Classificazione delle spese e delle entrate pubbliche

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Classificazione delle spese e delle entrate pubbliche
CAPITOLO
Classificazione delle spese
e delle entrate pubbliche
1. DEFINIZIONI ESSENZIALI
L’operatore pubblico nella contabilità nazionale
Nelle definizioni di contabilità nazionale, alla Pubblica Amministrazione
fanno capo tutte le unità istituzionali le cui funzioni principali consistono nel
produrre per la collettività servizi non destinabili alla vendita e nell’operare
una redistribuzione del reddito e della ricchezza del paese.
I servizi della Pubblica Amministrazione non sono destinati alla vendita o
non sono distribuiti attraverso i meccanismi di prezzo per due ordini di
motivi.
In presenza di servizi connessi con il concetto di sovranità dello Stato, è
tecnicamente impossibile applicare un prezzo, perché i servizi collettivi sono
caratterizzati dalla non rivalità nel consumo, ossia il consumo da parte di un
individuo è compatibile con lo stesso livello di utilizzo da parte di tutti gli altri
componenti della collettività, e dalla non escludibilità tecnica o economica
dal consumo, è cioè impossibile utilizzare sistemi di limitazione del consumo
attraverso il normale meccanismo economico del prezzo.
Fra i servizi che non sono oggetto di vendita rientrano anche quelli connessi
all’attività di investimento in opere pubbliche dello Stato o delle Amministrazioni Pubbliche, per i quali vale il principio della distribuzione gratuita.
Nell’appendice 1 vengono esaminati, nell’ambito della teoria dei beni pubblici,
le conseguenze teoriche dell’esistenza di beni e servizi con le caratteristiche
appena indicate.
Nei sistemi economici moderni non sono in linea generale destinati alla vendita, salvo una contenuta partecipazione al costo da parte dell’utente, anche
alcuni servizi essenziali per i quali la componente di consumo individuale
è dominante, ma per la cui diffusione esiste un elevato interesse pubblico.
L’istruzione costituisce l’esempio più rilevante in quest’ambito.
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Capitolo 1
La funzione redistributiva è la seconda funzione essenziale della Pubblica
Amministrazione. Essa non si limita a trasferimenti dai ricchi ai poveri, ma
prevede anche interventi a favore degli anziani con l’attribuzione degli oneri
alle classi in età lavorativa o, con un riferimento territoriale, spostamenti di
risorse dalle aree più sviluppate a quelle meno sviluppate.
Dal punto di vista operativo la Pubblica Amministrazione (che nella nostra
esposizione è assimilabile alla nozione di Stato o di operatore pubblico) è
suddivisa in tre sottosettori:
• Amministrazioni centrali: comprendono le amministrazioni centrali dello
Stato e gli enti economici, di assistenza e di ricerca, che estendono la loro
competenza su tutto il territorio del paese (Stato, organi costituzionali, ex
aziende autonome, altri).
• Amministrazioni locali: comprendono gli Enti pubblici la cui competenza è limitata a una sola parte del territorio (regioni, province e comuni,
aziende sanitarie locali, ospedali pubblici, università, camere di commercio,
altri).
• Enti di previdenza: comprendono le unità istituzionali centrali e locali,
la cui attività principale consiste nell’erogare prestazioni sociali finanziate
attraverso contributi generalmente a carattere obbligatorio (INPS, INAIL,
INPDAP e altri).
Le spese pubbliche
Conviene a questo punto richiamare gli elementi essenziali della classificazione
delle spese pubbliche.
Una prima distinzione contrappone le spese correnti a quelle in conto capitale.
Sono spese correnti le erogazioni riferite al normale svolgimento dell’attività
statale oltre a quelle destinate a realizzare la redistribuzione dei redditi.
Sono spese in conto capitale le spese per investimenti sia diretti sia indiretti
(se realizzati da soggetti diversi dallo Stato, ma con il concorso finanziario
pubblico). Le spese in conto capitale, in altri termini, dovrebbero determinare
un aumento della dotazione di beni capitali del paese.
Una seconda classificazione distingue le spese per acquisto di beni e servizi
dalle spese per trasferimento.
Le spese per acquisto di beni e servizi (o anche spese di trasformazione)
comportano l’acquisto da parte delle Amministrazioni Pubbliche di beni
prodotti e servizi correnti. Implicano, in altri termini, l’assorbimento di
risorse disponibili.
Le spese di trasferimento sono pagamenti unilaterali delle Amministrazioni
Pubbliche, ai quali non corrispondono prestazioni di servizi o cessioni di
beni. Le prestazioni sociali e i pagamenti per interessi sul debito pubblico
costituiscono gli esempi più rilevanti di tali spese.
Classificazione delle spese e delle entrate pubbliche
Il finanziamento della spesa pubblica
Prima di affrontare i problemi del finanziamento delle spese pubbliche, ci
soffermiamo sulla classificazione delle entrate pubbliche [Fasiani 1950], rifacendoci a sistemazioni certamente datate, ma che ancora oggi hanno una loro
utilità. In questa classificazione distinguiamo fra produzione di beni e servizi
destinati alla vendita e beni e servizi non destinabili alla vendita.
I beni e i servizi destinati alla vendita possono essere finanziati da:
• Prezzi privati. L’operatore pubblico produce beni privati e li colloca sul
mercato alle stesse condizioni a cui li collocherebbe un privato. I beni privati
sono beni pienamente rivali nel consumo o, per utilizzare espressioni antiche,
privi di ogni elemento di indivisibilità che invece caratterizza in maggiore o
minore misura i beni pubblici.
• Prezzi pubblici. Si producono beni privati, in cui è assente l’elemento di
indivisibilità, ma il prezzo a cui li si vende, pur consentendo la piena copertura
dei costi, è diverso da quello che applicherebbero gli operatori privati. Si
avranno prezzi pubblici più elevati di quelli che fisserebbero i privati quando
lo Stato istituisce a suo favore un monopolio legale (l’esempio dei tabacchi
rientra in questo caso). L’assunzione pubblica del servizio può portare a
prezzi inferiori a quelli che verrebbero fissati dai privati, quando i servizi
sono tali da garantire al privato una situazione di monopolio (e quindi prezzi
superiori a quelli che si avrebbero in regime di concorrenza). L’intervento
pubblico ha in questo caso il fine di evitare l’appropriazione privata di rendite
monopolistiche. È importante sottolineare che i prezzi pubblici consentono
di perseguire finalità redistributive: differenziando i prezzi pagati dalle
diverse categorie di utenti, pur rispettando il vincolo di copertura dei costi
di produzione, è possibile tutelare alcune categorie a svantaggio di altre. La
fig. 1.1
Stato
(Bilancio e Tesoreria)
Amministrazioni
centrali
Amministrazioni
Pubbliche
Fonte: Banca d’Italia.
Altri enti
dell’Amministrazione centrale
Amministrazioni
locali
Regioni
Province
Comuni
Altri enti
Enti di
previdenza
INPS
Altri enti
figura 1.1. Definizioni di operatore pubblico.
Settore
statale
Settore
Pubblico
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Capitolo 1
fornitura dell’energia elettrica in Italia è stata tradizionalmente un importante
esempio di una politica di differenziazione dei prezzi e di sussidi incrociati
fra le diverse categorie di utenti.
• Prezzi politici. I ricavi non coprono i costi. Nel settore dei trasporti si
applicano nel nostro paese prezzi politici. Osserviamo che i prezzi pubblici,
insieme a quelli politici, possono rientrare nella più vasta categoria delle tariffe.
Per i beni e servizi non destinabili alla vendita vale la seguente classificazione:
• Imposte. I beni collettivi, per loro natura caratterizzati da non rivalità nel
consumo e da impossibilità di esclusione, sono finanziati attraverso imposte,
definibili come prelievi coattivi di denaro senza vincoli di destinazione.
• Contributi sociali. I contributi sociali costituiscono una particolare forma
di prelievo, in linea generale riferita al reddito dei lavoratori dipendenti e
autonomi, che ha come destinazione specifica il finanziamento delle prestazioni sociali.
• Tasse. Lo Stato può produrre servizi in cui coesistono componenti private
e pubbliche e attribuire il costo della parte privata, o divisibile, a chi fa domanda attiva di un certo servizio. Le tasse, definite come il corrispettivo di
un servizio, sono appunto la categoria di entrata rilevante in queste situazioni.
Le tasse scolastiche o quelle giudiziarie sono l’esempio più significativo in
quest’ambito. Si noti che alle tasse può essere attribuito anche il compito di
scoraggiare la domanda di un certo servizio: i ticket, tecnicamente definibili
come tasse, hanno una finalità di razionamento.
• Contributi speciali. Lo Stato può produrre beni collettivi, dai quali deriva
per i proprietari privati un incremento patrimoniale indipendente da ogni loro
attività (l’ipotesi si riferisce essenzialmente alla costruzione di opere pubbliche
che valorizzino le proprietà immobiliari private). In questo caso ovvi principi
equitativi sembrano suggerire l’opportunità della partecipazione di coloro che
hanno beneficiato dell’intervento pubblico ai costi sostenuti dalla collettività,
mediante il versamento di un contributo. Si noti che l’obbligo di pagamento
dei contributi è indipendente dalla domanda di servizi pubblici effettuata dai
beneficiari, ma si manifesta per circostanze oggettive.
2. ELEMENTI COSTITUTIVI E PROGRESSIVITÀ
DELLE IMPOSTE
Il presupposto dell’imposta è la particolare situazione di fatto alla quale la
legge ricollega l’obbligo di pagare l’imposta.
La base imponibile è la traduzione quantitativa del presupposto.
L’aliquota è la quota di imposta per ogni unità di base imponibile. Nelle imposte ad valorem la base è definita in termini monetari e l’aliquota è una certa
percentuale della base. Nelle imposte specifiche la base è definita in termini
fisici e l’aliquota è espressa in termini monetari.
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 ESEMPIO 1. Nel prezzo finale della benzina confluiscono sia imposte specifiche (definite accise) sia imposte ad valorem (l’imposta sul valore aggiunto, che
analizzeremo in seguito). Facendo riferimento ai valori del dicembre 2011, il
prezzo finale di un litro della benzina, pari a 1,673 euro, è costituito dal prezzo del
petrolio trasformato, pari 0,679 euro, cui si aggiungono sia le accise. pari a 0,704
euro, sia l’imposta sul valore aggiunto, che sulla base di un’aliquota del 21% si
applica alla somma del prezzo della benzina al netto delle imposte e dell’accisa.
L’IVA incide sul valore finale per 0,29 euro. Ne discende che il prezzo finale della
benzina era determinato a fine 2011 per il 60% dalle imposte; ulteriori aumenti
dell’accisa sono stati introdotti a partire dal gennaio 2012.
È necessario distinguere fra: aliquota di imposta calcolata su una base imponibile comprensiva dell’imposta stessa (aliquota su base lorda) e aliquota
di imposta calcolata su una base imponibile al netto dell’imposta (aliquota
su base netta).
In altri termini, detto T l’ammontare di imposta e B la base imponibile lorda
(comprensiva dell’ammontare di imposta dovuta), possiamo scrivere che
l’aliquota nel primo caso è:
t=
T
B
Nel secondo caso si ha:
x=
T
B-T
A questo punto siamo in grado di esplicitare il legame fra le due definizioni
di aliquota. Infatti, a parità di gettito, uguagliando le due espressioni precedenti abbiamo:
tB = x (B - T ) & tB = xB - x tB
Semplificando otteniamo:
t=
x=
x
1+x
t
1-t
Nel caso di imposta sul reddito viene generalmente utilizzata la base imponibile
al lordo di imposta. L’IVA è invece un tipico esempio di applicazione di base
imponibile al netto d’imposta.
Un esempio numerico servirà a chiarire ulteriormente questa distinzione.
 ESEMPIO 2. Si supponga di avere un reddito prima dell’imposta pari a 100.
Dopo l’applicazione dell’aliquota su base lorda il reddito disponibile risulta pari
a 60. L’aliquota d’imposta è pari al 40%. Si parta ora dal reddito disponibile (60).
L’aliquota su base netta che permette di avere un gettito di 40 è pari al 66,6%.
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Capitolo 1
Si noti che sia il reddito lordo, sia il reddito disponibile, sia l’imposta dovuta
sono identici nei due casi, sono cioè invarianti rispetto alle due definizioni
alternative di aliquota d’imposta.
Le imposte dirette colpiscono direttamente la capacità contributiva, prescindendo dal comportamento del contribuente, e solo in quanto il contribuente
è titolare di un patrimonio o di un reddito.
Le imposte indirette colpiscono la capacità contributiva indirettamente,
attraverso indici tipicamente legati o a un particolare comportamento del
contribuente o a specifici atti, quali il consumo di certi beni o il trasferimento
di certe attività.
Nell’ambito delle imposte dirette si può effettuare un’ulteriore distinzione.
Le imposte personali tengono conto della situazione personale del contribuente e quindi, in linea generale, di tutti i redditi a lui afferenti.
Le imposte reali prescindono dalla situazione personale del contribuente
e fanno riferimento esclusivo all’esistenza di una certa materia imponibile.
Presupposto di un’imposta personale è il percepimento di un reddito o il
possesso di un patrimonio da parte di un soggetto. Presupposto di un’imposta
reale è l’esistenza di un certo reddito o di un certo patrimonio, prescindendo
dalla posizione personale del percettore.
È inoltre possibile distinguere tra imposte generali e imposte speciali. Si
definiscono imposte generali quelle che colpiscono o tutti i redditi, o tutta
la produzione, o tutti i redditi afferenti ad un fattore. Si definiscono imposte
speciali quelle che colpiscono o un solo bene, o l’impiego di un fattore in
uno specifico settore dell’economia, o i redditi ottenuti da un fattore nella
produzione di un bene.
Un’imposta diretta è progressiva quando l’aliquota media aumenta all’aumentare della base imponibile. L’imposta è proporzionale quando l’aliquota media
rimane costante all’aumentare della base imponibile. L’imposta è regressiva
quando l’aliquota media diminuisce all’aumentare della base imponibile.
Si indichi infatti con Y il reddito rilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta e con T il debito d’imposta legato da una generica relazione funzionale
al livello del reddito:
[1]
T = t(Y)
Il reddito disponibile è:
[2]
Yd = Y - t(Y)
L’aliquota media è:
[3]
t=
t (Y)
Y
L’aliquota marginale, che misura la variazione del debito d’imposta alla variazione unitaria o infinitesimale del reddito, è la seguente:
Classificazione delle spese e delle entrate pubbliche
[4]
tl(Y) =
dt (Y)
dY
Possiamo calcolare la variazione dell’aliquota media al variare del reddito:
[5]
dt
dY
=
d>
t (Y)
Y
dY
H
=
Ytl(Y) - t (Y)
Y2
=
tl(Y) - t (Y)
Y
Data la definizione di imposta progressiva, un’imposta è progressiva quando
l’aliquota marginale è superiore a quella media: il numeratore della [5] deve
essere cioè positivo.
La progressività può essere realizzata secondo tre modalità fondamentali: per
scaglioni, per detrazione o per deduzione.
Nella progressività per scaglioni si identificano scaglioni successivi di reddito
e sulla parte di reddito propria dello scaglione si applicano aliquote specifiche
crescenti al crescere del reddito. L’aliquota applicata allo scaglione più elevato
è denominata aliquota marginale.
 ESEMPIO 3. Utilizzando gli scaglioni e le aliquote marginali dell’imposta
sul reddito vigente in Italia possiamo calcolare debito d’imposta e aliquota a
diversi livelli di reddito. Si può vedere che l’imposta è progressiva; infatti, poiché
l’aliquota marginale è superiore a quella media, l’aliquota media è crescente al
crescere del reddito.
Scaglioni
di reddito
Aliquota
marginale
Reddito
imponibile
Debito
d’imposta
Aliquota
0-15.000
15.001-28.000
28.001-55.000
55.001-75.000
Oltre 75.000
Oltre 75.000
23%
27%
38%
41%
43%
43%
15.000
28.000
55.000
75.000
90.000
200.000
3.450
3.450 + 3.510 = 6.960
6.960 + 10.260 = 17.220
17.220 + 8.200 = 25.420
25.420 + 6.450 = 31.870
31.870 + 47.300 = 79.170
23,0%
24,9%
31,3%
33,9%
35,4%
39,6%
media
Nella progressività per detrazione il debito di imposta si ottiene applicando
un’aliquota di imposta costante per tutti i livelli di reddito e detraendo dal
debito di imposta, così determinato, un ammontare uguale per tutti i contribuenti. In altri termini, indicando con f la detrazione dal debito di imposta,
si ottiene:
T = tY - f
Un’imposta così configurata è progressiva in quanto l’aliquota marginale, in
questo caso pari a t, è superiore all’aliquota media. Infatti:
[6]
t=
T
Y
=
tY - f
Y
= t-
f
Y
&t1t
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Capitolo 1
Quando la progressività è realizzata con il metodo della detrazione la differenza fra l’aliquota media e quella marginale diminuisce al crescere del reddito.
Nella progressività per deduzione il debito di imposta si ottiene applicando
un’aliquota di imposta costante alla differenza tra il reddito e un determinato
ammontare uguale per tutti i contribuenti. In questo caso il debito di imposta,
indicando con d la deduzione dall’imponibile, è pari a:
T = t(Y - d)
l’aliquota media è:
[7]
t=
T
Y
=
t (Y - d)
Y
= t-
td
Y
&t1t
Dal confronto tra la [6] e la [7] si verifica immediatamente che le due forme
di progressività sono equivalenti, quando l’aliquota marginale è costante, se
f = td.
Se l’aliquota marginale cresce al crescere del reddito (il che, come si è visto
accade per un’imposta progressiva per scaglioni), detrazioni e deduzioni
avranno invece effetti differenti. Si noti infatti che mentre una detrazione
produce una riduzione del debito di imposta uguale per tutti i contribuenti,
una deduzione comporta una riduzione del debito di imposta (td) che cresce
al crescere del reddito (e quindi dell’aliquota marginale) dei contribuenti.
3. IMPOSTE E REDISTRIBUZIONE
La struttura delle aliquote di un’imposta o delle imposte più rilevanti di un
sistema impositivo è il riflesso di una scelta politica fondamentale riguardante
i principi generali cui dovrebbe ispirarsi la ripartizione del carico tributario
fra le diverse categorie di contribuenti. Già nella Ricchezza delle nazioni di
Adam Smith [1776] sono enunciati i due criteri fondamentali di ripartizione,
che saranno elaborati da tutti i teorici successivi e che ritroviamo diversamente
combinati in tutti i sistemi tributari:
• il principio del beneficio secondo cui l’imposta è il corrispettivo di un
servizio erogato dalle Pubbliche Amministrazioni, in generale sotto forma
di spesa pubblica;
• il principio della capacità contributiva che, al contrario, enfatizza la natura
obbligatoria del pagamento dell’imposta, in generale commisurata a indicatori
di ability to pay quali il reddito o la ricchezza.
Il principio del beneficio è in linea generale compatibile con imposte proporzionali; il principio della capacità contributiva porta invece all’adozione
d’imposte progressive una volta che sia stata attribuita una funzione redistributiva al sistema tributario (come risulta peraltro dalla definizione di Pubbliche
Amministrazioni su cui ci siamo già soffermati).
Classificazione delle spese e delle entrate pubbliche
Conviene richiamare i principali passaggi storico-dottrinali che hanno portato
alla legittimazione del ruolo redistributivo del sistema tributario e quindi
all’adozione del principio della capacità contributiva.
Nei primi decenni del XIX secolo John Stuart Mill [1848, 811] ha sostenuto:
«non le fortune che sono state guadagnate, ma quelle che non sono state
guadagnate dovrebbero essere poste sotto controllo […] Il problema del
legislatore è quello di assicurare uguali opportunità a tutti». In questo quadro genericamente redistributivo, in cui si afferma il fondamentale principio
liberale delle uguali opportunità, lo strumento fiscale per eccellenza dovrebbe
essere l’imposta che colpisce le trasmissioni ereditarie di ricchezza, ossia
l’imposta sulle successioni. Questa imposta dovrebbe essere utilizzata per
evitare l’accumulazione di grandi fortune che, non derivando dallo sforzo
dei proprietari, sono immeritate.
Problemi di più vasta portata si pongono tuttavia, quando si deve ripartire fra
le diverse categorie di contribuenti il carico derivante dall’applicazione delle
imposte ordinarie sul reddito e sulla produzione. Il principio del beneficio si è
rivelato, infatti, inapplicabile nelle situazioni in cui non era possibile stabilire
nessi immediati fra spesa pubblica e beneficio ottenibile a livello individuale,
il che si verifica nella generalità dei casi.
Nell’attuazione del principio della capacità contributiva si doveva tuttavia
trovare una soluzione operativa che permettesse di stabilire quanto ogni
contribuente dovesse pagare nel rispetto di principi di equità ampiamente
condivisi. Lo stesso Mill credeva, erroneamente come vedremo, di aver trovato
una soluzione di carattere generale così formulabile: l’uguaglianza di fronte
alle imposte implica uguaglianza individuale di sacrificio e lo strumento fiscale
che consente il raggiungimento di questo obiettivo è l’imposta proporzionale
sul reddito. In altri termini, un principio equitativo ampiamente condivisibile
avrebbe richiesto l’introduzione di un’imposta sul reddito proporzionale (o
solo moderatamente progressiva se fosse stata riconosciuta l’esenzione di un
importo corrispondente al minimo di sussistenza). Per questa via sarebbe
stata realizzata, sempre a giudizio di Stuart Mill, l’uguaglianza individuale
di sacrificio.
Nelle elaborazioni teoriche successive gli economisti appartenenti alla scuola
utilitaristica si accorsero ben presto che l’espressione uguaglianza di sacrifici era
passibile di interpretazioni divergenti e che, soprattutto, le possibili interpretazioni e le diverse ipotesi sull’andamento della curva dell’utilità del reddito
portavano a scelte di politica tributaria profondamente diverse.
Il principio dell’uguale sacrificio può infatti essere inteso come:
1. Uguale sacrificio assoluto. Il principio è realizzato quando è sottratta
la stessa utilità totale a tutti i contribuenti. Indicando con h un generico
contribuente, con U la sua funzione di utilità, supposta identica per tutti gli
individui, con Y h e Yhd rispettivamente il reddito prima e dopo le imposte per
l’h-esimo individuo, il sacrificio individuale S h, per h = 1, …, H, può essere
espresso come segue:
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Capitolo 1
S h (USA) = U (Y h) - U (Y hd)
Il principio dell’uguale sacrificio assoluto richiede quindi che:
S h (USA) = K 6h
dove K è una costante.
2. Uguale sacrificio proporzionale. Il principio è realizzato quando è sottratta
a tutti gli individui la stessa quota dell’utilità del reddito prima delle imposte:
S (USP) =
h
[U (Y h) - U (Y hd)]
U ( Y h)
=K
6h
3. Uguale sacrificio marginale. Quando tutti i contribuenti sono assoggettati
all’imposta, il principio dell’uguale sacrificio marginale richiede che sia uguale
per tutti l’utilità marginale del reddito dopo le imposte:
S h _ USM i = Ul(Y hd) = K
6h
Tale risultato si ottiene minimizzando il sacrificio provocato dall’imposta a
livello aggregato, subordinatamente a un vincolo di gettito:
min ST (T 1, T 2, …, T n) / min / h [U (Y h) - U (Y h - T h)]
c.v. / h T h = T
Analiticamente tale conclusione può essere provata ottenendo dal vincolo
l’imposta pagata dal primo individuo:
n
T1 = T - / Th
h=2
in modo da poter riscrivere il sacrificio totale come:
n
ST ( T , T 2, ..., T n) = (U (Y 1) - U (Y 1 - T + / T h) +
h=2
n
+ / [U (Y h) - U (Y h - T h)]
h=2
che può essere ora minimizzato rispetto ai T h. In corrispondenza del punto
di minimo dovranno essere verificate le condizioni necessarie:
2ST
2T
h
=- Ule Y 1 - T + / T h o + Ul(Y h - T h) = 0
n
h=2
che implicano appunto S h (USM) = Ul(Y hd) = K .
6h = 2, ..., n
Classificazione delle spese e delle entrate pubbliche
La scelta dello strumento tributario (regressivo, proporzionale o progressivo)
richiede, insieme alla definizione di uguale sacrificio, anche la formulazione
di ipotesi sulla funzione di utilità. Noi abbiamo ipotizzato due casi rilevanti:
utilità marginale rispetto al reddito costante (il che implica elasticità dell’utilità
marginale rispetto al reddito uguale a zero), utilità marginale rappresentata
da un’iperbole equilatera (il che implica elasticità pari a 1). Più precisamente,
combinando i tre concetti di sacrificio con le due ipotesi sulla curva dell’utilità
del reddito, otteniamo sei casi ognuno dei quali richiede l’adozione di un
particolare tipo di imposta personale.
L’espressione dell’elasticità dell’utilità marginale del reddito in valore assoluto è:
f=
dUl Y
dY Ul
Quando l’utilità marginale del reddito è costante, abbiamo:
dUl
dY
=0
L’elasticità è unitaria se l’espressione analitica dell’utilità marginale individua
un’iperbole equilatera. Infatti:
f= -
K Y2
Y2 K
= -1
Elasticità (f)
Sacrificio
USA
USP
USM
f=0
f=1
Regressiva
Proporzionale
Indeterminata
Proporzionale
Progressiva
Progressiva
Con elasticità nulla le relazioni esistenti tra tipologia di imposte e definizioni
di sacrificio risultano abbastanza intuitive. Noi ci limiteremo a dimostrare
che elasticità unitaria della curva dell’utilità marginale del reddito e principio
dell’uguale sacrificio assoluto portano alla scelta di un’imposta proporzionale
[Fasiani 1950].
Date le nostre ipotesi, l’utilità marginale del reddito ha la forma funzionale
di un’iperbole equilatera:
Ul =
K
Y
L’utilità corrispondente per un dato reddito a è data da:
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Capitolo 1
U′
a (1 – t) a
2a (1 – t)
2a
a
figura 1.2. Principio del sacrificio assoluto con f = 1.
a
U = #0
K
Y
dY
Applichiamo un’imposta proporzionale di aliquota t. Il reddito disponibile
dopo l’imposta è pari ad a(1 - t).
Il corrispondente sacrificio è così misurato:
a
S h (USA) = # a (1 - t)
K
Y
dY = K [log a - log a (1 - t)] = K log
a
a (1 - t)
Se noi applichiamo la stessa aliquota a un reddito doppio di quello precedentemente considerato (2a) e calcoliamo il sacrificio, otteniamo che il sacrificio
è uguale in termini assoluti a quello sopportato dal contribuente con reddito
pari ad a (nella fig. 1.2, le due aree ombreggiate sono uguali), venendosi così
a dimostrare il nostro assunto.
È implicito che l’adozione del criterio dell’uguale sacrificio proporzionale e
marginale implica la scelta dell’imposta progressiva.
Come risulta dalla nostra schematizzazione, le possibili soluzioni per il problema della scelta del tipo di imposta appropriata sono molteplici; in particolare, deve essere preliminarmente decisa l’adozione di uno specifico concetto
di eguaglianza di sacrificio. Se ci si pone dal punto di vista della società nel suo
complesso e si vuole minimizzare il sacrificio totale connesso all’applicazione
dell’imposta a contribuenti con utilità marginale del reddito decrescente, si
deve adottare l’uguale sacrificio marginale, con importanti implicazioni di
carattere redistributivo. Ove le autorità di governo ipotizzassero l’esistenza di
un’unica curva dell’utilità marginale del reddito valida per tutti i componenti
Classificazione delle spese e delle entrate pubbliche
della collettività, l’uguale sacrificio marginale comporterebbe la progressiva
ugualizzazione dei redditi, fino a raggiungere il livello di gettito necessario
per finanziare la spesa pubblica esogenamente data. Ci troveremmo di fronte,
in altri termini, a una forma estrema di ugualitarismo che si scontrerebbe immediatamente, come sostennero gli stessi utilitaristi dell’800, con problemi di
disincentivo all’intraprendenza individuale: nessuno infatti sarebbe disposto
a lavorare quando l’aliquota marginale è pari al 100%.
Se si adotta, in alternativa, il principio dell’uguale sacrificio proporzionale
si entra nell’area della progressività non appena si abbandona l’ipotesi di
costanza dell’utilità marginale del reddito. Si noti che l’uguale sacrificio proporzionale ha il pregio di lasciare invariata, in termini di utilità, la posizione
relativa dei diversi contribuenti.
La giustificazione dell’imposta progressiva in termini di sacrificio non è tanto
interessante in sé, quanto come primo emblematico esempio delle difficoltà che
si incontrano quando si vogliono definire in termini, almeno apparentemente
rigorosi, problemi equitativi o di natura strettamente distributiva.
La stessa discussione è d’altra parte indice significativo della pericolosità che
certe impostazioni teoriche, quali quelle utilitaristiche nella loro apparente ragionevolezza ma anche nella loro indeterminatezza propositiva, hanno quando
le si voglia tradurre in termini pratici. Il tema della giustificazione dell’imposta
progressiva, e del grado di progressività che questa deve avere, ha comunque
accompagnato tutta la storia della finanza pubblica del mondo occidentale.
Alla fine del XIX secolo negli Stati Uniti un primo tentativo d’introduzione
dell’imposta progressiva sul reddito fallì per la dichiarazione d’incostituzionalità dell’imposta. Solo nel 1913 fu introdotta un’imposta federale sul reddito, che col tempo assunse carattere fortemente progressivo. Gli argomenti
utilitaristici prima sintetizzati contribuirono all’accettazione a livello politico
e sociale di un’imposta con finalità redistributive. Sempre negli Stati Uniti
nel 1986, con la riforma tributaria varata sotto la presidenza Reagan, la progressività fu notevolmente attenuata con l’argomento della disincentivazione
allo sforzo individuale determinato dalle elevate aliquote marginali d’imposta.
La Costituzione italiana prevede all’art. 53 che il nostro sistema tributario sia
informato a criteri di progressività, senza ulteriori specificazioni.
Gli argomenti utilitaristici a favore dell’imposta progressiva non furono mai
pacificamente accettati. In questo nostro excursus storico dottrinale si può
semplicemente ricordare che Luigi Einaudi pubblicò nel 1938 un saggio dal
titolo evidentemente significativo per i problemi che stiamo qui affrontando:
La vuota boria dei sommi principi utilitaristici dell’imposta. Sostiene Einaudi
che condizione essenziale per l’applicazione compiuta del principio del sacrificio comunque definito è l’esistenza di uno «psicoscopio».
Lo psicoscopio non esiste, né lo possiamo sostituire con il metodo della confessione auricolare al procuratore delle imposte. Essendo incontrollabile, per la
sua indole interna, se non dinanzi al tribunale di Dio, la confessione dinanzi al
tribunale degli uomini non avrebbe alcun valore. È necessario perciò che lo Stato
31
32
Capitolo 1
sostituisca una sua valutazione a quella dei singoli. Ma dovendo lo Stato essere
imparziale, la sua valutazione non può essere arbitrariamente diversa da uomo
a uomo. Lo Stato deve necessariamente assumere un uomo medio, fornito di
medie ordinarie comuni reazioni psicologiche di fronte all’acquisto o alla perdita
di successive dosi di ricchezza […] In luogo delle successive dosi di ricchezza
per i singoli componenti la società, noi conosciamo una curva inventata dal legislatore […] La sostanza economica dell’esercizio, sia detto con sopportazione,
è zero. Allo stato attuale delle conoscenze, nessuno è riuscito a varcare il ponte
fra le valutazioni individuali, difformi una dall’altra e inconoscibili, della curva
dell’utilità della ricchezza e la uniforme valutazione statale […] Se le cose stanno
così a che la solenne costruzione derivata dal sommo principio utilitaristico?
Guardando in fondo, si vede che la costruzione poggia tutta sulla scelta arbitraria fatta dal legislatore, e per lui dallo studioso, di un criterio qualunque di
distribuzione dell’imposta consigliata dal buon senso, dall’opportunità politica,
dalla prevalenza di certi sentimenti e di certi interessi [Einaudi 1938].
Se la costruzione teorica utilitaristica finisce per essere un rivestimento di scelte
squisitamente politiche, pur rendendo accettabile nel suo nucleo essenziale
l’intervento redistributivo attraverso l’imposta personale, non è inopportuno
chiedersi se esiste un tentativo di esplicitazione e di interpretazione storicopolitica delle vicende che hanno sia legittimato, sia reso necessario il ricorso
a forme di imposizione di tipo progressivo.
A questo riguardo conviene fare riferimento all’analisi storico-dottrinale di De
Viti De Marco [1934]. Nella storia possiamo riconoscere esempi di imposte
inversamente proporzionali alla ricchezza, altri di ripartizioni proporzionali,
altri di ripartizione progressiva. Prima della Rivoluzione francese vigeva
un sistema regressivo che esentava le classi dominanti, facendo gravare le
imposte sui contadini e sulla borghesia industriale. Con l’affermazione delle
classi produttive borghesi nel corso dell’800, si adottarono invece criteri di
proporzionalità nella ripartizione delle imposte. Sostiene De Viti:
l’imposta proporzionale rispetta il gioco naturale delle forze economiche e resta
neutrale nei confronti di esse, è il fenomeno tributario appropriato per un’epoca storica dominata, sul terreno economico, dall’interesse di non ostacolare
l’accumulazione indefinita della ricchezza.
Infine, e qui arriviamo alla fine del XIX secolo o agli inizi del XX per paesi
come l’Italia, a causa dell’influenza crescente delle classi popolari, anche come
conseguenza dell’introduzione del suffragio universale, il sistema tributario si
è avviato verso forme più o meno accentuate di progressività. In altri termini,
i benefici riservati alla generalità della popolazione, per non risolversi in una
mera partita di giro, devono trovare finanziamento in meccanismi di natura
redistributiva e quindi in sistemi impositivi tendenzialmente progressivi.
L’importanza dell’analisi di De Viti sta nel tentativo di collegare l’evoluzione
del fenomeno tributario alla più generale evoluzione politica, evitando il
ricorso alle dubbie formulazioni utilitaristiche. Sottolineando in particolare
il ruolo che le classi medie hanno sia come finanziatrici sia come beneficiarie
Classificazione delle spese e delle entrate pubbliche
degli interventi dello stato sociale, linee di indagini assimilabili a quelle di De
Viti possono essere utili per interpretare l’evoluzione dei sistemi tributari nei
paesi europei più avanzati [Lindert 2007]. Su questi temi ci soffermeremo
nel prosieguo del volume.
4. INTRODUZIONE ALL’ANALISI DELLE IMPOSTE
I sistemi tributari sono costituiti da numerose imposte, ognuna delle quali
si distingue per struttura giuridica e per effetti economici. Utilizzando le
classificazioni ufficiali, possiamo qui delineare le caratteristiche qualitative e
quantitative delle principali imposte dirette e indirette (tab. 1.1), sulle quali
ci soffermeremo in dettaglio nei capitoli successivi.
Fra le imposte dirette, che nel 2010 hanno dato un gettito pari al 14,5% del
prodotto interno, le principali sono le seguenti:
• l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) colpisce i redditi percepiti dalle persone fisiche in quanto lavoratori (dipendenti o autonomi), titolari
di imprese personali, proprietari di terreni e fabbricati e, in alcune ipotesi,
percettori di dividendi erogati dalle società di capitale. Nel nostro paese non
rientra nella base imponibile di questa imposta larga parte dei redditi di capitale
(quali i rendimenti dei titoli a reddito fisso e dei depositi bancari, i dividendi e
i proventi dei fondi comuni di investimento). Sul piano quantitativo l’IRPEF
è l’imposta più importante del nostro sistema tributario (10,5% del PIL);
• l’imposta sul reddito delle società (IRES) assoggetta il reddito delle
persone giuridiche, determinato sulla base delle risultanze di bilancio, ad
un’imposta specifica che svolge un ruolo complementare all’IRPEF;
• l’imposta sostitutiva sui redditi di capitale e sulle plusvalenze colpisce larga
parte dei redditi di capitale e dei capital gains, nel nostro paese esclusi dalla
base imponibile dell’IRPEF ed assoggettati ad un’imposta proporzionale.
Le imposte indirette, con un gettito pari al 13,9%, sono suddivise in quattro
categorie all’interno delle quali indichiamo le più rilevanti:
1. affari:
• l’imposta sul valore aggiunto (IVA) colpisce la differenza fra il valore delle
vendite e il valore degli acquisti effettuati da un’impresa. Per la deducibilità
degli investimenti lordi e la non imponibilità delle esportazioni, in Italia l’imposta di valore aggiunto ha una base imponibile di tipo consumo;
• l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) si applica sul valore
della produzione netta di tutti i settori produttivi, costituendo pertanto una
seconda imposta sul valore aggiunto diversa dall’IVA;
• l’imposta di registro si applica al momento della registrazione di alcuni
atti, tra i quali particolarmente rilevanti sono quelli connessi al trasferimento
della proprietà immobiliare. A questa imposta sono assimilabili numerose
altre imposte esistenti nel nostro ordinamento, quali l’imposta di bollo, quella
sulle assicurazioni o le tasse sulle concessioni governative.
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Capitolo 1
TAB. 1.1. Entrate correnti delle Amministrazioni Pubbliche, 2010
Valore
assoluto
Composizione
Percentuale
Percentuale
del PIL
Imposte Dirette
IRPEF a
IRES
Sostitutive
Altre
225,5
173,2
34,4
8,1
9,8
31,2
24,0
4,8
1,1
1,4
14,6
11,2
2,2
0,5
0,6
Imposte Indirette
IVA
IRAP
ICI
Oli minerali
Tabacchi
Lotto
Altre
220,5
95,1
32
8,6
22,8
11
7,7
43,3
30,5
13,2
4,4
1,2
3,2
1,5
1,1
6,0
14,2
6,1
2,1
0,6
1,5
0,7
0,5
2,8
Contributi Sociali
214,5
29,7
13,8
Altre entrate
Totale
61,8
8,6
4,0
722,3
100,0
46,6
a
Comprende l’addizionale regionale e comunale.
Fonte: Istat, I conti delle Amministrazioni Pubbliche, Banca d’Italia, Relazione Annuale – Appendice.
2. produzione:
• un’imposta specifica per unità di prodotto (accisa) colpisce la fabbricazione o il consumo di alcuni beni. Le più rilevanti in termini di gettito sono
le imposte sugli oli minerali, fra cui rientra la benzina;
3. monopoli:
• il gettito di questa categoria deriva quasi integralmente dalla vendita dei tabacchi per i quali si applicano in regime di monopolio prezzi pubblici superiori
a quelli che applicherebbe un imprenditore privato; la differenza fra il prezzo
e il costo medio di produzione costituisce una forma di imposizione indiretta.
4. lotto e lotterie:
• deve essere qui semplicemente sottolineato il gettito relativamente consistente di questa categoria d’imposte.
Fra le imposte indirette è infine compresa anche l’imposta comunale sugli
immobili, che costituiva l’esempio più rilevante d’imposta commisurata al
valore patrimoniale di un bene capitale. Dal 2012 è stata sostituita dall’Imposta
Municipale Unica sugli immobili.
Nella tabella 1.1 sono infine indicati i dati relativi al gettito dei contributi
sociali, pari al 13,8% del prodotto interno, distinti nelle principali componenti. I contributi sociali sono costituiti da tutti i versamenti effettuati o
dalle persone assicurate o dai loro datori di lavoro agli organismi che erogano
prestazioni di protezione sociale, al fine di acquisire o conservare il diritto a
queste prestazioni.
Dal nostro sintetico esame del sistema tributario emerge che il gettito deriva
per larga parte da un ristretto numero di imposte, nonostante la forte arti-
Classificazione delle spese e delle entrate pubbliche
TAB. 1.2. Finanza pubblica: un confronto internazionale, 2010
Entrate
Area Euro
Italia
Germania
Francia
Regno Unito
44,5
46,0
43,3
49,2
40,6
Spese al netto
Spese per
degli interessi
interessi
47,6
46,1
44,2
53,7
48,0
2,8
4,5
2,4
2,5
3,0
Indebitamento
Indebitamento
primario
6,0
4,6
3,3
7,0
10,4
3,2
0,1
0,9
4,5
7,4
Fonte: Banca d’Italia, Supplementi al Bollettino Statistico, Statistiche di finanza pubblica nei paesi
dell’Unione europea, 2011.
TAB. 1.3. Entrate totali in percentuale del PIL, 1970-2010
Imposte dirette
Imposte indirette
Contributi sociali
Altre entrate
Entrate totali
1970
1980
1990
1995
1997
2001
2005
2010
5,6
11,2
11,9
3,3
32,0
9,6
8,6
11,4
3,6
33,2
14,2
10,7
15,4
2,4
42,7
12,7
12,1
14,8
4,0
45,6
16,0
12,4
15,3
4,5
48,2
14,7
14,3
12,3
3,7
45,0
13,3
14,3
12,8
3,8
44,2
14,6
14,2
13,8
4,0
46,6
Fonte: Banca d’Italia, Relazione Annuale.
colazione delle modalità di prelievo: infatti le cinque imposte più importanti
in termini di gettito, sulle quali si concentrerà l’analisi nei capitoli successivi
(IRPEF, IRES, IVA, IRAP e imposte sugli oli minerali) danno circa il 60% del
totale. Si può anche aggiungere che le imposte connesse al processo produttivo e all’attività di consumo (quali sono le imposte dirette e larga parte delle
imposte indirette) producono una larghissima parte del gettito dei moderni
sistemi di prelievo obbligatorio; decisamente modesto è, invece, il ruolo
delle imposte connesse al possesso o al trasferimento della ricchezza (quali
le imposte sugli immobili e le imposte di registro), a maggior ragione dopo
l’abolizione delle imposte di successione recentemente decisa.
A conclusione di questo capitolo è opportuno fornire alcune informazioni
quantitative. Nel nostro paese le entrate totali delle Pubbliche Amministrazioni
si collocavano nel 2010 al 46% del prodotto interno contro il 43,6% della
Germania e il 49,2% della Francia. Le entrate nel nostro paese sono peraltro
sensibilmente superiori a quelle del Regno Unito (oltre che del Giappone e
degli Stati Uniti) dove un importante sistema di previdenza complementare
limita sia il prelievo obbligatorio sotto forma di contributi sociali, sia il gettito delle imposte dirette per l’esistenza di importanti incentivazioni fiscali
all’accantonamento pensionistico (tab. 1.2).
Nel periodo 1970-2010 l’incremento delle entrate totali in termini di prodotto interno (14,6 punti) è stato associato ad un equivalente aumento della
pressione fiscale (pari alla somma di entrate tributarie e di contributi sociali).
Deve essere sottolineato che circa 2/3 dell’incremento complessivo è dovuto
alla forte espansione delle imposte dirette, aumentate di più del doppio in
termini di prodotto interno (tab. 1.3).
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