrivela…»3,«e pei balconi…» 5 (poi anche «e non ti morde… e già non sainépensi…»8-9,l’epifrasi di 12-13, «e forse… e quanti…»18-19);quindi,con altrotimbro,«equiperterra/ Mi getto, e grido, e fremo» (da«emiravvolgo»),munito delle consuete virgole che rallentano ulteriormente, insiemeacuivedipure30ss., 34ss.,38-39,finoall’avviodi chiusa«edallatardanotte…» 43. E l’impianto sintattico vi è spiccatamente semplice e paratattico,consediciperiodi concisi o concisissimi su 46 versi (cfr. in particolare 2324), anche quando non si tratti di esclamative o interrogative ‘sentimentali’, entro i quali la subordinazione è estremamente rara; di segno inverso solo l’asindeto di 11: «Tu dormi: [in anafora] io questo ciel…», opportuno a marcare l’antitesi io-tu. Del Sogno è sufficiente dire che su 100 versi conta ben trentatré periodi, anche brevi o brevissimi (cfr. soprattutto 19-21, quattro periodi di un emistichioopocopiù)dovuti anche a battute di dialogo e frasi elative, e che scorre per legamenti coordinativi, fin dall’attacco: «Era il mattino, e per le chiuse imposte…», probabilmente memore dell’erat + cum ‘inverso’ latino, coi veri e propri polisindeti di 58 ss., 95-97; benché certo il carattere più costruito e narrativo del non eccelso carme comporti qualche periodo ampio (a partire dal primo), e il suo impianto dualistico rechi con sé due netti asindeti a 43 e 85-86. Come per tutti gli altri aspetti, La vita solitaria sta piuttosto a sé fra gli Idilli[4]. Lapercentualedeiperiodiper versi diminuisce rispetto al Sogno – 23 su 107 –, già l’attacco è un periodo abbastanza sostenuto, e così se ne contano vari altri (si vedanoparticolarmente56-66 e75-85),perònoncompaiono asindeti veramente notevoli, masolomoderatidall’anafora (come ad esempio su Infesto 75-85-91); è cospicua invece la presenza di polisindeti o comunquedilegamenticone o nè, anche a catena, che s’affollano, come è molto indicativo, proprio nei passi più schiettamente idillici (nel senso ‘neoarcadico’ da un lato,nuovoesololeopardiano dall’altro) della composita lirica: «E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo / Degli augelli sussurro, e l’aura fresca, / E le ridenti piagge benedico» 8-10, poi nella grande descrizione estatica dellasecondalassa:«Ederba ofoglianonsicrollaalvento, / E non onda incresparsi, e non cicala / Strider, nè batter penna augello in ramo, / nè farfalla ronzar, nè voce o moto/Dapressonèdalunge odinèvedi»quindi«egiàmi par che sciolte / Giaccian le membra mie, nè spirto o senso/piùlecommova,elor quieteantica/Co’silenzidel loco si confonda» 28 ss., e ancora «Brillano i tetti e i poggielecampagne»58ecc. CosìLeopardinegliIdilli– o nelle zone più ‘idilliche’ degli Idilli – si crea una sintassi altrettanto sobria che fluida, che fa scorrere uno dopol’altro,opiuttostol’uno dentrol’altro,quasicomeuna serie di improvvisi o agnizioni, le esperienze mentali e i moti dell’animo (ricordi, visioni, meditazioni, balzi del cuore…) senza gerarchizzarli a posteriori, vale a dire narrandoli piuttosto che descrivendoli o enunciandoli. Qui la catarsi deriva anche da questo moto ondoso, cullante, eppure in unostiletuttofuso(ilvecchio Vasari avrebbe parlato di «unione»),cheritraenell’ioi flussi delle epifanie, e che è pervaso da un ‘legato’ sia sintattico che prosodico (la copiadisinalefi)cuinonsisa trovare in altra arte il simile che nelle maggiori espressioni della musica a Leopardi contemporanea. È, per tornare al punto, quello che potremmo chiamare uno stile della e, che riduce al minimo indispensabile la subordinazione e comunque nonlaporta quasi mai, come invece avviene in tanti momenti delle Canzoni, a quegli assetti cumuliformi, a quei lunghi grovigli, a quegli slanci quasi senza limite (ma beninteso sempre dominati dallaragione). Già negli sciolti, ma altrimenti estesi, del Pepoli (1826)lecosevannoalquanto diversamente: ad esempio ai vv. 4-5 il polisindeto «O gioconde o moleste opre» è preceduto immediatamente dall’asindeto con lieve anafora «in che pensieri, in quanto…», e altri polisindeti (64, 106 e, nel finale, 158) sono più che bilanciati da giunture asindetiche, generalmente con anafora, 9, 19-20,86,87,101ecosìvia, nonché dall’accostamento immediatodidueaggettivi,e allitteranti, a 49 («improba, invitta / Necessità», con figura similissima a quella sopracitatadaiPatriarchi),di tre aggettivi a 70 e a 103 (il notevole «Dono del ciel, ma grave, amaro, infesto»), mentre è evitato un polisindeto a 98: «Col mercatar,conl’armi,econle frodi» ecc. I periodi sono spesso gonfi, come a 27-37, 44-53 e di seguito 53-62, a chiuderlalassa,ealtrisimili: sicché, quasi di conseguenza, sono nel complesso rari i rilanci morbidi con e. In realtàquestocarmedalnostro punto di vista è importante per il suo ruolo di compromesso e transizione fra due stili: ciò che si vede ancor meglio se si osserva che ai periodi ‘costruiti’, e anche a qualche ‘arcaismo’ (necessitate 48), si alternano tuttavia momenti di sintassi serrata ed essenziale, come a 119-121o135-136(zeugma). A volte sembra già di respirare l’aria degli ultimi Canti. Quanto ai Canti pisanorecanatesi, una volta di più essi continuano ma soprattuttononcontinuanogli Idilli. Ovviamente sta a sé il Risorgimento, situato com’è nell’alveo metrico e stilistico che sta fra il Settecento arcadico e metastasiano e gli Inni sacri. Nessun polisindeto, e rare perfino le coppie aggettivali con congiunzione, in un ductus rapido ed euforico dominato dalla giustapposizione spinta (ad esempio 5-6, 16, 19 ss., 37-40,53-56conanafora,58, 59,81,83-84conanadiplosie viadicendo).EdoraASilvia. Anche qui niente polisindeti (ne è evitato uno a 23-25), e viceversa si distende in un endecasillabo la serie disgiunta di 57: «I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi». E d’altra parte un periodare snello anche per la fitta presenzadisettenari,mateso: il primo movimento, proemiale, seppur breve constadiunsoloperiodo,per di più di quella fattura interrogativa che di solito in Leopardi predilige gli spazi brevi, ed eventualmente le replicazioni; e circa così è anche un’altra apertura di movimentoa15-22ecc.Però ecco anche le riprese con congiunzione che smorzano gli stacchi «Era il maggio odoroso: e tu solevi…» 1314, «… Perivi, o tenerella. E non vedevi / …» ecc., fino alla chiusa: «… e con la mano / La fredda morte ed unatombaignuda/Guardavi di lontano». I periodi si restringono volentieri fino ai due versi, e a rassodarli sono spesso le ripetizioni, specie anaforiche, segni tipici dell’insistenza sulle note del pathos ma anche delegate a chiudere,odiremmomeglioa sospendere, le lasse (vedi specialmente 13-14, 26-27 e ancora il finale), una delle quali comunque attacca con Anche, 49. Quella che nel Pepoli era una aggregazione, qui è una fusione di due impulsi stilistici diversi, condotta con mano leggera chenonpareavernervieche perciò continua a giovarsi dello stile congiuntivo degli Idilli. Nelle Ricordanze, stante il diversometroel’estensionee la narratività cumulativa e composta, prendono maggior piede da un lato lo stile spezzato (anche con qualche rientro dalle Canzoni), dall’altro il gesto largo. Perciò, tralasciando per ora gli addossamenti asindetici, per lo più con anafora (ma non il bellissimo «arcani mondi, arcana / Felicità fingendo al viver mio» 2324), e il fatto – molto più significativocheinASilvia– che anche qui mancano i polisindeti, ecco che accanto a periodi sostenuti, fin dai due iniziali, se ne insinuano altridibreviobrevissimi.Fra questi meritano particolarmente la segnalazione quelli che si addensano ai vv. 149 ss.: «. Altro tempo.», novissimo inciso nominale che certo è alla base del montaliano «Altro tempo frastorna / la tua memoria» (Casa dei doganieri); la frase monorematicafraduepunti«. Passasti.», che sembra già guardare, come del resto la precedente, ad A se stesso; e infinelaripresa«.Marapida passasti.», incisività accresciuta dall’improvviso dell’avversativa; e cfr. pure subito dopo «. Ivi danzando;», con punto e virgolacorrettodaiduepunti precedenti, e anche «, / E giacevi.». Forse si può dire anzi qualcosa di più, che nell’ultima lassa dedicata al ricordo di Nerina, 136 ss., Leopardi esperimenta, dopo gli Idilli, un linguaggio del ricordo doloroso non più affidato a scorrimento e fusione, ma a un colpeggiare successivo di piccole frasi addossate e strette. E tuttavia nell’affollarsi delle rievocazioni si affollano anche i legamenti con l’e d’accumulo e di moltiplicazione: «E la lucciolaerravaappolesiepi/ E in su l’aiuole, sussurrando al vento / i viali odorati, ed i cipressi / Là nella selva; e sottoalpatriotetto/Sonavan voci alterne e le tranquille / Oprede’servi.Echepensieri immensi…», o a inizio di lassa«Némidicevailcor…» 29,«Egiànelprimogiovanil tumulto…»104,oancora39, 42, 76, 84 ecc. Per contro, anche prescindendo dai casi più spinti annotati sopra, si osserverà ad esempio l’incremento delle gerundiali e oppostamente dello style coupé, altrettanto ‘tagliato’ che sintetico, quale si ha in «intraunagente/Zotica,vil» 30-31, «Qui passo gli anni, abbandonato, occulto [in precedenza «solitario, ascoso»], / Senz’amor, senza vita» 38-39, «Il pensier del presente, un van desio» [da «un desir cieco»] 59, «l’acerbo, indegno / Mistero delle cose» 71-72, «indelibata, intera [con allitterazione] … La sua vita…» 73-75, «Fantasmi, intendo / Son la gloria e l’onor; diletti e beni / Mero desio[zeugma];nonhalavita un frutto, / Inutile miseria [apposizione]» 81-84 ecc. Sonoquestigliesitistilisticie concettuali di chi ha già scritto gran parte delle Operette e quasi tutto lo Zibaldone, per cui le constatazioni dell’infelicità personale e umana tendono ad assumere le forme scorciate e definitive dell’aforisma. Anche per questo le Ricordanze meritano di esser collocate piùinaltodiquantofacciano giudizi critici legati alla loro presunta ‘impurità’ – che inveroèpiuttostoricchezzadi toni e grande esperimento narrativo. Della prima lassa della Quiete basta mettere rapidamenteaverbale,tantaè l’evidenza del fatto, la stretta unione di frasi brevi e brevissime (cominciando dalla prima, il settenario «Passata è la tempesta.», etichetta o forse meglio sottotitolo), e il dominio dei legami asindetici, anche appoggiatiadanafore,sianei sintassemi corti che nei lunghi (Ecco, apre per due volte),eilfattochedunquele congiunzioni e sono solo le strette necessarie (2, 7, 16, 22). Ma un punto di valutazione generale va segnato, ed è che un contenuto non dissimile da quelli ‘idillici’ viene gestito qui con una strategia sintatticanonsolodiversama inversa (si pensi appena al secondo movimento della Vita solitaria). È anche il segno di una nuova oggettività, di un presentarsi singolare e creaturale delle epifanie come un in sé, non più risucchiate nella risonanza sentimentale e mentale dell’io? Per quanto concerne le altre due lasse, condotte in modo simile (tanto che l’«Ogni cor si rallegra…» della prima diventa nella seconda, rovesciandosi, frase autonoma: «Si rallegra ogni core.» 25), il risultato più notevole è forse la frase nominaleepigrafica,questasì aforisma a pieno titolo nell’ambito della teoria leopardiana del piacere, «Piacer figlio d’affanno», e quindi tutti gli asindeti con o senzaanafora,adesempio26, 33, 44-45, 47-48 ecc., con l’avvertenzachel’ultimo,5354, calca lo schema in crescendo del makarismós (assaifelice–beata),echela nuda terna asindetica di 38: «Fredde, tacite smorte» è peròvariatanelsuocorrelato così: «Folgori, nembi e vento» 41. Per altre osservazioni rimando al mio saggio sul Canto in questo volume(l’ultimo). Il Sabato ha, soprattutto nellaprimaepiùlungalassa, un andamento più disteso e infine – un po’ come tutta la lirica – più narrativo che semplicemente descrittivo (già i suoi due primi periodi contanorispettivamente7e8 versi): tanto che, nel breve, una ripresa anaforica è preceduta da congiunzione, «Torna azzurro il sereno, e tornanl’ombre/Giùdaicolli e dai tetti…» (17-18) e che con E inizia il periodo di 28 ss. Ma: «Odi il martel picchiare, odi la sega…» 33, in distribuzione complementare all’unico polisindeto, il vicino «E s’affretta, e s’adopra» 36; e nella pur non drastica gnome ecco «Giorno chiaro, sereno…»46e«statosoave,/ Stagion lieta è codesta» 4849, sostenuto dall’anafora fonica sta-sta. Mettendo qui, senza sbilanciarmi troppo sulla precisa datazione, il Passero[5],notofindall’inizio «Brillanel’ariaeperlicampi esulta [con chiasmo]» 6 ma «Odi greggi belar, muggire armenti[altrochiasmo];/Gli altri augelli contenti…» 8-9, «. Tu…» fortemente (ma implicitamente) avversativo di 12 – a cui risponde l’«. A me…»di50–,esoprattuttoil sintassema nominale anaforico di 13: «Non compagni, non voli», seguito da due frasi verbali, e cfr. anche 23-24 (con anafora), 29-30 ecc. Aggiungo, sia il testo del ’28 o più tardo[6], l’Imitazione da Arnaut, per far notare 7-8: «Dal bosco alla campagna, / Dalla valle miportaallamontagna»,con zeugma (ma l’asindeto è anche nell’‘originale’ francese),eanche10-11,con anafora(idem). Per ultimo, in base alla cronologia ma anche per un’ampiezza e uno sviluppo ignotialleprecedenticanzoni libere, considero il Canto notturno. E richiamo subito l’altra sua ben nota particolarità, vale a dire – secondo una possibile allusione a canti pastorali arcaici e remoti – la rima finalecostantediognilassain -ale, che fra l’altro collabora a compattare una materia altrimenti a rischio di disperdersi, e comunque abbraccia voci semanticamente connesse come immortale-mortale- natale e anche taleequale e fra le due ultime lasse dà luogo in più a coblas capcaudadas (animale : assale : ale, rima inclusiva). Che qui Leopardi potenzi la tecnica delle strofe che, diceva Dante, cadono rimate con bell’effetto nel silenzio non è estraneo alle soluzioni sintattiche: basti guardare la seconda lassa dove al lungo periodo (16 versi), quasi faticosamente trascinato, del vecchierelloinfermonesegue però in coda uno di solo due settenari baciati (e vedi A Silvia). Altre notazioni: a 13 il polisindeto è evitato: «Greggi fontane ed erbe», e dove sia, come appunto nella secondalassa,ècircondatoda forme sintattiche di segno opposto: «Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte» 25, ma «Per montagna e per valle» 24,«Alvento,allatempesta» 26,«Correvia,corre,anela,/ Varca torrenti e stagni, / Cade, risorge…» 28-30, «Abisso orrido, immenso» 35,concomplessivodominio dell’asindeto e una sorta di respirazione affannosa. Ancora: molti altri addossamenti asindetici, quasi un po’, verrebbe da dire, per riflusso delle Ricordanze: «Poi stanco si riposa in su la sera: / Altro mai non ispera» (lez. primitiva «E altro…»: anche per evitare la sinalefe?) 1415, «dimmi: ove tende / Questo vagar mio breve, / Il tuocorsoimmortale?»19-20, «Il patir nostro, il sospirar, che sia» 64, «Del tacito, infinito [da «taciturno, antico»]andardeltempo»72, «;/Me…»avversativocome nel Passero 50 ecc. (vedi sottoperAmoreeMorte),ein più molti altri asindeti accompagnati da anafora. Allo stesso modo del vecchierello,ancheilpastore, che in lui si rispecchia, ha il respiro affannato. E fra quanto ha scritto Leopardi, il Canto notturno è forse la lirica più abbandonata alle ripetizioni, lessicali e sintattiche e metriche (per il lessico parla il ritorno continuo delle parole tema greggia e luna), come vuole il vano aggirarsi del suo protagonista, alter ego di Leopardi, attorno a domande la cui risposta negativa è certa. È anche interessante che le legature con e si accumulino nella penultima lassa, nei versi 115 ss. (con l’Ed di 117 e probabilmente di 126 piuttosto in funzione avversativa): sono i versi del tedio;ecfr.pure87ss. Nel cosiddetto ‘Ciclo di Aspasia’ il polisindeto è, quasi ad insegna negativa delle cifre stilistiche dominanti, del tutto assente. E occhieggiamo subito il testo, A se stesso, d’altronde studiatissimo,cheèunasorta di concentrato dello stile conciso e spezzato che Leopardi si andava conquistando, e invero fino dallepiùrotteCanzoni.Senza dettagliare, cada l’accento sulla frase monorematica di due sillabe «Perì.» 3 (in anafora); sui versi 3 ss. dove – con altro forte staccato – è evitatalanormalesubordinata dichiarativa a favore di due principali: non *«Ben sento che…» ma «Ben sento. / In noi di cari inganni… è spento», con rima paronomastica sento-spento che sembra trasferire su altro piano l’insolita paratassi; sulla costruzione del v. 5 equivalente a un *«non solo la speranza ma anche…»; sull’ellissi per via di zeugma di 9-10 che dà quasi ad «Amaro e noia ecc.» lo statuto di frase nominale. E l’unicacongiunzionedeltesto è quella che chiude con stanca verità il referto nel nome della sentenza dell’Ecclesiaste. Tutto il brevissimo testo è poi attraversato dalla sovrapposizione di misure versaliedallalineaserpentina delle corrispondenze di rima o analoghe, già analizzate così bene da Monteverdi[7], che allo spietato andamento direzionale della breve lirica, quasi una lucida dimostrazione entro la disperata presa d’atto del nulla, intrecciano qualcosa cheèsimileaungroviglio. Anche negli altri testi del ciclo, più estesi e sciolti, le tendenze ora accennate sono purvive.Cfr.subitoPensiero dominante 1-2: «Dolcissimo, possente / Dominator…», in unione con anafora fonica e all’interno di un periodo che se non vedo male è, eccezionalissimamente, apposizione nominale del titolo, 8-9 (con anafora), 65: «; / Maggior mi sento», 73: «Avarizia, superbia, odio, disdegno», 128-129 ecc. E nelle arcate sintattiche i periodi brevi e incisivi, epigrafici (come nelle prime duelasse)–anchesottolineati da rima baciata o vicina conclusiva,52-53,66-68ecc.; a 134-135 ripresa con la stessa modalità del Canto notturno all’inizio di strofa – si alternano col lungo di 29 ss., otto versi e un’intera strofa, quasi a ripresa delle Canzoni da un lato, ad anticipo dei Canti ultimi dall’altro (così pure nella fattura lessicale di 35: «Mondano conversar vogliosamente»),ecfr.anche 92-99, 100-107 (ma lenito dall’anafora).AmoreeMorte. Asindeti a 5-6 e 8-9 (con anafore),a37-39ilbellissimo «quella/Nova,sola,infinita/ Felicità», slancio ‘infinitivo’ ottenuto come in altri casi analoghi anche per via sintattico-metrica, 41-42, con anafora,66:«Osaallatomba, alle funeree bende…», 66-70 (con anafora), 82-83: «il villanello ignaro, / La tenera donzella», 88-89, altro momento altissimo, dove il sempre dialogante poeta s’apre di colpo a una nuova allocuzione: «Ai fervidi, ai felici, / Agli animosi ingegni…» (anafore, inclusa la fonica aife-aife) ecc.; e si osservi come ad es. a 74-75 vadano assieme sentenziosità e compressione sintattica: «Tanto alla morte inclina / D’amor la disciplina…», con sovrappiù di rima (al mezzo) baciata. Quanto al periodare vale come caso più rappresentativo di ampiezza quello di 96 ss., aperto dall’attaccotipicissimoEtue svolto per dodici versi, ovviamente con varie subordinateaincassatura,ma brevi e con pause e riprese o presedifiatoconsentitedalle frequentianafore:Etu-Tu,ses(e). Qui stesso, 108, si inalbera l’orgoglioso stacco «. Me certo troverai…», interessante anche perché ripete la fattura sintattica, ritmica e fonica del primo emistichio di Vita solitaria 104: «. Me spesso rivedrai…». In questo Canto, che a mio gusto è una delle grandissime riuscite di Leopardi, è comunque realizzata nella forma finora più attraente la perfetta convivenza di sintassi ampia e style coupé, vale a dire anche di costruttività e decostruzione in frammenti, integratineltuttoaunaltroe superiore (mentale) livello, che è quello ‘metafisico’ del cozzo della ragione con ciò chenonèragione,ecomedi un perpetuo sdoppiarsi della interiorità, senziente e pensante. Non meno interessante la lirica da cui si denomina il ‘ciclo’,Aspasia.Anzituttoper il carattere anche in essa «epigrafico» che vi ha visto giustamente Spitzer[8]. Conciso,quasidaraccontoin prosa, è già l’incipit della narrazione:«Tornadinanzial mio pensier talora / Il tuo sembiante,Aspasia»;equindi nella prima lassa il periodo diversamenteampioaseguire 2-8, che contiene l’asindeto anaforico di 4-5: «o per deserti campi, / Al dì sereno, alle tacenti stelle»; ancor più ampio il periodo di 10-26, fitto di subordinate (tre participiali di seguito a 16- 19)econlargadistanzafrala principale «E mai non sento…» e la consecutiva «Ch’io…» e fra «il giorno che» e «a me s’offerse», un rilancio subordinativo del periodo, «quando tu…» – e qui asindeto breve: «fervidi sonanti / Baci» –, con frequenza di apposizioni ecc. Un altro periodo breve, equipollente all’iniziale, apre la seconda lassa: «Raggio divino…», e anche qui segue un periodo più lungo, 37-43, cheincludelaternaasindetica di 41: «Tutta al volto, ai costumi, alla favella»; quindi fra altro la dura sentenza di 52-53: «Non cape in quelle / Anguste fronti ugual concetto», 14 o 13 sillabe, e l’asindeto di 56. Terza lassa: cfr.peresempiolaconcisione tombale, sintattica e concettuale di «Or quell’Aspasia è morta / Che tanto amai» 70-71, e in genere un periodare mediobreve cui si oppone quello lungodi77-88(entroilquale l’asindeto secco di 79). La quartalassas’apreaddirittura con un periodo contratto di seisillabe:«Ortivanta,cheil puoi», quasi eco di A se stesso, cui tengono dietro asindeti a 90-91 (anaforico, dentro un’anafora più ‘grande’), 95 e 97 (terna anaforica), 98-100 (accostamento di verbi), la ritorsione secca di «Cadde l’incanto…: onde m’allegro» 103 (si noti anche che l’espressione «Senno con libertà» 106 sta in luogo del più normale *«Senno e libertà»). Il tutto si distende solo nel maligno ma insieme liberatorio finale, periodo lungo ma fondamentalmente coordinativo. Nell’insieme, a proiettare per dir così in una sincronia ideale i fenomeni che si susseguono e intrecciano linearmente nei versi, si può dire che la formula di Aspasia (e con tutte le varianti del caso, di questo Leopardi già a partire dal Canto notturno) è più o meno la seguente: periodi generosi e ‘tenuti’ che contengono periodi mediobrevi o anche brevissimi che a loro volta contengono, nei trattiancorpiùbrevi,giunture asindetiche. Nessuna traccia piùdelpolisindeto‘idillico’. Brevemente sul Consalvo, che condivide l’assenza di polisindeti di tutto il ‘ciclo’. Viceversa si affollano gli asindeti:14-15(conanafora), 74: «Del trepido, rapito amante» ecc.; la spezzatura della sintassi in periodi minimali come «. Or dunque addio.»31,«.Pesami,èvero, / Che te perdo per sempre.» seguitoda«Oimèpersempre /Partodate.»45-47,«.Anzi feliceestimo/Lasortemia.» 98-99 e così via, sino al finale: «. Tacque: » 149; e sono altrettanto frequenti le subordinate implicite e le apposizioni(2,10,15,26,36, 40, 54, 68 ecc.), nonché le ripetizioni di vario tipo: Conscia… conscia 14, Ben mille… e mille 16 (più BenBenchèancheinizialidiverso 16-19),Premio… premio 3334,per sempre… per sempre 46, un bacio… un bacio 5051 e via dicendo. Poemetto para-autobiografico e spiccatamente narrativo, con continui sobbalzi elativi, Consalvo abbisognava di essere rinforzato ai giunti e alle pause, sicché alle replicazioni ‘interne’ fanno da interessante pendant le epifore:tempo:tempo2-5,la tematicaElvira:Elvira78-85 (questa creata correggendo con un’inversione), giorno : giorno 125-127, ancora tempo : tempo 134-142; ed è pure notevole che queste permangano anche nella seconda parte del testo, dove scompaiono o quasi le rime presenti invece all’inizio[9]. Carme che sta a sé, anche in quanto sviluppa quella sua specie di cartone che è il Sogno, sintatticamente Consalvos’accompagnabene agli altri della stessa fase, salva la mancata propensione ai periodi estesi che ben si spiega con le ragioni già accennate, e inoltre col suo caratteredialogico. Giunti ai Canti napoletani, occorre distinguere: le due Sepolcrali,chegiànelprofilo metrico hanno qualcosa in comune con Amore e morte, la specialissima Palinodia – semmaidaaggregarecomesi sa a testi esterni alla raccolta –eidueCantiestremi.Come vuoleiltemaSopraunbasso rilievo, del tutto priva di polisindeti, affida invece all’asindeto,spintocomeinA sestesso,lapropriasecchezza epigrafica, come di una vicenda che è legge e allegoriadeldestinogenerale: «… il patrio tetto / Sì per tempo abbandoni? a queste soglie / Tornerai tu? farai tu lieti un giorno…?» 4-7; «Asciuttoilciglioedanimosa in atto, / Ma pur mesta sei tu», con zeugma, 7-8; con anaforadise15-17;«Morteti chiama: al cominciar del giorno / L’ultimo istante [ellissi e sintassi nominale]. Al nido onde ti parti, / Non tornerai. L’aspetto… Lasci per sempre. Il loco / A cui movi, è sotterra: / Ivi fia d’ogni tempo il tuo soggiorno» 18-24: dunque con periodi e periodi-frase secchi; cui subito dopo se ne opponeunovasto,28-43,che sembra preannunciare Tramonto e Ginestra. E più avanti ad esempio gli stacchi di 53, 55-56, 58-62: «Piacquetichedelusa/Fosse ancor dalla vita / La speme giovanil; piena d’affanni / L’onda degli anni; ai mali unico schermo / La morte» (doppio zeugma e rima baciata al mezzo): sicché anche un periodo più esteso può essere in realtà scandito, complicelaseriedisettenari, secondobreviunitàsingole:è il celebre e umanissimo «Come,ahicome,onaturail cor ti soffre / Di strappar tra le braccia / All’amico l’amico, / Al fratello il fratello,/Laprolealgenitore, / All’amante l’amore…» 98 ss., dove il procedere per enunciatibrevièsostenutoda ripetizioni varie, parallelismi, rime al mezzo identiche e immediate, chiasmo[10]. E se compaiono ancora periodi ampi, quello finale, l’apoftegma, è affidato a non più che due endecasillabi, benchéunoscissooacavallo di versi («Ma da natura / Altro negli atti suoi / Che nostro male o nostro ben si cura», con rima-suggello al mezzo). Sopra il ritratto s’apre con una frase minima (vedisempreAsestesso),sia pure relata al titolo: «Tal fosti», quindi si susseguono asindeti: con anafora a 9 ss., ‘puri’ a 18-19, 22-23, con frasenominaleesignificativa rima al mezzo immediata: «Misterio eterno / Dell’esser nostro. Oggi d’eccelsi, immensi / Pensieri e sensi…», 28-29, anaforico e con interessante echeggiamento lessicale e timbrico dell’Infinito: «Di sovrumanifati, / Di fortunati regni», 33 (terna): ma tutti questi ultimi entro un unico periodochesidispiegadalv. 23 al 38 (un altro a 39-46 contienelostaccato«permar delizioso, arcano»). Torna in mente la formula escogitata per Aspasia, con la sola variante che qui l’unico polisindeto, assieme ad altri elementi, mette in atto come non sorprende troppo inversione sintattica e distensione ritmica nella chiusa: «Come i più degni tuoimotiepensieri/Soncosì di leggeri / Da sì basse cagioniedestiespenti?». La peculiare mescolanza degli stili della Palinodia si rivela tale ad ogni livello, a cominciare dal metrico, nel quale, quasi per un rifluire negliscioltidellospiritodella canzone libera, rime e quasirime, evidenti e più ancora nascoste,contraddiconocome nonmainellostessoLeopardi lo statuto del metro. È sufficiente guardare all’ultimo ‘tempo’, venti versi, 260 ss., che comincia come da paradigma a terminazioni disgiunte, senonché il segno al mezzo del primo verso va a riprendereilpegnodellalassa precedente, 256, a sua volta inrimainizialepiùassonanza con «penso» e «pelo»; e poi ciel – donzelle interna, più sfavilla in quasi-rima con ville, che d’altra parte anagramma velli; barbati – serbato al m.; il duplice crescerà in rima interna con poserà; tutta – frutto; Ellesponto – mondo al m.; sicuro–spauri;lalungaserie interna in -ar(e), con cari (e cfr.spauri);Eletta–aspettial m.;consonanzainternaRidi– cittadi; serbato – cotanto al m.; e certo mi sarà sfuggito qualcosa(cfr.comunqueinfra il sesto saggio). Ma a questa piccola selva aggiungono qualche arbusto fenomeni para-metrici come la geminatio«Cresci,cresci…», l’accostamento (in chiasmo) dei due crescerà, la ‘rima iniziale’ «Veder» – «Vecchiezza» ecc. Polistilismo ad ogni livello, ho detto: e infatti al numero inconsueto di polisindeti per quest’epoca(novesu379vv.) si oppongono gli asindeti più o meno netti, 13 ss., 29, 42 ss.,56,75ss.,90-92ecc.Ese il carme comincia con un pacato periodo breve, serrato dall’epifora su errai, e tipi simili ricompaiono lungo il suo corso, tuttavia è proprio in esso che si leggono alcuni dei periodi più arditi che Leopardi abbia finora osato, un po’ per afferrare tutti i tentacoli della dispersa modernità ma più per affermare il proprio dominio razionale su questa: cfr. 5968, 97-107, 135-153 ecc., e uno soprattutto, il comparativo di 154 ss.: «Quale un fanciullo… Così natura…», che si proietta decisamente verso i due ultimi Canti, e non per nulla la base, anche formale, ne è un passo recente dello Zibaldone,4421:«Lanaturaè come un fanciullo… Così nell’uomo». L’ardimento poeticosinutrediprosa.Èda osservaresemmaiinaggiunta che nella Palinodia Leopardi tendeapausareesmorzarein modo speciale il periodare ampio, con la consueta punteggiatura medio-forte, evitando subordinate troppo vistose e così via: cfr. nel brano che prosegue l’appena citato le due subordinate leggere, la replica di mille a 168,l’apposizionea170,itre gerundi, gli ultimi due dei qualidispostiancorasecondo lo schema dell’Infinito: «Distruggendo e formando», che a loro volta riprendono proprio come in quei vecchi sciolti un altro gerundio in ando, 168; infine la chiusa che si placa e distende nella doppiacongiunzione. AncheperlaGinestra,che per comodità di discorso esaminoprimadelTramonto, conviene partire dalle rime, che (quasi a rovescio della Palinodia) assieme ai loro sostituti sono in misura nettamente minore che in ognialtrotestoastrofelibere di Leopardi, salve naturalmentelasaldezzadella combinatio e, quasi naturalmente, la lassa finale; e si comprende, dato il suo carattere intensamente e però liberamente meditativo, di unameditazionechesaanche intridersi di tensione lirica. Ciò comporta pure, ad esempio, che un periodo lungo come quello di 126135,eciòcheseguesubito,si svolga come una catena di coordinate con e. Così nella grande arcata che si svolge a partiredall’iniziodellaquarta lassa,167-185,«Epoichegli occhi a quelle luci appunto…», il susseguirsi delle congiunzioni sembra mimare il continuo crescere su di sé del pensiero poetico cheviaviasiconfrontaconla crescente grandezza e quindi infinità del cosmo, secondo l’idea geniale, cara al Leopardi ‘pensatore’, per cui l’infinitamente grande oltre che lontano è rappresentato conciòcheappareall’occhio umano infinitamente piccolo: èquesto«punto»chesitrova alla fine del solenne, stordente crescendo. E vedi similmente il successivo periodo dei vv. 185-197 e la grande, tesa comparazione di 202-230. Qui compaiono infatti i più degli almeno cinque polisindeti che adornano il poema (cfr. soprattutto 215: «Di ceneri e di pomici e di sassi», con la prima congiunzione aggiunta in un secondo tempo, che varia211:«Schiaccia,diserta ecopre»).D’altrondevediper esempio «Dove… e dove…» 21-22,«Fur…Fur…efur…» 24 ss., «Qui mira e qui ti specchia» 52, «qual merto… o qual pensiero…» 198-199 ecc., di fronte a cui contano meno del solito gli stacchi asindetici, comunque moderati per lo più dall’anafora, 106 ss., 170, 246 ecc. Pur nella gigantesca mole, c’è qualcosa nello stile della Ginestra che guarda indietro, o meglio recupera testamentariamente il già detto: ne è spia soprattutto l’indimenticabileattaccodella lassa conclusiva: «Etu, lenta ginestra…». Forse per la Ginestra è troppo (o troppo poco) dire che l’eredità, come portata alla potenza, delle Canzoni piùmaturesicomponeconla freschezza sentimentale – e sintattica–degliIdilliedegli stessiCantipisano-recanatesi. Ma per il Tramonto della luna mi pare che un’approssimazione simile sia proponibile. Conviene ancheinquestocasomuovere dal sistema delle rime, che, dopo un breve avvio ancora una volta nudo, è fitto come nei Canti pisano-recanatesi, coninsistentirimebaciatefra endecasillabi e settenari e anchefrasettenari,etaleche tendeacostituirsiinstrutture più ricche e chiuse alla fine delle lasse: I, 15 ss.: aAb(b)CDdC; II, 29 ss.: Abc(a: quasi-rima)c(b)A; IV, 64 ss.: AAXbB, più assonanze e consonanze e la quasi-rima interna insino-fine al v. 66. Il vasto periodo iniziale interstrofico di 28 versi, «Quale in notte solinga… / … / Tal si dilegua…», è tuttavia fondamentalmente coordinativo («E mille vaghi aspetti, / E ingannevoli obbietti…») e reca in sé lo splendido polisindeto a quattro membri «E rami e siepi e collinette e ville» 8, conuncrescendocheprimaè di estasi contemplativa poi, ma con gli stessi mezzi, di compianto sulla giovinezza, le speranze e i «dilettosi inganni» che si dileguano. È allora istruttivo notare che la terzalassa,lapiùragionativa, è governata da altra sintassi: anafora lontana sul significativo Troppo 34-39; subordinate anche insolite («se il giovanile stato… Durasse…»36-38);l’iperbato di 38: «tutto della vita il corso» ecc.: e dunque addensamenti asindetici in serie, «Incolume il desio, la speme estinta, / Secche le fonti del piacer, le pene / Maggiori sempre…», con chiasmi e ripetizioni che scolpiscono meglio le sentenze inceppando nello stessotempoilritmo,piùche mai qui da ‘staccato’. La quarta e ultima lassa torna comprensibilmente, in forma appena più contenuta dato il suodupliceeoppostotono,al regime delle prime due: «e sorger l’alba» 57, «E folgorando intorno» 59, «non…nè…»64-65,«edalla notte…» 66, con subordinate minime e implicite, 52, 58, 59. Perciò due soli asindeti nellazonadellameditazionee accusa più intensa, 45: «Degnotrovato,estremo/Di tutti i mali», incorniciato dalla rima in -ali e dalla derivatio trovato-ritrovàr, e 48: «Incolume il desio, la speme estinta», ancora in chiasmo; e il tratto finale, concluso dalla voce-simbolo sepoltura, non inizia con una coordinativa, ma con l’avversativa agonistica Ma. In totale comunque la copia di coordinazioni ci dice anch’essaquellocheèquesto capolavoro, un ritorno della sensibilità ‘idillica’ ma confrontataallaseveritàdella meditazioneeproiettatanello spazio cosmico che è anche della Ginestra (decisiva l’inusuale, potente descrizione ‘espressionistica’ della luce solare, 59 ss.). Allontanandocidaidueultimi carmi di Leopardi, un ulteriore dettaglio d’altro tipo. Sia la Ginestra (due voltepiùunaalplurale)cheil Tramonto (una al singolare e una al plurale) riprendono in evidenzaeconvaririmantiin comune le rime-refrain in ale del Canto notturno. Ginestra: 97-98 (settenari baciati): uguale : animale (il secondo termine è anche, fuori rima, nella vicina Palinodia); 200-201: endecasillabi baciati a fine lassa, assale : prevale; 315317, chiusa assoluta, frali : immortali (entrambe le voci anche nel Canto notturno, mentre un frale fuori rima è ancoraquia117,edentrambi hanno anche riscontro in quello, segnato da forte allitterazione, di Imitazione 2). E il Tramonto: 20-21: «Tal si dilegua, e tale» : mortale; 44-46: immortali agg.:mali al m. (il primo in derivatio con morto 43); da aggiungere che immortale aggettivo per il resto è solo nelCantonotturno. Ora conviene incrociare più corsivamente le osservazioni fin qui condotte con un altro paradigma sintattico, quello dell’ordine delle parole. Ci si può attendere che quest’ultimo sarà tanto più soggetto a perversiones, distrazioni, iperbati quanto più i periodi siano ampi e protratti. Per le Canzoni, concentriamoci ancora sul Bruto minore. E quisubitoidueprimitratti,13, 3 ss., sono disposti nell’ordine inverso (semplifico l’indicazione) CBA, e il soggetto, Bruto, è allontanato al v. 11 anticipandogli anche l’apposizione «Sudato e molle…». Qualche altro sondaggio: ai vv. 40 ss., con l’accompagnamento di inversioni più locali, l’ordine è BCAD, a 62 ss. quello a cinque membri completamente rovesciati EDCBA; a 106 ss. la distrazione fra «Non io» e il verbo relativo appello li separa a inizio e fine della terzina. In due canzoni successive sia mature che di sintassilarga,AllaPrimavera eAllasuaDonna,accadeper esempio: nella prima, 28 ss., data una disposizione non rettilineadeimembricadeun doppio iperbato quale «al fiorito / Margo adducea de’ fiumi/Lesitibondeagnelle», a 40 ss. si ha sia inversione che distrazione: «Conscie… Fur…», a 69-70 la sequenza globale BCAD contiene anche un iperbato: «E te d’umani eventi / Disse la fama esperto, / Musico augel che…». In Alla sua Donna i vv.12-13presentanol’ordine DCAB, oppure a 55 la sequenza invertita del verso finale, che chiude un periodo di 11 vv., dà luogo nuovamente a un iperbato forte: «Questo d’ignoto amante inno ricevi», envoi ben lavorato. Certamente risultatianaloghidarebberole altreCanzoni,eperampiezza diperiodieperl’influssodel regime sintattico della poesia italiana tradizionale: ma questi risultati diventano molto significativi se confrontati con quelli degli Idilli(omeglioviceversa).La Sera del dì di festa, complici l’andamento coordinativo e i periodi brevi, conosce quasi sololelimitateinversionidel tipo di «di lontan rivela», «da’trastulli/Prendiriposo», e invece ecco ad esempio 24 ss.:«Ahi,perlavia/Odonon lunge il solitario canto / Dell’artigian, che riede a tardanotte,/Dopoisollazzi, alsuopoveroostello,/E…», con cui soprattutto la chiusa: «Nellamiaprimaetà,quando s’aspetta / Bramosamente il dìfestivo,orposcia/Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,/Premealepiume;ed allatardanotte/Uncantoche s’udia per li sentieri / Lontanando morire a poco a poco. / Già similmente mi stringeva il core» (notare in entrambi i casi la posizione ‘naturale’ di subordinate e complementi). Così in sostanza nell’inizio e nel finale di Alla luna – più intorta la zona centrale, dedicata al «travaglio». Fanno parziale eccezione l’Infinito, per la sua potente curvatura contemplativa (cfr. soprattutto «interminati spazi… Io nel pensier mi fingo», assorbimento dei predicati dell’infinità nell’io pensante), e per altre ragioni – narratività, politonalità – la Vita solitaria: cfr. subito la prima lassa, idillica per il tema ma non per l’armatura sintattica, 8 ss.: «E sorgo e i lievi nugoletti e il primo… benedico»; così la grande descrizione della seconda lassacominciaconunterzetto quasi perfettamente normale («Talor m’assido…») ma prosegue con una marcata posticipazione dei sintagmi verbali: «E non onda incresparsi ecc. odi nè vedi», e però è in ordine naturale, accanto ad altri luoghi (per esempio44-48),ilfinale,con solo un’inversione in chiusa. Non mi soffermo sul poco omologo Sogno, se non per segnalare la tranquillità dell’inizio, e poi ad esempio 24ss.,74ss. Tralasciando i testi intermedi, ripartiamo per i Pisano-recanatesi dalla nitida escorrevoleASilvia,dovele inversioni non impegnano quasi mai più di due singoli costituenti, secondo l’usus poetico («il limitare / Di gioventù salivi», che evidenzia l’anagramma con «Silvia»)[11], «all’opre femminiliintenta»,«inmente avevi»: entrambi complice la rima. Eccezioni solo il tratto, peraltro con zeugma, di 2223, l’iperbato di 33-34, e 4748, ma sono invece sequenze normalissime 1 ss. (posposizione solo del «salivi» finale), 19-22: «D’in suiveroni…»,23ss.,42ss.,e ordinenaturaleeartificialesi susseguononelgrandefinale, solo con la variante di un chiasmocheperòriproducele collocazioni naturali (in questi casi) agg.-sost. / sost.agg.: «All’apparir del vero / Tu, misera, cadesti; e con la mano / La fredda morte ed una tomba ignuda / Mostravi di lontano». Quasi ovvio che siadiversaancheinquestola situazionedelleRicordanze– altro metro, altra ampiezza narrativa, altra struttura mentale – per cui cfr. ad esempio 28 ss.: «Nè mi diceva il cor che l’età verde…»o146ss.(masubito dopo «. Altro tempo.»); e viceversa, tra l’altro, 43 ss.: «eintantovola/Ilcarotempo giovanil, più caro / Che la fama e l’allor…», per non dire di tocchi semplicissimi come 50-51: «Viene il vento…», oppure 81 ss., 113 ss. Ma ravvolto è il finale, 170 ss., e in totale possiamo, quanto al fenomeno in questione, parlare di una sintassi‘mista’. Ora la prima lassa della Quiete. Dopo la circoscritta inversione del primo versosottotitolo, tutto si svolge nella descrizione linearmente fino a 20, e solo da qui (in relazionealcambioditonoe forse al carattere figurale del «passegger») cominciano le inversioni, fino alle ultime: «il carro stride / Del passegger che il suo cammin ripiglia», con verbo a chiudere letterariamente la strofa. Nel v. 25, che apre le due lasse ‘nichilistiche’, «Si rallegra ogni core», l’inversione dell’ordine naturale di «Ogni cor si rallegra…» 8, ci dice subito cheladialetticanegativadilì in poi rovescerà la vitalità della prima lassa. E dunque non ci sorprende che in un regime ora aspramente ragionativo, già in 26-28 e poi nell’accanimento della negazione 48-50, accentuata dallepause,siabbianoordini invertiti. Eppure occorre notare, questa volta nel contesto di un crescendo drammatico, l’ordo naturalis di 37 ss.: «Onde in lungo tormento…» (tormento «lungo» scandito retoricamente dalle terne di 38e41).L’iniziodelSabato, con lievi collocazioni poetiche come «Ornare ella s’appresta» e qualcos’altro, scorre tutta con ordine sintattico normale per ben trenta versi, di cui i primi quindicidivisiindueperiodi, del resto composti di un lessico estremamente familiare.Èuncasopiùunico cherarodiordinenormalein periodi ‘lunghi’, il che in fondo non sorprende nel luogo dove la vita del «borgo» ancor più che descritta è narrata, affettuosamente. E anche la seconda lassa è dello stesso tipo. Che la situazione cambi un po’ nella terza e quarta lassa,ènell’ordinedellecose (ed è annunciato già esplicitamente dalla contrapposizione di 38-39: «tristezza e noia» vs «speme e…gioia»,conrimapuressa antitetica). Ma dove, sempre nellaquartalassa,siriaffaccia la dolcezza della vita giovanile, sia pur destinata alla fine, s’impone di nuovo l’ordinelineare,46-49(segue però una inversione seppure lieve:«Altrodirtinonvo’»). Quanto al Passero solitario,laprimalassa,tolta qualche veniale anastrofe (come «Per lo libero ciel fan mille giri» 9), anch’essa procede al naturale, il che è sottolineato anche dalla punteggiatura forte o media (cfr.inparticolare3-4).Altro aspettomostranoleduestrofe seguenti, più dedicate alla meditazione: cfr. specialmente la sostenutissima inversione di 18 ss.: «Sollazzo e riso…», con un brevissimo sintagma verbale posposto che regge oggettisgranatipertreversie mezzo; e tuttavia anche qui, al ritorno delle immagini e sensazionivitali,idueperiodi di 29 ss. scorrono naturali, con l’unica e non marcata anastrofe finale «e in cor s’allegra». Ancor più convoluti sono però i vv. 36 ss., inquadratura delle sofferenze dell’io poetante, manonloèaffattolaclausola ocadenzafinale:«…Mifere il sol che tra lontani monti, / Dopo il giorno sereno, / Cadendosidilegua,eparche dica / Che la beata gioventù vien meno». Qualcosa di simile si dirà della terza strofa, e perciò non sto a dettagliare (cfr. solo 50 ss., conordinecomplesso,percui la forte antitesi «A me» ritrova «Che parrà» dopo 6 versi). Infine il Canto notturno, la cui struttura sintattica eccezionalmente lineare(oltrechesobria)sarà fors’anche una mimesi trascendentale della voce del «semplice pastore»: vedi dunque 3-4, 11-15 (solo con un’inversioneachiudere),4244, 69 ss., in particolare 80 ss. ecc. Naturalmente altro discorso va tenuto per la secondalassa,perònontanto, perché il lungo periodo è molto più accumulativo che gerarchizzato,edèchiusodal breve e contenuto, solenne e dolceinsieme,«Vergineluna, tale/Èlavitamortale».Non c’èdubbiodunquecheanche dal lato dell’ordo verborum quelli che si usano pure chiamare «Grandi idilli» continuano la linearità e purezza sintattica, e cioè anche l’‘oralità’ da monologo, dei «Piccoli», ma intrecciandovi in modo più cospicuo arditezze, complicazioni e costruzioni letterarie. Il perché andrà visto soprattutto nella transizione fra descrizioni filtrate nell’eco sentimentale del soggetto, e descrizioni, ora tanto più oggettive e ricche, sottoposte al vaglio e alla contraddizione della ragione filosofica. Operette morali e Zibaldone sono ormai quasi interamente compiute, e forniscono alla poesia spunti di riflessione e materiali. Da questo punto di vista, come da altri, i Canti pisano-recanatesi segnano una svolta decisiva della liricaleopardiana. Il primo testo del Ciclo di Aspasia, il Pensiero dominante,s’aprecomevisto conunperiodosospeso;enel complesso il Canto, saturo di esclamative come di agganci lessicali (cfr. solo 26 ss.: «E divanopiacerlavanaspeme, /Allatoaquellagioia,/Gioia celeste che da te mi viene», reduplicatioinanadiplosiche smorza la subordinazione), corre spesso con un andamento fra ‘parlato’ e incisodallostilespezzato;ma qualcosa di diverso accade come non sorprende nella comparativa di 29 ss., ed anchealtrove(adesempio53 ss.:«Sempreicodardi…»).È questa anzi la cifra sintattica che domina la canzone, fino allatrattafinale,cheinmodo diversodallaprimarestaperò anch’essa come sospesa, ciò che del resto Leopardi ama spesso fare, in deroga alla perentorietà affermativa: 141 ss.: «Bella qual sogno… che spero / Altro che gli occhi tuoi veder più vago? / Altro più dolce aver che il tuo pensiero?».Nonpernientela parolainiziale(neltitolo)ela finaleèpensiero.CosìAmore e Morte inizia con una serie di periodi brevi, ma tutti a inversioni,comeilsuccessivo e più ampio 10-14, per non diredelpiùampioancora1726 («Nè cor fu… Come per questoperigliaraperigliarfu pronto» e «Ch’ove tu porgi aita… e sapiente in opre, / Non in pensier invan, siccome suole, / Divien l’umana prole»). Un po’ comenellaliricaprecedenteè unasintassicheprendeforma dalla volontà di ragionare senza semplificarne il senso su dati sentimentali per parte loro complessi e sfuggenti. Ma ecco per esempio che all’interno di un periodo letterariamente architettato si inserisce uno dei più begli asindeti leopardiani, a tre membri e staccato per di più entro un settenario, «quella / Nova, sola, infinita / Felicità…» 37-38. Altrove l’ampiezza e torsione periodica è contenuta dall’anafora (Osa… Osa 6870), altrove ancora un successivo periodo largo inizia con la doppia anafora in asindeto che già abbiamo notato,88-89ecc.,eunapure doppia ripetizione frena anchelastrofafinale(Ogni… Ogni,sola;/Solo),dondepoi ladolcissimachiusa,naturale e quasi mormorata: «Solo aspettarsereno/Queldìch’io pieghiaddormentatoilvolto/ nel tuo virgineo seno» (settenario finale di testo comesoloinASilvia). Esempio eccezionale in Leopardi di allocuzione a se stesso e di sintassi a scatti brevi, a singhiozzo, cui dà mano l’estrema concentrazione lessicale (anche nelle forme delle quasi-rime:estremo–eterno, fango – fato, Dispera – disprezza),Asestesso,questo anti-Infinito, alterna anch’esso nel breve e brevissimo sintassemi costruiti letterariamente, anche a scopo di messa in rilievo («Assai / Palpitasti», in inarcatura ecc.), e comunque per conferire qualche movimento a segmenti lessicalmente e sintatticamentecosìsaturi,ad enunciati semplicissimi, da monologo, questi demandati specialmente ad apertura e chiusa e destinati ancor più degli altri a scandire l’ineluttabile. Neppure Aspasia predilige l’ordine retto, e neppure nei brevi periodi iniziali delle lasse, di cui i secondi versi si rispondonoperfettamente(«Il tuo sembiante, Aspasia» 2 e «Donna, la tua beltà» 34, entrambi settenari interni in pausa; e vedi pure 1: «Torna dinanzialmiopensier…»1e «Raggio divino al mio pensiero apparve» 33, coi rispettivi secondo e terzo verso che ripetono il nome della donna); fa eccezione l’attacco dell’ultima lassa, concisissimo e in sequenza normale: «Or ti vanta, che il puoi»[12]. Ma a differenza di altri testi leopardiani il finale non solo è disteso (106-112), ma è ricco di inversioni fino alla cascata conclusiva e alla sardonica chiusa; e così avviene anche entro il periodopiùlungo–ederotico –delcanto,10-26(«delcolor vestita / Della bruna viola…»). Semmai la tensione è frenata da espansioni brevi, dalla serie di subordinate implicite sintetiche, 14, 16, 19, 24, e dall’apposizione, 18-19, e vedi anche 37-39 ecc. (interessante la somiglianza di«Purquell’ardorchedate nacqueèspento»77conAse stesso 5: «Non che la speme, ildesiderio è spento»). Mi si consentirà di tralasciare per brevitàilConsalvo. Canti napoletani. Nella lassa iniziale della prima Sepolcrale, tutta a rapide interrogative a catena, ai primi tre versi perfettamente ‘prosastici’ ne seguono quattro più lavorati, semmai alleggeriti dalla combinatio che è di tutte le lasse – qui, nellasecondaterzaequintaa rima baciata, nella quarta secondo a7b7(b5)A, nella sesta secondo a7b7a7c7c7B, nell’ultima,conprevalenzadi endecasillabi, a7Xba7B, e non c’è dubbio che la serratezza metrica ‘contiene’ e armonizza la letterarietà sintattica.Un’occhiatasoloal periodo maggiore che, a partire dall’attacco avversativo Ma così leopardiano di 28, indice come sempre di scatto mentale,terminaalv.44,fine della lassa, dopo aver abbracciato anche una veloce comparativa, 36-37: si veda ad esempio 34-35: «Prima che incontro alla festosa fronte/ilúgubrisuoilampiil ver baleni», con serie di allitterazioni,o81-94,dovea tre versi in ordine normale segue inversione in chiasmo, oancora100ss.ecc.InSopra ilritrattolaprimainversione negli scheletrici periodi iniziali è fatta apposta per rilevare il contrasto fra bellezzapassata«Tufosti:»e presentemiseriadelcadavere: «Polve e scheletro sei», con cadutaintonativasulpresente del verbo; ma subito dopo viene un periodo ad alto gradodiartificialità,2-7:«Su l’ossa e il fango / Immobilmente collocato invano, / Muto, mirando dell’etadi il volo, / Sta, di memoria solo / E di dolor custode, il simulacro / Della scorsa beltà». L’esempio può rappresentare press’a poco l’interotesto;magarifacendo mentelocaleallachiusa,dove l’interrogazione protratta che occupa l’intera strofa è frenata spezzandola in membri diversi, legati dall’anafora della congiunzioneSe(eaccentodi seconda in tutti e tre i casi). SaltoperbrevitàlaPalinodia, in tutto e per tutto idiosincraticaentroiCanti. Che nella Ginestra la dimensione quasi sempre amplissima dei periodi – uno dei quali di ben 35 versi occupa un’intera lassa, in coincidenza con una comparativa – implichi altrettanto spesso una collocazione molto costruita delleparole,ècosaovvia:cfr. le inversioni e gli iperbati di 117:«Eilbassostatoefrale», 136-137:«elaccioporre/Al vicino ed inciampo», 175176: l’iconico «Quegli ancor più senza alcun fin remoti / Nodi quasi di stelle», 228229: «a cui sgabello / Son le sepolte, e le prostrate mura» ecc. Si dovrà semmai notare, dal lato opposto, che la frequentissima inserzione di settenariinfunzionedipausa erilanciocomportavolentieri sequenze in ordine retto (fin dasubito,1-3:«Quisull’arida schiena…», e poi 9, 40, 52, 77, 78, 145 ecc.), e che i periodi tendono a ridursi quando è di scena l’odorata ginestra, 1-7, 297-304, in entrambiicasiadaperturadi lassa, prima e ultima; oppure nell’idillismocosmicodi158166(quitreediseguito);ma è maestoso il periodo successivo che trasferisce lo sguardo dall’esperienza visiva usuale, quasi per successiveagnizioni,aquella del cosmo. Ancora una volta la testura del Tramonto della lunaèdiversa,purconampie zone di parentela con la Ginestra: contemplazioni paesistiche protratte, vastissima comparativa qui addirittura interstrofica («Quale…» 1, distanziato anche da «Scende la luna» – «Tal…» 20 (e cfr. pure la Palinodia 154-172) – si noti però la ripresa idillica: «/ Scende la luna; e…» 12, come «/ Posa la luna, e…», Sera del dì di festa 3). Dunque: stando sulla prima lassa iperbato o epifrasi a 2: «Sovra campagne inargentate ed acque», completa inversione ai vv. 4-8, ma ancheunasequenzadicinque settenari,quasiannunciatada quello che inizia la lassa come tutte le altre, e legamenti scorrevoli mediantecongiunzionesiatra sintagmi che tra frasi, 4-5 (anafora), 8 (come si è visto, polisindeto),10(o…o…),12, 13, 16, cosicché le subordinate sono brevi o minime o implicite: in totale cinquesubordinatedicuidue coordinate fra loro, contro setteprincipali,da12inpoia catena. Più avvolta su di sé nellasuapiegaragionativala seconda lassa, ma ecco la quarta: innestata dall’allocuzione, stigma dell’affettuositàleopardianae della prossimità che è solo sua di soggetto e oggetto («Voi, collinette e piagge…»),lalassapartecon una sintassi periodica ma poi lascioglie(ea57,59,76,nè a 65); e qui pure prevalgono le subordinate implicite, 52, 58,59,oquellepiùsemplici, indice di castità espressiva («poi che la bella / Giovinezzasparì»).Ealresto pensaillessico,cheanchenei suoi elementi unici o quasi nei Canti (collinette, folgorare, «fuggente luce», inargentato due volte, imbiancare,inondare,lucido, occidente,oscurità),unificail tutto con effetti di acuità visiva e luminismo mai così pregnantiecompatti. Ora qualche spunto conclusivo, o incremento, senza sistematicità ma non senza ripetizioni. In linea di massima anche i fenomeni sintatticischedaticonfermano ciò che già ci dice il lessico, cioèilrifluiredell’esperienza delle Canzoni entro quella degli ultimi Canti, specie dei napoletani. Tuttavia anche in questo caso conviene sostare sulle differenze piuttosto che sulle affinità. Perché nelle Canzoni l’ardimento – in omaggio ai temi grandiosi e remoti – era coassialmente sintattico e lessicale, mentre per gli ultimi Canti si deve anche parlare di una riduzione di quella distanza fra lingua della poesia e linguadellaprosachecomesi sa Leopardi accusava come grave difetto dell’italiano, giudicandolequasiduelingue diverse. E certo alla base di questa fusione sta anche il cospicuo defluire in essi di passi e idee delle Operette e dello Zibaldone, mentre in precedenzapotevaavvenireil contrario (precedenza dell’Infinitorispettoailuoghi del Diario sulla «veduta ristretta», di A Silvia sulla bellissima pagina di Zib. 4310-4311). E forse si può dire che, quasi di conseguenza, i Canti napoletani riprendono l’ampiezza della sintassi che era già delle Canzoni, ma a meno di quella intricatezza, quasi di quella prevalenza dell’elocuzione sul motivo. Parla chiaro la quarta e straordinaria lassa della Ginestra,ilperiodopiùesteso che Leopardi abbia dettato (vv.158-201,coincidentecon la lassa stessa) e che non è come un tempo centripeto, ma centrifugo, per successivi rilanci e ampliamenti che comegiàaccennatosembrano mimare in crescendo le successive e sempre più decisive scoperte dell’occhio e della coscienza (un po’ come,seèlecitocomparareil grande col piccolo, negli Idilli: vedi infatti il ricorrere dellecongiunzionieedanche o). Mentre insomma l’ardimento delle Canzoni, che come nel Bruto minore poteva arrivare a esperimenti eccezionali di style coupé, si muoveva pur sempre entro strutture date, e sia pure fortemente intaccate, nei Canti ultimi è un ardimento illimitato che travolge ogni struttura, sia questa la stanza di canzone isolata di A se stesso, come dilatata e fatta esploderedall’urtodelletante frasi brevi e dalle pause dei tanti silenzi, sia il profilo dell’immensaGinestra,chesi fa fatica a credere quello che è, una canzone libera. Qui come altrove nel Leopardi tardo la sintassi non si modellainformaconsecutiva sugli enunciati come, e perfettamente,negliIdilli,ma sembra quasi estendersi audacemente sopra di essi, con quello che mi è già accaduto di chiamare un ductus che spazializza il linguaggio. E tuttavia è già nelle maggiori Canzoni che Leopardi inventa e mette a punto quella sintassi che – eccezion fatta, e non è da poco,perilcastoefluidostile idillico–glisaràpoipropria: una sintassi a larghe diastoli che però si contraggono continuamente in sistoli, ad ampie e maestose costruzioni razionali pronte però a invertirsi continuamente in rapidi improvvisi che dicono più intensamente i moti del cuoreeinfattiospitano,anche a cascata, i movimenti espressivi più caratteristici del poeta: le allocuzioni inattese(«Tusìplacidasei?») eidialoghi,leinterrogazioni, leesclamazioni,icrescendi,i rientri subitanei nell’io, le disarmate constatazioni («. Altrotempo.»),leformedella gnome. Il che vuol dire, ancora una volta: strappi di oralitàentrolasapienzadella scrittura. Ma non è il caso di prendere le quattro o meglio cinque ‘fasi’ dei Canti come cosasalda.Standoancorasui Canti napoletani, è evidente la complementarità, da ogni punto di vista, delle due Sepolcrali, che d’altra parte nell’asindetismoanchespinto misto allo stile periodico sembrano risentire di soluzioni esperite nei Canti fiorentini. Però non solo la Palinodia sta a sé incrociandosialmassimocon qualchepassodellaGinestra, ma il Tramonto della luna, mentrenelledueprimestrofe condivide – sia pur diversamente declinato – il gigantismo della Ginestra, lo contraddicepoiconfenomeni di metrica e di microsintassi che riprendono e potenziano le esperienze decisive della tratta Idilli-Canti pisano- recanatesi.Dipiù:dall’analisi sintattica sopra abbozzata riesce quasi totalmente dissolta l’unità del Ciclo di Aspasia: già è relativa la parentela fra i primi due individui, ma gli altri si differenziano profondamente l’unodall’altro;aessercauti, si deve parlare, per cinque componimenti, Consalvo compreso, di quattro ‘tipi’ differenti. Massimo di singolarità è naturalmente in Asestesso,colsuostilerotto portato all’estremo e la sua ‘prosa’ (fra molte virgolette) di monologo; ed è da vedere se le due caratteristiche sintattiche più marcate di quella strofa isolata, epigrafismo e frammentazione da un lato, inversioni magari in vista di mise en relief dall’altro, si componganoveramenteinun tutto unitario o stiano in una almeno latente contraddizione. In ogni caso Asestessoèl’eccezionedelle eccezionineiCanti. Ma anche all’interno di ‘sezioni’ più compatte come gli Idilli sono emerse ulteriormente le singolarità. Confermata è anzitutto la posizione particolare della Vita solitaria, epitome degli altri Idilli però anche snodo fra questi e il futuro, compreso quello non immediato: ma la sua singolarità è soprattutto tematica e lessicale. E anche Alla luna, questo idillio al gradozeroconlasuaassoluta castità verbale e naturalezza dell’enunciazione, tale che è deltuttoesentedametaforee altre figure di somiglianza, è tuttavia priva di polisindeti, sfraghìs degli altri Idilli: in effetti il delizioso carme piuttosto che scorrere per onde successive si presenta come accennato nella forma di piccolo congegno dialettico: vv. 1-5 = tesi; vv. 6-10 (introdotti dal deciso Ma) = antitesi; vv. 10-14, o 16 nella redazione definitiva, = sintesi, che contiene appunto sia tesi che antitesi anche se, s’intende, non si trattadiunaAufhebungenon si profila una vera ‘soluzione’. Non mi soffermo sulle molte ragioni che entro i Canti pisano-recanatesi conferiscono anche al Canto notturno una funzione di ponte, e anticipo di modi dell’ultimo Leopardi. Viceversa:quasiestravagante è nella sezione, e in tutta la raccolta, il Risorgimento, ma è molto probabile che a questo esercizio si deva l’esplosionedisettenarichesi ha a partire dalla contemporaneaASilviaepoi in tutte le canzoni libere successive: già in A Silvia iniziano con settenario la prima strofa e con lei tutte fuorché una, con settenario tuttesispengonoequasitutte hanno eptasillabi in prevalenza;guardandolecose da altra angolatura, s’arriva niente meno che ai sei settenari di seguito in Amore eMorte o ai cinque in Sopra il ritratto, Tramonto della luna, Ginestra. Colpisce la differenza con le Canzoni vere e proprie: in cui i settenari sono per lo più in minoranza, in numero pari agli endecasillabi solo nella Sorella Paolina e nel Bruto minore,innumerosuperioree in attacco solo nella prima strofa della Canzone più liberata,AllasuaDonna.Esi scorra invece l’Ultimo canto, a strofe di 18 versi: 16 endecasillabi di seguito, poi unsolosettenariochevariala rima baciata finale, con endecasillabo. Conviene però spostarsi dalla spiegazione genetica a una immanente: è molto probabile che l’aumento dei settenari dal ’28 in poi ci porti a uno dei centridelpoetarediLeopardi, vale a dire la sua volontà di risolverlo,ancheattraversola copia e le colate di settenari, tantopiùincantoquantopiùi suoi contenuti sono diventati irrimediabilmentenichilistici. Matorniamoagli Idilli e a quanto li prosegue fino alla riemersione carsica nel Tramonto della luna. Contemporanei alle Canzoni, gli Idilli oppongono a quello stile teso ed ardito, in modo stupefacente non meno che coerente, uno stile che come nellessicononèpiùsublime nell’eroico e nel mitico, ma sublime nella quotidianità, cosìsiesprimeinunasintassi della continuità e della scorrevolezza, una sintassi comedettodell’e:nellaquale ciòchecontaècertamentela fusione musicale, ma più ancoralasuaappropriatezzaa un’attività dei sentimenti e della coscienza che senza dubbio appare nel qui-e-ora (questo, ecco) ma soprattutto si svolge e si racconta, contempla se stessa nel momento medesimo che contempla l’esterno a sé. Poeta sempre del tempo – e nel Canto notturno, nel Tramonto e nella Ginestra dello spaziotempo del cosmo – Leopardi scopre con gli Idilli e poi coi Canti pisanorecanatesi una dimensione temporale altra da quella a ritrosodellastoriaedelmito, il tempo dell’interiorità che ascolta e quasi misura il proprio sviluppo, e di conseguenza temporalizza anche gli oggetti ed eventi, o epifanie, della propria contemplazione. E forse si può aggiungere altro. Se è vero come è vero quanto ha detto memorabilmente il grande Wilamowitz del greco, che è «la lingua del mén e del dé»[13], questa sintassi leopardiana dell’e non è che un altro aspetto della sua ‘grecità’: garante dell’unica condizione alla quale per Leopardi, saltando sopra la decadenza e la prigionia del moderno, si può e si deve veramente poetare, specie nell’unica autentica, per lui, dimensione poetica, quella lirica. Sarebbe un elemento daaggiungereaquelguardare ai Greci per cui Leopardi prosegue Foscolo – ma con tanta più filologia – opponendosiperòaisuoidue maggiori contemporanei in poesia, Monti, tutto latino[14], elostessoManzonianchelui latino sebbene di una diversa latinità (accanto ai classici le Scritture, la letteratura cristianaanticaemoderna…). Ilchecertolocollega–maè unadellerarefratellanzevere – ai grandi romantici tedeschi. [1]Maèindispensabilevedereorasu questa lirica L. Blasucci, Saggio di commento a un canto leopardiano: «Bruto minore», in Studi in onore di Pier Vincenzo Mengaldo, Firenze, Sismel-EdizionidelGalluzzo,1987,pp. 841-878. [2] Cfr. L. Lugnani, Il tramonto di «Allaluna»,Padova,Liviana,1976. [3] M. Brose, Moontime and Memory: Leopardi’s «Alla luna», in «StanfordItalianReview»,9,1989,pp. 155-179. [4] Cfr. P.V. Mengaldo, Sonavan le quietestanze.Sullostiledei«Canti»di Leopardi,Bologna,IlMulino,2006,pp. 147-167. [5] Ma mi sembra ricca di indizi decisivi l’analisi di F. De Rosa, Dalla canzonealcanto.Studisullametricae lostiledei«Canti»leopardiani,Lucca, PaciniFazzi,2001,pp.139-172. [6] Cfr. E. Pasquini, in «Studi e problemi di critica testuale», 1, 1970, pp.195-217e6,1973,pp.198-199. [7]A.Monteverdi,Frammenticritici leopardiani, Napoli, Edizioni ScientificheItaliane,1967,pp.125-136. [8] L. Spitzer, Saggi italiani, a cura diC.Scarpati,Milano,VitaePensiero, 1976,pp.251-291. [9] Cfr. abbandonato : stato 7-11, stringendo:rendo28-31(conSentendo al m. 26), rende : discende che fa eco allaprecedente34-43,laseriein-atodi 108 ss. e la quasi-rima appariro – Elvira75-78. [10] Come mi suggerisce l’amico Alfredo Stussi, può ben darsi che la scelta per l’asindeto non sia solo stilistica ma semantica, marcando una progressione; e ad es. cfr. ancora Alla suadonna21:«es’ancoparialcuna/Ti fosse al volto, agli atti, alla favella». Verissimo, e tuttavia altrove effetto analogo è ottenuto col polisindeto (cfr. ades.Infinito4-6). [11] Vedi per questo S. Agosti, Il testo poetico. Teorie e pratiche d’analisi, Milano, Rizzoli, 1972, pp. 39-41. [12] Considero l’ordine possessivoverbo del cosiddetto ‘imperativo tragico’ normale nella lingua poetica dell’epoca. [13]Permaggiorchiarezzamilimito a citare due testi ben noti a Leopardi, «Coluimisembrapariaglidei»diSaffo e i versi di Simonide sui morti alle Termopili (vedi Lirici greci, testo a fronte, a cura di S. Beta, trad. di F.M. Pontani,Torino,Einaudi,2008,pp.88e 170). [14] Cfr. F. Gavazzeni, Studi di critica e filologia italiana tra Otto e Novecento, Verona, Valdonega, 2006, pp.3-14epassim. V Trastrofeestrofedei Canti NeiCantisonoriscontrabilipiù che altrove fenomeni di continuità sintattica e testuale fra strofe successive: questi non sono semplicemente l’eredità della canzone ‘antica’, ma mettono in luce il pindarismodiLeopardieilsuo gusto per l’immediatezza e l’oralità. La tecnica compositiva leopardiana rappresenta la vittoria della libertàdelsoggettopoetante. L’ultima e più irregolare (salvo l’Ultimo canto di Saffo) delle Canzoni di Leopardi, Alla sua donna (1823) conserva ormai soltanto, della forma tradizionale, la combinatioin fine di strofe e soprattutto lo stesso numero di versi per strofa – non la stessa struttura, più o meno salda nelle Canzoni precedenti, e chequiinvecevariadistrofa in strofa[1]. C’è tuttavia qualcosa che sintatticamente, o testualmente, attenua la partizione fra prima e seconda strofa, ed è la presenza del pronome personale di 2a persona all’attaccodiII:«Vivamirarti omai…» 12 (lezione precedente «Te veder viva») [2] che riprende i morfemi di I:«Forsetu…»7,«ote…»10 (evedipoi18,20,21). Fenomeni simili o più marcati di continuità e coesione sintattica o testuale (o d’altro tipo) tra strofe successive,chequasifannodi due una, sono più frequenti nei Canti di quanto forse ci aspetteremmo, e non senza ragioni. Si documenterà a partire da quelli ‘metrici’, o più generalmente lessicali e retorici. All’Italia 17-18: «… e piange. / Piangi, che ben hai donde, Italia mia…», 21-22: «Sefossergliocchimieidue fontivive,/Mainonpotrebbe il pianto…» (dapprima «Non potrei pianger tanto»)[3]; 3644:«…perte?…Nessunde’ tuoi?» – «Dove sono i tuoi figli? [inizio di strofe] … i tuoi figliuoli», 56-66: Consorte al mezzo – morte : forte, 113-125: -anno – ando.Sopra il monumento di Dante 34-36: «Qualunque petto amor d’Italia accende» – «Amor d’Italia, o cari, / Amor…».AngeloMai20-31: poi: eroi–noi al m., 30-31: «… Anco ti giovi…» – «Di noi serbaste, o gloriosi, ancora…», 45-46 (lezione primitiva senza Anco a 30, con ancor interno a 31)[4]: «Siam fatti esempio alla futura etade» – «Bennato ingegno [sempre in 4a-5a posizione], or quando altrui non cale»[5], 104-106: primo (interno)–primo(fineverso), 121-136 (versi iniziali di strofa): «O Torquato, o Torquato…» – «Torna torna…» (altra geminatio in invocazione, e si tratta sempredelTasso),136-140:anda(rimabaciatafinale)–ando, 159-166: Memorando int. – Disdegnando id., a inizio strofa e seguito da fremendo. Alla sorella Paolina 60-61: «core… non di fanciulle, amore» (rima baciata finale) – «Madri d’imbelle prole» : cole, 85- 91. Volonterosa int. – generosaid.ainiziostrofa.A unvincitore 12-13-14: cara: prepara – barbarico (al mezzo; dapprima, ancor più significativamente, «Non del barbaro…»)[6],26-31:Eufrate al m. (ultimo verso) – scote (primo verso) : rote. Bruto minore 26-32: pietà – Necessità entrambi int., 104110: sciagura : cura (baciata finale) – futura int. Alla Primavera 20-21 e 39-40 (inizidistrofe):«Vivitu,vivi, o santa / Natura? Vivi…?» – «Vissero i fiori e l’erbe, / Vissero i boschi un dì», 7577:scellerato:cognatoint.,il secondo a inizio strofa. Ultimo canto di Saffo 35-37: Disdegnando – nefando entrambi int., il secondo a inizio strofa, 54-55: «Virtù non luce in disadorno ammanto» – «Morremo. Il velo indegno a terra sparto…». Pepoli 86-89: indarno – fraterno entrambi in fine v. Ricordanze 49-50: «O dell’arida vita unico fiore»(lez.precedenteunpo’ diversa)[7] – «Viene il vento recandoilsuondell’ora»(più «borgo» al mezzo e «conforto» al verso successivo), 76-78: beltà – età,entrambiinterni,ilprimo infinestrofa.Laquietedopo la tempesta 40-42: offese : cortese e a 8-25 il particolarisssimo Ogni cor si rallegra – Si rallegra ogni core (inizio strofa). Il sabato delvillaggio 31 (al mezzo) e 38-42: intorno – giorno (inizio lassa) : ritorno (e Giorno al m. 46, altra lassa). Canto notturno 34-39: affaticar – fatica (inizio strofaefineverso),59-62:sei – sei (il primo in fine v.), 131-133: animale : assale (rimain-aleinchiusadiogni lassa) : ale (rima inclusiva a inizio lassa). Passero solitario 11-20: migliore : fiore(ultimov.dellastrofa)– core(conlorosempreinfine v.),27-45:sera(: primavera) : sera (inizio lassa, la prima «sera» ‘propria’, la seconda metaforica). Pensiero dominante 115-117: «… al ver s’adegua» – «E tu per certo, mio pensier, tu solo…», 134-135 e 136-137: leggiadria : sia : pria : seria (alm.).AmoreeMorte24-33: sapiente (al m.) : novellamente : sente : possente(alm.),44-47:«Che già, mugghiando, intorno intornooscura» : «E fulmina nel cor l’invitta cura». Consalvo 118-120: paventato : beato(interna).Aspasia2633: «Apparve / novo ciel, novaterra,equasiunraggio/ divino al pensier mio» – «Raggio divino al mio pensiero apparve…», 59-61: essa al m. : stessa (inizio lassa).Sopraunbassorilievo 6-12: tetto : ricetto : aspetto (con atto), 53-59: vita (in rima baciata finale) : vita. Sopra il ritratto 17-20: «or fango / Ed ossa sei» – «Così riduce il fato»[8], 33-42: abbietto : aspetto : concetto (al m.) : concento, 47-56: accento : momento (fine lassa) – senti : spenti (fine testo). Palinodia 36-42: Profondamente – Concordementeentrambiint., 44-58: choléra : Suderà (al m,):danzerà(alm.):seguirà (al m.) : volerà (al m.) – ciberà, deporrà (entrambe al m.) ecc., 54-56: seme (fine lassa) – fame, 205-218: ammira(con«ancora»ecc.)– inspira (con «ancora» e «adora»), 256-260: pegno (con «penso», «crescendo», «pelo») : segno. Ginestra 155-160: fondata – desolate, indurato (tutte al m.). Non poco mi sarà sfuggito o qui nonsiregistra. Si può pensare, specie per le vere e proprie Canzoni (relativamente) tradizionali (1818-23) che questi agganci continuativitrastrofaestrofa siano un’eredità, sia pure maneggiata con grande libertà,dellacanzone‘antica’ (coblas capfinidas ecc.). Ma nonèspiegazionesufficiente: questi fenomeni sembrano indicare,dipiù,ilprofilarsidi un’asincronia fra metro e discorsopoetico,chenelcaso delle Canzoni andrà visto anche come un anticipo di quellachesaràlanovitàforse maggiore delle canzoni libere,daASilviainpoi,cioè la varietà estrema nelle misureestrutturedellestrofe o lasse. Tale asincronismo appare con ogni evidenza in tutta un’altra serie di fenomeni che creano una continuità di genere non ‘retorico’ ma sintattico e testuale di una strofa o lassa con la precedente, per via di congiunzione, avverbi temporali, aggettivi o pronomi personali ‘anaforici’ ecc.[9] Isolerò intanto le Canzoni. All’Italia81:«Edilacrime sparsoambeleguance,/Eil petto ansante e vacillante il piede…», 101: «Ma non senza de’ Persi orrida pena…» (periodo di due versi, che tien dietro a 100: «Senza baci moriste e senza pianto»; il complemento è sempre retto dunque da moriste, e si noti pure che a 102 segue un Come comparativo che spesso gradisce la posizione iniziale di strofa o lassa). Sopra il monumento 52-53: «Voi spirerà… E(d) … premeravvi alseno»(lez.inizialesenzaa voieintotalediversa)[10],cfr. a voi 49; ibidem 85-87: «… Pianga tua stirpe a tutto il mondooscura.//Manonper te; per questa ti rallegri / poverapatriatua…»(periodo di due versi), 120-121: «Perchè venimmo a sì perversi tempi? Perchè… o perchè…?», a seguire la cascata di interrogative che chiudelastrofaprecedente(e vedi anche similmente 180 ss.), 154: «Di lor querela il boreal deserto», con l’aggettivo personale riferito a sostantivo della strofa che precede (periodo di due versi),171:«Divoigiànonsi lagna» (cfr. vostro più volte nella strofa antecedente). Angelo Mai 76: «Ma tua vita…», contrapposto questa volta alle prime plurali che costellano la chiusa della strofa che precede; 151: «Di tefinoaquest’ora…»,cfr.Ti (prima T’)[11] 150. Bruto minore76:«Etudalmarcui nostro sangue irriga…»[12], ripresodaEtu86ecfr.Tu… Tu… 83, mentre la strofa precedente contiene un doppio a voi, 106 ss.: «Non io… E non… Non te…», a proseguire nella chiusa della strofa precedente e non… Non… Nè; Alla Primavera 58: «Nè dell’umano affanno…», 77: «Ma non cognato al nostro / il gener tuo.» (lez. primitiva diversa) [13], periodo nominale brevissimo di un verso e mezzo, e cfr. sopra E te ecc. Inno ai Patriarchi 22: «Tu primoilgiorno…»,57ss.:«E tu… o tu…», 71: «Or te… te… E di tuo seme…» (periodo di due versi e mezzo) – e si ricordi che il carme inizia, del tutto eccezionalmente, con E voi; per Alla sua donna vedi citazioneall’inizio. Ciò per le Canzoni, ma è ancor più interessante che questa tecnica della sovrainarcatura, o inarcatura ‘testuale’ continui a manifestarsianch’essaoltrele Canzoni stesse, nelle quali il sottinteso poteva essere appunto quello di metterne sottilmenteincrisil’isocronia strofica[14]. E certo già in questitestiilfenomeno–che allarga a cavallo delle strofe questa o quella sezione di discorso lasciandone come in sospeso il primo segmento – conviveconqualcosachenon possiamo definire altrimenti che pindarismo o gusto e genio dell’improvviso, con quanto questo comporta di immediatezza e una volta ancora di oralità. Del resto nessuno si sorprende quanto si trova a toccare con mano infinitevoltechenellapagina poetica di Leopardi, o del Leopardi sintatticamente più costruito, la sintassi modellata su un respiro ampio e disteso conosce continuamente al suo interno accelerazioni e frenate, contrazioniesprezzature. Ecco gli esempi (non sapreisetutti)successivialle Canzoni (trascuro ovviamente, come per i tipi precedenti di legatura, il Risorgimento). A Silvia 49 ss.: «Anche peria fra poco… Anche…» (e vedi Perivi 42). Ricordanze 28: «Nè mi diceva il cor…» (19 ss.: «E che pensieri immensi… e quantevolte…»),104:«Egià nel primo giovanil tumulto…». Canto notturno 61: «Pur tu, solinga, eterna peregrina…» (59-60: «Ma tu mortal non sei… ti cale»). Sabatodelvillaggio31:«Poi quando intorno è spenta ogni altra face…». Pensiero dominante 7: «Di tua natura arcana…»,cioèdel«pensiero dominante» specificato nella prima strofa come stretta appartenenza del locutore (mia,miei,ame2,5,6),7681: «Al paragon di lui?» – «se non per lui, per lui…», 117: «E tu per certo, o mio pensier…» (cfr. anche morte 116-120 e sei al m. 113 che anticipalarimamieieancora sei della lassa successiva), imago 132 in fine verso ma non rimato che anticipa la rima ancora di imago con vago della lassa seguente. Amore e Morte 45: «Poi, quando tutto avvolge…», più la rima interstrofica già segnalata. Consalvo 34: «Ma ruppe alfin la morte il nodo antico…», 130: «Or tu vivi beata…» (periodo brevissimo,ecfr.beato120). Aspasia 61: «Nè tu finor giammai quel che tu stessa…»insiemeallarimaal mezzoconessasopracitata,e il periodo conta meno di tre versi,89:«Ortivanta,cheil puoi.», e cfr. anche tollerar 88 : piegar 90 (interna). Sopra un basso rilievo 18: «Morte ti chiama», secca frasedimezzoverso,ecfr.tu 17; Tramonto della luna 1- 20: «Quale in notte solinga…;//Talsidileguae tale…», unica comparativa interstrofica dei Canti, e a parte le varie corrispondenze semanticheetematichefrale duelasse(«ilcarrettier»–«il confuso viator» ecc.), ecco che meno 24, senza rima entro la sua lassa, riprende Tirreno:seno10-11,esente: veramente amplia fuggente (alm.)senzarimanellalassa, 17. Ginestra 52: «Qui… e qui…»(cfr.queste50),e297, movimento supremo: «E tu, lentaginestra…Anchetu…». Qualche conclusione interpretativa, basata anche sui legamenti retorici ma soprattutto su quelli sintattici e testuali, più significativi. Anche per quanto riguarda questi ultimi, dunque, una tecnica costruttiva – o piuttosto decostruttiva – impiegata da subito nelle Canzoni, e lì forse anche per le ragioni specifiche già accennate, si prolunga da quellealleCanzonilibereein genere al Leopardi successivo: anche se, occorre pur notare, le partizioni dei testi ora non sono più isocrone e quindi possono essere, in teoria, modellate più liberamente sulle unità discorsive. Pure qui dunque gliattacchistrofici‘inlevare’ o‘acontinuare’oppongonola fluenza discorsiva alla discontinuità o al discreto della metrica; per così dire, profilano in più casi una metrica doppiamente ‘libera’. È un’ulteriore vittoria della libertà del soggetto poetante, eunaconfermaulterioredella bontà della celebre definizione carducciana dell’ultimo Leopardi: «forma senza forma», che risulta addirittura estensibile, sulla base del fenomeno censito, a tutto l’arco dei Canti. Ma è pure da credere che questo fenomeno sia per altro verso un effetto di chi sempre ha esercitato anche la prosa, e qui pure diventando presto eccellente: quella prosa che almeno in essenza contempla il modellarsi delle sue partizioni interne sulle unità didiscorso. D’altrapartequestiattacchi strofici che sintatticamente e testualmente chiudono piuttosto che aprire, funzionano come cuscinetti che, mentre sedano la precedente energia espressiva, preparano gli ulteriori balzi di quella, spesso nell’ordine tipicamente leopardiano dell’improvviso e quindi anche della oralità[15]: basti controllare quante volte ad essiseguanoimmediatamente movimenti sintattici variamente ‘marcati’, come interrogative (o esclamative) anche a catena, allocuzioni, affermazioni dell’io: quando già non li contengano in sé. Siamo perfettamente entro il ‘genio’ della sintassi poetica deiCanti,chetendesemprea contrapporre, alternando il respiro, volute ampie e maestose e breviationes, strette[16], sempre nell’ordine della miracolosa coesistenza di costruzione razionale e improvvisoespressivo.Enon è fuori luogo considerare queste sovrainarcature dello stesso genere, se non della stessaspecie,diciòchenella strutturaminutadeiCantièil continuo fluire e accavallarsi degli enjambements, che non oppongono soltanto le unità sintattiche a quelle versali, ma creano spessissimo attraverso di queste, come è bennoto,nuovemisure,versi dentro i versi (cfr. anche il saggio successivo). È chiaro poicheicollegamentiditipo metrico,lessicale,retoricofra strofa e strofa, lassa e lassa, non avrebbero una funzione particolare nella direzione indicata–sarebberoinsomma solointelligentirielaborazioni di tecnicismi tradizionali nella forma – canzone –, se non ci fosse appunto l’ampia distribuzione delle sovrainarcature sintattiche e testuali (che più di una volta le accompagnano topologicamente) ad attrarle nella loro sfera. Anch’esse, nella loro apparente formalizzazione, partecipano dunque alla creazione della «formasenzaforma». [1] D. De Robertis, Leopardi. La poesia, Bologna-Roma, Cosmopoli, 1996, p. 107 (e ss.) le appone acutamente l’etichetta beethoveniana – emontaliana–di«quasiunafantasia». Per la morfologia delle Canzoni in generale cfr. soprattutto L. Blasucci, I tempi dei «Canti». Nuovi studi leopardiani,Torino,Einaudi,1996,pp. 3-43e(ancheperlacanzonelibera)eF. DeRosa,Dallacanzonealcanto.Studi sulla metrica e lo stile dei «Canti» leopardiani,Lucca,Pacini-Fazzi,2001. Avverto che qui mi limito a una scelta dei casi; ulteriori esempi si troveranno inaltricapitolidellibro. [2] G. Leopardi, Canti, ed. critica di E. Peruzzi con la riproduzione degli autografi,Milano,Rizzoli,1981,p.366. [3]Ibidem,p.8. [4]Ibidem,pp.78-79. [5] Esempio rafforza una rima in egnonelPensierodominante55-58. [6] Leopardi, Canti, ed. critica Peruzzi,cit.,p.130. [7]Ibidem,p.446. [8]L’importanzadiquestaassonanza forte,orimaparonomastica,antinomica ègarantitadaAsestesso10-12(alm.). [9]Esempidelledueprimecategorie, permaggiorchiarezza,all’internodelle strofeolasse:All’Italia78:«Esulcolle d’Antela…»;Infinito4:«Masedendoe mirando…»;Allaluna6:«Manebuloso etremulo…»; Pepoli 44: «Ma noi, che il viver nostro…»; Ricordanze 152: «Marapidapassasti…»;Cantonotturno 14:«Poistancosiriposainsulasera», 98: «Ma tu per certo, /», 117: «Ed io pur seggo…» (con sfumatura avversativa); Sabato del villaggio 20: «Or la squilla dà segno…»; Palinodia 194-197: «Ma della vita… Ma novo e quasi / Divin consiglio…»; Tramonto della luna 63: «Ma la vita mortal…»; Ginestra 63: «Non io…», 65: «Ma il disprezzo più tosto…», 94: «Ma se di forza e di tesor mendico…», 307-314: «Ma non piegato insino allora indarno… ma non eretto… Ma più saggia, ma tanto / Meno inferma dell’uom…»: Frammento XL 29: «Ma persentenziamia…»ecc. [10] Leopardi, Canti, ed. critica Peruzzi,cit.,p.38. [11]Cfr.ibidem,p.102. [12]IlrilancioconE(e)tuallocutivo (anche Ma, Nè, Pur tu) – talora con replica del pronome – è una vera e propria sfraghìs leopardiana: cfr., oltre a quanto citato di seguito, Alla Sorella Paolina 90; Inno ai Patriarchi 25, 57; Vita solitaria 17; A Silvia 5; Canto notturno 69; Amore e Morte 96; Palinodia271. [13] Cfr. Leopardi, Canti, ed. critica Peruzzi,cit.,p.38. [14] Notevoli osservazioni in Blasucci, I tempi dei «Canti», cit., pp. 103-122. [15] Fanno testo le allocuzioni subitanee e le aperture col presentativo ecco, anche queste marca ricorrente dell’espressività leopardiana, come (e non di rado nella stessa posizione interna al verso, prima di un segmento diquattrosillabelegatoall’avverbioda sinalefe) in All’Italia 127; Monumento diDante69e150;AngeloMai97e99; Alla sorella Paolina 95 e 97 (in simmetria); Bruto minore 91; Inno ai Patriarchi39eUltimocanto68(fattura simile);Quietedopolatempesta4e19, duevolte(realizzazionimassime)ecc. [16]BeneDeRosa,Dallacanzoneal canto,cit.,2001,p.72. VI ‘Legato’e‘staccato’ neiversideiCanti NeiCanti gli endecasillabi che contengono almeno una sinalefe (definiti di tipo I) prevalgono in maniera consistente – sono più di sette voltetanti–sugliendecasillabi con ‘staccato’, senza alcuna sinalefe(ditipoII).L’adozione delle due tipologie risponde a necessità diverse sul piano sintattico-metrico: gli endecasillabi di tipo II sono spesso corrispondenti a frasiverso; al contrario, quelli di tipo I debordano sintatticamente oltre il confine delverso. Chiamo endecasillabi (per ora) con ‘legato’, o tipo I, quellichecontengonoalmeno una sinalefe, pur rendendomi bencontochealtroèunsolo legamento per verso, magari minimo(comeadesempioeil), altro tre o addirittura quattro, a parte fenomeni d’accompagnamento di diverso carattere. Ma non posso in via iniziale procedere altrimenti, sia perchéulteriorisuddistinzioni sarebbero ardue sia perché impedirebbero conteggi per quanto approssimativi (e il lettore faccia sempre un po’ di tara ai miei numeri e percentuali). Chiamo invece endecasillabi con ‘staccato’ (tipo II) quelli senza sinalefe alcuna, vale a dire con addossamento totale alle precedenti (terminino in vocale o consonante) di parole ad attacco consonantico. Do per scontato che la lingua italiana, a differenza ad esempio dell’inglese, è una lingua fortemente ‘vocalica’, con attacchi molli e terminazioni quasi sempre vocaliche[1] (ma meno in poesia a causa delle istituzionali apocopi), ed è tale perciò da implicare frequenti sinalefi, il che fa sì che il tipo I è in netta o nettissima maggioranza presso qualunque poeta rispetto al II, a meno che quest’ultimo non sia perseguito per particolari effetti del messaggio stilistico,comenelmartellato ossessivo del Cavalcanti o nella ricerca di gravitas del DellaCasa[2]. Detto questo non guasta subito qualche confronto di percentuali con i poeti più notevoli che precedono e anche influenzano Leopardi (per i Canti ho spogliato nell’Appendice solo i Frammenti XXXVIII e XXXIX). Nel totale i Canti presentano la seguente proporzione: il tipo II ricorre assaimenodi1/7divoltedel tipo I. Invece: Meriggio del Parini = c. 1/6; Monti, l. VII dell’Iliade = un po’ meno di 1/6; Bellezza dell’Universo = 1/5; Sciolti al Chigi = più di 1/5;Pensierid’amore=,forse significativamente,unpo’più di 1/7; Foscolo, Sonetti = un po’ meno di 1/6 (e in tre sonetti si hanno quattro endecasillabi del tipo II); Sepolcri, un po’ inaspettatamente, = più di 1/7. Date appunto le caratteristiche prosodiche dell’italiano anche le differenze numeriche non vistose sono senz’altro indicative. E ancor più lo diverrebbero,ècerto,tenendo conto almeno dei seguenti due fattori: a) della relazione tra endecasillabi e settenari nelle Canzoni, tradizionali o libere, dei Canti (cfr. oltre); b) della scorrevolezza e libertà nei rapporti sintassimetro o verso tipica di Leopardi, tale che in lui si verifica tanto più spesso che nei citati precedessori la formazione di endecasillabi a cavallo di due versi successivi legati da episinalefe. Nell’Infinito, per fare subito un caso estremo, leoccorrenzediquestiversia cavallo sono almeno quattro susoloquindiciposizioni(1- 2, 7-8, 12-13, 13-14). Qualche altro esempio o numero, sicuramente approssimativi per difetto e tralasciando le Canzoni fuorché Alla sua Donna (probabilmente influenzata dall’esperienzadegliIdilli),e altri testi: Passero solitario 34-35:«eincors’allegra./Io solitarioinquesta/…»;Sera del dì di festa 27-28: «al suo povero ostello; / E fieramente…»; Alla luna 910: «nè cangia stile, / O mia dilettaluna»;Vitasolitaria910: «e l’aura fresca, / E le ridenti piagge»; Alla sua Donna9-10:«Orleveintrala gente / Anima voli?», 40-41: «Di te pensando, / A palpitar mi sveglio», e altri due casi ibidem; A Silvia 42-43: «e nonvedevi/Ilfiordeglianni tuoi», più altri cinque casi ibidem; Ricordanze 125-126: «e quasi / (Inusitata maraviglia!)»; ben dodici esempi nel Canto notturno, cinquenellaQuieteebenotto nelSabato;ancoramoltissimi in Amore e morte (undici) e in Aspasia (nove); Tramonto dellaluna14-15:«eilmonte imbruna; / Orba la notte resta»[3]. Naturalmente importanza e per così dire legittimitàdelfenomenosono anche garantiti dalla frequenza (benché minore, comeèmoltosignificativo)di endecasillabi a cavallo senza episinalefe, che questa volta esemplificorapidamentedalle Canzoni: All’Italia 3-4: «Torri degli avi nostri, / Ma lagloria…»,55-56:«…eper la pia / Consorte e i figli cari»; Sopra il monumento 82-83: «s’unqua cadrai, / Cresca se crescer può…», 109-110: «Non degl’itali ingegni / Tratte l’opre…»; AngeloMai20-21:«Ancoraè pio / Dunque all’Italia il cielo»; Sorella Paolina 7172: «la sposa giovanetta il fido / Brando…», 87-88: «anzi che l’empio letto / Del tiranno…»; Brutominore65- 66: «o da montano sasso / Dare al vento…»; Alla Primavera 3-4: «onde fugata e sparta / Della nubi…» (?) ecc. Inoltreilpiùomenoesteso legato è accompagnato più volte da dieresi tradizionali/latineggianti o da iatinaturali,cheprolunganoe rallentano la dizione: All’Italia 107: «Tal fra le Persetormeinfuriava»;Sopra il monumento 180: «La ritraesse! O glorioso spirto»; Sorella Paolina 41: «Per vostra mano? Attenuata e franta»; Bruto minore 46: «SpiaceagliDeichiviolento irrompe», 78: «E l’inquieta notte e la funesta»; Alla Primavera45:«Congliocchi intenti il viator seguendo» (altri cinque casi del genere nellaCanzone);Ultimocanto 8:«Noil’insuetoallorgaudio ravviva»; Infinito 8: «Il cor non si spaura. E come il vento»; Alla luna 1: «O graziosa luna, io mi rammento»; Il sogno 2: «Per lo balcone insinuava il sole» (qui altri cinque versi del genere); Alla sua Donna 42: «Nel secol tetro e in questo aernefando»;Ricordanze16: «Ivialiodoratiedicipressi»; Canto notturno 6: «Di riandare i sempiterni calli»; Sabato 6: «Un mazzolin di rose e di viole»; Amore e Morte 60: «Dall’imo petto invidiò colui»; Sopra un basso rilievo 46: «Natura illaudabil maraviglia»; Sopra ilritratto 43: «Onde per mar delizioso,arcano»ecc.[4] Come accennato, sono ben frequenti gli endecasillabi legati,comesupontisospesi, datresinalefi,adesempio,fra i moltissimi, All’Italia 5: «Non vedi il lauro e il ferro ond’eran carchi»; Sopra il monumento 193, complice il polisindeto: «E le carte e le tele e i marmi e i templi» (dunque anche con E iniziale);AngeloMai,oltread altri, tre versi così sagomati di seguito a 163-165; Vincitore nel pallone 37: «Costume ai forti errori esca nonpose»(conl’appoggiodi fitte allitterazioni); Bruto minore 117: «Le penne il bruno augello avido roti», Ultimocanto19:«Belloiltuo manto,odivocielo,ebella»; Vita solitaria 58: «Brillano i tettieipoggielecampagne», ancora con polisindeto; Alla sua Donna 21: «Ti fosse al volto, agli atti, alla favella» (quifondendounparallelismo asindetico); Ricordanze 160: «Dico:oNerina,aradunanze, afeste»(altramoderazionedi asindeto);Asestesso10:«La vita,altromainulla;efangoè il mondo»; Aspasia 26: «Al seno ascoso e desiato. Apparve»(notare:de-si-a-to), 41:«Tuttaalvoltoaicostumi alla favella» (cfr. sopra); Soprailritratto33:«Sozzoa vedere, abominoso, abbietto» (asindeto e allitterazione); Tramonto della luna 8: «E rami e siepi e collinette e ville» (polisindeto ed E d’attacco, cfr. sopra); Ginestra 303: «Ma non piegato insino allora indarno». E si può arrivare a versi con quattro sinalefi: All’Italia 45: «Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi»; SorellaPaolina 36 (cinque!): «E il forte adopra e pensa; e quanto il giorno»; Inno ai Patriarchi 49: «Mortali egro, anelante, aduna e stringe», 65: «Riede alla terra, e il crudo affetto e gli empi»; Consalvo 119 (inizio di lassa):«OhElvira,Elvira,oh luifelice,ohsovra»;Seradel dì di festa 23: «Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi», anche con polisindeto e come spesso con legatura di ciò che punteggiatura e sintassi dividono; Sabato 31: «Poi quando intorno è spenta ogni altra face»; Tramonto della luna 66: «Vedova è insino al fine;edallanotte»,ealtri. Dai pur selettivi esempi citati credo emerga qualcosa di più importante della cura del legato in sé, ed è – come già accennato – il fatto che i legamenti fondono ciò che sintatticamente è disgiunto o discreto. Nella microsintassi, ed è il caso soprattutto delle sinalefi che ammorbidiscono asindeti o simili (vedi ancora ad esempio Vita solitaria 85 per l’anafora). Ma ancor più nella macrosintassi, data l’abitudine leopardiana di iniziare un nuovo periodo, o di inserire una subordinata, dopo punteggiatura media o forte, al centro del verso o ancheallasuapunta(comein Aspasia 26 cit.). Quindi le sinalefi fondono con ciò che precede riprese coordinative con e(d) – spessissimo e ancheridondante:Ricordanze 136 –, a(d), ahi, allor(a), almen(o), ancor(a), anzi, assai,ecco,il,in,io,ognora, oh, oimè, or(a) ecc.; o introduttori di subordinata come allor che, infin che, ove, il frequentissimo onde ecc. Molto meno frequenti sono le coordinazioni o subordinazioni con staccato, Soprailmonumento 102: «O caro immaginar; da te s’apparta»ecosì ibidem115, Sorella Paolina 9, Vincitore nel pallone 8, 13, 57, Bruto minore 6, 35-36, 64 (Ma), 110, Alla Primavera 40, 47, 93 ecc. Una breve analisi differenziale sull’Infinito: 2, 13: «E questa siepe, che da tanta parte», «… e il suon di lei. Così tra questa», ma legatureanchefortia4,5,6, 7(ove),8(.E),9(io),11,12, 13. Evidentemente non è il caso di generalizzare, anzitutto per il buon motivo che il linguaggio poetico italianovive,egloriosamente, appunto dell’alternanza fra i due tipi e della loro diversa realizzazione fonica[5]. Tuttavia si può tentare qualche considerazione sul tipo II, cominciando col chiedersiselasuacondizione minoritaria non lo predisponga a qualche privilegio di marcatezza, in primo luogo di carattere posizionale. E infatti in non pochi casi l’endecasillabo a ‘staccati’ va a collocarsi ad attaccooinchiusadistrofa(e pure ad attacco e chiusa assoluti).BasticitareSoprail monumento 52: «Voi spirerà l’altissimosubbietto»;Angelo Mai 136: «Torna torna fra noi,sorgidalmuto…»;Bruto minore 1: «Poi che divelta nella tracia polve», 90: «Rintronerà quella solinga sede»; Inno ai Patriarchi 104: «Tal fra le vaste californie selve»; Passero solitario 44: «Che la beata gioventùvienmeno»;Infinito 1;Vitasolitaria38,dopouna grande colata coordinativa, «Co’ silenzi del loco si confonda» (notare anche la doppia allitterazione); Pepoli 77: «La più degna del ciel cosa mortale» (con iperbato); Consalvo 118: «Nel paventato sempiterno scempio» (doppia aggettivazione anticipata); Ricordanze 123: «Moti del cor, la rimembranza acerba»; Quiete 54: «Se te d’ogni dolor morte risana»; A se stesso15:«El’infinitavanità del tutto» ecc., e ancora nel Pepoli 99-101 lo staccato chiude una lassa per poi aprirelasuccessiva(edessere seguitodaunversoanalogo): «La destinata sua vita consuma» – «Te più mite desio, cura più dolce» (e «Regge nel fior di gioventù, nel bello»). Resta comunque, per quanto è lecito ragionare su numeri bassi, che gli staccati in posizione marcata sembrano allogarsi di preferenza in individui non proprio insigni dei Canti, qualiilPepolieilConsalvoe lostessoSoprailmonumento. E accenno appena a casi in cui l’effetto di staccato prevale,cedendoallasinalefe solo in fine di verso: così, appunto in finale assoluto, Alla Primavera 95: «Pietosa no, ma spettatrice almeno», secca esecuzione della correctio. A voler poi indicare – con cautela – qualche costante espressiva tendenziale degli endecasillabi del tipo II, si potràsuggerirecheessi a. scolpiscono momenti di ‘agitato’, per lo più sottolineati anche da ripetizioni verbali di vario tipo: ad esempio All’Italia 28: «Perchè, perchè? Dov’è la forza antica…», 37: «Nessun pugna per te? Non ti difende / Nessun de’ tuoi…?» (anafora metrica e asindeto); Sopra il monumento 62: «Come cadrà, come dal tempo rosa…?»; Bruto minore, lo strappo potente di 83: «… Tu sì placida sei? Tu la nascente…»; Alla Primavera 18: «Questo gelido cor, questo ch’ancora» (notare l’elisione); Ultimo canto 60: «D’implacato desio furor mi strinse»; Passero solitario 57: «Chediquest’annimiei? Che di me stesso?» (anche qui con elisione) ecc. b. Si reperiscono in endecasillabi di struttura ternaria, e generalmente con presenza di un polisillabo (forse perché sentito spesso come ‘prosastico’?), ad es. Primo amore 59: «Stupidamente per la muta stanza»; Il sogno 97: «Di sconsolato pianto le pupille»; Vita solitaria 102: «Dominatricedell’etereo campo»; Ricordanze 114: «Sul conscio letto, dolorosamente», doppiato da un altro endecasillabo tutto stacchichepuòrientrare nella stessa categoria: «Alla fioca lucerna poetando»; Pensiero dominante 2: «Dominator di mia profonda mente» (vedi sopra l’esempio dalla Vita solitaria); Aspasia 21: «Allettatrice, fervidi sonanti»(loprecedonoe seguono altri due versi tutti a stacchi), 68: «Esecutor di musici concenti»; Sopra il ritratto 16: «Visibilmente di pallor si tinse»; Ginestra 268: «Durabilmente sopra quei si spiega», 301: «Soccomberai del sotterraneo foco» (con allitterazioni). È evidente che a questi versitrimembrispettadi regola una speciale enárgheia. Ad essi possiamo dunque aggiungere altri endecasillabi che la condividono, per fattura simileeperessere,come quasi sempre quelli, dei versi-frase (cosa che in Leopardi, va ripetuto, è tutt’altro che la regola): All’Italia 75: «Serse per l’Ellesponto si fuggia»; Sopra il monumento 128: «Lo spietato dolor chelastracciava»;Bruto minore 5: «Il calpestio dei barbari cavalli»; La sera 6: «Rara traluce la notturna lampa» (con allitterazioni); Alla luna 15: «Il rimembrar delle passate cose»; A Silvia 2:«Queltempodellatua vita mortale» (con ictus ribattuto di 6a-7a), 22: «Che percorrea la faticosa tela»; Aspasia 54:«Alvivosfolgorardi queglisguardi»;Soprail ritratto14:«Sentìgelida far la man che strinse», 46: «Ardito notator per l’Oceano»; Tramonto della luna 16: «E cantando, con mesta melodia,»;Ginestra163: «Veggo dall’alto fiammeggiar le stelle» ecc. c. Altrohabitattipicodegli endecasillabi del tipo II èquellodeglienunciatia fortetensionenegativa,e che ancor più caratteristicamente contengono correctiones e un ma intensamente contrastivo: ad esempio Sopra il monumento 136: «Ma per la moribonda / Italia no; per li tiranni suoi»; Angelo Mai 155: «a cui dalpolo/Maschiavirtù, non già da questa mia…», e vedi anche l’avversativaimplicitadi Bruto minore 83; Vita solitaria 41: «… Anzi rovente. Con sua fredda mano…», 52: «… Il miseromortal.Manonsì tosto…»;Ricordanze58: «Dolce per se; ma con dolor sottentra…»; Canto notturno 98: «… Indovinar non so. Ma tu percerto…»;Sabato50: «Altro dirti non vo’; ma la tua festa…»; Aspasia 78: «Perch’io te non amai, ma quella Diva…», e così via. Gli esempi delle tre categorieabbozzatesono quasi sempre accomunatidaspiccoed energia, talora anche da asprezza (pure ritmica, come in Sopra il monumento 61, a ictus centraliribattuti). d. Ma non endecasillabi mancano con la stessa struttura ‘consonantica’ che hanno invece carattere piùdiscorsivo,narrativo, sentenzioso ecc., o senz’altro di ‘prosa’: Primo amore 39: «… Che l’aleggiava, volossene via»; Vita solitaria 15: «Benché scarsa pietà pur mi dimostra»;Consalvo2122: «Era del gran desio stato più forte / Un sovrano timor. Così l’avea…»;Pepoli2:«… Che noi vita nomiam, come sopporti…?», 46: «Necessità, cui provvedernonpuote…»; Ricordanze 37: «A personagiammainonne fo segno»; Canto notturno 112: «Ma più perché giammai tedio non provi»; Sabato 48: «Godi, fanciullo mio, statosoave…»;Pensiero dominante 60: «Che di vote speranze si nutrica»,135:«Solavera beltà parmi che sia»; Sopra un basso rilievo 45: «Dal nascer già dell’animal famiglia», 97: «Veder d’in su la soglia levar via»; Sopra il ritratto 42: «Per natural virtù, dotto concento»; Tramonto della luna 26: «Ove s’appoggia la mortal natura», 49: «Secche le fonti del piacer, le pene…»; Ginestra 5960:«Altuopargoleggiar gl’ingegni tutti, / Di cui lor sorte rea padre ti fece», 155: «Ove fondata probità del volgo», 192: «Per tua cagion, dell’universe cose» (elisione), e altri casi, cui se ne potranno aggiungerealcunicensiti alpuntob.Hocercatodi scegliere gli esempi dal totale con una voluta proporzionalità, per indicare che, a parte le ‘eccezioni narrative’ come Primo amore, Pepoli, Consalvo, gli endecasillabi del tipo II classificati sotto questo punto d vanno aumentando sensibilmente nell’ultimo Leopardi in rapporto all’aumento dellecadenzemeditative e della ‘prosa’, con punte massime nella Ginestra, e ancor più evidentemente nella Palinodia (ad es. 7, 34, 48,55–inizialedistrofa –,114ecc.;quianchetre endecasillabi a staccato diseguito,82-84). Tornando ai due insiemi, sembra avvertibile un loro comportamento tendenzialmente diverso sul piano sintattico-metrico. Mentre gli endecasillabi del tipo II tendono (non più di questo) a chiudersi in segmenti sintatticamente compiuti, insomma in frasi- verso(cfr.soprattuttoilpunto b), quelli del tipo I al contrario tendono, come si è già indicato, a scivolare sintatticamente oltre il confine del verso, spesso aggiungendo alle sinalefi interne un’episinalefe con l’endecasillabo o settenario successivo. Si potrebbe dire che la loro scorrevolezza si armonizza alla fluidità del dettato, segnata soprattutto dalla ricchezza di inarcature, e l’una e l’altra contribuisconoacrearequella che Contini[6] ha chiamato giustamente «incomparabile maestà» del discorso poetico leopardiano. Conviene tuttavia vedere se e cosa emerge disaggregando i due assiemi e il relativo rapporto secondo le varie fasi o momenti della poesia dei Canti.Unaprimaindicazione è che i due testi anteriori all’anno1818delledueprime Canzoni, cioè il Frammento XXXIX e il Primo amore, entrambi narrativi ed entrambiinterzineincatenate, presentano una proporzione fra i due tipi nettamente più alta della media a favore del tipo II: entrambe circa 1/4 dell’altro. Anche di fronte a queste primizie spicca la situazione diversissima di molteCanzoni,dovesivadal meno 1/8 di All’Italia all’1/8 esatto del Mai, all’1/10 e rispettivamente 1/11 dell’Ultimo canto e del Vincitore, fino all’1/13 dei Patriarchi,peraltroindiverso metro,eall’1/14dellaSorella Paolina. Le, relative, eccezioni sono piuttosto razionalizzabili,enonoccorre insistere:Monumento37/112, l’aspro Bruto minore 14/66, lapiùtardaemeditativa Alla sua Donna 7/31. Si può aggiungerecheilFrammento XXVII in sciolti (1819) e il XXXVIII (forse fine ’18) concordano col più delle Canzoni: meno di 1/10 e 1/15. L’andamento fonico- prosodico dominante nelle Canzoni – e negli anni delle Canzoni – è vivamente accentuato negli Idilli. L’Infinito attacca con due endecasillabiastaccato(mail secondo inizia con E e dunque fa episinalefe col primo),poiprosegueconuna colata di tredici versi legati all’interno così come lo sono sintatticamente dal crescendo delle coordinate e da altre ulteriori episinalefi («quello / Infinito silenzio»!). Nella Seralaproporzioneè3/43,in Alla luna, un po’ come nell’Infinito, 1/15, nel Sogno 6/94, perfino nella politonale Vita solitaria 9/98. A parte l’aumento proporzionale degli endecasillabi legati negliIdillirispettoanchealla maggioranza delle Canzoni, penso che l’interpretazione nonpossaesserelastessaper leuneeperglialtri.Scontata la naturale fluidità e cantabilità del ductus leopardiano, nelle Canzonila grande frequenza dei legati saràunsegnodellacontinuità con l’eloquenza e solennità del linguaggio poetico tradizionale,chequiLeopardi conservaenellostessotempo supera (Aufhebung): negli Idilli si tratterà invece di un fenomeno coesteso alla loro mirabile fusione e scorrevolezza stilistica, a quello che altrove (cfr. il terzo saggio) ho chiamato linguaggiodell’e,conciòche questo esprime, la narrazione senzafratturedistatid’animo checrescono,comesgorganti l’unodall’altro,susestessi. Lasciando stare il Pepoli, ecco che anche dal punto di vista che ci interessa i Canti pisano-recanatesi spiegano tutt’altro carattere fonicoprosodico rispetto agli Idilli (anche in linea, vien da pensare, col dettato di Alla sua Donna): A Silvia 8/21; Ricordanze 39/124; Canto notturno 15/55; Quiete 3/21; Sabato 6/21; Passero 8/32; Imitazione 0/3 (ma prevalgono assolutamente i settenari,vedioltre).Ilfattoè anzitutto che in questi capolavori il momento idillico è, molto di più che negli Idillistessi,attraversato dalle strettoie e dalle contraddizioni del «pensiero poetante» (Prete) e dalla dialettica fra vitalità e nichilismo. E dove la pronuncia leopardiana è, proverbialmente, più casta, allora si può rilevare che mancano pure gli endecasillabi tutti fusi da tre (o quattro) sinalefi, e cioè troppo oliati per l’orecchio del pensatore-poeta: così nella Quiete e nel Passero, così quasi (una sola eccezione)nelSabato. Per ragioni in parte simili inpartediverse(resediconto insieme esistenziali e universali),leproporzionidei Pisano-recanatesi si mantengono simili anche nel Ciclo di Aspasia: più di un quarto di endecasillabi del tipo II rispetto agli altri nella condotta varia e come tutta a sbalzi del Pensiero dominante, che per di più presenta–casoassolutamente eccezionale – due lasse con rapporto3/1e3/3(mapoi,ad es., nella dodicesima 0/10!); più di un terzo in Amore e morte; un quarto in A se stesso; un quarto in Aspasia, dove capita anche di reperire – contro le abitudini – due o treendecasillabideltipoIIdi seguito (20-22, 30-31, 37-38, 85-86); infine un sesto in Consalvo. Ormai questo è l’orecchio di Leopardi, sensibileaicontrastioltreche allacostantefluiditàdellasua musica, e perciò nei Canti napoletanisiha:1/5inSopra un basso rilievo; addirittura piùdi1/3inSoprailritratto; poco meno di 1/3 nel Tramonto; diverse, ma è da credere anche per la loro ampiezza, solennità ecc., la Palinodia (meno di 1/7) e la Ginestra(unpo’piùdi1/9). Nella maggior parte dei Canti però, come è evidente, gli endecasillabi non vivono dasolimainuncontrappunto piùomenofittocoisettenari, in totale assai più fitto nelle ‘Canzoni libere’ che nelle Canzoni vere e proprie, per quanto via via ‘liberate’. Ora èintuitivocheneisettenarila probabilità di essere scanditi secondo staccati è, generalmenteparlando,molto più alta che per gli endecasillabi. Facciamo prova su Leopardi stesso, col Risorgimento,doveisettenari deltipoIIsonoben61contro i 99 del tipo I: proporzione impensabile per gli endecasillabi, in Leopardi e istituzionalmente, e va aggiunto che, se non vedo male, in quel testo fra i settenarideltipoIsolocinque in tutto scivolano su doppia sinalefe. Nonostante ciò, o anziproprioperquesto,varrà lapenadifarentrarenelmio discorso anche i settenari. Intanto per prendere atto che evidentemente con essi i contrappunti fra staccato e legato divengono più frequenti: il che non è meno interessantedellealtreragioni per cui la dialettica endecasillabo-settenario e il moltiplicarsi di questi ultimi nelle canzoni libere a partire da A Silvia ecc., sono elementidiprimaimportanza. Mi limito a un paio di assaggi.NelledueCanzoniin cui gli endecasillabi del primo tipo preponderano più nettamente su quelli del secondo,cioèAll’ItaliaeAlla sorella Paolina, il rapporto fra i settenari del II tipo e quelli del I è rispettivamente 19/28 e 12/23: normale proporzione e normali contrapposizionialprevalente legatodegliendecasillabi.Ma nella zona dei Pisanorecanatesi, dove già il rapporto fra i due tipi di endecasillabi è meno squilibratoafavoredelprimo (cfr. sopra), quello fra i due tipi di settenari è: 15/18 in A Silvia; 27/36 nel Canto notturno; 13/15 nella Quiete; 12/13 nel Sabato, addirittura 13/7 nel Passero solitario: e già la liberatissima Alla sua Donna dà 6/8. Ciò sembra confermare che in questi Cantiilcontrappuntofonicoe prosodico di tanto s’infittisce diquantoilragionarpoetando intride il lirismo, o vi si contrappone. E una controprovasihascindendoi diversi momenti o ‘tempi’ di due testi particolari. Nella prima lassa della Quiete, descrizionefluidaedaperta,i settenari del tipo II sono 3 contro 6 degli altri, mentre nelle due seguenti, aspramente ragionative e nichilistiche, sono all’inverso 11 contro 7; e nel Passero,a una parità circa nelle prime due lasse (7/6), segue nella terza una squilibratissima proporzione 6/1. E per fare solo un passo avanti, nel Tramonto della luna, dove l’aspetto lirico-descrittivo e quello mentalistico sono molto più fusi che giustappostiacontrasto,ecco che la proporzione totale è altra: 12/22, nella norma per cosìdire. Anche da questi minimi risulta e la fluidità della versificazione leopardiana e lasuatendenza,crescentecol tempo e col crescere del caratterespeculativodellasua poesia, a contrapporre funzionalmente due tipi differenti di verso. Quasi come un equivalente fra vivacitàescorrevolezzadelle rappresentazioni della vita e fermezza commentante del pensierochenega. [1] Cfr. C. Segre, Le caratteristiche della lingua italiana, appendice a Ch. Bally,Linguistica italiana e linguistica francese,Milano,IlSaggiatore,1963. [2]Cfr.P.V.Mengaldo,Attraversola poesia italiana. Analisi di testi esemplari, Roma, Carocci, 2006, pp. 22-25e95-97. [3] Generalmente frase o sintagma inarcati si distribuiscono tra inizio e fine dei rispettivi emistichi, ma non mancanoinarcatureconattaccoinpunta di verso, ad es. All’Italia 60 (con forte enjambement),SorellaPaolina17,Inno ai Patriarchi 4, Vita solitaria 14, 71, 98,Consalvo131,Pepoli7,125,145,A Silvia 56, Ricordanze 9 («allora / Che…»),44,46,Quiete47,48,50ecc. [4] Viceversa in tutti i Canti non vedo,salvoerrore,cheunasoladialefe d’eccezione, Sabato 26. «E qua e là saltando»,conacutafunzioneiconica. [5] Da un particolare punto di vista cfr. P.V. Mengaldo, Una ‘norma’ eufonica del verso italiano, in «Stilistica e metrica italiana», 6, 2006, pp.3-19. [6] Antologia leopardiana, a cura di G.Contini,Firenze,Sansoni,1988. VII Quantosono‘sciolti’ gliscioltidi Leopardi? Gli ‘sciolti’ leopardiani differisconodaquellipariniani e foscoliani per lo stile peculiaredelpoeta,chetendea ‘nascondere’ e ad alleggerire in misura maggiore rispetto a quanto abbiano fatto i suoi omologhi nei Giorni e nei Sepolcri. È riscontrabile negli ‘sciolti’ del Leopardi un’animazione fonica prodotta dall’arricchimento degli schemiusuali.Rimeepararime sono rinvenibili all’interno dei versi–piuttostocheallafine– e in corrispondenza degli attacchiedellechiusedeitesti. È chiaro che per ragioni quasi fisiologiche[1], gli scioltiitalianinonsonomaio quasi mai veramente tali. Prima di affrontare quelli di Leopardi, esaminerò per interoopercampioniitestiin sciolti più illustri, e più o meno intensamente attivi sui Canti, del Settecento- primissimi Ottocento, e cioè il Giorno (ed. Isella), l’Ossian di Cesarotti (ed. Bigi[2]),gliScioltialChigiei Pensieri d’amore di Monti (ed. Muscetta[3]) e infine i Sepolcri(ed.Gavazzeni). Nelle prime tre lasse o paragrafi del Mattino (seconda redazione) si ha quanto segue: rima caro : paro 5-12, con appoggio di appare 2 e fabbro 14; quasirima inclusiva al mezzo orizzonte – onde 3-4; quasirima notte – scote 7-10; assonanze forti rifrange – sonante 13-14 e inquieto – argento 17-18; mense in quasi-rimaalmezzoacavallo dilassaconpungente,questo inrimaalm.concadente2022-24. Nel seguito molto meno materiale: trascuro le assonanze facili e segnalo solo la rima al m. inversa tenèbre – superbe 39-40, la quasi-rimaalm.verdi–siedi 50-51, mentre la rima inclusiva fèo: Morfeo è troppolontana,42-59. E ora i primi due movimenti della Notte. Sempre trascurando le assonanze facili, ecco la corrispondenza interna di sdrucciole analoghe nella stessa posizione, squallida – timida 5-6 (seguono rispettivamente «mesta» e «terra»);rimalontanavanno: affanno8-24;epifora«smorte fiamme» a contatto, 17-18; consonanza al mezzo lento – manto 21-23, e rima int. di questo con tanto e poi rispondenza fonica con affannocit.eululando23ss.; quasi-rimaalm.sospettoso– ascose 21-23; altra e triplice corrispondenza di sdrucciole a 25 ss. Basti dire che i §§ successivi presentano molto meno materiale. Nei due spezzoni insieme si ha dunque una sola rima nel Mattino, l’altra essendo neutralizzata dalla troppa distanza, così com’è lontana quella della Notte; però si presenta un brulichio di echi vicini alla rima che tuttavia, ed è naturalmente significativo, calano di quantità e qualità quando dal primo movimento, decisamente più ‘lirico’, si passaaisuccessivi. Maèutileprocedereunpo’ di più con la Notte. È vero che i vv. 39-60 sono privi di fenomeni rimici o pararimici salienti, ma è anche vero che sono dominati dalla ricorrenza di sdruccioli in fine verso (precisamente 10 su 22 versi, cui ne va aggiunto qualcuno all’interno). Più avanti ancora, nella lassa del ‘cocchio’siaffaccianorimeo quasi-rime ma a distanza, gridando–pertanto82-92eare 83-93, giusto di seguito, più rime interne abbastanza ovvie in -on, -ar, e cfr. pure s’empia – tempo 96-101. Ma veniamo alla gran strofa finale, violenta di sarcasmo. Rimaalm.lato:ostinato638- 640eneiparaggialte–alveo all’int. 640-643; quasi-rima int. ricca memorati – numerata 651-654: consonanza prettamente ‘comica’ stizza – aguzza int. 659-660; rima al m. dimenando:rotando660-667; epifora ‘ricca’ «con la gobba enorme / E il naso enorme e la forchetta enorme»; ingoiainnoltra 663-666, e un’altra consonanza al m. faceto – grato 668-672: il tutto attraversato da molti sdruccioli interni (642, 645, 646,649ecc.). Idatiquiraccoltiinvitanoa scorrere, almeno per due punti,l’interotesto.Ilqualeè largamenterimato,maconla tendenza, accanto alle rime prossime–peròmaibaciate[4] – (ad es. Mt 93-98, 592-597, 852-857, 1061-1066, 11331135, Mg 646-650 ecc.), a disporre le rime, sempre ‘facili’, a distanza, quasi più per inquadrare porzioni di testo che per ottenere effetti fonici (ad es., solo nella Nt, 83-93 cit., 193-203, 323-334, 356-366, 476-489). D’altra parte, e secondo me a conferma non già ad opposizione della tendenza ora notata, spicca la quantità di rime identiche che meglio si interpreteranno come epifore, e queste volentieri ravvicinate e spesso baciate: Mt (ma con notevole alleggerimento rispetto al Mattino del ’63) 238-239, 321-322,984-992,Mg46-49, 165-178, 243-244, 263-264 ecc., realizzate a volte anche in forma di poliptoti, figure etimologiche ecc.: Mt 359360 sposi, -e, 569-570 forte- fortuna, 581-585 degni- disdegnano, Mg 373-374 sposo,-a,377-384scherza,-i e così via. Per il resto, lasciando le facili assonanze (che comunque non sono quasi mai ‘a catena’), colpisce il numero di quasirime (del tipo impure – furo Mt 179-183) e soprattutto di consonanze, quasi a evitare troppe chiuse melodiche dei versi: ad esempio, solo nel Mattino, 261-262 uscendo – mondo, 389-392 quanti – viventi, 459-461 crine – espone, 503-505 seno-mano, 590-593 volume – chiome ecc.Siamodunquedifrontea un sistema rimico e pararimico piuttosto intenso, ma d’altra parte a una frequenza di consonanze che realizzano con minor facilità il ritorno fonico, e a un’insolitaquantitàdiepifore cheallarima(diperséspesso ‘grafica’) sostituiscono così spesso lo sdoppiamento di paroleosegmenti–chediper sé possono avere valore di chiave–,comesiaddiceaun poemettonarrativo. Tutt’altra la condizione dell’Ossian di Cesarotti, di cui, adocchiando il tutto, ho spogliato Fingal, II, 1-113, Cartone 86-193, Selma 1-51. L’elemento comune con Parini è l’ancor più notevole presenzadiepiforeaqualche distanza, Fingal 63-70, e al m. 52-56, 69-73, Cartone 141-175: canto (con accanto 145),Selma 28-36, 46-51 (in fine di partizione); le rime vere e proprie sono invece scarseequasicasuali, Fingal 57-60 e interna 60-61, Cartone141-145(piùlefacili -avae-ia int.), Selma 35-47, adistanza.Perilresto,molta misura nelle quasi-rime e nelle consonanze (ad es. Fingal 21-22 scudi:vidi, 3144 al m. arresta-celeste, 99103 temo – nembo, Cartone 86-93 pace-luce e 110-113 sfavilla – mille – favelli, Selma 2-7 splendi – venti – torrente, 46-49 collina – bruna) e perfino nelle assonanze. Nel Cesarotti gli effettidirimaopararimanon arrivano mai, e verosimilmente non lo vogliono, a mettere in discussione lo statuto degli sciolti, che le epifore confermano. E ora Monti. Negli Sciolti alChigisiaffaccianoalmeno quattro rime, due delle quali non prossime: 63-68 -etto, 78-85 -ore, 170-175 -ora, 206-216 -ia. E ricco è il contorno.Andandoinordine, a parte un’ovvia rima interna in -or all’inizio, un’altra sempreinternain-ura11-16, e poi quasi-rima al m. sguardo – scarso 7-8, momentaneo – sgomenta int. 25-27, consonanza fiso – nascoso 37-38, assonanza forte lunge – luce 39-41, consonanza chiome-sublime 50-52, letto – cheto 68-69 (perfetta per un settentrionale),quasi-rimaint. Insetti – fuggenti 72-74, gagliardo–scaltroint.93-94, rime int. lago : immago (come nella Vita solitaria…) 112-114 e sentimento : vento 119-123, consonanza lungi – cangi 164-165 e così via dicendo. I Pensieri d’amore mostranounacertariduzione, dovuta forse anche al fatto della divisione in parti, a volte brevi o brevissime. I: quasi-rimanovello – procelle 3-7 e così tregua – persegue 8-14, ma soprattutto al v. 20 unprocuraquiirrelatorimaa distanza con oscura di II 2. SempreinII:rimaalm.vôte: gote 7-12 rafforzata da notte 6,rimaint.Rio:io17-20.III: solo qualche assonanza, a partiredaimmota–ingombra 3-4. IV: quasi nulla di notevolesesiescludelarima ritmicastringere–misero1011. E quindi le consonanze int. ed est. Tratto – affetto e sento – estinto VI 2-3, 6-8, l’assonanzaforteoquasi-rima vento – percotendo VII 12- 18, l’assonanza spinta intanto: prostrato VIII 20-21 e ivi la rima interna questa : mesta (più questi) 27-30, l’assonanza-consonanza sventura – ancora – perduta IX 13-15-16, la quasi-rima identica int. Piante – pianto ivi 21-26, poi la forte assonanza continuata Tempo – immenso – lamento – silenzioX1-5,equistessola rima al m. Fato : scellerato 21-24 (ma la prima parola assuona anche leopardianamenteconfango), e non molto altro. E giocano anche, come negli Sciolti al Chigi, le ripercussioni orizzontali, come «da lei veloceecollevôltespalle»,e naturalmenteleripetizioni(ad es.«eparcheciglioaciglio,/ gote a gote congiunga» III 13-14; «Perdona… perdona…» IV 7-8; «… altri contenti: / Oh contenti…» V 18-19; «e dove, dove…» VI 1-2 ecc.). Gli altri sciolti montiani sembrano mostrare unafisionomiaanaloga. Altra la situazione e l’envergure dei Sepolcri. Finchéiltestoèmeditativo,o narrativo, le rime o effetti similaripuressendofrequenti tendono a collocarsi a distanza come altrettanti paletti che scandiscono il procedere del discorso, o dell’orazione poetica, e ne legano le sezioni: urne – future1-7(piùamore 11 che vaasuavoltaconmorte15); infinite:Dite14-25; viveint. due volte 26-32; mira – sospiro – natura 42-49-50; noi:buoialm.eacavallodi movimento 50-59; cantandovivande 54-71; vagolando : ramingando al m. 71-79; luttüoso : amoroso al m. 8490 (fine lassa), con cui poi pietose 92; impugnando : versandoalm.115-124;Sole : vïole 119-125, amore : tremore al m. 132-139 ecc. Piùrariinvece,equasimaiin forma di rima, i rintocchi vicini: ramingando : ululando, rima facile, 79-80; Luna-upupa 81-82, consonanza al m. sensiresponsi 96-98; quasi-rima eredi–cedri113-114;bella: terra 152-153; grande – temprando al m. 155-156 (e sangue 158): sfronda – grondi int., quest’ultimo in rima sempre int. con mondi 158-159-162 (e siano in un passo stilisticamente accusato)ecc. Quandoperòsiarrivaaun grandemomentoepico-lirico, il notturno düreriano della battaglia di Maratona (201 ss.), ecco che i procedimenti visti finora s’accumulano e intrecciano quasi in una geniale mimesi della fosca mischia.Intantoveleggiò202 riprende in rima int. il sacrò dell’annuncio; poi, a parte la rima int. prolungata in -ar e quella simile in -or 195-197, ecco l’altrettanto protratta al mezzo in -ea, 202 ss.; l’assonanza al m. scintillepire 203-205; e infine la chiusa, che andando a riutilizzare la quasi-rima al mezzo navigante – cozzanti (seguito da brandi) 201-204, presenta via via silenzi, campi, falangi, accorrenti, scalpitanti e finalmente la rima int. allo stesso verso, di particolare portata semantica, pianto : canto, con cui termina l’episodio[5]. E da questa foltissima vegetazione esce qualche ramo anche per l’episodiosuccessivo(«Felice te…»), eminentemente la rima accorrenti : venti 210213cuisiappoggiaverdiint. 214,quindilarimaint.in-ar ealtroancora. Terminato l’episodio di Ippolito le cose procedono piùomenocomevistoperla parte che precede l’evocazione di Maratona – ad esempio la rima gente : assente non è vicina, 240246, un’altra gerundiale è facile e neppur essa vicina, 251-256 ecc. Ma le cose vanno diversamente nel gran finale del Carme, altra sua puntaepico-lirica:secreti284 siagganciaallarima-ecoinete dei versi precedenti; splendidamente 286 rima, sia pure alla lontana, con santamente sempre dei versi cheprecedono,278,sihauna prolungata rima int. in -à a partire da narrerà 284; e quindi fatati-vate al m. nello stessov.,288,eastringerela serie, anche all’esterno, placandoecanto289,quante 290, gran e Oceano 291, pianti 292, santo e lacrimato 293, il secondo in rima int. con versato 294, umane295, parolaconclusivadelCarme. Qualche deduzione. Il Cesarotti ossianico è certamente quello che turba meno le acque placide degli sciolti, forse anche perché ‘traduce’ da prosa; e infatti nellasuaversionedall’Elegia del Gray[6] le cose cambiano sensibilmente: groppo diffonde – traendo – mondo in apertura, rime in -ombra 11-21,in-ade53-58,in-ente 73-82,in-orno 121-128, in anco177-184,rimealmezzo ecc. Nel Monti i fenomeni rimici e pararimici non sono inastrattomenofrequentiche inParinieinFoscolo.Forseè da notare la frequenza delle consonanze, in funzione rassodante e antimelodica (non è male dare un’occhiata al traduttore dell’Iliade, che alle assonanze ovviamente piùfrequentieaqualcherima alterna consonanze anche baciate come avremmo – sommo II 108-109, ricondusse – Ulisse III 413414,Allora–fiera IV 585 – 586 ecc.). La differenza con MontistanelfattocheParini e Foscolo, poeti più grandi, non usano quegli artifici soltanto in forma, per così dire, ornamentale e di variabile, ma anche e intensamente in forma espressiva, saturando di echi e grovigli fonici i momenti più‘lirici’,chedunqueanche da questo punto di vista spiccano sul rimanente. E forsesipuòdirecheFoscolo, per eccellenza ‘espressivo’, accentua i già stupefacenti effetti pariniani: fortissimo è ilcontrastofralealtretrattee quella sulla battaglia di Maratona o la finale, che fra l’altroammettonoravvicinate quellerimevereeproprieche in precedenza erano quasi solo a distanza, e comunque le inseriscono in un tessuto fonicamente densissimo e ‘ridotto’ che per così dire esaltaogniformante. Giunti agli sciolti leopardiani, si procederà ovviamente secondo la cronologia di composizione, senza riguardo – in linea di massima – alla collocazione voluta da Leopardi nell’ordine dei Canti. E si partirà ovviamente dagli Idilli:quinonsiinsisteràmai abbastanza sul significato dell’opposizione del loro metro, veicolo di libertà, flusso sentimentale e interiorizzazione, a quello, pur progressivamente ‘liberato’,delleCanzoni,sedi del mito e della storia, eventualmente dei doppi dell’io (da Simonide in poi), ma non del puro io esistenziale. Tuttavia non vanno trascurati gli incroci fra le due esperienze: perché selatecnicadelleCanzoniva pure ritenuta responsabile dell’intrusione – che documenteremo – di fenomeni rimici e pararimici negli sciolti degli Idilli; d’altra parte, e soprattutto, le prime ospitano per motivi di contenuto un testo in sciolti, l’Inno ai Patriarchi, sempre considerato da Leopardi ‘canzone’,eunacanzonevera e propria, l’Ultimo canto di Saffo, che nei diciotto versi dellesuestrofeospitaiprimi sedici sciolti, per chiudere comeincontrotempoconuna combinatio baciata di settenario-endecasillabo. Si puòdirechenelledueseriesi attuano processi di liberazione proporzionalmenteinversi. Naturalmentelabrevitàdei primi due idilli inibisce troppo sfoggio di rime. L’Infinito ne ha solo una, interna, grammaticale e non vicina, mirando 4 (in consonanza col precedente sedendo)–comparando11,e però si tratta di due parole intensamente tematiche: pure distante è la consonanza orizzonte-presente 3-12 (ma cfr.anchevento8,pianteint. 9 che a sua volta risponde a parte 2). Notoriamente il fenomeno più spiccante e originale è la quasi-rima doppia in sospensione «interminati / Spazi… sovrumani / Silenzi» 4-6, ma ancora va rilevato, specialmente nell’area nasale già emersa, l’ulteriore serpeggiamento «Sempre» – «Silenzi» – «pensier» – «silenzio» – «sovvien» – «Immensità» – «pensier». E Ambrosini[7] ha notato il dominio globale della sibilante s: come dire il fruscio dell’infinito. Il carattere totalizzante delle sonorità,franasaliesibilanti, èunaltroaspettodellagittata unicadelpensieropoetico. Più classicamente ma parimenti stretta Alla luna. Consonanza rammento – pianto 1-6, quasi-rima ricca rimirarti–rischiari3-5,rima int. antitetica graziosa – travagliosa1-8(mapassando per la quasi-rima con nebuloso 6), rima int. nella prima redazione vicina etate – passate 11-15, e qualcos’altro. Invece ha diverso carattere anche da questo punto di vista il Frammento XXXVII, scherzoso, dialogico e in assenza dell’io poetante: ma anch’esso probabilmente del 1819edapprimaappartenente agli Idilli. Due rime, stava : approssimava 3-7 e parea : stridea 6-11, più una interna di gerundi 15-17, e una altrettanto facile di infiniti di seconda 25-26, consonanza guisa – cosa 19-21, ed è in sostanza tutto; però ciò che più colpisce, ma in carattere coltono,sonoleepifore,cioè lenotetenute,diprato4-9-14 (il secondo int. ma in chiusa di periodo), luna sempre int. 3-6-14-22-27, stelle al m. nello stesso v. (botta e risposta, a gradino) 24; non per nulla il primo e l’ultimo v. finiscono con la parola sogno, che era quella del titolo originario. Qui dunque le ripetizioni sottolineano gli attanti principali del breve mimo. Un anno dopo, nella Sera del dì di festa – media per data ed estensione fra gli Idilli –, la tecnica esperita nell’Infinito e in Alla luna colpisce ancor più perché attuata su scala più larga e anche uniformemente distribuita. E si capisce, perchédituttalaseriequesta è la lirica in cui la presenza dell’ioèpiùforteedolorante («io doloroso, in veglia»). Dunque: rima int. Chiara : rara 1-6; vento – sentiero al m. 1-5; paromasia affaccio – affanno (da travaglio) al m. 12-14(ecfr.pianto16);rima prolungata onnipossente (seguitoduevoltedaspeme): fieramente al m. : accidente al m. : Bramosamente al m. (con spento 42) : similmente al m. (effetto di correzione) 13-28-33-41-46, l’ultimo in chiusa del testo; pianto – quanti 16-19 (preceduto nel verso da un altro quanti), e poiIntantoalm.–Quantoal m.–canto21-22-25;rimaint. Piacesti:resti19-22;passa– lascia al m. 29-30; fuggito : grido30-34;giorno–umano alm.–suono31-33;succede – accidente int. 32-33; fragorio : io al m. 36-42; oceano–ragiona(eposa)3738-39;posa(dacorrezione)– poscia, quasi-rima identica, 38-41ed’altrapartedoloroso al m. 42; spento – canto – Lontanando, tutti int. 42-4445; e altro ancora. È un tappeto tibetano tanto più lavorato se si considerano le molte ripetizioni di parole e sintassemi (anche in forma analoga al ritornello) che caratterizzano il Canto. E si possono notare rapidamente almeno altre due cose: il tracciato delle voci in (m)ente che costituisce come una spina dorsale fonica (e non solo) del testo; e il fatto che gli echi si moltiplicano, come in un crescendo di significanti affini, nel finale delCanto. Nei due Idilli successivi, più ampi e narrativi (e il secondo anche diviso in parti),ifenomeniinquestione decresconorispettoallequote della Sera, ma certo non quanto ci aspetteremmo. Il sogno: imposte – balcone al m.–sole–albore:amore12-6-7; stanza : sembianza : ricordanza tutte int. 3-10-12; leve – soave int. 4-5; riguardommi : lasciommi : Appressommi int. 6-8-11; pianto : quanto (due volte) – e sospirando 8-11-14; parea int.:credea(dacorrez.)9-15. Al contrario che nella Sera, qui è l’inizio ‘lirico’ a essere marcato, e fortemente. In seguitolapercentualescende: questo – vedesti 16-23; rima int.Dolor:cor37-39;detti– dilettaint.39-40;era:intera 40-43 (con cara, cfr. sotto, e tenerella42);altrarimafacile int.Pallor – cor – Dolor5961-68;amore–allora – sola –soccorra–conforta61-6467-69-71; altre rime int. o al m. stava : traballava 85-86, colei : miei 87-88, teneramente-finalmente (con menti int.) 87-91; giornoindarno-eterno int. 86-80-93; rima al m. sfortunato : fato : sconsolato (anzi «s. pianto») 90-94-97. Tra gli echi orizzontali citerò soprattutto «Diquellaspemechesotterra è spenta» 33. Rime e pararime si aumentano nuovamente nel finale, mentreciòchecaratterizzala parte centrale, oltre al loro rarefarsi, è la comparsa di rime identiche o meglio epifore, che di solito stanno con gli altri fenomeni in rapportotendenzialedimutua esclusione, come s’è visto su altriautori:cara37-42,e79, vecchiezza 52-54 (in opposizione a giovanezza), giorni65-71. La vita solitaria. Il primo movimento, il cui inizio si legachiaramenteaquellodel Sogno («chiusa stanza» vs «cieca stanza»), è unificato più che altro da assonanze (duediseguitosuàneiprimi quattro versi); s’aggiungano laquasi-rimaint.Gallinella– augelli 3-9, la rima al m. cadenti : ridenti 5-10 (rafforzata da Dolcemente 7) e l’altra ma lontana mura : natura 11-20 (più sciagure int. 19), la rima int. Pietà : Felicità 15-20, la quasi-rima quanto – sdegnando 16-18; s’aggiunga magari pioggia – piagge 1-10, e qualcos’altro. Densità notevole, ma ancor più lo è quella della straordinaria seconda lassa, sorta di controfigura dell’Infinito:«solitariaparte» 23 (e cfr. margine 24); parte –piante al m. 23-25; rima al m. lago : imago 24-27, arricchita da rialto al m. e incoronato 24-25; tranquilla int. – crolla int. (e foglia) – cicala – farfalla int. 27-2829-31; dipinge – lunge al m. 27-32;io: obblioalm.nello stessov.,34;Sedendoalm.– senso 35-36 (e cfr. silenzi 38 int.); né vanno trascurati il ritorno della parola-tema quiete 33-37 (la prima volta in fine v.) e la figura etimologica immoto – commova 35-37, con la seconda parola a sua volta apparentata a confonda 38, ultima del brano. È una disseminazione, su soli 16 versi, non meno che eccezionale. Va da sé che il seguito, come più narrativo o meditativo, e sottratto al dionisiaco, sia meno ricco, ma pur sempre più dell’atteso. Terza lassa: mio 40rimaalm.allalontanacon desio 49, e questo esternamente ancora con mio 53 ma soprattutto riprende la rima al m. citata in -io della lassa precedente; quindi volasti – scendesti al m. 3944,mano–seno al m. 41-44 (e scena int. 47), rima int. Speranza : danza 49-51 (e Balza int. 50), consonanza al m.vagabondo–soffermando 61-62,quasi-rimaalm.canto – estrano 66-68, ed è quasi tutto. Si può osservare che i ritorni fonici sono più frequenti nella parte iniziale dellalassa,echequi,a43-45, cade l’epifora al mezzo di tempo, quasi fossimo già nelle Ricordanze. Quarta lassa: rima int. Mattina : reina 72-75; false – salve – balze tutte int. 73-74-76, e ancor più paronomasia selvesalveint.71-74;rimaint.inor 74-79; core int. – occorre 83-85; rima int. in -endo 8889;rimealm.mura: spaura ibidem e ardenti : menti 9091; Infesto al m. – cospetto 91-92;rimaint.prolungatain -ar; rima al m. serena : lena 101-107(attraversoumanaal m. 103); verdi-seder-erbe (e sede 103) 105-106. A quanto pare,sihaun’intensificazione dei fenomeni nel finale (cfr. ancheleripetizioniumano,-i, -a 98 ss. e guardo-riguardi 98-103). E l’ultima parola della lassa e della lirica, l’irrelata avanza, si riallaccia alla stanza che ne termina il secondo verso, attraverso la già notata rima in -anza al centro. Così forse il core, altra parola irrelata ma pregnante dell’ultimo verso, chissà che non risvegli l’attacco della terza lassa, Amore,amore… e il relativo core 48 con cui questo rima al m. alla lontana. Se ciò è possibile, questo finale allora èdoppiamentemarcato. Inbaseaquantoaccennato più sopra, occorre esaminare l’Ultimo canto di Saffo. I strofa:quasi-rimaint.Notte– ignote 1-5; fato – insueto (dapprimailfemminile-a)al m.5-8;rimaarride:divide613; rima int. Polveroso : tenebroso, semanticamente ricca, 11-13 (e cfr. dilettose sempre int. 4, da desiate); falsa rima identica carro (e segue ancora carro) – capo 11-12; quasi-rima al m. profonde–sponda:onda1417-18. II: rima al m. manto : canto con frammezzo invano 19-26-29; cotesta (ma cfr. anchevastadacorrezione15) –addettaalm.20-24efenno – intendo int. 23-27; rima al m. vezzose : flessuose 25-34; rimaint.in-ati30-32(ecfr.ate36);mattutino–seno int. 29-33efaggi30cheanticipa la rima finale in -agge. Si noterà pure che la strofa è ricca di sdruccioli, non di radoequiposizionali.III:rima al m. di nefando 37 col Disdegnando della str. precedente, 35; torvo – volto (da correz.) 38-39; misfatto (anche questo da correz.) – disfiorato int. 41-42; Spande – arcano 2 volte – pianto – sembianze 2 volte 45 ss., e pianto al m. 47 rima con la combinatio finale; speme – amene al m. 49-51; virili – liraint.52-53.IV:rimaint.in -à 56-57; rima int. Ignudo : crudo 56-57 (con lungo 58); rima int. in -or 58-60 (da correz.)–63;indarno–vano (stessov.)–implacatoalm.– avaro59-63;rimaint.in-ato 60-62; sogno-ingegno 64-70; la tematica fanciullezza : vecchiezza int. 65-67; tante / sperate palme 68-69; da aggiungere Vivi – Visse entrambiainiziodiverso,6162. Come si vede, il bottino non è meno ricco che negli scioltiveriepropri. Due mesi dopo l’Ultimo canto (luglio 1822) Leopardi scrive una Canzone tutta in sciolti, l’Inno ai Patriarchi. Vediamo. I lassa: rima tematicacanto:pianto1-7(e cfr.Lodando3);quasi-rimaal m. padri–cari2-4;eterno– estremo, come poi in A se stesso,3-9(ecfr.pureetereo al m. 8); quasi-rima al m. armaro – parto 17-19; rima int. in -ato 19-21; in successione grembo-materno 20.II:padre–errante24-25; valli (da correz.) – colli 2732; rima int. errante : anelante 43-49, preceduta da sangue – nefande (da cruente) 39-41; quasi-rima al m. incesta – secreta 41-44; quasi-rima al m. venti – tetti 45-46 e poi ricetti al m. – inerti (da correz.) – imbelli 50-53-55; rima al m. lontana venti : menti 45-55 (e cfr. pentimento int. 48). III: mugghiante 57 che ripete anelante di II al m., 49 (ma cfr. anche natanti al m. 60); Scampi al m. – empi 59-65. IV: menti 78 al m. in quasirima con frequente 81. V: rima lontana cara : ignara 90-97; dilettosa 90 che fa rima interna seppure lontana col vezzosa della lassa precedente, 83. VI: rima int. Cura : natura 106-12; bosco – giorno – nostro 107-109- 110; quasi-rima al m. violate –ignorati (corr. da inesperti) 114-115 (e cfr. Scellerato 111); educa : ignuda nello stesso v. 116. Stante la maggiorlunghezza(unavolta e mezzo) rispetto all’Ultimo canto,ilbottinosembrameno ricco, anche in virtù di varie soluzioni ‘facili’ e della lontananza di varie rime, e soprattutto sembra che lo slancio decorativo dell’inizio si attenui sensibilmente nelle lassesuccessive. Le Ricordanze sono come èbennotogliuniciscioltidei Canti pisano-recanatesi (ivi compresis’intendeilPassero solitario e l’Imitazione): per certi aspetti si collegano agli Idilli più ampi, Sogno e Vita solitaria, e in genere ripropongono, ancor più diffuso, l’io esistenziale di quella serie. Ma è opportuno segnarne soprattutto la differenza,lunghezzaaparte, dagli altri Pisano-recanatesi. Perché se da un lato continuano la poetica della rimembranza di A Silvia, dall’altro però si differenziano nettamente dalle altre due modalità principali della serie: l’io spettatoreinpraesentia e poi giudice razionale, e l’espressione indiretta del sé attraverso allegoria e alter ego. È un flusso inarrestabile di sentimenti e sensazioni risvegliatidairicordi,ecome tale sollecita fortemente i fenomeni di cui ci stiamo occupando. I lassa: quasi-rima int. Paterno–albergo3-5;quasirimaalm.giardino–fine3-6; allora–zolla9-10;«Mirando il cielo, ed ascoltando il canto» 12 : sussurrando int. 15,ecfr.peraltroversovento 15 e poi tetto 17; rana – campagna 13; cipressi – immensi 16-19; lontano – arcani, arcana 21-23; quasirima identica int. Monti – mondi21-23;rimaalm.fato: cangiato (ultima parola della lassa) 25-27. È subito un’intensa caratterizzazione armonica. II: dannato al m. 29cherimaconl’ultimarima della lassa precedente e anticipa abbandonato al m. 38(dasolitario);rimainversa int. Strani – dottrina 31-33; segno – divengo – rendo – perdo 37-40-42-46; rima int. in -or 42-45 (e cfr. fiore in fine lassa, 49); rima derivativa int. Giorno : Soggiorno 46-48; diletto – questo 47. III: ora 50 (fine primo verso) che fa quasirima con fiore, ultima parola della lassa precedente, e cfr. anche terrori al m. 54; senta alm.edentro–sottentra(da correz.) – presente al m. – armentialm.:possente al m. 56-58-59-63-66; fianco – parlando int. : sibilando int. 65-66-69;queste–finestreal m. : celeste al m. 68-69-76; Mistero int. – intera – ammira (ultima parola della lassa) 72-73-76. IV: età 78 che rima con beltà alla fine della lassa che precede, mentresperanze,speranzedel primo verso richiama amante diIII,74;rimaint.in-ar7980; tempo – intendo 79-81; rimalontanafrutto:tutto8393, passando per oscuro 85; ripenso – dolente – Sento tutte int. 88-91-93; rime int. di futuri in -rà 96 ss.; rima int.mia:fia 97-98; rima int. in -ammi 96 ss.; certo : acerbo 99-101. V: contenti int.–lungamente(dacorrez.) – sedetti int. 105-106-107, poidolorosamenteinclausola solenne 114; rima al mezzo desio : mio 105-109 e int. ricca dolor : Malor 109-110; forse–fiore110-111;rimaal m. quasi identica spesso : stesso 113-117; rima int. Lamentai : cantai 116-118; poetando – canto : quando 115-118-121. VI: giovinezza (da correz.)-Vezzosi 120-121; giorni-intorno 120-123; primieramente 123, cfr. sopra; mondo – inchinando 126-129; lampo – tempo (da correz.) 131-134. VII: rima int. in -ar 137 ss.; finestra – deserta al m. 141-144; rima inversa odorati – vita int. 151-153;rimaint.Cor:amor 157-158; altra rima inversa mia – giammai 164-165; torna–giornoalm.164-166; amore–miroemira:sospiro 165-167-169-170; sento – sensiint.167-172. Vanotatoconforzachenel lungo testo i già imponenti effetti rimici e pararimici sono accompagnati, oltre che dalle consuete allitterazioni e armonizzazioni orizzontali («Viene il vento…» 50, «Delle torre del borgo era conforto» 51, «Dolce… dolor…» 58, «al tempo che l’ecerbo indegno / mistero delle cose…»), da tutta una seriediritorniverbalidivario tipo,eprimadituttodiparole ‘vuote’, il che mi pare non abbia uguale nei Canti, ed è tale da indurre continui parallelismi che sul piano lessicale o sintagmatico sono come l’equivalente dei fenomeni fonici registrati. «Quante… quante» 7; «E che… Che…» 19-20; «arcani… arcana…» 23; «Qui… Qui…» 38-41; «Senz(a) … senza» 39; «caro… più caro… più che…» 44-45; «Quella… queste… Quei…» 61-63; anche «indelibata, intera… inesperto» 73-75; «O speranze, speranze…» 77; «… sebben… sebben…» 8485; «E quando… quando…» 95-97; «Sospirar mi farà, farammi acerbo» 101 (qui come altrove, reduplicatio); «Passasti… passasti…» 149152 (e «passar» 150), e cfr. 159-160; «splendea, splendea» 154; «Quel… quel…» 155; la continua invocazione di Nerina, 157 ss.; «Se a feste… Se a radunanze… a radunanze, a feste…» 158-160; anafora di «Dico» 160-164-168; «Tu non… più, tu più non» 161; «Se torna… non torna… non torna» 162-164-165 ecc. È una fioritura impressionante, chenonacasosifapiùricca ancora nella lassa finale dedicata a Nerina, al cui nome infatti è diretta la serie più diffusa di ripetizioni del Carme. Questa costante di ampiezza inusuale, e forse soprattutto questa, che non pernullavaspessoatoccarei deittici di prossimità, ci dice dunque che siamo di fronte allaliricaincuipiùLeopardi si abbandona alla propria emotività,inunariscopertadi luoghi e persone eccitata dai ricordi: una lirica, piuttosto che ‘onniaccogliente’, onnipatetica, e perciò fonicamente e lessicalmente diffusiva. Nel cosiddetto ‘Ciclo di Aspasia’ hanno a differenza degli altri uno spiccato carattere narrativo (e copertamente o scopertamente autobiografico) due testi, ConsalvoeAspasia,edunque sono in sciolti che – si può anchedire–modernizzanola forma delle terzine dantesche del Primo amore. Partiamo dalConsalvo. I lassa: epifora su tempo 2-5; rima al m. sospirato : abbandonato : stato5-7-11(ecapo4,fianco al m. 10); lieto – detto – ripetutoint.15-16;rimaalm. costante:amante17-18;rima alm.solea:avea18-22;rima int. amor – timor 19-22, più amore23,ultimaparoladella lassa. II: rima al m. e poi perfettaSentendo:stringendo : rendo 26-28-31; dogliosamente al m. – prevenne–discende (in rima lontana con rende 34, da correzione) 37-41-43; rima int.Vedrò: udrò48-49;rima al m. lasciarmi : donarmi : vantarmi 50-51-53; quasirima int. semispento (da semivivo) – Eternamente 5456.III: atto 59 (primo verso) in rapporto con detto della precedente, 56; rima int. in ea 62-63; core – ardori (da correz.) 63-66 (e sospiro 69, pure da correz.); anni (da correz.) – affanno 68-71; quasi-rima int. Argomento – Dolcemente 69-70 (e cfr. amante int. 74). IV: quasirimaappariro – Elvira75-78 e poi epifora con altra Elvira 85 (collocata in fine verso concorrez.);rimaalm.tenea : battea 78-79; rima int. ancor : amor 82-87 (nelle vicinanzeamore e mortedue volte ciascuno); affetto – contento (da correz.) 92-94; rima int. sorte (da destin) : morte 99-100; quieto (da correz.) – sofferto 103-107; rimaint.in-ato109-112-114118, con l’accompagnamento di cotanto 111, patto 114, volando 116. V: epifora su giorno 125-127 (più altro giornoint.129esogno123). VI: sembiante al m. – «Quanto, deh quanto! 131133, quindi pianta 135, gelando136;rimaint.amor: cor:amor133-136-142:rime int. di -ar (più amaro) e -ir infinitivi,137-138e137-140; rima al m. Passato : dato 142-143; quasi-rima int. diletta (da correz.) – affetto 145-147. Con qualche maggiore accensione, Aspasia, conclusione e liquidazione del ‘Ciclo’, è sulla stessa linea, a cominciare dalla presenzadiepifore,sugiorno 9-13, come nel Consalvo, su fianco 18-28, su apparve 2633. Per il resto, I: lampeggia 3 – piaggia 11; accolta – dotta13-20;laseriefianco– sonanti–intanto – desiato – raggio – fianco – braccio – ululando 18 ss. e quando – porgendo int. 20-24. II: rima int. in -ar 37-43; ancora – incolpa44-47;rimaint.adira : inspira 47-50. III: stessa in rima al m. con essa di II, 5; Potesti int. – intensi – Movesti – concenti 63 ss.; ignora: «ad ora ad ora» 6773 (più adopra – ascolta – morta69-70);rimaint.in-or 68-75-77; quanto : tanto – spento 72-75-77 (e conoscente int. 82); vivi – Diva 74-78; adora – chiaro 80-82; rima int. beltà : già 81-86. IV: piegar 90 in rima int. con tollerar di III, 88; rimaint.in-or91-93-96-101; tremante – sommessamente int.95-98;seriesuatonica-o 97 ss., rima int. in -ar 101- 105; contento – senno int. – giacendo105-106-111;affetti –vendetta al m.; Orba int. – erba107-110. Come nel Consalvo, non è tanto la quantità degli echi fonicichefadifetto,quantola loro qualità: rime tronche, grammaticali, lontane ecc., e le epifore che segnalano la fuoruscita dalla fluidità lirica versolascansionenarrativa,e si consideri infatti l’uso che ne fa un grande narratore in versi come Parini. Ma il Canto si caratterizza per la quantità, che appare anche di ragione ossessiva, delle ripetizioni verbali: alle epifore citate si aggiungano fiorita – fiori – fiori 11-1215, beltà – bellezza 34-35, Vagheggia, -are 37-43, amorosa – amante – amar – ama–amanti39ss.,donna– donna 42-48, Che… che… che… e che… 64-65, amai duevolte71-78,vita–vivi– vita 72-74-79, Bella… bella 75, Narra… Narra 89-90, a cui… a cui 90-91, mio-mio 92-93,Me…medime95-96, Ogni… ogni… ogni 97 (più 100) ecc. Anche il nome Aspasia torna a distanza, I, 2 e III, 63-70: ma mentre il continuonominareNerinaera un abbandono a un ricordo incancellabile e dolce, come un non sapersi staccare dal nome che era la cosa, qui la ripresa fa transitare il nome della «donna» (così, anonimamente, a 34) dal ricordo della sua attrattiva sensuale alla sua dura condanna, di chi sta per (vuole) staccarsene («Or quell’Aspasia è morta / Che tanto amai»). Ma tornando al punto: da una parte la non invasivitàdegliechifonicifa scorrere un racconto che è anche la «vendetta» (cfr. 110),madall’altrailcontinuo ritorno di lessemi che riguardano lei, l’io, l’amore, la ritorsione configura appunto un’ossessione che l’andamento costruito e direzionale della storia non riesceavincere. Infine, rompendo per una volta la consecuzione cronologica, considero assieme il Pepoli (1826) e la Palinodia (1834), per molti versi affini, a partire dall’impostazione allocutivoepistolare. Prendendo la prima lassa del Pepoli, ecco cheoltreaqualcheassonanza baciataeaunarimaint.in-àr e a una sempre int. vero : nocchiero, 9-16-20 e 18-19, compare quasi prevedibilmente un’epifora, suvita 8-15 (la parola anche all’interno, tematicamente, 2 e 17); lontana la quasi-rima periglio – famiglia 26-35; altra epifora su mano 44-55, supportatadainvano58egià da manto 52. Quasi nient’altro, e le lasse successive mostrano anche meno. Da citare semmai a cavallodilassaindarno 86 – fraterno 89, la rima perde : verde 112-116, e piante – canto – piagge 126-130-131; anche l’ultima lassa si lega alla penultima, ma mediante la rima int. facile in -àr. Pochissimoaltro.Quantoalla Palinodia, tastiamo tre lasse. I: rima int. in -ài con errai due volte 1 ss.; rima al m. odorato:fato:onorato6-1114 (e prima beata 5, poi gelatialm.16);rimaint.inor 17-23; epifora su vidi, poi ripetuto all’int. a 28, 20-24; rimaint.studi:virtudi26-27; rima al m. ansando : meditando 31-35 (più vedendo 34 e Stupende int. 27,cheperaltroversovaalla lontana con Profondamente 36); qualche assonanza, tra cuiquellaanchesemanticadi 18-19,rifulse–luce.IVlassa, dove si raccoglie poco: qualcheassonanzaprossimae ricca (ad es. repugnanti – parti 100-101, innanzi – panni 108-111, fabbri – leggiadri 112-115), e le quasi-rime tappeti – letti int. 116-118 e Certamente – appartamenti al m. 116-119; rima al m. identica su dischiuso 126-127 e int. su vie 130-132. E ora l’ultima lassa:segno,primov.,260,fa rima al m. con pegno della lassa anteriore; ciel e sfavilla 263annuncianodonzelle264, velli 267, favellare 276, ville 277;comespessorimeint.in -àe-àr;quasi-rimaalm.vola – prole 265-267 (e prole si ripete a 275) ed Eletta – aspetti 274-275; quasi-rima sicuro – spauri 270-273; consonanzaint.Ridi–cittadi 275-277, e qualcos’altro. Su unospaziodiventiversi,non èpochissimo. Proviamo, in conclusione, a segnare o riprendere qualche traccia generale. Anzitutto: la sollecitazione fonica degli sciolti leopardiani viene dopo – a trascurare esempi più lontani – quella imponente di varie zone del Giorno e dei Sepolcri, ma si ha l’impressione che rispetto ai momentipiùaccesidell’unoe degli altri Leopardi alleggeriscaalquantoe,come dire, ‘nasconda’ di più. Sfolgora anche in questo la straordinaria personalità tecnica del poeta, o diciamo meglio il suo orecchio, una tecnicamaiostentataequindi mai decorativa, ma sempre sottomessa al messaggio. Anche negli sciolti il messaggio è detto con un continuo – ma per lo più segreto – sommovimento o sollecitazione dei significanti che a guardar bene non sono altro che una manifestazione di quella vitalità che per il poeta era l’unico contrapposto al male di vivere e al nichilismo del pensiero, e nella poesia nasceva dall’autore e si comunicava al lettore con la suaenergia,qualichefossero i contenuti, anche i più negativi, del testo. Ed è interessante commentare un aspetto che risulta dai dati offerti, e cioè che spesso le concordanze foniche provengono da correzioni (il fenomenoinversoèpiùunico che raro): eloquente in particolare il caso del Consalvo, che senza il numero più alto del solito di interventiintalsensosarebbe stato piuttosto nudo. Si può anche dire che l’animazione fonica degli sciolti avviene conglistessimezziconcuiè realizzata la corrosione metrica nelle Canzoni libere, e già nelle Canzoni ‘tradizionali’stesseinquanto si liberano dagli schemi usualienecreanoicompensi, o arricchimenti. Quello dell’Ultimo canto di Saffo è qualcosadipiùdiunepisodio particolare, ma ci suggerisce cheneltotaledeiCanti,come mostrano i nostri spogli, Canzoni e sciolti, scritti su due tavoli diversi, da una parte si oppongono ma dall’altra si incrociano e si regalanopiùdiqualcosa. Già utilizzati nelle Traduzionipoetiche,seidelle quali,daMosco,sono‘Idilli’ in sciolti, come anche Le rimembranze del ’16[8], in quellichesarannoiCantigli sciolti prendono posto subito negliIdillidel’19equindiin tuttalaserie:edèinteressante che quello poi confinato tra i Frammenti (XXXXVII, Odi, Melisso), e di tono tutt’altro rispetto ai compagni, abbia anche per i fenomeni in questioneunafisionomiacosì differente. Fra i cinque Idilli canonici spicca per animazione dei significanti La sera del dì di festa, dove pathos e personalismo esistenziale sono più forti; e sono più o meno le ragioni per cui si caratterizzano alla stessa maniera la seconda lassadellaVitasolitariaepoi – pariteticamente su tutta l’ampia superficie – le Ricordanze, più diretto erede fra i Canti pisano-recanatesi degli Idilli ed espressione, con un flusso quasi infinito, del patetico e del ‘sentimentale’ delle istanze memoriali. Ma intanto la disseminazione dei significanti diventa molto meno sensibile nell’occasionaleedidascalico Pepoli;epoiperaltreragioni nei due sciolti dei Canti fiorentini, Consalvo e Aspasia, dove la concentrazione lirica cede a un andamento fondamentalmente narrativo, magari anche disperso (e il mutamento è segnato fra l’altro dall’instaurarsi di epifore in luogo di rime o pararime); e ancora e ovviamente nella sequenza didascalica e meditativa e satirica della Palinodia, rappresentazione e critica stridente del moderno che richiede, come si vede bene dal lessico, non omogeneità maplurilinguismo,senonsia il sarcasmo stesso a eccitare la rispondenza dei significanti. Grosso modo, si può dire in generale che la disseminazione fonica è proporzionale al grado di ‘lirismo’ e passionalità del testoinoggetto. Ma c’è un’altra correlazione evidente, che non è più col tono complessivodeltestomacon le sue sezioni. Dagli spogli effettuati risulta chiaro che tendenzialmente (o quasi sempre) – e anche in un regime non accentuato del fenomeno – rime e pararime siinfittiscononegliattacchie delle chiuse dei testi, fungendo,comegiàavveniva particolarmente in Parini, da loro ‘segnale’, come una carica e scarica elettriche. Infine merita attenzione il fatto che rime e pararime tendano a situarsi, piuttosto che in fine di verso, all’interno o al mezzo. Certamente è in gioco la tendenza di Leopardi, poeta sempre segreto, a nascondere ed ovattare questi fenomeni anzichéesporli–chesarebbe anche una violazione troppo esplicita del genere metrico deglisciolti.Maandràtenuto conto di un altro fattore, e cioè dell’abitudine di Leopardi, poeta dell’inarcatura continua, a iniziare o chiudere periodo o fraseancorpiùall’internoche allafinedelverso,sicchénon è più questa ma l’interno a calamitare le rispondenze foniche. [1] Nell’assieme dei testi che esamineremotral’altro,conl’eccezione diParini,mancanoquasiassolutamente le uscite sdrucciole e, se non ho visto male,assolutamenteletronche. [2] Dal Muratori al Cesarotti, vol. IV, a cura di E. Bigi, Milano-Napoli, Ricciardi,1960,pp.87-269. [3] V. Monti, Opere, a cura di M. Valgimigli e C. Muscetta, MilanoNapoli,Ricciardi,1953. [4] L’unica che vedo è però al mezzo, Mg 422-423, e cfr. anche la celebre aita aita : impietosita, ibidem 669-671. [5] Altrove (Attraverso la poesia italiana. Analisi di testi esemplari, Roma,Carocci,2008,p.123)honotato, oltrealmagisterosintatticodelbrano,il trattoanchegenialedelleparoleinfine verso tutte plurali con l’eccezione del versod’avvioedelfinale,placante. [6] Dal Muratori al Cesarotti, cit., pp.270-275. [7] R. Ambrosini, Per un’analisi linguistica dell’«Infinito», in «Linguistica e letteratura», VIII, 1983, pp.65-80. [8] Cfr. ad es., la versione del secondodell’Eneide,dicuihospogliato i primi 312 vv.: rima al m. Infando : miserando : ragionando 2-5-11, più pianto 10 e persuadendo al m. 13; quasi-rima infine – divina 18-20; id. stanchi: fianco 19-26; epifora su lido 33-39; rima e quasi-rima gittasse – ardesse – forasse 52-54; epifora con poliptoto occulte-occulta 53-63 (e di nuovoocculte 80); quasi-rima fianco – inganno54-61ecc.Latecnicaèpiùche esplorata, ma non certo al livello degli scioltideiCanti,ecosìsidicaancheper leversionidaMosco. VIII Strutturefinie costruzionenella Seradeldìdifesta LaSeradeldìdifestapresenta una disseminazione di rime e pararime.Imotividelcontrasto tematico si alternano lungo tuttoilCanto,quasirievocando le forme del fugato musicale. La Sera, che pure non ha mai goduto di una grande fama presso la critica idealistica, è uno dei componimenti in cui emerge maggiormente l'attenzione per la costruzione del componimento del Leopardi. Scritta probabilmente nella primavera del 1820, come si ricaverebbe dai riscontri tematicisottocitati.Unasola rima, e non vicina né speciale, pianto : canto 1625, appoggiata da quanti 19, mapiùdiunainterna,chiara :Rara1-6(cfr.ancheAppare sempre a inizio verso 12), luna : nessuna 3-9 (con notturna6),Cura:natura9- 13, piacesti : resti 19-22, riede:succede(conaccidente 33) 26-32, Intanto : quanto : canto al mezzo 21-22-25, e parecchie assonanze, consonanze e quasi-rime per lo più interne e al mezzo, vento – sentiero 1-5, tace – traluce5-6,altro–pianto1516, verde – riede 20-22, passa–lascia 29-30 (questa, secondo un’ipotesi poco plausibiledell’Antognoni,per evitare una rima perfetta passa : *lassa)[1], fuggito – grido – fragorio (a sua volta in rima al m. con io 42) 3034-36, giorno – suono – oceano 31-33-37, posa – poscia – doloroso 33-41-42, spento-canto-Lontanando 4244-45 ecc. Tra queste è particolarmente notevole affaccio – affanno al m. 1214(lasecondaparolacorretta da un precedente travaglio e appoggiata anche a pianto 16).Ecfr.sottoperlevociin -(m)ente. Anche se gli sciolti leopardiani sono sempre attraversati da rime e pararime, la disseminazione che si ha in questo Canto è impressionante, e forse va considerata omologa ai fenomeni di eco e ripresa tematicieverbalidicuisotto. Endecasillabi entro gli endecasillabi appaiono almeno a 4-5, 23-24. Gli enjambementssonomenofitti che nel precedente Infinito, ma sono comunque molte le frasioiperiodichescattanoa metà verso, come subito a 4 (e cfr. oltre). Particolarmente numerosi gli endecasillabi di x-6a-10a, veloci e con un largo spazio atono nel secondo emistichio, dunque funzionali al ‘canto’, anche sopra le medie leopardiane (diciannove su quarantasei versi,eseidiseguitoa35-40; cfr. in particolare «E l’antica natura onnipossente» 13)[2]. Come sempre negli Idilli (un po’ meno nei Canti pisanorecanatesi)ildiscorsopoetico leopardiano procede attraverso un continuo ‘legato’: dei suoi quarantasei versi due in tutto (6 e 44) contengono solo scontri consonantici (ma il primo è finemente armonizzato: «Rara traluce la notturna lampa»), gli altri almeno una sinalefe, e fino a tre già a partire dall’incipit, e addiritturaaquattroin2,23e 33. Ne consegue, ed è ancor più interessante, che tutte le non poche volte che una nuova frase s’apre al centro del verso, comincia quasi sempre con vocale e di conseguenza si unisce alla fine della frase precedente mediantesinalefe:adesempio «Serena ogni montagna. O donna mia…» 4, «Tu dormi: ioquestociel…»11,«Chemi fece all’affanno. A te la speme…» 14 ecc.[3]. Unica eccezione,sevedobene,20. Nel lessico può essere indicata come elemento unificatore del Canto l’inconsueta (a quest’epoca) frequenza di polisillabi non comuni in -ente, -mente, col loro potenziale ‘infinitivo’ (cfr. specialmente Zib. 17441745), e ora raziocinanti ora intensamenteesistenziali,che finiscono per agire come armonici successivi del testo: onnipossente 13 (prodotto di correzione: un solo altro esempioneiCanti,ecfr.Zib. 3746), accasato fra voci in eme, -emme; fieramente 28 (hapax); accidente 33 (compare nei Paralipomeni, ma mai nei Canti); bramosamente 41 (altro hapax, e adiacente a «doloroso»), con spento pure all’interno 42; similmente 46 (hapax). Queste parole solenni hanno tanto più spicco perché cadono in un Canto che sia nell’estatico largo iniziale sia nella rappresentazionediundolore selvaggiopoggiadiregola,un po’ come avveniva nell’Infinito, sulle catene di bisillabi(«Dolceechiaraèla notte e senza vento», «Mi getto,egrido,efremo»ecc.). Qui pure comunque Leopardi costruisce il Canto con un tessuto lessicale specifico, ma nello stesso tempo per nulla accusato: ai lemmi appena elencati si aggiungano traluce 6 (solo ente nei Paralipomeni, e si osservi l’effetto d’eco con tace 5), lampa ibidem (cfr. Zib. 1066; una sola altra attestazione nei Canti), agevole 7 (solo un’altra attestazione nei Frammenti finali), solenne 17 (un solo altro esempio nella raccolta), trastulliibidem(unsoloaltro esempio nei Canti), fragorio 36 (altrove meno cosmicamente e meno fonosimbolicamente fragore), lontanare 45 (già nel solo Appressamento della morte) che riprende l’altro infinitivo di lontan 3 (su parole come lontano, «poeticissime e piacevoliperchédestanoidee vaste, e indefinite, e non determinabili e confuse» cfr. Zib. 1789; per ulteriori distinzioni cfr. ibidem 20532054). A questo lessico si accompagnanonellasintassii polisindeti così tipici degli Idilli, fin dall’estatico verso iniziale e poi a 2-3, 23 ecc., ma che qui vanno piuttosto assieme all’affanno delle ripetizioniverbaliacontattoe ai relativi sbalzi o ristagni emotivi: speme – speme 1415, quanti – quanti 19, piacesti – Piacquero 19-20, Oh – Ahi 23-24, festivo – festivo 31, Or dov’è – or dov’è 33-34 ecc. Alla specificità generale del lessico del Canto va poi aggiunta quella che caratterizza in opposizione l’inizio, vv. 1-9, e il seguito. Da una parte, dove sono di scenailpaesaggiolunareela donna (o possiamo dire la donna-luna?), dominano i lessemi e sintassemi che indicano coralmente pace e serenità: «senza vento» 1, «queta» 2, «Riposa» 3 nella redazione iniziale (poi «Posa»), «Serena» 4, «tace» 5, «agevol» 7, «chete» (che ripetendo sia pure con variazione 2 sottolinea l’appartenenza della donna al regno della serenità della natura), «e non ti morde / Curanessuna»8-9. Nella più ampia sezione successiva, invece, dove si esprime e si dibatte l’io dolorante, non si contano le sottolineature aggressive e disfemiche, drammatizzate dalle interiezioni e dalle esclamazioni o interrogazioni: «morde» e «Cura» (alla latina) 9, «Quanta piaga m’apristi» 10, «affanno» 14, «Nego» 15, «pianto» 16 anche rilevato dalla rima, «per terra / Mi getto, e grido, e fremo» 23 (notare sempre le virgole isolanti; per il tutto non bisogna pensare a convergenza col Romanticismo, ma all’oppostoconleespressioni veementi del dolore negli antichi,dicuipiùdiunavolta nello Zibaldone, e con immaginisimili:76ss.,24342435, 4156, 4243), «orrendi» ibidem, «fieramente mi si stringe il core» 28, «accidente» 33, «doloroso» 42, «mi stringeva il core», chiusa, 46 ecc. E anche in questi casi, si noti, senza attingereaunlessicosuperbo eraro. Mediana per data nei cinqueIdilli(prescindendoda Il sogno, poi intitolato Lo spavento notturno, che dapprima faceva parte della serie, poi è emigrato come XXXVII dei Frammenti), la Seraloèancheperestensione eperlatransizioneinternada uno stile contemplativo ad uno elegiaco e narrativo; e come qua e là riprende l’Infinito e Alla luna (cfr. subitosotto)cosìdàqualcosa aidueIdillisuccessivi,cfr.in particolare,conPeruzzi[4],11- 13 nella prima stesura e Vita solitaria 52-69. Il punto è comunquechelaSeranonva assolutamente misurata sulla sublime o deliziosa e compatta brevitas dei due Idilli del ’19, accusandone l’eterogeneità tonale e la mancanzadiunità(purtroppo qualcuno è arrivato perfino a definirla un «Infinito contraffatto da un commento inopportuno»!). Il fatto è anzitutto che qui si passa, come ha fissato benissimo Blasucci, dall’io metafisico dell’Infinito e da quello contemplante di Alla luna, a un io ‘singolare’ e sofferente, come mostra subito la frequenza delle interiezioni e delle disarmate interrogazioni consecutive, con un ductus anche per Leopardi estremamente mosso e libero dalle costrizioniversali(ilrapporto tra i versi che iniziano dopo inarcatura e quelli che iniziano dopo pausa di fine versoèdi34a11!),einoltre tendenzialmente franto in periodi concisi o brevissimi (16 su 46 versi), cfr. in particolare22-23,30-33. Donde il suo carattere di resa dei conti poetica di stati esistenziali (ma anche estatici)diffusamentedescritti intestigeneralmente‘privati’ anteriori o contemporanei: Ricordi d’infanzia e di adolescenza, p. 1190 Damiani; secondo Idillio da Mosco29-31;Appressamento della morte 13-15; Le rimembranze1-3;Discorsodi un italiano sopra la poesia romantica, p. 60 Besomi et al., con citazione di Iliade VIII553ss.checertohadato qualcosaall’iniziodellaSera: «Sì come quando graziosi in cielo / Rifulgon gli astri intornodellaluna,/El’aereè senza vento, e si discopre / Ogni cima de’ monti…» (e cfr.anchePetrarca,Tr.Morte I 166 ss.: «senza venti… posar»); Zib. 36, 50-51: «Dolormionelsentireatarda notte seguente al giorno di qualche festa il canto notturno de’ villani passeggeri. Infinità del passato che mi veniva in mente, ripensando ai Romani cosìcadutidopotantoromore ecc.», ibidem 398: «io mi getto e mi ravvolgo per terra…»,515-518:«osservate che forse la massima parte delle immagini e sensazioni indefinite che noi proviamo pure dopo la fanciullezza e nel resto della vita, non sono altro che una rimembranza della fanciullezza ecc.», 529, 718-720; lettera al Giordani del 6 marzo 1820, Epist.,ed. Brioschi e Landi, num. 287: «… poche sere addietro, prima di coricarmi, aperta la finestra della mia stanza, e vedendo un cielo puro e un bel raggio di luna…», e allo stesso, 24 aprile del medesimo anno, Epist., num. 298: «Io mi getto e mi ravvolgo per terra, domandandomi quanto mi resta ancora a vivere»; in seguito cfr. soprattutto, per il fascino del canto lontano di notte, Zib. 1928-29, 4293; e fra i testi altrui si ricordino con Binni, anche qui, soprattutto i Canti di Ossian (motivo dell’ubi sunt, quello delcantoches’allontana…). Ma non mancano echi, formali e tematici, del recentissimo e istituzionale Infinito: cfr. i rispettivi attacchi:«Sempre caro mi fu quest’ermo colle / E questa siepe…»e«Dolceechiaraè la notte e senza vento, / E quetasovra…», anche con la stessa accentazione e distribuzione per bisillabi, il vento parimenti in fine verso ecc., nonché ovviamente il passaggio dal piano spaziale al temporale con l’identico richiamo alle «morte stagioni»,ecfr.perentrambii testi Zib. 50-51 cit. poco sopra. Con Alla luna c’è invece, meno decisivamente, soprattutto qualche coincidenza di vocabolario (pianto in fine verso, travagliosa-doloroso in analogo contesto, affanno, etate ecc., e d’altra parte il verso iniziale analogo per contenuto e terminante come quello della Sera con una voce in -ento, mentre sono similari i rispettivi vv. 7-8 e 15-16). Per situare poi il carme in una sensibilità d’epoca, basterà citare un brano di diario del fratello in musica di Leopardi, Chopin: «È già notte tarda. E non ho voglia di dormire; non so cosa mi manca, e ho già più divent’anni»[5].Eanzisipuò risalirediparecchidecenni,a un passo del Saggio sulla pittura di Diderot: «E se ne [di un torrente] sento lo strepito in lontananza, senza vederlo, mi accadrà di dire: “Così sono passati quei flagelli così famosi nella storia: il mondo resta, e tutte leloroimpresesisonoormai dissipate in un vano rumore che riesce solo a farmi fantasticare”»[6]. Diversamente dall’Infinito edaAllalunala Seraappare fondata su contrasti tonali, tenendo pure presente che la contemplazione lirica si fa essa stessa tramite di infelicità e che, come ha notato acutamente la Muñiz, qui come già nell’Ultimo canto di Saffo «la bellezza è per se stessa – in quanto silenzio insondabile, ignoranza e indifferenza dell’inanimato–ilsegnoela forma canonica dell’esclusione», e cfr. anche Girardi, p. 892 (cfr. del resto il vero e proprio sviluppo di Zib. 718-720, 5 marzo 1821: «Egli sente subito e continuamentechequelbello, quellacosach’egliammiraed ama e sente, non gli appartiene. Egli prova quello stessodolorechesiprovanel considerare o nel vedere l’amata nelle braccia di un altro, o innamorata di un altro,edeltuttononcurantedi voi. Egli sente quasi che il bello e la natura non è fatta per lui… Egli insomma si vedeeconosceesclusosenza speranza…»). Tali contrasti sono spesso veicolati dalla tecnica dell’‘improvviso’: «… O donna mia…» 4, «io…», senza accompagnamento di congiunzioni,11,«…Intanto iochieggo…»21,«Ohgiorni orrendi…»23,«…Ahiperla via…» 24 (sobbalzo acustico), «… Ecco è fuggito…» 30 (cfr. ad es. All’Italia 127, Sopra il monumento di Dante 150, AllasorellaPaolina95e97), che a sua volta trae ulteriore efficacia dal fatto che questi improvvisi prendono inizio non dall’attacco ma dal centrodelverso,squilibrando il rapporto fra discorso e metro. Ed entrambe le situazioni sono fortemente confermate dalla redazione primitiva dell’incipit, tanto inferiore poeticamente alla successivaquantotonalmente e strutturalmente significativa:«Oimè,chiaraè la notte e senza vento» (cfr. «Oimè, quante ferite…» di All’Italia8,confunzionenon troppo differente). Sarebbe stato(Contini)l’unicocasodi attacco interiettivo dei Canti, paragonabilesolamente,maa iniziodilassaenonassoluto, aquestaaperturadelPassero solitario: «Oimè, quanto somiglia…», dove valeva pure a compattare immediatamente purezza della natura e dolore personale. La mirabile correzione in Dolce e (sorta di ysteron proteron: Peruzzi; e la notte è come sentita prima di esser vista: G. De Robertis) non ha solo creato unodeiversipiùaltiesoffici della lirica universale, ma nella logica contrastiva dell’idillio ha determinato il passaggio, oltre che dal soggettivo all’oggettivo, dall’esplicito all’implicito e dall’immediato al differito. Ne risulta in particolare l’unico attacco paesistico dei Canti (troppo diversa è la prima lassa del Tramonto della luna) che non sia evocato per allocuzione o comunqueinpresenzadell’io ma si distenda nella sua pura essenza, bello[7]. metonimia del Resta naturalmente fondamentale che quella geniale correzione aggiunge un elemento – e nella posizione forte dell’attacco – al carattere della descrizione, checomeètipicodiLeopardi (cfr. A Silvia, la Quiete, il Sabato…) non è globale o riassuntivo, ma distributivo: tre qualificativi per la notte; non solo i tetti ma anche gli orti; non le montagne ma – frutto della correzione di due versi in cui figuravano appunto «le montagne» – «ogni montagna», anche con legato fonico (eccellente la chiosa di De Robertis sr.: «tutte cioè e ognuna… Le vedi ad una ad una, e le abbracci con lo sguardo»); «ogni sentiero» (quando è il caso Leopardi non teme affatto la ripetizione!); e lo stesso «Rara traluce…» (cfr. con La Penna Virgilio, Aen. IX 189-190: «lumina rara micant… silent late loca», e anche Aen., IX 383 e 507509[8], ed entro Leopardi il successivo«Aure,lenubiela titania lampa», Alla Primavera 41). Inoltre l’inserzionedi Dolcerafforza l’assetto aggettivale, qualificativodelladescrizione iniziale, contrapposta anche inciòalseguito,poverissimo di aggettivi e invece fondato, come s’addice a uno psicodramma tragico, sugli incontri verbo-sostantivo («piaga»–«apristi»,«speme» – «nego» – «speme», «brillin»–«pianto»ecc.). È l’occasione per accennare ad alcune altre correzioni di questo Canto moltolavorato.Ilmovimento è in primo luogo nel senso dell’attenuazione classica: travaglio 14 > affanno (per gli acquisti fonici cfr. sopra); vestigio > quasi orma; si travolge(iltempo)32>sene porta; slontanando 45 > lontanando; o dell’indeterminazione, che è anche portare gli eventi e il compianto personali su un piano universale: eliminazione di da quand’io nacqui 11 e di Non ebbi nè sperainèmerto12,passaggio daFindaqueglianni46aAl modo istesso e poi a (Pur) Già similmente, e anche Questo canto > Un 44, mentre a 42 è contratta una coppia aggettivale, per di più allitterante, doloroso e desto > doloroso, in veglia. Una solaeliminazione,dicheto38 (v. 2 e soprattutto 8), può essere senz’altro assegnata a gustodellavariatio.Quantoa 3, del passaggio da «La luna si riposa» a «Posa la luna» saràmagaricausaefficienteil riposo di 18, ma il fatto è anche che l’umanizzazione della luna creata dalla prima lezione costituiva eccezione alla sublime oggettività descrittiva della sequenza quale risulta con le correzioni: come l’Oimè d’avvio contrapponeva esplicitamente e subito l’infelicità personale alla placidità impersonale del paesaggio, così riposa opponeva implicitamente quella quiete alla assenza di ‘riposo’ dell’io poetico. In genereconvienesempretener presentechemoltecorrezioni leopardiane dovute in apparenza al solo gusto della variatio,inrealtàsonomosse anche, o soprattutto, da esigenze di precisione semantica, evidenza (enárgheia), proprietà nel contesto.Qualcosadianalogo dipotràdireperl’evoluzione del titolo stesso, da «… del giornofestivo»a«…deldìdi festa» (il sintagma genitivale è simile in Sabato 7): la ragione più vistosa è naturalmente la presenza del doppiodìfestivo31e41(più unaltrofestivosemprea41): ma forse Leopardi ha anche voluto evitare (come ha ipotizzato Marati)[9] nell’evidenza del titolo il novenarioisoritmicodi2a-5a8a già sgradito a Dante? Un’occhiataaititolideiCanti mostra che: o non sono assimilabili a versi, o sono endecasillabi in due casi (Soprailritrattodiunabella donna – considerando il rimanente sottotitolo – e La ginestra o il fiore del deserto),settenariinaltri,ein altri e più, ma poco significativamente, quinari, altre sei volte ottonari (Ultimo canto di Saffo, Il passero solitario, La vita solitaria, Il sabato del villaggio, Il pensiero dominante, Il tramonto della luna), mentre due sono sì novenari, ma non isoritmici (A un vincitore nel pallonee La quiete dopo la tempesta). Esipotrebbeancheosservare che festa, che diventerà parola-temaneiCantipisanorecanatesi, emana un riverbero sui sentimenti del soggetto che a festivo, calendariale,nonappartiene. Ma come funziona la struttura della Sera? Fra le varie suddivisioni proposte (Straccali, Santagata, Marati ecc.) la più semplice e fondata mi appare quella di Peruzzi,indueparti:I=1-24; II = 24-46 (dunque proprio equipollenti), con la seconda asuavoltadivisaindueparti, IIa = 24-39, IIb = 40-46. Occorre osservare con attenzione come i motivi che costituiscono il contrasto tematico fondamentale si replichino e alternino senza sostasututtalasuperficiedel Canto, spesso attraversando i confini fra le sezioni, in una forma che può ricordare per certi aspetti il fugato musicale. L’impianto tematico così essenziale è arricchitoecomplicatoanche o soprattutto per questa via. Semplificando: la notte si affaccia a 1-4, poi a 5-6, poi ancora a 26, quindi a 43 (e qui la correzione di «muta notte» in tarda, contro il principio della variatio, rafforzalasimilaritàcon26); ladonnaevocatasipresentaa 4 e in atto di riposo a 7-8, quindidinuovoa11(ecfr.il passodegli Appuntie ricordi cit. da D. De Robertis), mentreilmotivodelripososi allarga a riposo di tutti a 3839;a7-11sihaanaforadiTu dormi (con cui in sogno 19), col secondo elemento proveniente da correzione, nonsolo,malapresentazione del dolore dell’io s’inserisce entro questa: «Quanta piaga…»; l’indifferenza della donna per chi scrive è enunciata a 8-10, ripresa a 18-21 per poi allargarsi a indifferenza generale della naturaodeltempoa32ss.;il dolore presente dell’io è sbozzato a 10, poi a 13-14, poi a 23-24 per tornare anch’esso in seguito; il motivo del canto udito in lontananza è delineato a 24- 27[10] per replicarsi a 44-45 (altrabellaosservazionedella Muñiz: il dolore passato prefigura quello presente e il ricordo li contiene entrambi come un’immagine en abîme); quello della caducità della festa, 30-32, incastrato nel motivo più vasto della caducità delle grandezze del passato e del tutto (29-37) si ripresenta come tale a 42-43; con più evidenza strutturale, lasezioneIIbs’apreechiude colrichiamoall’infanzia. Altrosipotrebbeosservare nel dettaglio (per es. la doppia opposizione pronominale «Tu dormi… m’apristi»–«Tudormi:io…» 7-11, ma per il tutto vanno tenutipresentisoprattuttodue punti: che l’alternanza dei motivièlaformadrammatica del contrasto tematico – ancora come nell’Ultimo canto di Saffo – fra contemplazioni, visive e auditive, minimalmente liberatrici, e violente, bruciantiespressionididolore ed esclusione (già l’affacciarsi alla finestra in certosensoloè);echequasi sempreilritornodeimotiviè marcatooarricchitodaritorni verbali. Una scelta: «chete stanze» 8 (dapprima, senza l’effetto indeterminativo del plurale, «cheta stanza») riprende «E queta… posa la luna»2-3;«Eccoèfuggito/Il dìfestivo,edalfestivo…»31 vs «Questo dì fu solenne»» 17–ecfr.«ildìfestivoecc.» 41;«Tuttoepaceesilenzioe tuttoposa / Il mondo» 38-38 con lo stesso verbo di «Posa laluna…»3(ecfr.sopra);«E fieramente mi si stringe il core» 28 che torna quasi uguale nel verso finale, «Già similmente mi stringeva il core» (e «similmente» è esplicito raccordo logico col verso riecheggiato); l’inizio, «Dolce e chiara è la notte e senzavento,/Equetasovrai tetti e in mezzo agli orti / Posalalunaedilontanrivela / Serena ogni montagna. O donna mia, / Già tace ogni sentiero…», regala qualche elemento, con rapporto anulare, al finale: «ed alla tarda notte / Un canto che s’udia per li sentieri / Lontanando morire a poco a poco…» (e cfr. «alla tarda notte» 43). Meno evidentemente ma senza dubbio il «Tutto è pace e silenzio…» di 38 rimanda tonalmente e per riprese foniche all’attacco della lirica: «Dolce e chiara è la notteesenzavento». DunquequestoCantopoco gradito in genere alla critica idealistica (ma che ha avuto singolare fortuna in Francia: cfr. scheda di Rigoni) è in realtà uno dei più sapientemente costruiti di Leopardi,esecondomodalità che, salvo errore, lo rendono eccezionale nella raccolta, così come isolato negli Idilli (seInfinitoeAllalunadauna parte, Sogno e Vita solitaria dall’altra fanno in qualche modo coppie o dittici, e d’altra natura, per non dire della differenza con quello che diventerà il Frammento XXXVII)[11]. L’opposizione natura/vitalità contro dolore personaleeuniversalenonvi è,comedisolito(anchenelle Ricordanze cui per certi aspetti la Sera prelude), stagliataablocchi,madiffusa mediante intrecci, sovrapposizioni o contrappunti, e in totale insistenze. [1] Cfr. G. Leopardi, ICanti, a cura di A. Straccali, III ed. corretta e accresciuta da O. Antognoni, nuova presentazione di E. Bigi, Firenze, Sansoni,1985(Ied.1892),p.65. [2] Ma vale la pena di completare il quadro.Aiduetipimaggiori,disestae ottava (e tali sono pacatamente i due versifinali),seneaffiancanononpochi ad ictus ribattuto di sesta-settima, che vannodiconservaagliattacchidifrasi, spesso esclamative o interrogative, che partono dal centro verso (cfr. 17 ecc.); uno solo l’endecasillabo di quartasettima,mapercosìdireinunmomento dicontenutoumile:«Dopoisollazzi,al suo povero ostello» 27 (accento di settima su «povero»); uno solo anche l’endecasillabo interamente giambico, edèilsoggettivoetrascinato(ancheper la presenza di virgole rallentanti e di quattro sinalefi) «Mi getto, e grido, e fremo.Ohgiorniorrendi»23. [3] E cfr. già nell’Infinito «… Il cor nonsispaura.Ecomeilvento…»,«… Vo comparando: e mi sovvien l’eterno…», in Alla luna «… Era la vita:edè,nècangiastile…»,«…Omia dilettaluna.Epurmigiova…»,«…Del miodolore.Ohcomegratooccorre…». [4] Elenco qui subito i contributi fondamentali sulla Sera: G. Leopardi, Canti, a cura di G. e D. De Robertis, Milano,Mondadori,1978(ilcommento del solo Giuseppe è del 1927); E. Peruzzi, Studi leopardiani. I: La sera del dì di festa, Firenze, Olschki, 1979; L. Blasucci, Leopardi e i segnali dell’infinito,Bologna,IlMulino,1985; G.Leopardi,Poesieeprose.I:Poesie,a cura di M.A. Rigoni, con un saggio di C. Galimberti, Milano, Mondadori, 1987;Antologialeopardiana, a cura di G.Contini,Firenze,Sansoni,1988;W. Binni,Lezionileopardiane,acuradiM. Bellucci con la collaborazione di M. Dondero, Firenze, La Nuova Italia, 1994, pp. 126-132; M. Santagata, Quella celeste naturalezza. Le canzoni e gli idilli di Leopardi, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 113-134; G. Leopardi, Cantos, edición bilingüe de M. de las Nieves Muñiz Muñiz, traducción de M. de las Nieves Muñiz Muñiz,Madrid,Cátedra,1998;R.Rea, Ilnotturnodella«Seradeldìdifesta», in G. Brugnoli e R. Rea, Studi leopardiani,Pisa,ETS,2001,pp.9-38; A.Girardi,La «Sera» tra gli Idilli, gli Idilli dentro ai «Canti», in AA.VV., Studi in onore di Pier Vincenzo Mengaldo,acuradegliallievipadovani, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo 2007,pp.887-900;L.Blasucci,Perun commentoa«Laseradeldìdifesta»,in «Studi italiani», XXI, 2009, pp. 75-93. Per le varianti mi sono servito soprattutto della chiara ed. di Peruzzi: G. Leopardi, Canti, ed. critica di E. Peruzzi con la riproduzione degli autografi,Milano,Rizzoli,1981. [5] F. Chopin, Lettere, a cura di V. Rossella, Introduzione di G. Pestelli, Torino,IlQuadrante,1986,p.102. [6] D. Diderot, Scritti di estetica, a cura di G. Neri, Milano, Feltrinelli, 1957,p.168. [7]Sipuòanchenotarechequestoè ilsolocasoneiCantiincuil’aggettivo «dolce» è usato per la notte, e che la notte è tale soprattutto perché «senza vento», con rispondenza quindi dell’inizio con la fine del verso. Da osservare ancora che eliminando l’interiezionedidoloreLeopardivienea distanziare, rendendola quindi strutturalmentepiùchiaraedefficace,la contrapposizione fra la dolce serenità del paesaggio e la sofferenza senza eccezioni dell’io, o se si vuole fra due ‘nature’, la natura-paesaggio che può essere bellissima e la natura-potenza che può condannare l’uomo, o l’io, a eternainfelicità. [8] Cfr. A. La Penna, in «Studi italiani»,X,1998,pp.115-119. [9] Vedi P. Marati, Strutture e variantidella«Seradeldìdifesta»,in «Studi leopardiani», 12, 1998, pp. 1938:19-20. [10] Su questi versi è acuto il commento di Saba (anche se come sempre un po’ sopra le righe) cit. da Girardi,p.887. [11] La collocazione della Sera fra Infinito e Alla luna dipenderà forse dallavolontàdicelareundittico? IX UnaletturadiA Silvia A Silvia è anzitutto il dialogo con un’assente: il tema – che verrà ripreso nel Novecento – halesueorigininell’antichità. La figura di Silvia permette al poetadiavviareundialogocon un tu che è anche – metaforicamente – portatore della «speranza» propria della gioventù. Il componimento è dominato da una patina anticheggiante, da una veste lirica che fa riferimento alla grecitàletteraria,contuttociò che essa comporta, in particolare la castità espressivaacuisiaccompagna la capacità di dire molto con poco. Cominciodaqualcosache, per essere ovvio, non è per ciò meno toccante. In una letteradel2maggio1828alla dilettasorellaPaolina(Epist., ed. Brioschi e Landi, num. 1246)[1], Giacomo scriveva: «dopo due anni, ho fatto de’ versi quest’aprile; ma versi veramente all’antica, e con quel mio cuore d’una volta». Aveva appena composto, dopo anni di silenzio poetico (più lungo di quanto egli stessodica,sesiescludonoil Coro del Ruysch, 1824 e il didascalico Pepoli, 1826), il Risorgimento e A Silvia, entrambi a brevissima distanza in quell’aprile. Lonardi[2] ha mostrato come la canzone sia fittamente intessuta di materia, mirabilmente ritessuta, di testi antichi come il Libro di Giobbe, Saffo, Orazio ecc. e soprattutto Omero, anche nella traduzione di Monti, nonché dello stesso Leopardi precedente[3]. Ciò nonostante l’interpretazione di «all’antica» come ‘alla maniera degli antichi’ appare un po’ forzata, e per ragioni anzitutto contestuali va preferita quella tradizionale cherimandaalpassatostesso del poeta: ‘allo stesso modo delmestessodiuntempo’.Si veda del resto la lettera alla stessaPaolinadel25febbraio diquell’anno,sempredaPisa (Epist., num. 1223): «Vi assicuro che in materia d’immaginazioni, mi pare di esser tornato al mio buon tempoantico». Come la grande intuizione dell’Infinito è ripresa nelle osservazioni sulla «veduta ristretta» ecc. dello Zibaldone, così l’idea centrale di A Silvia è sviluppata come si sa in una splendida pagina di poco successiva del Diario, 43104311, 30 giugno 1828, che citoconqualchetaglio: Unadonnadi20,25 o 30 anni ha forse più d’attraits, più d’illecebre, ed è più atta a ispirare, e maggiormente a mantenere, una passione… Ma veram. una giovane dai 16 ai 18 anni ha nelsuoviso,ne’suoi moti, nelle sue voci, salti ec. un non so che di divino, che niente può agguagliare… quel fiore purissimo, intatto, freschissimo di gioventù, quella speranza vergine, incolume che gli si legge nel viso e negli atti, o che voi nel guardarla concepiteinleieper lei; quell’aria d’innocenza, d’ignoranza completa del male, delle sventure, de’ patimenti; quel fiore insomma, quel primissimofiordella vita; tutte queste cose, anche senza innamorarvi, anche senza interessarvi, fanno in voi un’impressione così viva, così profonda, così ineffabile, che voinonvisaziatedi guardarquelviso,ed io non conosco cosa chepiùdiquestasia capace di elevarci l’anima, di trasportarci in un altromondo,didarci un’idea d’angeli, di divinità,difelicità… Del resto se a quel che ho detto, nel vedere e contemplare una giovane di 16 o 18 anni, si aggiunga il pensiero dei patimenti che l’aspettano, delle sventure che vanno ad oscurare e spegner ben tosto quella pura gioia, dellavanitàdiquelle care speranze, della indicibilefugacitàdi quel fiore, di quello stato, di quelle bellezze;siaggiunga il ritorno sopra noi medesimi; e quindi un sentimento di compassione per quell’angelo di felicità, per noi medesimi, per la sorte umana, per la vita, (tutte cose che nonpossonomancar di venire alla mente), ne segue un affetto il più vago e il più sublime che possa immaginarsi[4]. Edèmoltointeressanteche nel finale Leopardi disponga quasila‘situazione’informa ditemapoetico. A Silvia è il testo che inaugura la «forma senza forma»(Carducci,benissimo, che occorre pur sempre citare), caratteristica del Leopardi maturo e tardo, della cosiddetta «canzone libera»: da non staccarsi troppo, tuttavia, da quella progressivamente ‘liberata’ delle Canzoni vere e proprie. Si veda, per non parlare dell’UltimocantodiSaffoche harimesolonellacombinatio finale, Alla sua Donna: questa, che è l’ultima scritta, 1823,haancorastrofeconlo stesso numero di versi, ma non della stessa struttura né rimate esaurientemente, sicché della canzone tradizionale resiste ancora e solo, oltre alla parità numerica, ma non strutturale, delle strofe, la combinatio finale delle rime in ognuna (che tornerà ad esempio in forma più spinta nel Canto notturno). La novità della canzone libera si può riassumere in due punti. Primo, strofe di differente dimensioneestruttura:quiin particolare la prima, che è la piùbreveditutte,assumeuna funzionesimileaquelladiun ‘proemio’, e viceversa l’ultima,conlasuamaggiore estensione, accompagna l’intensificarsi della disperazione e il tragitto alla morte.Secondopunto,ilfatto che le rime sono sì abbondanti ma non sistematiche né esaustive, e danno ampiamente luogo a fenomeni accessori o pararimici come assonanze, consonanze, rime al mezzo e interne. Ecco subito nella prima lassa, di soli sei versi, «mortale»2–«limitare»5,e inoltre «ancora» 1 – «pensosa» 5 al mezzo[5]. Ma vallapenadidocumentarein esteso: oltre ai casi che si vedranno più avanti ecco sedevi al m. : avevi : solevi 11-12-13; sudate (prima dilette) : dorate entrambe interne 15-24; spendea : percorrea entrambe interne 18-22; voce : veloce – dice 20-21-26;-ato–tanto31-3438; perivi al mezzo : schivi : festivi 42-46-47 (con vedevi 42); core : amore – chiome 44-45-48 (entro 45 anche «dolce lode») : come (replicato in geminatio al verso successivo) – speme : insieme 52-55-58 (e «dolce» 50); passata : lacrimata entrambe interne 53-55; questi – diletti int. : cadesti int. 56-57-61 (più eventi : genti 57-59); sorte : morte entrambi int. ma di particolare valore tematico 59-62; umane int. – mano : lontano59-61-63.Sipossono aggiungere la caduta su tonica finale in parole semanticamente connesse: beltà – gioventù 2-6, o la paronomasia interna man – mar 21-25 (con suon e mortal,sempreint.,20,26).È però da notare senz’altro che se talora questi riscontri fonicisupplisconoaunarima assente (come subito nella prima lassa, significativamentepiù‘libera’ dellealtre,oancoraa22),più spesso ne rafforzano riccamente di già esistenti, con una funzione che potremmo chiamare sovrastrutturale o incondizionata,disaturazione timbricaemelodicadeltesto: è forse una legge generale della poesia leopardiana, ricchezza espansiva del significantenellanettezzadel significato e nella purezza dell’elocuzione. All’inverso, è una sorta di altra legge generale che in contesti fortemente ‘rimati’ l’eventuale parola anarima spicchi proprio per questo di più:einfattiquièsoprattutto il caso del tremolo luminoso al v. 3, splendea[6], di «combattuta e vinta» 41 (‘travagliata e alla fine sopraffatta’)[7], di «All’apparir del vero» 60, l’arido vero che uccide illusioni e speranze, e chi le ha nutrite in sé, e di «tomba ignuda»62. L’aspetto più rilevante della metrica di A Silvia è il ruolo che vi assumono, anzitutto rispetto alle Canzoni, i settenari: più frequenti degli endecasillabi con cui si combinano (precisamente 34 contro 29), essi iniziano tutte le lasse ad eccezione della patetica, gravequintadoveperl’unica volta prevalgono gli endecasillabi anzi l’aprono con tre di seguito (vedi già per gli inizi settenari Alla sorella Paolina e Alla Primavera), chiudendole poi tuttecompresalafinale(come solo, poi, in Amore e morte, conunversochehaunpo’la tonalità di A Silvia, «Nel tuo virgineo seno»); e non per nullailmotivodelcantodella fanciullaèdettomirabilmente contresettenaridiseguito,79:«Sonavanlequiete/Stanze e le vie dintorno / Al tuo perpetuo canto». Anche in questo ovviamente A Silvia offre lo schema-base per le canzoniliberefuture,incuisi potranno avere serie anche piùnutritedisettenari(ades. otto nel Sabato del villaggio 20 ss.). Ma probabilmente la precellenzadelsettenarionon si avrebbe se nel testo non fervesse ancora lo spirito della canzonetta metastasiana di settenari che pochi giorni prima Leopardi aveva (eccezionalmente)provatocol Risorgimento[8]. Già da questoemergecomeLeopardi esprima non solo la «lingua della gioia» (Mandel’štam) nella rievocazione della fanciulla e della propria giovinezzachesiesprimenel dialogo muto con lei, ma la stessa materia così dolente e luttuosa,informadi‘canto’o di cantabile (del resto il «canto» di Silvia è motivo centrale della lirica), cioè secondo quella «vitalità» che in lui e secondo lui non è soltanto l’impeto d’affetto quasimeravigliatoperlecose e le creature della vita (si rileggano almeno la Quiete e il Sabato), ma promana dalla formapoeticastessa[9]. Qualcos’altro va detto. Per non eccedere in cantabilità Leopardi in A Silvia (a differenza di quanto accadrà dopo) non solo evita la rima baciata in chiusa di strofa o ‘movimento’[10], ma non colloca mai le frequenti baciate fra due settenari, bensì solo, smorzando, fra endecasillabi(12-13,46-47)o fraquestieisettenari(10-11, 20-21, 29-30, 35-36). D’altra parte però l’alta frequenza, generalmente tipica di Leopardi, degli endecasillabi ‘veloci’conritmodix-6a-10a, e dunque accelerando nel secondo emistichio[11], non produce soltanto di per sé effetti di oralità ancor prima che di cantabilità, ma genera un buon numero di segmenti interni che dal punto di vista ritmico e spesso anche sintattico («Era il maggio odoroso: / …», «Perivi, o tenerella./…»,«Lasperanza miadolce:/…»)equivalgono a settenari e perciò ne ribadisconolamelodia[12]. Quanto ancora alle rime. Se scopo di Leopardi in questa lirica è, in una col canto, la semplicità più ‘greca’, ecco che le rime sono, assolutamente senza eccezioni, normali, piane, e nella maggioranza vocaliche; einquestecondizionièquasi stupefacente che solo due di esse si ripetano, ma perché l’immagine in un caso, la parola concetto nell’altro, sono intensamente tematiche: «occhi… ridenti e fuggitivi» (: «salivi») 4-6 e «sguardi innamorati e schivi» (già quasi nel Risorgimento) in concomitanza col motivo tipicamente leopardiano dei «dì festivi» 46-47; e «speme», per eccellenza tematico assieme al suo allotropo «speranza», che genera rima a 32-33 e a 5558. Ma in realtà la struttura metrica di A Silvia richiede qualche approfondimento ulteriore, tanto è vero che in questo Canto la grande linearità e naturalezza degli enunciati convive con un’altrettanto notevole complessitàdellacostruzione. Quasi come insegna della nuova libertà metrica, e a scandire la diversa identità delle sei lasse, ogni verso incipitario di queste è anarimoall’internodellalassa stessa (con la parzialissima eccezione di 1). È anche questo un tecnicismo che si era già profilato nella evoluzione delle canzoni ‘regolari’.Senelleprimedue, nella Sorella Paolina e nel VincitorenelPalloneilprimo versorimavacolquartoocol quinto, già nel più ricco Angelo Mai le cose vanno diversamente (tutti i versi incipitari, e sono ben dieci, mancano di rima), come poi nel Bruto minore, in Alla Primavera, per forza di cose nel liberatissimo Ultimo canto, parzialmente nella terminale Alla sua Donna. E va da sé che questo tecnicismo, attraverso lo snodo di A Silvia, si accasa nelle Canzoni libere successive. Per fare qualche esempio, nel Canto notturno sono rimati i versi iniziali dellelasseesterneIeVI,non quelli delle interne; nel Pensiero dominante è rimato solo il v. 1, e in condizioni sintattiche particolari (la prima lassa è probabilmente, seadottiamoancheinesegesi il criterio della lectio difficilior, tutta un’apposizione del titolo), nonpiùgliinizialidellealtre strofe; in Sopra il ritratto ogni verso iniziale di lassa è anarimo; nella Ginestra è rimato solo il primo dell’ultima ecc. Ma è notevole che in A Silvia si instaurino, e sistematicamente, effetti di rimaoquasichevannoinun certomodoinsensoopposto, legando sovrametricamente l’una all’altra tutte le lasse, nonostante la loro forte peculiarità tematica, anzi, si direbbe, proprio per questo, cioèsubordinandoilprincipio della distinzione a quello dellacontinuità,edunqueuna volta di più del canto. I-II: ridenti int. 4 – intenta : contenta 10-11 – mente int. 12; pensosa int. 5 – odoroso int.13;limitare5–menareal m. 14; II-III: odoroso int. 13 –faticosaint.22;menareint. 14 – carte (preceduto da sudate): parte 16-18; giorno finale di lassa 14 – paterno 19;III-IV:viealm.24–mia : apparia 29-30; orti 24 – cori al m. 29; IV-V: Acerbo 34 – erbe int. e verno 41 – morbo 42; poi : tuoi 37-39 e nuovamente tuoi 43; allor : fior ambedue int. 38-43; VVI: chiome 45 : come replicatoingeminatio52(più -eme55-58),innamoratialm. 46:fati51. E c’è un punto ancora più importante,chequimilimito ad accennare avendone trattatospecificamentealtrove (cfr. il secondo saggio di questo libro). Nel momento stesso che Leopardi istituisce con A Silvia la forma che, salva la coabitazione con alcunisciolti,domineràlasua poesia fino agli ultimi carmi, avvia anche la figura di pensiero, cioè l’allegoria, prima assente, che parimenti dominerà (con la comprensibile eccezione del cosiddetto‘CiclodiAspasia’) daiCantipisano-recanatesiai Napoletani. Anzi, in tutta questa fase l’allegoria farà mostra di sé sempre in presenza di canzoni libere, mai di sciolti (caso parlante: nei Pisano-recanatesi sono allegorici tutti i testi in canzoni libere, compresa la strofa isolata dell’Imitazione, manonlesoleRicordanze,in sciolti). È un’inattesa quanto singolare implicazione tra formaepensieropoetico. Già la struttura metrica regaladunquealCantolasua irripetibileindividualità,cheè tutt’uno con quel ritorno alla poesia o «risorgimento» che come promuove l’unicum della spumeggiante canzonetta così, entro il già sperimentatissimo contenente della canzone, fa nascere quasi di necessità una forma nuova, anche se nell’ispirazione riprenda volentieri tratti lessicali e figurativi propri degli Idilli: cfr.quiinparticolareivv.23 ss.e,sebbenelìsitrattidiun notturno, La sera del dì di festa 2 ss.: «e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti / Posalalunaedilontanrivela / Serena ogni montagna». Altrettanto evidente in A Silvia è l’individuazione lessicale, ottenuta fin da subito o tramite correzione, attraverso una serie di parole che nei Canti appartengono solo a questo: il più fresco e sensuale odoroso 13, di contro al latineggiante e foscoliano odorato di altri testi leopardiani; veroni 19, più nobile di balconi (usato altrove,peresempio Seradel dìdifesta5,semprenelsenso di‘finestre’)dacuiècorretto, e più in chiave col vicino ostello[13]; il virgiliano (Aen. VII 14: «percurrens pectine telas»)percorrea(latela)22, splendida correzione sempre nel senso della vivacità e del moto del precedente, solo percussivo, percotea e come da questo generato[14]; «vie dorate»24;cori29nelsenso non comune di ‘affetti’, ’sentimenti’; il dolcissimo allocutivo tenerella 42 (solo nelSogno e in un precedente testo leopardiano, ma come aggettivo), che è anche l’unico alterato (vezzeggiativo) del Canto, e collocato in unione con «perire»trascendedeltuttola propria origine tassescoarcadica; innamorati attivocausativo, ‘che innamorano’ 46[15]; lacrimata participio- aggettivo 55, detto della speranza, esito di correzione da «sventurata» e «sfortunata» che non sarà solodovutaalprincipiodella variatio, ma è tale da trasformare la nozione dall’oggettività di una vicenda all’intimità del soggetto. Altrove la novità è data da un felicissimo processo di risematizzazione ‘interna’: gli stupendi «occhi… ridenti e fuggitivi» di Silvia, 4, che Croce paragonava al pure meno sobrio «pur regard amoureux etsouffrant»dellaMaisondu berger di Vigny, recuperano in accezione diversa e ineffabile (come chiosare il secondo aggettivo?)[16] due terminiusatiancoradalpoeta, ma il primo come tipico attributo paesistico, il secondo in senso proprio. E limitare 5 era solo nell’eccentrico Frammento XXXVIII (già Elegia prima), inaridire 40 solo nel vicinissimoRisorgimento. Anche le allotropie o sinonimie interne sono da ammirare per la loro proprietà: al v. 4 leggiamo occhi (dapprima sguardi) ma sguardi a 46 in un contesto sinonimicomarelazionale;al v. 6 gioventù, obiettivamente in un contesto di plasticità figurativa, ma a 52, con eco sentimentale, giovanezza (e vedi nelle appena successive Ricordanze, 135: «Se giovanezza, ahi giovanezza è spenta?»); speranze 29 fuori rimaèseguitodaspeme32in rima baciata, che difficilmente potrebbe essere declinato al plurale, e così a speranza 50, segue più intenso, ancora in rima e in consonanza con come,speme 55; dato sovviemmi di 32 il primitivo sovvienti di 1 è sostituito prima da rammenti poidarimembri:maquièda direchelacorrezionenonva assegnata solo, come si fa troppo spesso, a gusto della variazione o sinonimia, dato che sovvienti, come mostra anche l’uso di 32 e la stessa struttura del verbo, sta per emergenza memoriale momentanea, improvvisa e per dir così ‘passiva’ (qualcosa che ‘torna alla mente’), mentre rimembrare, che ricompare non a caso in Ricordanze119(evedianche 57) è continuativo e indica elaborazione personale del ricordo; solo il secondo perciò è adatto al contesto, e in particolare a qualcosa che nonèunmomentooepisodio mailtempo2,comepoia17 (notare anche che Leopardi non dice «il» ma «quel»)[17]. E può essere pure significativo che l’aggettivo di 50, «La speranza mia dolce», abbia come variante alternativa vaga, all’inverso ma analogamente per quanto avvieneperil«vagoavvenir» sognato da Silvia, 12, con variante alternativa dolce[18]. In un caso infine la differenziazioneèmeramente morfologica:ilfatodi31èil futuro che arride immaginato dalla confidente giovinezza, maifatidi51(cfr.lat.,anche virgiliano, fata) è il destino presto dispiegato nella sua crudeltà, e cfr. Ricordanze 71-72. A questa specificità lessicale, che sempre caratterizza i Canti leopardiani e contribuisce a individualizzarli anche quando formino coppie o dittici, si unisce però in A Silvia un linguaggio familiare,retaggioinsostanza degli Idilli, che è la lingua stessa dell’intimità, di chi parlaasestessomentreevoca lavergineingenuitàdiSilvia: «occhi… ridenti», «quiete / Stanze», «contenta», «porgea gli orecchi al suon della tua voce», «pensieri soavi», «o tenerella», «dolce lode», e il più firmato degli attributi affettivi di Leopardi, «cara compagna…» («o caro immaginar», «oh dilettose e care…», «Sempre caro mi fu…»,«Ocaraluna»,«Ilcaro tempo giovanil; più caro…» ecc.); e cfr. tenerella e innamorati. Repliche rispetto ad altri Cantiofrapuntidiversidella stessa A Silvia hanno il loro puntuale significato: «negre chiome» 45 riprende una giunturadellaSorellaPaolina 73, e non è l’unico rapporto fra le due liriche (la Sorella Paolinahaanchemolcere,7) [19]; il metaforico compagna (la speranza, dell’io poetico stesso) 54, ripete il concreto compagne di Silvia 47, come ragionammo, anche d’«amor(e)», metaforico, interiore 58 è anticipato dal concreto Ragionavan («d’amore») di coloro 48, e vedi anche la ripetizione di dolce 45-50, con la stessa distribuzione. Sono tutti legamenti trasversali che, insieme a Perivi-peria 42-49 (il secondo preceduto da «anche»), detti rispettivamente della fisica consunzione di Silvia e poi della morte della «speranza» del locutore, e altro ancora, valgono come ulteriore argomento non indifferente all’ipotesi, ormai generalmente accettata, che l’astratta speranza finale del Canto contenga, o meglio si identifichi con, Silvia stessa. Prove o indizi ne sono poi la centralitàdella«speranza»,la prima volta personificata e con quell’aggettivo («speranza vergine»), nel brano citato all’inizio dello Zibaldone, e contestualmente il gesto finale, sobriamente neoclassico, con cui la «speranza» indica tomba e morte (vedi, con l’accompagnamento delle osservazioni di Lonardi, L’orodiOmero,cit.,pp.183 ss.,Tasso,Ger.Lib.XII685 ecc.: «man nuda e fredda»), mentre «di lontano», che varia «da lungi» 25 e chiude in modo caratteristicamente ‘infinitivo’ (Blasucci) la lirica[20], può riferirsi sia al riguardante che alla cosa contemplata: tanto più che all’inizio del testo la stessa Silvia non è atteggiata in modo diverso, con quel movimento non solo anticheggiante ma prettamentefigurativoequasi archetipico, di ascesa al tempio:«Etu,lietaepensosa, il limitare / Di gioventù salivi». Iltragittodell’interapoesia èdunquequellostessopercui il tema iniziale, il compianto sulla giovinetta morta anzitempo, diviene, nello stesso tempo e indissolubilmente, compianto su sé medesimo, sulla morte della propria giovinezza, unica età per Leopardi degna della vita (cfr. soprattutto, oltre a tanto Zibaldone, le Ricordanze e il Tramonto della luna), e con lei delle proprie speranze (Anche… Anche…49-51).Equisipuò inserire l’acuta osservazione della Muñiz: «Il segreto di A Silvia risiede precisamente in questa dualità ambivalente, che la fa nello stesso tempo emblema contemplato da lontano e individualità percepita dal di dentro». Il tono della lirica sublime s’intende poi meglio tenendo presente un passo dello Zibaldone 479-480 (gennaio 1821): «Il veder morire una personaamata,èmoltomeno lacerante che il vederla deperire e trasformarsi nel corpo e nell’anima da malattia (o anche da altra cagione). Perchè? Perchè nel primo caso le illusioni restano, nel secondo svaniscono e vi sono interamente annullate e strappate a viva forza. La persona amata, dopo la sua morte,sussisteancoratalqual era, e così amabile come prima nella nostra immaginazione.Manell’altro caso, la persona amata si perde affatto, sottentra un’altra persona ecc.», cui corrisponde alla lettera Detti di Filippo Ottonieri, cap. III, § 1: «il perdere una persona amata, per via di qualche accidente repentino, o per malattiabreveerapida,nonè tanto acerbo, quanto è vedersela distruggere a poco a poco… da un’infermità lunga,dallaqualeellanonsia prima estinta, che mutata di corpoed’animo,eridottagià quasi un’altra da quella di primaecc.»[21].Sidirebbeche Leopardi abbia inscenato con Silvia e Nerina, evocate antiromanticamente senza il minimo accenno alla loro distruzioneedecomposizione fisica, la prima possibilità, con la donna di Sopra il ritratto, più tardi, la seconda («Polve e scheletro sei», «or fango/Edossasei»). Iltitolo,cheènotoriamente identico a quello di un’ode pariniana (e dopo l’Aminta del Tasso, dove c’è pure una Nerina, Silvia è tipico nome letterario; s’aggiunga magari con Fubini e Bigi che Silvio era il Sarno cui Leopardi intendeva dedicare un romanzo autobiografico), più che semplicemente di dedica è allocutivo[22]; e senz’altro allocutivo è l’attacco, secondo una modalità che fregia buona parte dei Canti leopardiani, e che è da parte sua responsabile di quel commutarsi della rappresentazione in dialogo affettivo che è una delle grandi caratteristiche del poeta: così Leopardi, da quel ‘lirico puro’ che anzitutto è, ritrae immediatamente l’oggetto nell’interiorità rievocante e interrogante del soggetto. Da parte sua il settenario iniziale in un certo senso anticipa l’intero del componimento,contenendone in stretta sequenza la protagonista, il tema fondamentale del ricordo (vedi la chiusa delle Ricordanze: «la rimembranza acerba»eZibaldone,passim), lasuadurataeproblematicità (ancora) e la protratta curva intonativa che dice, assieme allo stupore (o classicamente meraviglia) dell’interrogazione, la profondità della ferita. Non solo, ma esclusi un paio di attacchi diversi, con perifrasi («O patria mia», «Italo ardito»), questo è l’unico Canto a inizio allocutivo che reca come prima parola assoluta il semplice nome della deuteragonista, che rimbalzaimmediatamentedal titoloedettailtonodialogico eaffettuosodellaprimalassa («tua», «tuoi», «tu»), come della successiva, e cfr. soprattutto la contrapposizione quasi immediata fra tu e io a cavallodilassa,vv.13-15. Interrogazionedaunlatoe allocuzione dall’altro fissano subitoquellatonalitàmossae patetica che disloca via via (altra grande peculiarità di Leopardi) sentimenti e punti divistadelsoggettopoetante, e che si esprimerà come altrove[23] ora nello scambio fral’«io»eil«tu»(ipronomi, ancora, sono in posizione rilevataall’iniziodilassaa15 e 40), che si fonderanno nel «ci» del v. 30 e nella prima plurale seguita da «insieme» di58;oranelleesclamativedi 28-31 e 52 ss. e nelle interrogativedi36-39e56ss. (con ellissi che accresce l’affannosità); ora nell’incalzare delle ripetizioni,a28-29(suche,e vedi Ricordanze 19: «E che pensieriimmensi…»),36(«O natura, o natura», tutta entro un settenario), 37-38 (su perchè), 49-51 (Anche), 5659 (questo, in serie interrogativa), e soprattutto l’indimenticabile geminazione di 52-53, rallentata dall’enjambement che quasi rilancia la dolente esclamazione: «Ahi come, / Come passata sei…»; infine nelleinteriezionidi36,52,56 ecc.; e in orizzontale vale il cumulo asindetico già notato di 57. Per non dire delle inarcature (se n’è appena vista una memorabile) che mutano a ogni passo il rapporto sintassi-metro e perciòl’andamentomelodico, e per esempio sospendono in pausaleparolechediconole belleenostalgicheemergenze della memoria: «Sonavan le quiete / Stanze…», il canto chedàrilievoallatranquillità, e viceversa, 7-8 (ma nel secondo idillio da Mosco «quiete stanze», e senza dieresi né inarcatura), o inversamente i momenti più drammatici, la perdita: «All’apparir del vero / Tu, misera, cadesti…» 60-61 (e qui collabora il patetico inciso, parallelo e opposto, comenonèmaleosservare,al «tu, lieta e pensosa,» dell’inizio, 5), per non dire dell’altroenjambementsubito successivo che sospende come nel vuoto la mano accrescendone la suggestione insieme figurativa e simbolica: «e con la mano / Lafreddamorteedunatomba ignuda / Mostravi di lontano». Il ritorno – pure in tale rinnovamento – alla forma canzone comporta, rispetto allo stile fondamentalmente coordinativo degli Idilli, anche un ritorno almeno parziale alle misure sintattiche larghe e allo stile periodico. La strofa esastica iniziale è occupata per intero daununicoperiodo(peròcon una sola subordinata, temporale), e ugualmente di sei versi è quello che si stende nella lassa successiva (sempreconlatemporaleche rinviaalpassato),dalqualesi ‘stacca’ il distico finale, simplicissimus munditiis: «Era il maggio odoroso: e tu solevi / Così menare il giorno» (per solere come parola di significato «vasto per la copia di rimembranze checontiene»cfr.Zib.1789). Ugualmente è ancora di otto versi quello che apre la terza lassa(eiltalordi16risponde posizionalmente all’allor di 10, mentre il tutto è chiuso ancoradaundisticodigrande sobrietà).Ilrimanenteèassai piùmossoefranto,sumisure brevi e con collegamenti per lo più asindetici. Impossibile non notare che la diversa situazione sintattica risponde puntualmente ad una tematica:alleprimetrelasse, beatamente rievocative e perciò sintatticamente più ariose, si contrappongono le ultime tre, notizie angosciate e affannose di disinganno e morte, perciò affidate a segmenti sintattici brevi, incalzati come visto da replicazioniemosseelative. Ma è la microsintassi a indicare quella ricerca di purezza e natività greche che qui Leopardi persegue come in tutti i Pisano-recanatesi, e dicuilafigurastessadiSilvia è in qualche modo l’emblema. A differenza che nelle Canzoni l’ordine delle parole non è mai troppo distratto o invertito («il limitare / Di gioventù salivi» 5-6, «all’opre femminili intenta» 10, «Io gli studi leggiadri / Talor lasciando e le sudate carte» 15-16, piuttostoepifrasicheiperbato ecc.), in ogni caso senza giungere mai alle inversioni protratte e agli iperbati spinti delle Canzoni (ad es. Angelo Mai 16-20: «Certo senza de’ numi alto consiglio / Non è ch’ovepiùlento/Egraveèil nostro disperato obblio, / A percoter ne rieda ogni momento / Novo grido de’ padri»; Ultimo canto 4-6: «Oh dilettose e care / mentre ignotemifurl’erinnieilfato, /Sembianzeagliocchimiei»; Alla sua Donna 55: «Questo d’ignoto amante inno ricevi»).Piùspessoinvecegli enunciatisisvolgonoinpiano e scorrevole ordine lineare, come «Porgea gli orecchi al suon della tua voce ecc.» 20 ss., «Mirava il ciel sereno ecc.» 23 ss., «Tu pria che l’erbe ecc.» 40 ss., «All’apparir del vero / Tu, misera cadesti» 60-61, e così via. Né l’estasi dei ricordi domestici né la registrazione dell’azione distruttrice della natura e del «vero» tollerano una sintassi che non sia semplice, vicina al parlato interiore. Si badi più di tutto allaposizionedegliaggettivi, che è quasi sempre quella normale nella lingua, e proprio in grazia di questa normalitàesaltalaforzadegli epiteti (e vedi più avanti): «vita mortale», «occhi tuoi ridenti e fuggitivi», «quiete / Stanze»,«perpetuocanto»[24], «studi leggiadri» (semanticamenteunagiuntura nuovissima), «man veloce», «viedorate»,«pensierisoavi» ecc.: sicché i casi del tutto minoritari di posizionamento letterario sono magari introdotti per variare col chiasmo la linea sintattica («sudate carte»[25] vs «studi leggiadri», «faticosa tela» vs «man veloce»)[26]; ma nel fermo e disperato penultimo verso c’è sì chiasmo, che dà maggiorrilievoallaparentela semantica fra i due aggettivi, ma appunto perché questi conservano la collocazione normale:«Lafreddamorteed una tomba ignuda». Qui più chemaicomunquelanovitàe purezzadelcantodiLeopardi non va misurata secondo la nostra competenza linguistica, ma proiettandola contro le abitudini, ben più letterarie nell’ordine delle parole, della poesia italiana del tempo, Manzoni compresoconlesueragioni. A Silvia è un dialogo con un’assente («ciò che è perito per sempre torna brevemente a una sorta di seconda vita»: Rigoni): modello, sia detto perinciso,cheimportamolto per tanta poesia italiana del Novecento, a partire dalla Casa dei doganieri di Montale e da molto Sereni; un’assente interpellata col tu –comemaiprobabilmentein vita, se vale qualcosa l’identificazione tradizionale con quella tale Teresa[27]: ciò appartiene a tutta una tradizionepoeticama,comeè stato notato anche uscendo dalle righe (Silvia come Persefone ecc.), risale al rito arcaico dell’evocazione dei morti. Specifico del Canto è cheildialogoconlamortasi doppi e risolva in quello con la propria stessa intimità passata, cosicché il tu da proprio diviene metaforico, o meglio centrato sul locutore medesimoinquantoportatore di giovanile «speranza» poi calpestata (non arriverei però a parlare, con Contini di «identità di Silvia con l’autore»)[28]. Al movimento, comeabbiamoaccennato,più distesamente e felicemente evocativo delle prime tre lasse, dominato dall’imperfetto durativo e replicativo, che si carica anch’esso di infinità o indefinitezza come Leopardi ben sapeva («Porgea gli orecchi al suon della tua voce»: non una sola volta), mentre intorno s’agita, come quasi sempre nei Pisanorecanatesi, la lieta e vivida animazione della natura nel borgo, si contrappone quello agitato e drammatico delle ultime tre, in assenza di paesaggio se non per le erbe che però presto l’inverno disseccherà: dove i tempi del passato rientrano continuamente nel presente dellariflessionesconsolata. ASilvia, così grondante di lirismo, è però anche una poesianarrativa,chesidipana secondo una precisa freccia direzionale, dalla gioventù di entrambi i protagonisti alla morte, fisica o interiore, il passaggio dal «maggio odoroso» (maggio è la stagione dell’illusione vitale anche in Ricordanze 162) all’appressarsi dell’inverno, dal salivi iniziale al cadesti finale[29]: tanto più se ammettiamo come è necessariochelasperanzasia anche Silvia stessa, o meglio che Silvia diventi nella memoria la speranza precaria di chi parla: in un’oscillazione fra personificazione e allegoria, nuova in questo Canto rispetto a tutti i precedenti. Non è solo l’impostazione ‘figurativa’ a legare inizio e fine, ma qualcosa di più preciso: la chiusa tombale con la parola morte finisce per essere come un’eco dei versi d’avvio dove la vita di una bellezza giovanile che sboccia in splendore è detta «mortale», con probabilissima ambiguità semantica: anzi, mortale è al secondoversocomemorteal penultimo.Igrandipoetisono anche grandi architetti. La struttura del componimento richiede dunque ancora una sosta. È evidentemente un testo insieme progressivo e circolare, anzi la circolarità del tutto è come anticipata, quasi mise en abîme, dalla circolarità della partizione inizialese,comehasuggerito Agosti[30], la parola prima e decisiva, Silvia, è anagrammata nell’ultima, salivi. E se la prima partizione è il nartece o la prolessi della costruzione, le duecheseguonosonoricordi dell’io, gioiosi, vitali e affermativi, dove l’unica negazione è in realtà una dichiarazione di ineffabilità, «Lingua mortal non dice…» 26, ma subito seguita dalle beate esclamazioni che evocano ancora l’insostituibile giovinezza («Chepensierisoavi…»).Ma le lasse successive (con la quartachefadaponte,inuna specie di inarcatura tematica, fra i due opposti momenti, il ‘prima’eil‘dopo’)sonotutte percorse da indici negativi della consunzione, del disinganno e della morte: «Perchénonrendipoi…»37, «non vedevi» 42, «Non ti molceva il core» 44, «Nè teco…» 47, e poi sventura, perivi e peria, negaro, passataseiecc. Come sempre in Leopardi (ma molto meno nel prosatore!)lavestelinguistica di A Silvia è di dignitosa antichità. Trascegliendo si citeranno veroni (vedi sopra) e ostello (cfr., anche per l’aggettivo, patrio ostello, Primo amore 27), sovviemmi 32,priaeverno 40, molceva 44 che peraltro ‘contiene’ il dolce del verso successivo, parolachiavedellacanzone,i fati 51, speme alternante con «speranza»(cfr.sopra).Enel settore fonomorfologico ecco core (in prosa Leopardi usa cuore)enova,opre,leprime persone dell’imperfetto in -a, le terze delle altre coniugazioni in -ea, -ia (il primo, splendea 3, è corretto da -eva per ragioni insieme sistematiche ed espressive, cfr. nota 3), «negaro» e così via, cui è da aggiungere il bassocontinuodelleapocopi. Ma non si insisterà mai abbastanza che questa patina aulica o meglio anticheggiante nei Canti pisano-recanatesi come negli Idillicoabitasenzastridori(a differenza che nel polistilismo delle Canzoni) conunlinguaggiopianamente familiare (vedi sopra), che scaturisce anche dalle correzioni, vedi soprattutto 49-51 Anco > Anche; e soprattutto che va messa in relazione con la nota e suggestiva diagnosi leopardiana sull’impossibilità della lirica, vera o superiore forma di poesia, nella modernità.Sedunquelalirica può riproporsi, in controtendenza, anche in quest’epoca, può farlo solo a patto di indossare una veste antica o per dirla tutta greca. Senza dire che è la disponibilità di allotropi o sinonimi più letterari o più rari a permettere in qualche caso, in sede di revisione, il passaggio dal determinato all’indeterminato o al meno determinato, come avviene nelcit.percotea>percorrea, in pudica[31] > pensosa 5, dolor o cordoglio > affetto 32, occulto > chiuso, ammirevole, 41, o anche nel cit.splendeva>-ea,tantopiù ricco di armonici, e nello stesso (Porgea) l’orecchio > gli orecchi 20 (orecchie nel Dialogo di Plotino e di Porfirio,§55). Magrecitàvuoldireprima di tutto castità espressiva, capacità di dir molto e moltissimo con poco. Come di regola nel Leopardi maturo, si potrebbe approssimare anche A Silvia conquestaformula:«purezza lessicale entro agitazione sintattica». Conviene tornare all’aggettivazione,chenondi rado è sottratta, con opposizione ‘in levare’ alle consuetudini italiane del tempo: «le vie dintorno» 8, «gli orti» 24, «il mar… il monte» 25 (nelle più affabulanti Ricordanze 21 «lontano mar… monti azzurri»),«l’erbe…ilverno» 40 ecc., o sostituita da semplici quantificatori («cotanta speme» 32, e vedi anche «Quale allor ci apparia» 30); e comunque il sostantivosiappagadiregola di uno, e uno solo, epiteto, e perdipiùcomegiàosservato in collocazione ‘normale’: «quiete / Stanze» 7-8, «perpetuo canto» 9, v. n. 24, «vago avvenir» 12, «maggio odoroso», con la bella posposizione, non epitetica ma qualificativa, dell’aggettivo, 13, «studi leggiadri» 15 (dapprima dolci; correzione forse da mettereinrapportocolPepoli 138: «altri studi men dolci»), «man veloce» 21, «il ciel sereno, / Le vie dorate» 2324, «pensieri soavi» 28 e via dicendo: ogni ornamentazione superflua è evitata, ogni aggettivo, per esser solo, acquista maggiore intensità. E così, con la sola eccezione del peraltro splendido e nient’affatto dittologico «Acerbo e sconsolato» 34 (l’«affetto» che «preme» il locutore)[32], le poche coppie aggettivali, col loro colore per lo più ossimorico, sono riservate a Silvia, e naturalmente ospitate dai più distesi endecasillabi: «occhi… ridentiefuggitivi»4,«lietae pensosa» 5, «sguardi innamorati e schivi» 46 (ripresa isorimica di 4), cui è daaggiungerecoiparticipila climax di 41: «combattuta e vinta» (vedi con Fubini Petrarca, Rvf xxvi 2). La perfetta aggettivazione non è l’ultimo segreto degli immortalisessantatréversi. [1] Segnalo qui altri contributi, oltre a quelli citati di seguito, utili per la lettura e interpretazione del testo: AA.VV., Leopardi e la stagione di Silvia, a cura di F. Ceragioli, Roma, Sossella, 2001; F. Brugnoli, La strutturazione di «A Silvia» nell’officina di Leopardi, in AA.VV., Giacomo Leopardi e la sua presenza nelle culture esteuropee, in Giacomo Leopardi:l’uomo,ilpoeta,ilpensatore, a cura di B.E. Smaragda, Bucureşti, Editura Fundiatiei Culturale Române, 1999, pp. 71-95; C. Ferrucci, A Silvia, in AA.VV., Lectura leopardiana. I quarantuno «Canti» e i «Nuovi credenti», a cura di A. Maglione, Venezia, Marsilio, 2003, pp. 393-404; M. Fubini, Metrica e poesia. Lezioni sulle forme poetiche italiane. I: Dal Duecento al Petrarca, Milano, Feltrinelli, 1962 (o ed. successiva), pp. 297-303; G.L., Canti, Introduzione e commentodiM.Fubini,ed.rifattacon la collaborazione di E. Bigi, Torino, Loescher, 1964; G.L., Cantos, Edición bilingüe de M. de las Nieves Muñiz Muñiz, Madrid, Cátedra, 1998; A. Girardi,LinguaepensieroneiCantidi Leopardi,Venezia,Marsilio,2000. [2] G. Lonardi, L’oro di Omero. L’«Iliade», Saffo: antichissimi di Leopardi, Venezia, Marsilio, 2005, pp. 139-186. [3] Per questo cfr. soprattutto L. Blasucci, Lo stormire del vento tra le piante. Testi e percorsi leopardiani, Venezia, Marsilio, 2003, pp. 131 ss. (ma tutti i contributi leopardiani di Blasucci sono sempre indispensabili). Perleripresedall’Appressamentodella morte cfr. F. D’Intino, I misteri di Silvia. Motivo persefoneo e mistica eleusina (per altri aspetti assai discutibile), in «Filologia e critica», XIX,1994,pp.231ss. [4] Cito dall’ed. a cura di R. Damiani,Milano,Mondadori,1997. [5] Può essere anche questa una ragionedellacorrezioneinpensosadel peraltro corrivo (e assente dal brano delloZibaldone)pudicaprecedente.Ma la principale rimane certo l’acquisto, attraverso il noto recupero di una coppia petrarchesca, di un’altra di quelle definizioni ossimoriche o vicine all’ossimorochecaratterizzanoSilvia,o lasperanza-Silvia,intuttoilCanto(cfr. vv.4,forse11-12,46,54-55ecc.);esi capisce:èlagiovinezzachenelricordo convivecolpropriodestinodimorte. [6] Cfr. G. Contini, Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi, Torino,Einaudi,1970,pp.42-43eP.V. Mengaldo, Prima lezione di stilistica, Roma-Bari, Laterza, 2007, p. 48: qui anche i probabili motivi della correzionedalprecedentesplendeva. [7]Inunprimotempoconsumata:la correzione (che ancora una volta conserva il profilo fonetico della lezioneoriginaria)avràinteso,oltreche dissimulare rispetto a luoghi vicini dei Canti (cfr. Lonardi, L’oro di Omero, cit.,p.141n.)armonizzarelametafora al campo referenziale del successivo vinta, e forse anche cancellare antirealisticamente ogni allusione alla tisi.Ecfr.oltre. [8] Da segnalare perciò le concordanze fra i due Canti: Risorgimento33–ASilvia49:frapoco ‘dopo poco’, in entrambi i casi con variante fra breve; Ris. 58: «sguardi furtivi, erranti» – A S. 4: «occhi… ridenti e fuggitivi», 46: «sguardi innamorati e schivi» (ma cfr. con Contini «Occhio… fuggitivo e vago», Primo amore 86; il riscontro con un’odedelRolli,segnalatoadessodaG. Gaspari,inFilologiaestorialetteraria. Studi per Roberto Tissoni, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2008, pp.435-443,siaddicedipiùadASilvia per la partitura fonica, ma di più al Risorgimento lessicalmente); Ris. 6263: «candida ignuda mano, / foste voi pure invano» – A S. 61-62; e qualcos’altro. [9] Altre osservazioni sul settenario leopardianoneimieiSonavanolequiete stanze. Sullo stile dei «Canti» di Leopardi,Bologna,IlMulino,2006,pp. 34 ss., e Esperienze metriche di un lettoredipoesia,in«Stilisticaemetrica italiana», 9, 2009, pp. 63-86: 72-74. Non è privo d’interesse che nell’elaborazione vari endecasillabi scendanoasettenari:ades.AngeloMai 71, 127, Alla sua Donna 5, Canto notturno15,21,Sabatodelvillaggio 5 (cfr. edizioni critiche Peruzzi o Gavazzenietal.,adll.). [10] Cfr. Blasucci, Lo stormire, cit., p.142. [11] Per fornire un esempio particolarmente chiaro, nei 15 endecasillabi dell’Infinito ne sono di questotipobensette(piùunodi6a-7a). [12]Nonguastauncalcoloesatto.Di fronte a 14 occorrenze dei normali endecasillabi equilibrati di 4a-8a (uno, 45, con ribattimento di quinta), se ne hanno ben 10 del tipo su indicato. Gli altrisonospiccioli:duedi3a-6a-8a;due di 6a-7a: al v. 2 con contraccento sull’aggettivo possessivo secondo una precisa tradizione italiana (cfr. ottimamenteF.Brugnolo,«Quel tempo dellatuavitamortale».Perlastoriadi unafiguraritmica,inStudiinonoredi Pier Vincenzo Mengaldo, Firenze, EdizionidelGalluzzo-Sismel,2007,pp. 1725-1748), e poi al v. 57, notevole perché cade sulla stessa vocale della vivaceserieasindetica«Idiletti,l’amor, l’opre, gli eventi», possibile eco del primo verso del Furioso già alluso in Angelo Mai 111 ss.; uno solo tutto giambico,edèlosplendidorallentando, ulteriormentedistesodagliechifonicie semantici, di 25: «E quinci il mar da lungi, e quindi il monte». È poi da notarechegliendecasillabi,comesono sapientemente composti coi settenari, cosìtendonoadalternarsisecondoidue tipi principali, cfr. 18-19-20, 40-41-42, e mai comunque l’uno o l’altro tipo si ripeteperpiùdidueversi. [13] È questo l’unico verso propriamente aulico della lirica, quasi adaccennareperviapuramentetonale– in un testo in cui è pur fatta uguale a zero la dialettica padrone-servo – alla differenza fra la dimora signorile e la semplicestanzadellafanciulla. [14] Cfr. Contini, Varianti e altra linguistica, cit., p. 51. Lo stesso Contini, ibidem, osserva che due versi prima Virgilio porta «adsiduo resonat cantu» (già cit. da Leopardi nel Discorsosopralapoesiaromantica,p. 60Besomietal.) che certo ha agito su «Sonavan… al tuo perpetuo canto»; e cfr.pure Ricordanze 17-19: «e sotto al patriotetto/Sonavan voci alterne e le tranquille/Oprede’servi». [15] Qui mi pare del massimo interesse la concordanza del luogo con un distico di un canto popolare marchigiano cit. dallo stesso Leopardi in Zib. 29 dove si ha appunto innamorati nel senso di ‘che innamorano’ («occhi… ’nnamorati»), e cfr. ibidem 4140, con rimando a Petrarca.AltridatinellaMuñiz. [16]VeramenteE.Peruzzi,Saggiodi lettura leopardiana, in «Vox romanica»,XV,2,1956,pp.94-163,in basealsignificatochel’aggettivohain altri luoghi leopardiani, avanza l’interpretazione di ‘morente’, ‘morituro’ o simili, ma a parte altre considerazionil’ipotesipareesclusadal luogo parallelo del Risorgimento già citato:«sguardifurtivi,erranti»,nonché dallavarianteincerti. [17] E cfr. anche il Commento ai Canti di Gavazzeni e Lombardi, Milano,Rizzoli,1998,adl. [18] Mi chiedo se l’alternativa non debba decidere per l’interpretazione di vago come ‘desiderabile’, ‘luminoso’, anziché ‘incerto’ come altri interpreta, nonostantelavariantecit.allan.17. [19]Ètuttaviapossibile,comeèstato sostenuto, ma non probabile che in A Silvia il nero dei capelli alluda anch’esso a destino di morte precoce. Ed è magari da notare che nei Canti solonegro,mai nero, è disponibile per disforici e cupi traslati concreti (Sogno 15: «mia negra vita», Pepoli 85: «la negracura»,DalgrecodiSimonide24: «negrecure»),echesoloquestesonole occorrenzedell’aggettivoaparteledue «negrechiome».TuttaviagiànelDiario d’amore del ’17 (cfr. G. Leopardi, Autobiografie imperfette e Diario d’amore,acuradiM.A.Terzoli,Roma, Cesati, 2004, p. 92) Giacomo dichiarava la sua appassionata preferenza per le donne dai capelli e dagli occhi neri. Sarebbe forse una rivincita della lettera contro gli eccessi dell’interpretazione? [20]AncheseASilviaèunaliricadi raraplasticità,nonperquestoLeopardi vi rinuncia ai suoi tipici effetti di sfumato: i plurali (10, 19, 28-29, 51 ecc.), l’agg. vago 13, da lungi 25, la dichiarazione di ineffabilità di 26-27, sia pure seguita dalle esclamazioni di unamemoriaquasieuforicaecc. [21] Cito dall’ed. critica delle Operette a cura di O. Besomi, Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori,1979. [22] Cfr. L. Blasucci, I titoli dei «Canti» e altri studi leopardiani, Napoli,Morano,1989,pp.163-164. [23] Per i due pronomi personali in posizione forte, e spesso contrapposti, cfr. rispettivamente, ad es., Bruto minore106,Seradeldìdifesta11e20, Ilsogno64e72,Ricordanze1,Passero solitario36,Cantonotturno 117 e 126 e Bruto minore 76 e 83, Ultimo canto 58,Seradeldìdifesta11e20,Ilsogno 90, Vita solitaria 17, Canto notturno 73, Passero solitario 45 ecc. (spesso nellaforma«Etu…»). [24] Qui occorre anche chiedersi se perpetuo non sia più pregnante di quanto sembra (Silvia che canta sempre, che non si stanca di cantare), alludendo a una giovanile fiducia nella durata della propria vita che la natura invecespezzerànelfiordeglianni,enel pienodiquella‘speranza’. [25] Come ripeto, da un precedente, sempreinposizionenormale,dilette. [26] E vedi ancora «perpetuo canto» – «opre femminili» 9-10; «vago avvenir» – «maggio odoroso» 12-13; «studi leggiadri» – «sudate carte» 1516; «dolce lode… negre chiome» – «sguardi innamorati e schivi» 45-46; «etàmianova,/Mialacrimataspeme» 54-55. [27]Cfr.daultimol’ed.Terzolicit., pp.133-134. [28] Cfr. Antologia leopardiana, a curadiG.Contini,cit.,adl. [29] Cfr. Lonardi, L’oro di Omero, cit.,p.153. [30] Il testo poetico. Teorie e pratiche d’analisi, Milano, Rizzoli, 1972,pp.39-41. [31]Sipuòanchenotarechepudicaè l’ultimaparoladiASilviadelParini. [32] Acerbo si può considerare un vero e proprio leopardismo: cfr. in particolare Passero solitario 21: «Sospiro acerbo dei provetti giorni», Ricordanze71-72:«l’acerbo,indegno/ Mistero delle cose», 173: «la rimembranza acerba», chiusa di componimento, Coro di morti del Dialogo di Federico Ruysch 21-22: «quel punto acerbo / Che di vite ebbe nome». Peruncommento allaQuietedopola tempesta Tutti i testi leopardiani, per esserecompresi,necessitanodi uninquadramentogeneralenel contesto in cui nascono. La Quiete dopo la tempesta è apparentabile (è lecito parlare di un dittico) con il Sabatodel villaggio. L’intera poesia è animata da una contraddizione/divaricazione fra la ragione filosofica e quellapoetica. Avantesto e titolo. Come è notoilprecedentepiùpreciso del Canto[1] è una nota dello Zibaldone 2599-2602 (7 agosto1822)incuiLeopardi, dopo aver affermato che «l’uniformità è noia» e che «la continuità de’ piaceri… anch’essaècontinuità,eperò noia, e però nemica del piacere» ecc., prosegue (isolo,contagli,unbrano): Ecco come i mali vengono ad esser necessariiallastessa felicità, e pigliano vera e reale essenza di beni nell’ordine generale della natura… Laonde le convulsioni degli elementiaaltrecose che cagionano l’affanno e il male del timore all’uomo naturaleocivile…si riconoscono per conducenti, e in certo modo necessarii alla felicitàdeiviventi,e quindi con ragione contenuti e collocati ericevutinell’ordine naturale, il quale mira in tutti i modi alla predetta felicità. E non solo perch’essi mali dannorisaltoaibeni, eperchèpiùsigusta la sanità dopo la malattia, e la calma dopo la tempesta: maperchèsenzaessi mali, i beni non sarebbero neppur beni a poco andare, venendo a noia, e non essendo gustati, nè sentiti come beni e piaceri, e non potendo la sensazione del piacere, in quanto realmente piacevole, durar lungo tempo ec. (Spuntipiùframmentariad esempio negli Argomenti di Elegie,ed.Rigoni,p.618:«E infinerimettendosilacalmae spuntando il sole e tornando gli uccelli al canto…», nella «Prima idea» della Telesilla, ed.Rigoni,p.671:«…canto mattutino degli uccelli, sole nascente,comemaituttoèin calma…», e soprattutto nella stessa Telesilla 13 ss.: «in poco d’ora / Torna il sereno… Ecco già ’l nembo allenta… Ecco vien fuori il sole/e’lcantodegliucceisi rinnovella…».)Ecfr.ancheil passo della Storia del genere umano cit. dalla Muñiz e d’altra parte l’idillio di GessnersegnalatodaVossler. Sembradunquecheiltitolo della Quiete[2] riformuli l’espressione che ho evidenziato in corsivo del Diario. Così però esso, per rispondere al requisito essenziale della brevità, risulta meno transitivo verso il contenuto del testo di altri titoli leopardiani (come il comprensivo Canto notturno ecc.); e non solo ovviamente perché non ne sintetizza l’intero arco, ma perché – a differenza di quello della seconda anta del dittico, Il sabato del villaggio – non risponde neppure a quanto rappresentato ed espresso nellaprimalassa:chenonèil momento di tranquillità dopo ilterrore,malaripresavivace dell’attività umana (e tanto più mossa e lieta dopo quel terrore), alla quale si associa lanaturastessa.Elatempesta coi suoi effetti è sì rappresentata o meglio suggerita, in modo estremamentesinteticoesolo alla fine della seconda lassa, con un’inversione dell’intreccio rispetto alla fabula, ma in tal modo accostandola strettamente al motivo ‘filosofico’ del «piacer figlio d’affanno». (Non è inutile comunque ricordare che una descrizione dettagliata di una tempesta, con «vento», «nembo», «lampi»e«baleno»figuranel FrammentoXXXIXdeiCanti, ivi introdotto solo nell’edizione del ’35 ma tratto dai primi 82 versi dell’antica, 1816, «cantica» Appressamento della morte.) Si potrà ipotizzare che il titolo indichi un non detto, cioèl’antecedente (la «calma dopo la tempesta») delle scene d’azione descritte nella primalassa?Oaddiritturache residuiunadiversaintenzione rappresentativa di questa? Tuttosommatoèforsemeglio accogliereancheperlaQuiete le osservazioni generali di Blasucci: «Verrebbe fatto di pensareaunasortadilangue titolatoria, rispetto alla quale la parole fu costituita dai testi», e: «scarto fra la tradizionalittà dei ‘soggetti’ annunciati dai titoli e la novità delle esecuzioni» ecc. [3] Quanto alla struttura nell’assieme, va osservato che le tre lasse sono di ampiezzadecrescente,24-1713 vv.: Blasucci ha parlato opportunamente di una «stretta», e certo l’effetto averbale è quello di una progressiva chiusura sentimentale. Ilassa.Varicordatochele modalità d’inizio che prevalgono nei Canti sono due (non di rado intrecciate): l’allocuzione e il periodare protrattoeaspirale,conforti subordinazioni[4]. Questo della Quiete, narrativo e ‘normale’, è fra le eccezioni, quasi a preannunciare l’andamento paratattico – e talora asindetico – e il fraseggiare breve che caratterizzeranno, con intenzioni via via diverse, tutto il Canto. Non è male osservare che le regole di maggioranza valgono per tutte le Canzoni (compreso l’Inno ai Patriarchi) e per tutti i Canti ‘napoletani’, anche in ciò eredi delle Canzoni (tuttavia l’attacco di Sopra il ritratto, se è allocutivo, è a segmenti brevissimi); mentre gli inizi ‘narrativi’ si trovano solo negliIdillieneiCantipisanorecanatesi(L’infinito, La vita solitaria, La sera del dì di festa,incertosensoIlsogno, Ilsabato,Il passero solitario –stannoaséIl primo amore e Il risorgimento), dove s’instaura il gusto per la rappresentazione obiettiva, rivissuta ma non tutta riassorbitanelsoggetto,epoi nel cosiddetto ‘Ciclo di Aspasia’ (Amore e morte, Consalvo, Aspasia), e si comprende il perché soprattutto per i due ultimi individuicitati. Questa strofa nella quale Leopardi canta (nel senso letterale del termine) l’epifania creaturale della struggente quotidianità che torna a manifestarsi dopo la minaccia (Vossler ha osservato giustamente che il Canto non parla mai di «quiete», ma sì di gioia di vivere), s’affida come forse non mai nei Canti a una grande specificità lessicale, atta a catturare la varietà e singolarità dei realia. Circa un terzo delle parole piene o sintagmi coesi che l’abitano sonoinfattihapax(olessicali o semantici o in un caso formale) nella raccolta e magari in tutta la poesia leopardiana.Precisamente:su 66‘parole’ein24versisono unica nei Canti le seguenti: far festa 2 (è nel saggio di traduzione dall’Odissea), gallina 2 (gallinella, assai meno ‘realistico’, più settecentescooarcadiconella Vita solitaria), verso (in questo significato) 4, rompe (id.) 5 da un precedente spunta, vedi oltre, ponente 5 (un esempio anche nei Paralipomeni), sgombrasi 6 (esempi solo nel Leopardi ‘minore’), umido 11 (vari esempi solo nel Leopardi minore), fassi ‘s’affaccia’ 13 (esempi simili solo nelle traduzionipoetiche),uscio13 (esempi nel Leopardi minore), vien fuor 14 (cfr. Telesilla sopra cit. e Paralipomeni),femminetta14 (contutt’altraconnotazione,e al plur., solo nei Nuovi credenti),cor(re)14insenso fisico, cfr. tutt’al più Guerra deitopiedelleraneIII8(tre difila!),piova15(altrovenei Canti sempre pioggia, come nelrimanenteconl’eccezione significativa di Telesilla 12, 115), erbaiuol 16, sorride metaforico 19 (un altro esempio, ma contestualmente diverso, nell’Appressamento dellamorte),terrazzi21(solo un altro esempio, nei Paralipomeni), famiglia nel senso arcaico di ‘servitori’ (non credo opportuna l’interpretazione attenuata ‘gente di casa’), (via) corrente 22, tintinnio 23, sonagli23,ripiglia 24, come solo in un testo poetico minore (nei Canti non compare mai neppure riprendere). In tutto 21, cifra eccezionale,chesipuòinoltre completare con voci attestate solo un’altra volta nei Canti, come, sempre nell’ordine del quotidiano, artigiano 11, giornaliero (questo ritorna solo nella specialissima Palinodia),logge21.Sivedrà che la situazione delle due lasse successive è tutt’altra. Più direttamente, il vitale affaccendarsi dopo la tempesta è espresso anche dalle ripetizioni iterative o moltiplicative: Tornata 3 – Torna 10; ogni… in ogni 8, Di sentiero in sentiero 17, Ecco…ecco19,Apre…Apre 20-21, e vedi anche RisorgeTorna a inizio dei successivi 9-10equantosidiràdeiverbi aprefissori-. Dunque in questa prima lassaLeopardiparticolareggia al massimo, e gioca la sua rappresentazione tutta sulle ‘azioni’. Tant’è vero che vi leggiamo solo due aggettivi qualificativi, chiaro e umido (questohapax come visto), e per di più entrambi non statici, pittorici, ma indicanti uno stato che deriva da un mutamento rispetto a un prima (il fiume non più offuscato, il cielo inumidito dalla pioggia recente: cfr. Paralipomeni VI 29, 4: «ed umide parean dalla procella»). Ancora più significativa è la rarità di quegli elementi che Luigi Blasucci ha memorabilmente individuato e definito come «infinitivi», o indeterminati/indefiniti[5]. In dettaglio:l’unicolessemacon questo valore è lontano 22 (piuttosto avverbio che aggettivo),perdipiùinpunta di verso e in inarcatura, che significativamente appare nel momento finale della rappresentazione, in cui questa sfuma dal borgo e accenna ad altro; e a «lontano» si possono accostare «là da ponente» 5 (vedi «Incontro là dove…», Sabato 10), la sintassi ‘presimbolista’ di «alla montagna»,forsel’assenzadi articolo in «augelli» 2 (v. ad l.)e«tintinnio»23.Leuniche parole di quattro sillabe sono femminetta 4 e giornaliero 18,cuièimpossibileprestare connotazioni infinitive. Mancano i plurali ‘moltiplicativi’ (i quattro di 20-21 sono ben concreti, pertengono alla varietà del quotidiano). Ancora: non si puòosservareunaprevalenza significativa del timbro à se nonsolonellostraordinariov. 7. Restano gli enjambements (vv. 4-5, 8-9, 13-15, 19-20, 22-23), ma in primo luogo nonsonoquinécosìfrequenti e consecutivi né così arditi come in altro Leopardi, e soprattutto la loro funzione, tenuto a parte il caso di 2223, non è tanto rallentativa, sospensiva, quanto quella di legare l’una all’altra secondo unritmoda‘allegro’lescene del ritorno alla vita, rilevandone quella lieta velocità di successione che è tutt’uno, come Leopardi per primo sapeva benissimo, con la loro ideale contemporaneità: Zib. 2041- 2042,3novembre1821: La rapidità e la concisione dello stile, piace perchè presenta all’anima una folla s’idee simultanee, o così rapidamente succedentisi, che paionosimultanee,e fanno ondeggiar l’anima in una tale abbondanza di pensieri,oimmagini e sensazioni spirituali, ch’ella o non è capace di abbracciarle tutte, e pienamente ciascuna, o non ha tempo di restare in ozio, e priva di sensazioni. La forza dello stile poetico, che in gran parte è tutt’uno colla rapidità, non è piacevole per altro cheperquestieffetti, e non consiste in altro ecc. (e cfr. anche ibidem 2239, 2336-2337 e Novalis, Frammenti 241: «Chissà quali effetti meravigliosi darebbe il sincronismo di più azioniecc.»). Eperciòillessicodiquesta prima lassa tende a indicare momentaneità nel tempo, finitezza nello spazio: via 3, «conl’oprainman»12,uscio 13, «Di sentiero in sentiero» 17, grido 18 ecc., e più vistosodituttoildeitticocaro a Leopardi ecco che appare tre volte, 4, 19, di cui due, a marcare ancor più l’allegro, in anafora lineare[6]. Con questodaprecisare,che,dato il tema del ‘ritorno alla vita’, lalassaètuttaattraversatada semantemi che dicono il passaggio dal chiuso all’aperto,daldentroalfuori, dall’indistinto al distinto: cfr. almeno «Sgombrasi la campagna» 6, appare 7, «Fassiinsul’uscio»13,Vien fuor (la «femminetta»), tra l’altro usualissimo, e replicato nell’incipit del Sabato:«Ladonzelletta…»(e vedi anche Ricordanze 50: «Viene il vento…»); Apre in anafora20-21. Delrestoalleminisequenze con ordine inverso, e dunque con rallentando, delle parole (1, 6-7, 11-13, 20-21, 23-24) si intrecciano, prevalendo, quelle con ordine retto (2-4, 4-5, 8-10, 13-15, 16-18, 1920, 22-23), e la rapidità ed essenzialitàcosìottenutesono rafforzate dal fatto che si tratta comunque di frasi semplici o semplicissime, senza espansioni, con poche subordinate che sono tutte o implicite o elementari (relative brevissime), fattuali: «Odo… far» 2, Tornata 3, Che ripete 4, a mirar 11, cantando 12, a còr 14, che ritorna19,che…ripiglia24. Mai forse Leopardi è riuscitoaesprimeretantocon così poco (anche con tale modestia di registro). Viene inmentelacelebrerispostadi Mozart a Giuseppe II che gli rimproverava di aver usato «troppe note» nel Ratto dal Serraglio: «Neppure una più delnecessario,Maestà».Così lavorano i classici. Ma l’estrema semplicità, al servizio non meno dell’enárgheia che del canto, che distingue la lassa anche rispetto ai testi precedenti dell’autore, non impedisce che questi versi siano poi strutturati, pur senza eccesso di determinazione, in modo sapiente,alternandoiriquadri relativi all’udito con quelli relativi alla vista, così: 2-4 udito; 4-7 vista; 8-10 udito; 11-13, cioè al centro, l’uno e l’altro; 13-15 vista; 16-18 udito; 19-21 vista; 22-24 udito. Tale alternanza attraversa la bipartizione d’altra natura di ‘esseri o fenomeni non umani’ 1-7 / ‘esseri umani’ 7 ss. (con confine dunque, accortamente, entro lo stesso verso): con la sola interruzione di 19-20 dove però il sole «ritorna» e «sorride», cioè è dotato di metafore umanizzanti, tanto più notevoli in un poeta scarsamentemetaforicocome Leopardi. Ancorpiùsignificativaèla formametrica,primaadover risolvere la rappresentazione in canto. Fino al v. 18 dominano i settenari (11 contro7endecasillabi),dicui quattrodiseguitoa15-18,per di più a coppie di rime baciate (la prima preceduta anche da rima con 13), e baciate sono anche le rime con endecasillabi di 1-2, al mezzo, e di 5-6. A questo andamento cristallino e melodiososiopponeloslargo finale, 19-24, che funge pure da‘segnaledichiusa’,eilcui avvio è segnato dalla accelerazione sospinta dalla doppia anafora (ecco, apre): tutti endecasillabi. A guardar megliosivedechecomunque gli endecasillabi hanno il ritmo arioso e rapido, così caro a Leopardi, di x-6a-10a (eventualmente 6a-7a), dunque ripetendo al loro interno la forma del settenario, e spesso, a confermarla, all’interno di versi con pause più o meno marcate dopo la settima sillaba(2,4,5,8ecc.).Unica eccezione, e sempre nello slargo finale simile a una «coda», proprio l’ultimo endecasillabo, di 4a-8a. Per inciso è da vedere, in questo finale, se il personaggio del passegger non possa essere intesoanchecomeallegoriao figura dell’io poetante che si stacca («il suo cammin ripiglia») da quelle care manifestazioni di vita per rientrare in sé e giudicarne il senso[7]. Ciò darebbe anche meglio ragione della sua diversità, anzitutto di ritmo e distensione, da ciò che lo precede. L’ipotesi pare confermata dal fatto che in un’Operetta del ’32 un allegorico Passeggero dialogherà con un venditore di almanacchi, e anche dal viatore, preceduto dal carrettier,delTramontodella luna29(e19),ecfr.ancorala Vitasolitariacitatasotto. Da molti punti di vista questa prima lassa della Quiete può considerarsi la prova generale delle due prime del Sabato. Ma le differenze sono forse più notevoli delle affinità. Se all’artigiano e all’erbaiuolo rispondono lo zappatore e il legnaiuolo (rima ‘virtuale’ a distanza), la «femminetta» si sdoppia nelle pur vezzeggiative «donzelletta» e «vecchierella», e nuovi nel Sabatosonoi«fanciulli»(che pur «gridano» come l’erbaiuolo), a uno dei quali non per nulla si rivolge la gnome finale: «Garzoncello scherzoso…».Nonsolo,maa trediquestipersonaggispetta uno sviluppo sintattico (1-7, 8-15, 31-37) ignoto, anche per via delle subordinate ‘larghe’ che abitano queste tratte, alla prima lassa della Quiete, che fissa singoli atti puntuali, quando invece quello della donzelletta si protende nell’immediato futuro della festa, la vecchierella recupera narrandolo il suo passato e il lavoro del legnaiuolo si prolunga lungo tutta la notte. Questamaggiorenarrativitàe diffusionesicollegaancheal fattochenellaQuietelevarie scene sono immediatamente successive o meglio idealmente contemporanee, mentre quelle del Sabato si sgranano lungo l’arco temporale tramonto-seranotte. Si lasciano questi ventiquattro versi, tra i mirabilissimi di Leopardi, con la sensazione che la descrizionecheviècondotta, come e ancor più quella del ‘gemello’Sabato,nonsolosi distacchi totalmente dalle stilizzate e convenzionali in voga nella lirica precedente, ma in realtà aggetti sulle descrizioni della grande narrativa ‘realistica’ del secolo (penso ad esempio, conGirardi,aTurgenev). 1. Inizio (che fa eco al titolo e riassume il presupposto della descrizione) settenario, come altre volte nelle Canzoni ‘regolari’elibereapartireda AllaSorellaPaolina,mamai come qui a costituire un periodo-verso (cfr. semmai solo l’attacco epigrafico di Soprailritratto:«Tufosti:or qui sotterra…», e vedi Contini, che paragona con «Perìl’ingannoestremo»diA se stesso: «inversione enfatica,delsoggettoedentro ilpredicato»).Puòessereche l’anastrofe, comune in Leopardi,risentadellatino.E vedi il commento della Muñiz. 2. augelli, voce letteraria (esclusiva nei Canti; cfr. per contro anzitutto il titolo di un’Operetta, Elogio degli uccelli e uccelli in testi altri daiCanti),èseguitosubitoda gallina, parola familiare. Ma mentre nelle Canzoni e nei Canti fiorentino-napoletani simili compresenze danno volentieri luogo, espressivamente, a scontro tonaleocozzodell’aulicocol prosaico, negli Idilli e nei Canti pisano-recanatesi sembrano, quasi miracolosamente, armonizzarsi senza residui. È quanto avverrà anche nel più leopardiano dei poeti del Novecento, Saba, che parlerà di «creature della vita / e del dolore». – far festa (che ha sostituito anche per le suddette ragioni metriche la lezioneovviacantare: le due espressioni alternano all’inizio dell’Elogio degli uccelli, dove è anche il loro tacere nella «tempesta»): la parola tematica festa fa rima al mezzo immediata e antinomica con l’altrettanto tematico tempesta, presentando subito i due opposti concettuali della strofa, e quasi a preannunciare anche da questo punto di vista il Sabato, dove festa rima al mezzo con appresta 6-7 (figura metrica identica a questadellaQuiete),tornando poi sempre al mezzo a 12 (e vedifestaalm.: diresti22)e due volte, una al mezzo, in rima con cotesta 47-49-50. Metricamente va osservato chelarimabaciatainizialedi settenario con settenario ‘interno’ non ha esatti equivalenti nel resto dei Canti, dove si trovano tutt’al più, e forse proprio per sviluppo di questo incipit della Quiete, a7A11 (Il pensierodominante)eA11a7 (Amoreemorte).–lagallina: di qui in poi tutte le creature cheagiscononellalassasono munite di articolo determinativo:lagallinaecc., come anche in Di Giacomo, Natavernella…,checertoha per modello la prima strofa della Quiete, mentre ad esempio in Pascoli, Primi poemetti, L’alba, I, si ha: «Raspavaunagallinasoprail ciglio / d’un fosso», e vedi nello stesso Leopardi, Supplemento agli Idilli, p. 637Rigoni,l’indeterminativo plurale: «Galline che tornano spontaneamente la sera alla loro stanza al coperto». Poichéildeterminativononè solo deittico e specificante, ma indica il noto (l’indeterminativo invece il nuovo), ne viene che questa scelta rivela in modo tanto sottile quanto determinante il carattere fortemente creaturale della rappresentazione, e anzi il fatto che quelli che Leopardi via via mette in scena non sono apparizioni (epifanie) inconsuete ma riconoscimenti. Quel ritorno alla vita che è il tema oggettivo centrale della lassa è dunque anche il tema centrale dell’io poetante, che festeggia questo ritorno (per le ragioni dette non va accettatal’ipotesidiStraccali e Antonioni che femminetta 14 sia sineddoche per il plurale).Lastessastrategiasi ripeterà,conlacomprensibile eccezione dei fanciulli, nel Sabato, e anzi si confronti il suo primo verso col similare degli Argomenti di Idilli, II, Lefanciullenellatempesta,p. 636Rigoni,sempre in avvio: «Donzellette sen gian per la campagna». Per la gallina notare ancora l’opposizione del suo determinativo all’indeterminativo plurale di augelli, che s’aggiunge a quelladellessemaquotidiano alletterario. 3. Tornata si ripete in modo quasi anaforico (sintomaticamente per correzione) nel Torna di 10. È appunto il tema fondamentale della lassa, rafforzato da tutti i verbi con prefisso ri- che, come notato da L. Blasucci[8], la percorrono: ripetere 4, risorgere 9, rinnovare 16, ritornare 19, ripigliare 24; accanto ai quali si può citare il riconfortarsi di Sabato 23[9]. Per altro verso tornata farimainternaconPassata1, come via all’esterno imperfettamente con gallina 2,ilcheaggiuntoallarimaal mezzo di 1-2 costituisce la stretta gabbia metrica che avvolge l’inizio della strofa[10]. 4. verso: la parola, di timbropopolarepiuttostoche dotto, data anche la presenza dellavariantecantarealv.2, e di campagna in rima 6, è implicata quasi sicuramente con la correzione di verso in canto(dellarana)nellevicine Ricordanze 12 (con campagna in punta di verso 13 e anche Mirando il cielo 12, cfr. qui 11). – sereno, nella relazione con chiaro 7: cfr. Sabato 46: «Giorno chiaro,sereno». 5. Rompe ‘erompe’, irrompe’: acquisto netto rispetto al precedente spunta, non solo in quanto passaggio dal più al meno ovvio, dal generico allo specifico (e rompereneiCantihasempre altri significati), ma per l’aumento di vitalità ed energia, che rimbalzano nel successivo sdrucciolo Sgombrasi, anche allitterante a inizio verso con Rompe. Peruzzi e Lonardi[11] hanno ipotizzato un rapporto con l’omerico (Il. XVI 297) uperráge áspetas aither ‘s’è rotto l’immenso cielo’, ma invero usi del tutto simili del verbocadonoinautoriitaliani certo presenti a Leopardi, come il Frugoni: «al romper de la luce», il Bartoli, da lui ammiratissimo: «al romper dell’alba», e cfr. GDLI, s.v., §§ 79-85, nonché il Foscolo, Ortis, cit. da D. De Robertis. Sarà forse da questo luogo leopardiano che Montale, Notiziedall’AmiataI,rileverà il suo «dove tra poco romperai». Sembra trattarsi comunque di uso metaforico poligenetico, cfr. ad esempio ChrétiendeTroyes,Ivain,ed. Roques4923:«quantvintque l’aube fu crevee», o in tutt’altra area Trakl, Die Sonne, in chiusa: «Sonne aus finstererSchluchtbricht». 6. La rima baciata montagna:campagna,eanzi precisamente fra endecasillabo e settenario, è anche nell’Imitazione da Arnaut,6-7. 7.Èilversochenonatorto pareva a Saba il più bello della letteratura italiana. Ma anche questo non nasce dalla testa di Giove, diviene e si compie.Alpostodiapparesi aveva dapprima splende e la correzione, oltre a cassare qualcosa di piuttosto trito e ridondante(rispettoachiaro), va dal decorativo e statico al puramente fenomenico e dinamico,ealsemplicissimo. Ma la semplicità del verso divino sprigiona pure risonanze che solo l’immissione di appare crea: assonante fortemente con «valle» e in quasi-rima, a cornice, con «chiaro». Da aggiungere che appare in punta di verso (e rima baciata) è documentato solo in Angelo Mai 90, in chiusa della strofa forse più notevole, sulla conoscenza delmondochenediminuisce, fuorché al «fanciullin», la vastità. 8-10.Periodovelocetuttaa stacchi asindetici, come si conviene al rivelarsi e accavallarsi di queste ricorrenze del già noto e amato (vedi ancora in seguito16 e, moderati dall’anafora,19e20-21,eper finire23). 9. Allitterazione fonosimbolica su r, ri o r+o; dapartesuarumorioèancora un lessema iterativo (da cfr. con «fanno un lieto romore» Sabato27,hapax,cheinvece indica l’effetto complessivo), replicato più avanti da tintinnio23. 10. Lezione primitiva «Riede il garrire usato», normalizzata: il petulante garrire sarebbe stato hapax nei Canti, mentre la sostituzione di riede andrà messa in relazione con Sabato 28: «E intanto riede alla sua parca mensa…» e soprattuttocon Seradeldìdi festa 26: «… dell’artigian che riede a tarda notte…». Alla lezione corrigente si deve anche un rapporto fonico più perfetto col verso precedente: «Torna il lavoro». – usato ‘abituale’ come giornaliero ‘di tutti i giorni’ 18 e anche suo ‘suo solito’ 4 sottolineano il motivo del ritorno agli atti e alle occupazioni quotidiane. Per tutto il verso cfr. poi Sabato41-42,finestrofa:«ed al travaglio usato / Ciascun unsuopensierfaràritorno». 11. Qui ricompare dopo Sera 26 il sostantivo ‘di genere’, cui nel Sabato corrisponderà quello più concreto, di specie, il legnaiuol. – naturalmente mirar non va inteso come doppione aulico di «guardare», ma nel suo preciso valore di azione continuata e lieta (vedi del resto cantando 12): cfr. «Mirava il ciel sereno» A Silvia 23, «Mirando il cielo» Ricordanze 12. E per l’assieme vedi, a parte Sera deldìdifesta25-27,Parini,Il mattino II 14-16: «Allora [alla «nascente del sol luce»] sorgeilfabbro e la sonante / Officina riapre, e all’opre torna/L’altrodìnonperfette ecc.», da cfr. anche, qui, con Apre… Apre 20-21 e soprattuttocontornaall’opre 30. 12. opra ‘manufatto’ specificaillavorodicuia10, e i due sostantivi sono accostati in Ginestra 207; vediancheRicordanze18-19: «le tranquille / Opre de’ servi». – cantando: la suggestione del verbo è accresciuta, oltre che dall’incisoinfineverso,dagli echi fonici: «con» e «man». Non sfugga ancora una volta il maggior ‘realismo’ del Sabato29:Fischiando. 13. Fassi: l’analogia fonetica, sintattica e di posizione con Sgombrasi 6 suggerisce il rapporto di causa ed effetto fra illimpidirsidellanaturaelieto affacciarsidell’artigianofuori dellabottega. 14. Verso legato da allitterazione di f- e rima interna fuor-còr. La femminetta, certo d’origine dantesca (o anche manzoniana ecc.), è da leggere, come la donzelletta (elavecchierella)delSabato, quale alterato dolcemente affettivo. Anzi se veramente qui Leopardi rimodula Dante e la sua femminetta samaritana, allora ne riesce accresciuta la viva creaturalitàdel‘personaggio’. 15. piova: cfr. Zib. 4495; giuntura con novella e posizioneinrimarendonopiù che possibile il riecheggiamento di Ger. Lib. XIV 32, 8 (: nova), e comunque l’allotropo era della tradizione (Dante…); ma non è escluso il concorso della forma regionale, il che insinuerebbeunaltrotoccodi realismo.Notarepurelarima paronomasticaconprova. 19-21. La costruzione dei due segmenti è interamente chiastica:inordinenormaleil primo, 19-20, in ordine inverso,VOS,ilsecondo,2021; e le replicazioni anaforiche delle due parole, entrambebisillabiche,stanno, sempre inversamente, nelle stesse posizioni: in apertura di verso il primo Ecco e il secondo Apre, in sede di settima-ottava dopo pausa, e ribattendo l’ictus di sesta il secondoeccoeilprimoApre. Comunque la duplice anticipazione del verbo rispetto al soggetto, la famiglia,èincarattereconla natura fortemente verbale, cioè evenemenziale, di tutta lalassa.Esemanticamentesia i due avverbi deittici che i due verbi di novità e moto, anticipati,veicolanononsolo la velocità di percezione, ma un’alacrità da ‘improvviso’ che è di tutte le scene. Si osservi infine la quasi-rima interna poggi – logge, ambedue pure bisillabi. Per sorride cfr. Pepoli 128-129: «degli aprichi / Campi il serenoesolitarioriso». 22-24. Si sa che questi versi rielaborano il primo appunto (poetico) dello Zibaldone, luglio o agosto 1817:«Nella/(dalla)maestra via s’udiva il carro / Del passegger, che stritolando i sassi,/Mandavaunsuon,cui precedeadalungi/Iltintinnio de’ mobili sonagli», a sua volta in rapporto con un luogo della Notte pariniana (D. De Robertis). La rielaborazione comporta come ci si attende un lavoro ‘inlevare’eunabbassamento di registro: tre versi in luogo di quattro, eliminazione dell’esornativo mobili, passaggio da da lungi a lontano ecc. Ma restano i cardini della rappresentazione, come il sintagmaDelpasseggernella stessaposizioneainizioverso esonagli,cheoraanzivienea creare rima inversa al mezzo con «famiglia»: «ripiglia». Due le sostituzioni notevoli: da(via) maestra(cosìancora come variante nell’autografo del Canto) a corrente, probabile regionalismo e che va a riprendere ponente (in pausa) 5; e da «stritolando i sassi» a stride, con cui si elimina una notazione troppo ‘espressiva’ e realistica, ma conservando acutamente la sillaba iniziale fonosimbolica stri- e aggiungendo quasirima al mezzo con l’aguzzo grido di 18. Cfr. anche Vita solitaria 78 ss.: il «ladron» «ch’a teso orecchi / Il fragor delle rote e de’ cavalli / Da lungi osserva o il calpestio de’ piedi… Al passegger…» (qui anche una ragione del passaggiodalungi>lontano nella Quiete?). Interessantissima è la transizione dall’Odo personaledi2aquest’odiche non è certo autodialogico ma impersonale, come indicato dal s’udiva dello Zibaldone cit.edaidueodidiSabato33 (con cui diresti 22). Transizione chiarissima, a conferma di quanto detto più sopra, da una rappresentazione diretta dalla regìa del soggetto ad una vivacissimasìmaoggettiva. II lassa. È nettamente divisa, dal punto di vista sia sintattico che tonale, in due parti. Nella prima, 25-31, dopo il verso d’avvio che si aggancia come vedremo alla prima lassa, si sussegue una cascatadiinterrogative,anche sostenute da anafore (Sì 25, Quand(o) 27-28 e 31, O30), breviequasicompulsive,che sonotipicissimedellostiledi Leopardi, sempre oscillante tra affermazioni definitive e meraviglia, appello: cfr. fra i tanti esempi, eventualmente pure anaforici, All’Italia 2537; Sopra il monumento 54 ss.; Angelo Mai 1 ss.; Alla sorella Paolina 39-45, a lasciar sospesa, come anche altrove,lafinedistrofa;Aun vincitore 27-34; Alla primavera 1-22, a cavallo di strofa;Seradeldìdifesta33 ss.; A Silvia 56-60; Ricordanze 136-140; Pensiero dominante 69-76 e 136-147 (l’intera ultima strofa); Sopra un basso rilievo 1-7 (un’intera strofa); Sopra il ritratto 50-56 (un’intera strofa, l’ultima). E anchequestofenomeno,quasi assente dagli Idilli e dall’unicum che è il Risorgimento, appare come un lascito dello stile mosso e patetico delle Canzoni al Leopardi speculativo più tardo. La seconda parte, 32-41, a partire dal concisissimo aforisma in sintassi nominale di 32, procede appositivamente secondo modalità ragionative che comportano pure lo slargarsi dei periodi, con subordinate incassate (anche qui con anafora su onde, ma a distanza, 34-37, a pausare lo sviluppo periodale). È singolare e notevole che a marcare ulteriormente questa bipartizione la lassa sia costruita, ovviamente con libertà, un po’ come una stanza di canzone: 25-30, ‘fronte’ abbacC, con la serie più lungamente stretta da rime del testo; concatenazione a 31 con «ricorda» che riprende in figura etimologica core e anche «amore» – or – «torna»; quindi una sorta di sirma liberamente rimata, ma con timore 34 che fa rima al mezzo coi due -ore della fronte.Adifferenzachenella prima lassa, qui dominano assolutamente i settenari (13 su 17 versi, e due volte in sequenze rispettivamente di cinque e quattro: 25-29, 3538), coerentemente all’affanno interrogativo e (apparentemente) euforico da un lato, alla scansione sentenziosa e meditativa, e nettamente disforica, dall’altro. Ma si può osservarecheil‘taglio’chesi viene a determinare fra i vv. 31e32separaunapartedella lassa che sta con la I come commento alla descrizione, e una seconda che sta con la terza come suo avvio ragionativo, per cui alla divisione in tre strofe si sovrappone,conunaspeciedi doppia inarcatura interstrofica, una bipartizione elocutivaetonale. Portato comunque il discorso sulla costanza della ragione, prevale ovviamente nella lassa il lessico intellettuale, per sua natura scarsamentespecificorispetto a quello specificissimo della lassa precedente: due hapax in tutto, smorte 38 e folgori 41, nel luogo in cui la diagnosi del negativo aguzza la propria espressività. E infatti come lì venivano alla luce creature differenziate colte in un loro atto caratteristico, qui si accampano astrazioni totalizzanti, sinonimie di un unico denotato, l’uomo in generale (ogni core, metonimia, 25, e ancor più chiaramente L’uomo 29 e le genti, plurale antico e francesizzante,39). 25. Il verso rovescia in chiasmo perfetto o antimetabole l’«Ogni cor si rallegra»di8,producendonel cambio d’intonazione un accordo di amaro e pur pietoso sarcasmo verso le illusionideiviventi(‘già,tutti si rallegrano, ma…’), e annunciando sottilmente nel rovesciamento sintattico quello ragionativo delle lasse II-IIIneiconfrontidellaI.Lo slittamento poi è tale anche perchéciòchelàerarelativo, compiendosi nella frase che seguiva («Ogni cor si rallegra,inognilato…»),qui diviene assoluto, stretto nel settenario e dal punto fermo. Sebastiano Timpanaro, seguito da Blasucci[12], ha visto giustamente in questo verso un aprosdóketon o ‘effettodisorpresa’. 26-27. gradita : vita, vedi (età) fiorita : vita (il verso contienefesta),Sabato44-47, e soprattutto la rima identica vita:vitanel Cantonotturno 9-10(almezzo),17-18,53-55 (e comunque vita, con viver(e),vièparola-chiave).– Perilparticipio-aggettivocfr. Sabato38:«Questodisetteè il più gradito giorno». – Il deittico temporale or segnala la contemporaneità ideale del commentante al commentato, essenziale nella Quiete; così OrinSabato20. 28. amore: meno determinata e meno ‘filosofica’ la variante senza seguito diletto, che d’altra partesarebbestataripetutada diletti44,-o46,evedianche Passerosolitario38. 29. studi ‘occupazioni’, ‘impegni’ (latinismo) oltre cheinVincitorenelgiocodel pallone 39 è in Operette, Dialogo di Timandro e Eleandro, § 31. Intendere in questo senso e costrutto è arcaizzante/latineggiante,ein unione con studi lo usa il Monti(cfr.GDLI,s.v.). 30.torna:riprendeilverbo chiavedellalassaprecedente, 2 e 10. – opre: generalizza l’opra di 12. – cosanova: in unprimotempocosenove.Il passaggio al singolare è interpretabile sia come dissimilazione rispetto al plur. «opre» che come impulsoacategorizzare(vedi sopra).–Ilverso,chiusadella ‘fronte’, si arricchisce perciò di una rima quasi paronomastica, oltre che baciata,diunapartituraquasi omotimbricasullaòeinoltre, cosa tutt’altro che frequente inLeopardi,diunritmolento euniforme,tuttogiambico. 31. mali suoi: aggettivo posposto per enfasi, sicché si hachiasmocolsuoistudi,più neutro, di 29 (la vera realtà dellavitasonoimali). 32. Verso eccezionale per lacongiunzionedellabrevitas aforistica con la sintassi nominale in funzione di principale da cui dipende in forma di apposizione il resto della lassa. Schegge di sintassi nominale non mancanoinLeopardi(cfr.per es. Alla Primavera 77-78; Passero solitario 13, Ricordanze 148, A se stesso 9-10), ma mai con questa energia di pronuncia[13]. Il singolare-etichetta piacer(e) porta con sé anche quello di affanno (così anche ad esempio in Canto notturno 108, ma ad esempio «dolci affanni» in Ricordanze 5, «affanni intensi» in Aspasia 64). 33. vana: quasi-rima al mezzo con affanno, e per il concetto cfr. Dialogo della Natura e di un’Anima, § 16: «nell’universale miseria della condizione umana, e nell’infinita vanità di ogni suodilettoevantaggio»;Ase stesso16:«El’infinitavanità del tutto», Pensiero dominante 26: «E di vano piacer la vana speme» ecc. Quasi inutile ricordare che la vanitas è motivo dominante inLeopardi. 34. timore: cfr. Zib. 66, e per la congiunzione t. – affanno Cantico del gallo silvestre,§15.–siscosse:da un precedente fu vinto: forse anche per eliminare la quasi identitàconvento40,purein punta di verso (e vedi n. a 40);nenascecomunquerima imperfetta al mezzo con Mossi. 35-36. Altro chiasmo, che dà ulteriore rilievo al cortocircuitomorte-vita. 37.Onde:comeètipicodei Canti, l’anafora (unita alla pausa media del punto e virgola) da un lato marca un crescendo ma dall’altro frena un periodo ‘lungo’. Ripresa solosimilediondein Ultimo cantodiSaffo38-41. 38. Nuda e concentrata terna asindetica che distribuisce gli effetti del terrore, senza ridondanza alcuna,fratresensidiversi. 39. Osservare la rima interna che sottolinea il terrore (e di solito il verbo palpitareèusatodaLeopardi per il linguaggio del cuore). Quanto ai passati remoti, comemostralegenti(eanche il successivo nostre) si tratta quasicertamentediperfettial modo dei perfetti cosiddetti «gnomici» (o meglio ‘acronici’) latini. Il riferimento ai protagonisti della I lassa sembrerebbe del tuttoimprobabileestonato. 40. È notevole la sovrapposizione dell’inclusivo nostre (che anticipa il noi di 46) a un grammaticalmente corretto *loro: quanto dire ancora passaggio dall’exemplum a una legge generale dell’esistenza umana, che peròcoinvolgeemotivamente chil’enuncia. 41. La stretta correlazione con la terna di 38 è però variata sapientemente dalla congiunzione tra secondo e terzo elemento, che per altro verso è opportuna in sede di chiusa di lassa, che come sempre predilige il rallentamento. – vento rima espressivamente (e anche semanticamente) con tormento 37, ma in realtà anche con «paventò» 35, «genti» e «vedendo» 39. Dunque la parola finale della lassa è sovradeterminata fonicamente. III lassa. Anche qui l’andamento ragionativo e gnomico va assieme al carattere mentalistico, e perciò non più specifico, del lessico. Gli hapax, oltre al risana che sigilla il testo (e dev’essere inteso in senso prettamentematerialistico),si concentrano nel sobbalzo sarcastico e amaro del v. 49: «Che per mostro e miracolo talvolta…» (coppia parasinonimica).Alcontrario, per prendere solo due casi, il verbo spargere è di notevole frequenza nei Canti, e l’espressione «umana prole» vi ricorre più volte, fino a Ginestra 199 (col precedente «prole/Dell’uomo»).Eancor più che nei versi discussi finora la stretta semantica si appoggia alle ripetizioni verbali: questi 43-44, la serie interna «porgi» – «spargi» – «sorge» 45-47-48 (quest’ultimo, anche per variatio rispetto a 50, da un precedente nasce), pena-pene 45-47,duolo-dolor(«D’alcun dolor» non per nulla corretto da «Da i mali tuoi») – dolor 47-53-54, felice (in rima inclusivaconlice)–beata(v. sotto) 51-53, la coppia anche allitterante di 49 ecc. È in totale un linguaggio da saggista o ‘moralista’ impavido, che però si anima poeticamente attraverso il movimento allocutivo, la sintassi chiusa e affannosa, il crescendo finale. La sintassi: di fronte al periodo lungo e avvolgente che occupa la ‘sirma’ della II lassa, si staglia qui un periodare fortemente assertivo e martellato a frasi brevi o brevissime legate quasi sempre asindeticamente – un po’comeseognunafosseuna gnome a sé (congiunzione solo a 47 entro il periodo relativamente più sviluppato perché è il centro della dimostrazione, ampliando l’aforismadi32). 42. La posticipazione dell’aggettivo nell’allocuzione è sottilmente sarcastica, e lo è comunque l’espressione e ciò che segue se confrontata col suo parallelo intertestuale, Vita solitaria 14 ss.: «Alcuna / Benché scarsa pietà pur mi dimostra / Natura in questi lochi, un giorno oh quanto / Verso me più cortese!». Il valore antifrastico e disforico dell’invocazione è anche confermato dalla rima (apparentemente) antitetica con offese della lassa precedente, 40, che da parte sua sembrerebbe appoggiare l’ipotesi di una sostanziale bipartizione del Canto. Legamentimetriciosintattici (aperture con e ecc.) tra una strofa e l’altra sono peraltro frequenti nei Canti (cfr. il quartosaggiodiquestolibro), sovrapponendounacontinuità deldiscorsoalladiscontinuità metrica.Peraltreinvocazioni alla natura cfr. in particolare A Silvia 36: «O natura, o natura…» e Sopra un basso rilievo 98: «Come, ahi come onaturailcortisoffre…». 43-44. Altro chiasmo (parziale) e quasi-rima al mezzodoni–sono. 45-46. Altra transizione dall’oggettivo al soggettivoinclusivo: mortali-noi. E lo stretto accostamento fra pena e diletto intensifica il paradosso della sentenza. Sullaqualevedispecialmente il parere dell’Islandese nel relativo Dialogo, chiave di volta nello sviluppo del pensiero leopardiano, § 6: «disperato dei piaceri, come di cosa negata alla nostra specie, non mi proposi altra cura che di tenermi lontano dai patimenti» e § 10: «non godendononpatire»,eanche il passo del Ruysch cit. da Straccali. 47. L’inversione disloca al primo posto del verso pene, facendolo corrispondere, per insistenza sui termini dell’infelicitàumana,aduolo che lo chiude. Con mano si apre una catena fonica che prepara la rima conclusiva Umana:risana:«Spontaneo» 48, «tanto» ibidem, «affanno» e «guadagno» 50. La riduzione fonica cresce in tutta la lassa su quella lessicaleosemantica. 51-54. Il crescendo nel negativodell’allocuzione,che come è tipico di Leopardi consegue con la veemenza del pathos alla catena di asserzioni senza scampo, sfocia nel paradosso (o apparente ossimoro) della morte risanatrice, ed è scandito per maggiore inevitabilità secondo il cosiddetto schema del makarismós, «assai felice… beata», già usato nei Canti, meno perfettamente ma sempre in chiusa assoluta, in Vincitorenelpallone61-65,e poi in Consalvo 119 ss. Leopardi avrà avuto probabilmente in mente l’esempio celebre dei Sepolcri di Foscolo, 165 ss.: «Tebeata…Mapiùbeata…» (poco dopo la Quiete cfr. ad es. Monti, Feroniade I 142 ss.: «Felice… e felice… ma mille volte / più felice e beato», invero con la sovrabbondanza del poeta «dell’orecchio»). Per il concetto vedi tra altro Dialogo di un fisico e un metafisico,§23:«Mainfine, la vita debb’esser viva, cioè veravita;olamortelasupera incomparabilmente di pregio»; Coro del Ruysch; Cantico del gallo silvestre, § 13: «Pare che l’essere delle coseabbiapersuoproprioed unicoobbiettoilmorireecc.», preceduto dallo straordinario passoquasihegeliano(§12): «Tal cosa è la vita, che a portarla, fa di bisogno ad ora ad ora, deponendola, ripigliare un poco di lena, e ristorarsiconungustoequasi una particella di morte»; Dialogo di Plotino e di Porfirio, § 45. Altri riscontri neiCommentatori. 51. eterni: eufemismo classicheggiantecherisponde a mortali 45; e tutta la frase esclamativa vale come corollario e intensificazione dell’iniziale «O natura cortese…». Quanto alla correzione estrema del primitivodegna di pianto!in cara agli eterni (e cfr. «gli eterni» in Tramonto della luna 46), risponderà all’intenzione di diminuire il patetico a favore del sarcastico. 51-52. Cfr. la rima interna lice : infelice in Palinodia 190-192. 54. L’assoluto ogni (lezione iniziale ripresa significativamente dopo aver correttoindeltuo)sioppone risolutivamente al relativo alcun detto al v. precedente sempre del dolore, come l’anticipazione e conseguente tonicità del pronome personale di seconda persona (te)riferitoall’«umanaProle» personalizza amaramente l’allocuzione. Per il concetto è da citare almeno il VI dei Pensieri(ed.Durante,p.10): «Lamortenonèmale:perché liberal’uomodatuttiimali,e insieme coi beni gli toglie i desiderii ecc.», e soprattutto Dialogo di Plotino e di Porfirio, § 12: «la natura ci destinòpermedicinadituttii mali la morte», e ibidem, § 46. Conclusioni provvisorie 1. Naturalmente nei suoi scritti o appunti filosofici Leopardi può anche assimilare piacere e felicità (cfr. ad es. Dialogo di TorquatoTasso,§15(11ss.), Zib.4087:«dipiacere,valea dire di felicità», e cfr. anche ibidem3877),madiregolane sottolinea piuttosto l’implicazione (ibidem 3877: «desideriodifelicità,equindi di piacere», 4128: «Il fine naturale dell’uomo e di ogni vivente, in ogni momento… nonènèpuòesserealtroche la felicità, e quindi il piacere…»), e dunque distingue i due concetti (cfr. adesempioibidem2599ss.e in genere formule come «La felicità nè il piacere», «il piacere nè la felicità»). E nella Quiete l’oggetto della meditazione poetica non è evidentemente la duratura felicità ma il passeggero piacere (cfr. anche gioia apposizione immediata di piacer 33, diletti-diletto 4446): sulla cui natura, non meno che sull’altra nozione, Leopardi ha meditato continuamentenelsuoDiario (epoinelleOperette,comeil Tasso,§§11ss.:«ilpiacereè sempre o passato o futuro, e non mai presente», e il fondamentale Islandese) a partire almeno dall’aprile 1820 (165-167), riducendolo a mera cessazione del dolore (o del terrore ecc.), secondo quanto aveva ragionato diffusamente il razionalismo del Settecento, da Montesquieu e Maupertuis a Pietro Verri e Ortes. E vedi anche, per il piacere come «privazione» o «depressione di sentimento» piuttosto che «sentimentovivo»,Zib.40744075, per la sua natura di concetto o desiderio e non di realtà cfr. ancora Dialogo di TorquatoTasso,§11.Quanto allafelicità,adessocollegata, cfr. almeno le affermazioni drastiche del Dialogo della Natura e di un’Anima, § 16: «tutte le anime degli uomini… sono assegnate in preda all’infelicità», del Dialogo di Timandro e Eleandro, 29: «Tutti siamo infelici, e tutti sono stati», e diZib.4074-4075:«…lavita è naturalmente uno stato violento [espressione che torna nel Tasso], perché naturalmente priva del suo sommo e naturale bisogno, desiderio, fine e perfezione, che è la felicità. E non cessandomaiquestaviolenza, non v’è un solo momento di vita sentita che sia senza positiva infelicità e positiva pena e dispiacere» (o ancora ad esempio ibidem 3814 sull’equivalenzadiinfelicitàe morte, 3846 sulla felicità ‘negativa’, 4074-4075, 4175, 4505, 4517, Dialogo di un fisico e un metafisico, § 6 ecc.). 2.Nessuntestoleopardiano singolo è comprensibile fuori delsuocontesto,unaraccolta così essenziale e studiata come i Canti. Nel caso della Quiete si impone però prima dituttoilconfrontoserrato,al quale ho cercato di portare contributi, col Sabato, cronologicamentevicinissimo e tematicamente assimilabile, alpuntochesipuòsenz’altro parlare di una coppia o dittico[14]: al piacere come cessazione dal terrore nell’una si affianca e inverte nell’altra il piacere come attesa,entrambifugacievani: dunque,esaustivamente,idue aspetti della vanità del piacere. E alla similarità tematica si aggiunge, cosa ancor più importante, la similarità e talora intercambiabilità verbale, che risultaanchedallepagineche precedono. Tuttavia proprio le strette somiglianze fanno risaltaremeglioledifferenze, chenonsonodapoco.Infatti leprimeduestrofedelSabato non solo distendono la rappresentazione in una narratività,scanditaanchedal trascorreredelleoreofasidel giorno, che è altra cosa dalla rapidità e dal quasi simultaneismo della prima della Quiete; ma intonano quella rappresentazione della natura e soprattutto della comunità umana a qualcosa chenonèpiùsoltantovitalità ma che va anche definito grazia: la indicano immediatamente i tre vezzeggiativi dei principali ‘protagonisti’, donzelletta (donzella in Amore e morte 65e83,maaccompagnateda aggettivi affettuosi o vezzeggianti), vecchierella, garzoncello (come in Vita solitaria48,Ricordanze 74 e ss.),concuiancheifanciulli. E benché quello che nella Quiete era un lieto ritorno al lavoro usato nel Sabato sia, con evidente parallelismo oppositivo, minaccia del ritorno non lieto al travaglio usato, non c’è dubbio che le ultime due strofe di quest’ultimo suonino diversamente dalle due paralleledellaQuiete:quiuna dimostrazione serrata e senza scampo della natura effimera delpiacere,dell’onnipresenza deldoloreedellamortecome unico risarcimento dei mortali; là un’estensione del ‘piacere’all’interagiornata(e a una giornata di ogni settimana) e l’affettuoso invito al garzoncello di godersi il «giorno d’allegrezza pieno», con la speranza che la festa della vita, cioè la maturità, non gli «sia grave» (cfr. soprattutto, conFubinieBigi,Zib.4146, 18 ottobre 1825). Ora non si vuol dire con questo che il Sabatosiaunacorrezionealla Quiete (e se tale, sarebbe comunque provvisoria, perché presto verrà il Canto notturno), ma certo ne è un’attenuazione, come di chi guarda allo stesso nodo della condizione umana da due punti di vista che non coincidono: l’assurdità del piacere da un lato, dall’altro lasuapossibilitàdicomporsi con la speranza e con quelle illusioni che, come sappiamo bene da tante pagine di Leopardi,sonoperluil’unico saledellavita. 3. In questo Canto la ragione ‘filosofica’ della II e soprattutto della III lassa relativizza drasticamente e in certo modo ‘distrugge’ l’apparenzadigioiaevitalità della I (e Leopardi sapeva bene che «l’attività massimamente, è il maggior mezzo di felicità possibile», Zib. 649, 12 febbraio 1821, cit. da D. De Robertis e più ampiamente ibidem 41854187, 13 luglio 1826, cit. da Gavazzeni e Lombardi nelle notealPepoli,Dialogodiun fisico e di un metafisico, § 14). Ma nella ragion poetica lecosevannodiversamente,e quel nichilismo non può affatto distruggere l’affettuosa animazione della natura e delle creature del borgo che si dispiega vivissima nella I lassa[15], sostenutadaunritmoalacree arioso che è altro da quello stretto e martellato delle due strofe seguenti. Che poi è quantodirechel’«attività»di quei contenuti promuove una maggiore ‘attività’ dell’io poetante stesso, come Leopardi sapeva benissimo. Nel senso ora indicato, può anche essere significativo che, come appena accennato, il Sabato porti un’attenuazione, e, come dire?, una maggiore affettuosità anche nelle conclusioni negative, rispetto alla Quiete. E guardando la questionenellasuageneralità non si può dimenticare quanto Leopardi ha scritto acutissimamente, e costeggiando in tutta indipendenza un filone fondamentale dell’estetica modernachevagrossomodo da Schiller alla Scuola di Francoforte, sul fatto che la poesia in quanto tale, quali che siano i suoi contenuti, non può che comunicare vitalità: «Hanno questo di proprioleoperedigenio,che anche quando rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l’inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia ad un’anima grande che si trovi ancheinunostatodiestremo abbattimento, disinganno, nullità,noiaescoraggiamento dellavita,onellepiùacerbee mortiferedisgrazie…servono sempre di consolazione, riaccendono l’entusiasmo, e non trattando né rappresentando altro che la morte, ne rendono, almeno momentaneamente, quella vita che aveva perduta ecc.» (Zib. 259-260, 5 ottobre 1820),eanche:«Dellalettura di un pezzo di vera, contemporanea poesia, in versi o in prosa (ma più vivace impressione è quella de’ versi) si può, e forse meglio, dir quello che di un sorriso diceva lo Sterne; che essaaggiungeunfiloallatela brevissima della nostra vita. Essa ci rinfresca, p(er) così dire;eciaccrescelavitalità» (ibidem 4450, 1o febbraio 1829,dunqueallespallequasi immediate della Quiete; e si noti che l’ultima frase è aggiunta)[16]. E al di qua del valore di queste asserzioni perl’esteticagenerale,nonne sfugge evidentemente il risvolto personale (basti il rimando al Dialogo della Natura e di un’Anima, §§ 4 ss. e 13 ss.; da un’ottica più ‘morale’ vedi anche Dialogo di Timandro e Eleandro, §§ 9-10). Ma tornando allo specifico del nostro testo, rimane che in esso si prospetta una divaricazione fra la ragione filosofica e la ragion poetica, o in altre parole che esso ci comunica due verità (non, mi raccomando, una doppia verità). Ma: divaricazione o contraddizione? Non credo che si debba temere di usare questo termine e questo concetto per un’opera di poesia manifestamente così alta, al contrario. Almeno se siamo sensibili al richiamo autorevole che ci viene da duepensatoriparticolarmente importanti sulla contraddizione come essenza stessa dell’opera d’arte[17]. Che una contraddizione attraversi la Quiete dopo la tempesta, che questa lirica anzi ne sia un esempio da manuale, sarebbe allora un segno non solo del suo carattere ma anche del suo rango. Usa dire che il problemaèlasoluzione[18];io temochequilasoluzionesia il problema. O forse la soluzione sta in uno splendido passo dello stesso Leopardi, Zib. 4129, 5-6 aprile 1825 (e cfr. anche, più analiticamente, Zib. 40994100,2giugno1824): la natura, la esistenza non ha in niunmodoperfineil piacere nè la felicità degli animali; piuttostoilcontrario; ma ciò non toglie che ogni animale abbia di sua natura p. necessario, perpetuo e solo suo fine il piacere, e la sua felicità, e così ciascuna specie presainsieme,ecosì la universalità dei viventi. Contraddizione evidente e innegabile nell’ordine delle cose e nel modo della esistenza, contraddizione spaventevole; ma nonperciòmenvera: misterio grande, da non potersi mai spiegare, se non negando (giusta il mio sistema) ogni verità o falsità assoluta, e rinunziando in certo modo anche al principio di cognizione, non potest idem simul esseetnonesse. [1] Le proposte che seguono sono solo quelle che suppongo, in linea generale, più o meno nuove o diverse rispetto alla letteratura a me nota sul Canto,einparticolareaicommenti,che dunque non ripeterò se non in casi speciali. Ho tenuto presenti soprattutto questicommenti:StraccalieAntognoni, Firenze, Sansoni, 1985 [1892] (con nuovapresentazionediE.Bigi);Fubini e Bigi, Torino, Loescher, 1964; De Robertis e De Robertis, Milano, Mondadori, 1978; Contini, Firenze, Sansoni, 1988; Gavazzeni e Lombardi, Milano, Rizzoli, 1998; Muñiz Muñiz, Madrid, Cátedra, 1998. Per le ‘letture’ cfr.ades.K.Vossler,Leopardi,trad.it. Napoli,Ricciardi,1925(ed.orig.1923) e da ultimo L. Blasucci, I tempi dei «Canti». Nuovi studi leopardiani, Torino,Einaudi,1996,pp.123-140;A. Girardi, Leopardi, Pascoli e il vocabolario della poesia, in «Studi linguisticiitaliani»,XXXIII,2007,fasc. 1,pp.68ss. [2]Cheancoranell’ed.fiorentinadel ’31 figura solo nell’indice, essendo i testisemplicementenumerati. [3]L.Blasucci,Ititolidei«Canti»e altristudileopardiani,Napoli,Morano, 1989,pp.157e161. [4] Cfr. il mio Sonavan le quiete stanze. Sullo stile dei «Canti» di Leopardi,Bologna,IlMulino,2006,pp. 41ss. [5]L.Blasucci,Leopardi e i segnali dell’infinito, Bologna, Il Mulino, 1985, pp.123-151. [6] Unico caso di tre occorrenze nei Canti (al massimo anafora di ecco ‘verticale’ in Angelo Mai 97-99 e Alla sorellaPaolina95-97).Esiosserviche in due dei tre casi l’avverbio cade in posizionedisettimaaribatterelasesta, eprimadienjambement,aintensificare l’effetto di sorpresa (è un ritmema che torna spesso nel poeta, cfr. ad esempio UltimocantodiSaffo 68: «della gelida morte. Ecco di tante /»; La sera del dì di festa 30: «e quasi orma non lascia. Ecco è fuggito /»). Mi chiedo se nella predilezione leopardiana per questo deittico non abbia agito la memoria dell’(et) ecce frequentissimo nella Vulgata. [7] E naturalmente l’intera e pur freschissima prima lassa della Quiete può o deve essere interpretata, allo stessomododelSabato,comeallegoria di un’esperienza tipica dell’humaine condition. A mio parere o sospetto il Leopardimaturoèunpoetafortemente allegorico, a differenza di tanto simbolismo dei romantici e postromantici. Ma di ciò un’altra volta (cfr. tuttavia ora il secondo saggio di questolibro). [8]Itempidei«Canti»,cit.,p.131. [9] A questa stregua ci si potrebbe chiedere se non valga ‘tornare a rallegrarsi’ il si rallegra di 8 e poi di 25, ma a parte altre considerazioni la cosapareesclusadalluogoparallelodi Alla sorella Paolina 50-53: «Non si rallegra il cor quando a tenzone / Scendono i venti, e quando nembi aduna/L’olimpoefiedelemontagneil rombo / della procella». È comunque indicativa la presenza non sporadica di versi dello stesso tipo nei Canti: «rinascente anno» (Alla Primavera), rimirare (Alla luna), rinacerbire (Consalvo), ridestare (per es. Risorgimento), ripensare (in partic. Ricordanze) ecc. E cfr. ad es. in un contesto breve di prosa (Dialogo di Torquato Tasso, § 26) restituirsi, ringiovanisce, ravvalora, rimette, rinnuova. [10] Cfr., con altre osservazioni metriche sulla Quiete, F. De Rosa, Dalla Canzone al Canto. Studi sulla metrica e lo stile dei «Canti» leopardiani,Lucca,PaciniFazzi,2001, pp.128-129. [11] E. Peruzzi, Studileopardiani,I. Laseradeldìdifesta,Firenze,Olschki, 1979, p. 36 n., e G. Lonardi, L’oro di Omero. L’«Iliade», Saffo: antichissimi di Leopardi, Venezia, Marsilio, 2005, pp. 46-47. Per l’affinità dei sette versi iniziali con descrizioni di Omero e di Arato vedi dello stesso Lonardi, Classicismo e utopia nella lirica leopardiana, Firenze, Olschki, 1969, pp.74ss.,122-123,141. [12] S. Timpanaro, in «Belfagor», XXV, 1970, p. 236; Blasucci, I tempi dei«Canti»,cit.,pp.114e137. [13] Il caso più notevole sarebbe Pensiero dominante 1 ss., ma a mio avviso potrebbe trattarsi di, sempre straordinaria,serieappositivadeltitolo. [14] Sull’abitudine leopardiana di procederepercoppieoditticiditestiha giustamenteinsistitoL.Blasucci,Ititoli dei «Canti» e altri studi leopardiani, Napoli, Morano, 1989, p. 189; Id., Lo stormiredel vento tra le foglie. Testi e percorsi leopardiani, Venezia, Marsilio,2003,p.183. [15] Vedi già, opportunamente, Fubini nel ‘cappello’ al testo: «Il pensierochemostralarealtànegativadi quel piacere o la fallacia di quella speranza viene a segnare la fine della poesia,manonadissolverel’incantodi quella effimera e preziosa vita». È chiaro però che questa o simili osservazioni non dovrebbero gettare un’ombra, come accadeva alla critica ‘idealistica’, sulla forza specificamente poeticadellaIIeIIIlassa. [16] Sul fronte del primo Romanticismo tedesco cfr. ad es. Novalis (Fragmente, III, 981): «Ogni Poesia interrompe lo stato abituale, la vita comune, quasi come il Sogno, per rinnovarci e mantenere in noi sempre vivaceilsentimentodellavita». [17] Cfr. M. Horkheimer e Th.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Torino, Einaudi, 1966 (ed. orig. 1947), p.141:«Ilmomento–nell’operad’arte – per cui essa trascende la realtà, è, in effetti, inseparabile dallo stile; ma non consiste nell’armonia realizzata, nella problematica unità di forma e contenuto,internoedesterno,individuo e società, ma nei tratti in cui affiora la discrepanza, nel necessario fallimento della tensione appassionata verso l’identità». [18] Cfr. già, prima di scienziati e filosofi moderni, un altro dei FragmentediNovalis:«Unproblemaè veramente risolto quando è distrutto come tale» (Novalis, Frammenti, introduzione di E. Paci, trad. di E. Pocar,Milano,Rizzoli,1976,p.51). Indicedeinomie dellecosenotevoli Achmátova,A.,31 Adorno,Th.Wiesengrund, 17,30,47n,52en,200 aggettivi,171-172,174-175, 180 Agosti,S.,97n,173en allegoria,10,11,39-54,69, 70-71,90,138,163-164,183 en allitterazione,187-188 allocuzione,100,102,104, 113en,141,151,168-169, 179,185 Ambrosini,R.,133en anadiplosi,99 anafora,75-76,78,80,81,83, 84,85,86,87,88,89,91,93, 97,100,101,102,120,154, 182,183,187,189,190,193 anagramma,97 analogia,analogismo,27-28, 48-49 analogiepreposizionali,15, 28 anarimi,versi,162-63 AncienRégime,51 antichi,antichità,18,148, 173-174 antifrasi,69 antimetabole,191 antitesi,98 evediossimoro Antognoni,O.,145en,177n, 185 Apollinaire,G.,31 apposizione,87,90,95,192 aprosdóketon,191 Arato,187n Arcadia,11,81,82 arcaismo,41 Arnaut,F.,41,85-86 Arnim,L.A.von,19-20,22 articolo,185 asindeto,giustapposizione,9, 75-76,78,80,81,82,83,84, 85-86,88,89,90,93,94,100, 170,187 assonanzeeconsonanze,vedi rime Auden,W.H.,31 aulicismi,173-174 Bach,J.S.,12 Baldacci,L.,18,30 Bally,Ch.,115n Balzac,H.de,49 Bartoli,D.,187 Baudelaire,Ch.,12,20,21, 31,46n,47n,48en,49n,51, 53 Bécquer,G.A.,25,44n Beethoven,L.van,167n Béguin,A.,19,49n Bellucci,N.,148n Benjamin,W.,47en,48n Benn,G.,52n Besomi,O.,21,159,164n, 168n Beta,S.,106n Bibbia,41,87,106,157 Bigi,E.,13,55n,127en, 145n,157n,168,177n,198 Binni,W.,148n,150 Blasucci,L.,10,13,33n,60n, 77n,79,107n,149n,150, 157,158n,161n,167,168n, 177n,178-179en,180-181, 181en,186en,191n,197n Blumenberg,H.,25 Bobbio,N.,48n Brahms,J.,21,23 Brentano,C.,15,19,20,25, 46n,48n,49 Brioschi,F.,59n,66n,150, 157 Brose,M.,79en Browning,R.,31 Brugnoli,G.,148n,157n Brugnolo,F.,162n Bruni,F.,55n Byron,G.,12,13,16,19,22, 45n canzoneantica,109 Capitalismo,29 Carducci,G.,159 Carrai,S.,41en,56n Cassi,G.,57 Cavalcanti,G.,115 Ceragioli,F.,157n Cesarotti,M.,127,129,132 Chamisso,A.von,38,50,51 Chateaubriand,F.-R.de,13 chiasmo,91,94,101,171en, 171-172,192,193 Chopin,F.,12,22,150en ChrétiendeTroyes,187 Cienfuegos,N.Alvarezde, 44n classicismo,29 Codino,F.,47n Coleridge,S.T.,15,16,18, 19,20-21,26,29,30,37,47, 48,51 collegamentitrastrofe/lasse, 10,107-113 comparazione,vedi similitudine Contini,G.,44n,55n,122e n,148n,151,160n,161n, 164n,172en,177n contraddizione,200 contrappunto,8,153-155 correctio,121 evedima correzioni,vedivarianti così,79 crescendo,103 Creuzer,G.F.,47 Croce,B.,30,165 Damiani,R.,150,158n DanteAlighieri,61,86,140, 153,188,189 DeAngelis,E.,52n deittici,70,106,139 DellaCasa,G.,44n,115 derivatio,94 DeRosa,F.,85n,107n,113n, 186n DeRobertis,D.,55n,107n, 148n,154,177n,187,189, 198 DeRobertis,G.,55n,148n, 151,152,177n descrizione,16-17,95,178 DeSinner,L.,59n dialefe,117n DiBreme,,14 Diderot,D.,21,24,150en dieresi,117 DiGiacomo,S.,185 D’Intino,F.,158n disseminazionefonica,139, 143,146,187 ‘dittici’,33,68,155en,197 Dondero,M.,148n ‘doppio’,10,11,36-39,52, 133,138 Dostoevskij,F.M.,38 Durante,M.,196 Dürer,A.,131 e,79,80,81,85,87,102, 103,110n-111n,123 ecco,113n,182en Eichendorff,J.von,19,20, 21,30,46n,47n,51,52 endecasillabo,82,105,115125,145-146,146en,105153,160-161,162n,183,189, 192 ‘enigma’,52 enjambement,vediinarcatura epifora,90,92,129,135,140, 141,142,143n,144 epifrasi,80,102 episinalefe,116,122,123 esclamative,80,99,147,169 Esopo,43 esotismo,17-18 evidenza,7,29 Fasano,P.,13 Fattorini,T.,172 favola,19-20,49 Féher,F.,47n Felici,L.,60n Ferrucci,C.,157n Fichte,J.G.,49 figuraetimologica,129 Filippini,E.,47n filosofia,26-27 Fortini,F.,66n Foscolo,U.,20,36n,106, 116,127,130-132,142,187, 195 Francoforte,Scuoladi,199 Freud,S.,8 Friedrich,H.,31 Frugoni,F.F.,187 Fubini,M.,55n,157n,168, 175,177n,198,199n Galilei,G.,21 Galimberti,C.,148n Gaspari,G.,161n Gavazzeni,F.,41n,44n,55n, 106n,127,166n,177n,198 geminatio,92,108 Gessner,S.,178 Gigante,M.,36n Giordani,P.,150 giorno/notte,21-22 Girardi,A.,148n,150,154n, 157n,177n,184 Giudici,G.,38,45n,51 GiuseppeII,imperatore,182 Goethe,J.W.von,23,26, 36n,47n Gray,Th.,132en Greci,9,106,174 Grillparzer,F.von,38 Hardy,Th.,31 Hegel,G.W.F.,14,24-25,30, 47,187 Heine,H.,15,16,17,18,19, 23,36,38,41,46n,49,51 Herder,J.G.,13 Hoffmann,E.T.A.,38 Hölderlin,F.,11,14,41n,54 Horkheimer,M.,200n Hugo,V.,14,15,16,17,19, 24,29,30,39,45n,48en, 49n,50,51,53 Idealismotedesco,24 Illuminismo,12,22,26 illusioni,198 imperativo‘tragico’,100n imperfetto,172 ‘improvvisi’,151 inarcatura,80,100,113,116 en,144,145-146,170,181 ineffabilità,47,50-51,51en, 147,173 ‘infinitivi’,fenomeni,79, 167,180-181 inizio/fine,72,100,119,120121,134,135,136,139,144, 155 interiezioni,148,170 interrogative,9,80,101,168, 169,190 ‘io’,9,10,24-26,34,46,5573,78,86,134,138,149,169 en Isella,D.,127 Jonard,N.,15 Kafka,F.,71 Keats,J.,11,14,15,16,1718,19,129,30,45n,49n,50 Kleist,H.von,22 Lamartine,A.de,14,15,16, 17,21,24,29,45n,48en,53 Lamb,Ch.,19 LaMettrie,J.Offroide,26 LaMotteFouqué,F.H.K.de la,19 Landi,P.,59n,66n,150,157 Landolfi,T.,38,45n Landor,J.S.,19,50 LaPenna,A.,152n lasse/movimenti,vedistrofe ‘legato’,9,10,115-25,146e n Leopardi,P.,157-158 Lermontov,M.J.,15,19,21, 38,45n,49,53 lessico,102-103,106,146- 148,150,154-155,164-167, 167en,170en,173-174, 178-180,184-190,191-196 lirica,12,20,30 Lombardi,M.M.,41n,44n, 55n,166n,177n,198 Lonardi,G.,41n,157en, 160n,167,173n,187n luce/buio,vedigiorno/notte Lugnani,L.,79n Lukács,G.,31,47n,53en ma,77,79,83,101,110en, 111n,121 Machado,A.,31 magico-fantastico,18-19 Mahler,G.,30 makarismós,195 Mancini,M.,47n Mandel’štam,O.,161 Manzoni,A.,82,106 Marati,P.,153en MarcoAurelio,41n MatteBlanco,I.,50-51 medievismo,18 Mendelsohn,F.Bartholdi,17 Mengaldo,P.V.,7,50n,62n, 81n,85,105n,119n,131n, 160n,161n,179n Menninghaus,W.,48n meraviglioso/demoniaco,19 Meregalli,F.,44n metafore,metaforicità,15, 27,105,183 metamorfosi,27-28 Metastasio(Trapassi),P.,82, 161 Mimnermo,41 monologhi,11 monorematica,frase,78,83, 87 Montaigne,M.Eyquemde, 41 Montale,E.,31,44n,83, 107n,172,187 Monteverdi,A.,87en Monti,V.,106,116,127, 129-130,132,157,192,195 Mörike,E.,19,46n,48n Mosco,143 Mozart,W.A.,12,22,182 MuñizMuñiz,M.delas Nieves,55n,56n,148n,150, 154,157n,165n,168,177n, 178,184 Muscetta,C.,127en Musset,A.de,14,15,16,35, 38,41,51 NapoleoneBonaparte,41 narratività,39,81,136,140, 141,144,172-173,179 natura,20-21,23,25-26,29, 69,149n nè,81,102,110-111n Neri,G.,150n Nerval,G.de,17,19 Niccolini,G.B.,14 Nietzsche,F.,23,30 ‘noi’,9,55-73,78,174,190, 192 nominale,sintassi,83,85,87, 190,192 Novalis(Harderbergvon),F., 15,17,18,21,22,23-24,2425,26,27,45n,48n,49,50, 51,181,200n novenario,153 Olbrechts-Tyteca,L.,48n Omero,41,150,157,187n oralità,39,113 Orazio,157 ordinedelleparole,95-102 Ossian,9,127,129,132 ossimoro,175 evediantitesi Paccagnella,I.,12 Paci,E.,200n Paolo,San,26 paraipotassi,76 Parini,G.,116,127-129,132, 141,142,144,168,174n,189 paronomasia,109n,160 Pascoli,G.,30,185 Pasquini,E.,85n Perelman,I.,48n Persefone,172 personificazione,15-16,4546 Pessoa,F.,38n,49n Peruzzi,E.,36n,107n,110n, 111n,148en,151,153, 165n,187n Pestelli,G.,150n Petrarca,F.,41n,45,150, 164n,175 piacere,teoriadel,10,40, 178,196-198 platonismo,23,35 Pocar,E.,200n poliptoto,129,143n polisillabi,120 polisindeto,10,75-95,102, 105,117,118,147 Pontani,F.M.,106n Pound,E.,31 Praz,M.,19 Prete,A.,34,44n,124 ‘prosa’,121-122 Puškin,A.S.,15,19,38,45n, 51-52 qualificativi,152 Rea,R.,148n Recanati,11,34 reduplicatio,99 ri-,186en Rigoni,M.A.,18,36n,148n, 155,172,177,178,185 rime,9,10,11,35,86,87-88, 90en,92-95,100,101,108113,127-144,145,158-159, 162-163,185,191-196 ripetizione,86-87,90,100, 120,130,139,141,161n, 169-170,180,194 Rolli,P.,161n Romanticismo,11,12,13-31, 39,42,106,148 Roques,M.,187 Rossella,V.,150n Rousseau,J.-J.,20 Saba,U.,31,63,154n,185, 187 Saffo,106n,157 Sainte-Beuve,Ch.-Au.de,30 Salinas,P.,31 Sandrini,G.,44n Santagata,M.,33n,148n,153 Santarone,D.,66n Santoli,V.,47n Scaramuzza,G.,47n Schelling,F.W.,14,20,24, 25,49 Schiller,F.,14-15,21,22-23, 25,38,199 Schlegel,F.,17,18,19,21, 23,27,47en,52en Schubert,F.,36,38 Schumann,R.,14 SchweigerAcuti,I.,44n sciolti,endecasillabi,127-144 sdruccioli,127-128 Segre,C.,115n Sensismo,26 Sereni,V.,172 settenari,9,82,100,102, 105,123-125,153,160-161n, 162en,169,183,191 sfumato,167n Shelley,P.B.,15,16,17,18, 20,27,29,35,45n,49n,50, 51,53 simbolismo,10,47-51 Simbolismo,11,15,30 similitudine,15,43,92,101, 102 SimonidediAmorgo,36n SimonidediCeo,36en, 106n simultaneità,181 sinalefe,86,115,117-119, 146 sintassi,75-106,170-171, 179,182,190,194 Smaragda,B.E.,157n società,8,36 sogno,44 Solmi,S.,24 Spendel,G.,38,45n,51 speranza,198 Spinoza,B.,49 ‘staccato’,76,78,83-84,87, 88,91,94,99,100,103,115125 stanzadicanzone,190-191 Starobinski,J.,23 Stevenson,L.,38 Straccali,A.,145n,153, 177n,185,195 strofe,110,158,170,191 Stussi,A.,91n subordinazione,77-78,81-82, 89,92-93 Szondi,P.,24,47en,47-48 TargioniTozzetti,F.,66 Tasso,T.,167,168,189 Terzoli,M.A.,167n,172n Timpanaro,S.,13,191n titolo,177-179 Todorov,Tz.,47n Trakl,G.,187 ‘tu’,9,55,72,80,169en, 172 Turgenev,I.S.,184 Ungaretti,G.,41 Valgimigli,M.,127n varianti,8-9,86,107,138139,140,143,148en,151e n,151-153,154,159n,160n, 161n,164,165-166,171n, 174,186,187,188,189,192 Vasari,G.,81 Verlaine,P.,41 Vico,G.B.,13 Vigny,A.de,15,16,18,19, 29,35,45n,48,51,165 Virgilio,143n,164en,166 ‘vitalità’,8,161,199 Voltaire,(F.-M.Arouet),26 Wagner,R.,22,25 Wilamowitz,U.von,106 Wordsworth,W.,17,20,21, 23,30,41 zeugma,91