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Thesis La scoperta dell'Italia : Letteratura, geografia e turismo nella rivista "Le Vie d'Italia" (1917-1967) del Touring Club Italiano LONATI, Sara Stefania Abstract Studio editoriale, multidisciplinare ed evolutivo de «Le Vie d’Italia», la rivista madre della pubblicistica del Touring Club Italiano, patrimonio culturale, letterario, artistico e scientifico di un cinquantennio di storia italiana, compreso tra il 1917 e il 1967. In una prospettiva sistemica, filiazione del «viaggio testuale» di Maria Corti, comprendente l’editore, il contesto storico, gli autori-collaboratori, i lettori e le tipologie grafiche e testuali degli articoli, l’analisi tocca nomi ineludibili nel panorama editoriale, letterario, artistico e fotografico del Novecento: da Luigi Vittorio Bertarelli a Luigi Rusca, da Carlo Emilio Gadda ad Alberto Moravia, da Adolfo de Carolis a Oliviero Toscani, interpreti d’eccezione del paesaggio peninsulare, impegnati nel compito post-risorgimentale tuttora attuale di «far conoscere l’Italia agli italiani». Reference LONATI, Sara Stefania. La scoperta dell'Italia : Letteratura, geografia e turismo nella rivista "Le Vie d'Italia" (1917-1967) del Touring Club Italiano. Thèse de doctorat : Univ. Genève, 2011, no. L. 735 URN : urn:nbn:ch:unige-184293 Available at: http://archive-ouverte.unige.ch/unige:18429 Disclaimer: layout of this document may differ from the published version. UNIVERSITE DE GENEVE FACULTE DES LETTRES THESE EN LITTERATURE ITALIENNE EN CO-TUTELLE AVEC L’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA de SARA STEFANIA LONATI «LA SCOPERTA DELL’ITALIA». LETTERATURA, GEOGRAFIA E TURISMO NELLA RIVISTA « LE VIE D’ITALIA » (1917-1967) DEL TOURING CLUB ITALIANO A. De Carolis, Pubblicità Aeroplani Pomilio, anno I, n. 1, settembre 1917 Directeurs de recherche: Prof. Emilio Manzotti (Université de Genève) Prof. Giovanna Anna Modena (Università degli Studi di Pavia) Président du jury: Prof. Giovanni Bardazzi Strano Paese, l’Italia, i tempi eroici non sono ancora finiti. F. Colutta, L’Italia a pezzi, in «Le Vie d’Italia», anno LXX, n. 1, gennaio 1964, p. 23 Arbri, Neta dhe Titti, faleminderit. E. Quiresi, Il lago di Fusine, anno LXVIII, n. 7, luglio 1962 INDICE Ringraziamenti Cinquant’anni, una rivista 1. GUERRA E DOPOGUERRA. LE «LE VIE D’ITALIA» DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLO STATO LIBERALE (1917-1921) 1.1 VERSO «LE VIE D’ITALIA» 1.2 «ALLA RISCOSSA!» 1.3 DOPO LA VITTORIA 1.4 «PASSARE IL RUBICONE» 2. p. 83 p. 95 p. 102 p. 107 p. 114 UNA RIVISTA FASCISTIZZATA? (1927-1936) 3.1 INGERENZE ED EQUILIBRISMI 3.2 E. F. – ERA FASCISTA 3.3 «L’ITALIA CHE NON FINISCE ALLE FRONTIERE» 3.4 BICICLETTE E RETORICA 3.5 IL MAL D’AFRICA E L’IMPERO (ROMANO) 3.6 ATTRAVERSO L’ITALIA DI SCRITTORI E ARTISTI 4. p. 17 p. 24 p. 47 p. 61 ARRIVI E PARTENZE: DA MUSSOLINI AL POTERE ALLA MORTE DI BERTARELLI (1922-1926) 2.1 «UN ANNO DI GRAZIA» PER BERTARELLI 2.2 GLI SPECIALISTI E LA QUESTIONE LINGUISTICA 2.3 GIORNALISTI… DAL «CORRIERE» 2.4 «ROMA SEMPRE E DAPPERTUTTO» 2.5 BERTACCHI E GLI ALTRI: VERSO VIE PIÙ AMENE 3. p. 7 p. 124 p. 130 p. 139 p. 143 p. 150 p. 170 «LE VIE D’ITALIA» DELLA CONSOCIAZIONE TURISTICA ITALIANA (1937-1943) 4.1 CENSURA ED AUTARCHIA 4.2 NUOVI ALLEATI E NUOVE CONQUISTE 4.3 IN GUERRA 4.4 L’INGEGNER GADDA E LA PROPAGANDA 4.5 VIAGGETTI p. 186 p. 198 p. 201 p. 207 p. 221 4.6 QUALCHE VOCE FUORI DAL CORO E UN ARRIVEDERCI 5. RIPRESA. CONTINUITÀ, NOVITÀ E RITORNI (1946-1958) 5.1 «GUARDARE AVANTI» E A NUOVI MODELLI 5.2 RIAVVIARE E RIPENSARE IL TURISMO 5.3 NEORISORGIMENTO. DALLA RESISTENZA AI NUOVI CONFINI 5.4 NOVITÀ IN REDAZIONE 5.5 LETTORI PROTAGONISTI 5.6 ORIGINE E SVILUPPI DI UN CERTAME LETTERARIO 5.7 CRITICA (E PROSA) D’ARTE 5.8 ULTIME RIFLESSIONI ODEPORICHE 6. p. 236 p. 241 p. 247 p. 256 p. 267 p. 280 p. 285 p. 307 p. 315 GLI ANNI SESSANTA. VERSO LA FINE (1959-1967) 6.1 FARE «UNA GRANDE E BELLA RIVISTA DEL TURISMO ITALIANO» (?) 6.2 INCHIESTE ED ENGAGEMENT 6.3 VERSO UNA NUOVA ICONOGRAFIA 6.4 REPORTAGES E RIEVOCAZIONI D’AUTORE 6.5 NEL SEGNO DELLA TRADIZIONE 6.6 GLI ULTIMI ANNI, L’ULTIMO DIRETTORE 6.7 BREVE EPILOGO p. 322 p. 329 p. 336 p. 339 p. 353 p. 356 p. 366 BIBLIOGRAFIA p. 369 INDICE DEI NOMI p. 390 INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI p. 405 Ringraziamenti Vanno da sé: i professori Manzotti, Modena e Visentin e gli altri membri della giuria, disposti a leggersi tutto d’un fiato il racconto di viaggio di una lunghissima estate, o meglio, primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera. Le archiviste del Centro Documentazione del Touring Club Italiano presso la Triennale di Milano: Luciana Senna ed Elisabetta Porro. Senza dimenticare Giovanna Rosselli, custode di quel patrimonio che sono gli «scartafacci», i verbali, le fotografie e le corrispondenze dell’Archivio Storico dell’associazione, ancora in fase di riordino dopo l’ennesimo trasloco da Via Adamello, di cui mantengo ricordi felici sia professionalmente sia umanamente (grazie anche a Silvia Ferrari). Per rimanere in tema di «scartafacci», un grazie a Jader Bosi e a Nicoletta Trotta del Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia per avermi messo tra le mani i taccuini di viaggio di Orio Vergani e altri libelli; grazie a Marco Tieghi della Biblioteca del CAI di Milano e a tutti i bibliotecari indulgenti. Un ringraziamento va pure ai figli di Pocar, disponibili a raccontarmi le avventure di Ervino campeggiatore. Ringrazio infine il Collegio Ghislieri di Pavia, la Fondation pour des Bourses d’Etudes Italo-Suisses de Lausanne e l’Université de Genève, che mi hanno permesso per 36 mesi di vedere come sono «le vie d’Italia» dal di fuori, ingiustamente malconce e scarsamente illuminate (soprattutto quelle ambrosiane), eppure, ancora dopo 150 anni, belle, belle, belle. Da Cogne a Favignana. C i n q u a n t ’ a n n i , u n a r i v i s t a… … cinque direttori, tre dei quali presidenti del Touring Club Italiano; otto capiredattori; probabilmente più di duemila collaboratori, secondo una stima approssimativa, tralasciando un numero imprecisato di fotografi e illustratori; più di settemila articoli, andando sempre per approssimazione, senza contare le rubriche e le rassegne, contenuti in cinquecentosettantasei fascicoli; settantacinquemila abbonati nel 1921, centottantamila negli anni Trenta, poco più di ventisettemila a chiusura delle pubblicazioni. Sono i numeri e i soggetti implicati nelle «Vie d’Italia», la rivista mensile del TCI, molto di più di un bollettino di informazione per i soci del sodalizio. Tutti numeri e soggetti da racchiudere tra due date che parlano da sole: settembre 1917 – dicembre 1967. Due vigilie importanti: Caporetto e il Sessantotto. Tutti numeri e soggetti da far reagire fra loro, immersi in questa grande ampolla traumatica fatta dai detriti delle due guerre mondiali, del ventennio dittatoriale, della rinascita sotto il segno della resistenza e del boom economico incontrollato e sconvolgente. Un’ampolla disegnata dal cambiamento dell’Italia nei suoi confini irredenti e domini coloniali, dalla democratizzazione (e massificazione) dei mezzi di trasporto, del tempo libero e dell’istruzione. Nell’ampolla i vari atomi sono organizzati in una struttura molecolare, che porta il nome caro a Grosser e a Guglielmino di «sistema letterario». Il sistema è complesso perché prevede quattro atomi molto diversi fra loro: l’editore, gli autori, i testi e i lettori. A complicare la struttura v’è la peculiarità tutta del Touring Club Italiano di essere, prima ancora che un editore, l’associazione turistica più importante d’Italia, la cui evoluzione è stata recentemente affrontata in modo variamente approfondito e divulgativo da due storici, quali Stefano Pivato e Daniele Bardelli, che avremo modo di incontrare lungo il percorso, senza tuttavia cercare di allontanarci dall’osservazione e dall’analisi del nostro «sistema “Le Vie d’Italia”», immerso in una prospettiva storicoculturale, volta al collegamento testuale-contestuale, retaggio imprescindibile degli «Annales d’Histoire Économique et Sociale» di Bloch e Febvre. Del resto, guardando alle coordinate di nascita del sodalizio, Milano 1894, era pur lecito supporre che nella nascente capitale dell’editoria, nella città del «Politèknik», o meglio dei Politecnici, pensando sia a uno dei pilastri di Piazza Leonardo da Vinci 7 (Giuseppe Colombo), sia all’anima dell’omonima rivista (Carlo Cattaneo), tra la schiera della rampante imprenditoria ambrosiana, uomini dell’Ottocento lombardo come Luigi Vittorio Bertarelli, Giovanni Bognetti, Giovanni Mira e Luigi Rusca, seguaci della divulgazione hoepliana e dell’intrattenimento sonzognano, immaginassero di aderire a un progetto culturale ed editoriale ambizioso, ad ampio raggio. Ben più ampio di quello di una bicicletta o del pneumatico di un’automobile. Il progetto è molto semplice e ancora dopo centocinquant’anni non scontato: «fare gli italiani», facendo loro conoscere l’Italia, facendola amare e quindi, nei tempi più bui, salvarla dagli scempi e dal vizio. Questa l’idea di cultura sottesa al progetto editoriale che comprenderà via via al suo interno vari sistemi, oltre a quello che ci apprestiamo a analizzare, quali: quello cartografico, quello guidistico del primo baedeker italiano per turisti italiani, quello dei periodici tecnici e specialistici e infine quello delle collane meramente illustrative e fotografiche. Sistemi tra loro interconnessi, cui cercheremo di dar conto nelle diverse intersezioni con il nostro sistema letterario che, come vedremo, di prettamente letterario, nonostante i vari pregiudizi che si possono muovere verso le terre di confine della letteratura di viaggio e turistica, presenterà alcune pietre miliari, a torto ignorate, forse solo poiché riposte in questo contesto. E di questo contesto, molto positivista e smilesiano, si deve sapere immediatamente come: «Non intendiamo per coltura del popolo solamente il libro o la scuola, ma tutto ciò che lo allontana dalla taverna e dal vizio. Quindi quale migliore impiego del tempo di una partita al giuoco del calcio, o una gita in bicicletta? Quest’ultima può essere unita alla visita di qualche località particolarmente interessante per le bellezze naturali o per le memorie artistiche».1 Le parole sono di Luigi Rusca, uno dei più grandi «registi» dell’editoria italiana, protagonista nell’ombra dell’associazione e della rivista analizzata. Vanno ben al di là della tradizione accademica e umanistica tutta peninsulare ed elitaria, e si allargano a quella intrinsecamente anglo-milanese (come è il primo presidente del TCI, Federico Johnson), industriale e politecnica, per cui ogni arte è !"#$%, capacità di fare, che si apprende sia nel lavoro, sia nello svago, correttamente orientato, della mente e del corpo, con una 1 L. Rusca, I doveri e i diritti del popolo alla coltura. (Dialogo con un lavoratore), Opuscolo di Propaganda n. 5 del Fascio Popolare di Educazione Sociale, Milano, Stabilimento-Tipografico F.lli Veronesi, 1919, p. 20. 8 passeggiata cicloturistica. Ad aderire a questo progetto di editoria culturale, lanciato in primis dal Bertarelli, anima indiscussa dell’associazione, latamente inteso e orientato al viaggio nella sua essenza conoscitiva, sono molti nomi delle scienze, del giornalismo, della letteratura, dell’arte, della tecnica e del settore più strettamente turistico, nonché, dal punto di vista squisitamente formale, le maggiori firme dell’illustrazione e della fotografia italiane. Il progetto che prenderà la forma, dopo i successi cartografici e guidistici di inizio secolo, è quello del mensile italiano più venduto in abbonamento (almeno fino al Ventennio), che qui ci proporremo di analizzare, cercando di gettare le basi di una mappa diacronica e sistemica, testuale e contestuale, per futuri orientamenti. Nelle indagini, partendo da nomi più o meno noti emersi dagli indici decennali della rivista, lo spettro si è allargato allo spoglio degli articoli, contraddistinti da peculiari tematiche e tipologie testuali, significative per le tendenze e le urgenze dei tempi, in evoluzione nel corso dei decenni, e in stretto rapporto grafico con altrettanto famosi disegnatori e fotografi, curatori della forma editoriale. Procedendo in questo modo è stato possibile muoversi con più agio in un territorio altrimenti impervio, data la sua vastità, e imbastire un aggiornamento dello stato critico e bibliografico di alcuni scrittori canonici della nostra letteratura, oltre che di giornalisti e divulgatori, messi in una luce dialetticamente nuova, dacché alimentata dalla stessa rivista, sin qui mai affrontata in maniera sistematica nella sua interezza, complessità e varietà. A cominciare dai lampi, più o meno inattesi legati al mondo delle lettere e del giornalismo (soprattutto di Via Solferino), di Tomaselli, Vergani, Bertacchi, Sanminiatelli, Linati, Gadda, Cozzani, Antonicelli, Buzzati, Bargellini, Rea, Bianciardi, Praz e Comisso, tanto per far dei nomi fra i più noti e maggiormente presenti, si è potuto avere dei «cartelli direzionali» verso i testi. Una volta qui approdati, ampliato il raggio a livello tematico e sincronico all’interno di identificate macroperiodizzazioni storico-editoriali, si sono aperte le vie tipologiche del reportage, della critica d’arte, dell’elzeviro, dell’inchiesta, della prosa tecnico-scientifica e propagandistica, vie stilistiche e linguistiche, nonché, in ultima analisi, grafiche. Il contenuto è inscindibile dal suo contenitore editoriale che ne decide la forma grafica. La simbiosi iconico-testuale si fa ancora più preziosa e ineludibile quando i nomi chiamati in causa sono quelli di illustratori come Dudovich, De Carolis, Cagnoni, 9 Vellani Marchi, Bianconi, e di fotografi quali Berengo Gardin, Merisio, Stefani e Scianna. Questo esperimento tra reagenti, altrimenti detto «viaggio testuale», come felicemente lo ha chiamato Maria Corti prendendo in considerazione autori, testi, lettori e contesto storico,2 non ha dimenticato infine l’orizzonte più marcatamente spinazzoliano del pubblico della modernità, destinatario di una mirata politica editoriale, inserito in questo caso nel quadro più ampio della vita associativa e concretamente partecipativa del Touring, nonché all’interno delle dinamiche storicosociologiche innescatesi nel corso di decenni densissimi di mutamenti. Mutamenti peraltro assai condizionanti: tali da obbligare la chiusura delle pubblicazioni, oltre che nel dicembre 1967, anche dall’agosto 1943 al gennaio 1946. Date brevemente queste coordinate critiche del modus operandi adottato che ha portato a scoprire, tra l’altro, scritti odeporici di Cassola, Moravia, Alvaro, Rea e Comisso finiti nel dimenticatoio, un plagio gaddiano, un Bertarelli probabilmente da rivalutare tra gli scrittori ed editori del Novecento, un Bertacchi in fondo non poi così «ipocarducciano», un Rusca sin da giovane grande protagonista dei risvolti editoriali dell’associazione e un Pocar intraprendente campeggiatore, è bene evidenziare come tematiche care alla rivista, quali la bonificazione, la conformazione geografica peninsulare, l’espansionismo coloniale, la tutela del paesaggio e del patrimonio artistico, siano già state oggetto di studi in relazione all’operato del TCI. Studi che hanno coinvolto direttamente gli articoli del mensile, ma che risultavano necessariamente settoriali. A questa frammentazione tematica e disciplinare mancava un punto di incontro e d’unione, che portasse la rivista con la sua evoluzione a divenire non più fonte strumentale, bensì protagonista, offrendo il panorama contestuale, editoriale e ricettivo di articoli, temi ed autori in certi casi già noti. Per questi motivi la ricerca ha preferito abbracciare una prospettiva cronologica, volta a fornire un quadro d’insieme organizzato necessariamente in macroperiodizzazioni d’orientamento, all’interno delle quali sviluppare raggruppamenti sincronici e contrastivi di generi testuali e tematiche, ovverosia scelte motivate da ragioni redazionali e storico-sociologiche, nonché portate a piena realizzazione dai vari 2 Cfr. M. Corti, Il viaggio testuale, Torino, Einaudi, 1978, p. 5: «C’è il viaggio dell’autore verso il testo e quello del testo verso il profondo della propria legge costruttiva; e poi viaggio di ogni lettore nel testo e del testo nella realtà o nella storia». 10 protagonisti della cultura, della scienza, dell’iconografia e della letteratura italiana, attraverso la stesura di articoli letti da un pubblico sui generis, molto presente ed anch’esso in evoluzione. Tale impostazione del lavoro è stata eletta al fine di mettere a fuoco l’evolversi di questo preciso sistema letterario, o viaggio testuale come lo chiamava la Corti, mettendo in relazione aspetti e protagonisti imprescindibili per il cinquantennio di pubblicazioni. Nel primo capitolo si è pertanto proceduto con l’esame della nascita delle «Vie d’Italia», dell’humus culturale di cui si nutrono, del contesto associativo, unico in Italia, ove matura la scelta di dare avvio a tale rivista a pagamento, eminentemente tecnica, sui problemi turistici dell’imminente dopoguerra, in affiancamento alla «Rivista Mensile», il bollettino gratuito dei soci del TCI. Oltre che su verbali d’archivio e sullo spoglio del bollettino contenente i rinvii a questo nuovo progetto editoriale-imprenditoriale, l’attenzione s’è focalizzata sul personaggio carismatico di Luigi Vittorio Bertarelli, già trattato biograficamente e letterariamente da Luca Clerici. Per questo motivo, attraverso un esordio in medias res attinente alla rivista e ai retroscena editoriali emersi, la mia prospettiva ha preferito una massima focalizzazione sul Bertarelli editore, ideatore e scrittore del nuovo mensile. In aggiunta a questo taglio autoriale, di contestualizzazione storica e di orizzonti di attesa di un pubblico partecipe, chiamato a scegliere il titolo del periodico, non è stata tralasciata l’analisi della veste grafica e pubblicitaria del «prodotto finito», con i protagonisti già nominati del mondo cartellonistico: De Carolis, Battaglini, Bisi e Dudovich. Circa le tipologie testuali, si veda come nell’indigenza e nella necessità di prospettare una crescita economica post-bellica, i contributi siano tecnici e pragmatici in riferimento alla mera propaganda turistica, ai luoghi termali da lanciare per il turismo nascente e ai mezzi di trasporto. Gli autori interessati sono inevitabilmente figure di tecnici, scienziati e ingegneri, come Filippo Tajani, Guido Ruata, Cesare Albertini, Angelo Mariotti, che elevano il valore scientifico e segnano il successo della nuova rivista, divenuta dal 1920 organo ufficiale dell’ENIT. Da rilevare è pure una prima presenza giornalistica legata all’ambiente dell’«Ambrosiano» e del «Corriere» con De Flaviis e Ferrigni, oltre a un fotoreporter d’alto lignaggio quale Luigi Amedeo di Savoia. Nel 1921 con l’unione della «Rivista Mensile» e delle «Vie d’Italia», il contributo meno tecnico, più divulgativo e di illustrazione del patrimonio naturale ed artistico nostrano, secondo il programma post-risorgimentale del nosce te 11 ipsum, è evidente nella redazione affidata alle cure di Giovanni Bognetti e di Luigi Rusca. A questo proposito si sono messi in luce i contributi di Bertieri, Giolli, Nicodemi, Dami, Tarchiani, Isnardi, e dei geografi Almagià e Marinelli. Analizzata ormai la completa definizione e affermazione del programma editoriale della rivista, il secondo capitolo verte sulla transizione storica marcata dall’ascesa del fascismo e dalla fine della fattività del Bertarelli, deceduto nel 1926, anno di entrata in vigore delle leggi fascistissime. Si analizza il successo costante delle vendite della rivista, in relazione a un clima favorevole per il turismo dato il nuovo slancio governativo in questa materia, uno slancio destinato però a trasformarsi in monopolio dittatoriale, esautorando nel decennio successivo la funzione del sodalizio post-risorgimentale e liberale. Primi nomi fascisti, come quello di Lando Ferretti, circolano nella sede di Corso Italia, assieme a quelli legati al foglio clandestino d’opposizione «Il Caffé»: Luigi Rusca, Giovanni Mira e Mario Borsa, costretti poi ad abbandonare la redazione e il sodalizio. Parimenti, la questione linguistica degli stranierismi nella stampa comincia ad essere argomento delicato, anche in relazione all’attività dei campeggi organizzata e pubblicizzata da Mario Tedeschi ed Ervino Pocar. Un interesse sempre maggiore si constata verso l’archeologia, per ragioni eminentemente ideologiche, preparatrici del culto propagandistico dell’impero degli anni Trenta, sebbene un intervento come quello dell’illuminata Paola Lombroso, o gli studi nuragici di Taramelli, risultino nettamente fuori dal coro, come, del resto, non orientati a un mero espansionismo sono i reportages di viaggio e scientifici di Ardito Desio dall’Italia d’oltreconfine. Le collaborazioni di giornalisti, principalmente dal «Corriere» con Tomaselli, Caprin e Janni, e quelle di letterati tout court, a cominciare dal Bertacchi, poeta cantore del TCI, si fanno più incisive, quantitativamente e qualitativamente, non solo per la cronaca turistica in forma di reportage o per elzeviri paesaggistici, ma anche per le rievocazioni di anniversari di grandi personalità della cultura italiana. Il capitolo successivo è racchiuso nei limiti temporali del cambio direzionale seguito alla morte di Bertarelli, con la nomina di Bognetti a presidente dell’associazione, e del 1937, anno in cui la rivista diventa il mensile della Consociazione Turistica Italiana, segno di un’intromissione dittatoriale senza precedenti. In apertura si analizzano perciò i passaggi che porteranno a questa 12 situazione, gli espedienti per sfuggire alle maglie della censura e per assecondare il potere politico, l’interesse molteplice di Mussolini per il controllo di questa rivista in particolare, dacché la più venduta, appartenente ad un’associazione capillarmente diffusa in tutt’Italia, nonché organo dell’ente parastatale ENIT, talvolta in disaccordo governativo, e pertanto messo a tacere. Da queste nuove premesse, il passaggio all’analisi testuale si propone di evidenziare le implicazioni contenutistiche e grafiche che l’apparato propagandistico del regime impone, affiancando in maniera contrastiva scritti di propaganda tout court a quelli di divulgazione tecnica cui il mensile non rinuncia, affidandosi non a penne ammaestrate bensì a botanici e avvocati, come Pavari e Parpagliolo nel caso delle bonifiche. Tale percorso contrastivo sarà portato avanti nel capitolo successivo con l’analisi degli scritti tecnici di Gadda e quelli di mera propaganda di Puccini. All’altezza cronologica degli anni Trenta, le fanfare del regime risuonano anche in Corso Italia, tagliando le ali al turismo scolastico dell’associazione soppiantato dalla militarizzazione dei Balilla, ma altresì accentuando i successi della rivista, che genera gli sviluppi delle «Vie del Mondo», successori delle «Vie d’Italia e dell’America Latina», mensile minore destinato agli emigrati (ennesima parola censurata dal fascismo). I successi maturano soprattutto in concomitanza all’impresa etiopica, documentata dal generale Bollati, epurato dal catalogo Einaudi, e con la relativa diffusione della letteratura coloniale, la quale annovera tra gli altri Tedesco Zammarano e De’ Gaslini. Tuttavia, farà specie constatare come risulti intatta dal nuovo nazionalismo la retorica patriottarda del Touring, legata ai contributi di antifascisti come Fabietti e Ferrari. Si tratta però di lampi che si stagliano in una rivista che sceglie sempre più le vie necessarie alla sopravvivenza, quelle del disimpegno illustrativo dei «viaggetti», sotto la guida del redattore Gualtiero Laeng, chimico svizzero, circondato dai nomi di Francini Bruni, Calzini, Zorzi, Emilia Salvioni, Balsamo Crivelli, Brosio, Fanciulli, Varagnolo, aggiuntisi al Bertacchi. Ancora più segnata dal punto di vista strettamente editoriale è la svolta del 1937, se la si paragona alla scomparsa nel 1935 di Bognetti, uomo di cultura ed equilibrista nei rapporti col regime, e alla successiva nomina a direttore e presidente dell’associazione di Carlo Bonardi, in primis uomo politico. Vengono quindi documentate le azioni censorie, l’accoglienza da parte del pubblico dei cambiamenti della Consociazione dettati dal governo, le difficoltà economiche cui è messa di fronte 13 la redazione in tempi autarchici. Tempi che porteranno ad alleanze fatali con la Germania nazista, propinate dal punto di vista culturale sulla rivista da Manacorda, e infine alla guerra tanto esaltata da un attivissimo Cozzani. «Le Vie d’Italia» della Consociazione, nonostante la loro veste grafica più guerresca e gli interventi gaddiani, mirabile sunto dell’osmosi tecnico-letteraria ambrosiana, si affermeranno però a pieno titolo come una rivista di turismo culturale in grado di ospitare prose di viaggio e rievocazioni geo-letterarie notevoli a firma di Tessa, Linati, Gotta, Giorgieri Contri, Sanminiatelli, Viani, Buzzi, Titta Rosa, Saponaro, Alvaro, Frateili, Villaroel e Fiumi, coprendo da Nord a Sud lo spettro delle varie tendenze dell’odeporica nostrana, spesso interpretata da noti disegnatori come Baranelli, Vellani Marchi e Bernardini. Questo almeno fino a quando anche Milano non finisce sotto i bombardamenti che impongono la chiusura della rivista dall’agosto 1943 al gennaio 1946. La ripresa delle pubblicazioni nel dopoguerra marca l’avvio di una nuova fase editoriale, nel segno sia della continuità garantita da alcuni intellettuali dissenzienti del Partito d’Azione e di Giustizia e Libertà, già presenti inaspettatamente negli anni Quaranta, ossia Antonicelli, Longhena e Gorgerino, sia del ritorno di coloro che per primi negli anni Venti avevano dovuto lasciare gli incarichi redazionali: il professor Mira, nuovo direttore, e Rusca, l’ultimo direttore del periodico. Sotto la direzione dello storico Mira, emerge una forte necessità di ri-scrittura e re-interpretazione storiografica del Risorgimento e della Resistenza, con le collaborazioni di Spellanzon, Salvatorelli, Di Nolfo, Bianca Ceva, Revelli e Stuparich, nel tentativo di ricostruire l’identità nazionale uscita distrutta dal fascismo, oltre che di rimettere in piedi gli impianti di ricezione turistica. Tuttavia, a parte la riconquistata autonomia del TCI all’interno di uno stato democratico, ove il turismo non è più appannaggio di un ente privato come in epoca liberale, da segnalare sono nuovi modelli giornalistici assunti dal periodico. Chiuso il mensile del «Corriere» «La Lettura», sotto la direzione di Filippo Sacchi, consigliere del TCI e attivo collaboratore della redazione di Corso Italia, questo diventa il nuovo modello per una rivista generalista, sempre più aperta alla letteratura e all’intrattenimento culturale di qualità, slittando verso una grafica in stile «Life». Le innovazioni, tese alla ricerca di un allargamento del pubblico e dettate dalla tematica turistica ormai appannaggio di molte riviste specializzate e non (soprattutto settimanali di grande successo), portano all’istituzione delle rassegne di cinema, arte, teatro, 14 letteratura, sport, moda, affidate anche in questo caso a firme importanti: Gadda Conti, Sacchi, Terron, Russoli, Collobi Ragghianti, Cruciani, Roghi e Irene Brin. Concorsi fotografici animano il pubblico dei lettori e lanciano un nome come Merisio, a fianco dei più noti Giancolombo, Pasta e Stefani. Accanto alle foto, centrale per l’evoluzione della rivista è il concorso letterario bandito nel 1950: da qui in poi, per tutto il decennio, approderanno in Corso Italia non più soltanto elzeviri turistici, reportages di viaggio, ma altresì veri e propri racconti. Le firme interessate sono quelle di: Mila, Ferrata, Lopez, Pratolini, Bacchelli, Pozza, Rea, Ortese, Vigolo, Prisco, Buzzati e Vergani, generalmente accompagnate dai disegni di Vitale, Grazzini, Dall’Aglio, Del Corno, Novello e del presentissimo Fulvio Bianconi. Lo spazio dedicato all’arte e alla grande prosa d’arte è affidato eminentemente a Praz, Valeri e Bargellini. L’ultima parte ha inizio con la fine degli anni Cinquanta e giunge sino alla chiusura delle pubblicazioni, non avendo voluto in questo caso segnare macrostrutturalmente il mutamento direzionale del 1963 rappresentato dal passaggio da Mira a Rusca, poiché, di fatto, il cambiamento progettuale sostanzioso è già evidente attorno al 1959-1960. È lo stesso Mira che, visti i risultati deludenti della sperimentazione generalista di qualità di fronte al pubblico disimpegnato del boom economico, opterà per il nuovo genere dell’inchiesta e per il fotogiornalismo, con contributi fotografici di Berengo Gardin, Toscani e Scianna. Queste nuove tipologie testuali si presentano come rinnovatrici dell’idea risorgimentale dell’«Italia da conoscere» e evidenziano la necessità impellente di un’«Italia da salvare» dal consumismo e dalla speculazione. Le firme implicate sono quelle di Fazio e Cederna, afferenti alla nuova associazione concorrente di Italia Nostra, quelle dell’ecologismo di Susmel, e infine quelle del grande giornalismo di De Mauro, Corradi, Cervi e Buonassisi. Ancora di una certa rilevanza per l’aggiornamento critico-bibliografico e per l’analisi tipologica e stilistica, saranno i reportages di Strati, Arpino, Sciascia, Moravia, Cassola, Bianciardi e Comisso. La chiusa del lavoro ruota infine attorno all’ultimo direttore: Rusca, invano continuatore della linea del fotogiornalismo engagé e di dialogo con il pubblico, sempre decrescente, in un’epoca di rivolgimenti sociali prossimi a sbottare nel Sessantotto, per cui la gloriosa tradizione del Touring e della sua storica rivista risulterà inadeguata, oltre che economicamente troppo gravosa. Da qui la scelta di porre fine alle 15 pubblicazioni e la ritirata in pensione di Rusca, per rinnovare completamente l’impianto pubblicistico rivolto ai soci. Dopo questa breve presentazione metodologica e di orientamento contenutistico, lascio cominciare questo lungo viaggio, o esperimento, all’interno delle «Vie d’Italia», la rivista madre della pubblicistica del TCI, patrimonio culturale, letterario, artistico e scientifico di un cinquantennio di storia italiana. 16 1. GUERRA E DOPOGUERRA. LE «LE VIE D’ITALIA» DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLO STATO LIBERALE (1917-1921) 1.1 VERSO «LE VIE D’ITALIA» Il 13 dicembre 1916 poco dopo le ore 21 Luigi Vittorio Bertarelli raggiunge gli altri membri del Consiglio direttivo del Touring Club Italiano per il consueto ritrovo, a cadenza più o meno bimestrale, nella sede di via Monte Napoleone 14, Milano. Presenti Federico Johnson, direttore generale, l’ingegner Alberto Riva, il dottor Ettore Candiani, l’avvocato Federico Guasti, consiglieri, e il ragionier Mario Tedeschi, segretario generale. Bertarelli rivolge loro una «proposta di massima» per la pubblicazione di una nuova rivista che si occupi del movimento dei forestieri e del prodotto italiano, da affiancare alla «Rivista Mensile» che perviene gratuitamente a tutti i soci del Touring Club Italiano dal 1895, un anno dopo la fondazione del sodalizio. Da poco più di un anno e mezzo l’Italia è impegnata nel primo conflitto mondiale, le intere forze della nazione si indirizzano alle trincee e al loro approvvigionamento, la carta, come tutte le materie prime, subisce un forte rincaro. Nonostante questo, aumentano le tirature dei maggiori quotidiani, il «Corriere della Sera» e «La Stampa» in testa, ed esplode il fenomeno dei giornali di trincea. Un trend positivo, che caratterizza il mercato della carta stampata per tutta la prima fase della guerra, segnato anche dall’aumento degli investimenti pubblicitari, «fino a quando le restrizioni belliche e l’aumento dei costi di produzione, soprattutto per la carta, bloccano l’allargamento del mercato editoriale».1 In questo clima, marcato da evidenti difficoltà materiali, Bertarelli pensa già alla ricostruzione e allo sviluppo del movimento turistico nazionale ed internazionale, che sarebbe ripreso più consistentemente al termine della guerra, rispondendo ad un bisogno a lungo represso: quello del viaggiare. Così si può leggere in una tesi di laurea discussa da Dante Frigerio all’Università di Berna nel 1939 sull’Organizzazione 1 P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 121. 17 e nuovi mezzi di potenziamento del turismo in Italia: «la guerra ha suscitato, in modo generale e in tutti i ceti, il desiderio di viaggiare, sia, in principio per uscire dai confini strettamente vigilati durante le ostilità, sia per visitare i campi di battaglia, sia per soddisfare a quel bisogno di libertà, di moto, di distrazione dopo il lungo periodo di privazioni, di ansie, di forzata immobilità».2 Se da un lato la guerra e le sue restrizioni sulla libera circolazione delle persone, dall’introduzione generale dei passaporti alla chiusura di gran parte degli alberghi per dissesto finanziario o per sequestro o per scopi militari, alla conversione di mezzi e vie di comunicazione in funzione bellica, hanno necessariamente bloccato il flusso dei forestieri, in primis quelli provenienti dagli stati nemici dell’Alleanza, dall’altro Bertarelli intuisce le potenzialità di sviluppo che il dopoguerra può riservare, se in un simile momento si è in grado di osare e di investire in maniera lungimirante. Nonostante le difficoltà a reperire la carta ed il suo prezzo elevato, per Bertarelli dar vita a una nuova rivista che si occupi interamente di «questioni che hanno un valore sociale enorme e che si imporranno domani allo studio degli italiani»,3 può costituire anche una soluzione ai problemi che riguardano la «Rivista Mensile» del sodalizio. Nel 1916 la «Rivista» raggiunge infatti una tiratura elevata: 180.000 copie. Una cifra da capogiro per una rivista italiana: basti pensare che in quel periodo la tiratura del «Corriere della Sera» si attesta sulle 500.000 copie, seguita da quella de «La Stampa», 200.000 copie,4 in un paese che nel 1911 registrava ancora un tasso di analfabetismo pari al 37,6% della popolazione.5 Il numero dei soci aumenta sempre di più e nel 1916 se ne contano più di 160.000, ai quali spetta gratuitamente l’invio della «Rivista». In un simile contesto segnato dalle difficoltà belliche e di fronte a queste cifre, le quote associative e gli introiti pubblicitari, sebbene in crescita, non riescono a garantire un pareggio nel bilancio inerente alla singola «Rivi- 2 D. Frigerio, Organizzazione e nuovi mezzi di potenziamento del turismo in Italia, Bellinzona, Istituto Editoriale Ticinese, 1940, p. 21. 3 Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta del 13 dicembre 1916, Milano, Archivio Storico del Touring Club Italiano. 4 Cfr. P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, cit., p. 121. 5 Il primo censimento dell’analfabetismo nell’Italia novecentesca risale al 10 giugno 1911, per un successivo altrettanto completo e organico bisogna attendere, in piena epoca fascista, il 21 aprile 1931. Cfr. L. Faccini, R. Graglia, G. Ricuperati, Analfabetismo e scolarizzazione, in Storia d’Italia, vol. VI, Atlante, Torino, Einaudi, 1976, pp. 770-80. 18 sta». Questo perché è infondato credere «che le riviste del tipo della nostra possano press’a poco sostenersi con gli introiti della pubblicità e che tanto più alta è la tiratura tanto meno la rivista costi, o magari che più renda. […] Il reddito della pubblicità di un giornale, come di una rivista ben condotta, segue un andamento che può essere rappresentato da un diagramma press’a poco simile per tutte. Per una tiratura di poche migliaia di copie, si spuntano per la pubblicità prezzi piuttosto bassi, ma che bastano a coprire largamente le spese. Se la tiratura cresce a 10 o 20.000 copie, si possono alzare le tariffe, ma gli introiti netti invece di rappresentare la totalità delle spese, corrispondono soltanto ad una parte di esse, ancora però abbastanza larga. Infatti, se cresce l’introito lordo della pubblicità, cresce anche la spesa di carta e stampa di essa in ragione dell’aumentata tiratura».6 Questo trattatello di economia editoriale è parte di un articolo pubblicato sul mensile a firma della Direzione Generale del T.C.I. nel luglio 1916, testimone di un sincero ed educativo rapporto comunicativo che il sodalizio è in grado di instaurare nel corso degli anni con i propri soci. Questi ultimi, dal canto loro, costituiscono un sempre più numeroso pubblico sui generis: lettori e al contempo parte attiva dell’associazione, operanti in tutto il territorio italiano, che non esitano a farsi anche collaboratori della «Rivista» stessa, inviando i loro contributi che si affiancano a quelli del Bertacchi, della Deledda, di Bevione e di Bontempelli, per citare alcuni nomi. Il successo del sodalizio e delle sue pubblicazioni risiede proprio in questo stretto rapporto: trasparente e scambievole tra fruitori ed autori, volto al dialogo e alla soluzione pragmatica dei problemi che via via si pongono.7 Ad orchestrare ed indirizzare tali canali comunicativi è il vice Direttore Generale del T.C.I., l’instancabile Bertarelli, che cinque mesi dopo la pubblicazione dell’articolo sulla «Rivista Mensile», nel corso della seduta di dicembre del Consiglio Direttivo, pone all’ordine del giorno la questione e la relativa possibile soluzione: una 6 A. Gerelli, I cinquant’anni del Touring, Bozze di stampa, Milano, Consociazione Turistica Italiana, 1944, p. 613. 7 Sul successo di pubblico e sulla peculiare tipologia di quest’ultimo, si veda anche R. J. Bosworth, The Touring Club Italiano and the Nationalization of the Italian Bourgeoisie, Perth, Routledge, University of Western Australia, 1996; poi in «European History Quarterly», n. 3, Londra, luglio 1997, p. 373: «A sceptic might reply that this was a passive membership […]. Yet, the Touring did regularly urge participation in club activities. Similarly, the Touring Club was a busy and assiduous publisher. Its journals, guides and maps attracted far more readers than did La Voce or L’Idea Nazionale». 19 nuova rivista in abbonamento per i soli soci, «la quale deve riflettere argomenti accessibili a tutti e tali da interessare tutti, mediante articoli brevi aventi una intonazione perfettamente turistica».8 Nei verbali della seduta accanto al dattilografato «IL CONSIGLIO approva all’unanimità», a mano vi è aggiunto «per acclamazione». Nell’aprile del 1917, nella consueta annuale Relazione del Consiglio per l’esercizio del 1916, è data notizia ai soci di quelle che diventeranno «Le Vie d’Italia»: «Noi offriremo ai Soci, fra pochissimo, in abbonamento, un supplemento mensile della Rivista, facente corpo con essa, a condizioni semplici e pratiche. Sarà una pubblicazione interessante, campo di feconde discussioni, di propaganda istruttiva ed efficace. Vi troveranno presentazione le innumerevoli cose che interessano l’industria del forestiero, i miglioramenti dei trasporti terrestri, lacuali e marittimi, le semplificazioni doganali, le organizzazioni delle città termali e delle spiagge, le organizzazioni professionali, di preparazione, di difesa, i rapporti fra gli impieghi di capitale e la messa in valore di luoghi e di regioni, le questioni inerenti ai finanziamenti, la difesa degli interessi legittimi, la repressione di sfruttamenti indebiti, l’incoraggiamento o la critica. La Rivista sarà illustrata. Noi vorremmo farne un vero centro intellettuale da cui potesse irradiare molta luce. I Consoci dovranno aiutarci colla loro collaborazione preziosa cosicché quest’organo possa divenire autorevole voce nazionale».9 Le contingenti ristrettezze dovute all’aumento dei costi di pubblicazione, l’allargarsi di quella grande famiglia che è il sodalizio e l’individuazione di una lacuna all’interno delle pubblicazioni del nostro paese, portano alla fondazione del nuovo periodico in pieno conflitto mondiale, che si affermerà di lì a poco come uno dei più seguiti ed apprezzati dal pubblico. Sebbene la guerra si prolunghi e si estenda sempre di più, il Touring con questa pubblicazione guarda oltre, alla ricostruzione: comunque vada, «la guerra ci ha decisi».10 Non si può più attendere, occorre colmare «l’impreparazione morale e materiale del nostro Paese a ricevere degnamente ed allettare a lungo lo straniero»,11 bisogna 8 Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta del 13 dicembre 1916, cit. Relazione del Consiglio per l’esercizio 1916, in «Rivista Mensile», Milano, Touring Club Italiano, anno XXIII, n. 4, aprile 1917, p. 177. 10 Ivi, p. 176. 11 Ivi, p. 175. 9 20 creare «una letteratura, se si può chiamarla così, che si occupi di certe questioni»:12 far conoscere l’Italia con le sue bellezze naturali e il suo patrimonio artistico agli italiani, agli emigrati e ai forestieri, prima che sia troppo tardi e che si aggravi il distacco con gli altri paesi europei, turisticamente più preparati. Prima di cominciare effettivamente le pubblicazioni vi sono ancora due questioni da risolvere: scovare qualche eccezione in un simile «periodo di tipografie semichiuse e di cartiere quasi chiuse del tutto»13 e trovare un titolo. Per quest’ultimo, Bertarelli, con tono ironico e confidenziale, coinvolge i soci dalle pagine della «Rivista Mensile» indicendo «un concorsino» per il nuovo periodico: «concorso per modo di dire: senza programma molto preciso, né giuria (funzionerà la Direzione stessa)… né premi!».14 L’articolo è anche una nuova occasione programmatica per meglio delineare il carattere della nuova rivista che pulsa nelle vene del Bertarelli, indirizzata in modo specifico al «movimento dei forestieri» e, subordinatamente, al «prodotto italiano». Questioni pratiche inerenti alla valorizzazione dei luoghi, che necessitano di un linguaggio altrettanto pratico: «un periodico come il nostro se chiamerà pane il pane, diventerà un organo veramente e utilmente influente, mentre diventerebbe accademico e inutile se volesse sottacere ciò che merita biasimo e protesta».15 Ecco emergere tutto l’anti-accademismo del Bertarelli, moderno uomo sanza littere, autodidatta, curioso e soprattutto di spirito pragmatico. Giovanni Bognetti, ricordando la sua figura di scrittore, aveva messo in luce «la perfetta aderenza della parola al pensiero: e il pensiero era sempre vario, preciso, completo».16 All’osservazione di Bognetti occorre aggiungere un passaggio in più. La precisione linguistica e di pensiero del Bertarelli, che non si addentra nel vacuo tecnicismo e nella settorializzazione dei saperi per non ostacolare l’immediatezza comunicativa, è indice di un’ulteriore aderenza: in lui, il nesso parola-pensiero, quello «scrivere come parlava»,17 si lega inscindibilmente al referente, al reale. Da questo triplice e diretto legame nascono tutto il pragmatismo e l’energia fattiva, che alimentano la sua scrittu12 Ivi, p. 176. L. V. Bertarelli, Per il nuovo periodico del Touring. Un concorsino per il titolo, in «Rivista Mensile», anno XXIII, n. 5, maggio 1917, p. 227. La nuova rivista uscirà infine nel mese di settembre stampata nello Stabilimento Grafico Artistico e Industriale Gustavo Modiano & C., Milano, Riparto Gamboloita, 52. 14 Ibidem. 15 Ivi, pp. 229-30. 16 G. Bognetti, Lo scrittore, in «Le Vie d’Italia», Milano, Touring Club Italiano, anno XXXII, n. 3, marzo 1926, p. 237. 17 Ibidem. 13 21 ra e che troveranno fertile terreno nella nascente rivista: «una palestra di narrazioni dello stato di fatto, di serie proposte, di studi, dalle cui pagine agili, meditate, franche devono sgorgare consigli pratici, aiuti morali, sbocciare iniziative fors’anche di azioni dirette».18 Questa fattività scrittoria, che si stende su una pagina animata dall’elencazione misurata da una mente iperattiva e dall’aggettivazione ricca, ma anzitutto puntuale, mostra grande efficacia comunicativa, avvicinando il pubblico, rendendolo partecipante attivo della vita e delle pubblicazioni del sodalizio. Basti pensare che in poco più di un mese più di 400 soci inviano alla redazione le loro proposte per il titolo della nuova rivista in risposta al «concorsino»: 47 suggeriscono la generica esortazione «Italia!», 55 l’antonomastico «Il bel Paese», appellativo letterario che va da Dante allo Stoppani e che rischia di porre l’accento solo sulle bellezze italiane. Per ugual motivo anche «Italia bella», ricorrente in 12 proposte, è scartato: a Bertarelli, nonostante l’epoca degli estetismi e la mai celata ammirazione per l’abate geologo,19 non interessa il lato estetico del paesaggio italiano, quanto piuttosto la valorizzazione operativa di esso. Uguale destino spetta all’«ecatombe complessiva di oltre una cinquantina»20 di titoli latini, dacché «latini siamo ma, ora più che mai, particolarmente italiani»21 e il sangue delle trincee ne è chiara e dolorosa dimostrazione. Tra gli altri titoli scartati, due danno particolarmente idea delle tendenze e del gusto del tempo. Avanti, Italia!, «certo è bellissimo e sarebbe perfetto se meno adattabile a periodici di indole anche molto diversa dal nostro»: troppo marcato è il richiamo alla stampa socialista per un sodalizio fieramente apolitico quale è il Touring e per un liberale come il Bertarelli. Giuseppe Imbastaro, redattore capo dal 1915 al ‘19 della «Rivista», propone invece Fiamme nuove: «Questo ultimo titolo, purché ben chiarito da un sotto titolo, potrebbe stare benissimo come programma del periodico. È pieno di vita ed ha in sé il senso della propulsione, che sarà nella tendenza progressista del nuovo periodico. Ma parve un po’ troppo dannunziano per il contenuto medio del periodico, ove 18 L. V. Bertarelli, Per il nuovo periodico del Touring. Un concorsino per il titolo, in «Rivista Mensile», anno XXIII, n. 5, maggio 1917, p. 230. 19 Per un giudizio di Croce sulla letteratura divulgativa cfr. B. Croce, La letteratura della nuova Italia, vol. VI, Scienziati-letterati, Bari, Laterza, 1957, pp. 51-7. Qui Croce deride coloro che gli sembrano i tre principali rappresentanti della categoria degli scienziati divulgatori: Antonio Stoppani, Michele Lessona e Paolo Mantegazza, scrittori modello per il pragmatico Bertarelli. 20 L. V. Bertarelli, Le Vie d’Italia. Turismo nazionale, movimento dei forestieri, prodotto italiano, in «Rivista Mensile», anno XXIII, n. 7, luglio 1917, p. 347. 21 Ibidem. 22 spesso verranno prese in considerazione questioni anche un po’ terra terra. Cosicché fu per ultimo soverchiato dal titolo definitivamente prescelto Le vie d’Italia, (Turismo nazionale, movimento dei forestieri, prodotto italiano)».22 La proposta dell’on. Bortolo Belotti, consigliere del T.C.I, e del socio dott. Carlo Zucchetti si rivela esser la più duttile: un invito ospitale allo straniero e conoscitivo per l’autoctono, coniugabile a tutti gli aspetti del paesaggio italiano (ambientale, storico, artistico), alle strutture di accoglienza, ai mezzi e alle vie di trasporto e di comunicazione che attraversano la penisola. Il Palazzo Taverna di Via Monte Napoleone, 14 a Milano, sede del Touring prima di quella attuale progettata nel 1915 dall’ing. Achille Binda in Corso Italia, 10. 22 Ivi, p. 348. 23 1.2 «ALLA RISCOSSA!» Le gravi difficoltà del momento costringono a rinviare ancora di un mese l’esordio del periodico, previsto infine per il mese d’agosto, ma poi soltanto a settembre, qualche settimana prima di Caporetto, «nasce silenziosamente, senza essere lanciato con una qualsiasi pubblicità grande o piccola, cioè in modo diverso da quello nel quale ogni nuova Rivista vede normalmente la luce».23 La nascita umile e modesta delle «Vie d’Italia» non cela però i nobili, nonché pragmatici ed ambiziosi, intenti: «noi vogliamo abituare la mentalità italiana a considerare il turismo come una manifestazione fondamentale della vita del Paese, collegata a tutte le forme del suo progresso morale e materiale. Oggi pochissimi sentono così: fra poco molti penseranno come noi diciamo».24 Così Bertarelli profetizza con grande lungimiranza, in tempi quanto mai infausti, e parte Alla riscossa!, aprendo con un suo editoriale, che diventerà pressoché consuetudine, le 64 pagine numerate della nuova rivista. Più volte smuove gli animi con avvertimenti volti a superare l’immobilismo propositivo dovuto alle contingenze belliche. Urge preparare il dopoguerra ragionando in un’ottica nazionale e non più di alleanze da campi di battaglia, occorre confrontarsi non solo con il comune nemico degli imperi centrali, ma anche con «gli amici», guardare alla Francia, all’Inghilterra, alla Svizzera, all’Olanda e alla Spagna: «Guai a chi non si sarà tenuto a pari in questa affannosa corsa al progresso!».25 E più oltre, ecco di nuovo una variatio del monito: «Guai a noi se continueremo a dormirvi sopra o se continueremo soltanto a chiaccherarne [sic]».26 Nella forma e nel contenuto, forte è il richiamo alla fattività e al dovere educativo, di cui il Touring si prende sentitamente carico. Pertinace educatore di animi da un lato, propulsore di opere dall’altro, il Touring attraverso le parole di Bertarelli, solleva nuove necessità e propone risposte in anticipo sui tempi: «il primo passo è il portare nella coscienza di tutti un giusto apprezzamento dell’importanza morale e materiale del turismo, delle sue connessioni e ripercussioni, dei suoi legami con ogni progresso».27 Bertarelli nell’apertura programmatica fa anche un ulteriore passo in avanti nel constatare come ormai «viaggiare in qualsiasi 23 L. V. Bertarelli, Le Vie d’Italia. Il primo numero, in «Rivista Mensile», anno XXIII, n. 9, settembre 1917, p. 417. 24 Ibidem. 25 L. V. Bertarelli, Alla riscossa!, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 1, settembre 1917, p. 1. 26 Ivi, p. 2. 27 Ivi, p. 5. 24 modo è turismo», tuttavia questa trasformazione sociologica non è vista come degenerazione, dal momento che per lui e per il Touring fare un tour non è «mera forma di svago, superfluità degna di simpatia», ma forma di conoscenza tra le più elevate, un dovere morale, nonché coefficiente di progresso della vita sociale ed economica di un paese. Giuseppe Bozzini nel celebrare gli ottant’anni del sodalizio commenta come «in quell’articolo vengono toccati temi che dimostrano la lungimiranza dell’uomo e che oggi ci costringono a riflettere sulla lentezza del nostro cammino: conoscenza del paese come base dell’amor patrio e dell’esplicazione seria dei diritti politici e dei doveri sociali degli italiani; turismo straniero quale arma di comprensione e di stima per noi; indispensabilità di adeguate e serie scuole professionali; nuova visione del fenomeno turistico da parte di legislatori e di amministratori pubblici; […] un fisco meno cieco e dotato di un po’ più di senso pratico; […] nuova mentalità, meno meschina e campanilistica».28 Così può esser riassunto il programma di lavoro di Bertarelli condensato nel tricolon elencativo del sottotitolo «Turismo nazionale – Movimento dei Forestieri – Prodotto italiano». Diversamente dalla «Rivista Mensile», lettura più variegata, intercalata da sguardi d’autore sul paesaggio nostrano, l’esordio delle «Vie d’Italia» è fortemente pragmatico, in risposta alle urgenze del presente e a quelle che si prospetteranno di lì a poco. Il nucleo delle tematiche è rappresentato dal turismo, analizzato negli aspetti più pratici che interessano la penisola con un occhio di riguardo alla condizione degli altri paesi, senza cadere nel tecnicismo delle riviste di settore, ma mantenendo una forma piana e popolare racchiusa in una curata ed attraente veste grafica. Basti ricordare un nome su tutti, quello di Adolfo de Carolis,29 il cui frontespizio introduce sin dal primo numero gli editoriali del Bertarelli, accompagnando titolo e sottotitolo della rivista. Il celebre illustratore di D’Annunzio, la cui ultima fatica per il poeta abruzzese risale proprio al 1917 con i disegni destinati a Il notturno, in questa sede si fa interprete del programma della rivista del Bertarelli. La fattività operosa, cui la scrittura esortativa ed animata del milanese funge da pungolo, si traduce in De Carolis nell’immagine di due 28 G. Bozzini, Nasceva a Milano 80 anni fa il TCI. Aprì agli italiani le vie del mondo, in «Città di Milano. Rassegna mensile del Comune e bollettino di statistica», Milano, anno XC, n. 12, dicembre 1973, p. 57. 29 Per un profilo biografico ed artistico cfr. A. Lenzi, Adolfo De Carolis e il suo mondo (1892-1928). L’arte e la cultura attraverso i carteggi De Carolis, D’Annunzio, Maraini, Ojetti, Anghiari, ITEA, 1999, p. 9 e segg. 25 cornucopie incrociate straripanti di rose,30 spighe, melograni e grappoli d’uva, anteposte a una fortezza, «che riprende la struttura militare di “Castel del Monte” di Federico II in Puglia […]. L’insieme ricorda così al lettore la ricchezza naturale, la forza e lo spirito dello stato italiano»,31 impegnato nella difesa dei propri confini territoriali. Le immagini propiziatorie di futuri raccolti fecondi e la solidità del forte turrito da cui si erge una fiamma che irradia di luce il titolo della rivista, interpretano sia il desiderio della creazione in Italia di una letteratura turistica di cui il periodico vuol divenire centro intellettuale, sia lo spirito stesso delle «Vie d’Italia», «una voce di pace, una speranza e un’anticipazione di tempi migliori».32 Dalla nuova tribuna Bertarelli alza questa voce, per «poter parlare non soltanto ad un gruppo cospicuo di amici, ma a tutti quegli italiani che guardano pensosi all’indomani. L’indomani ci è ignoto. Abbiamo fede che i difensori della civiltà vinceranno la terribile contesa e che un assetto di pace giusta e duratura verrà raggiunto».33 In questa situazione di incertezza gravida di attese, non resta che mettersi all’opera, «alla riscossa! E vincere bisogna»,34 così l’explicit dell’articolo programmatico. Un chiaro rinvio alle contingenze belliche è evidente ancor prima di cominciare a sfogliare le pagine iniziali. Lo stesso De Carolis firma le pubblicità della fabbrica di aeroplani Pomilio che fanno da copertina ai primi due numeri delle «Vie d’Italia». Due nudi maschili alati fuggono fiamme infernali, moderni Dedalo e Icaro tra i fuochi del primo conflitto mondiale, che vede per la prima volta l’impiego dell’aeronautica militare, trasformando anche i cieli in campi di battaglia. Il tratto di De Carolis in questo caso si fa meno stilizzato e più leggero e sfumato: il gioco chiaroscurale digradato è funzionale alla rappresentazione della potente massa muscolare dei due corpi intenti nella corsa. Di chiara ispirazione michelangiolesca, la forza dei due uomini alati è metafora della potenza del prodotto pubblicizzato e al contempo la loro fuga è spinta, propulsione ad andare 30 Cfr. G. Veronesi, Stile 1925. Ascesa e caduta delle “Arts Déco”, Firenze, Vallecchi, 1966, p. 69: «E la guerra fu decorata di rose. A festoni, a tralci, a grappoli, a cascate, a canestri, a mazzolini […]. Rose vennero sparse sui cartelloni di propaganda per la Croce-Rossa, per i pacchi-dono ai combattenti, per il prestito nazionale; fregi di rose incorniciarono cartoline e francobolli, opuscoli e locandine e copertine e pagine d’ogni sorta, simili da un paese all’altro». 31 Cfr. la tesi di laurea in Conservazione dei Beni Culturali di F. Massari, Una rivista del Touring: Le Vie d’Italia, Università degli Studi di Parma, A. A. 2000-2001: un’analisi grafica del periodico nei primi anni di pubblicazione, dal 1917 al 1921. 32 G. Bozzini, Nasceva a Milano 80 anni fa il TCI. Aprì agli italiani le vie del mondo, in «Città di Milano. Rassegna mensile del Comune e bollettino di statistica», cit., p. 55. 33 L. V. Bertarelli, Alla riscossa!, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 1, settembre 1917, p. 1. 34 Ivi, p. 5. 26 oltre, idea ed augurio quanto mai presenti nel programma di lavoro dello stesso Bertarelli. Anche le copertine dei mesi di novembre e dicembre pubblicizzano prodotti militari: le autobatterie SPA dell’artiglieria Ansaldo. In questo caso però i virtuosismi della matita di De Carolis lasciano il posto alla forza cronachistica della fotografia. L’impiego della fotografia nella pubblicistica di guerra conferisce maggior vigore e veridicità al messaggio che si vuol veicolare, ma l’obiettività affidata al mezzo meccanico della macchina fotografica è soltanto illusoria35 per il pubblico di padri in attesa del ritorno dei figli. Colonne di mezzi militari tra i boschi alpini che si inerpicano costeggiando torrenti, sono riprese attraverso inquadrature con prospettiva laterale e con punti di vista (dall’alto verso il basso e viceversa) atti ad evidenziare la robustezza dei mezzi di fronte alle impervie strade montane. Pubblicità, grafica e contenuto editoriale si legano fra loro in maniera omogenea e coerente, consonamente ai tempi e al pubblico di soci del sodalizio, che via via scelgono di abbonarsi al nuovo mensile, supplemento e completamento della «Rivista», per un costo quadrimestrale di 2,05 lire per i soli numeri del 1917, poi annuale di 6,05 lire. Riguardo alla diffusione dei primi numeri, non è dato di sapere esattamente la portata. Ciò che è riportato nei Verbali del Consiglio, riassunti nella annuale Relazione del Consiglio pubblicata sulla «Rivista Mensile» come puntuale informazione ai soci, decreta comunque un successo incoraggiante: «la diffusione di questo periodico è in ascensione che conforta. Esso diventerà fra poco un organo di portata tale da raggruppare intorno a sé formidabili cooperazioni in ogni campo fattivo del turismo».36 Da tener conto è anche il complessivo aumento del numero dei soci, passati nel corso del 1917 da 161.969 a 175.720.37 Il successo delle vendite in abbonamento e gli introiti pubblicitari garantiscono sin dai primi numeri un bilancio in attivo per la neonata rivista. In un trend inversamente proporzionale, destinata ormai al declino nonostante le tirature sempre più elevate (che si rivelano però sul piano economico essere un elemento di difficoltà), è invece la 35 Cfr. I. Zannier, Storia e tecnica della fotografia, Roma-Bari, Laterza, 1984. Relazione del Consiglio per l’esercizio 1917, in «Rivista Mensile», anno XXIV, n. 3-4, marzo-aprile 1918, p. 47. 37 Ivi, p. 43. Sull’incremento così significativo del numero dei soci, scrive Pivato: «un curioso fenomeno: cioè a dire il fatto che proprio nel 1917 l’associazione raggiunge il più elevato numero di adesioni dalla sua fondazione. E questo a conferma del ruolo che il Touring ha assunto nella società italiana d’inizio Novecento, distinguendosi tra i massimi tutori dell’idea di nazione»: «la sua ramificazione sul territorio, l’elevato numero di soci e la posizione di responsabilità che parecchi di costoro occupano rende, di fatto, il Touring fra le associazioni più attive nel campo della propaganda nazionalistica», erede in questo caso degli ideali patriottici post-risorgimentali. S. Pivato, Il Touring Club Italiano, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 99-100. 36 27 «Rivista Mensile», che dalla fine del 1917 diviene necessariamente bimestrale. La copertina del primo numero delle «Vie d’Italia» illustrata da Adolfo de Carolis, i cui frontespizi aprono la rivista. Luigi Vittorio Bertarelli, Direttore Generale e Presidente del Touring Club Italiano dal 1919 al 1926. 28 La pubblicità presente sulle «Vie d’Italia» nei numeri del 1917 trova posto in copertina, controcopertina e recto di entrambe, ed assieme alle entrate degli abbonamenti riesce a coprire le spese della nuova avventura editoriale. Come sulle copertine, anche gli altri prodotti che trovano spazio in apertura e chiusura di rivista, sono legati ai mezzi di trasporto e agli spostamenti o ai soggiorni: cicli e motocicli Triumph, sidecar Frera, carburatori Feroldi per motori di automobili e di aviazione, automobili Lancia, pneumatici Pirelli, tende da campo, Grand Hotel Isotta di Genova e servizi di navigazione verso l’America. Accanto a queste pubblicità, in controcopertina da segnalare la presenza ricorrente del manifesto disegnato da Adolfo Hohenstein38 per il Cordial Campari, divenuto famoso per il cane sambernardo in primo piano con al collo la fiaschetta della bevanda.39 Un altro grande artista, legato come Hohenstein alle Officine Ricordi di Milano, si presta ad abbellire il neonato periodico: Marcello Dudovich. Il cartellonista triestino sin dal numero di ottobre introduce con un suo frontespizio l’articolo di Filippo Tajani su I passaggi a livello, mettendo in pratica l’esperienza maturata negli anni antecedenti al primo conflitto mondiale a Monaco di Baviera, dove collabora con la rivista tedesca «Simplicissimus» ed entra in contatto con gli illustratori satirici. Abbandonando la ricchezza e la ridondanza del liberty, da cantore della belle époque, ormai conclusa, Dudovich arriva ad interpretare con ironia la nuova società, o meglio quella che ci si auspicava sarebbe uscita dal conflitto, rispondendo sempre a quel bisogno costruttivo di guardar oltre, che ha necessitato la nascita stessa del periodico del Touring. In attesa ad un passaggio a livello, il triestino raffigura l’high society e l’Italia contadina, bloccate entrambe per ironia della sorte dal transito del treno che costringe sia carri carichi di fieno che lussuose automobili a interrompere il loro viaggio. L’imprevisto di una momentanea barriera diviene occasione di unione sociale, di cordiale conversazione tra dame impellicciate e paesani con ceste e forconi: «questo riusciva a Dudovich che, per mestiere, doveva cogliere e rappresentare il momento ludico, l’aspetto effimero, bor38 Di origine russa, fu pittore, illustratore e scenografo tra il XIX e XX secolo. Con Dudovich è considerato tra i maggiori esponenti della comunicazione pubblicitaria italiana dell’epoca. Direttore della sezione artistica delle Officine Grafiche Ricordi di Milano, tra i suoi manifesti più famosi, oltre a quello del Cordial, si ricordano quelli realizzati per la Buitoni, per la Birra Italiana e per i maggiori quotidiani nazionali. Cfr. A. Abruzzese, F. Colombo (a cura di), Dizionario della pubblicità: storia, tecniche, personaggi, Bologna, Zanichelli, 1994, p. 217. 39 Come nota Francesca Massari nella sua analisi sugli aspetti grafici delle prime annate, Una rivista del Touring: Le Vie d’Italia, cit., p. 92, «la presenza del manifesto a colori sui muri cittadini era tale, che ai lettori del periodico del Touring era sufficiente vederne una porzione in bianco e nero per ricostruire l’intero racconto». 29 ghese, ma anche moderno, emancipato, aggiornato della società; e riusciva straordinariamente bene anche nel ruolo di illustratore, o di finissimo produttore di schizzi e di felici appunti di paesaggio».40 Il frontespizio di Marcello Dudovich all’articolo di F. Tajani, I passaggi a livello, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 1, settembre 1917, p. 96. Articoli di qualità, pubblicità e accorgimenti grafici di elevato valore artistico decretano il successo delle «Vie d’Italia», già dopo i primi quattro numeri del 1917, tanto che a gennaio dell’anno seguente Bertarelli annota sulla «Rivista Mensile» come «la loro diffusione ebbe, come si attendeva, a primo d’anno un allargamento assai importante. E da ogni parte si sente che esse acquistano un’influenza sempre maggiore».41 L’affezione per la rivista, dimostrata da un pubblico borghese, «asino bastonato dei periodici d’avanguardia […], codino, peccatore senza follie»,42 attivo e fedele al sodalizio, è in ascesa costante. In particolare, «dalla corrispondenza emerge che due punti diversi sono maggiormente apprezzati: la fisionomia di sincerità e di franchezza che informa tutto il 40 G. Granzotto, Marcello Dudovich 1878-1962, Brescia, Giorgio Corbelli Editore, 2002, p. 8. L. V. Bertarelli, Le Vie d’Italia. Turismo nazionale, movimento dei forestieri, prodotto italiano. I numeri di gennaio e febbraio, in «Rivista Mensile», anno XXIV, n. 1, gennaio 1918, p. 27. 42 G. Cassieri, Introduzione, in Id. (a cura di), «La Ronda» 1919-1923, Torino, Eri Edizioni Rai, 1969, p. IX. 41 30 periodico e l’interesse destato dalla varietà degli articoli».43 L’oggettività schietta di stampo positivista e la varietà, che punta in ogni campo conoscitivo ed informativo all’alta qualità, senza perdere connotati di chiara divulgazione, caratterizzano gli articoli, atti a coprire ogni singolo aspetto del problema turistico in rapporto alla vita economica e culturale del paese ed in confronto alle altre nazioni. Sin dal primo numero lo stesso Bertarelli, dopo l’articolo programmatico di apertura, incita i russi a visitare l’Italia, prevedendo come al termine del conflitto, visti gli schieramenti sul campo di battaglia, l’alta società russa avrebbe disertato le tradizionali stazioni termali tedesche ed austriache.44 Nell’esortativo Russi, visitate l’Italia! è racchiusa la speranza dell’arrivo di nuovi turisti e al contempo vi è la consapevolezza delle potenzialità ancora inesplorate che la penisola può riservare agli stessi forestieri da un lato e dall’altro agli italiani, se si dimostreranno ricettivi agli orizzonti post-bellici che molto probabilmente si andranno a delineare. Nell’articolo, destinato ad esser tradotto in russo e pubblicato in un volume della Camera di Commercio italo-russa di Pietrogrado come mezzo di propaganda al nostro paese, oltre ad enumerare le bellezze pittoriche del paesaggio naturale, come lo stretto di Messina così morfologicamente vicino al Bosforo, l’unicità delle città d’arte e la ricchezza culturale delle biblioteche dei monasteri, Bertarelli affronta per prima cosa il problema della sicurezza e dell’igiene per il forestiero, non nascondendo difficoltà, ma al contempo rassicurando che «l’Italia ha perduto un carattere che le è da lungo rimasto solo nei vecchi romanzi».45 La contingenza storica, come analizza Anna Treves, «fu occasione in Italia per porre con maggior forza agli occhi dell’opinione pubblica e della classe politica il problema della situazione e dello stato 43 L. V. Bertarelli, Le Vie d’Italia. Turismo nazionale, movimento dei forestieri, prodotto italiano. I numeri di gennaio e febbraio, in «Rivista Mensile», anno XXIV, n. 1, gennaio 1918, p. 27. 44 Allo stesso modo, su esempio francese, si attendono altri nuovi turisti: gli americani. Dotati di maggior ricchezza rispetto agli europei, in particolare in confronto agli italiani, si suppone che una volta terminato il conflitto si dirigano in massa a visitare le terre sulle quali anche il loro sangue si è riversato: «d’autre part, avec la guerre, se formèrent des éléments favorables au développement du mouvement des étrangers: au lendemain d’une situation si pénible, le peuple commence à sentir le désir, presque le besoin, de voyager; la dépréciation de la lire permet aux américains, aux anglais, aux espagnols et aux suisses de mener en Italie une vie luxueuse […]; ajoutons aussi l’annexion à l’Italie de deux superbes régions, la Venezia Giulia et la Venezia Tridentina, riches et importants centres touristiques internationaux, qui gardèrent toujours leur clientèle; et enfin l’attraction nouvelle des champs de bataille», queste le riflessioni contenute nella tesi di laurea discussa all’Université de Fribourg nel 1934 da E. Grandi, Le tourisme en Italie, Cernobbio, Tipografia G. Asperi, 1934. Cfr. anche B. Gutierrez, La Francia alla conquista dei turisti americani, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 2, ottobre 1917, pp. 86-91. Sul turismo americano si vedano anche gli articoli: Gli itinerari degli Americani in Europa prima della Guerra, in ivi, n. 2, ottobre 1917, pp. 110-13; Organizzazioni turistiche americane, in ivi, n. 3, novembre 1917, pp. 162-7 e B. Gutierrez, Le bellezze turistiche dell’America del Nord, in ivi, anno II, n. 2, febbraio 1918, pp. 71-81. 45 L. V. Bertarelli, Russi, visitate l’Italia!, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 1, settembre 1917, p. 8. 31 delle località di cura».46 Paesaggio, arte, cultura, mitezza del clima sono tutti elementi che possono favorire qualsiasi tipo di turismo termale in montagna, al mare e al lago in ogni parte della penisola, in tutte le stagioni e per ogni tipologia di turista. Ciò che urge è non perdere di vista la linea di confronto concorrenziale con gli altri stati che spinge al progresso e a far crescere nel paese una «coscienza turistica», nella fattispecie termale. L’opera di propaganda e di informazione di Bertarelli, affiancata dagli scritti apparsi sulla rivista del professor Ruata,47 direttore delle Terme di Stato di Salsomaggiore, spingeranno un anno più tardi, nel 1918, a costituire una commissione ministeriale preposta all’analisi del problema.48 Come ha scritto Bertarelli, «la competenza dei collaboratori in ciascun argomento trattato contribuisce a dimostrare in ogni articolo un solido fondo di coltura speciale, che ne traspare e dà forza al periodico».49 Per ogni «infinita faccia del poliedro turistico» Bertarelli, oltre a coinvolgere l’intero pubblico dalle colonne dei suoi articoli,50 si affida a tecnici e specialisti per sollevare nuove questioni, trovare soluzioni, diffondere conoscenze, conferendo quindi alle «Vie d’Italia» un forte stampo pragmatico, a lui congeniale, che si allontana dalla più generica e descrittiva «Rivista Mensile», la cui redazione dal 1915 al 1919 è affidata a Giuseppe Imbastaro, sotto la direzione del Consigliere Vigliardi Paravia. Per il nuovo mensile, invece, fino al 1919,51 la redazione non è formalmente affidata alle cure specifiche di un membro del Consiglio Direttivo del sodalizio, ma è chiaro sin da subito che «Le Vie d’Italia» «furono ‹per Bertarelli› un potentissimo mezzo per divulgare le sue conoscenze, le sue “scoperte”, le sue 46 A. Treves, Anni di guerra, anni di svolta. Il turismo italiano durante la prima guerra mondiale in G. Botta (a cura di), Studi geografici sul paesaggio, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1989, p. 273. 47 G. Ruata, Stazioni idro-minerali d’Italia, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 1, settembre 1917, pp. 15-9; Il forestiero e i luoghi di cura italiani, in ivi, n. 2, ottobre 1917, pp. 103-4; Per le nostre stazioni idrotermali, di cure e di soggiorno, in ivi, n. 3, novembre 1917, pp. 173-6. Di Ruata così scrive la Redazione in una nota introduttiva ad un suo articolo: «la profondità delle sue cognizioni teoriche e pratiche e la limpida espressione popolare che ne fa, danno un calore tutto particolare alle pagine che egli ha consentito a scrivere per la nostra Rivista», in G. Ruata, Le acque minerali, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 11, novembre 1918, p. 651. 48 Cfr. Una Commissione ministeriale per lo studio delle risorse idrotermali italiane, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 10, ottobre 1918, p. 585. 49 L. V. Bertarelli, Le Vie d’Italia. Turismo nazionale, movimento dei forestieri, prodotto italiano. I numeri di gennaio e febbraio, in «Rivista Mensile», anno XXIV, n. 1, gennaio 1918, p. 27. 50 Cfr. L. V. Bertarelli, Per il nuovo periodico del Touring. Un concorsino per il titolo, in «Rivista Mensile», anno XXIII, n. 5, maggio 1917, p. 230: «I collaboratori possibili sono avvertiti e vedranno da se stessi cento altri punti l’uno più vivo dell’altro in cui offrire alla Direzione del T., che ne sarà grata, la competente loro penna». 51 In questo anno la redazione viene affidata ad Attilio Gerelli, vice Segretario Generale del TCI, ma di fatto la personalità di spicco della rivista rimane Bertarelli. 32 idee e i suoi propositi».52 Bertarelli non solo si improvvisa scrittore, la cui «penna sapeva così bene descrivere aspetti rari del paesaggio italiano, e rendere con suggestiva efficacia momenti di così viva commozione, seppe non meno validamente stimolare i pigri e denunciare sciatterie e manchevolezze allora non rare, specie da parte di chi avrebbe avuto il maggior interesse a richiamare con gentilezza i forestieri e a trattarli bene».53 A collaborare alla nuova rivista chiama, oltre a Ruata i cui articoli inerenti alle industrie idrominerali, alle stazioni termali e alle cure talassoterapiche saranno presenti fino al 1942, Filippo Tajani, docente al Politecnico di Milano in materia ferroviaria, Augusto Setti, procuratore generale del Re a Genova poi nel ‘19 tra i Senatori del Regno della XXV Legislatura, Raffaello Giolli, architetto, pittore e critico d’arte, il matematico Pietro Burgatti, uno scrittore regionale e storico dell’arte come Luigi Callari,54 l’irredento Camillo Oss Mazzurana e Dino Poli, vice direttore del Museo Commerciale di Milano. Si tratta di esperti, professori e tecnici che garantiscono al pubblico serietà, affidabilità e sicura cognizione di causa della materia trattata. I loro nomi sono presenti anche su altri periodici, ben diffusi nelle case borghesi come «L’Illustrazione Italiana», nel caso di Setti,55 o più specialistici come la «Rivista dei trasporti»56, cui Tajani, professore e giornalista, collabora assiduamente,57 oppure in riviste d’interesse artistico, quali «Pagine d’arte», «Vita d’arte», «Rassegna d’arte antica e moderna»,58 ove Giolli è redattore. Dei collaboratori e degli articoli ritenuti maggiormente significativi, Bertarelli dà una breve 52 G. Mazzotti, Luigi Vittorio Bertarelli nel centenario della nascita, Milano, Touring Club Italiano, 1959, p. 28. 53 Ivi, pp. 25-6. 54 L. Callari, L’agro risorgente, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 3, novembre 1917, pp. 168-72. Tra le sue pubblicazioni, oltre alla Storia dell’arte contemporanea italiana del 1909, c’è il volume a tiratura limitata Leggende Romane del 1913, illustrato da Giovan Battista Crema, pittore di marina. 55 Di Augusto Setti su «Le Vie d’Italia», come cappello introduttivo ad un suo articolo su Il tovagliolo, si scrive: «egli è, rara avis, un magistrato genialmente umorista: il suo è quel filosofico umorismo che rammenta l’humour dickensiano e che sa alleggerire e colorire con fini arguzie verità umane osservate ben addentro», in A. Setti, Il tovagliolo, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 4, aprile 1918, p. 211. 56 Mensile pubblicato a Milano dal 1909 al 1928, organo ufficiale della Federazione dei trasporti e dell’Unione italiana delle ferrovie d’interesse locale e di tramvie. 57 Tra le altre collaborazioni di Tajani, ricordo quella con il «Corriere della Sera»: oltre 800 articoli pubblicati dal luglio 1905 al maggio 1944, sotto lo pseudonimo di «Metron». Per un quadro globale dei suoi scritti, cfr. G. Tajani (a cura di), Filippo Tajani professore e giornalista. Articoli scritti dal Prof. Filippo Tajani dal 1905 al 1944, raccolti e commentati dal figlio Ing. Gaetano, Milano, Edizioni Sisar, 1966. 58 Queste sono le riviste in cui Giolli comincia a pubblicare i suoi scritti prima di fondare «1927 – problemi d’arte attuale», nell’anno eponimo e che dal 1929 diventa «Poligono», in vita fino al 1931. Negli anni Trenta prova a dar vita ad altre riviste, che si estinguono però dopo pochi numeri: «Vetrina», «Colosseo» e «Colonna». Intanto, cacciato dai licei milanesi per non aver prestato giuramento al fascismo, continua ad insegnare a Milano all’Accademia libera di cultura e d’arte, e prosegue la sua opera di critico presente su «La sera», «L’Ambrosiano», «Emporium», «Domus» e «Casabella», prima di finire arrestato come partigiano dalla Muti e morire nel campo di concentramento di Mauthausen nel 1945. 33 presentazione sulla «Rivista Mensile»: Setti è l’autore di un «brioso articolo – malinconico assai per noi italiani – su Il culto della polvere»,59 Tajani è «uno dei più apprezzati cultori di studi ferroviari, che trae la serietà delle sue conclusioni dall’essere stato prima per lunghi anni funzionario ferroviario nelle più svariate situazioni e dall’essere poi passato nel campo degli studi e delle sintesi».60 Questi espone nei primi articoli apparsi sulla rivista lo sforzo immane fatto dalle Ferrovie dello Stato in tempo bellico, senza dimenticare i problemi che si affacciano per il dopoguerra ed il ruolo educativo che può rivestire la pubblicazione stessa: «Problemi modesti e problemi grossi. Noi vogliamo che le Vie d’Italia divengano sempre più larghe e più aperte; che l’Italia, fattasi più grande pel sangue sparso dai suoi figli in guerra, sia anche più amata e più rispettata, non soltanto pel suo bel cielo e per i suoi tesori d’arte, ma anche per l’operosa virtù e per la civiltà sempre maggiore del suo popolo».61 Il richiamo alla guerra in corso, oltre ad esser vivo nella pubblicità e nei vari articoli, sta a cuore alla Direzione Generale del Touring, che si assume pienamente Il dovere di chi non combatte, aiutando i soldati con l’invio dei pacchi dono nelle trincee e la distribuzione delle preziose carte e guide,62 e rassicurando dalle colonne delle «Vie d’Italia» che «le menti migliori non distolgono, anzi intensificano la loro attenzione sull’importante fenomeno sociale costituito dal turismo, e lo studiano precisamente nei riguardi della guerra e pel dopoguerra».63 In particolare, si diffonde la convinzione che a guerra conclusa «i sacri luoghi bagnati da tanto sangue generoso saranno visitati da milioni di pellegrini devoti, desiderosi di avere la visione completa del teatro ove si va 59 L. V. Bertarelli, Le Vie d’Italia. Il primo numero, in «Rivista Mensile», anno XXIII, n. 9, settembre 1917, p. 418. L’articolo cui si fa riferimento è di A. Setti, Il culto della polvere, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 1, settembre 1917, pp. 19-23, in cui l’autore con pungente ironia, coadiuvata da vignette satiriche, segnala come deficitarie negli italiani l’educazione civica, quella igienica e la tutela del patrimonio paesaggistico ed artistico. Tutto in Italia è ricoperto da uno spesso strato di polvere, incompatibile con il progredire del viver civile: «persuadiamoci che il culto della civiltà mal si concilia col culto della polvere! Altrimenti le cose che costruiamo oggi, le troveremo domani cogli stessi… insetti, cogli stessi imbratti, cogli stessi buchi, colle stesse puzze, o, come dice il Trilussa, colle stesse “… patacche dell’epoca, capisce?... / puzzonate der secolo passato”». 60 L. V. Bertarelli, Le Vie d’Italia. Il primo numero, in «Rivista Mensile», anno XXIII, n. 9, settembre 1917, p. 419. 61 F. Tajani, Le vie maestre, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 1, settembre 1917, p. 28. 62 Carta della Fronte Giulia al 100.000 in 4 fogli, Milano, TCI, 1917; Grande Carta Topografica della Fronte della Guerra italiana, 24 fogli al 100.000, con Istria e Dalmazia al 500.000, Milano, TCI, 1917; La Guerra d’Italia. per la conoscenza della partecipazione italiana alla guerra contro gli Imperi Centrali, edizioni in italiano, francese, inglese, spagnolo, tedesco, portoghese, Milano, TCI, 1918. 63 La Direzione Generale del Touring, Il dovere di chi non combatte, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 4, dicembre 1917, p. 195. 34 svolgendo la più immane tragedia dell’umanità».64 Tale convinzione spingerà gli stati dell’Intesa ad incontrarsi e a confrontarsi durante i Congressi sul turismo, che si svolgeranno nel principato di Monaco nella primavera del 1920, e di cui «Le Vie d’Italia» si occupano sin dagli albori, dando informazione costante sugli sviluppi dei lavori quasi ogni mese.65 L’idea di un legame tra guerra e turismo, l’opinione che non solo le bellezze ambientali ed artistiche e le proprietà curative di un territorio costituiscano elementi di attrazione turistica, ma che anche i campi di battaglia possano divenire mete di viaggio, può risultare macabra. Bisogna tuttavia capire cosa significa fare turismo in questo contesto temporale e, nella fattispecie, quale tipologia di turismo il Touring Club Italiano, attraverso «Le Vie d’Italia», intende promuovere. Viaggiare non è da considerarsi come atto gratuito individuale, semplicemente edonistico o di svago, ma come evento educativo e civile: tale è la missione del Touring, ben in sintonia con la fervente onda patriottica fomentata dal nazionalismo bellico che ha invaso il continente. «Turismo con finalità di educazione nazionale, dunque».66 Il motto è quindi «far conoscere l’Italia», in primis agli italiani, secondo l’ideologia risorgimentale, senza tralasciare però l’aspetto di propaganda rivolto anche ai forestieri. In questo senso gli articoli di Raffaello Giolli sulle cartoline illustrate toccano un argomento di grande rilevanza e attualità. Proprio durante il conflitto, in funzione propagandistica, esplode il fenomeno delle cartoline, atte a divulgare la mistica della guerra in tutti i suoi topoi ed aspetti, da quello mitico della Patria e della Vittoria a quello cronachistico delle esercitazioni militari, dalle figure dei vo- 64 Un congresso delle nazioni alleate e amiche per la difesa e l’incremento delle Stazioni Termali e Climatiche, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 1, settembre 1917, p. 31. Cfr. anche D. F. Guarnati, Il pellegrinaggio ai campi di battaglia dopo la guerra, in ivi, n. 4, dicembre 1917, pp. 203-6; G. Cobol, In pellegrinaggio ai cimiteri di guerra, in ivi, anno XXVIII, n. 11, novembre 1922, pp. 1081-7. 65 Per un’analisi del Congresso dalle origini fino ai suoi esiti, cfr. A. Treves, Anni di guerra, anni di svolta. Il turismo italiano durante la prima guerra mondiale, in G. Botta (a cura di), Studi geografici sul paesaggio, cit., pp. 249-51: «non era nato affatto come un “figlio della pace”, ma era stato concepito e voluto in piena guerra, nel clima dominato dagli odi e dalla propaganda di odio dei paesi belligeranti, e dunque in un contesto tutto determinato dai criteri e dalle finalità della politica di guerra dell’Intesa e di politica di preparazione alla pace durante la guerra». Su «Le Vie d’Italia» rimando ad alcuni dei numerosi articoli di Ruata, Bertarelli e Gerelli: G. Ruata, La partecipazione italiana ai Congressi di Monaco. Il Comitato Italiano del Congresso di Talassoterapia, in ivi, anno II, n. 8, agosto 1918, pp. 494-8; Id., La partecipazione italiana ai Congressi di Monaco. Il Comitato Italiano del Congresso d’idrologia, geologia e fisioterapia, in ivi, n. 9, settembre 1918, pp. 559-61; Id., La partecipazione italiana ai Congressi di Monaco. Il Comitato Italiano del Congresso delle città d’acque, bagni di mare e stazioni climatiche, in ivi, n. 11, novembre 1918, pp. 686-90; L. V. Bertarelli, I Congressi di Monaco, in ivi, anno IV, n. 5, maggio 1920, pp. 273-4; A. Gerelli, I Congressi di Monaco. Il Congresso di turismo, in ivi, n. 6, giugno 1920, pp. 3215; Una esposizione italiana di turismo a Monaco, in ivi, anno XXVII, n. 2, febbraio 1921, pp. 148-57. 66 A. Treves, Anni di guerra, anni di svolta. Il turismo italiano durante la prima guerra mondiale in G. Botta (a cura di), Studi geografici sul paesaggio, cit., p. 259. 35 lontari, dei reduci e dei mutilati ai disertori.67 Per Giolli, definito da Corrado Maltese come uno dei più sensibili critici e storici dell’arte moderna che vanti la cultura italiana,68 in quella sede pragmatica che è rappresentata dalle «Vie d’Italia», occuparsi delle cartoline «non è scendere troppo in basso, e neppure far un gioco di ragazzi, sull’album, ma è un ragionamento molto serio e pratico, come ogni altra rivalutazione che conduca il lavoro nazionale dalla fluttuante anarchia delle contraddittorie incompetenti iniziative personali, in una organica e consapevole funzione nazionale».69 Si nota in particolare, come la visione dell’arte di Giolli, strettamente connessa alla realtà storica e doverosamente influente nella vita civile, agli antipodi di un’art pour l’art, si ritrovi in sintonia con la linea della rivista e con il pensiero di Bertarelli. La cartolina, in questo caso, può divenire strumento di propaganda non solo a fini militari, ma anche per scopi turistici, una volta terminato il conflitto.70 Può insomma rappresentare un potente strumento di promozione delle bellezze naturali ed artistiche della penisola. Il problema che occorre affrontare è che mentre altre tipologie di cartoline, come quelle di varietà che vanno affermandosi, spesso incredibilmente banali, «sono oggetto di cure grandissime da parte degli editori e di riproduzioni molto fini, le cartoline delle bellezze d’Italia sono quasi sempre delle più scadenti, fatte senza alcun gusto, tecnicamente pessime e spesso mostruose».71 I soggetti scelti sono insignificanti: «quasi sempre mostrano la preoccupazione di ritrarre quanto vi è di più banale e di più provinciale (sia pure l’effigie del negoziante di vino, o il sorriso ineffabile dello speziale che fa pompa di sé sulla porta del suo stabilimento chimico-farmaceutico) dimenticando magari un portale Rinascimento o una 67 Cfr. P. Pallottino, Storia dell’illustrazione italiana. Libri e periodici a figure dal XV al XX secolo, Bologna, Zanichelli, 1988, p. 239 e, nello specifico, C. Fumagalli, Curiosità della guerra II. Le cartoline illustrate, in «Il Risorgimento Grafico», Milano, anno XVII, n. 7, luglio 1920, pp. 225-30. Un esempio di cartolina di guerra è presente in copertina al numero de «Le Vie d’Italia», anno II, n. 7, luglio 1918. Un’Italia personificata in vesti femminili accompagna la scalata degli alpini sul fronte austriaco: così la ditta di cinghie Massoni & Moroni pubblicizza il proprio prodotto. 68 Cfr. C. Maltese, Storia dell’arte in Italia, 1785-1943, Torino, Einaudi, 1960, p. 270. 69 R. Giolli, Una crisi dell’intelligenza. La cartolina anarchica, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 3, novembre 1917, p. 155. 70 Per un quadro della fotografia pubblicitaria e della cartolina illustrata dopo il 1860, cfr. A. Abruzzese, F. Colombo (a cura di), Dizionario della pubblicità: storia, tecniche, personaggi, cit., p. 199: «prototipo della pubblicità di viaggio, le cartes de visite de la ville approdano negli album dei viaggiatori europei, vero canale trasversale per la pubblicità. Città orientali e bellezze archeologiche, paesaggi mediterranei e monumenti storici, le tappe fondamentali del Grand Tour vengono esportate e reclamizzate in tutto il mondo occidentale». 71 R. Giolli, Una crisi dell’intelligenza. La cartolina anarchica, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 3, novembre 1917, p. 155. 36 torre gotica o una veduta panoramica».72 Per dirla letterariamente: «Guido Gozzano è morto e la poesia delle piccole cose umili e sentimentali in giorni di guerra è fuori di tono».73 L’attenzione della rivista per gli aspetti grafici ed editoriali anche non strettamente legati alle cartoline, è messa in rilievo, oltre che nella cura dei fregi degli articoli,74 nel 1918 dalla collaborazione di Raffaello Bertieri.75 Insigne tipografo, fondatore nel 1902 della rivista «Il Risorgimento Grafico» e direttore della Scuola del Libro all’Umanitaria di Milano dal 1919 al 1925, Bertieri concepisce il prodotto grafico come opera di alto artigianato ispirandosi alla tradizione più pura del XVI secolo, non dimentico del progresso e delle nuove macchine in grado di garantire elevata qualità che faticano però ad entrare nelle tipografie italiane. Congruentemente allo spirito della rivista, anche Bertieri è una figura che risolve nel proprio operato le scissioni tra sapere tecnico e sapere umanistico. Problemi di matrice crociana non vengono posti, dal momento che al di sopra di tutto vi è l’urgenza della diffusione del sapere finalizzato al progresso della nazione e allo sviluppo del turismo in ogni suo aspetto, in quanto fattore di accrescimento economico e morale. Così di fronte ad articoli come questo, o a quelli di un Tajani sulla sicurezza ferroviaria e sugli apparecchi di frenatura delle locomotive76 «il lettore può chiedersi con qualche apprensione» se non si tratti di articoli puramente tecnici. La risposta che dà Bertarelli in riferimento all’articolo di Tajani su Il freno è duplice: «sì: nel senso che piega l’invenzione di Westinghouse, di cui è dato il ritratto, anche con disegni schematici. No: nel senso che le cose sono messe così chiare e per linee così generali, che ogni profano le capisce senza sforzo. […] Noi verremo a poco a poco spiegando così molti arcani, che restano solo tali perché non c’è chi ne volgarizzi la semplice tessitura, in quella misura che a tutti può piacere di conoscere e che snebbia utilmente tante… scarsità di scienza».77 72 R. Giolli, Per ricondurre la cartolina illustrata sulle belle Vie d’Italia, in ivi, anno I, n. 4, dicembre 1917, p. 237. 73 R. Giolli, Una crisi dell’intelligenza. La cartolina anarchica, art. cit., p. 160. 74 La rivista nel 1918 si arricchisce anche della collaborazione di altri due noti cartellonisti: Guido Marussig, che firma proprio i fregi degli articoli di Bertieri, e Silvio Talman. 75 R. Bertieri, Il libro italiano e i suoi fattori tecnici e artistici, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 4, aprile 1918, pp. 205-10; n. 5, maggio 1918, pp. 287-92; n. 6, giugno 1918, pp. 353-360. 76 F. Tajani, La sicurezza sulle ferrovie, in ivi, anno II, n. 1, gennaio 1918, pp. 33-8 e Id., Progressi ferroviari. Il freno, in ivi, n. 2, febbraio 1918, pp. 96-102. 77 L. V. Bertarelli, Le Vie d’Italia. Turismo nazionale, movimento dei forestieri, prodotto italiano. I nu- 37 Oltre agli articoli di Tajani sulle strade ferrate, «le prime vie, le vie maestre di un paese»,78 la rivista sin dai primi numeri si occupa anche di altre vie, sviluppatesi nel contesto bellico, ma di cui si analizza già un possibile impiego turistico. È nel 1918 che comincia la collaborazione, pressoché bimestrale prolungata fino al 1920, di Gino Bastogi inerente a Le vie dell’aria, studiate nei molteplici aspetti, dalla sicurezza al trasporto di merci e viaggiatori, dalle questioni sulle dogane alla posta aerea.79 Bastogi continua l’analisi dei professori Burgatti e Gamba,80 che si erano occupati invece nei numeri precedenti solo del fattore meteorologico influente nella navigazione aerea, in seguito all’attenzione mostrata nel primo numero dall’avv. Bugni per la nuova possibilità di trasporto.81 Tra gli altri mezzi di trasporto, presente non solo nella pubblicità, quintuplicata a partire dal secondo anno di pubblicazione, non poteva mancare quello che spinse addirittura l’associazione nel 1900 a mutare il proprio nome: l’automobile.82 Ad occuparsene sono i giornalisti Angelo Tortoreto e Mario Ferrigni, cui fa seguito Lando Ferretti dal 1922. Il primo fonderà nel 1927 la rivista «La piccola italiana. Settimanale illustrato di guida e cultura per le giovinette italiane», destinata alle bambine del ventennio e all’organizzazione del loro consenso alla politica del regime, il secondo invece, critico teatrale de «La Nazione» noto come Yorick, passa al «Corriere della Sera» e diviene direttore meri di gennaio e febbraio, in «Rivista Mensile», anno XXIV, n. 1, gennaio 1918, p. 28. Sulle capacità divulgative di Tajani, ben duttili agli intenti del Bertarelli e della nuova rivista, cfr. G. Tajani (a cura di), Filippo Tajani professore e giornalista, cit., p. 5: «era, e se ne gloriava, un “volgarizzatore”, dalla parola e dalla penna agile e schietta, senza astruserie, come può esserlo un profondo conoscitore della materia di cui tratta». 78 F. Tajani, Le vie maestre, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 1, settembre 1917, p. 24. 79 Gli scritti di Bastogi troveranno poi pubblicazione sul mensile di settore «Rivista Aeronautica», nato nel 1925. 80 Burgatti è un matematico, docente di meccanica razionale all’Università di Bologna, si è interessato anche all’astronomia, cfr. P. Burgatti, L’evoluzione meccanica del sistema solare: discorso letto per la inaugurazione dell’anno scolastico 1911-912 nella R. Università di Bologna, Bologna, 1911; Id., La legge esponenziale delle distanze nei sistemi di Giove, Saturno e Urano: nota letta alla R. Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna nella Sessione del 27 aprile 1919, Bologna, Tipografia Gamberini e Parmeggiani, 1919. Burgatti e il professor Gamba, Direttore del R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geofisica, pubblicano rispettivamente su «Le Vie d’Italia»: Il fattore meteorologico nella navigazione aerea, anno I, n. 2, ottobre 1917, pp. 101-13; Le vie dell’aria, anno II, n. 4, aprile 1918, pp. 236-7. 81 E. Bugni, Le vie dell’aria, anno I, n. 1, settembre 1917, pp. 47-50. 82 «Fu allora, poco prima che il secolo spirasse, e precisamente il 25 marzo 1900, che l’Assemblea Generale dei Soci del T.C.C.I. (Touring Club Ciclistico Italiano) deliberò di mutare la denominazione dell’Associazione in quella più breve e di più ampio significato, di “Touring Club Italiano”. Con questa decisione […], il Sodalizio non rinnegava la fede e gli entusiasmi dei suoi pionieri ciclisti, né rinunziava a sviluppare il turismo ciclistico, ma apriva le porte ai nuovi strumenti e alle nuove possibilità di turismo», dal momento che «il nuovo secolo si annunciava come l’era dell’automobile» e che «diveniva, per di più, ormai certezza il presagio che con i nuovi motori tra breve si sarebbe conquistato anche il dominio dell’aria». G. Vota, I Sessant’anni del Touring Club Italiano, Milano, Touring Club Italiano, 1954, p. 67. 38 direttore del supplemento «La Lettura». Nonostante l’area di interesse pedagogico per Tortoreto e quella teatrale e letteraria per Ferrigni, sulle «Vie d’Italia» pubblicano articoli riguardanti l’industria automobilistica in rapporto al mercato mondiale con un occhio di riguardo alle nuove tecniche di produzione americane di stampo tayloristico,83 che basandosi su larga scala trasformeranno l’auto da prodotto elitario a mezzo di lavoro, come già era accaduto alla bicicletta. Al di là di questi articoli relativi ai mezzi di trasporto, ogni mese «Le Vie d’Italia» si chiudono con un «Notiziario», costituito da una serie di rubriche rappresentanti una sorta di aggiornamento costante sui temi maggiormente a cuore al periodico: Ferrovie, Navigazione, Automobilismo, Aviazione, Echi di turismo nazionale, Per il prodotto italiano, Echi di turismo estero, Geografia, Letteratura turistica, Igiene, Luoghi di cura, Alberghi, Varietà. Ovunque emerge la ricerca di comfort e di un servizio rispettoso degli standard internazionali, fornendo notizia degli ultimi esiti nei rispettivi settori. Al fine di raggiungere una più diretta e divertente comunicatività, nei primi numeri è anche presente una Nota satirico-umoristica, che attraverso vignette caricaturali a piè di pagina segnala i comportamenti maleducati dei viaggiatori, le carenze d’igiene dei ristoranti e l’avidità degli albergatori.84 La rivista, oltre a informare, mira ad educare e correggere vizi e difetti tipicamente italiani e, partendo da questo punto imprescindibile per l’operato del Touring, «chi scrive per educare – il Bertarelli fu grande educatore – rinuncia spesso al piacere di dire cose gradite, per appagare invece la propria coscienza».85 Queste le parole del primo presidente del Touring, Federico Johnson, riservate al suo vice Bertarelli, fondatore dalle colonne dei suoi editoriali della cosiddetta «Lega dei Malcontenti».86 Bertarelli ne diviene il portavoce e se da un lato indirizza senza mezzi termini reclami e proteste alle ferrovie per la cattiva gestione dei servizi di ristorazione ferroviaria, dall’altro pondera le proposte alberghiere per il Mezzogiorno avanzate dall’onorevole Ferraris, che dalla «Nuova Antologia» spinge per la creazione di struttu- 83 A. Tortoreto, L’industria automobilistica americana, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 1, gennaio 1918, pp. 24-31; M. Ferrigni, L’industria automobilistica e il mercato mondiale, in ivi, n. 12, dicembre 1918, pp. 732-9. 84 La nota satirico-umoristica, in ivi, anno I, n. 1, settembre 1917, pp. 32, 46; ivi, n. 2, ottobre 1917, p. 113; ivi, n. 3, novembre 1917, p. 167. 85 G. Mazzotti, Luigi Vittorio Bertarelli nel centenario della nascita, cit., p. 26. 86 L. V. Bertarelli, La questione dei “buffets”, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 3, settembre 1917, pp. 12936. 39 re ricettive nelle già poco attrezzate e problematiche stazioni.87 Dal canto suo, l’ambrosiano Bertarelli, già da cicloturista si è dedicato ben presto alla scoperta dell’estremo Sud e delle isole,88 divenendo esperto conoscitore delle peculiarità e delle difficoltà di quest’altra Italia così distante, che non avrebbe potuto affidare il proprio sviluppo turistico alle sole ferrovie. Nello stesso 1918, in concomitanza all’uscita della Guida d’Italia della Sardegna,89 Bertarelli torna più volte ad occuparsi dell’isola,90 prevedendo come in questo caso il turismo che potrà svilupparsi, vista la limitatezza della rete ferroviaria e le difficoltà morfologiche del territorio, sarà legato all’automobile. Numerosi sono gli articoli che trattano di un altro aspetto del territorio italiano, mirando a sviluppare un altro tipo di turismo, legato invece alla montagna e agli sport invernali, su modello svizzero. Nel gennaio 1918 dopo l’articolo di Gerelli Per lo sviluppo del turismo invernale in Italia, seguito da quello di Chiaberto sui Piccoli alberghi svizzeri,91 Bertarelli prosegue ad occuparsi de Le società alpine e gli alberghi di montagna,92 facendo appello al Club Alpino Italiano, al fine di unire le forze per garantire anche su questo fronte un servizio degno dei livelli internazionali.93 Segue nei mesi suc87 L. V. Bertarelli, Un bel sogno. Uno studio del sen. Maggiorino Ferraris, in ivi, anno II, n. 3, marzo 1918, pp. 129-37. Su Maggiorino Ferraris, senatore dell’area liberal-moderata, ministro durante il terzo governo Crispi e poi nel 1922 in quello Facta, direttore della «Nuova Antologia», nonché promotore della Società Italiana degli albergatori e dell’Associazione Nazionale per il movimento dei forestieri, cfr. R. Ricorda, La «Nuova Antologia» 1866-1915. Letteratura e ideologia tra Ottocento e Novecento, Padova, Liviana Editrice, 1980, pp. 77-92. Di lui Bertarelli apprezza «la limpidezza sua di stile, che tanto cattiva l’attenzione» e sempre a lui va riconosciuto il merito di aver continuato a tener desta l’attenzione in ambito parlamentare sulla questione meridionale, promuovendone un suo sviluppo attraverso il turismo. Tuttavia, riguardo al progetto di legge Toscanelli, mutuato dalla proposta di Ferraris, di creare nel Meridione 100 alberghi delle FF. SS., il giudizio di Bertarelli è schietto: «mai avrei pensato di dovermi schierare contro una derivazione – che io ritengo una deviazione – dalle mie stesse idee!». L. V. Bertarelli, Le Vie d’Italia. Turismo nazionale, movimento dei forestieri, prodotto italiano. I numeri di gennaio e febbraio, in «Rivista Mensile», anno XXIV, n. 1, gennaio 1918, p. 28. 88 Cfr., V. Cappelli, Il paesaggio e l’antico, le strade e gli uomini. Un viaggio in Sicilia tra Gran Tour e turismo, pp. 11-27 in L. V. Bertarelli, Sicilia 1898. Note di una passeggiata ciclistica, a cura di V. Cappelli, Palermo, Sellerio, 1994. 89 L. V. Bertarelli, Guida d’Italia. Sardegna, Milano, TCI, 1918. Da ricordare che l’anno successivo, sempre gratuitamente per i soci, Bertarelli pubblica anche la Guida d’Italia sulla Sicilia. 90 L. V. Bertarelli, Navigando tra gli scogli della sincerità. La psicologia di un congresso sardo, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 9, settembre 1918, pp. 513-24; Id., Coefficienti di progresso sardo. La Sardegna non è abbandonata, in ivi, n.10, ottobre 1918, pp. 577-84; Id., I tentativi di colonizzazione interna in Sardegna mediante le colonie penali agricole, in ivi, n. 11, novembre 1918, pp. 641-50. 91 A. Gerelli, Per lo sviluppo del turismo invernale in Italia, in ivi, anno II, n. 1, gennaio 1918, pp. 14-18; G. B. Chiaberto, I piccoli alberghi svizzeri, in ivi, pp. 19-23. 92 L. V. Bertarelli, Le società alpine e gli alberghi di montagna, in ivi, anno II, n. 2, febbraio 1918, pp. 65-70. 93 Con la più antica associazione italiana di alpinisti e appassionati di montagna, nata nel 1864, forte è il legame del Touring. «Fratelli di una stessa famiglia», scrive Bardelli in L’Italia viaggia. Il Touring Club, la nazione e la modernità (1894-1927), Roma, Bulzoni editore, 2004, p. 410, legati dal medesimo intento educativo, animati dallo stesso fervore patriottico post-risorgimentale. 40 cessivi il contributo di Brocherel, altro esperto di montagna, sugli effetti terapeutici del sole invernale sulle nevi alpine.94 Occuparsi di montagna significa infine non solo la salvaguardia del paesaggio,95 ma anche più propriamente di terre irredente. Già nel secondo numero, un anonimo irredento solleva la questione del Trentino, dove «da parecchio tempo esistevano associazioni locali per il Movimento dei Forestieri, ma esse conducevano una vita stentata, soprattutto per due ragioni: la trascuratezza da parte del governo austriaco, sempre diffidente per ogni iniziativa presa da italiani, nelle quali voleva scorgere ad ogni costo uno scopo irredentista, e l’assoluta noncuranza da parte degli interessati, cioè gli albergatori».96 Tuttavia, considerato il non confortante quadro italiano, diffusa è l’idea che «il Trentino avrebbe dovuto divenire, nell’Italia del dopoguerra, la regione guida, il gioiello del turismo italiano».97 Ad occuparsi in maniera continuativa fino al 1919 dell’industria del forestiero in Trentino dalle stazioni termali e climatiche alla clientela turistica, sarà il profugo Italo Scotoni, che soltanto nell’ottobre 1918, qualche settimana prima di Vittorio Veneto, arriva a parlare esplicitamente della guerra sul fronte austriaco.98 Dopo Caporetto, è comprensibile come i riferimenti al conflitto si facciano meno diretti,99 e parlare di «guerra» vuol dire per il Touring, ancor più necessariamente, guardare al «dopo».100 Lo stesso vale per le copertine, eccettuando quella del mese di luglio, raffigurante una cartolina di guerra della ditta Massoni & Moroni: un 94 G. Brocherel, L’inverno benefico, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 3, marzo 1918, pp. 138-45: «anche qui si tratta di una volgarizzazione, ma molto seria e molto interessante che chiarisce con tutta semplicità fatti abbastanza noti globalmente ma di cui si ignora in generale la spiegazione». L. V. Bertarelli, Le Vie d’Italia. Turismo nazionale, movimento dei forestieri, prodotto italiano. I numeri di gennaio e febbraio, in «Rivista Mensile», anno XXIV, n. 1, gennaio 1918, p. 29. 95 Dal 1918 il Touring comincia a trattare dell’istituzione dei Parchi Nazionali, che troveranno effettiva attuazione nel 1922 con il Parco nazionale del Gran Paradiso e nel ‘23 con quello degli Abruzzi. Cfr. E. Turri et alii (a cura di), Il paesaggio italiano nel Novecento. Le grandi trasformazioni del territorio nei cento anni del Touring, Milano, Touring Club Italiano, 1994. Su «Le Vie d’Italia», D. F. Guarnati, Parchi nazionali, anno II, n. 9, settembre 1918, pp. 552-8; Avv. E. Sarti, Il Parco Nazionale dell’Abruzzo, anno II, n. 11, novembre 1918, pp. 663-73. 96 Un Irredento, Il governo austriaco e il turismo nel Trentino, in «Le Vie d’Italia», anno I, n. 2, ottobre 1917, p. 74. L’articolo è ripreso il mese seguente da I. Scotoni in Il Trentino e il Movimento dei Forestieri, ivi, anno I, n. 3, novembre 1917, pp. 177-9. 97 A. Treves, Anni di guerra, anni di svolta. Il turismo italiano durante la prima guerra mondiale in G. Botta (a cura di), Studi geografici sul paesaggio, cit., p. 262. 98 I. Scotoni, Lotta nazionale italiana nel Trentino, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 10, ottobre 1918, pp. 609-13. 99 «Con l’allontanamento di Cadorna e la sua sostituzione con Armando Diaz, le cose cambiano anche nel campo dell’informazione e della propaganda». Diaz «soprattutto invita i giornalisti ad abbandonare i toni retorici e solenni», in P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, cit., p. 120. 100 L. V. Bertarelli, Strade e mulattiere militari dopo guerra. Punti interrogativi, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 5, maggio 1918, pp. 257-62. È il primo articolo di una serie di articoli del 1918 che ritornano sul tema bellico, o meglio «postbellico», dopo gli esordi patriottici e di sostegno ai combattenti del 1917. 41 incitamento a non soccombere di fronte all’ultima offensiva austro-ungarica di giugno. Significativo il caso delle ben quattro copertine del 1918 ospitanti le pubblicità della SPA che, a differenza del 1917, non sponsorizza più autobatterie per veicoli miliari, fotografati tra i boschi alpini, bensì servizi automobilistici che attraversano la penisola. I mesi di aprile, giugno, agosto e dicembre si aprono con le foto di un’Italia campestre, lungo le vie della Sabina, attorno a Catanzaro e sulle linee Perugia-Chiusi e MacerataTreja, con le greggi e le contadine a prender l’acqua alla fontana sul ciglio della strada dove passa la corriera. Guardare al «dopo» significa anche aprire la rivista a nuove tipologie di articoli non meramente tecnici, come il racconto satirico-umoristico di Guglielmo Vita, pubblicato in sette puntate nel corso del 1918. Vita, pittore e poeta eclettico, trova spazio nelle «Vie d’Italia» per Un viaggio di dispiacere, che uscirà poi in volume nel 1920.101 La verve di Vita esamina la bruttezza nei suoi vari aspetti, la scruta nei suoi rifugi e la combatte «con tutte le armi letterarie più raffinate: magari con la freddura. I lettori seguiranno con piacere la loro guida e riconosceranno la santità anche di questa crociata non meno preziosa di tante altre in questo nostro Bel Paese, così pazientemente rassegnato a tante manifestazioni del cattivo gusto, malattia che dovrebbe essere esotica!»102 Si tratta di un viaggio nel paesaggio deturpato, nelle periferie operaie spersonalizzanti e nelle case borghesi ostentatrici di un lusso vacuo, indagando gli oggetti, i vestiti e le nuove forme di «consumi culturali», associati alle diverse classi sociali: dalle ultime edizioni librarie popolari al cinema. Ciò che Vita ricerca è il bello, ossia un’elegante semplicità, dal carattere democratico, senza che vi siano fallaci incongruenze tra le forme e i contenuti: nel caso specifico dei libri «vi dev’esser una corrispondenza fra testo e l’apparenza tipografica».103 Ma la Bellezza, personificata in una donna elegante nei disegni didascalici dello stesso Vita che intercalano il testo vivacizzandolo, sembra aver lasciato l’Italia: «per cui se mi domandate dov’è la Bellezza devo rispondere: nel nostro paese è vissuta di molto, vi è rimasta volentieri fin che venne amata e venerata pur negli oggetti più umili: ma quando si vide negletta partì. Ed ora la Bellezza viaggia…».104 101 G. Vita, Un viaggio di dispiacere. Divagazioni sul brutto, Milano, Tip. G. Modiano e C., 1920. G. Vita, Un viaggio di dispiacere, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 6, giugno 1918, p. 363. 103 Ivi, n. 7, luglio 1918, p. 419. 104 Ivi, n. 12, dicembre 1918, p. 729. 102 42 Guglielmo Vita, Un viaggio di dispiacere, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 12, dicembre 1918, p. 730. Occorre quindi inseguirla, viaggiare per poter imparare dagli stranieri, «e perché no? Perché un popolo giovane non vorrà studiare i risultati che una lunga vita nazionale insegnò agli altri popoli? Studiamo ed impariamo di tutto. Il nostro popolo è riuscito ed è capace di ogni espressione di vita».105 Tale l’explicit, in perfetta sintonia con lo spirito della rivista, sorta nel buio della prima guerra mondiale con l’intento di illuminare con l’impegno e la ragione la strada del progresso. Bertarelli, conscio che questa strada possa esser intrapresa solo ricostruendo il legame con la tradizione, propone a Ercole Marelli, titolare della nota industria elettrotecnica, di finanziare un concorso per la ricostruzione degli abitati distrutti o devastati, e l’attenzione sin da subito si rivolge al problema di preservare l’aspetto degli agglomerati rurali. All’inizio del 1918, «nel fascicolo di gennaio-febbraio della Rivista Mensile il Bertarelli, ricordando che la Francia aveva già votato un’apposita legge in proposito, additava l’urgenza di studiare le direttive generali da dare a questa futura edilizia “adatta ai luoghi e agli scopi” e annunziava che il TCI intendeva promuovere un concorso per progetti e preventivi».106 Tale concorso, dopo l’immediata positiva risposta dell’industriale Marelli, prende il suo nome. Del Concorso «Ercole Marelli» si occupano anche «Le Vie d’Italia», pubblicando gli studi e i suggerimenti di ingegneri e archi105 106 Ivi, p. 731. G. Vota, I Sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., p. 169. 43 tetti che pervengono in redazione. Tra questi, Bertarelli sostiene le idee dell’architetto trentino Wenter-Marini: «dobbiamo curare il carattere delle abitazioni rurali nelle singole valli e farne apprezzare il loro valore estetico montano […] il Wenter-Marini posa un problema ben noto, ma che va al di là del Concorso Marelli: lo studio non dell’abitazione isolata, ma dell’aggruppamento delle singole abitazioni in rapporto con un piano regolatore».107 Raffaello Giolli ritorna sull’argomento nel 1919, in attesa del verdetto del concorso,108 sollevando la necessità conservativa dell’anima dei luoghi, evitando tuttavia fossilizzazioni ed anacronismi: «questo è quel che vogliamo si conservi anche nei paesi, la loro anima, la loro continuità organica. Questo specialmente vogliamo si conservi nei paesi che hanno sofferto la guerra; onde non avvenga che, ricostruiti, i profughi, tornandovi, non li debbano più riconoscere».109 Nel dibattito interviene anche un altro collaboratore della rivista: l’urbanista Cesare Albertini. «Il bagaglio culturale di Cesare Albertini che si coglie dai numerosi articoli pubblicati sulle riviste tecniche degli anni ‘20 e ‘30, rivela una poliedricità che costituisce peraltro la costante del dibattito di quegli anni ugualmente riscontrabile sia nell’aspetto teorico della disciplina, sia nella pratica professionale, a dimostrazione di una consapevolezza dei problemi legati alla città tale da permettergli di affrontare con uguale competenza i diversi aspetti del piano e della progettazione urbana».110 Un periodico come «Le Vie d’Italia», tecnico per molti aspetti, ma non specialistico, che guarda costantemente alla divulgazione, consente ad Albertini di trasmettere il proprio sapere professionale coniugato alle sue passioni. Urbanistica e musica si fondono nelle pagine che affrontano il problema della ricostruzione post-bellica, in sintonia con le idee già espresse da Bertarelli e Giolli: «Sono innumeri i pittoreschi recessi nei nostri abitati secolari che devono conservarsi perché ad essi più ancora che ad insigni monumenti isolati è legato il carattere tipico e la fisionomia tutta spe107 L. V. Bertarelli, Il senso d’arte nel “Concorso Ercole Marelli”, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 7, luglio 1918, p. 421. 108 Fu un verdetto difficile da emettere, vista la consueta grande partecipazione alle iniziative del sodalizio: «furono presentati da 105 concorrenti 187 progetti: la Giuria che ne dovette protrarre l’esame per ben 32 sedute con la collaborazione di competenti agrari e zootecnici, assegnò 65 premi per 27.000 lire. I progetti premiati furono pubblicati in fascicoletti, da inviarsi gratuitamente a quanti ne avessero fatto richiesta, e poi riuniti in volume. Il TCI costituì anche vari comitati locali per l’attuazione dei progetti con i necessari adattamenti». G. Vota, I Sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., p. 169. 109 R. Giolli, In attesa del Concorso Marelli. La casa che si muove (osservazioni di Valle Strona), in «Le Vie d’Italia», anno III, n. 1, gennaio 1919, p. 27. 110 A. Barresi, La scoperta di un autore moderno, in L. G. Di Leo, Cesare Albertini urbanista. Antologia di scritti, Roma, Gangemi Editore, 1995, p. 25. 44 ciale dei nostri luoghi. Molte volte in un gruppo di edifici, in una piazzetta silenziosa, in un angolo eccentrico vibra una particolare nota di poesia, esala un profumo di ricordi che evoca tutto un periodo di storia, e parla un linguaggio arcano, tutto proprio e speciale per ogni luogo che si consideri. Sono concordanze impreviste, o armonie di proporzioni che non si rilevano, ma si rivelano, o contrasti di colori e di linee che determinano il singolare aspetto di una località e valgano a crearne il carattere assai più che i singoli monumenti, che tutti i viaggiatori frettolosi non evitano di visitare, e che trovate riprodotti dall’industria locale su ogni oggetto».111 Anima, musica e poesia dei luoghi divengono quasi varianti tecniche da tenere presenti assieme a quelle più propriamente tali, animate dal progresso, al fine di non distruggere, ma di restaurare, terminato il conflitto, ciò che può costituire per l’Italia la base del turismo stesso. Anche la musica, in quanto «prodotto italiano», può concorrere a portare il proprio contributo al movimento dei forestieri. Ad introdurre quest’altro punto di vista tra le pagine delle «Vie d’Italia» è proprio Albertini:112 «la musica – e ciò può spiegare come dell’argomento si parli in questo periodico – è infatti uno tra i più cospicui prodotti italiani […]. La musicalità del popolo italiano forma infatti in certo modo parte del patrimonio nazionale».113 Con argomentazioni simili a quelle portate avanti da Bertarelli e Ruata per accattivare la clientela straniera interessata al turismo termale, anche Albertini per la musica fa leva «sull’avversione che all’indomani della guerra potrà permanere nel pubblico riguardo all’arte ed agli artisti tedeschi»114 e sull’occasione di diffusione della tradizione italiana presso nuovi pubblici, svizzero e americano in primis, che la contingenza post-bellica può rappresentare. Così avverrà per Arturo Toscanini, amico dello stesso Albertini, che nel 1920 dirigerà un’orchestra italiana in un giro di concerti negli Stati Uniti, finanziato da un mecenate americano e patrocinato dal Touring: «la forte tenacia di chi vuol con ogni sforzo toglierci quel mercato che fu nostro, mina 111 C. Albertini, I problemi della ricostruzione tra il vecchio e il nuovo, in «Le Vie d’Italia», anno III, n. 5, maggio 1919, p. 292. 112 Albertini è un appassionato di musica sin dalla giovinezza e «come afferma il collega L. L. Secchi, responsabile della ricostruzione della Scala e per lunghissimi anni Conservatore degli immobili del Teatro, con cui forse egli collaborò anche per tali attività “Albertini era molto amico di Toscanini e suonava magnificamente il pianoforte”». C. Morandi, Per un profilo biografico di Cesare Albertini, in L. G. Di Leo, Cesare Albertini urbanista. Antologia di scritti, cit., p. 276. 113 C. Albertini, La musica “prodotto italiano”, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 11, novembre 1918, p. 678. 114 Ivi, p. 681. 45 nacia di chi vuol con ogni sforzo toglierci quel mercato che fu nostro, mina gravemente le basi di questa nostra già fiorentissima industria. È per queste ragioni che il TCI non ha esitato ad accordare il patrocinio della sua organizzazione ad una grandiosa intrapresa, alla testa della quale è il più grande e il più invidiato dei nostri artisti».115 Il Consiglio Direttivo del Touring durante la Grande guerra, radunato in Corso Italia, 10. 115 C. Albertini, La musica prodotto italiano. Arturo Toscanini e un’orchestra italiana in America, in ivi, anno IV, n. 11, novembre 1920, p. 661. 46 1.3 DOPO LA VITTORIA Un anno dopo Caporetto la «riscossa» tanto auspicata si concretizza a Vittorio Veneto: è il 4 novembre 1918 e la guerra è finita. La parentesi bellica si chiude, ma con essa non si esaurisce tutto il fervore di progetti che aveva animato «Le Vie d’Italia» in vista del dopoguerra.116 Anzi, la vocazione pragmatica della rivista si fa ancora più forte e, negli anni immediatamente successivi alla fine delle ostilità in cui la redazione è affidata alle cure del vice Segretario Generale Gerelli, l’impronta bertarelliana non viene meno.117 Il periodico evita quindi di esulare dalle proprie tematiche privilegiate, cui ora più Gabriele D’Annunzio testimonial pubblicitario su «Le Vie d’Italia» che mai, conclusa la guerra, occorre dare un nuovo slancio fattivo. «Dedicandosi, a differenza della nostra Rivista Mensile, al lato pratico dei problemi del turismo, a quelli del movimento dei forestieri e all’incoraggiamento del prodotto italiano, esso è diventato un centro simpatico d’attività per tutte le energie fattive, che possono raggrupparsi intorno al turismo».118 Nemmeno di 116 «Tutto quel lavorio, quel discutere, quel ricercare, quell’immaginare il futuro probabile si configurarono come momenti del processo più ampio e complessivo che fa apparire un periodo apparentemente di parentesi, come quello della guerra, come un periodo invece di modificazione profonda, nel quale in sostanza si definirono molti degli elementi che avrebbero caratterizzato – e in termini assai diversi rispetto a quello dell’anteguerra – il turismo italiano e la sua organizzazione negli anni venti e per vari aspetti anche negli anni trenta». A. Treves, Anni di guerra, anni di svolta. Il turismo italiano durante la prima guerra mondiale in G. Botta (a cura di), Studi geografici sul paesaggio, cit., p. 299. 117 «Ispiratore dell’architettura produttiva e della politica culturale del Touring, Bertarelli è l’artefice delle maggiori imprese editoriali, a cominciare dalla “Rivista Mensile del Touring Club Italiano” e da “Le Vie d’Italia”, cui collabora assiduamente: scrivere è parte integrante del suo lavoro». L. Clerici, “Sono uomo d’affari, anzitutto”. Luigi Vittorio Bertarelli e la cultura della divulgazione, postfazione a L. V. Bertarelli, Insoliti viaggi. L’appassionante diario di un precursore, a cura di L. Clerici, Milano, Touring Editore, 2004, p. 284. 118 Relazione del Consiglio per l’esercizio 1918, in «Rivista Mensile», anno XXV, n. 3-4, marzo-aprile 47 fronte alla vittoria, vi è spazio per la gloriosa contemplazione: solo una fotografia pubblicitaria della già citata ditta di motori SPA posta in chiusura al numero del dicembre 1918 condensa in sé la forza dell’impresa, anche grazie a un testimonial d’eccezione. Il maggiore D’Annunzio e il capitano Palli di ritorno dal fronte dell’Aisne sono immortalati davanti al loro biplano Ansaldo S.V.A., reso celebre dal famoso volo su Vienna del 9 agosto. Oltre a questo, bisogna fare, promuovere, ideare più di prima: «è difficile, in questi momenti, resistere alla tentazione di esaltare, sia pure a larghi tratti, le magnifiche terre che ritornano all’Italia. Ma questa Rivista è essenzialmente pratica e tale dobbiamo mantenerla anche in queste giornate indimenticabili».119 La pur difficoltosa pubblicazione della «Rivista Mensile», dimezzata nel 1918 a sei numeri di circa 38 pagine l’uno, consente la differenziazione e la specializzazione dei prodotti editoriali che affrontano il dopoguerra da distinte prospettive e con diversi collaboratori: «l’illustrazione storica, geografica, pittoresca dei paesi redenti è compito soprattutto della nostra maggior sorella: la Rivista del Touring. Dei problemi più strettamente turistici delle Tre Venezie ci occuperemo noi pure: già del resto alcuni saggi pratici e diligenti sono stati pubblicati in fascicoli precedenti: ben presto seguiranno altri studi sulle moltissime questioni che si riconnettono al turismo e più generalmente alla vita delle terre redente: alberghi, viabilità, difesa delle bellezze naturali, luoghi di cura, prodotti e così via».120 Con l’articolo di Bertarelli Due parchi nazionali nel Trentino si apre il terzo anno della rivista, che con «affettuoso fervore» prioritariamente si dedica alla conoscenza delle terre da poco ricongiunte all’Italia e alla loro valorizzazione turistica, «chiamando a collaborare studiosi e competenti anche locali».121 L’appello è accolto e il patriota trentino Pedrotti invia delle note alla rivista che vengono raccolte e pubblicate dal Bertarelli, lanciando l’idea dell’istituzione di due parchi anche nella nuova regione, sulla scia della proposta avanzata l’anno precedente per l’Abruzzo: «il numero dei turisti verrebbe accresciuto di molto, postoché comunicazioni già create durante la guerra, o di poca entità da creare ora, e qualche organizzazione di alberghi, permetterebbero di penetrare nel 1919, p. 51. 119 La Direzione Generale del Touring, Dopo la vittoria, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 12, dicembre 1918, p. 705. 120 Ibidem. 121 G. Vota, I Sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., p. 180. 48 cuore di regioni alpine della maggior bellezza, mantenute in quel romantico stato di solitudine selvaggia, che è uno dei loro caratteri più salienti».122 L’occhio di Bertarelli è attento a cogliere nel paesaggio le peculiarità e gli aspetti infrastrutturali di richiamo per il turista, promuovendo anzitutto la conservazione dell’autenticità ambientale. Così nei suoi studi, tra le precise indicazioni geografiche e di carattere organizzativo si insinua l’abbozzo paesaggistico che non disdegna topoi e sonorità poetiche allitterative, «ma invece di offrire illusionisticamente la natura – come accadeva nelle affollate sale per diorami e panorami allestite nelle esposizioni industriali – il fondatore del Touring vuole portare il turista all’aperto, a godere di panorami naturali autentici».123 Per questo, neoeletto Presidente dopo l’abdicazione di Johnson, si adopera ad organizzare già nel luglio 1919 una grande Escursione nazionale nella Venezia Tridentina: «la prima iniziativa di rilievo indetta a pochi mesi dalla fine del conflitto e, significativamente, è rivolta verso i territori appena liberati dal dominio austroungarico»,124 perseguendo l’intento geografico post-risorigimentale del nosce te ipsum e al contempo italianizzando terre politicamente e culturalmente sottomesse allo straniero. Più di 1200 partecipanti di ogni età, regione e condizione sociale visitano Bolzano, Merano, Bressanone, Cortina e le valli Pusteria, di Fassa e di Fiemme, raccogliendosi infine a Trento nella commemorazione dei patrioti Battisti e Filzi.125 Questo il punto di partenza che porterà Bertarelli alla pubblicazione di un nuovo volume della Guida d’Italia: Le Tre Venezie.126 La straordinaria ricchezza e la varietà del territorio dal punto di vista ambientale, storico ed artistico rappresentano una 122 L. V. Bertarelli, Due parchi nazionali nel Trentino, in «Le Vie d’Italia», anno III, n. 1, gennaio 1919, p. 12. 123 L. Clerici, “Sono uomo d’affari, anzitutto”. Luigi Vittorio Bertarelli e la cultura della divulgazione, postfazione a L. V. Bertarelli, Insoliti viaggi. L’appassionante diario di un precursore, cit., p. 294. 124 S. Pivato, Il Touring Club Italiano, cit., p. 103. 125 Un anno dopo, tra il 25 agosto e il 2 settembre 1920, l’Escursione nazionale del TCI tocca la Venezia Giulia, con un’altra sosta particolarmente significativa: Fiume, «città liberata» da D’Annunzio il 12 settembre 1919, e celebrata nel reportage della gita di Giovanni Bertacchi su la «Rivista Mensile»: «è la più grande gioia che noi proviamo al contatto del popolo fiumano che ci saluta, ci abbraccia e ci bacia; è l’ascendente taumaturgico della parola del Comandante che ci afferra anima e cuore per farli vibrare in un palpito solo con l’anima ed il cuore della “Fedelissima”, il cui sorriso tricolore garrisce al vento “non come un drappo ma come uno spirito” per dirlo con frase elegante del Poeta Soldato, poiché “non è opera di telaio ma è la veste della Nazione eterna”», in G. Bertacchi, Da Udine a Fiume. L’escursione nazionale del Touring nella Venezia Giulia, in «Rivista Mensile», anno XXVI, n. 10, ottobre 1920, p. 458. 126 L. V. Bertarelli, Guida d’Italia. Le Tre Venezie, vol. I, Milano, TCI, 1920. Sempre gratuitamente ai soci l’anno seguente, cioè nel 1921, perverrà il secondo volume. Nella prefazione del primo volume, a p. 3, così presenta l’intera opera: «questa nuova guida potrebbe ben chiamarsi la “Guida del Paese delle Meraviglie”. Nessun’altra di quelle che la precedettero ebbe tema così ricco e vario. Basta pensare, infatti, al tema unico di Venezia, alle minori città venete tutte così ricche e così diverse fra loro, alle visioni sfolgoranti delle Dolomiti, senza eguali nel mondo, alle celeberrime grotte della Venezia Giulia, alla corona delle sue città e cittadine, al Carso e agl’insanguinati campi di battaglia». 49 nuova sfida per le capacità di valorizzazione e di sintesi della prosa guidistica bertarelliana. In questo caso specifico si aggiunge una difficoltà in più di carattere linguistico, nonché in ultima analisi ideologico e politico: «la cura puntigliosa prodigata dal Bertarelli nel verificare ogni dato sul terreno e la precisione di tutte le indicazioni toponomastiche che erano parte essenziale del progetto complessivo della guida venivano a cozzare con il desiderio di affermare ed esaltare l’italianità di molti centri».127 Nelle «Vie d’Italia» l’autore ripropone più sinteticamente i dilemmi toponomastici che lo hanno indotto a scrivere la Nota sui criteri adottati pei toponimi nella Guida delle Tre Venezie del TCI, Milano, 1920: «paesi di lingua italiana, tedesca, slovena, serbocroata, ladina sono nelle descrizioni della Guida. Come comportarsi? Tutti nomi italiani? Chi ne capirebbe qualcosa? – Tutti nomi stranieri nelle zone di parlata straniera? E i concetti d’italianità dove se ne andrebbero? – La bilinguità? Ma dove e in qual misura?».128 Anche in questo lavoro di «scrittura del territorio» a prevalere è il pragmatismo e l’immediata comprensibilità tra i viaggiatori, senza troppe forzature, «dando il tempo al tempo» alla stabilizzazione linguistica: «la convivenza pacifica e tollerante dei popoli fonderà anche gli animi e la toponomastica, la quale dopo la guerra deve cessare d’essere una bandiera, assumerà il posto che le spetta: elemento di conoscenza del paese, non causa di dannosi fermenti».129 Il Touring arriva prima della normativizzazione statale a colmare una necessità di ordine pratico, tralasciando toni nazionalistici, come riassume Giovanna Rosselli definendo il sodalizio: «l’ideologia che lo permea è scevra da nazionalismi o pregiudizi razziali ma poggia su un pragmatismo positivista».130 La linea adottata in questa prima edizione di 200.000 copie è dunque conservativa e di registrazione di una situazione di fatto, «indicando nei territori ove prevalevano le lingue tedesca, slovena o croata, per i piccoli elementi geografici i nomi di forma straniera e per i grandi nomi (città, catene e monti, fiumi, subregioni, ecc.) la forma straniera seguita o preceduta dalla forma italiana. Nelle zone mistilingue si diede la preferenza ai nomi italiani».131 Soltanto nella seconda edizione, cinque anni dopo in un’Italia profondamente 127 L. Di Mauro, L’Italia e le guide turistiche dall’Unità ad oggi, in Storia d’Italia. Annali, vol. V, Il paesaggio, a cura di C. De Seta, Torino, Einaudi, 1982, p. 403. 128 L. V. Bertarelli, I nomi di luogo nella “Guida delle Tre Venezie” del TCI, in «Le Vie d’Italia», anno IV, n. 8, agosto 1920, p. 449. 129 Ivi, n. 9, settembre 1920, p. 517. 130 G. Rosselli, Turismo e colonie: il Touring Club Italiano, in Architettura italiana d’oltremare 18701940, a cura di G. Gresleri, P. G. Massoretti, S. Zagnoni, Venezia, Marsilio, 1993, p. 101. 131 G. Vota, I Sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., p. 195. 50 mutata dal punto di vista politico, lo stato interverrà direttamente con l’introduzione della toponomastica ufficiale e il Touring si adeguerà alle nuove convenzioni.132 Dunque, un Touring patriottico, la cui matrice risorgimentale conduce alla difesa della causa irredentista, senza però aderire agli eccessi nazionalisti xenofobi, contrari a una cultura geografica e turistica, che l’associazione tanto si prodiga a diffondere attraverso le sue riviste. Per questo, al di là dell’ideologia, ciò che emerge sfogliando le pagine delle «Vie d’Italia» è la necessità di conoscere e trasmettere conoscenze, che Bertarelli e i collaboratori spesso apprendono dalle esperienze felici di organizzazione turistica portate avanti nel sistema austriaco, come la spiaggia di Grado che «sotto l’Austria […] era salita in fama, perché mentre con un programma vigoroso di propaganda se ne erano messi in valore i pregi e le bellezze, al contempo, con passione che direi nazionale, le si era assicurato un magnifico sviluppo»,133 o come i rifugi alpini nelle terre redente: «l’espressione rifugio, che nel nostro linguaggio alpinistico coincide con quella di capanna, ha un significato molto diverso dal letterale se lo si riferisce alla media dei rifugi atesini […]. Soltanto la minoranza di essi è così modesta da potersi equiparare alla generalità dei nostri migliori rifugi alpini. Gli altri sono più propriamente degli alberghetti, talora anche non tanto piccoli, puliti e ben tenuti sebbene privi di ogni superficialità».134 Un altro aspetto peculiare del territorio redento, oltre al patrimonio marino, montano e boschivo, è rappresentato dalle grotte carsiche, che inducono un Bertarelli, podista e ciclista imbattibile in gioventù, divenuto ormai sessantenne, a divenire un appassionato speleologo.135 Accanto alle proposte pubblicate sull’istituzione di due parchi nazionali in Trentino, Bertarelli ne avanza anche una terza, più insolita: un parco sotterraneo nella regione carsica: «l’accolta di così notevole numero di fenomeni carsici accessibili e vari, 132 In seguito al Regio Decreto del 29 marzo 1923, n. 800, si introduce l’obbligo della lingua italiana nella toponomastica nazionale, partendo dai comuni più importanti, per arrivare poi fino ai più piccoli. Da questo consegue il decreto prefettizio per gli editori del 28 ottobre del medesimo anno, n. 14178, che prevede che tutte le indicazioni pubbliche dei luoghi, ovunque presenti (dalle cartoline illustrate alle guide turistiche, dagli atlanti alle cartine topografiche), debbano essere riportate unicamente nella versione italiana. Cfr. G. Klein, La politica linguistica del fascismo, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 95-103. 133 L. Pironti, Grado ed il suo bagno di spiaggia, in «Le Vie d’Italia», anno III, n. 3, marzo 1919, p. 165. Cfr. anche L. Pironti, Il romanzo d’una città. Vecchie avventure per Fiume, in «La Domenica del Corriere», anno XXI, n. 40, 5-12 ottobre 1919, p. 5, con disegni di Achille Beltrame. 134 L. V. Bertarelli, I nomi di luogo nella “Guida delle Tre Venezie” del TCI, in «Le Vie d’Italia», anno IV, n. 8, agosto 1920, p. 449. 135 Anche se le prime esplorazioni speleologiche di Bertarelli si collocano tra il 1899 e il 1900, quando visita le grotte della Valganna, quelle presso Alghero, quelle del varesotto e infine Adelsberg e San Canziano, di cui scrive per la prima volta sulla «Rivista Mensile» nel settembre 1907. Cfr. G. Vota, I Sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., pp. 238-9. 51 gli aveva suggerito l’idea di far sorgere nel Carso un Parco Nazionale Sotterraneo, idea che enunciò e cominciò a propugnare fin dal marzo 1919».136 La sua curiosità e la sua apertura di orizzonti lo portano alla conoscenza e allo studio di fenomeni turistici, anche lontani come quelli americani, che possono fornire spunti di conservazione e valorizzazione delle peculiarità dei nuovi territori: «gli americani, che vanno più presto di noi, hanno da tempo cominciato a provvedere. Infatti con un atto del 1903 del Congresso, una bellissima loro grotta è stata costituita in Parco Nazionale. È la Wind Cave, nel Dakota meridionale, presso il Parco di Hot Springs […]. Se c’è ora luogo, dove sia opportuno e urgente di seguire quest’esempio, questo è la Venezia Giulia, dove la quantità e l’importanza delle grotte è straordinaria».137 Su tutte, Bertarelli pensa a Postumia, la tedesca Adelsberg, senza dimenticare S. Canziano e Trebiciano. Comincia così la collaborazione con Eugenio Boegan, che porterà alla stesura a quattro mani del volume Le grotte di San Canziano138 e della guida Duemila Grotte. 40 anni di esplorazioni nella Venezia Giulia.139 Triestino, da quindicenne dà vita al Club Alpino dei Sette, costretto allo scioglimento dalla polizia austriaca, Boegan due anni più tardi aderisce alla Commissione Grotte della Società Alpina delle Giulie, divenendone presidente e massimo esperto in materia, chiamato in causa anche dalle «Vie d’Italia», ove appoggia la proposta di Bertarelli «di un parco nazionale italiano, per proteggere le bellezze naturali del Carso e fornire un campo di studi e di esperienze alle scienze geologiche, idriche, fisiche, zoologiche […]. E non sia vano l’augurio che il monte sacro, dove il sangue di tanti eroi ha riconfermata la sua millenaria italianità, sia, oltre che il pellegrinaggio pietoso di chi sente il culto delle grandi idealità patriottiche, anche il pellegrinaggio scientifico di chi, davanti all’arcano che circonda ancora tanta possente grandezza, sente accendersi desideri e nuove ansietà di ricerca e di indagine».140 136 S. Gradenigo, L’attività speleologica di L. V. Bertarelli, in «Le Vie d’Italia», anno XXXII, n. 3, marzo 1926, p. 268. 137 L. V. Bertarelli, Per un parco nazionale sotterraneo italiano, in ivi, anno III, n. 3, marzo 1919, p. 130. 138 L. V. Bertarelli, E. Boegan, Le grotte di San Canziano, Trieste, Editore Società Alpina delle Giulie, Sezione di Trieste del CAI, 1924. 139 L. V. Bertarelli, E. Boegan, Duemila Grotte. 40 anni di esplorazioni nella Venezia Giulia, Milano, TCI, 1926. 140 E. Boegan, Il “misterioso Timavo”. La grotta di Trebiciano, in «Le Vie d’Italia», anno III, n. 5, maggio 1919, p. 305. 52 Alle terre redente, vanno ad aggiungersi durante la guerra l’occupazione di Valona e dell’isola di Saseno, di fronte alla cittadina, strategiche per il controllo dello stretto di Otranto e per la trasformazione dell’Adriatico in un grande «lago italiano». «Le Vie d’Italia», che pure avevano sempre mantenuto uno sguardo internazionale rispondente al bisogno di confronto e di progresso nazionale, perfettamente dialettico con lo spirito patriottico del sodalizio, cominciano così ad occuparsi di terre extrapeninsulari come l’Albania, «il più naturale prolungamento dell’Italia verso l’Oriente»,141 pubblicando reportages e articoli di carattere tecnico, cari alla rivista, riguardanti lo stato delle strade e le risorse del territorio. Si aprono in tal modo «nuove vie d’Italia», alle quali nel corso del Ventennio, che sarebbe incominciato di lì a poco, verranno dati sempre maggior spazio e rilevanza: dagli studi antropologici di Puccioni nel Corno d’Africa a quelli archeologici di Ugolini in Albania, dai reportages di Fantoli a quelli di Desio nel Sahara libico. In un’Italia da ricostruire sotto il peso di forti rincari dei generi di prima necessità e indebolita da scioperi e scontri intestini, le ambizioni a divenire una nazione degna del suo illustre passato romano si accrescono di fronte alle negazioni imposte dalla Conferenza di pace parigina. Del malcontento interno e della crisi della politica italiana «Le Vie d’Italia» non rendono direttamente conto: ci si preoccupa di fornire risposte ai bisogni e ai problemi, non di elaborare delle analisi. Dunque, la riconversione civile dei mezzi e delle vie di trasporto sviluppatisi durante il conflitto, la ricostruzione delle strutture ricettive parallelamente allo sviluppo di una vera e propria cultura turistica, l’industrializzazione atta al miglioramento della produttività agricola, sono le risposte di un paese civilizzato che ha ancora il dovere morale di rivestire su altre popolazioni un ruolo di guida: in questo senso proteste e scioperi si dimostrano inefficaci ed inopportuni. Accanto ai numerosi articoli di Bastogi sull’aeronautica, a quelli di Tajani e di Gerelli in materia ferroviaria ed automobilistica, agli studi dell’ingegner Jona sulle nuove «vie sottomarine»,142 a quelli di Alpe, professore di meccanica, che pubblica Motori per l’agricoltura e La motoaratura,143 il giudizio sugli scioperi è ironico144 e si fa forza piut141 P. De Flaviis, L’Italia in Albania. Dalle mulattiere albanesi alle strade italiane, in ivi, anno III, n. 8, agosto 1919, p. 475. 142 E. Jona, Le vie sottomarine dell’Italia, in ivi, anno III, n. 4, aprile 1919, pp. 198-207 e Id., Le vie sottomarine mondiali e la guerra, in ivi, n. 5, maggio 1919, pp. 265-73. 143 A. Alpe, Motori per l’agricoltura, in ivi, anno III, n. 2, febbraio 1919, pp. 85-90 e Id., La motoaratura, in ivi, n. 3, marzo 1919, pp. 155-61. 144 Quel che ha dimostrato uno sciopero, in ivi, anno III, n. 12, dicembre 1919, p. 729; Uno sciopero… futuro, in ivi, p. 734. Nei due brevi articoli a fondo pagina si fa riferimento agli scioperi in Inghilterra: nel 53 tosto un sentimento pedagogico da esercitare in funzione espansionistica: «l’azione italiana, soccorritrice, incitatrice, fattiva, senza velleità di malinteso protezionismo […]. Ma l’Italia ha fatto di più, anche se attraverso qualche errore: ha dato scuole, ha dato viveri, ha dato sviluppo all’agricoltura, ha dato sani e democratici ordinamenti economici e sociali a un popolo che viveva nel più doloroso abbandono. Ha dato l’esempio delle civili convivenze, del rispetto a ogni culto, a ogni razza, a ogni costume! La travagliata storia del popolo albanese mai conobbe più serena pausa di vita e di progresso; mentre intorno l’incendio della guerra mondiale avvampava tragicamente!»145 Così scrive Pio De Flaviis, divenuto poi giornalista dell’«Ambrosiano», che negli anni della guerra da ufficiale del Genio contribuisce alla costruzione della rete viaria albanese. Sempre dall’esperienza maturata in Albania durante il conflitto nasce il reportage in due puntate del Generale Cordero di Montezemolo, che descrive le condizioni del paese e dei suoi abitanti, con le loro tradizioni e i loro costumi, lo stato dell’agricoltura, la storia e le singole regioni, cercando un significativo e vantaggioso avvicinamento tra le due sponde del canale d’Otranto: «le due lingue non sono dissimili, la cadenza della voce è uguale e non sarà difficile capirsi a vicenda, come non fu difficile capirsi fra piemontesi e calabresi e siciliani. Forse in Albania il brigantaggio della Calabria e della Sicilia potrà ancora avere qualche riscontro malgrado la rete di stazioni di carabinieri. […] Sappiano piuttosto gli italiani che, come la Sicilia borbonica s’affissava al Piemonte, così l’Albania, ormai non più turca ma senza governo, si va affissando all’Italia che anche per lei ha già versato il sangue dei suoi figli».146 Analogamente, un’altra figura di esploprimo caso trattasi di sciopero ferroviario il cui unico esito, ironizza il commentatore, è decretare il successo dell’automobile; il secondo caso immagina invece uno sciopero aereo nel 1969, «una dolorosa sorpresa per la nazione che ciò nonostante lo affronterà con lo stesso coraggio e serenità coi quali affrontò altre circostanze critiche». Gli scioperi oltre ad influire negativamente sui trasporti e sull’economia della nazione, toccano anche da vicino l’altra pubblicazione del Touring, la «Rivista Mensile», creando disagi a catena: «lo sciopero ferroviario ha impedito la stampa in tempo utile di un numero, perché la carta mancò alla tipografia; la stampa fu inesorabilmente ritardata poi dall’inibizione di ore supplementari di lavoro, poi intervenne lo sciopero postale, il quale per gli stampati fu disastroso perché cessato lo sciopero, l’Ufficio di Milano non accettò la Rivista per lunghissimo tempo, arrestando due puntate e non più una. E alla terza intervenne lo sciopero dei legatori». In Relazione del Consiglio per l’esercizio 1919, in «Rivista Mensile», anno XXVI, n. 4, aprile 1920, p. 185. 145 P. De Flaviis, L’Italia in Albania. Dalle mulattiere albanesi alle strade italiane, in «Le Vie d’Italia», anno III, n. 8, agosto 1919, p. 481. 146 V. Cordero di Montezemolo, Albania, in ivi, anno IV, n. 2, febbraio 1920, p. 104. Anche nella prima parte del reportage, apparsa sul mese di gennaio nelle pp. 21-7, i toni sono di dialogo paternalistico, di- 54 ratore, nonché alpinista, ed esperto eminente di territori coloniali, che matura le proprie conoscenze del territorio durante il primo conflitto mondiale, concede la pubblicazione sulle «Vie d’Italia» dei suoi studi sulla Somalia e sulle sue possibilità di rendimento agricolo. Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi, in qualità di ammiraglio delle Forze Navali Riunite, è inviato in Somalia, dove risiede fino alla morte sopraggiunta nel ‘33, divenendone gran conoscitore: «nessuno prima del Duca aveva con tanto metodo ed intelligente preparazione compiutamente studiata, nelle possibilità di rendimento pratico, quella nostra colonia»,147 i cui caratteri e scopi differiscono dalla prima penetrazione italiana in Albania e dalla occupazione libica, trattandosi di una «colonia di sfruttamento agricolo anziché di popolamento».148 A trattare invece della colonia libica è un giornalista, specializzatosi come cronista teatrale, e scrittore di novelle e romanzi di viaggio,149 che proprio durante la guerra di Libia aveva pubblicato uno studio su Bengasi:150 «Ulderico Tegani ha trascorsi molti anni in Colonia, e ha potuto conoscerla addentro, studiandola con l’occhio sempre vigile del giornalista».151 Per questo motivo a cominciare dal 1920 pubblica sulle «Vie d’Italia» una serie di articoli152 sulla Cirenaica e sull’area bengasina, meta della seconda escursione del sodalizio, organizzata nell’estate del 1920, in terra libica, dopo quella del 1914. Con il solito approccio pragmatico che caratterizza la rivista, Tegani pone l’attenzione sugli aspetti commerciali della regione, sui problemi di approvvigionamento idrico, ovviati dalla costruzione italiana di un acquedotto, e sull’edilizia locale, il cui gusto deve essere preservato dalle ingerenze dello stile italiano, versamente da quelli decisi e trionfalistici espressi da Astori nell’articolo Valona apparso sulla «Rivista Mensile», nel luglio-agosto 1918, in cui scrive come la città portuale dopo l’occupazione «si è ripulita, ha perduto la sua ignavia e s’è messa decisamente sulla via della terza civiltà. Civiltà italica, dopo quella di Roma e quella di Venezia». 147 L. A. di Savoia, La Somalia, in «Le Vie d’Italia», anno IV, n. 11, novembre 1920, p. 641. 148 Ivi, p. 650. 149 Si ricordino tra le sue pubblicazioni di letteratura di viaggio: U. Tegani, Nord: viaggio nelle contrade polari, Milano, Matarelli, 1927; Mediterraneo: viaggio sulle rive di tre continenti, Milano, 1930; Viaggi nel mondo sommerso. Avventure di palombari, Milano, 1931 e i reportages apparsi come redattore inviato delle «Le Vie d’Italia e del’America latina», attraversando ogni stato del continente sudamericano nel 1928 (cfr. U. Tegani, Ritorno dall’America, in «Le Vie d’Italia e dell’America Latina», anno VI, n. 7, luglio 1928, pp. 749-54). 150 U. Tegani, Bengasi: studio coloniale, Milano, 1913. 151 La gita del Touring in Cirenaica, in «Le Vie d’Italia», anno IV, n. 3, marzo 1920, p. 143. 152 U. Tegani, Prodotti e commerci della Cirenaica, in ivi, anno IV, n. 3, marzo 1920, pp. 137-43; Id., L’acqua a Bengasi, in ivi, n. 4, aprile 1920, pp. 225-30; Id., Edilizia bengasina, in ivi, n. 10, ottobre 1920, pp. 596-600; Id., Un esperimento di colonizzazione in Cirenaica, in ivi, anno XXX, n. 7, luglio 1924, pp. 721-4; Id., Il villaggio bengasino del Guarscià, in ivi, anno XXXI, n. 7, luglio 1925, pp. 799-802; Id., Oltre Giuba, in ivi, anno XXXIV, n. 1, gennaio 1928, pp. 24-32; Id., I circuiti del Nord Africa Francese, in ivi, anno XXXIV, n. 2, febbraio 1928, pp. 136-46; Id., Un viaggio di 60.000 chilometri, in ivi, n. 7, luglio 1928, p. 515. 55 portatrici di incongruenze più che di trionfalismi: «come si fa a trasportar laggiù le tozze linee dei nostri grigi enormi monotoni fabbricati? Pure lo si è osato. In piena piazza del Re s’è costruito un casone per alloggi che potrebbe figurare discretamente a Milano, a Torino, a Genova, ma che a Bengasi costituisce un abominio. Via signori architetti, un po’ di gusto, un po’ di grazia, un po’ di poesia!...».153 Da rilevare, accanto alle cartine dettagliate di queste «altre vie d’Italia», sono le numerose fotografie di vita quotidiana ed agricola che corredano i reportages, alcune delle quali, come nel caso del Duca degli Abruzzi, sono scattate dagli stessi autori. Luigi Amedeo di Savoia «fotoreporter» in Somalia, in «Le Vie d’Italia», anno IV, n. 11, novembre 1920, p. 646. I reportages si completano così dell’aspetto visivo fotografico ed assumono una veste moderna sulla via del fotogiornalismo, supplendo sempre più spesso ai disegni d’autore, che continuano però ad esser presenti sulla rivista come fregi e frontespizi. Essi, nel caso specifico della sezione del Notiziario che dall’agosto 1919 prende il titolo di Notizie ed echi, pur mantenendo al suo interno le medesime rubriche sull’aviazione, la navigazione, l’automobilismo, le ferrovie, l’igiene, gli alberghi ed il turismo, sono affidati al pittore e decoratore Dardo Battaglini ed occupano uno spazio minore nella pagina, probabilmente in seguito all’aumento dei costi tipografici nel dopoguerra. Negli articoli di carattere umoristico seguitano a registrarsi le vignette che interagiscono con il testo, come nel caso di alcuni degli scritti del professor Ernesto Bertarelli sui fastidi dei 153 U. Tegani, Edilizia bengasina, art. cit., p. 600. 56 viaggiatori causati dal basso livello delle condizioni igieniche e dagli insetti.154 Senza dimenticare la tradizione divulgativa del Mantegazza,155 i testi e i disegni sono carichi di ironia, volta a colpire i vizi e le manchevolezze dell’ospitalità italiana, in particolare dei bagni negli alberghi: «l’Italia è il paese della giocondità, del cielo azzurro, dei prati più verdi di tutti i prati altrove verdeggianti: ma non è il paese dei W.C.».156 Accompagnati da disegni satirici e caricaturali sono pure due articoli del redattore Gerelli, riguardanti un’altra piaga del turismo, questa volta non riscontrabile soltanto nella penisola, come dimostra la citazione in apertura del Victor Hugo viaggiatore: «il piacere di veder tutte queste belle cose: musei, chiese, municipi è attenuato, bisogna confessarlo, dal grandissimo fastidio delle mancie [sic]. Sulle rive del Reno, come in tutte le contrade visitate dai turisti, la mancia è una zanzara assai importuna, che punge ad ogni istante, per ogni nonnulla, non già la vostra pelle, ma la vostra borsa».157 Ferdinando D’Amora, che nella seconda metà degli anni Venti diventerà direttore della «Domenica del Corriere», tra il 1918 e il 1921 sulle «Vie d’Italia», pubblica altri articoli dal tono ironico, dando suggerimenti pratici per il miglioramento del servizio alberghiero, che completano quelli di carattere giuridico-economico del professor Mariotti:158 non basta attrezzare adeguatamente le camere dal punto di vista igienico, gli albergatori e i ristoratori se vogliono migliorare le proprie rendite devono lasciar da parte ogni ingordigia e usare fantasia e crea154 E. Bertarelli, Un nemico che ignora gli armistizi, in «Le Vie d’Italia», anno III, n. 7, luglio 1919, pp. 417-21; Id., Le piccole grandi infelicità della sigla misteriosa (W.C.), in ivi, n. 12, dicembre 1919, pp. 723-7; Id., Dalle riflessioni melanconiche alle realtà difensive dei W.C., in ivi, anno IV, n. 1, gennaio 1920, pp. 17-9; Id., La melanconia delle mosche, in ivi, n. 6, giugno 1920, pp. 367-70; Id., Signore! Liberaci dalle zanzare…, in ivi, n. 7, luglio 1920, pp. 424-6. A ritornare sul tema degli insetti nocivi al viaggiatore, l’anno seguente è lo zoologo Alessandro Ghigi con Divagazioni scientifiche intorno ad un incomodo visitatore dell’uomo: le pulci, in ivi, anno XXVII, n. 11, novembre 1921, pp. 1191-4. 155 Cfr. M. Boni, L’erotico senatore. Vita e studi di Paolo Mantegazza, Genova, Name, 2002. 156 E. Bertarelli, Le piccole grandi infelicità della sigla misteriosa (W.C.), art. cit., p. 724. 157 A. Gerelli, La piaga del turismo. La mancia, in «Le Vie d’Italia», anno III, n. 1, gennaio 1919, p. 38. 158 A. Mariotti, Questioni giuridiche in materia di alberghi, in ivi, anno IV, n. 11, novembre 1920, pp. 668-71 e Id., La politica alberghiera italiana sul Garda e nell’Alto Adige, in ivi, anno XXVII, n. 6, giugno 1921, pp. 661-4. Docente di economia politica prima a Napoli, poi a Roma, dà vita in Italia agli studi di economia del turismo, punto di partenza per lo sviluppo di una letteratura di settore, come testimoniano le tesi dell’epoca di D. Frigerio sull’Organizzazione e nuovi mezzi di potenziamento del turismo in Italia, cit., e di E. Grandi su Le tourisme en Italie, cit. Per questi suoi interessi pionieristici è chiamato ad elaborare lo schema di un provvedimento sullo sviluppo del movimento dei forestieri e l’incremento dell’industria alberghiera, cioè il decreto legge 12 ottobre 1919 n. 2099, che istituisce l’Ente Nazionale per le Industrie Turistiche, per il quale il Touring e Bertarelli si erano tanto prodigati. Dell’ENIT, Mariotti diviene prima membro del Collegio dei Revisori dei Conti e del Consorzio degli Uffici di Viaggio e Turismo, nato sotto l’egida dell’ente stesso, poi nel 1927 Direttore Generale, sotto la presidenza dell’on. Rava, altro collaboratore de «Le Vie d’Italia», e infine Presidente dal ‘31 al ‘34, quando Mussolini dispone la soppressione della Direzione Generale dell’ENIT, facendola assorbire dalla Direzione Generale del Turismo del Minculpop. Cfr. A. Mariotti, Raccolta di studi sul turismo, Roma, Arti Grafiche Scalia Editrice, 1974. 57 tività, doti ben diffuse tra l’ingegnoso popolo italiano. Tale l’incipit di L’arte di capitalizzare l’immaginazione. Fantasia… per alberghi, consono con sapiente ironia alla sede che lo ospita: «Per non correre il rischio di essere lapidato, dovrei cominciare questo articolo con le dimostrazioni pratiche. Perché se io proclamo senz’altro: “Non sempre i nostri albergatori raggiungono alte cime, perché spesso mancano di fantasia” trovo subito un largo coro pronto a gridare: “E come c’entra la fantasia con la professione dell’albergatore?”».159 Si tratta di buon senso coniugato alla ricerca del nuovo, ad attenzioni, servizi e indagini psicologiche mirate da rivolgere alla clientela, come dimostra la storia di Catullo, pubblicata dallo stesso D’Amora, quasi fosse un racconto: «Catullo Midolli, albergatore fortunato, uomo onesto ma all’antica, è un mio carissimo amico d’infanzia. Quando noialtri suoi condiscepoli pensavamo a scombiccherare novelle invece di commuoverci alle delizie del greco e del latino, Catullo, pur trascurando le lingue morte con un entusiasmo pari al nostro, già parlava di alberghi, tracciava piani di cucine gigantesche, di sale da pranzo per banchetti, e via discorrendo».160 Divenuto poi albergatore di successo, animato da grande spirito pratico, durante un viaggio in America fa proprie certe idee come quella di istituire in tutte le grandi città italiane, sull’esempio di Chicago e di altri centri statunitensi, un ufficio di informazioni per gli alberghi, dove il viaggiatore in cerca di una sistemazione può rivolgersi e avere notizie aggiornate circa la disponibilità. Compiti che via via saranno assolti dalle neonate agenzie dell’Ente Nazionale per le Industrie Turistiche (ENIT). Organismo parastatale sorto nel 1919, l’ENIT è fortemente voluto da Luigi Vittorio Bertarelli «a carattere associativo e democratico, espressione di tutte le forze vive del turismo italiano, agile e libero da pastoie burocratiche»,161 dotato di un ampio raggio d’azione anche all’estero con un’opera di pubblicità collettiva dell’Italia come paese turistico, come esortano gli articoli di D’Amora e Gerelli,162 quest’ultimo membro assieme a Bonardi e allo stesso Bertarelli, vicedirettore, del Consiglio di Amministrazione dell’Ente,163 sotto la direzione del comm. Michele Oro, ex capo dell’Ufficio Pubblicità 159 F. D’Amora, L’arte di capitalizzare l’immaginazione. Fantasia… per alberghi, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 1, febbraio 1918, p. 82. 160 F. D’Amora, La fantasia… all’albergo. Catullo è stato in America, in ivi, anno XXVII, n. 3, marzo 1921, p. 268. 161 G. Vota, I Sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., p. 173. 162 A. Gerelli, La pubblicità collettiva, in «Le Vie d’Italia», anno II, n. 6, giugno 1918, pp. 321-8; F. D’Amora, La propaganda collettiva. Come si “lancia” una città, in ivi, n. 7, luglio 1918, pp. 393-8. 163 Come scrive Pivato a proposito della composizione del Consiglio di Amministrazione, costituito da tre 58 delle Ferrovie dello Stato. Con l’istituzione dell’ENIT per la prima volta lo Stato riconosce l’importanza del turismo nella vita di una nazione, per la cui promozione in piena guerra erano sorte «Le Vie d’Italia». Le finalità della rivista e gli scopi perseguiti dagli uomini del Touring trovano quindi attuazione in questo organismo parastatale operante a livello nazionale e a stretto contatto con la burocrazia governativa, che prevale sulla proposta di una gestione del problema turistico da parte delle Ferrovie dello Stato, avanzata dal direttore della «Nuova Antologia», Maggiorino Ferraris. Questi sono dunque i presupposti che inducono da un lato a considerare l’ENIT «un forte fratello del Touring»164 e dall’altro a far sì che dall’aprile 1920 «Le Vie d’Italia» diventino l’organo ufficiale dell’Ente, pubblicando nei mesi seguenti i suoi Atti Ufficiali: «con questo numero le Vie d’Italia entrano in una nuova fase della loro esistenza […]. Le Vie d’Italia aggiungeranno alla forza di propaganda che hanno saputo conquistarsi con oggettività e serietà, quella che deriverà loro dal fatto di essere l’organo diretto a mezzo del quale l’ENIT comunicherà col pubblico». Questo significa concretamente per la rivista «una diffusione ancora più grande: verrà inviata a tutte le rappresentanze italiane, diplomatiche e consolari sparse nel mondo, a deputati e senatori, a sindaci di centri turistici, ad uffici governativi centrali e locali, a enti di trasporti e di industrie turistiche, ad agenzie di viaggio ferroviarie e simili». Tuttavia, l’ampliamento di pubblico per Bertarelli non rappresenta il vero successo della rivista, che è invece insito nei fatti e nella forza attuativa della sua opera di propaganda rafforzata dal legame con il nuovo ente: «la nostra soddisfazione non può consistere semplicemente nel successo che chiameremo editoriale, se l’aggettivo non fosse disadatto per un periodico di propaganda dal quale non viene ritratto né deve essere ritratto un solo centesimo di utile».165 La rivista non cambia dunque i suoi temi sulla propaganda del turismo all’estero e in Italia, sul miglioramento dei trasporti e del servizio alberghiero, sulla tutela e sullo sviluppo delle realtà regionali e delle piccole industrie locali, che si trovano ad essere in completa sintonia con gli argomenti di studio dell’ENIT. Il cambiamento che si verifica riguarda essenzialmente la veste grafica, che di- membri del TCI su un totale di undici esperti, di cui la metà di nomina governativa, «si tratta, in definitiva, del riconoscimento che lo stato attua nei confronti di una associazione che per prima ha promosso, in Italia, il turismo», in S. Pivato, Il Touring Club Italiano, cit., p. 127. 164 G. Vota, I Sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., p. 234. 165 L. V. Bertarelli, E.N.I.T. (Ente Nazionale per le Industrie Turistiche), in «Le Vie d’Italia», anno IV, n. 4, aprile 1920, pp. 193-4. 59 viene più ufficiale: sostituito il motivo dei fregi d’apertura metaforici e ben auguranti di De Carolis, per i primi tre mesi del 1920 ad introdurre la lettura della rivista vi è la personificazione dell’Italia, di ispirazione botticelliana, uscita vittoriosa dal conflitto ed in cammino verso il progresso, fatto di industrie ed operosità, senza dimenticare il glorioso passato latino. Quando il periodico diventa organo dell’ENIT il fregio lascia da parte simbolismi ed astrazioni, divenendo un motivo ornamentale di rami intrecciati di alloro con al centro lo stemma sabaudo, a richiamare il tricolore del Regno, e racchiude in sé il titolo della rivista ed i sottotitoli, accresciuti ed arricchiti di nuovi elementi: «Le vie d’Italia. Organo ufficiale dell’Ente Nazionale Industrie Turistiche. Turismo nazionale – Movimento forestieri – Propaganda – Alberghi – Prodotto italiano – Sviluppo industrie turistiche». «Le Vie d’Italia» diventano l’organo ufficiale dell’ENIT e dall’aprile 1920 cambiano il frontespizio d’apertura. 60 1.4 «PASSARE IL RUBICONE» Un cambiamento più sostanziale nell’economia editoriale della rivista avviene invece nel gennaio 1921 quando si assiste alla fusione dei due grandi periodici del Touring. In questo caso per «Le Vie d’Italia» non si tratta più di dare voce a un ente che persegue i medesimi scopi e tratta le stesse tematiche del periodico, ma di far convergere il proprio indirizzo redazionale con quello della storica «Rivista Mensile». Per una discreta parte dei Soci, poi, «due Riviste, di carattere affine, per quanto diverse di contenuto, erano di troppo. A coloro che facevano questo rilievo, si rispondeva che Le vie d’Italia erano rivolte principalmente ad esaminare i problemi pratici del Turismo, mentre la Rivista Mensile dava la preferenza alle illustrazioni delle bellezze d’arte e di natura di cui ha dovizia il nostro Paese, ma la risposta non riusciva soddisfacente o persuasiva».166 Le scelte redazionali non esauriscono però la radice del problema, che è invece di carattere economico e concerne nella fattispecie la «Rivista Mensile», divenuta ormai un pesante fardello all’interno del bilancio del Sodalizio. Distribuita gratuitamente a tutti Soci, il cui numero nel 1920 si mantiene, pur con un consistente calo rispetto agli anni del conflitto, oltre i 162.000, la «sorella maggiore» delle «Vie d’Italia» grava completamente sulla quota sociale e, nonostante la pubblicazione bimestrale, il dimezzamento a 16 pagine167 e l’aumento da 6 a 10,10 lire del costo associativo, il bilancio non chiude mai in pareggio. Gli anni di crisi profonda del biennio rosso, che incidono duramente in ogni aspetto della produttività, mettono di fronte a una realtà diversa dal dopoguerra immaginato: «la carta discesa da circa 5 lire il chilo (massimo toccato negli anni di guerra pel tipo da noi usato) a circa 2,50, risalì in questi mesi a prezzi ancor più alti che durante la guerra. Una previsione pel primo semestre del 1921 assegna a questa merce un prezzo enorme, non inferiore alle 6 lire».168 Così Bertarelli informa i soci delle difficoltà economiche del sodalizio, ritornando ancora sul tema dell’inutilità degli introiti pubblicitari di fronte alla tiratura elevata di 180.000 copie della «Rivista Mensile». «Le Vie d’Italia», la cui tiratura è di circa un sesto di quella della «sorella maggiore», aumentando il costo dell’abbonamento annuale a 7,25 lire e le pagine pubblicitarie in apertura e in chiusura di 166 A. Gerelli, I cinquant’anni del Touring, cit., pp. 123-4. «Sedici pagine sono una prigione. Non vi è abilità direttoriale che possa vincere un ostacolo sì grave: la mancanza di spazio», così si rammarica Bertarelli in Per forza maggiore bisogna passare il Rubicone, in «Rivista Mensile», anno XXVI, n. 10, ottobre 1920, p. 450. 168 Ivi, p. 449. 167 61 numero, riescono invece a pareggiare ogni anno le spese di pubblicazione. Divenute una decina le pagine che ospitano la pubblicità, i beni reclamizzati coprono settori di mercato sempre più ampi, indirizzati ad un pubblico medio borghese non più soltanto maschile. Alle già citate ditte di trasporti e di automobili, a quelle di pneumatici Pirelli e Michelin, ove compare già il celebre «omino», alle gomme Spiga per autocarri, interpretati dal famoso rinoceronte di Mauzan,169 si affiancano i manifesti di aperitivi e liquori come il Cinzano, il Cordial Campari170 e l’amaro Felsina Ramazzotti, le pubblicità delle caramelle De Giusti e di saponi e profumi, rivolti ad un pubblico borghese più ampio, salottiero e familiare. Con l’unione delle due riviste, aumentano le pagine complessive: sommando le 64 pagine delle «Vie d’Italia» alle 16 della «Rivista Mensile» e quasi triplicando quelle dedicate alla pubblicità, che via via perde le caratteristiche di una rigida settorializzazione denotante l’indirizzo stesso del periodico dell’ENIT, si supera il centinaio di pagine. Il costo della pubblicazione è di 1,80 lire per il singolo numero e l’abbonamento annuo varia dalle 12,10 lire per i soci del Touring alle 18,10 per i non soci, tralasciando i supplementi per la distribuzione all’estero. Bertarelli, sulla «Rivista Mensile» nell’articolo di apertura del mese di ottobre del 1920 in cui comunica ai soci le nuove direttive editoriali circa il destino delle due riviste, contestualizza la situazione problematica, raffrontando prezzi e tipo di prodotto editoriale offerto, dando uno spaccato della stampa del tempo: «i giornali politici, pur con carta a prezzo politico di favore sono saliti da 5 a 20 centesimi e, d’ordinario, per 4 pagine, ben di rado per 6. Periodici del tipo della Domenica del Corriere o della Tribuna Illustrata invece di 10 costano 20 centesimi, e hanno ridotto la mole da 16 a 8 pagine, che significa dare a 40 centesimi ciò che costava 10. Riviste come La Lettura, ottime, che non subirono crisi redazionali che potessero menomare il loro apprezzamento da parte dei lettori, sono salite da 50 centesimi a 1,50, nell’abbonamento da 5 a 15 lire. L’Illustrazione Italiana non 169 Cartellonista francese, è ricordato per un suo manifesto del 1917 in cui esorta al dovere gli italiani per il prestito di guerra. Per la ditta Spiga disegna un rinoceronte in equilibrio su un mappamondo inserito in un pneumatico a simboleggiare la resistenza del prodotto che appare sulle copertine de Le Vie d’Italia nei mesi di aprile e di agosto del 1919 e nel mese di aprile del 1920. 170 Il manifesto del Cordial Campari dal 1921 ha un nuovo testimonial: dal cane sambernardo di Hohenstein si passa all’orso polare di Laskoff che resiste alle basse temperature grazie alla bevanda alcolica. Si tratta di una delle pubblicità più famose disegnate dal cartellonista polacco, anch’egli gravitante attorno alle Offcine Grafiche Ricordi, che trova spazio tra le pagine pubblicitarie delle «Vie d’Italia»nel maggio 1921. 62 solo ha enormemente accresciuto il prezzo di abbonamento, ma non accetta che abbonamenti semestrali per potere due volte l’anno modificarne il prezzo».171 Assieme alle difficoltà economiche c’è anche da valutare l’orizzonte ricettivo italiano, poco lettore e poco incline alle spese di abbonamento alle riviste, come osserva Bertarelli durante la seduta del 24 settembre 1920 del Consiglio Direttivo del Touring, prevedendo anche la peggiore delle ipotesi di tiratura, attorno alle 20.000 copie. In Italia, infatti, le Riviste, anche le migliori, non hanno «il successo che si verifica negli altri paesi, ove le buone Riviste hanno diffusione enorme, come accade ad esempio in Inghilterra ed in America. Da noi, purtroppo, i lettori delle riviste a pagamento sono in numero quasi sempre limitato».172 Le vendite degli abbonamenti per la nuova rivista superano ogni più rosea aspettativa: la pubblicazione per essere finanziariamente vantaggiosa dovrebbe raggiungere le 30/40.000 copie, gli abbonati alle «Vie d’Italia. Rivista mensile del Touring Club Italiano», e quindi presumibilmente i «reali lettori» che consapevolmente sottoscrivono l’abbonamento, nel 1921 sono invece 75.000.173 Tre anni dopo arrivano a 165.000 i sottoscrittori che come lettura non si accontentano del bollettino trimestrale di una decina di pagine di informazione sul sodalizio, inviato gratuitamente ai soci, e la rivista diventa la più letta in Italia. Il successo sta nella capacità di arricchire con stimoli provenienti dalla «Rivista Mensile», consolidatasi nella tradizione descrittiva del paesaggio italiano, i cardini divulgativi del periodico dell’ENIT, «ugualmente scevr‹o› di preziosità letterarie che di ostico tecnicismo, fornendo una lettura utile, seria, nutriente, ma non pesante o fastidiosa, a tutte le persone di media cultura».174 Da periodico di settore, «divenuto da lungo un centro vivissimo di intellettualità turistica»,175 «Le Vie d’Italia» si rinnovano in una lettura «istruttiva, viva, simpatica, seria senz’essere pesan- 171 L. V. Bertarelli, Per forza maggiore bisogna passare il Rubicone, in «Rivista Mensile», anno XXVI, n. 10, ottobre 1920, p. 449. 172 Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta del 24 settembre 1920, Milano, Archivio Storico del Touring Club Italiano. 173 Cfr. Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta dell’11 novembre 1921, Milano, Archivio Storico del Touring Club Italiano: «attualmente abbiamo 75.000 abbonati all’incirca, che hanno naturalmente ridotto il margine di utile che era stato preventivato in conseguenza della pubblicità e sulla base di una tiratura minore; tuttavia il risultato finanziario è abbastanza soddisfacente, giacché si prevede, grazie anche al contributo dell’ENIT, un avanzo di circa 150.000 lire». 174 Relazione del Consiglio per l’esercizio 1919, in «Rivista Mensile», anno XXVI, n. 4, aprile 1920, p. 192. 175 L. V. Bertarelli, Per forza maggiore bisogna passare il Rubicone, art. cit., p. 450. 63 te»176 per tutta la famiglia. Bertarelli, individuato il nuovo target ricettivo, delinea il programma redazionale della rivista unificata, snodando la prosa nell’elencazione ritmata e ricorrendo da buon artiere alla forza della metafora della forgiatura del bronzo: «Ebbene, alle direttive delle Vie d’Italia si aggiungano quelle della Rivista: alla vita vissuta dei progressi turistici, alle forme pratiche del viaggio e dei suoi strumenti, alle notizie sugli organi pel suo sviluppo, a quelle dei fattori morali ed economici su cui s’impernia il turismo, si aggiunga la visione del suo fondamento primo in Italia, i paesi meravigliosi, le linee del monte, della costa, del piano, le bellezze d’arte, i colori del pennello, le forme plasmate dallo scalpello, gli edifici, le storie antichissime superstiti nelle tradizioni, nei costumi, nei ruderi. E con questa larghezza di concezione, già saldamente improntata nelle due diverse fisionomie della Rivista e delle Vie d’Italia si faccia un periodico unico, come medaglia che congiunge la bellezza del diritto con quella del rovescio, si fondano le due caratteristiche, varie ma affini, così come l’argentina delicatezza dello stagno, unendosi nel crogiuolo al fiammeggiante rutilare del rame, genera il bronzo possente».177 Per «passare il Rubicone» e «fucinare» la nuova rivista Bertarelli prende al suo fianco una figura giovane, un ventiseienne milanese, compagno di liceo di Gadda e con lui e i figli di Carlo Salvioni volontario alla prima guerra mondiale. Non appena terminati gli studi universitari in lettere classiche all’Accademia scientifico-letteraria di Milano, Luigi Rusca, già da sei anni socio annuale del Touring, è presentato da Bertarelli al Consiglio Direttivo del Sodalizio il 24 settembre 1920: è lui il nuovo segretario e, assieme a Gerelli, capo-redattore della «Rivista Mensile», che di lì a qualche mese si sarebbe fusa alle «Vie d’Italia», con redattori sempre Gerelli e lo stesso Rusca. Direttore di redazione dal 1919 è il Professor Giovanni Bognetti,178 «il braccio destro di Bertarelli»,179 nonché suo vice all’interno del Sodalizio, non un «Direttore pro forma, ma un dirigente assiduo, volitivo: vedeva tutto, corrispondeva con molti collaboratori, giudicava, integrava o modificava con infinito garbo gli articoli, in modo che gli stessi Autori lo ringraziavano. 176 Ivi, p. 451. Ivi, pp. 450-1. 178 Anche se formalmente il suo nome non figura in calce ai fascicoli fino al 1922. 179 A. Bossi, L’opera e la figura di Giovanni Bognetti, in «Realtà», 1° febbraio 1935, p. 117. 177 64 L’editoriale programmatico di Luigi Vittorio Bertarelli, La traccia di un grande lavoro, inaugura «Le vie d’Italia. Rivista mensile del Touring Club Italiano», anno XXVII, n. 1, gennaio 1921, p. 1. Il rinoceronte di Mauzan… e dagli autocarri alle caramelle: le pubblicità allargano il proprio target seguendo l’ampliamento della rivista rinnovata. 65 Si occupava perfino della revisione del foglio di macchina. Minuzie? Sì, ma esse denotano lo scrupolo con il quale assolveva l’incarico avuto».180 Proprio lui, ex Presidente del Circolo Filologico Milanese, membro del Consiglio della Società Storica Lombarda e del Consiglio Direttivo del comitato milanese della Dante Alighieri, a nemmeno un anno dall’unione dei due periodici, tirando un primo bilancio nella seduta del Consiglio del TCI, afferma che «il successo della Rivista è in gran parte dovuto all’opera assidua e fervida del Dottor Gerelli e del Dottor Rusca», e Bertarelli «si associa pienamente all’elogio avendo occasione di constatare quotidianamente il modo col quale viene svolto il lavoro di redazione della Rivista».181 Gli elogi a Rusca, figura di innovazione in questo frangente di transizione nel versante editoriale del Touring, non li risparmiano, post mortem, né Montanelli su «Il Giornale», né Carlo Bo sul «Corriere». A lui, «ultimo esemplare di una genia lombarda che allo slancio imprenditoriale univa gl’interessi culturali, il che non è raro; ma sapeva fonderveli, il che è rarissimo»,182 il giornalista e il critico attribuiscono la trasformazione e il successo della rivista, con non poca enfasi, che forse oscura le intuizioni editoriali bertarelliane. Vero è che Rusca «s’accorse di avere un talento editoriale quando, come segretario generale del Touring Club, gli affidarono Le vie d’Italia, che era soltanto il modesto notiziario dell’associazione. 183 Rusca lo trasformò in una rivi- sta di alta qualità e tiratura. E questa fu la sua disgrazia perché il Minculpop fu costretto ad occuparsi di lui, e a prendere atto che, oltre a non aver la tessera fascista, egli faceva parte, e parte attivissima, del meno appariscente, ma del più colto e responsabile antifascismo milanese»,184 che si riunisce a Milano dal 1924 al ‘25 attorno al quindicinale «Il Caffé»,185 punto di 180 Così Attilio Gerelli definisce Bognetti nelle sue bozze di stampa de I cinquant’anni del Touring, cit., riprendendo l’articolo di commemorazione su Giovanni Bognetti apparso su «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 3, marzo 1935, p. 169, a nome del Consiglio del Touring Club Italiano. 181 Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta dell’11 novembre 1921, Milano, Archivio Storico del Touring Club Italiano. 182 I. Montanelli, È morto a novantatré anni Luigi Rusca il primo vero «operatore culturale», in «Il Giornale», 9 agosto 1986, p. 3. 183 Carlo Bo la definisce «rivistina» in Rusca, l’uomo che inventò la «Bur». Scompare un protagonista del mondo dei libri, in «Corriere della Sera», 10 agosto 1986, p. 3. 184 I. Montanelli, È morto a novantatré anni Luigi Rusca il primo vero «operatore culturale», art. cit. 185 Cfr. A. B., Ricordo di Luigi Rusca, in «Archivi di Lecco», Lecco, Tipografia Editrice Beretta, anno IX, n. 4, ottobre-dicembre 1986, pp. 668-71; e per un quadro de «Il Caffé» cfr. I periodici di Milano. Bibliografia e storia, Milano, Feltrinelli, 1961, pp. 341-2: «Il Caffé è in ordine cronologico (seguito poi da Quarto Stato) la prima espressione, non direttamente legata a un partito politico, del movimento giovanile 66 riferimento anche di altri nuovi collaboratori delle «Vie d’Italia», legati allo stesso Rusca: Mario Borsa, Giovanni Mira e Filippo Sacchi. E proprio nel 1921, Borsa e Mira pubblicano i loro primi articoli sul mensile. Il primo, all’epoca caporedattore de «Il Secolo» dopo una brillante carriera di inviato all’estero, ricorda sulla rivista la sua infanzia nelle terre della Bassa Padana, dando un assaggio ai lettori di una sua opera che nel corso degli anni conoscerà grande successo e varie edizioni: La cascina sul Po. Storia semplice.186 Nato nella cascina Regina Fittarezza a Somaglia, nel lodigiano lungo il Po, Borsa sulle «Vie d’Italia» racconta il suo affascinamento per il paesaggio fluviale della pianura, denso di «certe superstizioni, certe figurazioni, certe leggende e perfino certe cantilene ‹che› parevano nate dalle stesse onde».187 Il paesaggio padano, un’acquaforte velata di un grigio umidore malsano,188 è anche dai tempi di Sallustio teatro di caccia della nobiltà, che con ville e castellotti, da Bereguardo a Cusago, ha messo «qua e là una nota poetica nella prosa beata della nostra grassa pianura».189 Su questa antica tradizione, divenuta ormai sport, Borsa lascia nelle pagine del mensile un altro assaggio di un suo libro: La caccia nel milanese dalle origini ai giorni nostri.190 Mira, invece, professore di storia al liceo Parini di Milano e dal ‘21 al ‘25 il più giovane consigliere del Touring,191 è l’organizzatore della grande Escursione Nazionale in Sardegna nel maggio 1921, documentata accoratamente sulle pagine delle «Vie d’Italia».192 Come Mira, Rusca si di- antifascista milanese, […] portando avanti da una parte il superamento del democratismo positivistico, mentre d’altra parte sul piano dell’avanguardia, avviavano, per quanto ancora inconsciamente, la crisi dell’idealismo crociano». 186 M. Borsa, La cascina sul Po. Storia semplice, Milano, Risorgimento, 1920. La terza edizione, pubblicata da Vallardi nel 1927 è introdotta dalla prefazione dell’amico Bertacchi, sorta di cantore del Touring e suo collaboratore durante il periodo a «Il Secolo», fino a quando Missiroli, nuovo direttore posto dal fascismo, non indurrà lo stesso Borsa ad andarsene. Cfr. anche gli articoli di intransigente e schietto engagement contro il fascismo siglati da Mario Borsa su «Il Caffé»: L’isterismo rosso, in ivi, anno I, n. 10, 15 novembre 1924, p. 2 e Id., L’estero non c’entra, in ivi, anno I, n. 2, 15 luglio 1924, p. 3. 187 M. Borsa, Paesaggi e ricordi padani, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 10, ottobre 1921, p. 1042. 188 Cfr. ivi, p. 1043. 189 M. Borsa, Memorie di un redivivo, Milano-Roma, Rizzoli, 1945, p. 25. 190 M. Borsa, La caccia nel milanese dalle origini ai giorni nostri, Milano, Hoepli, 192(?) e sul periodico del Touring vd. M. Borsa, Antiche cacce nel milanese, in «Le Vie d’Italia», anno XXIX, n. 12, dicembre 1923, pp. 1233-40. 191 Cfr. Curriculum vitae di Giovanni Mira, Archivio Storico del Touring Club Italiano, e Ricordo di Giovanni Mira, in «Terme e Riviere», settembre 1966, p. 8: «Il suo “arrivo” al Touring viene così ricordato: “Nel marzo 1921, in vista delle attività sempre crescenti e delle esigenze dei tempi nuovi, con voto unanime il Consiglio nominò un suo nuovo membro nella persona del dr. prof. Giovanni Mira, nato a Milano nel 1891, docente nel Liceo-Ginnasio Parini, combattente della guerra di Libia e della grande guerra. A lui, che fu per più anni il più giovane Consigliere del Touring, profondo conoscitore del Paese, studioso della nostra storia e fervido organizzatore, furono subito affidati compiti importanti nel campo della propaganda e in quello delle pubblicazioni del Touring”». 192 G. Mira, L’Escursione Nazionale del Touring in Sardegna, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 7, 67 mostra un grande organizzatore193 in grado di ampliare e variare notevolmente gli interessi della nuova rivista, pur essendo un capo-redattore umbratile per ciò che concerne la pubblicazione di suoi articoli,194 a differenza di Gerelli. Assieme a Rusca, Bognetti nella sua direzione «profuse i tesori della sua cultura, il suo senso d’arte, la sua bella parola chiara e persuasiva, e rivelò anche il suo intuito pratico sicuro, portandole [ndr: Le vie d’Italia] ad un alto grado di diffusione e facendone una forza potente di propaganda per l’Associazione».195 Con la fusione delle due grandi riviste del Touring, destinate non a un pubblico settorializzato come «La Sorgente» o «Le Strade»,196 e grazie all’apporto dei due letterati e dei nuovi collaboratori, il mensile rinnovato del sodalizio si apre a nuove tipologie d’articoli, accogliendo tra le sue firme critici letterari, d’arte, professori, oltre a archeologi, geografi, antropologi, giornalisti. A prevalere sull’opera di propaganda fattiva che tanto ha animato lo spirito della ricostruzione già nel periodo bellico, ora vi è quella divulgativo-conoscitiva delle mirabilia e curiosità italiane, così come presentato nel lungo editoriale di Bertarelli che inaugura «Le vie d’Italia. Rivista Mensile del TCI». Con La traccia di un grande lavoro dà inizio «alla nuova, più grande Rivista del Touring» e delinea «nel tempo stesso una sintesi per una speciale parte del nostro lavoro. Egli ci ha consegnato uno scritto che ha chiamato traccia, ma che noi crediamo invece di poter definire un luminoso vivace programma per la nostra attività futura e per quanti vorranno aiutarci nel nostro compito». Con questa nota introduttiva la Direzione della Rivista presenta l’articolo programmatico pubblicato in tre parti da gennaio a marzo, esempio di «una frammentaria ma superba visione delle bellezze inesplorate, delle curiosità meno note, delle mille varietà ed attrattive che possono costituire una fonte inesauribile di ricchezza e di fama per il nostro Pa- luglio 1921, pp. 721-7. Nell’articolo, in risalto è posta non solo l’ammirazione dei trecento partecipanti per paesaggi e monumenti, ma soprattutto l’idea di incontro con la gente, conosciuta da Cagliari a Caprera, secondo il principio del sodalizio fondato sulla conoscenza del Paese e l’affratellamento tra gli italiani. 193 Cfr. E. Decleva, Arnoldo Mondadori, Torino, UTET, 1993, p. 134: «si può dunque dire che al Touring egli avesse coltivato ad un tempo competenze editoriali ed organizzative (manageriali, si direbbe oggi), che Borletti, consigliere del sodalizio in questione, non mancò di rilevare». 194 Solo due sono gli articoli firmati da Rusca e apparsi nelle riviste del Touring che tradiscono il suo amore per i classici e l’attenzione alla spiritualità: Il Convento di San Benedetto Po. Una meraviglia lombarda che scompare, in «Rivista Mensile», anno XXVI, n. 2, febbraio 1920, pp. 75-82 e Id., Con Plinio il Giovane attraverso l’Italia, in «Le Vie d’Italia», anno LXVII, luglio 1961, p. 872. 195 A. Bossi, L’opera e la figura di Giovanni Bognetti, art. cit., pp. 117-8. 196 Entrambe sono pubblicazioni mensili, rispettivamente la prima è organo del Comitato nazionale del Turismo Scolastico del TCI ed esce dal 1917 al ‘28, la seconda è organo della Commissione Strade e dell’Istituto Sperimentale Stradale del TCI ed è stampata dal 1919 al ‘70 (eccettuando gli anni ‘44-’45). 68 ese».197 È l’inizio di un programma che Bertarelli non vedrà concretizzato e che verrà portato a termine dai suoi successori, Bognetti in primis, nella collana di illustrazioni regionali Attraverso l’Italia, cui collaborerà per la messa a punto tipografica Raffaello Bertieri. Si tratta di un progetto non guidistico, ma illustrativo, diverso dalle Guide d’Italia bertarelliane, descrittive ma schematiche, puntuali nel dar conto di ogni tipo e condizione delle strade italiane, secondo la vocazione originaria del primo Capo della Sezione Strade del Sodalizio, che ora dopo aver fornito gli strumenti pratici punta a stimolare la conoscenza di un Bel Paese ancora ignoto. Per far questo, Bertarelli indica possibili esempi da trattare per ogni categoria di soggetti: dagli eremitaggi alle incisioni preistoriche, dalle rocce basaltiche delle Eolie alle argille dell’Appennino emiliano, dalla speleologia e idrografia sotterranea, sue grandi passioni, all’attenzione per usi e costumi abitativi e funerari fino a comprendere persino ogni possibile effetto del variar della luce o curiosi fenomeni, che rendono il paesaggio fantastico, dovuti al clima, ai venti, alle nebbie. Nel lungo articolo che attraversa per intero l’Italia «dai ghiaieti dei fiumi veneti, vasti da parer deserti di ciottoli candidi, […] alla fiumare sicule pensili e inalveate in rettilinei di qualche chilometro prima dello sbocco a mare»,198 e nell’esempio che adduce di personale trattazione delle curiosità carsiche attorno a Postumia, il suo sguardo fotografico da naturalista, geografo e gran curioso, dà prova di una prosa attenta, precisa nell’aggettivazione, che tende all’enciclopedismo divulgativo, dove il sapere tecnicoscientifico non tralascia le testimonianze più elevate della tradizione letteraria, in questo caso tassiane, filtrate probabilmente attraverso l’Itinerario d’Italia del Vallardi: «le alternative di magre e di piene e tutti i caratteri fisici esterni relativi al corso dell’acqua, provano che il Rack è l’emissario del lago temporaneo di Circonio, cioè la continuazione del fiumetto che percorre la gran valle chiusa ove si forma il lago. Questo gran lago temporaneo è il fenomeno carsico superficiale più grandioso che si presenti nei bacini che stiamo descrivendo, anzi in tutta la Carniola e l’Istria e certo uno dei maggiori d’Europa. Torquato Tasso nel Terzo Giorno del Mondo creato, ha per esso versi che, dal punto di vista dell’esattezza descrittiva, non potrebbero essere più precisi: 197 L. V. Bertarelli, La traccia di un grande lavoro, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 1, gennaio 1921, p. 1. 198 Ivi, p. 14. 69 A la palude Lagia, onde si vanta / la nobil Carnia, lunga età vetusta / non ha scremato ancor l’onore e ‘l grido; / quivi si pesca prima: e poi ch’è fatta / secca ed asciutta, in lei si sparge il seme / e si raccoglie; e tra le verdi piante / prende l’abitator gl’incauti augelli. / E ‘n tal guisa addivien, che ‘n varj tempi / l’istessa sia palude, e campo, e selva. Questo lago era noto del resto anche nella più remota antichità e ne fa cenno Strabone».199 Bertarelli, estimatore di scrittori sui generis quali lo Stoppani200 e il Mantegazza,201 come testimonia il giornalista del «Corriere» e direttore delle riviste «Il ciclo» e «La bicicletta» Augusto Guido Bianchi, diviene egli stesso scrittore «giacché mi ricordo che allorché il Touring Club Ciclistico Italiano ne fece il suo caposezione strade, la prosa del Bertarelli faceva a noi giornalisti – allora numerosi nel primo Consiglio del Touring – l’effetto di qualcosa d’improprio, di scialbo, di commerciale. Ma in pochi mesi […] aveva saputo crearsi una forma robusta, agile e colorita. […] Egli potrebbe essere un originale descrittore di viaggi per tutti coloro che amano le impressioni vive, sinceramente esposte».202 Non solo egli si fa lettore e descrittore di quel gran libro che è la Natura, nella fattispecie italiana, ma democraticamente esorta ancora una volta ciascun socio che «conosce de visu le “curiosità”»203 del Bel Paese alla collaborazione, ad inviare articoli, 199 L. V. Bertarelli, Sopra e sottoterra intorno a Postoina, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 6, giugno 1921, p. 577. Circa il riferimento a G. Vallardi: Itinerario d’Italia o sia di CXXXVI viaggi per le strade più frequentate sì per posta che altrimenti alle principali città d’Italia, Milano, Pietro e Giuseppe Vallardi editori, 1835, p. 180. Bertarelli riporta lo stesso rimando a Strabone e i medesimi versi di Tasso citati dal Vallardi nel Viaggio LXXIV. Da Venezia a Trieste, con una variante significativa: «Lagia» al posto di «Lugea». Bertarelli prende probabilmente in mano una versione de Il mondo creato come poteva essere quella pisana del 1823 non ancora epurata dalla propaganda politica viennese (con cui forse dovette fare i conti il Vallardi), che aveva caldeggiato la sostituzione con «Lugea», secondo quanto avanzato sulla «Biblioteca Italiana», anno XC, maggio 1838, pp. 89-91. Cfr. M. G. Pensa, Niccolò Tommaseo e il commento veneziano alla Commedia, in Atti dell’Accademia Roveretana degli Agiati, anno CLI, 2004, vol. IV a, fasc. II, p. 155. 200 Di lui Bertarelli scrive nel 1908: «se fosse vivente ancora bisognerebbe forse modificare lo statuto del Touring, per creare a lui un posto di presidente d’onore», in G. Bognetti, Lo scrittore, in «Le Vie d’Italia», anno XXXII, n. 3, marzo 1926, p. 237; e ancora, riportato da G. Mazzotti in Luigi Vittorio Bertarelli nel centenario della nascita, cit., p. 27: «Quando lo conobbi – scrive Bertarelli – ero poco più di un ragazzo; fu un narratore eloquente, manzoniano nella precisione del pensiero e nella forma bonaria ed arguta. Questa sua caratteristica è rimasta imperitura nel più forte dei suoi lavori, Il Bel Paese, fresco oggi come quando fu scritto». 201 Analogamente allo Stoppani, Mantegazza è «l’esponente tipico del bifrontismo culturale della stagione positivistica», di quell’osmosi fra «cultura scientifica, ansia divulgativa e eclettismo letterario», che tanto ammira il Bertarelli e che ben si radica nel tessuto ambrosiano di fine Ottocento-inizio Novecento. Cfr. G. Rosa, Identità di una metropoli. La letteratura della Milano moderna, Torino, Nino Aragno Editore, 2004, p. 227. 202 A. G. Bianchi, Prefazione a L. V. Bertarelli, Diario di un cicloturista di fine Ottocento. Da Reggio Calabria ad Eboli, a cura di V. Cappelli, Castrovillari, Teda Edizioni, 1989, pp. 2-3. 203 L. V. Bertarelli, La traccia di un grande lavoro, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 3, marzo 1921, p. 235. 70 immagini e fotografie, costituendo una sorta di laboratorio di quella pubblicazione che Bertarelli immagina e che prenderà corpo in Attraverso l’Italia, collana che raccoglie l’eredità di una rivista da lui tanto seguita: il «Giornale illustrato dei viaggi» di Sonzogno, e per la quale aveva già abbozzato un Programma dell’illustrazione fotografica del Touring Club, sulla «Rivista Mensile» del marzo 1899.204 All’appello autorevole, «una bella gara» in «un campo libero […] a tutti aperto»205 che concepisce l’idea di una scrittura antiletteraria di autori non professionisti e conforme anzitutto al bisogno comunicativo-divulgativo, rispondono numerosi: sono cultori e curiosi di storia locale, professori, studiosi. Tra questi, uno storico aretino, il socio Alessandro Del Vita comincia a inviare contributi inerenti alla storia e alle tradizioni del suo territorio, ben nutriti di aneddotica, instaurando un’assidua collaborazione che dura un trentennio, fino al 1952, e proprio lui fa da guida nell’Escursione in Toscana e in Umbria, organizzata dal Sodalizio nel settembre 1921.206 Rispondendo ad un’istanza sempre più illustrativa cui tende la rivista, fotografie e disegni acquistano maggior rilevanza nell’economia della pagina, in cui testo e immagine si intervallano con soluzioni anche inaspettate, senza mantenere una rigida e costante modulazione, come appunto nel caso delle notizie di Del Vita corredate dalle fotografie Alinari.207 Ad accompagnare i testi non solo vi è il cosiddetto «modo di vedere Alinari quello che, filtrando nelle strutture percettive di generazioni di Italiani, ha finito per sostituirsi nella loro cultura agli stessi oggetti della visione», ma anche quadri, interpreti di quella «filosofia dell’osservazione abbozzata dallo Stoppani».208 Così, negli articoli del professor Giuseppe Isnardi, a cominciar dal primo Calabria pittoresca,209 un’iconografia di particolare rilievo, sia artistico che biografico, riveste funzioni di commento e di completamento del testo. Isnardi, viaggiatore sanremese in Calabria, «distinto da tutti gli altri» dacché poco incline a pregiudizi e stereotipi, esercitando il pro204 Circa l’importanza attribuita da Berarelli all’iconografia si veda L. V. Bertarelli, Programma dell’illustrazione fotografica del Touring Club, in «Rivista Mensile», anno V, n. 3, marzo 1899, p. 3, ripreso in I. Zannier (a cura di), Fotografi del Touring Club Italiano, Milano, TCI, 1995, p. 7: «Il Touring ritiene che un mezzo di propaganda geniale possa essere il raccogliere e mettere in mostra, con una esposizione fotografica, tutti i lati interessanti del nostro paese. Questa illustrazione deve riguardare tutti i punti di vista: il pittoresco, lo storico, l’artistico, il sociale e così via. […] Diamo il bando ai soggetti stupidi che hanno fatto del dilettante fotografo un filisteo del buon gusto». 205 L. V. Bertarelli, La traccia di un grande lavoro, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 3, marzo 1921, p. 235. 206 G. Bognetti, La gita umbro-toscana, in ivi, anno XXVII, n. 11, novembre 1921, p. 1216. 207 A. Del Vita, L’antico castello di Montecchio, in ivi, anno XXVII, n. 10, ottobre 1921, pp. 1071-2. 208 G. Bollati, L’italiano. Il carattere nazionale come storia e come invenzione, Torino, Einaudi, 1983, pp. 150-1. 209 G. Isnardi, Calabria pittoresca, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 8, agosto 1921, pp. 809-18. 71 prio lavoro di insegnante di lettere presso il «Reale Ginnasio Galluppi» di Catanzaro, diviene gran conoscitore di una delle regioni più dimenticate della penisola, nonché sostenitore della causa meridionale e animatore dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno, con un occhio di riguardo alla funzione educativa. Prima del 1912, quando è chiamato a partire per Catanzaro, «della Calabria ha già avuto una certa idea, quella estetica e figurativa che si era fatto attraverso l’ammirazione dei quadri di Edward Lear, il “pittore e descrittore dell’Italia”, che aveva dimorato a Sanremo, nella villa dei suoi nonni per diciotto anni, dal 1870 alla morte, quando un amico ed esecutore testamentario aveva spedito tutto in Inghilterra lasciando “i quadri, gli acquarelli, i disegni, i libri donati dal pittore a suo nonno e che formavano in quella casa quasi un piccolo “museo leariano”. Lì Isnardi aveva trascorso l’infanzia».210 Sono proprio questi quadri un po’ «alla Turner», sensibili ai giochi della luce concepita come colore in uno scenery Le fotografie Alinari accompagnano l’articolo di Alessandro Del Vita, L’antico castello di Montecchio, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 10, ottobre 1921, p. 1072 e, a destra, i dipinti di Edward Lear sono il punto di partenza per la Calabria pittoresca di Giuseppe Isnardi su «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 8, agosto 1921, p. 811. 210 G. Guzzo, La pedagogia di Giuseppe Isnardi. L’apostolato di un educatore nella Calabria del primo Novecento, Soveria Mannelli, Rubettino, 2005, pp. 216-7. 72 tra marine e aspri dirupi silani, che Isnardi sceglie di pubblicare con i suoi articoli sulla Calabria e sui suoi borghi arroccati, ancora sconosciuti, proseguendo sulle «Vie d’Italia» il pezzo dell’archeologo Paolo Orsi, direttore della Sovraintendenza Calabra per gli Scavi e capo console del TCI a Siracusa. Orsi, e Isnardi poi, lamentano le scarse attenzioni verso la regione sia da parte dello stato che da parte dei turisti, inclini ad arrivare il prima possibile in Sicilia, sull’esempio di Goethe, Chateaubriand, Byron e Shelley, «considerando la Calabria come terra povera e selvaggia […]. Bisogna però sfatare questa leggenda, e deve essere compito soprattutto del Touring di contribuire a tale buona opera».211 A questo compito per il periodico del sodalizio si presta appunto il professor Isnardi, che comincia una lunga collaborazione, durata fino al 1954.212 «Artista, non fotografo, di un paesaggio che visita»,213 offre scorci descrittivi di impronta manzoniana, dalla panoramica naturalistica alla particolare realtà sociale, entrambe sintesi del contrasto asprezza-serenità: «dall’alto del paese, guardando in giù da questo lato, si vedono luccicare in una stretta gola le scarse acque della fiumara; e le donne che vi lavano i panni e i muli che trasportano su la legna e i sacchi di grano e gli uomini che faticano nei magri campi di frumento, danno l’impressione di un affaccendarsi minuto di formiche osservato dall’alto».214 Le descrizioni, spesso cariche di pittoricismo, non sono però il frutto di un abbandono contemplativo ad uno spazio scenico, ma la problematizzazione, la divulgazione e la tutela dell’ambiente vissuto dall’uomo. Tale è la concezione della geografia che Isnardi insegna al ginnasio: antropologica, che si apre alla botanica, all’arte, alla storia, al costume e diviene esplorazione diretta del mondo. Storico della geografia, esploratore e naturalista è anche un altro collaboratore che inizia a scrivere sulla rivista nel medesimo anno. L’approccio di Roberto Almagià così diversificato per la disciplina, tendente a «un’intima connessione» tra geografia fisi211 P. Orsi, Calabria ignota. Monteleone Calabro, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 2, febbraio 1921, p. 129. 212 La quasi totalità degli articoli parla della Calabria, dai piccoli borghi isolati come Pentedattilo ai centri di Catanzaro e Cosenza, alle storie e tradizioni locali: La Sila, in ivi, anno XXXIII, n. 7, luglio 1927, pp. 771-84; Praja a mare e l’isola di Dino, in ivi, anno XXXVI, n. 8, agosto 1930, pp. 577-88; Tiriolo in Calabria e la “pigghiata” del Venerdì Santo, in ivi, anno XLII, n. 4, aprile 1936, pp. 244-51; Tropea in Calabria, in ivi, anno XLIII, n. 7, luglio 1937, pp. 474-82; Medaglione di città: Catanzaro, in ivi, anno LIII, n. 6, giugno 1949, pp. 585-92; Il marchesato di Crotone, in ivi, anno LVI, n. 1, gennaio 1952, pp. 51-63; Cosenza, in ivi, anno LVIII, n. 7, luglio 1954, pp. 835-44; Cinquant’anni di lavoro per le aree depresse, in ivi, anno LXV, n. 11, novembre 1959, pp. 1465-71 e Silenziosa Basilicata, in ivi, anno LXVII, n. 1, gennaio 1961, pp. 43-55. 213 G. Guzzo, La pedagogia di Giuseppe Isnardi. L’apostolato di un educatore nella Calabria del primo Novecento, cit., p. 210. 214 G. Isnardi, Pentedattilo, in «Le Vie d’Italia», anno XXXI, n. 7, luglio 1925, p. 772. 73 ca e geografia umana,215 trova riscontro negli articoli pubblicati che spaziano dalle arti e dal folklore altoatesino all’analisi geografica e delle condizioni di vita dei paesi più elevati dell’Appennino, allo studio dell’agro romano.216 Proprio quest’ultimo rappresenta «uno degli argomenti di studio prediletti […] dell’Almagià in campo antropogeografico, quello sul “ripopolamento” e la bonifica della Campagna Romana: certo magnifico, e paradigmatico, caso di studio dei rapporti fra uomo e ambiente e sulla loro evoluzione nel tempo».217 Sulle «Vie d’Italia» Almagià si accosta per la prima volta alla trattazione, che troverà contesti di pubblicazione più scientifici e meno divulgativi come la «Geographical Review». In questa sede, come nota Corna-Pellegrini, «non senza influenza, peraltro, è l’enfasi che a questa opera di “redenzione” viene data nella vita italiana dell’epoca: e questo spiega perché talvolta, il tono del Nostro sia un poco al di sopra del rigo. La sua attenzione scientifica, comunque, appare viva e sincera, oltre che giustificata».218 Leggi, piani regolatori, razionalizzazione del territorio, istanze di natura igienica ed espansionistica dell’Urbs, paesaggi in via d’estinzione sono introdotti dalle immagini carducciane che gli affiorano nella memoria: «la terra, onde, come per religioso eran respinti – secondo l’immagine del Poeta – gli uomini novelli e lor picciole cose, quasi sacrileghi perturbatori dei silenzi alla dea Roma dormiente, si ridesta a poco a poco; si direbbe che la vita, alla quale per la terza volta è rinata, da cinquant’anni, la Città Eterna, ormai fatta alacre, intensa, vertiginosa, si propaghi a poco a poco, pur con ritardo e quasi con riluttanza, al territorio circostante riscotendolo dal sonno secolare, che gli aveva dato l’aspetto solenne e terribile delle cose morte».219 A questa ricca prosa divulgatrice con spinte all’enciclopedismo – non a caso Almagià 215 G. Corna-Pellegrini (a cura di), Roberto Almagià e la geografia italiana nella prima metà del secolo. Una rassegna scientifica e una antologia degli scritti, Milano, Edizioni Unicopli, 1988, p. 96. 216 R. Almagià, Sculture e intagli di Valgardena, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 1, gennaio 1921, pp. 31-7; I paesi più elevati dell’Appennino, in ivi, n. 7, luglio 1921, pp. 763-74. 217 G. Corna-Pellegrini (a cura di), Roberto Almagià e la geografia italiana nella prima metà del secolo. Una rassegna scientifica e una antologia degli scritti, cit., p. 101. 218 Ibidem. 219 R. Almagià, La rinascita dell’agro romano, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 11, novembre 1921, p. 1153. Cfr. G. Carducci, Odi barbare, Libro I, Dinanzi alle Terme di Caracalla, vv. 33-36: «Febbre, m’ascolta. Gli uomini novelli / quinci respingi e lor picciole cose: / religïoso è questo orror: la dea / Roma qui dorme». Almagià prosegue la sua analisi nell’articolo Paludi pontine, in ivi, anno XXVIII, n. 3, marzo 1922, pp. 241-50, richiamandosi anche qui, oltre agli aspetti del territorio, alla sua storia e alle eco dei Canti dell’Aleardi (Il Monte Circello, vv. 170-177: «È la palude, che dal Ponto à nome. / […] Tra i solchi rei de la Saturnia terra / cresce perenne una virtù funesta / che si chiama la Morte»). 74 figurerà tra i redattori della Treccani fino all’estromissione per origini ebraiche del ‘38 – si accompagnano gli studi di un altro celebre geografo: Olinto Marinelli, che nello stesso numero, assieme ad Almagià si interessa generaliter di Stagni e paludi costiere in Italia.220 L’interesse dei geografi verso le aree costiere da bonificare, indicate «come frontiera del progresso ancora prima che il fascismo ne facesse una delle sue “battaglie” e uno dei perni della propria politica economica e sociale»,221 richiama anticipatamente l’attenzione di Bertarelli e del Touring, che l’anno seguente danno vita a un volumetto di propaganda dell’azione di bonifica dell’Opera Nazionale Combattenti,222 per il cui titolo è indetto un concorso, pubblicato dal mensile.223 Marinelli, come Almagià, con i suoi numerosi articoli consegna ai lettori studi pregevoli su vari aspetti del territorio italiano: il paesaggio alpino e del delta del Po, le miniere di mercurio del Monte Amiata, le maree,224 affiancando contributi riguardanti la cartografia, illuminanti circa l’approccio perseguito nella sua opera più famosa, l’Atlante dei tipi geografici, pubblicato nel 1922 dall’Istituto Geografico Militare e recensito dallo stesso Almagià sulle «Vie d’Italia».225 In esso, «quali siano questi tipi, il Marinelli non precisa in maniera sistematica, ma essi si possono desumere, di fatto, dai titoli delle singole tavole che ci mostrano, in un certo senso, un crescendo dai fenomeni più “naturali” a quelli più “culturali” come la “topo220 O. Marinelli, Stagni e paludi costiere in Italia, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 11, novembre 1921, pp. 1137-46. 221 D. Bardelli, L’Italia viaggia. Il Touring Club, la nazione e la modernità (1894-1927), cit., p. 414. Sulla «battaglia delle bonifiche» nell’Italia liberale cfr. P. Bevilacqua, Le bonifiche, in M. Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 403-16. 222 Bertarelli L. V., Terra Promessa. Le bonifiche di Coltano, Sanluri, Licola e Varcaturo dell’Opera Nazionale Combattenti, Milano, TCI, 1922. 223 Bertarelli L. V., Terra Promessa, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 4, aprile 1922, pp. 337-44. Nell’editoriale, come era già accaduto per la scelta del titolo stesso della rivista, Bertarelli dà conto e commenta le proposte giuntegli, dagli esametri latini che hanno «il torto di eccedere la comprensione di tanti che non sanno il latino […]. Per questo mi sembrano impratici (parolaccia, ma se ne trovi un’altra e l’adoprerò)», a «un titolo che colpisce per l’originalità e l’eloquenza […] è “Circe smagata”», il cui ideatore rincalza poi con i versi del Ditirambo in Alcione: «non più d’acqua putre gorgoglio, / non più nube di corvi sinistra / offuschi e assordi l’aria, ove passa, / in silenzio mortale, la Febbre / velata di nebbia». Alla fine, con la scelta di Terra promessa, a prevalere sono i toni di biblico patriottismo, introdotti dall’epigrafe del Bertacchi: «Ripara, Italia, sui reduci prodi le offese di guerra; / rendili all’opre di pace che ne accompagnin la vita. / Niuna certezza è più sacra di questa carne, ferita / nel disserrar l’eroiche strade alla patria terra». 224 Tra gli articoli pubblicati: O. Marinelli, Il monte Amiata e le sue miniere di mercurio, in «Le Vie d’Italia», anno III, n. 8, agosto 1919, pp. 449-58; Id., Il sole, le ore, le montagne, in ivi, anno IV, n. 7, luglio 1920, pp. 395-402; Id., Nel mondo delle Dolomiti, in ivi, anno XXVIII, n. 5, maggio 1922, pp. 508517; Id., Le curiose vicende del delta del Po, in ivi, anno XXX, n. 4, aprile 1924, pp. 353-62; Id., In un mondo alpino più grande, in ivi, anno XXXI, n. 4, aprile 1925, pp. 372-80; Id., La marea nei mari italiani, in ivi, anno XXXI, n. 5, maggio 1925, pp. 507-13 e postumi: Id., Le vicende di un laghetto alpino, in ivi, anno XXXII, n. 12, dicembre 1926, pp. 1313-22; Id., Le Alpi 2000 anni fa, in ivi, anno XXXIV, n. 7, settembre 1928, pp. 743-8. 225 R. Almagià, L’atlante dei tipi geografici, in ivi, anno XXIX, n. 8, agosto 1923, pp. 843-51. 75 lessigrafia” e la “toponomastica”».226 Marinelli sulla rivista parla anche di «onomatopistica», cioè lo studio e la formazione dei cognomi in rapporto al territorio: «avevo dunque scoperto una nuova categoria di volumi geografici, il che era già buona cosa, data la povertà della letteratura nostrale in codesto campo: di più avevo scoperto un nuovo capitolo della geografia».227 Le carte a Marinelli rivelano aspetti molteplici, non solo fisici, ma anche storici, etnografici e demografici,228 e una carta in particolare assume significati metaforico-letterari, dovuti a una ben definibile conformazione: quella dello stivale. Marinelli, partendo dal Giusti che rese popolare la similitudine geografica con tanto di citazioni delle satire politiche del Dies irae, («Non temete; lo stivale / non può mettersi in gambale; / dorme il calzolaio») e de I grilli («Del nostro stivale / ai poveri nani»),229 traccia una storia della cartografia della penisola, individuando nel geografo del Cinquecento Leandro Alberti una prima forma del fortunato paragone, che vedeva l’Italia simile a una gamba umana. Dall’Italia come «espressione geografica», per usare le sprezzanti parole di Metternich, all’idea di nazione, che vede in Dante un profeta,230 il passo per la rivista rinnovata è ancor più breve: «pubblicando questo articolo di un insigne Dantista, noi non crediamo di usurpare l’ufficio dei periodici letterarii e nemmeno di uscire dal nostro campo di azione. Perché se mai vi fu italiano il cui nome non possa, per universale consenso, apparire estraneo ad ogni più alta manifestazione dello spirito nazionale, questi appunto è l’Alighieri».231 Questa la presentazione che introduce alla celebrazione del sesto centenario dalla morte di Dante e che dal gennaio 1921 apre la rivista alla divulgazione artistico-culturale, in chiave patriottica ed anche turistica. Nell’anno di Dante, Manfredi Porena, professore all’Università di Roma, si presta a tracciare un quadro dell’opera del Poeta, dalla varietà linguistica all’universalità tematica, assieme al ritratto dell’uomo e dei suoi ideali, dai quali sorgerà la nazione, e Fulberto Vivaldi, dantista di origine romana, rifacendosi alla presunta ambasceria presso Bonifacio, abbozza in una Roma medie226 G. Scaramellini, «Paesaggio», «tipi geografici» e rappresentazione cartografica. L’opera di Olinto Marinelli nel primo quarto del nostro secolo ed il problema della «geografia descrittiva», in G. Botta (a cura di), Studi geografici sul paesaggio, cit., p. 33. 227 O. Marinelli, Cognomi geografici, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 5, maggio 1921, p. 462. 228 O. Marinelli, L’Italia demografica e il suo centro di popolazione, in ivi, anno XXIX, n. 12, dicembre 1923, pp. 1328-34. Da notare come per «Italia demografica» egli intenda non la popolazione abitante entro i confini politici, ma un’Italia ben più estesa e comprendente altre aree italofone o comunque riconducibili alla cultura nazionale, come il Canton Ticino, la Corsica e l’arcipelago maltese. 229 O. Marinelli, Lo stivale, in ivi, anno XXVII, n. 1, gennaio 1921, p. 23. 230 Cfr. M. Porena, Dante, in ivi, anno XXVII, n. 1, gennaio 1921, p. 22. 231 Ivi, p. 15. 76 vale «un piccolo non consueto pellegrinaggio dantesco, caro a chi fuggito dalla pastura del vulgo ami vivere fuori dalle grandi strade e dalla inutile compagnia degli uomini».232 A commemorare il poeta «nella sua veste, diremo così, di turista», il Touring si fa poi promotore della collocazione di lapidi atte a ricordare il passaggio o la dimora del Nostro233 e Bognetti ne rende conto sulla rivista, facendo una vera e propria statistica dei luoghi danteschi.234 In occasione di un altro anniversario (settecentenario dalla morte), Eugenio Lazzareschi, storico ed archivista dell’Archivio di Stato di Lucca, cultore di storia locale e di letteratura religiosa,235 oltre che novelliere per giornali e riviste come il «Corriere» e «La Domenica del Corriere», celebra il santo atleta di Dante: Domingo de Guzman. L’autore segue «le orme del Santo turista», attraverso i Pirenei, lungo la Francigena, in Linguadoca e in tutti i suoi viaggi romani fino ad ottenere il riconoscimento pontificio del suo ordine ed incontrare Francesco tutto serafico in ardore, sei anni prima della morte avvenuta nel convento di S. Niccolò delle Vigne a Bologna.236 Dal viandante mistico medievale al touriste moderno:237 sempre il 1921 è il centenario dalla nascita di Gregorovius, ricordato da Carlo Grigioni, medico di Forlì, appassionato di storia ed arte romagnola,238 che nel 1917 lascia la propria attività e diviene redattore delle Guide d’Italia e negli anni Venti e Trenta assidua firma della rivista. Ne Il centenario di Ferdi232 F. Vivaldi, A Roma con Dante, in ivi, anno XXVII, n. 9, settembre 1921, p. 920. Sulla sua opera di dantista si veda Id., Qualche segreto della Divina Commedia, Firenze, L. S. Olschki, 1968, mentre sugli scorci romani: Id., Le fontane di Roma, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 12, dicembre 1922, pp. 1201-12; Id., Una passeggiata per Roma, in ivi, anno XXIX, n. 11, novembre 1923, pp. 1211-20; Id., Ricordi fiorentini in Roma, in ivi, anno XXXII, n. 11, novembre 1926, pp. 1219-26. 233 Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta del 24 settembre 1920, Milano, Archivio Storico del Touring Club Italiano. 234 G. Bognetti, Epilogo dantesco, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 1, gennaio 1922, pp. 71-80. 235 Tra le sue pubblicazioni: E. Lazzareschi, Il Montamiata nei commentarii di Pio II, Lucca, Baron, 1910; Id., David Lazzaretti, il Messia dell’Amiata, Brescia, Morcelliana, 1945, e su «Le Vie d’Italia» numerosi sono gli articoli sul Montamiata e Lucca, i luoghi della sua vita: Id., Montamiata, anno XXX, n. 9, settembre 1924, pp. 997-1006; Id., I mercanti di Lucca, anno XXXII, n. 1, gennaio 1926, pp. 27-39; Id., Le belle ville lucchesi, anno XXXVII, n. 5, maggio 1931, pp. 337-45; Id., La festa di S. Croce a Lucca, anno XL, n. 8, agosto 1934, pp. 627-39. 236 E. Lazzareschi, Il turismo di un santo. Domingo de Guzman, in ivi, anno XXVII, n. 12, dicembre 1921, pp. 1281-91. Su questo filone di «biografie turistiche» l’autore prosegue le sue collaborazioni: Id., Un turista ghiottone del cinquecento: Ortensio Lando, in ivi, anno XXXIII, n. 10, ottobre 1927, pp. 114554. Mentre articoli più tradizionali di illustrazione della sua Lucca adottiva sono degli anni Trenta: Id., Le belle ville lucchesi, in ivi, anno XXXVII, n. 5, maggio 1931, pp. 337-45 e Id., La festa di S. Croce a Lucca, in ivi, anno XL, n. 8, agosto 1934, pp. 627-39. 237 Seguendo questa trasformazione sociologica del viaggio, Cesare De Seta dà inizio alla ricca trattazione L’Italia nello specchio del Grand Tour, in Storia d’Italia. Annali, vol. V, Il paesaggio, a cura di C. De Seta, Torino, Einaudi, 1982, pp. 127-263. 238 Suoi gli articoli nelle «Vie d’Italia» su Fornò, anno XXX, n. 11, novembre 1924, pp. 1179-84; La cattedrale di Faenza, anno XXXII, n. 4, aprile 1926, pp. 395-401; Melozzo da Forlì, il “pittore dell’estasi” nel V centenario della nascita, anno XLIV, n. 2, febbraio 1938, pp. 168-81. 77 nando Gregorovius, sulla sua figura di storico, prevale quella del viaggiatore dei Wanderjahre in Italien dalle «descrizioni definitive» – vedi «la campagna romana nobile e severa, della quale in particolare il G. ha sentito tutto il fascino, è il teatro più grande della storia, la scena dell’universo» –, e l’animo polacco, simpatizzante per la causa italiana negli anni del suo peregrinare, coincidenti con l’unificazione.239 Altro letterato viaggiatore celebrato dal mensile è Dickens, nel cinquantenario dalla morte, offrendo occasione di riprendere in mano l’ironia, spesso sferzante, delle Pictures from Italy di metà Ottocento, ove «ritrasse le impressioni di quell’Italia d’allora […] non soffermandosi di proposito in delucidazioni estetizzanti, non dilungandosi in elucubrazioni politiche, ma divertendosi un mondo a cogliere gli aspetti pittoreschi, le scene e le cerimonie popolari, i tipi caratteristici degli uomini e dei paesi, con una verve non mai rattristata».240 Oltre all’interesse per i paesaggi pittoreschi e per i viaggiatori illustri in grado di valorizzarli, «Le Vie d’Italia», mantenendo fede al loro sottotitolo «Turismo nazionale, movimento dei forestieri, propaganda, alberghi, prodotto italiano, sviluppo industrie turistiche», si occupano anche delle tradizioni popolari, dell’espressione artistica dei manufatti e delle piccole industrie di paese. È Raffaello Giolli a sollevare la sensibilità del pubblico verso questi aspetti già nel 1920: «si continua a parlare di arte paesana: ma non la studia nessuno. Si continuano a lamentare le enormi risorse, le ricchissime possibilità che il paese trascura e così sciupa: ma nessuno pensa a contare queste forze neglette. Ebbene è l’ora di cominciare. Le Vie d’Italia già sono, per loro stesso titolo, le privilegiate nel muovere a queste scoperte».241 In anticipo di quasi un decennio sugli «strapaesani» dell’Italia fascista, «che fu tra le prime nazioni a varare programmi dopolavoristici, ‹e che› sembrava fungere da modello anche nel campo delle tradizioni popolari»,242 prima Giolli e poi Nicodemi, uno dei maggiori critici d’arte italiani e direttore della rivista «L’Arte» fondata da Adolfo Venturi, trattano la questione. Nicodemi, studiando l’arte popolare dalmata e delle valli bresciane, nel ‘21 prosegue l’opera del Giolli auspicandosi 239 C. Grigioni, Il centenario di Ferdinando Gregorovius, in ivi, anno XXVII, n. 9, settembre 1921, pp. 990-1. 240 A. Sorani, I grandi stranieri in Italia: Charles Dickens, in ivi, anno XXVII, n. 4, aprile 1921, p. 350. 241 R. Giolli, Industrie nascoste. Stamperie di stoffe popolari sul Lago d’Orta, in ivi, anno IV, n. 6, giugno 1920, p. 328. Sempre di Giolli cfr. Industrie nascoste. Il “Puncetto della Valsesia”, in ivi, n. 8, agosto 1920, pp. 467-72. 242 S. Cavazza, Folklore e tempo libero: il dibattito europeo e l’esperienza italiana tra le due guerre mondiali, in Atti del Convegno internazionale di Sesto San Giovanni, 20-22 gennaio 1994, Tempo libero e società di massa nell’Italia del Novecento, Milano, Franco Angeli Editore, 1995, p. 160. 78 che anche l’Italia, come la Russia, la Boemia, la Bulgaria e l’Austria, possa presto vedere la pubblicazione di «dieci volumi che la Società Editrice “La Fionda” promette animosamente di dedicare all’arte paesana».243 Dal punto di vista della critica e della storia dell’arte, lo studio del folklore e dell’arte paesana trovano un corrispettivo interesse per la pittura di paese, come dimostrano gli articoli di Nicodemi: Pittori di paese. Giuseppe Carozzi e Cesare Maggi, I pittori delle Alpi.244 Ben si presta del resto la sede della rivista ad accogliere saggi di critica d’arte riguardanti i «paesisti» dal Seicento fino alla contemporaneità: la pittura di panorami e paesi pittoreschi, unita agli scorci fotografici che accompagnano altri articoli, soddisfa infatti quell’intento conoscitivo ed illustrativo dell’Italia, cardine del Sodalizio e della sua pubblicazione.245 Anche Nello Tarchiani e Luigi Dami con toni pacati rispondono a queste istanze, reduci dall’esperienza di «Hermes» e dagli «eccessi tematici e verbali delle mises en scène dannunziane-pagane, estetico-nazionaliste prodotte dagli intellettuali del piccolo gruppo borgesiano: in primo luogo Borgese naturalmente, poi Corradini e Papini, quindi la squadra dei gregari ‹in cui rientrano gli stessi Tarchiani e Dami con› Mario Maffii, Nello Puccioni, […], Marcello Taddei».246 Tarchiani, «corrierista» fedele ad Albertini, già collaboratore della «Rivista Mensile», prosegue sulle «Vie d’Italia» la sua ricerca fra gli artisti nostrani di «quelli che hanno svolto opera assidua e amorosa di illustratori di qualche lembo del nostro Paese»247 e, nelle Cinque Terre, ricordando un incontro con Telemaco Signorini,248 celebra anche l’opera di un altro toscano dal nome scozzese: Llewelyn Lloyd. Nel 1921 a catalizzare l’attenzione sui paesisti, dopo la Biennale di Brera,249 è pure la Mostra di Palazzo 243 G. Nicodemi, Arte di popolo in Dalmazia, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 7, luglio 1921, p. 701 e sempre di Nicodemi, Arte di popolo. La scoltura in legno nelle valli bresciane, in ivi, n. 12, dicembre 1921, pp. 1269-73. 244 G. Nicodemi, Pittori di paese. Giuseppe Carozzi, in ivi, anno XXVII, n. 8, agosto 1921, pp. 839-42; Pittori di paese. Cesare Maggi, in ivi, anno XXVIII, n. 10, ottobre 1922, pp. 997-1001; I pittori delle Alpi, in ivi, anno XLI, n. 10, ottobre 1935, pp. 755-64. 245 Per un quadro complessivo del ruolo svolto dal Touring e dalle sue pubblicazioni a rappresentare il paesaggio italiano cfr. U. Bonapace, Il TCI e la rappresentazione del paesaggio italiano, in E. Turri et alii, Il paesaggio italiano nel Novecento. Le grandi trasformazioni del territorio nei cento anni del Touring, cit., pp. 69-86. 246 R. Bertacchini, Le riviste del Novecento. Introduzione e guida allo studio dei periodici italiani. Storia, ideologia e cultura, Firenze, Le Monnier, 1981, p. 33 e su «Hermes» vd. l’introduzione di D. Castelnuovo Frigessi a La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste «Leonardo», «Hermes», «Il Regno», Torino, Einaudi, 1960, pp. 11-87. 247 N. Tarchiani, L’Italia nell’opera dei suoi artisti. Manarola, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 2, febbraio 1921, p. 140. 248 Vd. anche il ritratto fatto da Tarchiani di Telemaco Signorini paesista, in ivi, anno XXXII, n. 12, dicembre 1926, pp. 1307-12. 249 R. Giolli, Il paesaggio nell’arte alla Biennale di Brera, in ivi, anno IV, n. 12, dicembre 1920, pp. 720- 79 Pitti sulla pittura italiana del Seicento e del Settecento, esposta sulla rivista da un «Anonimo fiorentino», il quale aveva già fornito un quadro delle pinacoteche italiane nel dopoguerra,250 e raccolta nel volume curato da Ojetti, Tarchiani e Dami.251 A ritornare più volte sul soggetto della mostra è Tarchiani,252 mentre Dami svela ad un lettore che rende vivamente partecipe, borghi e peculiarità del territorio fiorentino, dall’Impruneta alla Gamberaia.253 Aprirsi a nuove tematiche non significa togliere spazio alle vecchie. «Le Vie d’Italia», divenute più ampie e rappresentanti in toto il mensile del Sodalizio con annessa la pubblicazione annuale della Relazione del Consiglio, i bilanci e la rubrica Vita del Touring, oltre ai comunicati dell’ENIT, continuano a divulgare i contributi di ingegneri ed esperti nelle materie pragmatiche care al Bertarelli, atte a porre alla ribalta i problemi, a proporre possibili soluzioni e a render noti i progressi delle scienze nel campo dell’industria (dal problema idroelettrico all’industria zolfifera), nei trasporti e nel settore alberghiero. A parte la particolare attenzione che si rivolge come di consueto a questi aspetti nelle Notizie ed echi mensili, Bertarelli nei suoi editoriali, assieme a Ruata e Gerelli, dà conto dello sviluppo a livello internazionale del Consorzio per gli Uffici di Viaggio e Turismo, nato in seno all’ENIT nel marzo 1921.254 Rendendo noti i servizi offerti dall’Ente, dalla biglietteria all’ufficio informazioni alla propaganda italiana all’estero e in particolar modo per le nostre stazioni termali, sei mesi dopo l’istituzione delle agenzie in tutto il mondo, nell’articolo di Bertarelli «fotografie e ubicazioni dimostrano che non si tratta di parole, ma di fatti. E mentre corrono tante chiacchiere, che 2. 250 L’Anonimo fiorentino, Le pinacoteche italiane dopo la guerra. Brera riaperta al pubblico, in ivi, anno XXVII, n. 1, gennaio 1921, pp. 38-40; Id., L’esposizione della pittura italiana del ‘600 e del ‘700 a Palazzo Pitti, in ivi, anno XXVIII, n. 4, aprile 1922, pp. 385-94. 251 L. Dami, U. Ojetti, N. Tarchiani (a cura di), La pittura italiana del Seicento e del Settecento alla Mostra di Palazzo Pitti, Milano-Roma, Bestetti e Tumminelli, 1924. 252 N. Tarchiani, Paesisti italiani del ‘600, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 12, dicembre 1922, pp. 1191-8; Id., Paesisti italiani del Settecento, in ivi, anno XXIX, n. 3, marzo 1923, pp. 283-90. 253 L. Dami, Cose e luoghi e luoghi di Toscana. L’Impruneta e la sua fiera, in ivi, anno XXVII, n. 4, aprile 1921, pp. 361-6; Id., La villa Gamberaia, in ivi, anno XXIX, n. 2, febbraio 1923, pp. 124-8; Id., Monteoliveto Maggiore, in ivi, n. 5, maggio 1923, pp. 514-21; Id., Lucignano di Val di Chiana e il suo museo, in ivi, anno XXXI, n. 4, aprile 1925, pp. 409-14. 254 L. V. Bertarelli, La prima rete: Milano, Parigi, Londra, Nuova York, Ginevra, Lucerna, Zurigo, Basilea, San Gallo, Lugano, in ivi, anno XXVII, n. 4, aprile 1921, pp. 384-90; Id., Una importante specializzazione nel lavoro dell’ENIT, in ivi, n. 7, luglio 1921, pp. 744-46; Id., Dalla semina al frutto, in ivi, n. 9, settembre 1921, pp. 940-44; G. Ruata, L’Enit e l’industria termale italiana, in ivi, n. 1, gennaio 1921, pp. 49-53; Id., Le opere dell’ENIT: la bibliografia idrologia italiana, in ivi, n. 9, settembre 1921, pp. 955-6; Id., L’ENIT per l’industria idrominerale e climatica, in ivi, anno XXVIII, n. 1, gennaio 1922, pp. 60-4; A. Gerelli, L’ENIT nel 1921, in ivi, n. 8, agosto 1922, pp. 825-32. 80 spesso i giornali raccolgono in buona fede come realtà, i fatti non sembrano cosa da disprezzare».255 Un’altra azione del Touring è rivolta alla tassa di soggiorno, istituita nel 1921: l’associazione, attraverso gli articoli di Ruata,256 porta avanti la sua campagna affinché «non finisse confusa nelle necessità generiche dei bilanci comunali, ma andasse a costituire un fondo a gestione autonoma, con la specifica funzione di migliorare le condizioni ricettive locali e di servire in pari tempo all’opera di propaganda per le località di soggiorno e di cura».257 Ad affrontare il malcostume turistico, dovuto al disservizio, all’ingordigia di ristoratori ed albergatori e a una ancora poco diffusa cultura dell’accoglienza, nel medesimo anno nella rivista si inaugura la rubrica mensile volta alla tutela del turista Conti che sembrano cari. Dopo aver trattato negli anni precedenti le diverse vie ferroviarie con Tajani, aeree con Bastogi e sottomarine con l’ingegner Jona, l’astronomo e matematico Azeglio Bemporad svela ai lettori le conoscenze delle vie del cielo: «l’astronomia non è altro, in fondo, che un perpetuo turismo per le vie del cielo, le quali sono più numerose di quanto comunemente si creda»,258 e a introdurre gli articoli dal tono affabile e divulgativo vi è un divertente frontespizio di Carlo Bisi, celebre illustratore del «Corriere dei Piccoli», che raffigurando un mago gioca con la confusione popolare tra astronomia e astrologia. Vie del cielo a parte, «Le Vie d’Italia» si mantengono fedeli alle strade, occupandosi delle norme di viabilità e dei mezzi che vi circolano. Dal 1919 Albertini suggerisce come regolamentare la circolazione cittadina con schizzi dimostrativi delle possibili situazioni circolatorie ai bivi e agli incroci, contribuendo «non poco a creare una “coscienza della circolazione”»259 e a diffondere una sorta di «galateo della strada», sino alla prima regolamentazione della Conferenza Internazionale della Circolazione Stradale di Parigi nell’ottobre del 1921, commentata da Vandone, a capo dell’Istituto Sperimentale Stradale del TCI, e prima ancora da Gerelli.260 Nello stesso anno il Touring conduce un’altra 255 L. V. Bertarelli, Dalla semina al frutto, art. cit., p. 944. G. Ruata, La “tassa di soggiorno”, in tre puntate su «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 4, aprile 1921, pp. 391-7; in n. 5, maggio 1921, pp. 513-18 e nell’anno XXIX, n. 4, aprile 1923, pp. 403-8. 257 G. Vota, I Sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., p. 235. 258 A. Bemporad, Le vie del cielo, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 3, marzo 1921, p. 241 e vd. anche la continuazione Le vie del cielo. I turisti di 2000 anni or sono, in ivi, n. 8, agosto 1921, pp. 819-25. 259 C. Albertini, Regolamento di circolazione, in ivi, anno III, n. 6, giugno 1919, pp. 349-53; Id., Per la sicurezza della circolazione, in ivi, n. 8, agosto 1919, pp. 481-6. Cfr. G. Vota, I Sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., p. 221. 260 A. Gerelli, Il codice della strada, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 11, novembre 1921, pp. 120510 e I. Vandone, Il nuovo “Codice dell’automobile”, in ivi, anno XXVIII, n. 2, febbraio 1922, pp. 17880. 256 81 campagna inerente ai mezzi circolanti sulle strade, vale a dire biciclette ed automobili, e questa volta non si tratta di sensibilizzazione, ma di opposizione ad un decreto governativo. Vandone, Bertarelli e Gerelli dalle pagine delle «Vie d’Italia» si schierano contro gli eccessivi oneri fiscali imposti alle biciclette, agli autoveicoli, ai motocicli e ai carburanti al fine di raggiungere un difficile pareggio del bilancio statale nell’Italia del dopoguerra.261 Controproducente allo stesso sviluppo industriale appare infatti l’atteggiamento del governo atto a considerare questi mezzi di trasporto come beni di lusso e quindi soggetti a forte tassazione. Per Bertarelli e il suo sodalizio, pragmatico e aperto agli imminenti sviluppi, questi non sono mezzi da diporto, bensì strumenti di lavoro, rispondenti ai bisogni dei liberi professionisti, degli industriali, dei piccoli commercianti e degli agricoltori. Attraverso questa battaglia la tassa di lusso è presto ritirata, mentre permane una tassazione piuttosto forte sulla circolazione, calmierata dall’atteggiamento vigile del Touring. Carlo Bisi del «Corriere dei Piccoli» interpreta Le vie del cielo di Azeglio Bemporad, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 3, marzo 1921, p. 241. 261 I. Vandone, La tassa di lusso sulla bicicletta, in ivi, anno XXVII, n. 6, giugno 1921, pp. 632-5; Id., La tassazione dei veicoli a motore negli Stati Uniti d’America, in ivi, n. 10, ottobre 1921, pp. 1073-4; L. V. Bertarelli, Per l’automobile e la bicicletta “strumenti di lavoro”, in ivi, n. 7, luglio 1921, pp. 690-99; Id. e E. Perotti, Per uno sgravio fiscale della benzina, in ivi, anno XXIX, n. 1, gennaio 1923, pp. 49-56; A. Gerelli, Per l’auto italiana “strumento di lavoro”, in ivi, anno XXIX, n. 9, settembre 1923, pp. 989-1000. 82 2. ARRIVI E PARTENZE. DA MUSSOLINI AL POTERE ALLA MORTE DI BERTARELLI (1922-1926) 2.1 «UN ANNO DI GRAZIA» PER BERTARELLI «L’anno 1922 può dirsi caratterizzato dalle sommosse, dalle risse civili, dai turbamenti della vita pubblica che portarono alla conquista del potere da parte del fascismo. I Dirigenti del Touring vigilano e attentamente osservano come il nuovo partito si appresta a realizzare i propri postulati, sia quelli ereditati da altri movimenti quali l’esaltazione dell’italianità, l’affermazione della nostra Patria nel mondo, il riconoscimento delle sue grandi benemerenze nel primo conflitto mondiale; sia gli altri definiti rivoluzionari, tendenti alla creazione di un preteso ordine nuovo. L. V. Bertarelli, e il Consiglio unanime, confermano l’indirizzo e il carattere di indipendenza dati al Sodalizio fin dalle origini per preservarlo dai pericoli di ingerenze politiche, per mantenerlo estraneo alle competizioni, alle passioni, alle tendenze di parte. […] Definito l’atteggiamento di indipendenza da assumere, si continuò a battere le vie del passato: e anche il 1922 fu un anno di fervide attività e fecondo di concreti risultati».1 Con queste parole, estendibili anche al destino delle «Vie d’Italia», Attilio Gerelli riassume la situazione del sodalizio all’alba del Ventennio. Nei tempi turbolenti dello squadrismo e degli scioperi operai, di certo non favorevoli, «tutti lo sappiamo per dolorose ragioni»,2 il Touring e la sua pubblicazione s’apprestano a cominciare «un anno di grazia […], di ascesa, di consolidamento della compagine dei Soci, anche se non di consolidamento finanziario (le finanze ci fanno sempre paura). Anno buono dunque: sboccierà [sic] molto lavoro».3 Il 1922 finalmente segna l’inizio di una crescita costante e durevole, dopo gli anni altalenanti per l’associazione della guerra e del dopoguerra, che avevano visto oscillare il numero dei soci dai massimi del 1917 e del 1 A. Gerelli, I cinquant’anni del Touring, Bozze di stampa, cit., p. 129. L. V. Bertarelli, Fatti e presagi, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 2, febbraio 1922, p. 114. 3 Ivi, p. 115. 2 83 1919 con rispettivamente 175.720 e 178.924 membri, dovuti a un forte sentimento patriottico-nazionalistico e al riequilibrio post-bellico, fino ai minimi del 1920-21, quando aumenta la quota sociale, la rivista unificata del sodalizio cessa di essere gratuita e si ritorna sulle cifre dell’anteguerra con circa 162.000 iscritti. Le ragioni dell’ascesa del Touring, che raggiunge entro la fine del fatidico 1922 i 200.000 soci4 e tocca quota 300.000 nel giugno del 19255 (mentre nel 1924, data del trentennio dell’associazione, gli abbonati a «Le Vie d’Italia»6 arrivano a 165.000), possono risiedere nell’impegno a continuare a «battere le vie del passato», tenendo saldi i valori fondativi del sodalizio, ispirati all’italianità e alla sua valorizzazione.7 Tali valori, che già nel periodo bellico improntato a un fervido nazionalismo avevano mobilitato le energie collettive, certamente non possono che riscuotere consensi nel nuovo clima politico, pur destreggiandosi nel mantenimento dell’indipendenza del Touring medesimo: «questa indipendenza non doveva essere intesa come indifferenza verso i problemi della vita nazionale, ma come disinteresse alle mutevoli vicende dei partiti».8 Quanto scritto sulla «Rivista Mensile» nel 1901,9 l’8 novembre del 1924 in occasione 4 Duecentomila!, in ivi, anno XXVIII, n. 11, novembre 1922, p. 1079: «L’avvenimento si è compiuto nella giornata di lunedì, 16 ottobre. […] Così è avvenuto che il numero di 200.000 Soci, che nelle Vie d’Italia dell’agosto scorso segnammo come aspirazione ardita per la fine di quest’anno, è già stato toccato e oltrepassato due mesi e mezzo prima che l’anno finisca». Cfr. anche l’editoriale di L. V. Bertarelli, carico del consueto pragmatismo, rafforzato dalla metafora esemplificativa che rifugge filosofismi vani: Duecentomila Soci raccolti nel tuo nome, o Italia! Le ali e il peso, in ivi, anno XXIX, n. 1, gennaio 1923, pp. 1-4: «Nel febbraio dell’anno scorso le Vie d’Italia pubblicavano a questo stesso posto d’onore un articolo quasi programmatico: Fatti e presagi. Erano i propositi e le speranze di allora. Chi lo rileggesse oggi si accorgerebbe che i fatti sono andati ben oltre le attese. […] Ma già il cenno fatto giustifica il sottotitolo di questo articolo: Le ali e il peso. È l’eterno conflitto fra le aspirazioni e le possibilità. Un filosofo direbbe che, in sostanza, è lo spirito che vuol sempre astrarre dalla materia. Ma noi non siamo filosofi e sfuggiamo le astrazioni come la peste. Ci rassegniamo ad essere più modestamente classificati solo fra gli uomini pratici di buona volontà. […] Non ci manca del tutto, crediamo, l’ala; ma le proporzioneremo il peso». 5 300.000, in ivi, anno XXXI, n. 8, agosto 1925, pp. 851-2. 6 Relazione del Consiglio per l’esercizio 1924, in ivi, anno XXXI, n. 5, maggio 1925, p. 468: «Le vie d’Italia avevano già raggiunto nel gennaio del ‘25 la tiratura di 165.000 copie non avvicinata da altra pubblicazione periodica italiana di pari portata». Cifre che di lì a un anno creeranno problemi come si legge nei Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta del 3 marzo 1926: «LE VIE D’ITALIA hanno dato quest’anno un passivo di L. 37.700 dovuto all’aumento del costo della carta negli ultimi mesi, ed anche al crescente aumento della tiratura che riduce gli introiti della pubblicità». 7 Scrive Giuseppe Bozzini in occasione dei novant’anni dell’associazione: «forse più che di nazionalismo si dovrebbe parlare di “italianità” del Touring, traducibile in amore per il proprio Paese, orgoglio di esserne cittadino, gelosa cura del suo decoro e della sua dignità», G. Bozzini, Turismo insieme: l’associazionismo e il Touring Club Italiano, in 90 anni di turismo in Italia, Milano, Touring Club Italiano, 1984, p. 37. 8 A. Gerelli, I cinquant’anni del Touring, Bozze di stampa, cit., p. 129. 9 O. Brentari, Turismo politico, in «Rivista Mensile», anno VI, n. 8, agosto 1901, pp. 233-4. «Di politica – Dio ce ne salvi e liberi per tutta l’eternità – non parliamo, e non vogliamo parlare nella Rivista; e se alla legge che ci siamo imposta facciamo questa volta eccezione, ciò avviene perché dobbiamo deplorare che 84 del trentennio del Sodalizio viene ancora ribadito nel discorso commemorativo di un Bertarelli che un anno e due mesi più tardi se ne andrà in un momento di transizione epocale per la storia delle istituzioni italiane, lasciando al Touring il vuoto di una forte unità identitaria, che la sua personalità era stata in grado di catalizzare. Coincidenza vuole che tale discorso venga pubblicato su «Le Vie d’Italia» nel gennaio 1925, quando Mussolini alla Camera fa «tutto un altro discorso», e le parole di Bertarelli possono apparire al presente discutibili: «con questi mezzi [ndr: un patrimonio di oltre 10 milioni di lire] ha pur permesso di condurre notevoli lavori, tutti secondo una costante e inflessibile direttiva: far conoscere l’Italia agli Italiani, riunirli nel campo turistico in una grande famiglia, all’infuori di ogni partito politico, pienamente libero ciascuno in questo campo, a condizione che tutti abbiano come loro vessillo il tricolore, la grande patria italiana nel pensiero e nel cuore, la legge fondamentale dello Stato come base delle loro convinzioni».10 Di fatto, questa apartiticità manifestata in più occasioni dal Touring, che comunque non disdegna, come del resto il ceto medio-borghese, un ritorno all’ordine sia pure autoritario, senza prevederne tuttavia gli esiti dittatoriali,11 non tradisce il consueto interesse verso i problemi del turismo in Italia, della propaganda all’estero, della condizione delle strade e delle strutture ricettive, temi che in uno stato liberale ormai compromesso riescono ancora – per poco – ad essere sollevati e spesso risolti sotto gli auspici di un Touring estero si faccia della brutta politica anti italiana», con esplicito riferimento di seguito alla questione dei confini dell’Italia sul versante nizzardo, segnati tutti «a nostro danno», oggetto della pubblicazione del fascicolo La Savoie del Touring Club de France. 10 La Direzione del TCI, Il trentennio del Touring, in «Le Vie d’Italia», anno XXXI, n. 1, gennaio 1925, p. 3. Sull’apoliticità del Touring e sul suo nazionalismo in questi anni di transizione cfr. R. J. Bosworth, The Touring Club Italiano and the Nationalization of the Italian Bourgeoisie, cit., pp. 391-2: «Although TCI members were unlikely to applaud those who insulted the nation, a sharing of Fascism’s patriotism did not mean an automatic or uncritical commitment to a Fascist regime. Luigi Vittorio Bertarelli, for one, had scarcely plumbed the full meaning of the new national order». 11 Cfr. D. Bardelli, L’Italia viaggia. Il Touring Club, la nazione e la modernità (1894-1927), cit., p. 426: «Nella cultura del Touring Club Italiano questa opzione non appare casuale, o determinata dalla condiscendenza nei confronti del fascismo governante e poi imperante; piuttosto sembra il coerente sviluppo di una mentalità che, delusa dal liberalismo, colse nel fascismo l’istanza promotrice dello sviluppo tanto lungamente atteso e inseguito, che la vittoria in guerra aveva mostrato raggiungibile». Lo stesso Bertarelli sempre distintosi come liberale moderato, «nel 1924 se ne staccava appunto perché gli sembrava che la via seguita non fosse quella rispondente agli interessi del Paese», in A. Gerelli, L. V. Bertarelli nella vita privata, in «Le Vie d’Italia», anno XXXII, n. 2, febbraio 1926, p. 261. 85 dalle istituzioni private.12 L’operato del Touring è quindi riportato e seguito nel suo evolversi all’interno della rivista come sempre, in questi ultimi spazi concessi all’iniziativa privata, dal momento che «la Marcia su Roma aveva portato alle direttive del Governo le classi nuove organizzate e legate dal Fascismo, ed erano ormai fiorenti le istituzioni statali e parastatali, che avevano abbracciato con nuovo impeto anche tutte le forme della vita sportiva e organizzato le industrie turistiche e alberghiere. Quelle attività pratiche che il Touring, sulla base associativa, aveva saputo promuovere, diventavano ora in gran parte oggetto di pubbliche cure. […] Il Touring, pur non abbandonando questi campi, doveva indirizzare le sue attività a nuovi obbiettivi».13 Questa lucida constatazione elaborata nel mezzo degli anni Trenta, da cui non trapelano però rimpianti dacché la «Patria ‹è› in piena ascensione, sotto la guida del suo Duce»,14 testimonia come la rivista dal 1922 in poi, dopo aver divulgato e favorito «tutte le pratiche del turismo, senza abbandonarle, volgeva ora principalmente ad una attività culturale»,15 grazie alla valida opera di Bognetti e soprattutto a quella più umbratile di Rusca, che lascerà «Le Vie d’Italia» e il Touring un anno dopo la morte di Bertarelli per la Mondadori di Senatore Borletti, in un’Italia avviata alla costruzione di uno stato totalitario con l’attuazione delle «leggi fascistissime». L’indirizzamento di matrice culturale messo in opera in seguito alla fusione dei due periodici porta nel luglio 1922 ad un primo riconoscimento ufficiale in una circolare del Ministero della Pubblica Istruzione del governo Facta, in cui si segnala la rivista alle scuole medie e superiori «quale strumento efficace di diffusione e di volgarizzazione della coltura».16 Tale orientamento non prevale ancora completamente sullo spirito tecnico e pratico degli albori, che fino a quel momento trova qualche campo d’azione. 12 Cfr. A. Mortara, Le associazioni italiane, Milano, Franco Angeli Editore, 1985, p. 14: «nell’assenza di una qualsiasi forma di intervento diretto in una politica di settore, che era tipica dello Stato liberale per ciò che riguardava molti campi delle attività economiche e sociali, le associazioni volontaristiche, e specialmente il Touring club, avevano cioè sopperito alle esigenze collettive emergenti, creando i presupposti dell’intervento dello Stato durante il periodo fascista». 13 A. Solmi, Giovanni Bognetti. Discorso commemorativo pronunciato nella sede del Touring Club Italiano in Milano, il 27 giugno 1935, anno XIII, per l’inaugurazione del busto in bronzo, pp. 23-4, Archivio Storico del TCI. 14 Ivi, p. 30. 15 Ivi, p. 23. 16 Relazione del Consiglio per l’esercizio 1922, in «Le Vie d’Italia», anno XXIX, n. 5, maggio 1923, p. 469. 86 È il caso della mancanza di cartelli indicatori e di comune sulle strade italiane. Negli anni Venti, continuando l’opera intrapresa sin dagli esordi dell’associazione con l’istituzione della Commissione Permanente per le Segnalazioni Stradali, il Touring denuncia questa lacuna e unisce i propri sforzi a quelli di importanti industrie nazionali i cui interessi convergono nello sviluppo del turismo e dei trasporti in generale, costituendo un Consorzio con la FIAT e la Pirelli, per un lotto di 20.000 cartelli stradali.17 Per dirla con Gadda, estimatore «del Vitòri, del Lüis» e dell’ambrosiano sodalizio, nonché presumibilmente assiduo lettore de «Le Vie d’Italia» e dal 1938 al 1941 anche collaboratore:18 «I milanesi, il Luigi Vittorio, avevano perseminato l’Italia del seme raro de’ loro ammonimenti, dei loro “cartelli stradali”. Il loro spiccato semaforismo, un bel dì, fece dello stivale vecchio, un semaforo nuovo. Ammonir le genti, inculcare a’ velocipedastri il rispetto delle discipline viatorie, e, a un tempo, del loro osso del collo: insegnare al prossimo come si fa a star al mondo: rizzar ferri in tutt’Italia, inarborarvi “cartelli stradali” smaltati per oblazione pubblica, di quella voglia si sentan venir la bava: presi a pretesto i più innocui, i più sonnacchiosi livelli, ogni curva, ogni bifurcazione, ogni cunetta, come dicano loro, ogni zanella».19 17 Cfr. L. V. Bertarelli, Un anno del Consorzio Touring-FIAT e Touring-Pirelli per i cartelli indicatori, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 3, marzo 1922, pp. 225-33. 18 Per queste ragioni, appare incongrua la genesi erronea dell’inno del Touring contenuta nel Pasticciaccio: «nato in Valtellina alla musa ipocarducciano-iposàffica di Giovanni Bertacchi: nobilmente cesurato inno, come la Marsigliese, e come ogni inno in genere, dall’impeto ardimentoso del refrain: di quel ritornello così caro a tutti i cuori de’ soci vitalizi motociclisti: Avanti, avanti, via! Che esclude, come si vede, ogni possibilità di marcia indietro», in C. E. Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, in Id., Opere, Romanzi e racconti, vol. II, Milano, Garzanti, 1989, p. 159. Certo, il Bertacchi agli inizi del Novecento è considerato uno dei maggiori poeti dalla vena carducciana, tuttavia, l’inno del Touring è da attribuire a Olindo Guerrini, che si firma sotto lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti. Capoconsole del Touring a Bologna, poeta dialettale e grande appassionato della bicicletta, già collaboratore della «Rivista Mensile», nel 1897 prende l’impegno di scrivere l’inno del Touring durante il Convegno Ciclistico di Bologna. Ancora nel 1900, l’associazione non ha un inno e la appena sorta ma già seguitissima «Domenica del Corriere» indice un concorso, la cui giuria è composta tra gli altri nomi da Arrigo Boito e Augusto Guido Bianchi. Guerrini vi partecipa e vince con Salute!, poesia che rappresenta «l’omaggio che il turista entusiasta rivolge alla patria» e che verrà poi musicata dal maestro Gellio Benvenuto Coronaro. Cfr. L’inno del Touring, in «Rivista mensile», anno VI, n. 7, luglio 1900, p. 124. Per un quadro di riferimento gaddiano in rapporto all’ambiente milanese, ivi compreso il Touring, cfr. E. Manzotti, Carlo Emilio Gadda, in E. Malato (a cura di), Storia della letteratura italiana, Roma, Salerno Editrice, 1999, vol. IX, Il Novecento, pp. 605-81; disponibile anche in «The Edimburgh Journal of Gadda Studies», anno 2007, n. 5. 19 C. E. Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, cit., pp. 158-9, e più avanti a p. 267, in un altro passo descrittivo della campagna romana attraversata da un frenetico andirivieni di commissari e 87 Esaurita velocemente la collocazione delle segnalazioni, di quei «simboli venuti di Milano»,20 il Touring sul finire del ‘22 pensa a organizzare un altro Consorzio, questa volta con la Società Italo-Americana per il Petrolio (Benzina Lampo), per porre 10.000 cartelli di comune, rifacendosi al successo dell’esperienza precedente: «noi avevamo l’esempio dato da noi stessi col Consorzio con FIAT e con Pirelli per i cartelli indicatori. […] Ispirandoci a questo esempio ci siamo chiesti se era impossibile rinnovarlo per i cartelli di Comune. Impossibile? Si attribuisce a Napoleone una frase cruda: “Impossibile è parola del dizionario degli imbecilli”; e siccome noi, poco modestamente, non ci riteniamo tali, ci dicemmo: difficile sì, impossibile no».21 E sulla scia della filosofia lessoniana e della letteratura smilesiana,22 pilastri della formazione bertarelliana e best sellers dell’epoca pubblicati da Barbèra e da Treves, pragmaticamente la toponomastica si materializza. La diffusione rapida e il potenziamento dei motori che sfrecciano in paesi, a cui il Touring si preoccupa di dar voce tramite un preciso «cartello geografico-statistico», porta nel medesimo anno allo marescialli in sella a motociclette Guzzi, sulle tracce del topazio di via Merulana, Gadda di nuovo ritorna sulle «zanelle», le cunette lombarde, e sul relativo operato del Touring, con ironia e tendenze iperboliche: «Ma la macchina andò: andava. Filava contro vento, con radi chicchi di pioggia ai cristalli: con dei sussulti impreveduti a certe zane, a certe cunette non ancora verbalizzate dal Touring». 20 Ivi, p. 158. 21 L. V. Bertarelli, Due milioni per diecimila cartelli di Comune. Un Consorzio fra il Touring e la Società Italo-Americana pel Petrolio, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 10, ottobre 1922, p. 963. 22 M. Lessona, Volere è potere, Firenze, G. Barbèra, 1873: agli inizi del Novecento è tra pochi libri italiani ad aver venduto più di 20.000 copie. Discorso analogo per S. Smiles, Self-help, London, Murray, 1859, che apre anche in Italia un vero e proprio filone letterario-editoriale, trovando sede nella «Biblioteca Utile» di Emilio Treves. Cfr. P. Govoni, Un pubblico per la scienza, Roma, Carocci, 2002, p. 154. 88 sviluppo di un piano per la costruzione della prima rete autostradale che collega Milano ai laghi Maggiore, di Como e di Varese. Il progetto è presentato al Touring dall’ingegner Puricelli, documentato e reso noto attraverso «Le Vie d’Italia», e «il nuovo Governo, entusiasta della iniziativa, concretò con inusitata prontezza le concessioni richieste».23 Dopo Bertarelli, che non viene certo meno al «sostanziale e tradizionale appoggio dovuto al primo ministro del regno»,24 è Italo Vandone a seguire sulla rivista l’evolversi e l’attuazione del piano, che «giunse poi a rapida maturazione, in forma non prima pensata, grazie al vivo interessamento con cui volle considerarla il Capo del Governo: Benito Mussolini. È quindi appena il caso di ricordare che cosa s’intenda col nome di “autostrada”, nome nato felicemente in terra italiana ed entrato oramai nell’uso, sebbene non ancora battezzato dalla Crusca: “una strada specialmente adatta per la circolazione degli autoveicoli e preclusa ad ogni altro veicolo”».25 L’inaugurazione della Milano-laghi costituisce dunque il primo incontro ufficiale tra il Touring e Mussolini, che in quella circostanza coglie l’occasione per far visita alla sede dell’associazione milanese in Corso Italia 10, lodandone il suo operato «sanamente e santamente nazionale e patriottico» e ricevendo in cambio una medaglia, riconoscente l’opera di «assertore delle più fresche energie».26 Mentre vede la luce la prima autostrada in Italia, l’«assertore delle più fresche energie» interviene, acclamato, in questioni lasciate in mano fino a quel momento all’intraprendenza del mondo associativo, aiutando quest’ultimo da un lato in maniera pronta, inattesa rispetto alle consuetudini politiche liberali, e dall’altro levandogli a poco a poco il suo stesso terreno operativo, senza che al momento ci si renda completamente conto. Il 1922 è l’anno di battesimo non solo dell’autostrada, ma anche del Gran Premio d’Italia che si corre nella nuova pista di Monza. Oltre a uno specialista di strade, ossia il già citato Vandone, ad occuparsi sulla rivista del tale evento vi è un noto 23 L. V. Bertarelli, Le autostrade Milano-laghi. L’opera del Touring, in «Le Vie d’Italia», anno XXIX, n. 1, gennaio 1923, p. 75. 24 D. Bardelli, L’Italia viaggia, cit., p. 424. 25 I. Vandone, Sei mesi di lavori per le “autostrade”, in «Le Vie d’Italia», anno XXIX, n. 12, dicembre 1923, p. 1283. Di Vandone vd. anche Le autostrade dopo un anno di lavoro, in ivi, anno XXX, n. 9, settembre 1924, pp. 947-53. 26 Vita del Touring, in ivi, anno XXIX, n. 5, maggio 1923, p. 551. 89 giornalista sportivo: Lando Ferretti, all’epoca vicedirettore alla «Gazzetta dello Sport», collaboratore delle pagine sportive del «Secolo» e del «Corriere», destinato a una rapida ascesa nelle vesti di fondatore del mensile «Lo sport fascista» e di abile presidente del CONI nonché portavoce di Mussolini fino alle leggi razziali.27 Ferretti, giovane professionista indiscusso, già tesserato fascista ancor prima della marcia su Roma,28 illustra le caratteristiche tecniche di questa pista-circuito e segue la cronaca della manifestazione, che vede protagonista l’automobile, trasformata da mezzo da diporto e strumento di lavoro a sport spettacolare, trionfo del progresso in una cornice paesaggistica altrettanto spettacolare: «Gli innumerevoli spettatori del Gran Premio dell’Automobile Club d’Italia che il 10 settembre si dettero convegno nel Regio Parco di Monza da tutti i centri della penisola e da molti dell’estero, se ammirarono le audacie sapienti degli uomini in corsa, la velocità, la “ripresa”, la linea delle vetture lanciate a velocità folli, ed anche la superba grandiosità del paesaggio, cui l’inclemenza atmosferica conferiva una precoce tinta di grigiore autunnale, non riuscirono, forse, in uno sguardo solo a comprendere e valutare tutta la vastità dell’opera compiuta con ritmo vertiginoso».29 Oltre ai motori, la cui trattazione da parte della rivista si allarga a coprire tutti gli sviluppi contemporanei da quello meccanico, turistico, lavorativo, finanziario fino a 27 La storia di questo intellettuale normalista, plurilaureato, che aveva trovato piena affermazione nel giornalismo sportivo e negli incarichi di rappresentanza del mondo dello sport – fu tra l’altro presidente onorario dell’Ambrosiana Inter – e poi nella comunicazione politica del regime, fino a manifestare dissenso nei confronti dell’alleanza con Hitler e delle leggi anti-ebraiche, è ripercorsa nel volume di F. Pettinelli e G. Grassi, Lando Ferretti, il giornalista di Mussolini, Pontedera, Bandecchi e Vivaldi, 2005. Per un profilo più agile del deputato Ferretti a capo dell’ufficio stampa di Mussolini, fautore nel 1931 della sezione di propaganda incaricata di diffondere articoli e opere esaltanti «la romanità, l’italianità e il regime», rimando a P. V. Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass media, Roma-Bari, Laterza, 1975, p. 77 e p. 91. 28 Ferretti firma la sua tessera fascista il primo luglio del 1922 (cfr. F. Pettinelli e G. Grassi, Lando Ferretti, il giornalista di Mussolini, cit., p. 19) e due anni dopo è eletto deputato. Probabilmente a questa altezza temporale è facile ipotizzare che sia stato il primo collaboratore tesserato fascista del mensile del Touring Club, ancora nelle salde mani redazionali di Rusca, attivissimo collaboratore del foglio antifascista «Il Caffé». 29 L. Ferretti, Il circuito di Milano, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 10, ottobre 1922, p. 966 e vd. anche I. Vandone, Il «Circuito di Milano» nel Parco di Monza (3-10 settembre 1922), in ivi, n. 8, agosto 1922, pp. 817-24. Tra gli altri articoli di Ferretti, sempre di argomento sportivo e automobilistico, ricordo: Dalla Coppa delle Alpi al Gran Premio d’Europa, in ivi, anno XXIX, n. 10, ottobre 1923, pp. 1078-86; Motori per tutti, in ivi, anno XXX, n. 2, febbraio 1924, pp. 183-8 e, infine, Il V Salone automobilistico di Milano, in ivi, anno XXX, n. 6, giugno 1924, pp. 659-66. 90 quello sportivo, sempre desta è l’attenzione nutrita verso il problema ricettivo e di propaganda, anche se oltralpe c’è Henry Aubert nella sua Chronique italienne (rubrica fissa della «Bibliothèque universelle et revue suisse») che si chiede: «mais est-il bien nécessaire de faire de la propagande en faveur de l’Italie? Ce pays n’est-il pas celui du monde où l’on voyage le plus? Ne voit-il pas accourir tous les printemps et tous les automnes les flots pressés de visiteurs?».30 Ma in questo che può esser considerato una sorta di primo «ritorno stampa» internazionale della rivista, solo accennata è la polemica contro l’installazione all’estero delle agenzie del Consorzio per gli Uffici di Viaggio e Turismo, sostenuta da Bertarelli e dalla sua rivista organo dell’ENIT,31 nonché molto apprezzata dallo stesso Mussolini,32 e si lascia il posto all’elogio de «Les Routes d’Italie», «revue mensuelle du Touring-Club italien. Ces fascicules sont variés à l’infini. Et quel souffle! Quelle grâce conquérante! Bien des magazines n’offrent pas une matière plus abondante, une illustration plus riche. Ils donnent des études pittoresques sur des lieux célèbres, des statistiques étonnantes, des renseignements pratiques sur une foule de choses. C’est par eux que nous savons que le Touring-Club italien comprend deux cent mille membres […]. Les Routes d’Italie nous informent, en outre, que le Touring-Club se propose de travailler à rendre plus confortables les hôtels de la Péninsule. Attendez-vous, ô touristes, à trouver bientôt de la banalité dans les maisons hospitalières italiennes. Redoutez qu’on ne change l’incomparable cuisine d’outremonts en une cuisine 30 H. Aubert, Chronique italienne, in «Bibliothèque Universelle et Revue Suisse», Lausanne, Bureaux de la Bibliothèque Universelle, anno CXXVIII, aprile 1923, p. 113. 31 Si vedano ancora sull’argomento gli articoli di Bertarelli: Impianti grandi di propaganda italiana, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 4, aprile 1922, pp. 395-99 e L’ENIT per l’italianità all’estero, in ivi, anno XXIX, n. 1, gennaio 1923, pp. 65-72. 32 Cfr. l’articolo di Bertarelli riportante una lettera di encomio di Mussolini sull’operato dell’ENIT e del Consorzio per gli Uffici di Viaggio e Turismo: «si può comprendere e misurare la soddisfazione colla quale il Presidente dell’ENIT, Senatore Rava, ha ricevuto dal Presidente del Consiglio, on. Mussolini, una meditata lettera che lo scrivente, Presidente del Consorzio, con piacere non minore ripete qui: “[…] La prego di gradire la mia parola di incoraggiamento per l’ENIT e per il Consorzio degli Uffici di Viaggio e Turismo: ad essi è affidato un compito essenziale per l’economia del Paese, come è quello di attrarre in Italia le grandi correnti turistiche mondiali, elementi primari per la ristabilizzazione della bilancia dei commerci e dei cambi e fonti di lucro per tutte le classi sociali.” MUSSOLINI. Questa lettera “fia suggel ch’ogni uomo sganni”». Con la chiusa dantesca, Inf., XIX, v. 21, Bertarelli, trova in Mussolini la garanzia di un’auctoritas a difesa dell’operato suo e dell’ENIT in L. V. Bertarelli, Parole dall’alto, in «Le Vie d’Italia», anno XXXI, n. 7, luglio 1925, p. 738. 91 internationale, sans couleurs et sans saveur!».33 Proprio sul finire del 1922 «Le Vie d’Italia» informano del Concorso per il miglioramento dei piccoli alberghi, in favore dei quali il Touring in collaborazione con l’ENIT stanziano equamente 115.000 lire.34 A. Cagnoni, in L. V. Bertarelli, Il Touring e l’ENIT associati per un’opera preziosa. Centoquindicimila lire per un concorso di miglioramento di piccoli alberghi, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 12, dicembre 1922, p. 1187. Nell’editoriale corredato dai disegni buffi e grotteschi di Amero Cagnoni, caricaturista del «Guerin Meschino», Bertarelli raccontando le proprie disavventure di viaggiatore, chiede, col solito piglio pratico, efficienza nel servizio e pulizia, in un’Italia i cui alberghi suscitano ancora nei viandanti esperienze da touristes del Gran Tour, correndo forse il rischio – che troverà compimento nell’epoca del turismo moderno e che viene lucidamente predetto dal giornalista svizzero – di standardizzazione dell’offerta. Bertarelli nei suoi racconti coloriti riprende topoi ben attestati dalla tradizione del voyage en Italie, da Moryson a Audebert, da Ray a Coryat,35 e del resto, più di tre secoli 33 H. Aubert, Chronique italienne, in «Bibliothèque Universelle et Revue Suisse», art. cit. L. V. Bertarelli, Il Touring e l’ENIT associati per un’opera preziosa. Centoquindicimila lire per un concorso di miglioramento di piccoli alberghi, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 12, dicembre 1922, pp. 1185-90. Vd. anche di A. Gerelli, La carta degli “alberghi mancanti” in Italia, in ivi, anno XXIX, n. 12, dicembre 1923, pp. 1365-70. 35 Cfr. A. Ceccarelli Pellegrino, Vitto e alloggio in Italia per i primi “turisti” europei: Montaigne e alcuni 34 92 dopo, ancora fondati nella realtà locale. Se Montaigne tirando le somme del suo viaggio tra nord e centro Italia non è poi tanto severo, diversamente dai suoi contemporanei, salvo poi seminare per il testo qualche critica a chiare lettere,36 Bertarelli dopo 340 anni si dimostra decisamente più intransigente verso una realtà ancora poco mutata e retrograda: «finalmente la gentile Margherita venne e fummo condotti nelle camere. Una bella disgrazia! […] Però l’impressione più ributtante l’ebbi coricandomi, per il puzzo profondo, penetrante, connaturato nel mobile, invadente a poco a poco tutta la stanza, del tavolo da notte, intriso ab immemorabili da orine fermentate».37 La sua frusta non sempre è però implacabile e la sua penna, «che risente naturalmente del gusto dominante in quel tempo, portato ad espressioni un po’ paludate o magniloquenti e a qualche non troppo segreto compiacimento per eleganze di carattere accademico (atteggiamenti da cui egli cercò sempre di rifuggire)»38 sa tendere anche all’introspezione psicologica, mantenendo pur desta l’attenzione verso i tempi dolorosi. Così in Materiale da costruzione, ossia le fondamenta di quel che sarà la Guida d’Italia per la penisola centrale, Bertarelli lascia un esaustivo e vivace reportage da quelle regioni, fornendo un quadro non soltanto dello stato delle strade (alle volte «scenografico» anche se «si dimentica per forza ogni bellezza pittorica per far attenzione alla vita»), e della condizione degli alberghi, ma soprattutto della gente e dell’Italia nel tempo di transizione. «Un giorno feci la colezione meridiana in un alberghetto, non peggiore di tanti altri, a Roccastrada. Poi girai nel paese, da curioso», chiedendo informazioni subito fornite «con quella grazia innata di popolo gentile, che la bellezza della lingua che parla fa ancor più toccante». A dar fondamento all’osservazione, riporta quindi i dialoghi in discorso diretto rendendo le varianti diatopiche suoi contemporanei, in Atti del congresso internazionale di studi di Milano-Lecco, 26-30 ottobre 1988, Montaigne e l’Italia, Genève, Slatkine, 1991, pp. 529-43. 36 Così si legge nella parte del journal De Pise à Lucques, redatta da Montaigne in italiano «A dire il vero per tutto dove io mi son fermato in Italia, fuora Firenze (perché là non mi partii dell’osteria, con que’ disagi che si trovano in tal case, massime quando fa caldo) e Venezia (dove fummo in una casa troppo publica e sconcia, avendo a starci poco tempo), ho sempre avuto alloggiamenti non buoni solamente, ma eziandio dilettevoli». A queste considerazioni vanno aggiunte quelle su alcune osterie toscane e pavesi: «la più cattiva di questo viaggio fu Il Falcone di Pavia. Qui si paga, et in Milano, la legna a partito: e si manca materassi a i letti». Rispettivamente in Montaigne, Journal de voyage de Michel Montaigne, Paris, Presses Universitaires de France, 1992, p. 195 e p. 221. 37 L. V. Bertarelli, Il Touring e l’ENIT associati per un’opera preziosa. Centoquindicimila lire per un concorso di miglioramento di piccoli alberghi, in «Le Vie d’Italia», art. cit., p. 1186. 38 G. Mazzotti, Luigi Vittorio Bertarelli nel centenario della nascita, cit., p. 22. 93 « – Ma tu sei l’albergatore? – L’albergatore è “‘l mi babbo”. Mi accorsi allora che portava un nastrino rosso alla giacchetta e gli chiesi: – Ma sei forse socialista? – No, – mi rispose con serietà – sono comunista. Comunista! E intendiamoci, non all’ingrosso ma per distinzione da socialista, e a dieci anni, e figlio di albergatore! Accipicchio! qui la gioventù non è tardiva e anche non scherza. No, a Roccastrada non si scherza, malgrado la gentilezza di tutti. Pochi giorni dopo ero a Roma e lessi dell’eccidio del luglio: un’imboscata di comunisti contro fascisti, con 13 morti!».39 Al divertissement situazionale, che dal punto di vista autoriale si nutre del contrasto tra la figura sociale e il credo politico, sfociando nella giustapposizione accumulativa di esclamazioni ricalcanti il racconto orale, segue la constatazione della realtà storica, che porta ad esiti di pietas dantesca. Come nel caso di un altro ritratto, di due albergatrici incapaci del loro mestiere, di fronte a cui il traveller razionale e pratico non riesce a «trattenere un po’ di esplosione, ma così, un’escandescenza piccola piccola: d’altronde era difficile farsi sentire con quell’accidente di suonatore» di mandolino da cui fuoriescono «suoni inauditi», che se ne sta seduto nella hall – per adoperare l’anglicismo tecnico dell’autore. Di nuovo la situazione grottesca mostra il suo lato Bertarelli fotografato nelle grotte di Postumia amaro, questa volta nei discorsi riportati, cui seguita la riflessione: « “Che vuole? Lei ha ragione. Non è nostro mestiere. […] avanzi di vecchi splendori: scusarci.” […] deve “La vecchia mi ha detto che è una marchesa moglie di un colonnello. E la ragazza è la marchesina.” Un dramma dunque: forse una 39 L. V. Bertarelli, Materiale da costruzione, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 8 agosto, pp. 758-9. 94 tragedia. […] Questo ricordo, in cui c’è un sentimento di compianto, mi fa cadere la penna di mano e mi arresto».40 Bertarelli, prima di arrestare definitivamente la penna, operativa fino agli ultimi giorni della sua vita, continua a seguire personalmente le esplorazioni nelle grotte carsiche, in particolare a Postumia, «eccezionale meraviglia turistica, che la guerra ci ha data», ove il Touring prosegue la sua opera di attrezzamento turistico, visionando da vicino i lavori per «la graziosa ferrovietta interna»41 alle spelonche. Non venendo meno ai vezzosi diminutivi di un padre orgoglioso che guarda le sue creature, Bertarelli seguita a orientare lo sguardo della rivista e del sodalizio verso le terre redente e le loro meraviglie più remote (e sotterranee) che creano già non pochi problemi al governo fascista,42 chiamando alla collaborazione i soliti massimi esperti di ogni settore. 2.2 GLI SPECIALISTI E LA QUESTIONE LINGUISTICA Tra i tanti specialisti che qui vedremo, è bene partire da Silvio Vardabasso. Il geologo istriano di fiera italianità, che si prodigò nelle trattative per la conferenza di Parigi per il nuovo confine orientale italiano con fini documentazioni cartografiche, non può trovare pubblico più vasto per uno dei suoi primi articoli, redatti ancora in qualità di assistente alla cattedra di geologia dell’università di Padova.43 Il futuro membro dell’Accademia nazionale dei Lincei, si presta per la prima volta alla scrittura scientifica divulgativa, 40 Ivi, p. 766. L. V. Bertarelli, Scoperte sensazionali e grandiosi lavori nelle grotte di Postumia, in ivi, anno XXIX, n. 10, ottobre 1923, p. 1057. Cfr. anche Id., Novità di Postumia, in ivi, anno XXXI, n. 6, giugno 1925, pp. 625-32. 42 Si veda il dossier su «FARINACCI ROBERTO», Archivio Storico del Touring Club Italiano, contente una velina del 25 novembre 1925, riguardante le condizioni politiche delle grotte di Postumia. La velina è scritta da Gian Battista Rubatto, come promemoria per Farinacci Segretario Generale politico PNF, ed è volta all’epurazione della dirigenza delle Regie Grotte, a cominciar dal Direttore Generale Andrea Perco, Segretario politico del PNF della sezione Postumia. Questi, infatti, «cittadino italiano per opzione» (sottolineato), risulta avverso al fascismo già nel 1922, nonostante la nomina fascista nel circondario di Postumia «covo di sovversivi: centro irredentista sloveno sotto la vecchia monarchia austro-ungarica, il circondario di Postumia è rimasto anche dopo l’armistizio con una popolazione prevalentemente slovena». Nonostante l’arrivo di circa cinquecento italiani, attratti dal miraggio di facili guadagni, di cui è sempre fonte una stazione di confine, è forte e sentito più che altrove il problema dell’italianizzazione forzata, che diventa ora una fascistizzazione forzata delle terre redente, animate dall’irredentismo opposto, sloveno appunto. Nella velina si esorta un’opera di educazione e di controllo sulla vita associativa, ricorrendo a ogni mezzo, anche alla forza («il manganello»). 43 Cfr. F. Mancini, Silvio Vardabasso (1891-1966), in «Bollettino della Società Geologica Italiana», Roma, anno LXXXVIII, 1969, pp. 551-64. 41 95 andando al di là della solita ristrettissima cerchia di studiosi, le cui ricerche appaiono in inaccessibili atti dei convegni. Orienta pertanto il discorso in maniera piana e dal punto di vista turistico, al fine di presentare «la spiccata individualità geografica» della sua Istria interna, dimenticata a favore dell’aerea costiera, «tutta insenature e porti, con le sue simpatiche cittadine di tipo prettamente veneto».44 A parte le «simpatiche cittadine», che ben connotano l’attacco dell’articolo divulgativo, tipico della rivista, dal punto di vista stilistico, stando a quanto aveva decretato il Panzini per l’aggettivo «simpatico»,45 Vardabasso si addentra nell’Istria delle fòibe con il suo bagaglio di giovane scienziato del quale non sempre riesce ad alleggerirsi, confidando forse eccessivamente nella specializzazione dei lettori del mensile: «come è generalmente noto essa è una regione a pieghe formata per la maggior parte da terreni calcarei del cretaceo e dell’eocene, nonché da marne e arenarie pure eoceniche e solo in via subordinata da alluvioni recenti».46 Certamente meno ostici devono invece apparire ai fedeli soci abbonati i resoconti delle escursioni e dei primi campeggi del Touring nell’Alta Val Contrin, ai piedi della Marmolada, e in seguito a Postumia, organizzati e documentati dal ragioniere Mario Tedeschi e poi anche dall’amico germanista Ervino Pocar. Nel 1913 Mario Tedeschi è cooptato da Bertarelli in persona, che probabilmente aveva riconosciuto in lui un abile animatore (e presidente dal 1911 al 1912) della Sezione milanese del Club Alpino Italiano.47 Gli incarichi che gli vengono subito affidati sono di segretario generale dal 1915 al 1923, e poi di consigliere fino alla morte, avvenuta nel 1944. A lui, amante dell’alpinismo individuale, convertito in fervido promotore dell’alpinismo popolare e dell’escursionismo di massa, coordinatore di spedizioni montane con centinaia se non migliaia di partecipanti,48 il Touring affida giustappunto 44 S. Vardabasso, Attraverso l’Istria interna, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 9, settembre 1922, p. 895. 45 Cfr. A. Panzini, Dizionario moderno, Milano, Hoepli, 1905, alla voce «simpatico»: «In nobile prosa mi paiono voci evitate nel semplice senso di bello, attraente, geniale, caro. Es. “una città simpatica” certo non si direbbe». 46 S. Vardabasso, Attraverso l’Istria interna, art. cit., p. 896. 47 G. Bertarelli, Mario Tedeschi. Un alpinista che ebbe delle idee ed una sola tenace passione: la grande montagna, in «Lo scarpone», anno XIV, n. 5, 1 marzo 1944, p. 1. 48 G. Vota, I sessant’anni del Touring Club Italiano 1894-1954, cit., p. 193: «guidò per anni comitive di amici e Soci del CAI, e nel 1911 si cimentò per la prima volta nell’organizzazione di una manifestazione alpina di massa, l’escursione al Passo di Zocca e alla Cima di Castello, con 600 partecipanti. Seguirono nel 1912 l’escursione detta “dal Cervino al Rosa” con 1026 escursionisti, fra cui vari membri della Direzione del TCI, e nel 1913 l’escursione in Cadore con 760 partecipanti». 96 l’organizzazione delle escursioni sociali e del turismo scolastico, con evidente attenzione per l’ambiente alpestre, il quale pone non pochi problemi: dall’approvvigionamento dei viveri all’alloggio. Dopo essersi prodigato durante il conflitto nell’opera per i doni ai Combattenti e messosi in gioco nell’iniziativa filantropica del Villaggio alpino del TCI per i bambini orfani di guerra e bisognosi, si impegna per la democratizzazione e la migliore godibilità del turismo montano, proponendo come «antidoto alla deprimente vita cittadina»49 il primo campeggio del Touring. Esso «non costituiva certamente una novità. Da tempo si organizzano Tendopoli […] ma queste Tendopoli erano e sono riservate ai giovani o ai piccoli gruppi di persone»,50 il Touring, invece, si indirizza alla classe borghese, ma anche piccolo borghese, non più giovanissima, desiderosa di svaghi e diversivi a prezzi non elitari, senza tuttavia rinunciare a comodità e servizi faticosamente conquistati. Trecento soci, organizzati in due turni e sistemati in tende dotate di pavimento, servizi igienici, cucina e «baracchetta» di ritrovo per i cori serali alla Patria, partecipano al primo campeggio, «omaggio a una delle più belle vallate trentine, che ha nobilissime tradizioni di italianità».51 Non è un caso che la prima escursione sociale sia organizzata nella Venezia Tridentina nell’immediato dopoguerra e che il primo campeggio vanga allestito in queste terre, prima di confine, baluardo d’italianità aspramente segnato dal conflitto. Il Touring da sempre, con le altre associazioni post-risorgimentali, dalla Società Dante Alighieri al CAI, si fa promotore della lingua e cultura italiana, trovando certamente il beneplacito anche da parte del regime, ma pure già qualche malcontento dovuto all’apertura e al progressismo linguistico tipico del sodalizio, che non esita a rispondere alle critiche con fierezza poco malleabile, costretta poi a smussarsi in accondiscendenza, tacita o ossequiosa, negli anni a venire. In questo senso, appare quindi di gran peso il cappello introduttivo di matrice redazionale, non firmato e riconducibile probabilmente a Luigi Rusca, dell’articolo di Tedeschi inerente al secondo campeggio del TCI: «L’Italia è invasa, specialmente dopo la nuova tassa sulle insegne in 49 M. Tedeschi, Il primo campeggio del Touring nelle Dolomiti di Fassa, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 10, ottobre 1922, p. 1025. 50 Ibidem. Circa l’utilizzo della voce «tendopoli» come sinonimo di campeggio, con cui è spesso sostituita, cfr. A. Panzini, Dizionario moderno, Milano, Hoepli, 19509, p. 104: «Campeggio: vita all’aria aperta, in tende. Da principio si disse anche camping. Campeggio Dux. V. Tendopoli». Nell’edizione del 1918, la terza, il vocabolo è invece assente. 51 M. Tedeschi, Il primo campeggio del Touring nelle Dolomiti di Fassa, art. cit., p. 1029. 97 lingue straniere, da un’ondata di purismo, di cui non possono non rallegrarsi quelli che, come noi, ritengono essere la lingua il più chiaro e palese segno della nazionalità. Come sempre per ogni buona causa, anche per questa le esagerazioni rischiano di guastarla: e noi abbiamo dovuto ricordare per l’ennesima volta che “Touring Club” è denominazione di carattere universale, non particolare a una nazione, così che l’hanno adottata e l’hanno ritenuta intraducibile tutti gli Stati in cui sorse un’associazione con intenti simili alla nostra: dalla Francia all’Uruguay; dalla Germania alla Svizzera, al Belgio, ecc. Ora poi ci venne rimproverato anche l’italianissimo campeggio, quasi fosse un semplice travestimento del camping. Ma noi rimandiamo i troppo zelanti difensori dell’idioma gentile alla veneranda Crusca, che nel suo poderoso vocabolario (seguito dai fratelli minori) registra il verbo campeggiare nel significato più analogo a quello in cui l’usiamo noi».52 In nota a piè di pagina vi è poi il finissimo rimando a «I fatti di Enea di Frate Guido da Pisa, uno dei più antichi testi di lingua della nostra letteratura, a la Rubrica XXXV è detto che Turno impose a parte dei Rutuli “che il dì e la notte andassero ciascuno a vicenda intorno a’ fossi de’ Troiani l’altra gente campeggiasse dintorno”».53 52 Nota redazionale all’articolo di M. Tedeschi, Il campeggio del Touring nella conca di By, in «Le Vie d’Italia», anno XXIX, n. 11, novembre 1923, p. 1181. Circa il primo significato del verbo «campeggiare» riportato dal Vocabolario degli accademici della Crusca, Firenze, Tipografia Galileiana, 18665, vol. II, p. 444: «Essere o Stare a campo, ossia Essere accampati». Per ciò che concerne il riferimento legislativo, si tratta del regio decreto legge 11 febbraio 1923, n. 352 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 20 marzo 1923), sui materiali tassabili: «Sono soggetti alla tassa le insegne e qualunque forma di avviso, richiamo di pubblicità o indirizzo relativo allo esercizio di industrie, commerci, professioni, arti e qualsiasi attività a fine di lucro». Il riferimento è in particolare all’articolo 4: «Quando si tratta di insegne in lingua straniera l’applicazione della tassa è obbligatoria ed è fatta in misura quadrupla a quella che, per ciascuna categoria di Comuni, è indicata nell’articolo precedente con un minimo di lire cento per insegna». Cfr. S. Raffaelli, Le parole proibite. Purismo di stato e regolamentazione della pubblicità in Italia (1812-1945), Bologna, Il Mulino, 1983, p. 127. Raffaelli sulla paternità della legge si sbilancia a favore dell’ipotesi di una sollecitazione immediata da parte della Società Dante Alighieri, in seguito al congresso di Zara del 1922, cfr. ivi, p. 125. 53 La citazione in nota al cappello redazionale dell’articolo in questione non è però riconducibile alla quinta edizione del Vocabolario della Crusca, cit., e nemmeno al Dizionario della lingua italiana di N. Tommaseo e B. Bellini, Torino, UTET, 1865. 98 La vita del nostro Campeggio in Val Malenco, in «Le Vie d’Italia», anno XXXII, n. 10, ottobre 1926, p. 1074. Se, quando si parla di campeggi, è Rusca, quasi certamente, a chiamare in causa i cruscanti custodi dell’idioma nazionale, d’altro canto, un altro giovane liberalantifascista, isontino d’origine, omaggia il dialetto meneghino, nel suo primo articolo apparso sul mensile dell’associazione, riguardante proprio il campeggio di Postumia. Ervino Pocar, appena emigrato a Milano da quelle terre del Nord-Est, sottoposte alla robusta italianizzazione fascista in nome della causa irredentista, trova accoglienza tra le file del sodalizio, sotto l’ala di Mario Tedeschi, al quale non era forse sconosciuto in quanto «amico buono e collaboratore prezioso» della sezione del CAI di Gorizia.54 È a Tedeschi che Pocar si sente subito maggiormente legato, occupandosi dell’organizzazione dei campeggi, delle escursioni in montagna e del turismo scolastico, scrivendo infine molti articoli per la rivista del Touring dedicata al turismo giovanile «La Sorgente», di cui sarà prima redattore e poi direttore fino al 1927.55 Il suo incarico 54 C. Macor, Ervino Pocar, Pordenone-Padova, Edizioni Studio Tesi, 1996, p. 54. Ringrazio particolarmente i figli Fausto e Valerio Pocar, conosciuti in occasione del convegno organizzato dalla Fondazione Mondadori a Milano il 26 ottobre 2010 dal titolo «Protagonisti nell’ombra», che hanno confermato le mie ipotesi sul ruolo del padre all’interno del sodalizio, aggiungendo anche ricordi e racconti familiari legati ai campeggi e ai sopralluoghi in Sicilia e in Calabria a Soveria Mannelli, 55 99 nel sodalizio comincia il 1° gennaio 1924, cercando di lasciarsi alle spalle i dolori goriziani legati soprattutto alla scomparsa dell’amico grecista Nino Paternolli, morto in un incidente in montagna l’anno precedente. Sin da principio, come si vedrà nell’incipit del primo articolo di Pocar apparso sulle «Vie d’Italia», ancor prima degli anni Trenta (come invece prudentemente registra Cusatelli nella prefazione a Ritratto di un germanista: Ervino Pocar), si nota il «sovrapporsi al Pocar goriziano, testimone delle sperimentazioni futuriste del fratello Sofronio e del vitalismo di Paternolli, di un Pocar milanese, sensibile “naturalmente” all’ethos della capitale lombarda, instancabile operatore nei ranghi di un’editoria che proprio allora stava sottraendo il primato a Firenze».56 Così segue l’omaggio al meneghino, presto imparato, in una Lombardia piccolo borghese italo-dialettofona, certo ben scolarizzata57 ma che nella vita di tutti i giorni parlava ancora l’idioma del Porta: «L’impressione che fece dapprincipio la lettura dell’appello lanciato dal Touring per il nuovo genere di campeggio: facce lunghe, incredule, dubbiose, magari di buoni meneghini più o meno alpinisti, con la classica nuvola uscente dalle labbra, in cui starebbe la frase: El campegg in dì grott?! Di fronte a questi una seconda serie rappresenterebbe i reduci dal campeggio: facce tonde, ilari, sorridenti, sodisfatte [sic], con le parole: L’era minga stüpid!»58 Il nuovo arrivato a Milano dimostra perfettamente di conoscere il pubblico al quale si indirizza l’operato del Touring, legato alle sue origini ambrosiane. Non siamo ancora al 1931, quando si giunge a vietare alla stampa qualsiasi riproduzione dialettale: «non pubblicare articoli, poesie, o titoli in dialetto. L’incoraggiamento della letteratura con un incontro ravvicinato coi lupi dell’Appennino. Circa i numerosi editoriali, spesso in sede di apertura, di Pocar sulla «Sorgente» segnalo: Ripresa, anno VIII, n. 1, 15 gennaio 1924, p. 1; Un viaggio d’altri tempi, anno VIII, n. 3, 15 marzo 1924, pp. 82-86 (racconto autobiografico delle scoperte giovanili delle cime friulane, quando non esisteva ancora il turismo scolastico), e il ricordo del Presidente del Touring Luigi Vittorio Bertarelli collaboratore de «La Sorgente», anno X, n. 2, febbraio 1926, pp. 9-10. 56 G. Cusatelli, Tanti libri, un libro, in N. Dacrema, Ritratto di un germanista: Ervino Pocar, Gorizia, Tipografia sociale, 1989, p. 8. 57 Nel 1921 nella regione lombarda la percentuale degli analfabeti era infatti attorno all’8,6% contro una media nazionale del 27,7%. Cfr. i dati e le statistiche riportate in G. Klein, La politica linguistica del fascismo, cit., pp. 34-37. 58 E. Pocar, Il campeggio di Postumia, in «Le Vie d’Italia», anno XXX, n. 11, novembre 1924, p. 1235. Cfr. anche gli altri articoli di Pocar dedicati ai campeggi del sodalizio, in particolare quello svoltosi in Val Malenco nel 1926: Che cosa sono i Campeggi del Touring, in ivi, anno XXXI, n. 11, novembre 1925, pp. 1247-58; Val Malenco, in ivi, anno XXXII, n.1, gennaio 1926, pp. 17-26 e La vita del nostro Campeggio in Val Malenco, in ivi, n. 10, ottobre 1926, pp. 1074-80. 100 dialettale è in contrasto con le direttive spirituali e politiche del Regime, rigidamente unitarie. Il regionalismo, e i dialetti che ne costituiscono la principale espressione, sono residui dei secoli di divisione e di servitù della vecchia Italia».59 Pocar e l’associazione hanno quindi ancora buoni margini d’azione anche espressivi, oltre che organizzativi: tanto che, prima dell’arrivo di Pocar, nel 1923 «Le Vie d’Italia», incuranti della legge del medesimo anno che impone alla penisola unicamente la toponomastica italiana, pubblicano due articoli di due linguisti svizzeri delle Università di Berna e di Zurigo, Jaberg e Jud, inerenti al progetto di Un atlante linguistico-etnografico svizzero-italiano, con dettagliatissime carte linguistiche dialettali.60 C. Jaberg e G. Jud, Un atlante linguistico-etnografico svizzero italiano, in «Le Vie d’Italia», anno XXIX, n. 5, maggio 1923, p. 489. Il periodo al Touring, vista l’apertura scientifica, tematica e internazionale, è da considerarsi anche per Pocar «un momento di pace e soddisfazione»,61 in cui egli in occasione del campeggio all’isola d’Elba62 conosce Cesira De Rosa che diventerà subito 59 Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Cultura Popolare, busta 155, fascicolo 10, citato in P. V. Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass media, cit., p. 422. 60 C. Jaberg e G. Jud, Un atlante linguistico-etnografico svizzero italiano, in «Le Vie d’Italia», anno XXIX, n. 5, maggio 1923, pp. 483-93 e Iid., Il turismo dei dialetti, in ivi, anno XXIX, n. 11, novembre 1923, pp. 1185-95. 61 C. Macor, Ervino Pocar, cit., p. 60. 62 Cfr. l’articolo di presentazione dell’iniziativa, redatto in occasione del sopralluogo su e giù «per certe stradellacce, facili ma mal tenute perché non vi passano se non capre e pastori», di E. Pocar, All’isola 101 dopo sua moglie, il 16 ottobre 1927. Fino a poco prima di questa data, Pocar continuerà a manifestare tutta la sua sensibilità sia verso il pubblico lettore che verso il pubblico partecipante alle attività da lui curate,63 poi, ufficialmente a causa di un permesso non concessogli dalla direzione, si dimette proprio nello stesso anno di Rusca, trovando posto prima nella redazione dell’Istituto geografico De Agostini e poi finendo nel 1934 nell’orbita mondadoriana, ove Rusca siede in qualità di condirettore generale, chiamando a sé nomi ben noti al Touring, come quelli di Borsa, Damerini, Mira e Tomaselli. 2.3 GIORNALISTI… DAL «CORRIERE» Francesco, detto Cesco, Tomaselli, in particolare, è assieme ad altri giornalisti, tra cui Tegani e Bongiovanni, un validissimo e fedele amico nonché collaboratore del Touring Club, svolgendo sia attività redazionale interna che di promozione nel proprio giornale delle attività del sodalizio, alle quali prende parte. Grazie all’operato di questi giornalisti in via di affermazione nei maggiori quotidiani italiani, il Touring ottiene quindi degli ottimi ed efficaci ritorni stampa, pressoché gratuitamente, senza necessitare di specifiche figure redazionali addette alla promozione e propaganda. Così, per quanto riguarda i nuovi campeggi del Touring, molte persone vengono subito «attratte dai resoconti e dalle descrizioni insolitamente particolareggiate della stampa italiana, rappresentata al Campeggio dagli amici Ulderico Tegani del Corriere, Giannetto Bongiovanni e Ciro Poggiali del Secolo, Carlo Sacco del Caffaro, Ercole Moggi della Stampa, Cesco Tomaselli del Gazzettino di Venezia […]. Essi ci furono ottimi compagni nelle d’Elba (la prossima escursione 24-26 settembre 1927), in «Le Vie d’Italia», anno XXXIII, n. 8, agosto 1927, pp. 905-10. 63 Cfr. i divertenti bozzetti contenuti nell’articolo di E. Pocar, Il campeggio di Postumia, art. cit., p. 1243: «Descriverli questi tipi? No, bisognerebbe farne un opuscolo a parte, coi suoi bravi pupazzi illustranti il “personaggio importante” grosso grosso dagli occhiali d’oro, con la faccia seria; il giovanotto che non vede l’ora di tornare la sera all’accantonamento per cambiar panni e farsi notare tutto azzimato in costume da città, alla “conquistatore”; la signorina romantica che fa risonar le selve e le grotte di canzoni languide; il generale in pensione che evoca, con acute osservazioni strategiche, l’epopea dell’ultima guerra; il caricaturista che, col ritratto del direttore e con un discorso sulla vita intima del proteus anguineus, va alla caccia di Soci vitalizi; il giornalista che sta infilzando notizie e scoprendo la ridicolaggine del mondo». 102 gite, nelle cerimonie, nelle buone e allegre bicchierate al Caffé».64 Tomaselli, oltre al già citato Tegani, è uno dei più assidui collaboratori della rivista del Touring: inizia a scrivervi nel 1922,65 un anno dopo aver cominciato la prima esperienza giornalistica al «Gazzettino», e continua con articoli milanesi e inchieste fino a pochi mesi dalla morte,66 che sarà rimpianta dall’ultimo direttore delle «Vie d’Italia», Rusca: «L’improvvisa, inattesa scomparsa di Cesco Tomaselli, se ha profondamente addolorato chi gli era amico da oltre mezzo secolo e ha rappresentato un grave lutto per la stampa italiana, che perde con lui uno dei più appassionanti e coscienziosi giornalisti, colpisce anche la famiglia di questa rivista, alla quale egli aveva di nuovo accordato la propria collaborazione. Molti progetti di futuri articoli, di inchieste avevamo abbozzato con lui, ben conoscendo come ci si poteva fidare della scrupolosità delle sue indagini e come egli sapesse render conto dei risultati di queste con la sua prosa chiara e persuasiva. Ecco un vuoto che non sarà facile a noi di colmare».67 Una ventina di articoli sono presenti sulle «Vie d’Italia», concentrati principalmente negli anni Venti, con qualche eccezione, come nel caso dell’inchiesta del 1939 sull’affaire tunisino, trattata ampiamente in una serie di reportages apparsi sul «Corriere»,68 quotidiano per il quale Tomaselli lavora dal 1925 fino alla morte. A parte questa inchiesta e un Invito alla Carnia verde del 15 giugno 1931,69 il noto reporter 64 M. Tedeschi, Il campeggio del Touring nella conca di By, art. cit., p. 1036. C. Tomaselli, Una città che sorge dal fango, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 8, agosto 1922, pp. 808-16. 66 Cfr. C. Tomaselli, Torviscosa, una città annegata nella campagna, in ivi, anno LXIX, n. 1, gennaio 1963, pp. 28-39; Id., I trasporti pendolari, in ivi, n. 5, maggio 1963, pp. 529-40, che approfondisce un’inchiesta dello stesso portata avanti sulle pagine del «Corriere» (vd. I trasporti dei pendolari. In corriera gli operai si sentono già in famiglia, anno II, edizione del pomeriggio, n. 4, 28 gennaio 1963, p. 5 e Operai che si alzano alle cinque e stanno fuori quattordici ore, in ivi, n. 18, 25 gennaio 1963, p. 5); Id., Facciamo il punto su Milano, in ivi, n. 9, settembre 1963, pp. 1033-47. 67 L. R., Un lutto de “Le Vie d’Italia”, in «Le Vie d’Italia», anno LXIX, n. 12, dicembre 1963, p. 1530. 68 C. Tomaselli, Ciò che bisogna sapere sul problema tunisino, in ivi, anno XLV, n. 2, febbraio 1939, pp. 194-200. Cfr. anche i nove reportages pubblicati sul «Corriere della Sera» dall’8 dicembre 1938 al 1° gennaio 1939: Brutali violenze a Tunisi contro il consolato d’Italia, anno LXIII, n. 291, 8 dicembre 1938, p. 1; Italiani arrestati a Tunisi perché cantavano “Giovinezza”, n. 292, 9 dicembre 1938, p. 6; Fra quelli che c’erano assai prima dei Francesi, n. 294, 12 dicembre 1938, p. 1; Gli accordi violati dalla Francia, n. 296, 14 dicembre 1938, p. 5; L’offensiva contro il lavoro italiano, n. 301, 20 dicembre 1938, p. 5; Gli italiani d’oltre canale sono 127.064, n. 305, 24 dicembre 1938, p. 5; Il catenaccio all’istruzione italiana, n. 306, 25 dicembre 1938, p. 1; Un contributo di civiltà ripagato con l’ingiustizia e l’insolenza, n. 309, 29 dicembre 1938, pp. 1-2; Quelli che videro venir su La Goletta, anno LXIV, n. 1, 1° gennaio 1939, p. 1. 69 C. Tomaselli, Invito alla Carnia verde, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVII, n. 6, giugno 1931, pp. 47265 103 della sciagura della Tenda Rossa70 ritornerà a collaborare con le riviste del Touring soltanto nel secondo dopoguerra grazie all’impegno dell’amico Rusca, rientrato anch’egli nel sodalizio, dapprima in qualità di consigliere dell’associazione e di direttore della rivista «Le Vie del Mondo». Presumibilmente sarà appunto Rusca, «eminenza grigia» dell’editoria italiana,71 a volerlo tra i collaboratori di questa rinata rivista del Touring,72 erede delle «Vie d’Italia e dell’America Latina» e delle «Vie d’Italia e del mondo». In seguito, nel 1963, quando Rusca assume anche la direzione delle «Vie d’Italia» non si dimentica certo di lui, come del resto non si era scordato nell’entre-deux-guerres di inserirlo tra gli autori della collana mondadoriana dei «Libri verdi» da lui diretta e probabilmente ideata,73 con Le avventure eroiche (1915-1936) del 1937, anticipatore del best-seller La corrida delle balene.74 Circa il rarefarsi delle collaborazioni di Tomaselli nelle pubblicazioni del Touring per la gran parte degli anni Trenta, esso è dovuto non solo all’abbandono di Rusca della redazione, ma anche al fallimento sciagurato della seconda spedizione al Polo di Nobile, di cui il giornalista prende le difese contro le accuse di inettitudine da parte del regime, pubblicando L’inferno bianco.75 Questo gli vale qualche anno di isolamento al «Corriere», ritornando a occuparsi di cronaca, nonostante il quotidiano «avesse raddoppiato le vendite con i servizi sull’avventura polare, definiti “magnifici” dal direttore Borelli».76 Tuttavia, per la testata è difficile fare a meno di un inviato di razza, che aveva dimostrato di aver saputo raccogliere l’eredità di Luigi Barzini, e per i grandi reportages dalla Cina, dal 9, già trattata in Id., Contrade della verde Carnia: Tolmezzo, in «Il gazzettino illustrato. Settimanale delle Tre Venezie», anno II, n. 41, 8 ottobre 1922, pp. 4-5. 70 Cfr. l’articolo di Tomaselli, Nobile e De Pinedo, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIV, n. 4, aprile 1928, pp. 343-9, apparso proprio nei mesi della seconda spedizione al Polo Nord, che recensisce i reportages di Nobile della prima spedizione (In volo alla conquista del segreto polare. Da Roma a Teller attraverso il Polo Nord, Milano, Mondadori, 19282) e quelli di De Pinedo (Il mio volo attraverso l’Atlantico e le due Americhe, con proemio di Gabriele D’Annunzio, Milano, Hoepli, 1928), questi ultimi già recensiti dal Nostro nelle «Vie d’Italia e dell’America Latina»: C. Tomaselli, De Pinedo nel cielo delle Americhe, anno V, n. 3, marzo 1928, pp. 284-94. 71 Cfr. G. Dossena, L’eminenza grigia che inventò «i gialli» e la «Medusa». Incontro con Luigi Rusca, oggi novantunenne, mentre torna il suo «Breviario dei laici», in «Tuttolibri», anno XI, n. 453, inserto redazionale de «La Stampa» dell’11 maggio 1985. 72 Cfr. C. Tomaselli, Vienna che risorge, in «Le Vie del Mondo», cit., anno XXV, n. 6, giugno 1954, pp. 587-602 e i dodici articoli pubblicati sul «Corriere della Sera» dal 3 febbraio 1954 (L’Austria in attesa del trattato di pace. Sempre signori i viennesi anche se vivono a stecchetto, anno LXXIX, n. 29, p. 3) al 17 marzo 1954 (Il fantasma di Metternich nell’Ambasciata di Vienna, anno LXXIX, n. 65, p. 3). 73 Cfr. G. Dossena, L’eminenza grigia che inventò «i gialli» e la «Medusa», art. cit. 74 Sul successo mondadoriano del 1938 Tomaselli ritornerà pubblicando il fotoreportage Caccia alla balena, in «Le Vie del Mondo», cit., anno XXIX, n. 3, marzo 1958, pp. 255-70. 75 C. Tomaselli, L’inferno bianco, Milano, Edizioni Unitas, 1929. 76 E. Marcucci, Giornalisti grandi firme, Milano, Rai-Eri, 1998, p. 460. 104 Giappone e soprattutto dall’Africa delle grandi imprese coloniali è arduo prescindere dalle capacità di Tomaselli. Le qualità descrittive, segnate da immagini vivide, non edulcorate da patine letterarie rondesche, emergono sin dai primi reportages nostrani che «Le Vie d’Italia» hanno il piacere di ospitare, con particolare attenzione agli agri redenti e alle terre venete un tempo terre di confine.77 Istantanee fotografiche giustapposte in un ritmo rapido, scandito dalle azioni rese dal presente indicativo, hanno la capacità di trasportare i lettori direttamente sul luogo dei fatti, oggettivando e nascondendo le mediazioni autoriali spesso in un pluralis maiestatis che abbraccia anche il pubblico: «Viene giù incontro a noi, con un letto largo un chilometro, guidato nella marcia, sulla sua destra, da un lungo banco alluvionale, un vero e proprio terrapieno: parrebbe che l’acqua dovesse seguir la pendenza della valle e continuare verso il lago di Santa Croce. Invece, con un’improvvisa sterzata a destra, l’acqua affronta lo zoccolo del terrapieno, lo intacca, lo morde, lo sbrana, si apre un varco che non è più che una breccia, e scroscia via in un letto ridivenuto ampio e ghiaioso, verso Belluno».78 Tale è l’efficacia ecfrastica, quasi militaresca e cesariana, del pensiero azionale dell’inviato speciale Tomaselli, così diverso dai viaggiatori-letterati rondisti, soprattutto per il suo rapporto non sacrale con la tradizione letteraria: «i libri sono come i lacci delle scarpe: questi si rompono e quelli spariscono scegliendo sempre il momento meno opportuno per affermare la loro indispensabilità».79 Di razza decisamente diversa è un altro giornalista del «Corriere», il triestino Giulio Caprin, dal 1919 al 1942 redattore addetto alla politica estera e alla cultura, con un passato da insegnante al Cicognini di Prato e una collaborazione con la casa editrice Il Marzocco. Intellettuale interventista, saggista, poeta e narratore, collabora sin dai 77 Circa gli articoli di Tomaselli apparsi sulla rivista-madre del Touring, essi sono riportati quasi in toto nella Bibliografia essenziale degli scritti di Cesco Tomaselli, a cura di O. Palmiero, Borgoricco, Biblioteca comunale, 2004, con eccezione degli articoli siglati, credo riconducibili al giornalista anche alla luce degli indici della rivista in possesso degli Archivi del Touring Club Italiano: F. T., Le grandi teleferiche alpine. La Chamonix-Col du Midi e la Cortina d’Ampezzo-Pocol, in «Le Vie d’Italia», anno XXXII, n. 2, febbraio 1926, pp. 181-5 e F. T., La direttissima Napoli-Pozzuoli, in ivi, anno XXXII, n. 4, aprile 1926, pp. 402-8. 78 C. Tomaselli, L’impianto Piave-Santa Croce, in «Le Vie d’Italia», anno XXIX, n. 1, gennaio 1923, p. 39 79 C. Tomaselli, La corrida delle balene, a cura di L. Clerici, Milano, Touring Editore, 2004, p. 31. 105 primi anni del Novecento con le riviste «Emporium», «L’illustrazione italiana» e «La lettura», impegnandosi nei primi anni Venti, coevi agli articoli apparsi sulle «Vie d’Italia», anche tra le file del «Caffé», dove abbiamo già visto operare Rusca, Mira e altri giornalisti del «Corriere» legati al Touring e alla sua rivista: Mario Borsa, Filippo Sacchi e Silvio Negro. Il suo strenuo patriottismo pomposo e celebrativo fin dai titoli degli interventi ospitati sul mensile del Touring,80 così diversi dall’oggettivizzazione secca del Tomaselli, credo vada interpretato e discusso anche alla luce delle collaborazioni sotterranee al «Caffé». A prima vista i due contributi di Caprin alla rivista appaiono in odore di inconfutabile propaganda della prima ora, i toni sono particolarmente accesi e le immagini enfatiche: «Verrà forse giorno che si dirà: - Fiume, estrema città orientale d’Italia, contigua alla Jugoslavia, che per il suo porto avvia grande parte del proprio commercio adriatico. La sua storia vera comincia quel 28 gennaio del 1924 in cui fu proclamata la sua perfetta unione con lo Stato italiano».81 All’enfasi non manca di unirsi anche il cappello redazionale, presente soltanto in articoli di particolare rilevanza autoriale e/o contenutistica, che così commenta: «Le vie d’Italia scrivono con gioia il titolo di questo articolo che, per loro preghiera, un valente studioso della Venezia Giulia ha redatto illustrando cose forse men note intorno alla Città […]. Il Touring poi ricorda con legittima compiacenza quel 1° settembre del 1920 in cui il popolo di Fiume tutto raccolto sul molo salutava entusiasticamente il primo grande pellegrinaggio d’Italiani che andasse a confortarne la passione ed acclamare il suo salvatore, Gabriele D’Annunzio».82 Il Touring si avvale, qui come altrove, di un «valente studioso» della materia in questione per celebrare l’unificazione al regno d’Italia dello Stato libero di Fiume, considerata dal sodalizio patriottico come ultima anelata tappa risorgimentale, senza alcun riferimento diretto alla propaganda di Mussolini. Il riferimento del redattore, probabilmente sempre Rusca, è piuttosto all’impresa dannunziana, mentre nell’articolo, superata l’ardita retorica iniziale della «fantastica leggenda in cui gli elementi lirici si mescolano con quelli drammatici», Caprin ripercorre la storia fiumana attraverso 80 Cfr. G. Caprin, Fiume italiana, in «Le Vie d’Italia», anno XXX, n. 3, marzo 1924, pp. 227-36 e Id., Il nostro Rosa, in ivi, anno XXXI, n. 3, marzo 1925, pp. 295-304. 81 G. Caprin, Fiume italiana, art. cit., p. 227. 82 Ibidem. 106 parallelismi con Trieste, secondo le tesi nazionalistiche dell’«italianità spontanea che sembra radicata nel suolo stesso e che i venti discordi della fortuna non riuscirono a disperdere»,83 rifacendosi ai suoi saggi triestini.84 L’accorato saggista Caprin prende quindi il posto del giornalista e del narratore che aveva esordito con Storie di poveri diavoli (Milano, Quintieri, 1910) e adduce argomenti, cari al Touring quanto alla nuova propaganda, circa l’origine romana di Fiume, testimoniata da ritrovamenti archeologici d’epoca augustea. Correda il testo non solo con le solite fotografie, scattate in questo caso dal fotografo fiumano professionista Petricich (a differenza del fotoreporter Tomaselli), e con le usuali cartine del Touring per la localizzazione geografica, ma anche con il disegno della più antica veduta di Fiume risalente al 1579, conservato in un archivio di Vienna. Non si tratta di un’appropriazione soltanto geografica in questa fase non più tanto post-risorgimentale quanto post-bellica,85 ma di una rivendicazione anche storica, che invita a procedere à rebours fino alle tracce dell’impero romano. 2.4 «ROMA SEMPRE E DAPPERTUTTO» «Roma sempre e dappertutto» scrive Guido Calza, presentando confidenzialmente «una indiscrezione per i trecentomila lettori di questa Rivista»: la Carta archeologica d’Italia, «il felice inizio di una grande intrapresa nazionale».86 Mai come durante il ventennio vengono dati impulsi alla ricerca archeologica, in una prospettiva storica annullata, di cortocircuito tra passato e presente: «il richiamo alla potenza imperiale romana non era estraneo alla pratica della politica estera dei governi precedenti, ma per il fascismo la romanità era più che un glorioso passato cui richiamarsi e rappresentava la civiltà da attualizzare».87 L’approccio alla conservazione archeologica va dunque inserito in 83 Ivi, p. 231. Cfr. G. Caprin, L’ora di Trieste, Firenze, L’arte della Stampa, 1914; Id., L’italianità e il confine della Venezia Giulia, Firenze, Bemporad, 1915, facente parte della collana la «Bibliotechina illustrata» e Id., Trieste liberata: la italianità fatale della Venezia Giulia, Firenze, Bemporad, 1919 nella collezione «I libri d’oggi». 85 Cfr. D. Bardelli, L’Italia viaggia, cit., p. 400: «La guerra aveva però modificato la percezione dei valori nazionali; la propaganda, accentuando e infiammando la consapevolezza dei remoti trascorsi imperiali, di un più recente passato di gloria e infine di un presente di sacrifici e di luminosi risultati nella mobilitazione delle energie collettive, aveva imposto di non tollerare fraintendimenti o diminuzioni». 86 G. Calza, La Carta archeologica d’Italia, in «Le Vie d’Italia», anno XXX, n. 2, febbraio 1924, p. 409. 87 A. Argenio, Il mito della romanità nel ventennio fascista in A. Coccia (a cura di), Il mondo classico 84 107 quest’ottica, per cui oltre ai meriti del Calza studioso, sono oggi a lui indirizzate critiche riguardo alla tecnica del «rappezzo invisibile», volta al consolidamento e alla ricomposizione dei ruderi.88 Guido Calza, a parte essere l’inventore di questa tecnica, è stato direttore degli scavi di Ostia durante il ventennio, dopo esser stato incaricato dell’assetto archeologico della Venezia Giulia nel dopoguerra, occupandosi di Pola, Aquileia e Grado. A Ostia e alla istriana Parenzo si dedica in particolar modo nelle pagine del mensile del Touring,89 divenendo fino ai primi anni Trenta la firma di riferimento per l’ambito archeologico, seguito dal sodalizio con attenzione, non soltanto con finalità turistiche. Di fatto con questi articoli si cominciano a mettere in luce gli input governativi, orientati in una precisa direzione culturale e di ricerca, in cui si avverte come l’associazione di fronte a nuove iniziative di sviluppo sia meno direttamente coinvolta, pur non mancando di seguire tutto da molto vicino e con la solita puntualità. Così, «nel maggio scorso [ndr. del 1927] il Ministro delle Colonie ed il Governatore della Tripolitania hanno voluto riunire, in un convegno archeologico internazionale personalità scientifiche di ogni paese ad una visita agli imponenti scavi di Sabratha e Leptis Magna. Guido Calza, direttore degli scavi di Ostia, uno dei partecipanti al convegno ha scritto per Le vie d’Italia questo articolo che illustra il mirabile complesso di quelle grandiose rovine aggiuntesi al patrimonio archeologico d’Italia».90 Colonie romane e colonie italiane, in casi come questi, di nuovo coincidono: «Roma communis patria», senza «dimenticare che Leptis Magna rappresenta, prima di ogni altra cosa, il sacrificio e l’eroismo dei soldati italiani che assicurandocene il possesso ce ne hanno permesso la resurrezione, vanto del Governo e dell’archeologia d’Italia».91 Lo sguardo archeologico sulla romanitas non si limita solo alle colonie del regno con nell’immaginario contemporaneo, Istituto di Studi politici S. Pio V, Roma, Editrice Apes, 2008, p. 83. 88 C. Dezzi Bardeschi, Archeologia e conservazione, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2007, pp. 9698. 89 Cfr. G. Calza, Ostia, emporio commerciale dell’Impero di Roma, in «Le Vie d’Italia», anno XXIX, n. 1, gennaio 1923, pp. 5-11; Id., L’Italia nuova Parenzo, in ivi, anno XXX, n. 2, febbraio 1924, pp. 175-82; Id., Un sepolcreto di liberti imperiali scoperto a Ostia, in ivi, anno XLII, n. 10, ottobre 1936, pp. 671-5 e Id., Ostia risorge per l’Esposizione Universale di Roma, in ivi, anno XLV, n. 9, settembre 1939, pp. 1228-37. 90 G. Calza, Tripolitania romana: Sabratha e Leptis Magna, in ivi, anno XXXI, n. 7, luglio 1925, p. 723. 91 Ivi, p. 732. 108 aspirazioni imperiali, ma ripercorre le tracce lasciate due millenni prima nelle province d’Europa dai Cesari, ad esempio in «quella Provenza che ha persino manifestato – in un paese dove il sentimento nazionale è fortissimo – le sue aspirazioni a rendersi autonoma, così differente com’è dal rimanente della Francia, nel clima, nella lingua e nei costumi che confermano appunto una latinizzazione più vecchia e più profonda».92 Almeno fino alla fine degli anni Venti, non tutti gli studi archeologici pubblicati sulla rivista sono in tal modo ideologicamente orientati, vi è ancora un posto riservato a un patriottismo pacato che non riconduce necessariamente l’italianità al suo passato romano imperiale. Ecco quindi Antonio Taramelli, figlio del noto geologo Torquato, «illustre archeologo e amico nostro […] ‹che› cortesemente […] ha voluto accogliere l’invito nostro di descrivere quel monumento ai lettori della nostra Rivista, cogliendo l’occasione per introdurli nel mondo tanto interessante e così poco noto dell’antica civiltà sarda».93 A parte il tempio protosardo, divulgato pianamente dal punto di vista sintattico e lessicale, aprendo ai lettori il mondo sconosciuto dei nuraghi, il direttore del museo di Cagliari, nonché futuro Accademico dei Lincei e senatore, si adopera a far conoscere le strutture e le infrastrutture dell’isola, aiutandosi sempre con piantine, utili al lettore a facilitare la comprensione dell’assetto dei servizi automobilistici, la disposizione degli scavi e quella del «semplice ma ingegnoso meccanismo della salina»,94 secondo la migliore tradizione del Touring. Con gli anni Trenta cessano le sue collaborazioni e gli ultimi studi della sua vita prenderanno nuovi indirizzi, meno distanti dalla cultura imperante, riguardanti i resti romani sull’isola.95 Oltre a Taramelli, a occuparsi di antichità diverse da quella latina, c’è la garbata e vivace penna di Paola Lombroso, prima firma femminile della rivista. Non stupirà dover ricondurre il primo contributo femminile proprio a una delle figlie del noto Cesare, 92 G. Calza, Città romane di Francia: Arles, in ivi, anno XXX, n. 4, aprile 1924, p. 347 e vd. anche Id., Città romane di Francia: Nimes, in ivi, anno XXXI, n. 3, marzo 1925, pp. 234-9. 93 A. Taramelli, Un tempio protosardo scoperto in Sardegna, in ivi, anno XXVIII, n. 11, novembre 1922, p. 1107 94 A. Taramelli, Le saline di Cagliari, in ivi, anno XXXI, n. 2, febbraio 1925, p. 116. Cfr. anche gli altri suoi articoli di materia non strettamente archeologica: L’opera della «Camera del forestiere» in Sardegna, in ivi, anno XXV, n. 5, maggio 1919, pp. 277-85; La nuova rete di servizi automobilistici della Sardegna, in ivi, anno XXIX, n. 5, maggio 1923, pp. 522-32; La rocca d’Angera, in ivi, anno XXXIII, n. 4, aprile 1927, pp. 369-79; In Sardegna e in Corsica col TCI, in ivi, anno XXXVI, n. 3, marzo 1930, pp. 229-39. 95 Cfr. A. Taramelli, Sassari: avanzi di villa rustica romana in località «li Peri di Abozzi» a Badde Rebuddu nella Nurra, Roma, Tipografia Bardi, [1930]; Id., Roma ricostruttrice in Sardegna, Roma, Istituto di Studi Romani, 1936 e Id., Relazioni di Roma con l’elemento punico nella Sardegna, Roma, Istituto di Studi Romani, 1936. 109 medico criminologo, fervido seguace del positivismo, nume tutelare del pragmatismo bertarelliano. Del resto, positivismo a parte, le figlie del criminologo, provenienti da una colta classe borghese con retroterra ebraico, nell’Italia intellettuale del primo Novecento rappresentano uno dei pochi esempi femminili assieme alla Kuliscioff, alla Sarfatti, ad Annie Vivanti e ad Amelia Rosselli. A differenza di molte collaborazioni, soprattutto inerenti a discipline scientifiche o specialistiche come l’archeologia, la rivista si avvale in questo caso di una nota scrittrice per l’infanzia, ideatrice del «Corriere dei Piccoli», pedagogista, nonché giornalista. Non si tratta dunque di una firma specialistica, quanto piuttosto di una penna giornalistica dotata di buone doti affabulatorie, attentissima ai lettori di ogni età. E infatti, il suo primo pensiero va al pubblico: «Forse i lettori si meraviglieranno che per illustrare l’Italia, si venga loro a parlar dell’Egitto, ma la tomba dell’architetto Kha e della sua dolce signora Mirit rappresenta non solo una delle cose più belle, […] ma una cosa unica al mondo».96 Così come unico resterà questo suo articolo e l’incursione nell’egittologia da parte del mensile, che prediligerà dedicarsi all’archeologia romana propendendo per l’endiadi latinità-civiltà fascista. Il contributo della Lombroso, apparso nell’ottobre del 1922, si colloca all’interno di una produzione personale di circa quattrocento articoli pubblicati su molteplici riviste dai primi anni del Novecento, cominciando dal «Fanfulla della domenica» e dalla «Gazzetta letteraria», proseguendo con la stampa socialista del «Grido del popolo» e dell’«Avanti», fino ai fondi sul «Piccolo della sera» e agli articoli in prima pagina sul «Secolo».97 Il curioso articolo apparso sulle «Vie d’Italia» testimonia la sua poliedrica abilità a trattare svariati temi e rarità, dote manifestata anche in campo saggistico con studi pedagogici, di genere, antropologici, psicologici e addirittura di indagine fotografica.98 Oltre al titolo stravagante che par quasi una novella, L’architetto Kha e la signora Mirit, da notare è il fregio che lo racchiude, non firmato, stilizzato con simil geroglifici e con un egiziano uscito da un fumetto. 96 P. Lombroso, L’architetto Kha e la signora Mirit, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 10, ottobre 1922, p. 1003. 97 Cfr. D. Dolza, L’impegno sociale e culturale di Paola Lombroso, in Ead., Essere figlie di Lombroso. Due donne intellettuali tra Ottocento e Novecento, Milano, Franco Angeli Editore, 1990, pp. 110-39. 98 Ecco alcuni esempi riportati nella bibliografia selettiva di Paola Lombroso in conclusione dello studio di D. Dolza, Essere figlie di Lombroso, cit., pp. 257-9: P. Lombroso, L’instinct de la conservation chez les enfants, in «Revue philosophique de la France et de l’étranger», anno X, 1896; Ead., I difetti dei due sessi, in «La lettura», rivista mensile del «Corriere della Sera», anno II, 1902; Ead., Note sui selvaggi della Nuova Guinea, in «Archivio di psichiatria», anno XIX, 1898; Ead., La psicologia dei terremotati, in collaborazione con il padre, in «Archivio di psichiatria», anno XXX, 1909; Ead., Kodak di viaggio; Kodak estivi; Kodak familiari; Kodak mondani, Torino-Roma, Roux e Viarengo, 1905. 110 Fregio introduttivo a P. Lombroso, L’architetto Kha e la signora Mirit, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 10, ottobre 1922, p. 1003. Da annotare è come purtroppo simili interpretazioni grafiche (splendide), rese nei frontespizi da famosi illustratori, vadano via via perdendosi in questi anni, per lasciare sempre più spazio a fotografie e cartine di ogni genere. A parte quelle geografiche e storico-archeologiche, dal luglio 1923 (e fino al giugno dell’anno seguente) compaiono anche quelle astronomiche, curate dall’ingegner Luigi Gabba nella sua rubrica mensile Il cielo stellato nel mese di …, che in altri tempi, vista la tipologia dell’articolo, ossia chiaramente non un reportage, sarebbe forse stata introdotta da un mago Merlino alla Bisi. Si preferisce invece la serietà di una presentazione introduttiva redazionale che offra le motivazioni di questo nuovo interesse: «perché i nostri lettori possano allargare le proprie conoscenze ad un mondo di incomparabile bellezza e di sconfinata grandezza, abbiamo pregato l’ing. Luigi Gabba dell’Osservatorio Astronomico di Brera in Milano di predisporre ogni mese una facile guida attraverso le vie del cielo».99 99 Nota redazionale all’articolo di L. Gabba, Il cielo stellato nel mese di luglio, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 7, luglio 1923, p. 677. 111 La rubrica si colloca sul finire della rivista, quando già cominciano a riapparire le pubblicità, tra le quali la più presente, insieme a quella dell’olio Sasso, è la serie illustrata dall’eclettico aristocratico torinese Biscaretti delle nuove penne Aurora, destinate a un pubblico di classe, dinamico, o meglio motorizzato, in sintonia con le altre réclames di bulloni e gomme Goodyear, che inframmezzano gli appuntamenti di Vita del Touring e le Notizie ed echi, sempre introdotti dai fregi di Dardo Battaglini. Proprio prima di queste classiche rubriche si pone la pagina dell’ingegner Gabba, già Presidente del CAI a fine Ottocento e poi studioso di meteorologia eritrea, seguendo da vicino la missione CorniCalciati-Bracciani100 del 1923, volta allo studio geo-etno-climatico della colonia africana, che fa seguito a quella del 1904-06 dei geografi Giotto Dainelli101 e Olinto Marinelli, nomi del resto ben noti nella redazione del Touring. Ad interessarsi a questa spedizione, non mancano «Le Vie d’Italia», che continuano a dedicare sempre più spazio alla divulgazione scientifica di argomento coloniale. Proprio grazie a uno dei protagonisti della missione del 1923, il naturalista Cesare Calciati, la rivista anticipa in una serie di articoli impressioni e resoconti che finiranno nella relazione Nel paese dei Cunama.102 Trovando ospitalità in una rivista di divulgazione tecnico-turistica, lo sguardo scientifico di Calciati, attratto dalla straordinaria varietà e complessità naturalistica della regione, non esita alla demistificazione dell’eden africano, ancora poco confortevole per turisti, specialmente italiani, dotati di scarso temperamento.103 Prima di essere inviato anch’egli in quella che diventerà l’Africa Orientale Italiana,104 Ardito Desio affida alle «Vie d’Italia» i suoi precisi reportages dal 100 A. Masotti, Luigi Gabba (1872-1948), in «Milan Journal of Mathematics», vol. 19, n. 1, pp. XIII-XVI. Cfr. G. Dainelli, Risultati scientifici di un viaggio nella colonia eritrea, Firenze, Tip. Galletti e Cocci, 1912. 102 C. Calciati, Nel paese dei Cunama, Milano, Soc. Edit. Unitas, 1927. 103 Cfr. C. Calciati, Impressioni d’un recente viaggio in Eritrea, in «Le Vie d’Italia», anno XXX, n. 1, gennaio 1924, pp. 57-67. 104 Cfr. A. Desio, L’Uollega, in ivi, anno XLIV, n. 9, settembre 1938, pp. 1097-105. Si veda in relazione alla stesura di questo articolo la corrispondenza intrattenuta con uno dei redattori della rivista, Icilio Bianchi, il quale richiede, per necessità tipografiche di impaginazione del testo e delle quattordici fotografie scattate dallo stesso Desio, di «aggiungere una riga alle pagine 5, 6, 7 e 8, nonché tre righe alla 101 112 Dodecaneso italiano, riconosciuto anche a livello internazionale con il Trattato di Losanna del luglio 1923. Un mese prima del trattato, il celebre geologo ed esploratore tempestivamente presenta «la tredicesima isola del Dodecaneso», ossia Castelrosso, il cui paesaggio «è quello del Carso; ma come il Carso, sotto un manto superficiale di desolazione, nasconde tutte le bellezze sotterranee che Natura sa sfoggiare», indi «anche la Grotta Azzurra di Capri, ben nota ai turisti, trova qui una degna rivale».105 Seguono l’isola di Piscopi, dove Desio dà prova di saper metter in rilievo le curiosità del luogo, annotando le tranquille passeggiate e il disbrigo delle faccende degli isolani sui tetti delle case, data la specifica conformazione architteturale-paesaggistica,106 e infine Lero, «la perla del Dodecaneso»,107 esplorata dal Nostro col postale. Si tratta di articoli anticipatori del volume scritto assieme al geologo Giuseppe Stefanini Le colonie: Rodi e le isole italiane dell’Egeo (Torino, UTET, 1928). Del resto Desio, aveva presto affiancato la sua attività scientifica a quella pubblicistica: aveva cominciato con la rivista «In alto» e proseguito con il Bollettino del Club Alpino Italiano, fino a arrivare al «Corriere», tenendo molto alle collaborazioni giornalistiche, «perché la stampa rappresentava per lui l’arma più potente del mondo».108 Visto il duplice intento scrittorio, sia scientifico che giornalistico, il reporter scienziato si organizza in tal modo: «Quando viaggio, ho l’abitudine di tenere due diari, uno destinato a ricordare per sommi capi le vicende del viaggio, l’altro a registrare le osservazioni scientifiche. Ho imparato a scrivere in tutte le posizioni, a cavallo, a cammello, in barca, in aeroplano, in automobile e talora anche camminando, purché uno marci sempre innanzi a me la via sia piana e non accidentata. Chi ne va di mezzo è la calligrafia. […] I miei appunti stesi durante il viaggio sul Tibesti sono stati scritti in autocarro ch’è – come ho detto – uno dei mezzi di trasporto più anticalligrafici che io pagina 10. Le lacune tipografiche corrispondono ad altrettante esigenze di impaginazione». Dossier (non molto ricco) sulla Corrispondenza redazionale «Le Vie d’Italia», Archivio Storico del Touring Club Italiano. 105 A. Desio, L’isola di Castelrosso, in «Le Vie d’Italia», anno XXIX, n. 6, giugno 1923, p. 651. 106 A. Desio, Piscopi, l’isola meno nota del Dodecaneso, in ivi, anno XXX, n. 1, gennaio 1924, pp. 49-50. 107 A. Desio, Lero, in «Le Vie d’Italia», anno XXXII, n. 11, novembre 1926, p. 1227. 108 G. V. Fantuz, Ardito Desio dal K2 all’Antartide, al deserto del Sahara, Cassina de Pecchi, SEP, 2002, p. 8. 113 109 conosca». Così Desio riporta le sette spedizioni in Libia in un suo libro successivo che raccoglie taccuini, osservazioni scientifiche e altro materiale apparso in articoli giornalistici usciti anche sulle «Vie d’Italia» degli anni Trenta.110 Par strano collegare il nome dello scalatore che conquistò il K2 alle terre assolate del Mediterraneo, eppure Desio scriveva le parole che seguono dall’isola egea di Simi, il 4 dicembre 1922, all’amico Giotto Dainelli, con cui stava collaborando assieme a Marinelli e a Almagià al Grande Atlante Internazionale del Touring: «Questa vita girovaga mezzo alpinistica e mezzo marinara esercita su di me un’attrazione grandissima. Mi pare che se per tutta la vita dovessi girare il mondo studiando e lavorando anche a costo delle più grandi privazioni e dei più aspri sacrifici sarei l’uomo felice. Ho grande fede nell’avvenire e nelle mie forze e l’entusiasmo per i nostri studi certo non mi manca: vivere non est necesse, navigare est necesse!»111 2.5 BERTACCHI E GLI ALTRI: VERSO VIE PIÙ AMENE Accanto agli interessi scientifici, archeologici e coloniali che si aggiungono alla divulgazione delle attività sodali, sotto la direzione del dantista Bognetti e le indicazioni redazionali di Rusca, trovano maggior spazio i contributi d’arte e letteratura del poeta caro al Touring Giovanni Bertacchi, del critico Manfredi Porena e dei critici d’arte Gino Damerini e Roberto Papini.112 Bertacchi, agli inizi degli anni Venti è uno dei poeti più affermati, che per chiara fama e non per meriti accademici, come contestarono Gentile e Giovanni Papini, è docente di letteratura italiana all’università di Padova. Il canzoniere delle Alpi uscito nel 1895, presso la tipografia Chiesa e Guindani di Milano, lo consacra «cantore delle Alpi» anche se come ricorda l’amico Mario Borsa, compagno 109 A. Desio, Le vie della sete, Milano, Hoepli, 1950, p. 260. Cfr. A. Desio, L’«Harug», in «Le Vie d’Italia», anno XL, n. 10, ottobre 1934, pp. 737-47 e Id., Uau en-Namus, un curioso vulcano spento in Libia, in ivi, anno XLII, n. 9, settembre 1936, pp. 572-80. 111 G. V. Fantuz, Ardito Desio dal K2 all’Antartide, al deserto del Sahara, cit., p. 8. 112 Per Roberto Papini si vedano gli articoli sul restauro dei quadri Le pitture malate e i loro medici, in «Le Vie d’Italia», anno XXIX, n. 3, marzo 1923, pp. 255-65 e su La riapertura della rinnovata Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma, in ivi, anno XLV, luglio 1938, n. 7, pp. 820-5. 110 114 d’università, nonché collega al «Secolo» e al Touring, Bertacchi «non è mai stato un alpinista nel senso classico della parola. Amava le alte intentate vette ma vi arrivava con la fantasia meglio che con le gambe».113 Tuttavia la notorietà, derivata da questa e dalle successive raccolte che assicurano alla Baldini e Castoldi tirature superiori alle 30.000 copie, lo porta a divenire un ambito collaboratore delle pubblicazioni del CAI e del Touring Club, ove rappresenta la figura letteraria di riferimento, sempre tenuta in grande considerazione, anche quando la sua mancata adesione al fascismo gli varrà l’esclusione dall’insegnamento universitario e un certo isolamento e oblio nel mondo letterario.114 Sue le epigrafi al Bertarelli,115 al Bognetti (delle quali l’archivio del Touring conserva qualche manoscritto relativo alla corrispondenza redazionale) e in apertura di molti volumi del sodalizio, nonché le orazioni pubbliche e di accompagnamento alla Carta d’Italia dei nuovi confini.116 Senza contare la stesura con Carlo Linati e Francesco Chiesa del volume della collana «Attraverso l’Italia» dedicato alla Lombardia117 e i numerosi articoli presenti prima sulla «Rivista Mensile»118 e poi su «Vie d’Italia», a partire dal 1922. 113 M. Borsa, Giovanni Bertacchi negli anni della sua giovinezza, Varese, La Tipografica Varese, 1943, citato in G. Barbarisi, L’amore per la montagna in Bertacchi, in G. Scaramellini (a cura di), Giovanni Bertacchi, Atti del Convegno di studio, Chiavenna 27-28 novembre 1992, Chiavenna, Edizione del Comune di Chiavenna, 1997, p. 344. 114 Cfr. la Nota bio-bibliografica, a dir poco riduttiva, dell’edizione del 1964 delle Poesie bertacchiane (Lecco, Arti Grafiche Stefanoni), p. 640: «Negli anni successivi [al 1929, anno di pubblicazione della raccolta Il perenne domani] scrisse poesie per “L’Alba serena” e “Come le foglie”, riviste dell’Istituto dei ciechi di Milano, per la rivista dell’Istituto dei sordomuti di Sondrio e per altri bollettini e riviste»; riportato anche in P. Briganti, Bertacchi e il Novecento, in G. Scaramellini (a cura di), Giovanni Bertacchi, cit., p. 250. 115 [G. Bertacchi], L.V. Bertarelli nella rievocazione di un poeta, in «Le Vie d’Italia», anno XXXII, n. 4, aprile 1926, pp. 339-40, la rievocazione a cui si riferisce il titolo redazionale è anonima, ma è chiaro che quando si parla di poeta al Touring ci si rifà al Bertacchi. 116 G. Bertacchi, Per la nuova carta d’Italia offerta alle Scuole Medie Italiane del Touring Club Italiano, Milano, TCI, 1921, grazie alla donazione di uno dei fondatori del Touring, il Consigliere Guasti. 117 Attraverso l’Italia, vol. II, Lombardia – Parte I, Milano, TCI, 1931. 118 Si vedano tra gli altri: l’apertura del mese, accolta in un prezioso fregio di De Carolis, a firma di G. Bertacchi, O Camerati del Touring!, in «Rivista Mensile», anno XXII, n. 7, luglio 1916; e gli articoli inerenti alle terre irredente e alla guerra mondiale: Id., Ripensando a Gorizia, in ivi, anno XXVI, n. 8, agosto 1920, p. 383; Id., La galleria Vittorio Emanuele a Cima Grappa, in ivi, anno XXVI, n. 9, settembre 1920, p. 418; Id., Da Udine a Fiume. L’escursione nazionale del Touring nella Venezia Giulia, in ivi, anno XXVI, n. 10, ottobre 1920, p. 453. 115 Dall’Archivio Storico del TCI, la lettera manoscritta di Bertacchi contenente le bozze dell’epigrafe a Giovanni Bognetti. Il suo primo articolo che appare sulle «Vie d’Italia» è dedicato al Centenario di una strada, quella dello Spluga, che collega la natia Chiavenna con la Rheinwald. L’articolo è preceduto dall’introduzione, riservata come sempre ai grandi nomi: «Fra i poeti che conta il nostro Paese non ve n’è forse altro che sappia, come Giovanni Bertacchi, scovare in ogni aspetto della natura e in ogni manifestazione umana l’intimo senso di poesia che essi racchiudono»,119 con riferimento a come «egli abbia saputo dar forma poetica anche alla descrizione di una strada». Bertacchi è dunque non solo il poeta delle montagne,120 «poeta alpinistico e riformista», per dirla alla Papini che lo snobbava (assieme alla cultura milanese) definendolo poi «poeta dei quattrinai politecnici dell’Umanitaria e dell’Università popolare, del Secolo e del Corriere»,121 ma è anche il poeta delle strade e del moto, come lo apostrofa Francesco Bartoli, suo recensore anche 119 Introduzione a G. Bertacchi, Il centenario di una strada 1821-1921, in «Le Vie d’Italia», anno XXVIII, n. 1, gennaio 1922, p. 53. 120 Cfr. G. Bertacchi, Di pensiero in pensier, di monte in monte, in «Rivista del Club Alpino Italiano», anno XXVII, n. 9, settembre 1935, p. 456. 121 G. Papini, Giovanni Bertacchi (1917), in Id., Testimonianze, Firenze, Vallecchi, 19243, p. 57. 116 sulle «Vie d’Italia».122 La strada molte volte percorsa anche in compagnia di Mario Borsa (che non dimentica la passeggiata giovanile dell’autunno 1892),123 suscita nel poeta ricordi dell’Inferno dantesco e l’Elegia del monte Spluga del Carducci,124 tuttavia con ritmo e senza pedanteria: «la strada tenta gli approcci con lenta manovra, poi rinserra le sue spire, quasi avvinghiando il monte. Domato un primo sperone si placa, per ripigliare più oltre».125 Leggendo questo e i successivi articoli, andrebbero forse riviste le considerazioni sulla produzione bertacchiana. A emergere nei contributi del chiavennasco sono l’amore per i paesaggi natii, descritti impressionisticamente alla Pissarro e con sinestesie leopardiane (oltre che carducciane),126 l’attenzione per i dettagli127 e per le cose semplici della vita, legate spesso ai ricordi d’infanzia e al ritmo lento delle giornate campestri e montanare,128 molto diverse dal turbinio milanese del progresso decantato dal Touring, cui il «poeta delle altitudini» tuttavia si presta per celebrare La crociera aerea dell’associazione.129 Accusato di «ipocarduccianesimo» anche da Gadda che l’aveva ben letto, divenendo egli stesso oggetto di una «feroce apologia adversus Mediolanenses» da parte dei suoi compagni di prigionia,130 il Bertacchi che si impone nelle vivaci prose pubblicistiche, vorrebbe rivendicare tuttavia altre filiazioni: «io che da anni vivo in Milano non andrei mai in via del Morone a vedere come è dipinta la camera o a riverire la papalina di Alessandro Manzoni. Ma gli armenti figurati sul muro che a Giacomo fanciullo davano indicibili rapimenti fantastici; ma il conscio letto di sul quale l’adolescente infermo salutava dolorosamente l’appressarsi della morte […] Le posate, tu dici? E perché no? Schiferei il cucchiaio onde un 122 F. Bartoli, Il poeta delle strade, in «Le Vie d’Italia», anno XXVII, n. 7, luglio 1921, pp. 728-33. M. Borsa, Bertacchi e la Svizzera, Milano, Baldini e Castoldi, 1947, p. 3. 124 G. Carducci, Poesie, Bologna, Zanichelli, 1906, p. 1021. 125 G. Bertacchi, Il centenario di una strada 1821-1921, art. cit., p. 54. 126 Cfr. il colloquio-intervista con l’amico pittore Carlo Fornara in Val Vigezzina sull’impressionismo poetico e artistico: G. Bertacchi, Come nasce un paesaggio, in «Le Vie d’Italia», anno XLII, n. 12, dicembre 1936, pp. 757-64. 127 G. Bertacchi, Portali in Chiavenna, in ivi, anno XXXVIII, n. 1, gennaio 1932, pp. 65-70. 128 Cfr. il trittico di articoli «pastorali» di G. Bertacchi: Pastorizie, in ivi, anno XXXVIII, n. 9, settembre 1932, pp. 658-64; Momenti di vita umbra, in ivi, anno XLIII, n. 9, settembre 1937, pp. 605-10 e Abruzzi in tono minore, in ivi, anno XLIV, n. 8, agosto 1938, pp. 980-7. 129 G. Bertacchi, La crociera aerea del TCI, in ivi, anno XXXVIII, n. 4, aprile 1932, p. 264. 130 Cfr. C. E. Gadda, Il castello di Udine, in Id., Opere, Romanzi e racconti, vol. I, Milano, Garzanti, 1988, p. 160: «“Gadda, a casa sua, sul suo tavolo, cià un Bertacchi alto così, capite? rilegato in marocchino rosso, còstole in oro, capite? cià speso cinquanta lire; si sazia di Bertacchi, combina delle orge di Liriche Umane”». 123 117 Carducci avesse domato ogni giorno il suo appetito d’uomo aggrondato ma forte; non quello di un tal sublime Inappetente»131 Per il chiavennasco, Carducci rappresenta più che altro un inevitabile accostamento, visti gli immancabili soggiorni estivi del poeta nazionale in quelle valli di confine, Carducci e lo scopone con gli amici Pollavicini, in G. Bertacchi, Il poeta a Madesimo, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 8, agosto 1935, p. 569. riportati sulle pagine del mensile del Touring con aneddoti paesani, indiscrezioni sul fiorire dell’amicizia sentimentale con Annie Vivanti, delegazioni di accoglienza della gente semplice non sempre apprezzate, e fotografie da album di famiglia riesumate per ricordarne il centenario dalla nascita.132 I punti di riferimento del Bertacchi vorrebbero essere tuttavia a Recanati, dove il Nostro in un sabato di maggio si intrattiene col portiere di casa Leopardi.133 E proprio Bertacchi, già autore dell’opera dedicata al poeta recanatese Un maestro di vita,134 sulla rivista del Touring, dopo il pellegrinaggio letterario del 1927, ritornerà sul Leopardi in occasione del primo centenario dalla morte, non nascondendo nella sua commemorazione in apertura del mese, un certo contrasto dovuto alla sede di pubblicazione: «Il contrasto, se mai, potrebbe sorgere dal celebrarlo nel nome di un sodalizio che, come questo del Touring, si ispiri a una fede operante di vita, troppo remota dalle amare o negative concezioni dello sventurato poeta».135 In nome dell’italianità, i possibili contrasti generati da celebrazioni e contributi letterari nel contesto di una rivista nata come prettamente tecnico-turistica, vengono assorbiti, ampliando il ventaglio tematico, con il supporto di figure di spicco del panorama accademico ed intellettuale. Sempre restando nell’area della critica 131 G. Bertacchi, Un colloquio col portiere di Casa Leopardi, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIII, n. 9, settembre 1927, p. 1034. 132 G. Bertacchi, Il poeta a Madesimo, in ivi, anno XLI, n. 8, agosto 1935, pp. 564-75. 133 Cfr. anche W. Spaggiari, Bertacchi e Carducci, in G. Scaramellini (a cura di), Giovanni Bertacchi, cit., p. 184: «sul piano strettamente letterario, già in un taccuino del Bertacchi studente liceale Carducci appariva defilato nel catalogo dei poeti allora prediletti (“Foscolo, Manzoni, Leopardi, qualche cosa del Carducci, molto del Prati e ancor più dell’Aleardi”)». Spaggiari, in particolare, evidenzia il filtro pascoliano del Bertacchi nell’accostamento al Carducci, di cui «ignora la produzione prosastica e si sofferma sulle fonti della poesia di Carducci, dal classicismo pagano a Dante, da Petrarca ai poeti tra Sette e Ottocento», ivi, p. 189. 134 G. Bertacchi, Un maestro di vita. Saggio leopardiano, parte prima. Il poeta e la natura, Bologna, Zanichelli, 1917. 135 G. Bertacchi, Nel primo centenario della morte di Giacomo Leopardi, in «Le Vie d’Italia», anno XLIII, n. 2, febbraio 1937, p. 73. 118 leopardiana, Manfredi Porena, già citato nell’ambito della dantistica, prima docente e poi preside dell’Università di Roma, accademico d’Italia e futuro presidente del Centro Leopardiano di Recanati, è il critico letterario più volte interpellato dalle «Vie d’Italia» durante gli anni Venti. Suoi i saggi apparsi sulla rivista inerenti non solo a Dante, ma anche a Manzoni, ai poeti sepolti a Napoli, al Parini e, infine, a Virgilio.136 Non si tratta di commemorazioni geo-letterarie pittoriche o fotografiche con qualche accompagnamento didascalico, ma di divulgazioni critiche, aperte ad un pubblico non specialistico, tuttavia mediamente istruito, rompendo in tal modo la settorialità iniziale della rivista. Così la nota introduttiva, presente nei casi di particolare autorialità o di argomento di specifica rilevanza, rende conto, nel caso della critica manzoniana, della precisa scelta redazionale, dapprima inusuale e poi via via, durante il ventennio, sempre più diffusa: «A voler stare rigorosamente nel carattere di questa Rivista, sarebbe bastato collegare con una lieve trama di commento le belle, originali fotografie di ricordi e di luoghi manzoniani che qui riproduciamo. Ma questo fu già fatto e da altri e da noi stessi: così che abbiam preferito di uscire ancora una volta, come già per il centenario dantesco, dalla via consueta e far posto a un saggio sull’uomo e sullo scrittore».137 A questa altezza cronologica, un’ultima rievocazione, dedicata a San Francesco d’Assisi, significativa anche dal punto di vista autoriale, è quella di Ettore Janni, vice di Albertini al «Corriere» fino al 25 novembre 1925, giorno dell’epurazione fascista che lascia vuote anche le scrivanie di Borsa e di Tarchiani.138 L’occasione è l’imminente pubblicazione da parte di Janni, ormai ritirato a vita (e a scrittura) privata, del volume Le vie del Santo, per l’Istituto Italiano di Arti Grafiche di Bergamo,139 per il quale nello stesso 1926 ha già introdotto le quattordici tavole a colori di Ferruccio Scattola, su Assisi.140 Come si legge nel consueto cappello redazionale (consueto almeno finché c’è 136 M. Porena, Alessandro Manzoni, in ivi, anno XXIX, n. 5, maggio 1923, pp. 533-42; Id., Tombe di poeti a Napoli, in ivi, anno XXXI, n. 10, ottobre 1925, pp. 1141-53; Id., Giuseppe Parini, in ivi, anno XXXV, n. 7, luglio 1929, pp. 513-23, e Id., Virgilio, in ivi, anno XXXVI, n. 6, giugno 1930, pp. 401-10. 137 M. Porena, Alessandro Manzoni, art. cit., p. 533. 138 Cfr. G. Afeltra, Ettore Janni, direttore nella lunga estate del 1943. Un antifascista al Corriere della Sera durante la bufera, in «Corriere della Sera», 31 agosto 1993, p. 19. 139 E. Janni, Le vie del Santo. Spiriti e luoghi del poema francescano, illustrazioni di E. Sommariva, tavole a colori di G. Mentessi, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1927. 140 F. Scattola, Assisi. Quattordici tavole a colori, introduzione di E. Janni, Bergamo, Istituto Italiano 119 Rusca), la rivista ha «pregato il Janni di voler riassumere in due articoli pei nostri lettori l’evocazione della figura del Santo e l’illustrazione delle contrade particolarmente legate alla Vita del Poverello d’Assisi: non solo dunque i centri che costituiscono le mète dei tradizionali pellegrinaggi, ma anche i piccoli santuari, i monti, i fiumi che conobbero il Santo».141 Il valore del contributo, in apertura del mensile, è dato non solo dal linguaggio poetico del critico letterario amico di Borgese e di D’Annunzio, dalle sue albe festive pascoliane segnate dagli scampanii dell’incipit, a immettere il lettore nella dimensione spirituale: «Suònino all’alba tra monte e piano le campane, da Assisi giù per tutta la valle di Spoleto. Suònino dai campanili della fiera Perugia e in vetta alle torri delle cittadine e dei borghi che sui poggi e i colli vestiti d’olivi rivivono le vecchie leggende dei frati minori. Campane delle chiese dominanti; campanelle degli eremi tra le querce e i macigni».142 La pregevolezza del pezzo aumenta guardando al corredo iconografico di Emilio Sommariva, «genialissimo artista della fotografia», già di fama internazionale, paesaggista apprezzatissimo dal Touring,143 che «ha predisposto un migliaio di fotografie di luoghi francescani. Molte entreranno a far parte del volume; alcune vengono ad adornare quest’articolo e l’altro che pubblicheremo nel numero successivo; molte altre del tutto inedite entreranno a far parte della sua già ricchissima raccolta».144 d’Arti Grafiche, 1926. 141 Introduzione a E. Janni, San Francesco d’Assisi, in «Le Vie d’Italia», anno XXXII, n. 8, agosto 1926, p. 817. 142 E. Janni, San Francesco d’Assisi, art. cit., p. 817. 143 Cfr. G. Ginex, Il fondo fotografico Emilio Sommariva, fotografo a Milano e Il Fondo Sommariva in T. Serena (a cura di), Per Paolo Costantini. Indagine sulle raccolte fotografiche, Quaderni IX, Centro di Ricerche Informatiche per i Beni Culturali, Scuola Normale di Pisa, Pisa 1999, vol. II, poi ripreso in Ead., Il Fondo fotografico Sommariva della Biblioteca Nazionale Braidense di Milano. Emilio Sommariva, fotografo a Milano. Il Fondo Sommariva alla Biblioteca Nazionale Braidense. Soggetti e temi iconografici nelle fotografie di Emilio Sommariva, disponibile all’indirizzo: http://www.hoc.elet.polimi.it/diglib/SOMMARIVA/cpresentsommariva.htm (2000). 144 Introduzione a E. Janni, San Francesco d’Assisi, art. cit., p. 817. 120 E. Sommariva, La valle del Tescio, in E. Janni, San Francesco d’Assisi, in «Le Vie d’Italia», anno XXXII, n. 8, agosto 1926, p. 819. Se dunque ci si può rallegrare dell’apertura a nuove vie della cultura tout court, trattate egualmente con serietà e scientificità grazie alle cure redazionali di Rusca e alle direttive di Bognetti, d’altro canto, la morte di Bertarelli nel gennaio del 1926 e la promulgazione delle leggi «fascistissime» nel medesimo anno segnano inevitabilmente i futuri sviluppi della rivista, svuotata sempre più, come l’associazione di cui è portavoce, della sua originaria carica fattiva, concretamente agente all’interno del tessuto economico e sociale nazionale. Dallo scioglimento dei partiti di opposizione alla reintroduzione della pena di morte, dalla morsa sempre più stretta sulla stampa controllata dalle autorità prefettizie all’abolizione delle libertà di sciopero e di riunione: le nuove leggi irreggimentano ogni aspetto della vita pubblica. In particolare, l’abolizione della libertà di riunione comporta che enti ed associazioni al fine di preservare, almeno formalmente, la propria esistenza passino sotto il diretto controllo del regime, iniziando dal trasferimento delle proprie sedi nella capitale e inquadrando i propri dipendenti nell’ordinamento corporativo fascista, come stabilito dalla legge del 3 aprile 1926 sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro.145 Più concretamente, stando a questo, due figure rappresentative, non solo nell’ambito editoriale, ma ancor di più esposte nell’organico del sodalizio, sono costrette a fare i conti con il proprio credo politico, messo in gioco in prima fila nel foglio antifascista «Il Caffé», che nel suo decimo numero così celebra l’istituzione milanese in 145 Sull’introduzione della serie di leggi liberticide e le ricadute sulla carta stampata cfr. P. V. Cannistraro, La fabbrica del consenso, cit., cap. IV, La stampa, pp. 173-224, mentre per le conseguenze nella sfera delle associazioni, in particolare il Touring, cfr. G. Vota, I sessant’anni del Touring Club italiano, cit., pp. 256-7. 121 barba ai tempi nuovi: «una volontà di progresso che vince tutte le ignavie e tutte le sfortune, e quanto più deve lottare, tanto più crede nella vittoria. Una disciplina di lavoro che non si insegna predicando, ma si attua lavorando; che è fatta non di costrizione, ma di educazione e di convinzione; che mira non all’utile di pochi, ma al bene di tutti»;146 mentre dopo aver ricordato le imprese guidistiche e cartografiche si citano «Le Vie d’Italia» come «alcunché di lontano dalle tradizioni sia delle nostre repubblichette pubblicistiche sia dei nostri imperi analfabetici».147 L’articolo è anonimo, ma è possibile ricondurlo a uno di quei due nomi del Touring, assidui nel «Caffé», che cominciano a risultare scomodi: Luigi Rusca o ancor più probabilmente Giovanni Mira, il cui nome ricorre accanto al citato articolo nel comitato di redazione. Tra i due è poi Mira il primo a lasciare il suo incarico di Consigliere nel sodalizio, che gli riconosce il suo gesto sacrificale, quando muore Bertarelli e il fascismo diviene regime.148 Il Vice Segretario Rusca, nonché redattore di successo anche della sorella minore delle «Vie d’Italia», nata nel 1924 – «Le Vie d’Italia e dell’America Latina» –, rimane invece fino al 1927, anno in cui è pure nominato Segretario Generale del X Congresso Geografico Italiano, promosso dal TCI.149 A questi incarichi si assomma l’eredità del Bertarelli, consistente nelle revisioni del primo e del secondo volume delle Guide d’Italia sull’Italia meridionale, effettuando i sopralluoghi per gli itinerari pugliesi e coordinando la stesura del volume su Napoli e dintorni.150 Tuttavia Rusca è destinato solo per pochi mesi a raccogliere l’eredità bertarelliana, poi per lui l’unica via di uscita di fronte alla legge del 3 aprile 1926 per continuare a lavorare senza esser costretto a prender la tessera del PNF sarà rappresentata dal Senatore Borletti, prossimo a divenire senatore di nome e di fatto. 146 TCI, in «Il Caffé», anno I, n. 10, 15 novembre 1924, p. 4. Ibidem. 148 Cfr. Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta del 5 gennaio 1926: «IL PRESIDENTE dà comunicazione della lettera di dimissioni presentata dal prof. Giovanni Mira e che si unisce al presente verbale. La Presidenza propone il seguente ordine del giorno, che viene approvato all’unanimità: “Il Consiglio, riconoscendo nelle dimissioni del Collega prof. Giovanni Mira un atto ispirato al più puro affetto per il Touring, quell’affetto che sa giungere fino al sacrificio, rinnova a lui ancora una volta l’espressione della sua simpatia e della sua riconoscenza, mentre sente di poter ancora e sempre annoverarlo fra i benemeriti e gli amici del Touring”». 149 Il Touring al X Congresso Geografico Italiano, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIII, n. 10, ottobre 1927, pp. 1135-7 e cfr. anche Atti del X Congresso Geografico Italiano, Milano, settembre 1927, I, Milano, TCI, 1927, p. XIX: «La Direzione Generale del Touring, per iniziare subito l’opera di collaborazione [nota: con il Comitato Geografico Italiano], incaricò il Dott. Luigi Rusca, Vice Segretario Generale del TCI, delle opportune pratiche, ed egli fu, per desiderio del Generale Porro, chiamato all’ufficio di Segretario Generale del Comitato Ordinatore del Congresso». 150 Cfr. le introduzioni ai due volumi della Guida d’Italia: L. V. Bertarelli, Italia Meridionale, vol. I, Abruzzo, Molise e Puglia, Milano, TCI, 1926, p. 9 e quello postumo Id., Italia Meridionale, vol. II, Napoli e dintorni, Milano, TCI, 1927, p. 4. 147 122 Proprio Borletti, industriale milanese proprietario della Rinascente e Presidente della Mondadori, entrato nel 1923 nel Consiglio del Touring a presiedere la Commissione per l’estensione del sodalizio in America latina, riconoscendo le doti del redattore delle «Vie d’Italia» italiane e sudamericane, si adopera ad accoglierlo in Mondadori, bisognosa di un drastico risanamento e di un Condirettore Generale. Non sarà quindi un caso trovare nel catalogo mondadoriano dell’entre-deux-guerre, nella fattispecie nelle collane ideate da Rusca delle «Scie» e dei «Libri verdi», nomi ben noti al Touring: Borsa, Mira, Tomaselli, Damerini.151 Quest’ultimo, direttore della «Gazzetta di Venezia» nonché collaboratore in questi primi anni Venti delle «Vie d’Italia»,152 risulta tra le prime segnalazioni per possibili pubblicazioni da parte di Rusca.153 Partiti Mira e Rusca, il segno di continuità con il vecchio Touring del Bertarelli, resta Giovanni Bognetti, Presidente dal 1926 fino alla morte, avvenuta nel 1935. A lui rimane l’incarico anche della direzione di tutti i periodici. 151 Per la precisione, nelle «Scie» escono nel 1929 La vita avventurosa di Caterina Dolfin Tron di Damerini, nel ‘32 Autunno 1918: come finì la guerra mondiale di Mira e nel ‘36 Il mio diario di guerra della regina di Romania tradotto da Borsa, mentre dal ‘32 al ‘36 nei «Libri verdi. Drammi e segreti della storia» finiscono le monografie dello stesso Borsa su Maria Stuarda, Carlo I e Sir Roger Casement e nel ‘37 Le avventure eroiche (1915-1936) di Tomaselli, che l’anno successivo pubblicherà sempre per Mondadori il best-seller La corrida delle balene. 152 Di Damerini sulle «Vie d’Italia» si vedano: Due giardini a Venezia, anno XXVIII, n. 1, gennaio 1922, pp. 43-7; Cimiteri di guerra in montagna, anno XXVIII, n. 4, aprile 1922, pp. 377-82; Le grandi manifestazioni internazionali d’arte: La XIII Biennale di Venezia, anno XXVIII, n. 6, giugno 1922, pp. 587-92; Nel centenario canoviano (1757-1822), anno XXVIII, n. 8, agosto 1922, pp. 769-75; Il paesaggio alla XIV Esposizione di Venezia, anno XXX, n. 6, giugno 1924, pp. 639-45. 153 E. Decleva, Arnoldo Mondadori, cit., p. 134. 123 3. UNA RIVISTA FASCISTIZZATA? (1927-1936) 3.1 INGERENZE ED EQUILIBRISMI Morto Bertarelli, il passaggio di consegne, sia nell’organigramma del sodalizio sia nelle pubblicazioni, avviene immediatamente il 3 febbraio 1926 con il professor Bognetti, organizzatore culturale ed educatore presente nelle maggiori istituzioni ambrosiane, dalla Dante Alighieri al Circolo Filologico, dalla Società Storica Lombarda al Rotary fino all’omonimo istituto «Bognetti» di tradizione familiare, che tra gli alunni ha annoverato il figlio di Arnaldo Mussolini. L’«amico carissimo […] dottore in lettere e ragioniere»,1 così appellato con deferenza dal Bertarelli sanza littere, è scelto all’unanimità dal Consiglio del Touring, in pieno rinnovamento soprattutto sul fronte della delegazione romana dell’associazione, la quale, visti i primi tentativi di inquadramento del regime e di spostamento nella capitale con la legge del 3 aprile 1926, acquista una certa importanza. Per questo motivo, nolenti o volenti, anche in Corso Italia, 10 a Milano si comincia a parlare (e non solo) di politica.2 Nella fattispecie, nel medesimo anno dell’elezione di Bognetti, a capo della delegazione romana è nominato l’onorevole avvocato Carlo Bonardi, sottosegretario al Ministero della Guerra durante il primo gabinetto Mussolini, destinato poi a prendere il posto di Bognetti dal 1935 fino alla fine del Ventennio. È a lui che Bognetti, in due lettere datate 22 e 23 aprile 1926, in seguito a un colloquio avuto col Presidente di Confindustria, Antonio Stefano Benni, manifesta una certa inquietudine circa i possibili pericoli di uno stato corporativo fagocitante le iniziative dell’associazione.3 Con la legge del 17 maggio 1928, n. 1019, che riforma la rappresentanza politica al Parlamento (non più liberamente eletto dai cittadini, ma scelto tra una rosa ristretta di 1 Il Consiglio del TCI, Giovanni Bognetti, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 3, marzo 1935, p. 161. Ancora nel 1924 il già citato articolo anonimo TCI apparso su «Il Caffé» scriveva a proposito degli uffici della sede milanese: «Un Ministero, si direbbe, se non fosse che qui c’è ordine, pulizia, silenzio; non c’è nemmeno un usciere, non si fuma, non si parla di politica». 3 Cfr. R. J. Bosworth, The Touring Club Italiano and the Nationalization of the Italian Bourgeoisie, cit., p. 392, Benni aveva tentato di rassicurare il Presidente del TCI, consigliando di aver fiducia nel Ministro della Giustizia Alfredo Rocco, ma per Bognetti «even though Rocco was “an ancient admirer of the Touring, and, as a good Italian, cannot want our Association to be mistreated and damaged”, it was possible that, “in so far as Corporations are concerned, he possesses ideas which will not be favourable to us”». 2 124 deputati stabiliti dal Gran Consiglio Fascista), il Touring figura tra gli enti di importanza nazionale atti a nominare un candidato nella nuova assemblea. Il designato a entrar in Parlamento è Italo Bonardi, fratello di Carlo, alto funzionario del Ministero dell’Economia durante il governo Nitti. Questi è presto attivo sulle pagine delle «Vie d’Italia» a documentare le «opere dell’Italia nuova», in particolare le strade e le iniziative in materia turistica e di sicurezza stradale, concertate ancora a livello internazionale con gli altri Touring Club, nonostante le inevitabili chiusure di un regime,4 che «rappresenta, primo in Europa, il caso di uno Stato che organizza, predispone, allestisce una compiuta politica del tempo libero concepita come strumento di irreggimentazione e di controllo».5 Non è forse un caso che proprio immediatamente dopo la perdita di Bertarelli, si faccia sentire sempre più direttamente o indirettamente, nell’associazione e tra le pagine della rivista madre del Touring Club, un’altra presenza ingombrante, quella di Benito Mussolini. Giusto in apertura dell’anno 1927, «Le Vie d’Italia» pubblicano un ritratto del Duce, da interpretare alla luce dei verbali del Consiglio direttivo svoltosi la sera del 22 dicembre 1926, inerenti alle dimissioni del In «Le Vie d’Italia», anno XXXIII, n. 1, gennaio 1927, p. 5 4 Rimando ad alcuni articoli del mensile redatti da I. Bonardi: La strada Gardesana occidentale, anno XXXV, n. 2, febbraio 1929, pp. 81-92; L’autostrada Brescia-Bergamo, anno XXXVII, n. 9, settembre 1931, pp. 715-9; Le strade sui monti del Garda, anno XLII, n. 5, maggio 1936, pp. 321-36; La grande litorale libica, anno XLII, n. 12, dicembre 1936, pp. 793-9; Piccoli e grandi problemi del turismo, anno XLIII, n. 1, gennaio 1937, pp. 42-8; Conosci il luogo ove il limon fiorisce?, anno XLIV, n. 5, maggio 1938, pp. 574-82. 5 S. Pivato, Politica e tempo libero, in Tempo libero e società di massa nell’Italia del Novecento, cit., p. 119. 125 Consigliere On. Bortolo Belotti, giurista e poeta antifascista, i cui echi erano arrivati nelle redazioni di alcuni giornali: «il 4 dicembre [ndr. 1926] il giornale “Il Tevere” pubblicava un telegramma dei Soci di Genova protestanti contro l’indirizzo politico del Touring. Analoga pubblicazione appariva nello stesso giorno sul “Nuovo Giornale” di Firenze per parte di altri Soci colà residenti. Tali telegrammi erano riportati dall’“Ambrosiano” il primo, dall’“Impero” il secondo».6 Si temono rappresaglie governative per queste notizie orchestrate dalla stampa di regime, pertanto la soluzione immediata è la spedizione del neo-presidente Bognetti a Roma il giorno successivo a queste pubblicazioni, per rassicurare e rabbonire il Duce. Nelle file del Consiglio vi è la consapevolezza che tale «attacco non aveva origini limpide, ma non era del tutto inabile nel sottintendere che le pubblicazioni del Touring non sono ispirate a una continua apologia dell’opera del Governo». Sono richiesti dunque al Touring una netta smentita di queste insinuazioni, per non soccombere, e un adeguamento inevitabile ai tempi nuovi: «nel fascicolo de “Le vie d’Italia” di gennaio si è pubblicato il ritratto del Capo del Governo. Ciò non si è fatto in dicembre – appena ricevuto tale ritratto – per non essere tacciati di esibizionismo. Si è ritenuto invece opportuno chiederne il consenso. Ottenutolo si è pubblicato il ritratto insieme con l’articolo di propaganda a favore del Prestito del Littorio. Noi seguiremo questa linea di condotta, che era anche quella di L. V. Bertarelli. La tradizione del resto è antica. Il Touring, proponendosi il bene del Paese, ha sempre sentito di non dover prendere atteggiamenti di opposizione. Oggi la tradizione vuol essere un po’ accentuata, poiché ognuno deve adattarsi al clima storico del momento in cui vive».7 Di fronte a tale risoluta cognizione di non aver molte altre scelte, in Corso Italia nascono non pochi imbarazzi, come quelli del Consigliere On. Bignami e di «chi come lui, è sempre stato e si conserva un liberale-democratico ‹e› ritiene che un Istituto che ha le idealità del Touring possa astrarre dalle condizioni politiche del momento e dalle 6 Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta del 22 dicembre 1926, Milano, Archivio storico del Touring Club Italiano. 7 Ibidem. 126 persone che si trovano al Governo».8 Ma troppo forti sono le pressioni di un Socio, qual è Benito Mussolini, subito pronto a iscriversi tra i fondatori dell’ambrosiana associazione: «nessun dubbio che tale iscrizione, fatta a pochi giorni di distanza dalla morte del nostro amatissimo Capo avesse valore di solenne riconoscimento delle sue benemerenze: così che, iniziando nel prossimo fascicolo la rubrica dei nuovi iscritti nelle tre categorie, scriveremo per primo il nome di S. E. Mussolini, Capo del Governo d’Italia».9 A questa iscrizione si aggiunge anche quella del fratello Arnaldo, a capo dell’organo di stampa del PNF, «Il Popolo d’Italia», presso la cui sede in via Paolo da Cannobbio, 35, a due passi da Corso Italia, Bognetti indirizza gentili sollecitazioni al fine di ottenere positive attenzioni per il Touring.10 A parte l’opera monumentale della Guida d’Italia, intrapresa dal Bertarelli e proseguita con dovizia da Bognetti,11 alla quale vanno plausi e consensi di casa Savoia e di tutti i ministri, da Federzoni a Fedele,12 «Le Vie d’Italia», nella fattispecie, suscitano nel regime particolare attenzione, vista la loro molteplice natura. Esse costituiscono un mensile di «storia e arte, bellezze naturali e operosità manuale e intellettuale, cultura geografica e propaganda turistica»13 che nel 1927 ha una tiratura di 180.000 copie. Al contempo sono la rivista madre dell’associazione turistica più importante d’Italia che conta più di 350.000 soci (nonostante l’aumento della quota sociale del 1926)14 e una rete capillare di Consoli in tutta la penisola.15 Infine, rappresentano l’organo ufficiale 8 Ibidem. G. Bognetti, Una verità, un omaggio, un esempio, in «Le Vie d’Italia», anno XXXII, n. 4, aprile 1926, p. 338. 10 Cfr. Lettera di Bognetti ad Arnaldo Mussolini del 21 settembre 1928, Archivio Storico del TCI, citata in nota in R. J. Bosworth, The Touring Club Italiano and the Nationalization of the Italian Bourgeoisie, cit., p. 407. 11 Dopo la scomparsa di Bertarelli, spetta giustappunto a Bognetti la consueta presentazione di ogni nuovo volume negli editoriali di apertura. Si vedano a tal proposito: G. Bognetti, Il XIV volume della Guida d’Italia del TCI: Abruzzo, Molise e Puglia, in «Le Vie d’Italia», anno XXXII, n. 9, settembre 1926, pp. 937-45; Id., La Guida di Napoli e dintorni, in ivi, anno XXXIII, n. 7, luglio 1927, pp. 761-70; Id., La Guida delle Colonie Italiane, in ivi, anno XXXV, n. 8, agosto 1929, pp. 561-76; Id., Sardegna e Corsica, in ivi, anno XXXV, n. 9, settembre 1929, pp. 677-86. 12 G. B., Plausi e consensi, in ivi, anno XXXIII, n. 1, gennaio 1927, pp. 4-6. 13 Cfr. l’editoriale di apertura dell’anno 1927: La Direzione Generale del TCI, 1927, in ivi, anno XXXIII, n. 1, gennaio 1927, p. 2. 14 Tale aumento da L. 10 annuali a L. 15 è causa di una consistente defezione di circa 30.000 soci, tuttavia presto recuperati nel giro di tre anni, quando nel 1930 si toccano i 400.000 membri. 15 Tale rete su tutto il territorio nazionale desta subito le attenzioni (e le preoccupazioni) del regime e lo si 9 127 dell’Ente nazionale per l’industria turistica. In questo nuovo contesto storico «Le Vie d’Italia» non sono quindi una pubblicazione qualsiasi da inquadrare sotto l’autorità politica, dacché: «In un regime totalitario, come dev’essere necessariamente un regime sorto da una rivoluzione trionfante, la stampa è un elemento di questo regime, una forza al servizio di questo regime. In un regime unitario la stampa non può essere estranea a questa unità».16 Estraneo a tale unità non può essere nemmeno un editore come il TCI, che nel 1930 Bognetti definisce in questi termini: «non è un editore, se editore significa chi trae dall’industria un legittimo lucro, ma solo un grande Ente di cultura e di propaganda».17 A maggior ragione potrà sembrare che un Ente di cultura e propaganda non possa far eccezione alla legge sindacale dell’aprile 1926; tuttavia essa apre annose questioni, con un Touring legato alla sua identità anzitutto patriottica, e facilitato dalle intercessioni delle cariche parlamentari, i fratelli Bonardi in primis. Nel 1928, infatti, si svia momentaneamente il rischio di un immediato inquadramento: il Ministero delle Corporazioni «determinò che il Touring non fosse da sottoporre alla legge sindacale “in considerazione dell’assenza del fine di speculazione industriale o commerciale”»,18 dunque proprio per la sua natura duplice e sui generis di editore e di associazione senza fini di lucro. L’altro fattore che contribuisce a attrarre l’attenzione governativa è che la rivista è organo ufficiale di un ente statale, l’ENIT, giudicato come «organisme indépendant et trop détaché du Gouvernement, ‹qui› ne pouvait agir avec assez d’efficacité dans les problèmes».19 Tale la motivazione ufficiale, alquanto generica che non accenna affatto al ruolo particolarmente critico giocato dall’ENIT nei riguardi della politica fallimentare vede da una lettera dattilografata del 16 marzo 1928 a firma del segretario del PNF Augusto Turati destinata amicalmente all’On. Carlo Bonardi, vicepresidente dell’associazione e futuro direttore delle riviste dopo Bognetti: «Mi viene segnalato che a Messina è stato nominato Capo Console del Touring Club Italiano l’avv. Giuseppe Magaudda, definito antifascista irriducibile, uno dei pochi che nel luglio ‘24 costituivano il comitato aventiniano nella provincia di Messina, facente parte del Gruppo sturziano che in quei tempi imperversò in quel Capoluogo. Tali requisiti non consigliano di conservare l’avv. Magaudda alla carica che attualmente ricopre. Ti sarò perciò grato se vorrai interessarti alla sua sostituzione con persona che dia più affidamento nei riguardi del Regime». Lettera contenuta nel dossier dedicato a Carlo Bonardi, conservato nell’Archivio Storico del Touring Club Italiano. 16 Primo rapporto di Mussolini ai direttori di tutti i giornali italiani, tenuto il 10 ottobre 1928 e riportato in V. Castronovo, La stampa italiana dall’unità al fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1973, p. 357. 17 G. Bognetti, La prima “Rivista” del Touring, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVI, n. 1, gennaio 1930, p. 2. 18 G. Vota, I Sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., p. 256. 19 E. Grandi, Le tourisme en Italie, cit., p. 57. 128 della «Quota 90», causa di un abbassamento dei salari del dieci-venti per cento, costituente un duro colpo per il turismo, soprattutto dopo i grandi successi del giubileo del 1925, come si legge anche nel suo organo di stampa. Sulle «Vie d’Italia», in qualità di rivista ufficiale dell’ENIT, ancora nel 1928 ci si permette, nella forma anonima del soggetto alla prima persona plurale identificante il comune pensiero della direzione del mensile e dell’ente che rappresenta,20 una schietta e argomentata critica delle misure economiche adottate, identificando ben altre soluzioni e dimenticando i convenevoli: «non possiamo che confermare i nostri voti per un riesame dell’intera questione da parte del Governo con prevalenza dei criteri turistici sui criteri puramente fiscali: il fisco si avvantaggerà indirettamente – e crediamo ben più largamente – dall’aumentato movimento di ricchezza e quindi di materia imponibile per altre leggi tributarie, che l’incremento del turismo porterà con sé».21 Per questo motivo l’azione del regime nei confronti dell’ENIT è drastica e volta a limitare la sua esistenza alla sola propaganda turistica, di cui il mensile del Touring è portavoce: «Essendosi col tempo fatto sentire sempre più grande il bisogno di togliere agli uffici dell’Ente Nazionale Industrie Turistiche il carattere speculativo-commerciale che gli conferivano le agenzie viaggio, il Governo italiano costituì, con decreto legge del 17 marzo 1927 una società anonima che prese il nome di Compagnia Italiana del Turismo (CIT) e che ebbe sede a Roma».22 All’ENIT perterrà dunque soltanto l’aspetto propagandistico del turismo, almeno fino ai regi decreti legge del 21 novembre 1934 n. 1851 e del 3 dicembre 1934 n. 1925, «concernenti il trasferimento delle attribuzioni del Commissariato per il Touring [ndr.: da intendere come “Turismo”, utilizzato in tutte le altre occorrenze della locuzione]23 al Sottosegretariato di Stato per la Stampa e la propaganda e l’approvazione del nuovo statuto dell’Ente Nazionale per le Industrie Turistiche».24 In effetti il lapsus redazionale può trovare le sue buone ragioni, risiedenti nel fatto che nel medesimo anno, il 1934, «fu comunicato al Touring che, per 20 Con ogni probabilità, quel «noi» può essere racchiuso nella figura del Bognetti, presidente del TCI, direttore delle «Le Vie d’Italia», nonché vicedirettore dell’ENIT. 21 Caro turismo e stabilizzazione, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIV, n. 3, marzo 1928, p. 260. 22 D. Frigerio, Organizzazione e nuovi mezzi di potenziamento del turismo in Italia, cit., p. 33. 23 Si tratta forse un lapsus redazionale da attribuire con probabilità a Gualtiero Laeng, redattore capo fino al 1935, quando muore il Presidente Bognetti. 24 L’inquadramento del Commissariato per il Turismo e dell’ENIT nel Sottosegretariato per la Stampa e la propaganda, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 1, gennaio 1935, p. 77. 129 disposizione del Partito fascista, il personale del TCI doveva essere inquadrato nell’Associazione del pubblico impiego; nello stesso tempo il Sodalizio era invitato a inviare una “nota nominativa di tutto il personale con l’indicazione di appartenenza al PNF, specificando la relativa data d’iscrizione”».25 Poco prima della morte di Bognetti, «as part of complex and continuous enlargement of the Fascist state, tourist concerns had, in 1934, become the responsibility of Mussolini’s ambitious, and not always ideologically naïve, son-in-law Galeazzo Ciano».26 Con la trasformazione dell’Ufficio Stampa del Capo del Governo in Sottosegretariato di Stato per la Stampa e la Propaganda, l’anno dopo divenuto Ministero, che nel 1937 si amplierà ulteriormente sotto la nota dicitura MINCULPOP, tutto ciò che è inerente al turismo, alla vacanza e più in generale agli svaghi e al tempo libero si centralizza nelle mani dello stato fascista. E al Touring non resta che scongiurare e difendere strenuamente il proprio nome e la propria sede milanese, garanti ancora di una minima ma significativa identità. 3.2 E.F. – ERA FASCISTA Sul piano grafico-formale della rivista, vi è un dato evidente del mutamento dei tempi: a partire dal marzo 1927, dopo aver commemorato la scomparsa di Bertarelli, con un anno di ritardo rispetto a quanto riportato da Tranfaglia e Vittoria, anche alle famose copertine delle «Vie d’Italia» «veniva imposto l’obbligo dell’indicazione dell’“era fascista” per tutte le scritture esterne, comprese le copertine dei libri».27 L’antico fregio d’apertura che aveva accompagnato le copertine del mensile del Touring dall’aprile del 1920 con allori e motivi ornamentali da belle époque via via stilizzati, viene sostituito all’inizio del 1927 con una semplice cornice azzurra, sopra la quale verrà indicata anche l’era fascista, racchiudente lo storico sottotitolo «Organo ufficiale dell’Ente Nazionale per le Industrie Turistiche», posto tra lo stemma sabaudo, sempre presente, e quello dell’associazione. Al di sotto della cornice continueranno a trovar spazio fino al dicembre 1935 le pubblicità più note, disegnate da celebri illustratori, particolarmente 25 G. Vota, I Sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., p. 256. R. J. Bosworth, The Touring Club Italiano and the Nationalization of the Italian Bourgeoisie, cit., p. 394. 27 N. Tranfaglia, A. Vittoria, Storia degli editori italiani. Dall’Unità alla fine degli anni Sessanta, RomaBari, Laterza, 2000, p. 231. 26 130 significative nell’indicare i bisogni e i consumi quotidiani, i sogni e le paure del pubblico borghese. Colpisce la nitidezza delle figure aggraziate e senza volto, dai colori pastello, del cartellonista della Buitoni-Perugina Federico Seneca; ben si ricordano gli affiches di Mauzan per la Campari e per i lubrificanti Globoil, le coloratissime composizioni di Renzo Bassi per la Shell e i fulmini tricolori del contatore elettrico nazionale interpretato da Lanfranco Felin, in un clima non ancora del tutto autarchico. Retorica nazionalista a parte, i marchi e i prodotti stranieri continuano a esser ben accetti tra le pagine della rivista. Non vi è solo la già citata impresa petrolifera anglo-olandese Shell, ci sono anche i cinematografi per famiglie con proiezioni educative di qualità della francese Pathé, il cioccolato Suchard, le compresse di Aspirina Bayer, gli apparecchi, le pellicole e la carta della statunitense 131 Kodak, immancabili per il moderno turista, pubblicizzati dallo storico slogan «Tutto passa senza fotografie». Oltre a queste conferme grafico-pubblicitarie, presenti soprattutto nella decina di pagine introduttive e finali del mensile predisposte a questo scopo, vi sono novità curiose, anche dal punto di vista letterario-dialettale, come le due vivaci e satiriche sestine, perfettamente regolari, in romanesco, scritte da Trilussa per reclamizzare le caramelle Unica: «Peppina è una regazza tanto cara / che quanno faccio certe scappatelle / prima de dimme una parola amara / comincia a masticà le carammelle, / e io, che ce lo so, tengo a bon conto / un cartoccio dell’“Unica” già pronto. // Lei dice che ricorre a ‘sto sistema / speranno d’addorcimme l’espressione: / così me chiama ipocrita a la crema, / farabbutto ar cacao, bestia al limone: / finché nun rifà pace e se contenta / de dimme brutto stupido a la menta».28 Tra le novità, questa volta in materia commerciale, indizio dei tempi nuovi che certo mal tollereranno la satira politico-sociale in forma perlopiù dialettale, vi sono le réclames degli ultimi ritrovati della scienza, rispondenti ai timori da debellare, in linea con la politica e il gusto (anche iconografico) del regime. Alle pastiglie di Esanofele e Esanofelina confezionate da Felice Bislieri contro la malaria, sono dedicate molte copertine, controcopertine e pubblicità interne, disegnate da diversi illustratori da Valenti a Romano di Massa. Quest’ultimo, pittore parmense, con armenti e campi dorati rievoca efficacemente l’immaginario strapaesano e da «battaglia del grano» di quegli anni, nonché l’opera di bonificazione e di conversione agricola sistematicamente intrapresa, coronata dalla citazione letteraria edenica del «Mefistofele» di Boito posta nella copertina in basso a destra: «…vo’ che surgano a mille / a mille e genti e greggie / e case e campi e ville…».29 La tematica delle bonifiche abbiamo visto non esser certo nuova per il Touring, sostenitore all’interno dello stato liberale dell’Opera nazionale dei Combattenti, la quale si era avvalsa dei soldati smobilitati dal fronte per le bonifiche in Sardegna, Toscana e 28 Trilussa, pubblicità per le caramelle Unica, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIV, n. 2, febbraio 1928, p. XV. Altre rime pubblicitarie di Trilussa sono dedicate alla Pasticca del Re Sole, al transatlantico Giulio Cesare, alle lanerie Valle, alla legatoria Ciottarello e alle lenti Salmoiraghi, per le quali si vedano ancora nel secondo dopoguerra «Le Vie d’Italia», anno LII, n. 6, giugno 1946, p. 417. 29 Sono tra le ultime parole pronunziate nell’epilogo da Faust contro il diavolo tentatore, accompagnate dall’apparizione delle falangi celesti. 132 Campania. La retorica impiegata attorno alle bonifiche, sorta in seno al clima postbellico, facente un uso metaforico guerresco contro il nemico della malaria e religiosopatriottico nei termini della redenzione di nuove fertili terre, è subito ben inglobata dal fascismo, pronto a caricarla di connotati ideologico-propagandistici30 e estromettendo come sempre qualsiasi altro attore sociale dedito allo sviluppo concertato della nazione. Durante il ventennio al Touring e alle «Vie d’Italia» non resta che conformarsi il più possibile all’approvazione e alla promozione delle iniziative del regime, oltre che dei luoghi campestri nativi di Mussolini. Così ecco Vittorio Marchi celebrare la Romagna rurale, nonché «la terra del Duce» come indicato nell’occhiello,31 elemento graficoredazionale introdotto, di norma durante il regime in articoli particolarmente celebrativi nella pagina al di sopra del titolo, inserendo titolo e articolo all’interno del discorso retorico dittatoriale. Quale poi miglior occhiello per presentare l’articolo anonimo superlativamente inneggiante a Come l’agro romano riacquista la sua primiera floridezza se non la locuzione latina dell’araba fenice «post fata resurgo»?32 A parte i latinismi tanto cari al fascismo sempre più presenti al posto del dialetto meneghino masticato dal Pocar, dal punto di vista stilistico stupisce il ricorso a un’insistita aggettivazione di grado superlativo assoluto, mai così manifesta nella retorica postrisorgimentale del Touring. Nell’articolo, forse non a caso senza firma e nemmeno un’indicazione redazionale, ogni aggettivo riferito al Ministero della Economia Nazionale non manca del suffisso elativo: «bellissimo» è il quadro inviato dal ministero al padiglione delle bonifiche, «notevolissimo» è l’incremento delle colture nel primo quinquennio fascista, «interessantissime» sono le statistiche e «chiarissime» sono le tavole della Relazione pubblicata a cura del ministero, della quale si fa cotanta pubblicità. Certamente, son passati i tempi in cui era Bertarelli a pubblicare lui stesso Terra Promessa. Le bonifiche di Coltano, Sanluri, Licola e Varcaturo dell’Opera Nazionale 30 Cfr. P. Bevilacqua, Le bonifiche, in M. Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, cit., p. 412: «Non stupisce dunque che il regime fascista, una volta consolidatosi in forma di dittatura, abbia ben presto raccolto gli sparsi elementi di questo immaginario, le tensioni e i bisogni diffusi – soprattutto negli ambienti tecnici, presso i medici, il ceto politico liberale – e ne abbia fatto una sorta di ideologia di Stato: quasi un’insegna simbolica destinata a contrassegnare la nuova era della redenzione nazionale». 31 V. Marchi, Romagna rurale, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIV, n. 6, giugno 1928, pp. 451-61. L’anno seguente sarà il già citato Carlo Grigioni, medico eclettico, esperto d’arte romagnola e collaboratore delle Guide d’Italia, a far scoprire ai lettori della rivista La rocca delle Caminate, il castello del Duce, in ivi, anno XXXV, n. 9, settembre 1929, pp. 699-704. 32 Come l’Agro Romano riacquista la primiera floridezza, in ivi, n. 10, ottobre 1928, pp. 833-8. 133 Combattenti (Milano, TCI, 1922), quando ancora non esisteva un sistema propagandistico nazionale accentrato nelle mani dello Stato e del suo governo. Comunque decisamente più pacati sono i toni di specialisti come Aldo Pavari e Luigi Parpagliolo. Il primo è botanico, esperto di genetica forestale, selvicoltura e dendrologia, e conferisce all’albero una funzione fondamentale nella bonifica agraria, facendosi promotore di grandi progetti di rimboschimento,33 particolarmente divulgati e caldeggiati nelle «Vie d’Italia» dal secondo,34 avvocato ambientalista calabrese noto alla «Nuova Antologia» e «Fanfulla della Domenica»,35 attivissimo nella revisione legislativa per la tutela delle bellezze naturali, nonché autore di uno dei primi manifesti della conservazione della natura in Italia.36 Proprio a Parpagliolo e al Comitato Nazionale per la difesa dei monumenti e dei paesaggi italici di cui è a capo, si deve la catalogazione delle bellezze naturali nostrane,37 concretizzazione di quella idea «molto platonica» proposta al sodalizio da Ugo Ojetti sul «Corriere» nel lontano 1904, con piena fiducia nell’attuazione poiché «il nostro Touring ha fatto ben altri miracoli».38 Probabilmente anche grazie a queste significative collaborazioni di specialisti nel campo ambientale, oltre che per la pubblicazione del mensile «L’Alpe», dedicato alla propaganda forestale e rilevato nel 1928 dalla Associazione Pro Montibus et Silvis che 33 R. Morandini, Aldo Pavari, forestale moderno. L’Italia Forestale e Montana, «L’Italia forestale e montana. Rivista di politica, economia e tecnica», anno LXV, n. 4, luglio-agosto 2010, pp. 407-10. 34 L. Parpagliolo, L’albero, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIII, n. 5, maggio 1927, pp. 542-53; G. B. e L. Parpagliolo, La difesa del paesaggio, in ivi, anno XXXVII, n. 4, aprile 1931, pp. 281-90; L. Parpagliolo, Per la migliore tutela delle bellezze naturali – Osservazioni e proposte, in ivi, anno XLII, n. 12, dicembre 1935, pp. 926-33; Id., Il censimento del patrimonio artistico nazionale, in ivi, anno XLV, n. 9, settembre 1938, pp. 1106-11; Id., La protezione delle bellezze naturali. La nuova legge, in ivi, anno XLVI, n. 9, settembre 1939, pp. 1179-90. 35 Si veda in particolare il saggio apparso sulla «Nuova Antologia»: L. Parpagliolo, Per le bellezze naturali d’Italia, serie V, fasc. 958, 16 novembre 1911, di cui l’autore si farà strenuo difensore sotto la bandiera del Touring. 36 L. Parpagliolo, La difesa delle bellezze naturali d’Italia, Roma, Società editrice d’arte illustrata, 1923. Nell’introduzione, in particolare, l’autore, intriso del romanticismo letterario dell’Ottocento europeo da Madame de Staël a Hölderlin e Novalis, specifica la sua idea rousseauiana della natura con funzione educativa, che visto l’intento didattico congiunto a quello tutelare non può non attirare tutta l’approvazione del sodalizio del Bertarelli, erede dello Stoppani. Mentre per l’opera nel suo complesso, Ezio Antonini nell’introduzione a Il paesaggio italiano nel Novecento. Le grandi trasformazioni del territorio nei cento anni del Touring, cit., a p. 15, pone in evidenza la straordinaria attualità e «acuta consapevolezza delle norme di protezione del paesaggio: dal contrasto fra le norme edilizie locali e la tutela paesistica, alle pressioni sulla speculazione edilizia, alla necessità di coordinare i piani urbanistici con la difesa delle bellezze naturali», cercando di sintetizzare hegelianamente le esigenze della moderna produzione industriale con le bellezze della natura, in sintonia con l’estetica crociana. 37 L. Parpagliolo, Il catalogo delle bellezze naturali d’Italia e la legislazione estera in materia della tutela delle bellezze naturali e del paesaggio, Milano, TCI, 1922. 38 Cfr. G. Bozzini, Nasceva a Milano 80 anni fa il TCI. Aprì agli italiani le vie del mondo, in «Città di Milano. Rassegna mensile del Comune e bollettino di statistica», cit., p. 70. 134 l’aveva fondato, il Touring ottiene dal regime il riconoscimento della medaglia d’oro al merito silvano.39 Al di là delle benemerenze dal sapore strapaesano, attraverso queste firme preziose e affidabili, il Touring non distoglie l’attenzione dai problemi legislativi legati alla tutela del territorio, e nemmeno dalle opere volte alla modifica di questo. Nell’analizzare l’evolversi della «bonifica integrale», per utilizzare lo slogan lanciato dal duce ripreso nell’occhiello dell’articolo, Pavari ricorre al rigore consono alle pagine della rivista bertarelliana e a un’obiettività più scientifica che non sminuisce l’operato fino ad allora svolto, prendendo il posto della sguaiataggine propagandistica tendente all’assolutezza. Pacato, non rinuncia comunque alle glorificazioni patriottiche, cui si è già avvezzi da tempo: nella campagna romana «il progresso che oggi si nota è confortante»,40 e la «bonifica integrale, la grandiosa opera che ha intrapreso il Regime Fascista, oggi non è se non una continuazione, una ripresa energica e ordinata di quel lavoro secolare che ha così profondamente trasformato e abbellito il volto della divina Penisola».41 Non vi è solo uno specialista come Pavari a celebrare questa «colonizzazione interna», con non celate reminiscenze imperialistiche romane. Anche nomi della letteratura e del giornalismo si prestano a documentare la serie delle «Opere del regime», come recita il puntuale occhiello dell’articolo di apertura del marzo 1933 sulla bonifica della Piana di Catania redatto da Arturo Tofanelli, di cui era appena stato pubblicato Le opere del fascismo, in occasione del decennale della marcia su Roma.42 Come nell’articolo di Pavari e ancor prima in quello di Cesco Tomaselli sulla redenzione dell’agro reggiano-modenese,43 non assistiamo alla cancellazione o alla minimizzazione dei processi millenari di trasformazione ad opera dell’uomo nella 39 Cfr. il notiziario Vita del Touring: Medaglia d’oro al merito silvano per il Touring, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIX, n. 12, dicembre 1933, p. 459. 40 A. Pavari, Genesi e sviluppo della bonifica in Italia , in ivi, anno XXXVI, n. 8, agosto 1930, p. 572. 41 Ivi, p. 561. Sulla continuità dell’opera bonificatrice nel corso della storia peninsulare si veda P. Bevilacqua, Le bonifiche, in M. Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, cit., p. 415: «Com’è facilmente comprensibile, la cultura e la tensione politica antifascista hanno contribuito notevolmente alla rimozione dalla memoria degli italiani della bonifica, intesa come processo non soltanto della modernizzazione del nostro territorio: lo stesso che ha accompagnato costantemente lo sforzo del Nation Building delle classi dirigenti italiane fra Ottocento e Novecento. Essendo il termine bonifica legato così profondamente, perfino emotivamente, alle rappresentazioni propagandistiche del regime, anche il fatto che l’intero nostro territorio sia frutto continuo e millenario di bonifiche, è stato rimosso. […] Si tratta di uno dei più grandi “buchi neri” della nostra coscienza collettiva». 42 A. Tofanelli (a cura di), Le opere del fascismo, Milano, Istituto editoriale nazionale, 1932. 43 C. Tomaselli, Come fu redento l’Agro Reggiano-Modenese, in «Le Vie d’Italia», anno XXX, n. 10, ottobre 1924, pp. 1115-28. 135 penisola: non solo la solita romanitas è chiamata in causa, ci si ricorda anche del Medioevo, del Rinascimento fino agli interventi postunitari. Il nesso di continuità storica di mutazione antropologica del paesaggio non sembra essere interrotto con l’entrata in scena di Mussolini, non citato come deus ex machina in un orizzonte di inettitudine e inefficienza, ma considerato come elemento acceleratore di tali processi, forte di una stabilità governativa indiscussa e indiscutibile. I tecnicismi, glossati e corsivati, tanto graditi alla rivista e ben padroneggiati anche da collaboratori non specialisti, in ogni caso grandi firme giornalistiche e letterarie, impongono comunque un rigore stilistico che evita almeno l’aggettivazione di grado superlativo, incondizionata fanfara del regime.44 Così, con le opere fasciste, Tofanelli, futuro socialista, nonché editore del periodico «Il Tesoretto» curato con gli amici di sempre Gatto, Sinisgalli e Quasimodo,45 comincia a dare le sue prime prove di giornalismo industriale, culminate nella «Rivista Pirelli» del secondo dopoguerra: «Un interessante problema tecnico per la costruzione di queste potenti dighe era la scelta tra il vecchio tipo a gettata (costituito di massi informi accumulati alla rinfusa), il tipo verticale (costituito da una vecchia muraglia eretta sul fondo che si applica per profondità non superiore ai 12 o 13 metri) e il tipo misto […]».46 A mettere in luce le peculiarità della rivista e dei suoi contributi in questo campo è anche Leonardo Devoti, che analizza gli articoli di Italo Vandone (impeccabili continueranno a essere le sue collaborazioni fino al 1935, sotto la direzione di Bognetti) e di Gino Massano, rispettivamente sulle città di Littoria e di Sabaudia:47 44 Un Tofanelli diverso è invece quello che appare su «L’Italia letteraria» nel 1934: cambia il registro, non più tecnico-scientifico, bensì aulico-formale, ostentato retoricamente nell’elogio e nella celebrazione del Duce a Milano, tutt’uno con la città stessa: «Sua è la città, che pare gli assomigli, in queste strade, in questi navigli, in questo moto severo e pieno di senso, che lui conosce passo per passo e nell’intima fibra». In O. Del Buono (a cura di), Eia, eia, eia, alalà ! La stampa italiana sotto il fascismo, 1919-1943, Milano, Feltrinelli, 1971, p. 246. 45 L’articolo di M. Chiabrando, Un giornalista tra gli ermetici. Vita di Arturo Tofanelli, da editore letterario a re del rotocalco, in «Charta», anno XV, n. 82, maggio-giugno 2006, pp. 58-63, ripercorre la carriera di quest’«uomo d’affari tra i cappotti lisi» degli intellettuali milanesi: dagli esordi proprio in Pirelli, come aiuto corrispondente al reparto pneumatici per biciclette, alla direzione della pagina ambrosiana dell’«Italia Letteraria» negli anni coevi alla collaborazione col TCI, quando giunse anche finalista al Bagutta, fino ai successi giornalistici e redazionali di «Tempo» negli anni Sessanta. 46 A. Tofanelli, Il rinnovato porto e la bonifica della Piana di Catania, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIX, n. 3, marzo 1933, p. 167. 47 Cfr. tra i numerosi articoli di I. Vandone, Le strade e l’economia del Paese, in ivi, anno XXXIII, n. 4, aprile 1927, pp. 395-403; Id., I «provveditorati alle opere pel Mezzogiorno», in ivi, n. 12, dicembre 1927, pp. 1413-21; Id., Strada e ciclismo, in ivi, anno XXXIX, n. 5, maggio 1928, pp. 370-8; Id., L’Azienda Autonoma Statale della Strada, in ivi, n. 9, settembre 1928, pp. 703-7; Id., Laude della bicicletta, in ivi, anno XXXVI, n. 4, aprile 1930, pp. 254-8; Id., L’odografo, n. 5, maggio 1930, pp. 397-9; Id., Il VI 136 «Rispetto alla stampa nazionale, il mensile del Touring non scade quasi mai nella retorica, ma mantiene l’obiettivo puntato sui risvolti più scientifici e ambientali. Per esempio, è interessante vedere come viene presentata la nascita di Littoria: mentre tutti i giornali sono corredati da immagini del Duce ritratto in decine di pose tra i coloni, e gli articoli si caratterizzano per genericità di contenuti, su le “Vie d’Italia” (giugno 1933) vengono pubblicate delle carte della zona con lo schema della sistemazione idraulica e dell’appoderamento, più una serie di fotografie che documentano, alcune lo stato paludoso della zona prima della bonifica, altre la città in fase di costruzione. Ancora più peculiare è come viene affrontata la fondazione di Sabaudia, città costruita programmaticamente con una funzione più culturale e turistica, “Se non sarà più bella di Littoria, sarà certo più pittoresca” (aprile 1934). Essendo il TCI dentro la Consulta per la Tutela delle Bellezze Naturali, fondata nel 1932, 48 l’interesse della Rivista si incentra, più che sulla costruzione di Sabaudia, sulla nascita del nuovo Parco Nazionale del Circeo, al punto da riportate nel relativo articolo il disegno di legge che tutela questo luogo, ricco di numerosi beni archeologici e possibile meta turistica». 49 Sullo stesso fronte tematico, ma in un altro contesto storico editoriale, quando cioè «Le Vie d’Italia» non saranno più la rivista del Touring Club Italiano, bensì della Consociazione Turistica Italiana, si vedranno impegnati anche l’ingegner Gadda e il prolifico e dimenticato Mario Puccini,50 di cui scrive anche Devoti, giungendo a conclusioni condivisibili, nonostante la sua amnesia gaddiana, circa il Congresso internazionale della strada in Washington, 6-12ottobre 1930, in ivi, n. 7, luglio 1930, pp. 5589 e Id., Littoria, in ivi, anno XXXIX, n. 6, giugno 1933, pp. 401-16. Mentre per l’articolo di G. Massano i riferimenti sono: Il Parco Nazionale del Circeo, in ivi, anno XL, n. 4, aprile 1934, pp. 241-56. 48 Il riferimento è all’opera e all’impegno di tutela ambientale messo in atto da Luigi Parpagliolo e dal Touring. 49 L. Devoti, Anni Trenta: dall’Italia all’Oltremare con il Touring Club Italiano, in R. Besana, C. F. Carli, L. Devoti, L. Prisco (a cura di), Metafisica costruita. Le città di fondazione degli anni Trenta dall’Italia all’Oltremare. Dagli Archivi Storici del Touring Club Italiano e dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente e dai fondi locali, Milano, TCI, 2002, p. 46. 50 M. Puccini, La bonifica dell’agro pontino. Pomezia, in «Le Vie d’Italia», anno XLV, n. 11, novembre 1939, pp. 1423-9, mentre di Gadda inviato nelle terre bonificate e di nuovi insediamenti si riparlerà nel capitolo successivo con gli articoli: La grande bonificazione ferrarese, in ivi, n. 12, dicembre 1939, pp. 1515-25 e La colonizzazione del latifondo siciliano, in ivi, anno XLVII, n. 3, marzo 1941, pp. 335-43. 137 «cambiamento dopo il 1937: più evidente se si confrontasse l’articolo sulla fondazione di Pomezia (novembre 1939) con quello già visto su Sabaudia e il Parco del Circeo. Il nuovo testo non contiene nessuna indicazione sulla creazione di nuove infrastrutture o suggerimenti su possibili escursioni Le opere del Regime: la nuova stazione ferroviaria di Milano, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVII, n. 8, agosto 1931, p. 572. turistiche nei luoghi recuperati alle paludi e alla malaria, ma è esclusivamente un panegirico sulla nuova “Civiltà, civiltà, vita. Littoria, Sabaudia, Pontinia, Aprilia, ieri; Pomezia oggi. Pomezia già! […] Quale altro nome altrettanto semplice, altrettanto espressivo, altrettanto bello?” Se il testo è piuttosto ridondante, le fotografie si caratterizzano per il linguaggio realista e costituiscono un racconto autonomo: prima le immagini crude che mostrano la situazione precedente alla bonifica, poi quelle che documentano il duro lavoro dei coloni».51 Altrove le opere del regime, con il loro apposito occhiello sono semplicemente riportate con una fotografia non accompagnata da alcun testo, come nel caso della nuova stazione ferroviaria di Milano (del resto già analizzata dal punto di vista squisitamente tecnico e senza elogi politici da Lo Cigno),52 oppure vi si dedicano articoli anonimi, linguisticamente e contenutisticamente aderentissimi al gusto del ventennio: «è bene appunto per merito del Fascio Littorio che l’ora del Garda è venuta radiosa, dopo tanti voti di popolo per lunghi anni inascoltati»,53 ed è in questi termini di sfolgorante cambiamento espresso nella figura del Duce, altrimenti appellato dalla stampa più 51 L. Devoti, Anni Trenta: dall’Italia all’Oltremare con il Touring Club Italiano, cit., p. 47. Cfr. Le opere del Regime: la nuova stazione ferroviaria di Milano, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVII, n. 8, agosto 1931, p. 572 ed E. Lo Cigno, La nuova stazione viaggiatori di Milano, in ivi, anno XXXVI, n. 11, novembre 1930, pp. 807-816. 53 La realizzazione di una grande impresa: la Gardesana Occidentale, in ivi, anno XXXVII, n. 10, ottobre 1931, p. 711. 52 138 fiancheggiatrice «radioso nume di Romagna»,54 che si celebra l’inaugurazione della strada Gardesana occidentale. Al culto della Patria dell’Italia liberale va affiancandosi con una certa attenzione, marcata negli occhielli iterativi di alcuni articoli, quello che lo storico Emilio Gentile ha definito «culto del Littorio»,55 inondato, come ogni religione politica (e non) che si rispetti, di luce divina, emanata da un capo conciliante con il potere spirituale propriamente detto. All’antitesi e alle rotture Mussolini preferisce la sintesi fagocitante del passato e delle sue istituzioni, in nome della reductio ad romanitatem. Pertanto, nel 1932 Roma «nel nome del Duce» si dota di «un monolito di eccezionali dimensioni», la cui genesi strutturale dal punto di vista squisitamente tecnico – va riconosciuto –, dai materiali impiegati alle modalità di trasporto, fino alle tecniche di innalzamento, è analizzata dall’ingegner Mario Gobbi Belcredi proprio in parallelo all’obelisco di San Pietro. Quest’ultimo, non a caso, è il primo obelisco a essere rialzato in epoca moderna, simbolo della potenza imperiale sotto Caligola, spostato per volontà di Papa Sisto V nell’attuale sede vaticana, il quale mise nel globo posto alla sommità dove si ritenevano custodite le ceneri di Cesare, una reliquia della Croce di Cristo. L’accostamento di questi «due diversi momenti della tecnica costruttiva», così come recita l’occhiello, è quindi emblematica, tuttavia ingegneristica è l’analisi, e schietto l’explicit: «Scudi 36.975 costò complessivamente la manovra d’innalzamento dell’obelisco di San Pietro: 930.000 lire quella relativa al monolito Mussolini, compresa la polizza d’assicurazione del monolito stesso per due milioni di lire».56 3.3 «L’ITALIA CHE NON FINISCE ALLE FRONTIERE» Obelischi a parte, anche una struttura pubblica come l’ospedale, può intitolarsi al duce, a maggior ragione poi se l’ospedale si trova in una storica colonia demografica come 54 Si vedano le ricorrenze dell’aggettivo «radioso» in relazione a Mussolini, evidenziate da Giovanni Lazzari in Le parole del fascismo, Roma, Argileto, 1975, p. 13: «la radiosa figura del Duce, la sua mente radiosa, Il Magno e Radioso nostro Duce, Il radioso nume di Romagna». 55 Cfr. E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 2001. 56 M. Gobbi Belcredi, L’obelisco di S. Pietro e il monolito Mussolini, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIX, n. 11, novembre 1933, p. 862. 139 Alessandria d’Egitto,57 patria di Ungaretti e Marinetti, che durante il fascismo assiste alla fioritura e al potenziamento di molte associazioni filantropiche a impronta fortemente nazionale, a dispetto dell’occupazione militare britannica, dalla Dante Alighieri alla Società per degli invalidi e veterani di guerra. Un particolare occhio di riguardo è quindi destinato ai migranti italiani, che così emorragicamente dalla fine dell’Ottocento ai primi due decenni del Novecento avevano lasciato la penisola verso altri lidi mediterranei o americani fino a rappresentare un quinto dell’intera popolazione italiana, e che nonostante tutto il progresso portato e sbandierato dal regime ora non cedono al ritorno, anzi «the Fascist claims aside, the fact remains that in the first five years of Mussolini’s regime more than one and one half million people left Italy».58 Un aspetto certo scomodo per il duce e la sua propaganda, che provvede all’abolizione del lemma «emigrante» dal vocabolario politico. L’operazione avviene senza mezzi termini ed è documentata anche sulle pagine del mensile, che al contempo ospita le pubblicità delle linee di navigazione transatlantiche, dalla Compagnia di Genova alla Cosulich triestina, quest’ultima illustrata da Valenti, destinate non tanto ai turisti, quanto in primis ai migranti. Da citare nuovamente, oltre alle pubblicità presenti sulla rivista in esame, è anche la prima filiazione delle «Vie d’Italia», pensata esclusivamente per il pubblico emigrato in America Latina, considerando probabilmente come il maggior numero dei circa 10.000 soci del Touring residenti all’estero (cifra peraltro consistente) si trovi nel continente sudamericano. Sotto la guida del senatore Borletti, sulla scia dell’esperienza di Hoepli a inizio Novecento,59 la Commissione del Touring nei primi anni Venti si preoccupa di approntare specifiche modalità associative e di distribuzione delle pubblicazioni, dalle guide al periodico appositamente ideato per gli italo-americani su modello eminentemente italiano e borghese, affidato, dopo la defezione di Rusca nel 1928, a Gualtiero Laeng.60 57 Cfr. il documentato articolo del Dott. C. Sierra, L’ospedale “Benito Mussolini” di Alessandria d’Egitto, in ivi, anno XXXVI, n. 12, dicembre 1930, pp. 919-20, scritto in occasione dell’ampliamento della struttura e dell’inaugurazione della cappella delle suore dell’ordine della Nigrizia. 58 Cfr. P. V. Cannistraro, G. Rosoli, Fascist Emigration Policy in the 1920s: an Interpretative Framework, in «International Migration Review», anno XIII, n. 4, inverno 1979, p. 673. 59 Nel 1910 Ulrico Hoepli si reca in Argentina a studiare le effettive potenzialità del neonato mercato editoriale sudamericano, e proprio di questi primi anni del Novecento è pure l’introduzione di facilitazioni per l’esportazione dei libri nelle Americhe. Cfr. E. Decleva, Un panorama in evoluzione, in G. Turi (a cura di), Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, Firenze, Giunti, 1997, p. 234. 60 Nel dettaglio, si pensa a una quota sociale triennale di circa 150 lire, comprensiva delle spedizioni delle pubblicazioni distribuite ai soci in Italia e della rivista. Sotto la spinta di Bognetti si progetta anche la 140 É in questi anni che la propaganda fascista comincia a farsi più invadente anche sul versante estero, ridefinendo in particolare l’immagine dei migranti, spesso connotata negativamente e con un indelebile alone di povertà. Nell’incipit di un articolo anonimo, uscito sulle «Vie d’Italia» nel 1929, celebrante le «provvidenze fasciste per il rimpatrio temporaneo degli italiani all’estero» si legge: «Emigrante. Triste parola, che richiama un’immagine ancor più triste, nello sfondo di una desolazione sociale ritratta con troppo compiacimento dall’arte e dalla letteratura degli ultimi tempi».61 Non molto celato, il pensiero corre alla triade socialmente engagée di fine Ottocento di De Amicis, Pascoli e Verga, presto affermatisi come nuovi classici anche nelle scuole, le cui opere estesamente diffuse, da Sull’oceano62 al poemetto Italy – Sacro all’Italia raminga63 fino alle novelle e ai drammi dello scrittore siciliano,64 non dimenticano una tematica e una figura sociale divenute ormai ostiche da trattare, pertanto tacciate come «roba di ieri: sono tristezze e miserie di ieri. Ed è soltanto per uno di quei prodigi di cui è capace la nostra storia, che questo ci appare oggi così lontano, confuso nella nubilosa mediocrità di quella “grande proletaria” che il Fascismo ha risollevato alla coscienza e alla dignità del suo luminoso destino». Dunque, «non più di “emigranti” oggi si parla, bensì di “italiani all’estero”», orgoglio di una nuova Italia, per i quali il regime si impegna a elargire le proprie «provvidenze». «Questi Italiani che vivono sparsi nel mondo siano il simbolo di ciò che oggi, per virtù del Fascismo e del Duce, è l’Italia: l’Italia che non finisce alle frontiere».65 Ecco nel corsivato motto del Duce, una piaga sociale trasformata dalla propaganda in un primo nucleo di forza imperialista, che costituirà il centro della retorica della seconda metà degli anni Trenta. Tale attenzione verso un pubblico d’oltre confine, spinge quindi il Touring a riflettere più ad ampio spettro, su come «dotare l’Italia di una Rivista geografica, come ne possiedono molti altri paesi: rivista di divulgazione, perché di quelle a carattere scientifico siamo fortunatamente Guida dell’America Latina. Argentina, Paraguay, Uruguay, che vedrà la luce sia in spagnolo che in italiano per gli oriundi, nel 1932. 61 Bagno d’Italianità, in «Le Vie d’Italia», anno XXXV, n. 4, aprile 1929, p. 299. 62 Pubblicato da Treves nel 1889 conosce un successo ragguardevole, riedito più volte ancora negli anni Venti, raggiunge la quarantasettesima edizione nel 1939 uscendo questa volta presso Garzanti, in seguito alla chiusura della storica casa milanese a causa delle leggi razziali. 63 Il celebre componimento fa parte dei Primi poemetti, Bologna, Zanichelli, 1904, riedito per la dodicesima volta a partire dal 1932 da Mondadori. 64 Penso in particolar modo ai Drammi intimi (Roma, A. Sommaruga e C., 1884), riediti nel 1922 dalla casa milanese di Attilio Barlon, contenenti frammenti vividi e toccanti come Nel carrozzone dei profughi. 65 G. Bognetti, «Le Vie d’Italia e del Mondo», in «Le Vie d’Italia», anno XXXVIII, n. 11, novembre 1932, p. 797. 141 anche noi, se non ricchi, almeno abbastanza dotati».66 Questa spinta porta a guardare al di là dell’Italia e del Sudamerica, dove peraltro l’associazione aveva già da tempo consolidato buoni risultati. Nel 1932 Gerelli in primis67 pensa ad un ampliamento della distribuzione delle «Vie d’Italia e dell’America latina», a nuovi contenuti dalle varie parti del globo e a un nuovo titolo: «Il titolo Le Vie d’Italia e del Mondo non sembri imperialistico o presuntuoso. Ci siamo giunti per analogia e per differenziazione. Analogia con questa nostra rivista (Le Vie d’Italia) così letta e pregiata, che continua nel suo nobile còmpito d’illustrare l’Italia: differenziazione da quella che ora le cede il passo ed enunciava un campo limitato ad una regione geografica».68 Non in tutti i settori della pubblicistica Touring, sotto il regime si conferma l’ascesa e la solida affermazione. Tra le attenzioni destinate agli italiani all’estero, non manca certo un particolare interesse verso i giovani, a cui lo stesso Touring con Bertarelli e Mario Tedeschi, sin dalla nascita delle «Vie d’Italia» e della coeva «Sorgente», avevano dedicato specifiche cure. Tuttavia, anche nel caso del turismo scolastico e giovanile, nato nel 1913 in seno al TCI, nel cui comitato siedono i Ministri della Pubblica Istruzione dei governi liberali che si avvicendano, si assiste a un depauperamento delle iniziative sodali da parte di un regime fagocitante ogni libera iniziativa. L’Opera Nazionale Balilla, assieme ad altre iniziative statali e parastatali, toglie ogni ragion d’essere al Comitato del Touring e al centinaio di sezioni giovanili ben radicate nel territorio italiano per la promozione della sana vita all’aria aperta, della scoperta conoscitiva diretta della natura, come Stoppani aveva insegnato, intrisa di amor patrio, come l’associazione milanese aveva trasmesso. L’anno dopo l’addio di Pocar al Touring, che tanto si era adoperato in tale ambito, il Comitato per il Turismo Scolastico chiude i battenti, assieme al suo organo di stampa «La sorgente». I rapporti di forza tra la sfera pubblica e l’associazionismo privato si ribaltano: se nello stato liberale era 66 Ivi, p. 804. La Presidenza del TCI, Un grave lutto del Touring: Attilio Gerelli, in «Le Vie d’Italia», anno LVII, n. 12, dicembre 1951, p. 1417: «Devesi pure in gran parte a Lui la trasformazione di “Le Vie d’Italia e dell’America Latina” in “Le Vie del Mondo”, di cui fu Redattore Capo fino alla guerra», ripreso dalla notizia contenuta nella rubrica Vita del Touring, Dimissioni di Gerelli, in ivi, anno LIII, n. 6, giugno 1947, p. 484. 68 G. Bognetti, «Le Vie d’Italia e del Mondo», art. cit., p. 806. 67 142 possibile una propaganda dell’associazionismo privato presso organi pubblici, ora è soltanto concepibile il viceversa. Alle «Vie d’Italia», sopravvissute alla morte della sorella minore «Sorgente» nel dicembre 1928, non resta che lasciare spazio alle iniziative del regime, anche per ciò che concerne questa intuizione bertarelliana. Anna Maria Gobbi Belcredi, collaboratrice presente nel comitato direttivo della collana «Attraverso l’Italia», con tanto paternalismo o meglio «maternalismo», dedica dunque il suo articolo alle colonie fasciste destinate ai fanciulli figli di italiani all’estero, giammai emigrati, «gelosa pupilla del regime», come recita una didascalia alle numerose fotografie che corredano l’articolo. Tuttavia la retorica ben allineata della Gobbi Belcredi si prende anche qualche aulica libertà esterofilo-letteraria, in tempi sospetti, citando senza traduzione il Verlaine di Ecoutez la chanson bien douce (1878): «Se è vero che Rien n’est meilleur à l’âme / Que de faire une âme moins triste si può ben dire che non vi è nulla di più bello, di più santo al mondo del procurare un po’ di gioia a un bimbo».69 3.4 BICICLETTE E RETORICA Dai bimbi degli emigranti fino agli adulti del Dopolavoro del Touring in gita alla tomba di Arnaldo Mussolini,70 che Giuseppe Vota nei suoi Sessant’anni del TCI si dimentica di inserire tra le escursioni del periodo di transizione dalla presidenza Bognetti a quella Bonardi, il fascismo si appropria dell’opera di vasta democratizzazione dell’accesso al tempo libero, messa in atto dal Touring e dai suoi organi di stampa fin dagli albori, prima tra la classe borghese e poi tra gli artigiani e gli operai specializzati. Nota Pivato: «la politica del tempo libero attuata dal regime mussoliniano fu lo strumento che consolidò nel senso comune dell’italiano medio uno dei presupposti sui quali si basò il 69 A. M. Gobbi Belcredi, Al mare, al monte con le Colonie fasciste, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 8, agosto 1935, p. 634. Sullo stesso tema si veda anche Nemo, Demografia e classi medie. Provvidenze del regime per i figli del popolo, in ivi, anno XLIII, agosto 1937, pp. 549-55. 70 a., Il Dopolavoro del Touring nella terra del Duce, in ivi, anno XLI, n. 7, luglio 1935, pp. 538-40. Cfr. anche l’entusiastica relazione trascritta nei Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta del 24 maggio 1935: «In occasione del 40ennio del TCI, valendoci del residuo di un fondo lasciato dal compianto Consigliere Serina, sono state messe a disposizione del nostro Dopolavoro L.13.000 circa che vennero utilizzate per un’escursione alla terra natale del Duce. L’esito della manifestazione fu felicissimo e l’omaggio veramente sentito. La Presidenza del Dopolavoro ha espresso alla Presidenza del Touring la più viva riconoscenza». 143 consenso al fascismo: ossia l’idea che lo Stato fascista provvedesse in misura maggiore che i precedenti governi dell’età liberale ai bisogni e alle aspirazioni delle classi popolari».71 I temi classici del sodalizio e della sua stampa, dal turismo coniugato al patriottismo in ogni sua forma e meta ai mezzi di trasporto (con la bicicletta regina incontrastata), sono ormai di dominio statale, nonostante, con difficoltà e compromessi, cerchi di permanere una certa frammentazione degli attori in causa, dall’ENIT alla CIT passando per lo stesso TCI, che parzialmente resisterà al corporativismo fascista e ai suoi intenti di totale reductio ad unum.72 Questa resistenza parziale è insita nel fatto che il Touring, sebbene depotenziato nel suo originario campo d’azione, continuerà a rimanere l’associazione turistica più importante d’Italia, impegnata anche in campo editoriale guidistico e periodico, con sede a Milano, sfuggendo in tal modo all’assimilazione nello stato corporativo. Inevitabile però sarà la nuova contestualizzazione delle tematiche care alle «Vie d’Italia» inglobate e diffuse sistematicamente e a gran voce dalla retorica fascista. Se il turismo giovanile e scolastico del Touring assieme al suo organo di stampa perde la sua ragione di vita di fronte al cursus forzoso educativo dei Balilla, «Le Vie d’Italia» annunciano in apertura dell’anno 1931 che il sodalizio ha toccato quota quattrocentomila soci.73 Dal canto suo, il solo mensile storico, venduto in abbonamento annuale con il solito prezzo calmierato volto soltanto a coprire le spese, senza fini di lucro, a 18,40 lire nel 1930, continua a prosperare sotto la direzione di Bognetti. Quest’ultimo sulla scia bertarelliana, si circonda di 87 collaboratori, che nell’arco del solo anno 1929 danno alle stampe 960 pagine di carta patinata e 592 di carta naturale, ospitanti oltre alle pubblicità le rubriche del notiziario, per un totale di 1552 pagine, incuranti della coeva crisi economica. Per avere un’idea immediata del costante successo delle «Vie d’Italia» basti aggiungere che la tiratura si mantiene nei primi anni Trenta sulle 180.000 copie, cifra equivalente alla somma nel 1931 delle tirature dei quotidiani torinesi «La Stampa» e «Stampa sera».74 Il continuo successo del Touring, della sua rivista madre e della sua diretta filiazione, ampliatasi nei primi anni Trenta nelle «Vie d’Italia e del mondo», si lega 71 S. Pivato, Politica e tempo libero, in Tempo libero e società di massa nell’Italia del Novecento, cit., p. 120. 72 Cfr. R. J. Bosworth, Tourist Planning in Fascist Italy and the Limits of Totalitarian Culture, in «Contemporary European History», Cambridge University Press, n. 6, marzo 1997, pp. 1-25. 73 Quattrocentomila, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVII, n. 1, gennaio 1931, p. 1. 74 P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, cit., p. 153. 144 anche all’affermazione su larga scala e al progresso dei mezzi di trasporto pubblici e privati: treni, navi, aerei, automobili, e più concretamente biciclette. Di tali mezzi continuano a occuparsi assiduamente Tajani, per le ferrovie,75 e Albertini, per la circolazione stradale,76 accanto alle nuove firme degli avvocati Doro Rosetti, nipote del Nobel per la pace Teodoro Moneta, e Aldo Farinelli, già pubblicista per la casa editrice Edisport, che dal 1914 pubblica «Motociclismo» e dal 1923 «Vela e motore», riviste settorialissime, rispetto alle sempre più aperte «Vie d’Italia», eppur ancora dedite agli studi nei medesimi campi, con un inequivocabile brio grafico. Se per presentare le nuova FIAT 1500 o i progetti per le autorimesse nelle grandi città77 bastano fotografie e schizzi, per trattare di norme e incidenti stradali in maniera divulgativa, nonostante il peso sempre maggiore della pellicola, prosegue la tradizione di accompagnare tali articoli con vignette di disegnatori satirico-umoristici, quali Carlo Bisi, già noto, e Bruno Angoletta, singolarissimo illustratore «parafuturista» del «Corriere dei piccoli» e del «Balilla». Un altro singolare cartellonista, che abbiamo già incontrato, è l’eclettico Biscaretti di Ruffia, capo dell’ufficio stampa della FIAT fino al 1930, che collabora con la rivista anche in veste di esperto di motori, non solo di terra ma pure di cielo,78 75 Tra i più di venti articoli pubblicati fino al 1941, segnalo: F. Tajani, Velocità e progresso, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIV, n. 1, gennaio 1928, pp. 33-40; Id., Il progresso delle ferrovie, in ivi, n. 7, luglio 1928, pp. 543-50; Id., L’elettrificazione delle ferrovie Nord-Milano, in ivi, anno XXXV, n. 5, maggio 1929, pp. 361-70; Id., Il popolo che viaggia, in ivi, anno XXXVIII, n. 2, febbraio 1932, pp. 118-23; Id., La Direttissima Bologna-Firenze, in ivi, anno XL, n. 2, febbraio 1934, pp. 81-9; Id., Progressi e successi delle ferrovie italiane, in ivi, anno XLIV, n. 10, ottobre 1938, pp. 1236-43. Infine non di argomento ferroviario, ma legati a una più ampia attualità: Id., Ricordi d’Albania, in ivi, anno XLVI, n. 1, gennaio 1940, pp. 82-96 e Id., I viaggi nel cosmo, in ivi, anno XLVII, n. 9, settembre 1941, pp. 1036-41. 76 Sistematica negli anni Trenta sarà la battaglia condotta dall’urbanista Albertini e dal Touring contro i rumori causati dal traffico crescente, segno della totale assenza di un acriticismo incondizionato alle vie progresso, il quale, nell’ottica del sodalizio, deve sempre coniugarsi alla massima vivibilità. Nelle decine di articoli si ricordano: C. Albertini, La lotta contro i rumori, in ivi, anno XXXVII, n. 11, novembre 1931, pp. 847-54; Id., I rumori della strada, in ivi, n. 12, dicembre 1931, pp. 913-20; Id., Individuare, analizzare i rumori, in ivi, anno XXXVIII, n. 2, febbraio 1932, pp. 93-100; Id., La difesa contro i rumori, in ivi, anno XXXIX, n. 1, gennaio 1933, pp. 13-20; Id., I problemi della circolazione stradale alla conferenza di Napoli, in ivi, anno XLI, n. 7, luglio 1935, pp. 549-60. Non è certo casuale il fatto che un appassionato intenditore musicale come lui diventi paladino della lotta contro i frastuoni e gli strombettii, ai quali risponde con la musica, continuamente celebrata negli articoli pubblicati sulla rivista: Id., Riccardo Wagner e l’Italia, in ivi, anno XXXIX, n. 2, febbraio 1933, pp. 123-32; Id., Il soave cantore di Amina, in ivi, anno XLI, n. 2, febbraio 1935, pp. 150-60; Id., Nel secondo centenario della morte di Antonio Stradivari, in ivi, anno XLIII, n. 3, marzo 1937, pp. 156-63. 77 Si vedano tra i tanti contributi di questi due pubblicisti: D. Rosetti, Autorimesse ed autoparchi nelle grandi città, in ivi, anno XXXIII, n. 2, febbraio 1927, pp. 189-98; Id., Le stazioni di servizio per automobili, in ivi, anno XXXVII, n. 8, agosto 1931, pp. 573-83 e A. Farinelli, La nuovissima FIAT 1500, in ivi, anno XLI, n. 9, settembre 1935, pp. 689-93; Id., L’auto del 1936: tipi, tendenze, prospettive, in ivi, n. 12, dicembre 1935, pp. 934-43. 78 Cfr. C. Biscaretti di Ruffia, La Mostra retrospettiva dell’automobile, in ivi, anno XXXIX, n. 2, febbraio 1933, pp. 97-103, con disegni dell’autore; Id., Il cinquantenario dell’automobile, in ivi, anno 145 andando ad arricchire la folta schiera di contributi degli anni Trenta sulle «vie dell’aria»,79 in piena espansione, così come l’Impero. Sintomatica dell’importanza del nuovo mezzo, al centro del primo romanzo di Liala,80 e del suo impiego da militare a civile è la rubrica Ali nel cielo, che dal marzo 1930 al giugno 1935 apre le «Vie d’Italia», celebrando le imprese di Balbo e ogni record di volo transoceanico. Ma la vera protagonista nella vita quotidiana di molti italiani e nella tradizione del Touring, resta la bicicletta, di cui il fascismo promuove la produzione autoctona con una direttiva del 1924, che ordina tassativamente ai ciclisti nostrani del seguitissimo Giro d’Italia di far uso solo di marchi nazionali, la storica Bianchi in primis accanto alla nuova Legnano.81 Sotto l’impulso della direttiva a favore della bicicletta nazionale, nel giro di un decennio il numero dei possessori balza dai 2.224.000 ai 3.656.476, per toccare infine quasi i cinque milioni nel 1938.82 Cifre per le quali i primi cicloturisti italiani del Touring non possono che gioire, celebrando nel 1935 il giubileo della bicicletta e ricordando le parole del Duce «mi piace il ciclismo perché è uno sport da poeti»,83 dopo aver festeggiato l’anno precedente il quarantennio dell’associazione. Un riferimento forse rondesco, quello del sano movimento coniugato alla poesia disimpegnata dei giri in provincia, alla triade emiliano-romagnola del Panzini-GuerriniOriani o forse addirittura al Pascoli? Il bolognese Oreste Trebbi, critico teatrale del «Resto del Carlino», fervido animatore culturale, oltre che funzionario della Cassa di Risparmio locale, approfondisce questo aspetto del cicloturismo letterario, passando in rassegna la triade della letteratura contemporanea celebrante le due ruote, del resto ben nota al Touring, e soffermandosi in particolar modo sul pellegrinaggio in bicicletta alla tomba di Giovanni Pascoli, organizzato nell’anteguerra dal Guerrini, capoconsole a Bologna. Stralci di una lettera del 27 maggio 1914 di Maria Pascoli al Guerrini pervengono così alle stampe. Mariù per ringraziare l’attivissimo poeta dialettale dell’omaggio reso al fratello scrive: «Illustre Poeta, tanto caro al mio Giovannino che ne XLII, n. 5, maggio 1936, pp. 337-43 e Id., La conquista dell’aria, in ivi, anno XLII, n. 6, giugno 1937, pp. 427-33. 79 Si ricordi l’omonima collaborazione firmata da Gino Bastogi per il neonato mensile tra il 1918 e il 1920, citata nel primo capitolo. 80 Liala, Signorsì, Milano-Verona, A. Mondadori, 1931. 81 Cfr. M. Calabrese, Ricorrenze tipologiche nella presenza della bicicletta in letteratura, in «Quaderni del Bobbio», n. 1, 2009, p. 105. 82 Dati ufficiali contenuti nell’articolo di L. Gazzaniga, Il giubileo della bicicletta, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 7, luglio 1935, p. 546, ripresi e ampliati in G. Lopez, Da bici per pochi a bici per tutti, in G. Vergani (a cura di), L’uomo a due ruote. Avventura, storia e passione, Milano, Electa, 1987, pp. 58-79. 83 E. Caporali, Tecnica del cicloturismo, in «Le Vie d’Italia», anno XLII, n. 8, agosto 1936, p. 517. 146 comprendeva l’intima bontà e profonda sapienza, grazie! […] sono persuasa che il Touring, da lei presieduto, abbia dato un gran bell’esempio col fine così nobile della sua gita».84 Più bell’esempio di cicloturismo letterario è, in effetti, difficile da scovare. Altro leit motiv legato alla bicicletta e alla sua celebrazione, presente nella pubblicistica Touring è la partecipazione volontaria alla Grande Guerra: «Chi non ricorda la bella attività svolta anteguerra dai battaglioni Volontari Ciclisti e Automobilisti»,85 per i quali la vecchia «Rivista Mensile» si era tanto prodigata pubblicando appelli all’arruolamento, con vasto seguito tra i soci che aumentavano sempre più in nome del patriottismo bellico?86 Fomentata dal regime, al di là dell’amor patrio del tempo di guerra, comincia a radicarsi l’idea del culto dello sport, non più inteso come svago salutare, bensì con finalità biologiche e propedeutiche alla guerra, inserite nel quadro rigido e depoliticizzato del Dopolavoro. «Parliamo dello sport praticato da coloro i quali intendono migliorare sé [sic] stessi e contribuire al miglioramento della razza»,87 specifica un articolo delle «Vie d’Italia» del 1933, magnificante «i templi maestosi per la celebrazione dei fasti della razza».88 Con scarti graduali il patriottismo sportivo del conflitto si carica di nuove tonalità legate al culto, del resto pervasivo nel vecchio continente, della nazione omogenea e in armi contro la razza straniera. Un’operazione abilmente orchestrata dal regime, che si pone come custode del sangue sacrificale della Grande Guerra e come continuatore dei moti irredentisti. Il patriottismo caro al sodalizio rischia quindi di cambiare i connotati, alla luce della costruzione del mito della Grande Guerra,89 quest’ultima da troppo poco tempo passata per poter essere guardata senza la lente propagandistica della dittatura, che fa subito suo questo potente collante collettivo. La celebrazione doverosa degli anniversari e dei caduti si inquadra nell’immaginario religioso fascista della resurrezione di una nuova e più grande Italia. Ed è in quest’ottica che il regime erige opere commemorative monumentali, immortalate anche nelle «Vie d’Italia», ai soldati 84 O. Trebbi, Turismo ciclistico intellettuale a Bologna, in ivi, anno XLI, n. 8, agosto 1935, p. 613. Un’importante manifestazione di carattere ciclistico premilitare, in ivi, anno XXXIV, n. 4, aprile 1928, p. 322. 86 G. Vota, I Sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., p. 163. 87 A. C. Rossini, Gli stadi sportivi per la salute della razza, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIX, n. 10, ottobre 1933, p. 773. 88 Ivi, p. 783. 89 Ineludibili in tal senso sono le opere di Mario Isnenghi, I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, cit. e Id., Il mito della Grande guerra. Da Marinetti a Malaparte, Bologna, Il Mulino, 19892. 85 147 morti in guerra e agli eroi irredentisti, celebrandoli come prototipo dell’eroe fascista. L’Ossario del Grappa, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 11, novembre 1935, pp. 834-5. Tra questi eroi, il Touring non può non dare enfasi a Cesare Battisti, che in qualità di geografo militare collaborò con l’associazione, correggendo la Carta d’Italia al 250.000,90 come risulta non solo dagli archivi, ma anche dalla relazione della regia polizia austriaca sull’attività del TCI, recante, per ironia della sorte, la medesima data dell’impiccagione per tradimento della corona asburgica.91 Significativo di una certa presa di distanza dal culto degli eroi della propaganda di regime è il fatto che il documentatissimo ricordo di Cesare Battisti sia affidato alla salda mano amica del trentino Oreste Ferrari: poeta, irredentista volontario, invalido di guerra, infine antifascista,92 ricordato soprattutto come il germanista traduttore dei Dolori del giovane Werther, che non mancherà di occuparsi di Goethe anche tra le pagine del mensile nel secondo dopoguerra.93 Nonostante l’articolo del Ferrari abbia come pretesto 90 Cfr. G. Bozzini, Nasceva a Milano 80 anni fa il TCI. Aprì agli italiani le vie del mondo, in «Città di Milano. Rassegna mensile del Comune e bollettino di statistica», cit., p. 46: «Negli archivi del Touring si conserva una bozza del foglio n. 5 della carta, che reca fitte correzioni di mano di Cesare Battisti». 91 Cfr. O. Ferrari, Cesare Battisti e il Touring, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 6, giugno 1935, pp. 47380. Sempre di Ferrari è il più approfondito saggio sull’amico ucciso in guerra Per l’Italia immortale: Cesare Battisti, la sua terra e la sua gente, Trento, Legione trentina, 1941. 92 Rimando alla breve biografia curata da Italo Michele Battafarano, Oreste Ferrari, (1890-1962). Impegno civile e programma culturale di un germanista, Trento, Università, Dipartimento di storia della civiltà europea, 1991. Per ciò che concerne la figura di poeta, un anno dopo la sua morte, l’amico Titta Rosa, anch’egli collaboratore delle «Vie d’Italia» dagli anni Quaranta, lo include nell’Antologia dei poeti italiani dell’ultimo secolo, Milano, Martello, 1963, p. 677: «nel 1924, ridiscese a Milano, dove trascorse la maggior parte della sua vita dividendola tra lavoro impiegatizio (Touring Club italiano e Banca Commerciale) e giornalismo e letteratura (amico di Somaré, collaborò a L’Esame e a Il Convegno); tradusse Goethe, Rimbaud, Flaubert; scrisse Guide dei campi di battaglia, Da rifugio a rifugio, L’Italie du Nord per l’editore Hachette; e anche scrisse poesie, leggendole agli amici e di rado pubblicandole sopra riviste letterarie», e gli dedica un saggio nella Vita letteraria del Novecento, Milano, Ceschina, 1972, pp. 71-84. 93 O. Ferrari, Goethe in Italia. Acquarelli e disegni del viaggio in Italia nel bicentenario della nascita, in 148 l’inaugurazione dell’imponente mausoleo a Battisti, avvenuta il 26 maggio 1935 alla presenza del re, nessun elogio diretto è riservato al duce, che tiene particolarmente alla strumentalizzazione di eroi come il Battisti. Ferrari, invece, esce completamente dalla dinamica propagandistica, chiamando in causa il governo liberale: «la prima idea di un monumento nazionale a Cesare Battisti risale al luglio 1916, quando Paolo Boselli, allora Presidente del Consiglio, “sicuro di interpretare la coscienza unanime degli Italiani” presentò alla firma del Luogotenente del Re, Tommaso di Savoia, il decreto relativo, diventato legge nel 1922».94 A conferma di questa volontà di non confondere la memoria della Grande Guerra e il patriottismo irredentista del Touring con la propaganda fascista, anche in occasione del sedicesimo anniversario della morte di Battisti (nel 1932), la rivista dell’associazione ha già ricordato il «suo» eroe attraverso l’articolo di Ettore Fabietti,95 celebrato anche da un ormai raro fregio introduttivo firmato dal ceramista, pittore e scenografo Umberto Zimelli. Per quanto la grafica di Zimelli si adegui ai caratteri tipografici fascisti, senza grazie, geometrico-futuristi, tipici del funzionalismo milanese degli anni Trenta,96 che esattamente a questa altezza temporale irrompono anche sulla copertina della rivista, Fabietti, richiamandosi alla sua monografia su Cesare Battisti,97 va, ancora una volta, in un’altra direzione. Socialista riformista, amico di Filippo Turati, Fabietti è tra i fondatori delle Biblioteche Popolari itineranti,98 grande divulgatore di Dante, di Garibaldi e degli altri eroi del Risorgimento, nonché uno scomodo dissidente, che al pari di Ferrari non si preoccupa affatto di iscrivere la propria celebrazione all’interno della propaganda del regime, cui non vi è fatto alcun accenno. «Le Vie d’Italia», anno LV, n. 8, agosto, 1949, pp. 858-62. 94 O. Ferrari, Cesare Battisti e il Touring, art. cit., p. 473. 95 E. Fabietti, Cesare Battisti e le vie dell’Irredenta, in ivi, anno XXXVIII, n. 7, luglio 1932, pp. 499-505. 96 Cfr. A. Petrucci, La scrittura tra ideologia e rappresentazione, in F. Zeri (a cura di), Storia dell’arte italiana, vol. XI, tomo 1, Scrittura, miniatura e disegno, Torino, Einaudi, 1980, pp. 95-6. Zimelli, insieme a Baldo, in questi primi anni Trenta rimarrà tra le firme superstiti della grafica della rivista, sempre più ricca dal punto di vista fotografico. Tra gli altri articoli corredati con le sue illustrazioni, vi sono quelli eminentemente redazionali siglati da Bandini Buti: a.b.b., Matematica spassosa e conclusioni serie, in «Le Vie d’Italia», anno XXXV, n. 2, febbraio 1929, pp. 125-30, articolo che illustra l’opera monumentale della Guida d’Italia da un punto di vista quantitativo, e Id., Servizio Trittici del TCI, in ivi, n. 4, aprile 1929, pp. 310-3. 97 E. Fabietti, Cesare Battisti, Firenze, Vallecchi, 1928. 98 Molto apprezzata la sua opera di divulgatore e promotore del libro presso il popolo da Rusca e Bertarelli, tanto che già nei primi anni della rivista Fabietti, in qualità di Segretario Generale della Federazione Italiana Biblioteche Popolari, firma l’articolo I libri alle stelle?, in «Le Vie d’Italia», anno IV, n. 10, ottobre 1920, pp. 613-5. 149 U. Zimelli, fregio introduttivo a E. Fabietti, Cesare Battisti e le vie dell’Irredenta, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVIII, n. 7, luglio 1932, p. 499. 3.5 IL MAL D’AFRICA E L’IMPERO (ROMANO) Contrariamente a quanto si possa ipotizzare, la retorica patriottarda del Touring vecchio stampo, post-risorgimentale e degli eroi della Grande Guerra non sembra concedersi alle pressioni coeve, affidandosi a voci nettamente fuori dal coro della dittatura; diversa è invece la retorica imperiale che entra nelle pagine del mensile. Alla macchina propagandistica messa in piedi appositamente per la guerra d’Etiopia non ci si può esimere e del resto la mobilitazione dell’opinione pubblica, attraverso i più svariati mezzi comunicativi, d’informazione e aggregativi, fornisce all’associazione nuovi slanci99 e profitti, così come globalmente delineato da Atkinson: «local branches provided lectures, films, and classes to “afterwork” programs, organized public exhibitions, and published newspapers, pamphlets, and magazines. Similarly, the Touring Club Italiano, the patriotic organization that celebrated Italian through maps and 99 Nuovi impulsi a livello tematico alla rivista sono forniti dal crescente interesse dimostrato nei confronti del progresso dei mezzi, oltre che di trasporto, di comunicazione: la radio, il cinema, la televisione. Numerosi articoli, eminentemente tecnico-ingegneristici, a partire dalla fine degli anni Venti, sono dedicati al funzionamento fisico e alla diffusione dei media: Il Radioamatore, La radio in Italia, in «Le Vie d’Italia», anno XXXV, n. 10, ottobre 1929, pp. 743-52; L. Bonacossa, La televisione, in ivi, anno XXXVIII, n. 9, settembre 1932, pp. 675-85; Id., Televisione d’oggi, in ivi, anno XLI, n. 1, gennaio 1935, pp. 49-58; D. E. Ravalico, Il film sonoro, in ivi, anno XXXIX, n. 8, agosto 1933, pp. 632-9; Id., Le microonde, in ivi, n. 11, novembre 1933, pp. 822-4; A. Zammarchi, Guglielmo Marconi e le radiocomunicazioni, in ivi, anno XLI, n. 11, novembre 1935, pp. 870-82. 150 guidebooks, was also drawn closer to the regime […]. It augmented its popular magazine Vie d’Italia with the Vie del Mondo to extend its 490,000 members’ horizons to foreign lands».100 Con queste cifre, seguendo la logica mussoliniana del «numero è potenza»,101 appare chiaro sin da subito quale sia il peso della rivista del Touring e della sua sorella minore nel panorama dei periodici, perlopiù coloniali, intrinsecamente legati al verbo del duce, da «L’Impero illustrato» a «Razze e popoli della terra», dall’«Italia coloniale» a «Esotica. Mensile di letteratura e valorizzazione coloniale», dalla «Rassegna di studi etiopici» all’«Oltremare» edito dall’Istituto coloniale fascista, solo per far alcuni nomi. Riviste, quotidiani, radio, cinegiornali, rassegne culturali ed esposizioni artistiche102 concorrono su più fronti, a mobilitare sistematicamente l’opinione pubblica, a far risuscitare il «mal d’Africa», dopo la conquista del posto al sole libico e i fantasmi di Adua dell’Italia liberale, debellati una volta per tutte nel 1935,103 con sacrifici ponderosissimi. Questa nuova mobilitazione africana conclude «la prima parte della storia d’Italia, la “marcia su Roma”. La nuova esigenza era espressa da quello scritto di Bottai che aveva inaugurato La riforma letteraria, era cioè una “marcia da Roma”».104 Tale forza esogena e centrifuga di un fascismo non più ripiegato tra i suoi confini, dove ormai non ha più antagonisti, può rispecchiare il programma editoriale dell’associazione, il suo ampliamento geo-tematico che segna il passaggio dalle «Vie d’Italia e dell’America latina» alle «Vie d’Italia e del mondo», fino al 1937, quando la rivista, onde evitare equivoci con la sorella maggiore, prenderà il semplice titolo di «Le Vie del Mondo». Tuttavia sarebbe un errore relegare quest’ultima all’interno della propagandistica coloniale, anche perché lo sguardo della rivista non sarà soltanto africano, ma aperto al mondo intero, dall’America all’Australia, non in una prospettiva meramente imperialistica, bensì illustrativa e conoscitiva, come aveva scritto Bognetti 100 D. Atkinson, Constructing Italian Africa: Geography and Geopolitics, in R. Ben-Ghiat e M. Fuller, Italian Colonialism, New York, Palgrave Macmillan, 2005, p. 22. 101 Cfr. l’imponente (e tuttavia vana) campagna associativa per raggiungere il mezzo milione di membri, nell’editoriale dal titolo mussoliniano, presumibilmente di Carlo Bonardi, successore di Bognetti, firmato La Direzione, Il numero è potenza. Verso i 500.000 Soci, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 7, luglio 1935, pp. 481-3. 102 Vedi ad esempio l’articolo di S. Kambo, La Mostra eritrea del pittore Giorgio Oprandi, in ivi, anno XXXIV, n. 3, marzo 1928, pp. 241-6. 103 Adua: I marzo 1896 – 6 ottobre 1935-XIII, in ivi, anno XLI, n. 11, novembre 1935, p. 833. 104 L. Mangoni, L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1974, p. 315. 151 nel già citato editoriale del novembre del 1932. A supporto di tale affermazione, smascherante un certo approssimativismo di Atkinson, proprio anche del volume di Charles Burdett Journeys through fascism. Italian travel writing between the Wars,105 è bene ricordare i reportages americani del celeberrimo Luigi Barzini, fondatore negli anni Trenta del «Corriere d’America», e quelli di Amy Bernardy, definita da Gian Antonio Stella una «pioniera del giornalismo» per la sua schietta penna, nonostante avesse sposato la causa fascista, impegnata non solo sul fronte estero dell’emigrazione italiana nel nuovo continente, ma anche nel rilancio del folklore nostrano.106 Tuttavia, non è da considerarsi un fatto isolato un articolo apparso ancora sulle «Vie d’Italia e del mondo» sull’arte coloniale italiana come quello di Antonio Bandini Buti,107 redattore dal 1928 al 1949 delle riviste del Touring Club, dopo un passato al «Secolo». Occorre ricordare come saranno piuttosto «Le Vie d’Italia» a occuparsi degli aspetti coloniali, invece della sorella minore, sempre però all’interno della consueta varietà tematica e di approcci, garantita da collaboratori, come abbiamo visto, non sempre allineati con il regime. D’altra parte, da sfatare è anche l’assoluta novità della tematica coloniale tra le pagine della rivista madre: nei capitoli precedenti si è assistito a un crescendo graduale dal punto di vista quantitativo dell’interesse per l’Italia d’Oltremare, albanese, greca, libica ed eritrea, raccontata dai vari Tegani, Desio e 105 Cfr. l’accostamento delle «Vie del mondo» alla pubblicistica coloniale operato da Charles Burdett, similmente ad Atkinson, in Journeys through fascism. Italian travel writing between the Wars, Oxford and New York, Berghahn Books, 2007, p. 9: «The appetite of the reading public for works on travel was also supplied by the magazine culture of the time: in 1930 the Touring Club Italiano decided to publish a new magazine to accompany the already exiting Le Vie d’Italia. The new and expensively produced monthly was entitled, Le Vie del Mondo, while the fascist Colonial Institute published its own journal, L’Oltremare. Other titles in what was a long list included Il Mediterraneo, the illustrated journal of the empire, Razze e popoli della terra and Rassegna dell’Espansione italiana». 106 Cfr. L. Barzini, L’America e l’Europa, in «Le Vie del mondo», anno XVII, n. 1, gennaio 1940, pp. 1329; Id., Seminatori di civiltà, in ivi, n. 5, maggio 1940, pp. 401-4; Id., Panamericanismo, in ivi, n. 8, agosto 1940, pp. 697-704. Mentre per Amy Bernardy, Fra gli «Indiani» del nuovo Messico, in ivi, anno XVIII, n. 8, agosto 1941, pp. 769-84; Ead., Tra i Pellirosse del «Gran Nord-Ovest», in ivi, anno XIX, n. 9, settembre 1942, p. 657; Ead., Antenati e nipoti dello «Zio Tom», in ivi, n. 12, dicembre 1942, pp. 83342. Di questa giornalista, collaboratrice del Touring anche sulle «Vie d’Italia» (A. A. Bernardy, Aria di Corsica, anno XLIX, n. 3, marzo 1943, pp. 195-202), recensita pure da L. Rusca per il suo libro Forme e colori di vita regionale italiana: Piemonte, Bologna, Zanichelli, 1926 (in ivi, anno XXXIII, n. 4, aprile 1927, pp. 491-2), scrive G. A. Stella, Pioniera del giornalismo, nei primi anni del ‘900 la Bernardy girò il mondo denunciando le inefficienze e i ritardi dello Stato verso i propri figli all’estero, in «Corriere della Sera», 1 giugno 2005, p. 35, presentando il volume di M. Tirabassi, Ripensare la patria grande. Gli scritti di Amy Allemand Bernardy sulle migrazioni italiane, 1900-1930, Isernia, Cosmo Iannone, 2005. Volume che però, visto il corpus così cronologicamente e tematicamente delimitato, esclude le collaborazioni della giornalista con l’associazione milanese. 107 A. Bandini Buti, Arte coloniale italiana, in «Le vie del mondo», anno XIII, n. 10, ottobre 1936, pp. 1010-6. 152 Puccioni, che continuano a inviare in redazione le loro «impressioni» di viaggio. In particolare, l’ex collaboratore di «Hermes» si distingue per una presenza significativa dalla fine degli anni Venti fino alla proclamazione dell’Impero.108 Accanto a lui: Amilcare Fantoli, direttore degli osservatori meteorologici della Libia, già collaboratore del TCI con le guide Tripolitania e Cirenaica, edite nel 1923. Dall’approccio antropologico di Puccioni sulla Somalia fino a quello tecnico di Fantoli sulle strade di Cirenaica e Tripolitania,109 le novità non paiono risiedere qui. Voci nuove dal Fezzan e dal Corno d’Africa sono quelle di Lidio Cipriani e di Vittorio Tedesco Zammarano, ossia voci note nel colonialismo italiano da un lato per il razzismo e dall’altro per l’esotismo. Del primo, conosciuto per le sue posizioni antropologiche aberranti,110 futuro membro del comitato di redazione del manifesto in «Difesa della razza», va detto come sulle «Vie d’Italia» si esima dall’esprimere le proprie teorie razziste nei riguardi delle popolazioni del Fezzan, ove è in missione per conto della Reale Società Geografica Italiana: «Non mi intrattengo molto sulle mie conclusioni antropologiche concernenti i Dauàda perché di interesse soltanto per gli specialisti».111 Unica nota di un certo sprezzo, espressione più che altro di un’aneddotica a tratti quasi divertita e comunque tendente a una più fondata scientificità, riguarda il cibo: «fonte di vita per i Dauàda sono i laghetti in riva a cui vivono, perché in essi prosperano, a legioni 108 N. Puccioni, La Somalia del Nord, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIII, n. 12, dicembre 1927, pp. 138993; Id., Impressioni bengasine, in ivi, anno XXXIV, n. 11, novembre 1928, pp. 901-7; Id., Impressioni del Gebel, in ivi, anno XXXV, n. 4, aprile 1929, pp. 263-7; Id., Artisti della Somalia, in ivi, anno XLI, n. 12, dicembre 1935, pp. 919-5; Id., Paesaggi della Somalia meridionale, in ivi, anno XLII, n. 1, gennaio 1936, pp. 41-8. 109 Cfr. A. Fantoli, Le strade della Tripolitania, in ivi, anno XL, n. 4, aprile 1934, pp. 274-87; Id., Le strade della Cirenaica, in ivi, n. 6, giugno 1934, pp. 437-48; Id., Il deserto, in ivi, anno XLVIII, n. 5, maggio 1942, pp. 482-7. Articoli ancora degli anni Venti sono: Malta, il fior del mondo, in ivi, anno XXX, n. 5, maggio 1924, pp. 479-84; Gadàmes, la perla del Sahara, in ivi, anno XXXI, n. 4, aprile 1925, pp. 381-93 e Ghirza città romana a sud di Leptis Magna, in ivi, anno XXXIII, n. 1, gennaio 1927, pp. 4351. 110 Cipriani nelle Considerazioni sopra il passato e l’avvenire delle popolazioni africane (Firenze, R. Bemporad, 1932) documenta pseudo-scientificamente l’inferiorità genetico, cerebrale e morale, basata sul colore della pelle, adducendo osservazioni marcatamente ideologiche, come per esempio: «mai i Negri si daranno a costruire una strada su cui tutti potranno passare con comodo, evitando il disagio e magari i pericoli di un sentiero talora sproporzionatamente più lungo, e se a miglia di distanza da una comunità negra può essere ottenuta, sia pure con diuturna fatica, dell’acqua sporca e imbevibile da qualunque Bianco, nessuno penserà mai a soggiacere al facile lavoro dello scavo di un pozzo nelle immediate vicinanze. In qualunque stadio di civiltà si trovi, il Negro agirà in casi simili soltanto se indottovi non dall’esempio ma dalla costrizione del Bianco e in vista di un vantaggio immediate ed indiretto, quale può essere la mercede da questi pagatagli», in ivi, pp. 139-40. Sulle teorie oggi controverse, ma all’epoca chiaramente di successo, dell’antropologo fascista, cfr. F. Cavarocchi, La propaganda razzista e antisemita di uno «scienziato» fascista: il caso di Lidio Cipriani, in «Italia contemporanea», anno 2000, n. 219, pp. 193-225. 111 L. Cipriani, Nel Fezzan, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIX, n. 9, settembre 1933, p. 686. 153 innumerevoli, dei piccoli animali, comunemente detti vermi, mentre sono in realtà dei crostacei del genere Artemis. I Dauàda se ne cibano con piacere e per giunta li commerciano».112 Di un’Africa esotica da salotto, restano invece le cacce «memorabili» di Tedesco Zammarano, uno degli autori di punta del romanzo coloniale, collaboratore al contempo del mensile del «Corriere», «La Lettura».113 In qualità di sottotenente nelle truppe coloniali, questo scrittore e giornalista di nobili origini, attinge dalle sue esperienze africane storie e avventure militari, amorose e di caccia, che «costituiscono motivo di intrattenimento per eleganti dame, ufficiali di alto grado e tutti quei personaggi amanti dei salotti».114 Ancor più di successo rispetto ai suoi romanzi coloniali sono i racconti delle sue avventure venatorie,115 di cui rende partecipi anche i lettori del mensile del Touring, suscitando suspence, «l’ansia, l’irrequietezza, l’eccitabilità penose»,116 tipiche della caccia, con abilità certamente più di narratore-affabulatore che di reporter, come si scorge dalla scrittura concitata e plurisensoriale di questo periodo: «Poi un grido di dispetto, il precipitoso sgattaiolare di una forma umana oltre il limitare della caverna, un “barra, barra” – largo! largo! – una nuova comparsa, un rovinio di ciottoli male accatastati; ed infine il balzo portentoso di una forma innaturale, ingigantita da una folta cresta di rigide setole, che il furore sventaglia sull’arcuato dorso; apparizione spettrale, che sembra non vedere nel gran cerchio di luce che la attornia, né udire nel convulso clamore che la raccoglie».117 Pur restando in una sfera densa di esotismo, il narratore-cacciatore-esploratore, rispetto al romanziere coloniale tout court, trova terreno più fertile sia nell’uomo d’azione fascista, nuovo conquistatore,118 sia nel pragmatismo del Touring, che nel 112 Ivi, p. 683. In questa sede esce a puntate nel 1927 Il sentiero delle belve, poi edito da Mondadori nel 1929. Tra i romanzi coloniali più noti Azaganò non pianse, Milano-Verona, Mondadori, 1934 e Auhér, mio sogno. Romanzo di terra lontana, Milano, Ceschina, 1935. 114 M. Pagliara, Il romanzo coloniale tra imperialismo e rimorso, Bari, Edizioni Giuseppe Laterza, 2001, p. 122. 115 V. Tedesco Zammarano, Cuoresaldo a caccia grossa. Avventure con animali selvatici, Torino, Utet, 1934, riedito per ben otto volte, è senz’altro la sua opera più apprezzata. 116 V. Tedesco Zammarano, Caccia grossa nelle Colonie italiane, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVIII, n. 5, maggio 1932, p. 341. 117 Ibidem. 118 Sulla letteratura coloniale al servizio dell’ideologia politica, in maniera cortocircuitante, senza i 113 154 mezzo della campagna africana resta orfano dell’umanista Bognetti e passa nelle mani ben più politicizzate di Carlo Bonardi. Con orgoglio il sodalizio segue da vicino e con partecipazione pratica questa guerra, che è in primis una guerra non di difesa dallo straniero, bensì di conquista da parte del Duce, nel nome del mito latino in terra africana: «è questa la terra verso cui si affisano gli sguardi di tutti gli Italiani mentre, obbedendo al comandamento del Duce, i fratelli valorosi ricalcano, sereni, indomiti e compatti, le orme delle antiche legioni romane. Nel momento storico d’eccezionale importanza che stiamo attraversando, il Touring – la cui attività multiforme, confortata dall’alta approvazione del capo del Governo, fu sempre sorretta da un profondo e fervido sentimento patriottico – dona ai suoi Soci, come già fece durante la guerra libica del 1911-12, una nitida Carta», ove poter seguire «con trepido orgoglio la marcia delle eroiche falangi».119 La rivista sorta proprio durante una guerra, quella mondiale, si ritrova nuovamente nel clima bellico, questa volta più distante fisicamente, eppure quanto mai presente. Sin dall’apertura. La rubrica iniziale Vita del Touring, negli anni precedenti relegata in fondo, contenente le informazioni riguardanti il sodalizio e il mondo dei trasporti, le pubblicità all’altro suo periodico «Le Vie del Mondo», i prossimi campeggi, escursioni e pubblicazioni, nei numeri da aprile ad agosto del 1936 inserisce L’albo d’onore del TCI, ossia l’elenco dei caduti in Africa Orientale, membri dell’associazione. E un capitano di divisione chiede per le truppe l’invio della rivista ad Amba Alagi, portando 286 nuovi abbonati. Altri indizi di una mobilitazione bellico-coloniale mai vista sin qui,120 sono la presenza a partire dalla fine del 1935 e per tutto il 1937, all’interno della rosa dei dieci articoli che costituiscono ogni numero del mensile, di almeno uno o due contributi divulgativi dell’Italia d’Oltremare che va formandosi. Significativo è pure che risultati sperati, e men che meno senza esiti esteticamente degni, cfr. M. Pagliara, Il romanzo coloniale tra imperialismo e rimorso, cit., p. 10: «Anche se espressa in maniera non esplicita la valutazione negativa dell’esotismo, come elemento trasgressivo e decadente, si opponeva, via via che il fascismo si andava caratterizzando come regime, all’epica imperiale della conquista delle terre d’Africa». 119 La Direzione, Africa Orientale, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 10, ottobre 1935, p. 721. 120 Sulla mobilitazione straordinaria dei mezzi di informazione, interamente sotto controllo governativo a un decennio dall’instaurazione della dittatura, in preparazione e durante la guerra d’Etiopia, si è pronunciato per primo R. De Felice in Mussolini il duce, vol. I, Gli anni del consenso (1928-1936), Torino, Einaudi, 1974, p. 266. 155 un quarto delle copertine di questo anno sia rappresentato da dipinti dedicati alle colonie. Proprio dal gennaio 1936 le storiche copertine della rivista cessano di essere pubblicitarie e diventano pittoriche, abbandonando anche i caratteri senza grazie della grafica sperimentale fascista dei primi anni Trenta: acquerelli, quadri e disegni, spesso commissionati appositamente a pittori e disegnatori, richiamano un articolo del mese. Ad inaugurare questa nuova tradizione della rivista, che durerà fino alla prima cessazione delle pubblicazioni nel 1943, è il già citato pittore coloniale Giorgio Oprandi con un bozzetto del Mercato a Belet Uen, consona apertura per questo numero che contiene l’articolo di Puccioni Paesaggi della Somalia meridionale. Ma il segnale più forte di una simile mobilitazione colonialista è senz’altro la dedica di un intero numero del mensile, quello del luglio 1936, all’Impero proclamato il 10 maggio.121 Dalla copertina, raffigurante il lago Tana, dipinto dall’acquerellista Aldo Raimondi,122 alle pubblicità delle filiali del Banco di Roma che sul mappamondo si irradiano dalla capitale in tutto Mediterraneo e nell’Impero Etiopico, fino alla rubrica finale, che nella sezione turistica lancia immediatamente l’idea di un Turismo in Etiopia.123 Racchiusi entro questi limiti della struttura editoriale, si susseguono i dieci articoli A. Raimondi, Il lago Tana, copertina delle «Vie d’Italia», anno XLII, n. 7, luglio 1936. di argomento esclusivamente coloniale, 121 Tanto per avere le dimensioni dell’impatto politico dell’impresa sulla carta stampata ricordo, attraverso Murialdi, che «Le tirature dei quotidiani del mattino e del pomeriggio, già cresciute notevolmente, in queste fatidiche giornate toccano vette mai più raggiunte. La punta massima, a quanto si sa, è il milione e 300 copie complessive tirate per il numero del 10 maggio da “Stampa” e “Stampa sera”». In P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, cit., p. 160. 122 La copertina, disegnata da Raimondi espressamente per la rivista assieme a molte altre (agosto e settembre 1936, novembre 1937, novembre 1938, dicembre 1940, gennaio e marzo 1941), fa eco a un articolo interno dedicato proprio al lago etiope, di R. Gramigna, Il lago Tana, in «Le Vie d’Italia», anno XLII, n. 7, luglio 1936, pp. 498-504. 123 G.V.C., Turismo in Etiopia, in ivi, anno XLII, n. 7, luglio 1936, p. 277. 156 affidati a «illustri autori chiamati a collaborar‹e›».124 Nomi, in maggioranza di geografi e scienziati, peraltro già ben collaudati dalla redazione del mensile ed entusiasti dell’espansionismo coloniale, cui occorre dare un solido bagaglio scientifico anche a livello divulgativo e scolastico. Le firme in questione sono quelle di Almagià, Dainelli, Ghigi,125 De Magistris,126 attivo nella rivista dal 1927, cui si aggiunge Carlo Conti Rossini,127 altro geografo, con interessi linguistici ed etnografici, che a differenza di De Magistris è stato in Africa sin da inizio secolo, e oltretutto al seguito di Ferdinando Martini, intellettuale a capo della colonia eritrea nell’Italia liberale, con il quale condivide un vivo interesse per l’antropologia africana.128 Gli approcci di questi geografi e scienziati sono dunque variegati e diversificati. Se Almagià si occupa di delineare un profilo storico delle esplorazioni e delle spedizioni nostrane nella regione fin dal Quattrocento al fine di giustificare le rivendicazioni del regime sull’unico regno africano indipendente,129 Dainelli si muove in un terreno d’indagine meno ideologico che è quello dello studio geologico, volto comunque a enucleare la necessità di ricerche approfondite per scoprire e sfruttare al meglio le ricchezze del Paese conquistato;130 mentre è Conti Rossini il più distante dalle ideologie colonialiste e razziste del fascismo, superando anche le aperture culturali del maestro Martini: «Durante l’alto medio-evo, come da noi il latino, l’etiopico 124 Il nostro Impero, in ivi, p. 417. A. Ghigi, La fauna, in ivi, pp. 468-75. 126 Cfr. L. F. De Magistris, Fra nuove provincie [sic] e rinnovate, in ivi, anno XXXIII, n. 5, maggio 1927, pp. 531-41; Id., Gli insegnamenti di una crociera, in ivi, anno XXIX, n. 11, novembre 1933, pp. 810-21 ed infine nel numero dedicato all’Impero: L’economia dell’Impero, in ivi, anno XLII, n. 7, luglio 1936, pp. 448-53. Tra le altre collaborazioni del geografo con il Touring, da ricordare è la cura dei capitoli geografici e geologici di alcuni volumi delle Guide d’Italia, e dal 1935 è il redattore dei notiziari Di paese in paese della rivista «Le vie del mondo». A sostegno della causa coloniale, importante è il saggio Geografia e politica coloniale, in «Rivista Geografica Italiana», anno XXXVIII, 1931, pp. 135-152, in cui l’autore analizza la mancanza di una coscienza geografica nazionale in connessione con la scarsa attenzione delle istituzioni e del sistema scolastico a questa materia, fondamentale in una nazione con ambizioni espansionistiche. 127 C. Conti Rossini, Etiopia antica, in «Le Vie d’Italia», anno XLII, n. 5, maggio 1936, pp. 299-305 e Id., Popoli, lingue e religioni, in ivi, n. 7, luglio 1936, pp. 489-97. 128 Sullo sguardo antropologico di Martini ha scritto Del Boca «forse l’ultimo ad averli guardati con un minimo di simpatia, e nel tentativo di capirli», in A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale. La conquista dell’impero, Roma-Bari, Laterza, 1979, p. 163. Un tentativo di comprensione, come si vedrà, certamente è portato avanti anche da questo geografo eclettico. 129 R. Almagià, Il contributo dell’Italia alla conoscenza dell’Africa Orientale, in «Le Vie d’Italia», anno XLII, n. 7, luglio 1936, pp. 418-22. 130 G. Dainelli, Il paesaggio etiopico e la sua costituzione, in ivi, pp. 438-47. Per articoli precedenti, pubblicati sempre nel medesimo anno e inerenti all’Africa Orientale dal punto di vista geologico, ma anche più antropologico cfr.: Id., Case abissine dell’Eritrea, in ivi, n. 2, febbraio 1936, pp. 82-93 e Id., Il «piano del sale» in Dancalia, in ivi, n. 4, aprile 1936, pp. 225-36. 125 157 evolvendosi nei suoi dialetti dette luogo ad altri parlari; ma, sino a non molto tempo fa, visse come lingua letteraria. Lingua letteraria? Rammento lo stupore di Ferdinando Martini, allorché, navigando insieme verso l’Eritrea, gli detti il mio schizzo di storia della letteratura etiopica, il primo che fosse redatto. “Letteratura etiopica? – mi disse – Sono curioso di leggere la storia d’una cosa che non esiste!...”. Esiste invece».131 E l’autore, studioso autodidatta della lingua copta, lo dimostra con uno stile vivace e che nulla toglie, ma anzi valorizza il suo sapere fuori dall’ordinario, capace a non tradurre la cultura e il credo religioso in rapporti necessariamente di subalternità e superiorità. Certamente non eccentrico e in piena sintonia con le posizioni dell’epoca è il contributo di Luigi Filippo De Magistris, già pomposo e retorico oltre misura nel suo periodare requisitorio: «Pensiamo al nostro Impero italiano d’Etiopia. Se il paese avesse appartenuto ad una gente capace di produrre un’aristocrazia di pensatori e di ricercatori; se il cosiddetto governo dello pseudo-stato avesse conosciuto i più elementari doveri della funzione di civiltà; se in esso i “servizi” della conoscenza dell’ambiente, indispensabili a sostenere il possesso, fossero stati impiantati e svolti adeguatamente; se, insomma, prima della liberazione operata dalle nostre truppe vittoriose, si fosse conosciuta la struttura economica dell’Etiopia su fondamenti reali, in virtù dell’ambiente geografico, e non si dovesse tuttora fare appello a quanto ne rivelarono o rilevarono i nostri esploratori, viaggiatori, scienziati lungo strisce marginali, con l’obbligo a noi di completare ed integrare mercé un faticoso lavoro di ricostruzione per induzione, gli scarsi accertamenti, non occorrerebbe nessun espediente per dar ragione di quello che il vasto e vario paese deve offrire al liberatore».132 Nell’articolo al di là dei rilevamenti scientifici minerari, immediatamente percepibile è il disprezzo per i popoli sottomessi dal colonizzatore, chiamato invece liberatore, come 131 132 C. Conti Rossini, Popoli, lingue e religioni, art. cit., p. 490. L. F. De Magistris, L’economia dell’Impero, art. cit., pp. 448-9. 158 d’uso nella retorica paternalistica razzista tipica di ogni colonialismo.133 Nessuna traccia fin qui di esotismo, con cui di fronte al mito e alla forza del progresso l’ideologia fascista ha sempre mantenuto un rapporto ambiguo in un modo non dissimile alla contrapposizione peninsulare strapaesana e stracittadina.134 A colmare questo vuoto ci pensa un autore nuovo per «Le Vie d’Italia», con cui lo stesso De Magistris ha già collaborato:135 Mario de’ Gaslini. Su di lui Isnenghi ne L’Italia del fascio scrive con una certa verve pagine impietose: «Breve e assai relativa è la rinomanza del vincitore, nel 1926, del primo concorso per un romanzo coloniale organizzato dal governo: Mario dei Gaslini, ufficiale di carriera, combattente in Libia e nella Grande guerra, fascista». Vero è che assieme al citato Zammarano e a Mitrano Sani, è l’autore di maggior successo della letteratura coloniale: il suo Piccolo amore beduino, edito da L’Eroica di Cozzani, nell’anno di pubblicazione (1926) oltrepassa la terza edizione. Tuttavia non fuorviante è la lettura che ne dà Isnenghi: «Gaslini si deve un po’ montare la testa, perché, subito dopo il romanzo – che faceva tanto Guido da Verona in Africa – imbastisce una sua rivista»,136 che abbiamo già citato, ossia «Esotica». L’esotismo di de’ Gaslini, che emerge tanto dai suoi romanzi quanto dai suoi articoli giornalistici137 (da caporedattore dell’ufficio storico-biografico de «Il Popolo d’Italia»), è pieno di fascino per la donna di colore: «potrebbe aspirare ad un’esistenza più libera, più gioiosa e meno dura», lontano da un tipo di uomo come l’etiope, guerriero e «ghiotto dell’alcool», sempre connotato negativamente in quanto avversario nella conquista dell’oggetto del desiderio. Come nei suoi romanzi, queste donne dai nomi esotici come la Nica di Piccolo amore beduino e la Natisc dell’omonimo Natisc, fiore dell’oasi (Bologna, Cappelli, 1938), infatuano l’uomo bianco, con la loro 133 L’adesione di questo geografo, chiara e senza titubanze, all’ideologia imperiale fascista è certo apprezzata dal regime che appoggia la sua opera scolastica per gli alunni delle scuole elementari: L’Impero d’Italia, Roma, La Libreria dello Stato, 1938, «presented as a factual geography of the colonies, but also an heroic account of the Italian expansion and the moral and material advantages it brought». D. Atkinson, Constructing Italian Africa: Geography and Geopolitics, art. cit., p. 22. 134 Lo spunto di questo accostamento tra «strapaese» e «stracittà» sul fronte interno e sul fronte coloniale entro esotismo-primitivismo e modernismo è suggerito dal volume di G. Tomasello, L’Africa tra mito e realtà. Storia della letteratura coloniale italiana, Palermo, Sellerio, 2004, in vari punti dell’analisi di diversi romanzi e autori coloniali, vd. ad esempio in relazione all’opera di Mitrano Sani, p. 159. 135 L. F. De Magistris, M. dei Gaslini, L’oltremare d’Italia in terra d’Africa: visioni e sintesi, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1930-1931. 136 M. Isnenghi, L’Italia del fascio, Firenze, Giunti, 1996, pp. 223-4. 137 M. de’ Gaslini, Costumanze e tradizioni d’Etiopia, in «Le Vie d’Italia», anno XLII, n. 7, luglio 1936, pp. 478-87. Altra collaborazione di de’ Gaslini, sempre dall’AOI, con la rivista risale al febbraio 1941: M. dei Gaslini, Le terre del Cavallo Baio, in ivi, anno XLVII, n. 2, pp. 220-32. 159 femminilità ricercata nell’acconciatura e nella depilazione. A lungo l’autore, anche con l’aiuto delle immagini dell’archivio fotografico del TCI a corredo dell’articolo apparso sul mensile, si sofferma su questi aspetti, facendo forse sognare al composto lettore questa donna-bambina «docile, obbediente, fiera», «vendicativa se offesa, è dolce quando è amata», «madre amorosa, sollecita, talvolta eroica».138 Alcool degli uomini a parte, come fa notare la Pagliara, «torna nei romanzi di de’ Gaslini», ma anche come abbiamo accennato nei suoi articoli giornalistici, «il topos dell’Africa, ma non come terra di perdizione, secondo i canoni dell’esotismo più diffuso, bensì come terra da amare e da civilizzare»,139 sovvertendo pure qualche pregiudizio, con tanto paternalismo circa il dovere morale dei colonizzatori fascisti, che tra l’altro non esitano a bombardare con i gas proprio l’Etiopia durante questa campagna,140 tanto epicamente narrata. Così per il de’ Gaslini civilizzatore e sognatore dell’Eden terrestre nell’Africa fascistizzata: «Non è vero che l’etiope abbia un’ombra al posto dell’anima; forse ha soltanto una vecchia e sparuta anima trepidante nell’ombra. Con la somma dei suoi difetti, terribili e sconcertanti, e con il complesso delle sue istintive qualità, è un brandello di umanità assetata di giustizia, di pace, di eguaglianza, di benessere e di amore. Sottratto alla barbarie, dotato delle elementari possibilità di esistenza e di convivenza, educato al lavoro ed al dovere, si redimerà da sé, per evidenza di risultati e di confronti. La nuova civiltà, latina e fascista, è in marcia coi i suoi soldati-coloni, con le sue rotaie, con le sue volontà e capacità di potenza. Dove è passata sterminatrice e liberatrice la guerra, passeranno i traini, il lavoro, la ricchezza, le canzoni serene, le fortune sicure, qui sarà l’Impero fondato dal Duce e costruito dai combattenti e dal popolo in nome del primo Re Imperatore dell’Italia romana e cristiana».141 La Pagliara ha definito questo suo colonialismo, rigeneratore e traino del progresso, che 138 M. de’ Gaslini, Costumanze e tradizioni d’Etiopia, art. cit., pp. 478-83. M. Pagliara, Il romanzo coloniale tra imperialismo e rimorso, cit., p. 41. Su questo aspetto cfr. anche l’altro reportage dall’Etiopia di de’ Gaslini ospitato dal mensile, Le terre del Cavallo Baio, art. cit., p. 225: «Percorrendo l’Africa è agevole comprendere come la strada sia l’ardente incantesimo e inguaribile amore dell’uomo: chi la costruisce è indubbiamente un pioniere di civiltà e di fortuna, ma chi la percorre è certamente un poeta». 140 Cfr. A. Del Boca, I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d’Etiopia, Roma, Editori Riuniti, 2007. 141 M. de’ Gaslini, Costumanze e tradizioni d’Etiopia, art. cit., p. 487. 139 160 non entra in contrasto con il primitivismo esotico paesaggistico e femminile (quest’ultimo tanto apprezzato), come «un fenomeno industriale, volitivo, produttivo»,142 del resto ben condiviso dalla redazione del mensile, che nell’editoriale d’apertura a due mesi dalla vittoria etiopica annuncia: «iniziandosi la grandiosa opera di civilizzazione e di potenziamento dell’Impero, già si fissano i tracciati delle nuove strade romane, si stabiliscono le linee aeree che collegheranno i territori dell’Africa Orientale Italiana alla Madre Patria, si aprono scuole, si costruiscono case, si spargono sulle vergini zolle le buone sementi».143 La guerra (e tanto più i suoi orrori a lungo indicibili, come i gas, di cui la rivista ancora sotto la guida di Bognetti tratta approfonditamente)144 pare presto lasciata alle spalle per mettere in pratica le possibilità di sfruttamento, oltre che gli intenti civilizzatori. Tuttavia una ricognizione storica e specialistica delle tappe militari che portano alla conquista dell’Africa Orientale Italiana è ritenuta necessaria per una rivista pur sempre tecnica e sempre più vicina al governo dopo l’affidamento delle redini direzionali a Bonardi. A occuparsi di questo è un altro nome nuovo in Corso Italia, ma noto in ambito editoriale, soprattutto per le sue pubblicazioni controverse con Casa Einaudi, vale a dire il generale Ambrogio Bollati. Questi, da stratega, ripercorre la conquista italiana libica e nel Corno d’Africa: gli infruttuosi accordi diplomatici, le avanzate italiane e le ritirate nemiche, senza chiaramente accennare ai mezzi utilizzati per raggiungere tale fine, «con rapidità stupefacente e fruttuosa di risultati superiori ad ogni aspettativa».145 Si tratta di una sorta di compendio, più aggiornato vista la forma giornalistica, del volume Enciclopedia dei nostri combattimenti coloniali fino al 2 142 M. Pagliara, Il romanzo coloniale tra imperialismo e rimorso, cit., p. 41. Il nostro Impero, art. cit., p. 417. 144 Significativo di un impegno informativo ed etico per l’intera società, il cappello redazionale, scritto presumibilmente da Laeng o da Bognetti, introduttivo all’articolo del capitano A. Izzo, Guerra chimica e difesa antigas, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVIII, n. 10, ottobre 1932, p. 775: «Il Touring pensa di informare la gran massa de’ suoi Soci su un argomento di particolare importanza per la sicurezza della Nazione: la “guerra chimica e la difesa antigas”. Esso non interessa più solamente il chimico, bensì anche l’ingegnere per ciò che concerne le norme edilizie, il medico per le cure da apportarsi ai colpiti, il costruttore per la scelta giudiziosa dei materiali più atti a resistere all’azione corrosiva di alcuni gas ed i cittadini tutti per la difesa della propria vita. Perciò ogni pubblicazione che renda accessibile anche al profano questo appassionante problema sembra meritevole della più larga diffusione, quale possono assicurarle le nostre pubblicazioni periodiche. È superfluo aggiungere che il voto nostro e di tutti gli uomini di senno e di cuore è che presto, per concorde volere dei Paesi civili, questo barbaro, inumano mezzo di guerra sia per sempre proscritto». Ed è superfluo pure apporre come nonostante l’Italia avesse ratificato i trattati contro l’uso dei gas, gli eserciti di Badoglio e di De Bono lanciarono bombe all’iprite sulla popolazione etiope. 145 A. Bollati, La nostra espansione coloniale fino alla proclamazione dell’Impero, in ivi, anno XLII, n. 7, luglio 1936, p. 426. 143 161 ottobre 1935 (XIII), commissionato e pubblicato nel medesimo anno della proclamazione imperiale dall’editore antifascista, anticolonialista e democratico per antonomasia: Giulio Einaudi, il quale in tal modo paga il dazio al regime, affrettandosi dopo la Liberazione a cancellare ogni traccia dal catalogo storico.146 Le tappe militari della conquista etiopica non sono solo oggetto del saggio di Bollati: esse sono pure efficacemente ripercorse nel medesimo numero da un punto di vista grafico, non soltanto con fotografie, ma anche attraverso la riproduzione dell’esemplare con tanto di dedica manoscritta al generale Sailer del primo foglio della Carta dell’Etiopia al milionesimo del Touring Club Italiano «su cui S. E. il Maresciallo Badoglio, duca di Addis Abeba, ha abbozzato di suo pugno il piano delle Battaglie del Tembien (II) e dello Sciré».147 146 Sulla lista nera dei libri Einaudi, ripudiati dall’editore nel secondo dopoguerra, e in particolare in riferimento alla pubblicazione di Bollati, cfr. l’articolo di V. Messori, Einaudi. Il giallo dei libri scomparsi Quei testi «fascistissimi» che non figurano nel catalogo storico. E sul «Popolo d’Italia» il duce salutò la prima pubblicazione, in «Corriere della Sera», 11 luglio 1998, p. 27: «nella introduzione, il militare-scrittore ringrazia Einaudi con queste parole: “Il lavoro ha avuto origine da una proposta di un editore di buona volontà, che si è reso conto della novella importanza assunta dalle Colonie nel momento attuale.” […] Ciò che risulta chiaro è che fu “l’editore di buona volontà” (come lo chiama l’alto ufficiale littorio) ad avere avuto l’idea, ad averla proposta, ad averla voluta realizzare a servizio della causa “imperiale”. Né sembra trattarsi di un tributo una tantum: come risulta dall’accordo per una sorta di enciclopedia in progress, da aggiornare di continuo con i nuovi fasti imperiali». La deduzione di Messori è corretta, dal momento che quest’opera, pubblicata sotto i migliori auspici del Ministro delle Colonie Lessona, che vi scrive l’introduzione, non è che l’inizio di una collaborazione tra il generale e Casa Einaudi, messa molto alle strette dal regime, con Cesare Pavese al confino e Leone Ginzburg imprigionato. Nello stesso 1936 esce per la collana ideata e curata da Ginzburg in carcere «Biblioteca di cultura storica», che ospita storici antifascisti come Luigi Salvatorelli (a sua volta collaboratore delle «Vie d’Italia» dopo la Liberazione), I rovesci più caratteristici degli eserciti nella guerra mondiale: 19141918, a seguire, scritto a quattro mani con il generale Giulio Del Bono, La guerra di Spagna. Sintesi politico militare, in due volumi: Sino alla liberazione di Gijon: 18 luglio 1936-21 ottobre 1937, vol. I, 1937, e Dalla liberazione di Gijon alla vittoria, vol. II, 1939. 147 Un documento storico, in «Le Vie d’Italia», anno XLII, n. 7, luglio 1936, p. 423. Già nel 1935 per seguire più da vicino le conquiste coloniali, gli abbonati del periodico avevano ricevuto come allegato la Carta dell’AOI in scala 1:1.000.000, mentre le Guide d’Italia relative alle colonie continuano a costituire il dono per tutti i Soci. «Una famiglia su dieci ebbe in casa queste guide e carte, seguì gli avvenimenti coloniali da vicino e familiarizzò con termini e località d’oltremare grazie alla divulgazione che ne fece il TCI». Cfr. G. Rosselli, Turismo e colonie: il Touring Club Italiano, cit., p. 102. Di più: «durante i sette mesi del conflitto italo-etiopico, il primo compito degli alunni, appena entrati in classe, era quello di scrivere sotto dettatura il bollettino quotidiano delle operazioni militari in Etiopia. Poi il capoclasse si avvicinava alla parete dove era affissa la grande carta geografica dell’Africa e spostava le bandierine se le truppe italiane avevano conquistato qualche località. In genere era il generale Badoglio che avanzava più rapidamente sul fronte nord, ma la maggioranza degli alunni tifava per il generale Graziani, perché la sua figura, alta e avvolta in ampi e sfarzosi mantelli, ricordava quella dei condottieri rinascimentali». A. Del Boca, L’Impero, in M. Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, cit., p. 422. Sulle carte, guide e pubblicazioni del TCI nel medesimo periodo si veda anche L. Devoti, Anni Trenta: dall’Italia all’Oltremare con il Touring Club Italiano, art. cit., pp. 45-52. 162 Fatto ovviamente non nuovo nella storia del sodalizio questa stretta collaborazione tra i reparti militari e quelli cartografici. Basti pensare al Bertarelli nelle trincee della Grande guerra che distribuisce casse colme di aiuti e di preziose copie della Carta d’Italia al 250.000, in un caso leggendario addirittura salvifiche Un documento storico, in «Le Vie d’Italia», anno XLII, n. 7, luglio 1936, p. 423. per un reparto con ottocento muli, accerchiato in Friuli che sfugge alla carneficina grazie a un sentiero 148 indicato solo dal Touring. Eppure anche in questo caso, a distanza di poco più di un decennio qualche distinguo è da fare. E a farlo ci pensa già nel 1932, in occasione del decennale della marcia su Roma, Attilio Gerelli, che, lasciata la redazione del periodico nelle mani di Gualtiero Laeng, passando alla carica di Segretario Generale dell’associazione fino al 1939, non bada a compromissioni, ben edulcorate poi dalle bozze di stampa dei Cinquant’anni del Touring Club Italiano di cui è l’autore: «Fascismo e cartografia: quali rapporti possono esistere fra la Dottrina politica e sociale, così luminosamente tracciata da chi ne fu il creatore in un documento solenne qual’è [sic] la Enciclopedia italiana, e la maniera di figurare in modo convenzionale il terreno sulla carta? O che proprio, penserà qualcuno, il Fascismo si vuol far entrare ovunque?».149 Le domande sono pomposamente retoriche e osannanti il Duce, resta però la chiara verità che il Fascismo lo si vuole (e lo si deve) far rientrare proprio dappertutto. A questo si devono dalle Alpi alla Sicilia, fino alle Colonie, ferrovie, strade, ponti, porti, bonifiche, acquedotti, presto aggiornati nelle piantine, a favore anche dei turisti, anche se una nota negativa, vista la congiuntura degli anni Trenta sarebbe proprio impossibile da tacere: «pur troppo il turismo si è affievolito, per gli stranieri, che in questo burrascoso periodo, in causa del disagio economico o per divieti 148 G. Bozzini, Nasceva a Milano 80 anni fa il TCI. Aprì agli italiani le vie del mondo, in «Città di Milano. Rassegna mensile del Comune e bollettino di statistica», cit., p. 55. 149 A. Gerelli, Fascismo e cartografia, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVIII, n. 10, ottobre 1932, p. 717. 163 di esportazione della valuta, ci visitano molto meno».150 Amara constatazione per un Touring nato slegato da vincoli politici e sotto l’egida dell’industrialesimo privato lombardo ed europeista, e ancor di più per la sua rivista madre che porta ancora fino alla fine del 1935, quel sottotitolo «Turismo nazionale, Movimento forestieri, Propaganda, Alberghi, Prodotto italiano, Sviluppo industrie turistiche». Di movimento dei forestieri ve n’è sempre meno e sempre meno se ne scrive, diversamente da altri temi propagandistici italiani e coloniali mai stati così ideologicamente urgenti per un governo liberale. Un campo di studi consustanziale alla politica coloniale è rappresentato dall’archeologia, ovviamente romana, dacché le altre branche risultano al fascismo meno interessanti e «sfruttabili», eccezion fatta per le vestigia dell’Impero etiopico, appena sottomesso, da trafugare come trofei di guerra.151 Tuttavia non è da reputare come esaustiva in toto la considerazione che con la conquista dell’Etiopia, «la componente “romana” ‹venga› assunta come primaria e temporaneamente ‹prevalga› rispetto ad altre pur consistenti».152 Certamente l’uso della parola «Impero» è sintomatico di questa volontà di porre di nuovo in atto l’antica potenza romana. Impensata è una Roma non imperiale, impensato è un impero che non ambisca a ricalcare l’universalismo dell’antica civiltà. Roma, Impero e Italia ritornano, dopo un ciclo di quasi 1500 anni, a essere realtà coincidenti, almeno ideologicamente per l’impero coloniale più piccolo delle grandi potenze europee. L’assimilazione operata dalla propaganda e dalla storiografia fascista, cancellante lo scarto diacronico millenario tra la storia romana e la storia italiana, tra quella di un impero secolare e quella di un regno unitario ancora molto giovane, nonostante l’explicit supra riportato dell’articolo di de’ Gaslini sulle tradizioni etiopi sottomesse al nuovo dominio latino e fascista, non sia una novità. Nemmeno tra le pagine della rivista, e sarebbe errato pensare a un’attenzione maggiore dedicata all’archeologia romana soltanto a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, quando certo si raggiungerà anche il culmine cinematografico del kolossal di Carmine Gallone Scipione l’Africano. Già nel decennio precedente, il fascismo comincia a riesumare dal nazionalismo dell’Italia liberale il mito della 150 Ivi, p. 732. Cfr. l’articolo dell’archeologo direttore del censimento epigrafico dell’Impero Romano, Aristide Calderini, sugli imponenti e contestatissimi obelischi etiopi, Un simbolo dell’Etiopia: gli obelischi di Axum, in «Le Vie d’Italia», anno XLII, n. 7, luglio 1936, pp. 454-6. 152 M. Cagnetta, Antichisti e impero fascista, Bari, Dedalo libri, 1979, p. 9. 151 164 missione di Roma nel mondo. Quel nazionalismo, raccolto attorno agli antichi fasti della romanitas, che si rinvigoriva in occasione delle guerre e delle campagne coloniali crispine e giolittiane, è stato subito inglobato nell’ideologia del Duce e da qui fatto risuonare sistematicamente dagli organi di stampa, sempre meno liberi, dalle mobilitazioni delle masse in occasione delle «giornate coloniali» organizzate fin dai primi anni Venti, e dall’Istituto di Studi Romani, sorto nel 1925, assieme alla sua rivista «Roma». Da questo momento, sin dai primissimi anni dopo la marcia su Roma, il mito della civiltà romana fondante dal punto di vista ideologico e propagandistico la politica coloniale, rientra nel sistema governativo dittatoriale ed ergo nella pubblicistica, di cui chiaramente fanno parte anche «Le Vie d’Italia».153 Avevamo già incontrato, del resto, nella prima metà degli anni Venti i resoconti delle scoperte romane nella Libia coloniale e nella Francia rivale da parte di Guido Calza. Ed è dunque in questa direzione che prosegue l’interesse archeologico della rivista, chiedendo la collaborazione dei direttori degli scavi più importanti, da Ugolini a Romanelli, da Barocelli154 a Brusin, che ben si prestano a uscire dalla ristretta cerchia della ricerca accademica. D’altronde a farli uscire dalle torri d’avorio dell’erudizione ci aveva già pensato il governo, orientando e finanziando le loro ricerche esclusivamente nel campo della romanitas. L’obiettivo è chiaro: scoprire e far scoprire la magnificenza e la potenza universale di un’Italia del passato, quella romana, oltre i confini e oltre le colonie, che funga da pretesto politico per un nuovo espansionismo. Laddove non siano sufficienti i resoconti delle spedizioni in forma verbale, pagine fotografiche dell’Archivio del Touring corredano gli articoli mostrando ai lettori, che non abbiano nemmeno mai preso parte a una delle escursioni 153 È quest’apparato propagandistico a costituire lo scarto sostanziale con l’Italia pre-fascista nella politica archeologica italiana, rispetto a quanto scrive Sergio Romano citando il volume di M. Petricioli Archeologia e Mare Nostrum. Le missioni archeologiche nella politica mediterranea dell’Italia 18981943, Roma, Valerio Levi editore, 1990: «La politica archeologica italiana all’epoca di Mussolini non fu sostanzialmente diversa da quella dell’Italia pre-fascista e dei maggiori Paesi europei. [...] L’autrice, Marta Petricioli, racconta la storia delle maggiori spedizioni, le continue preoccupazioni finanziarie da cui erano assillate, l’intreccio fra politica culturale e strategie diplomatiche. Le missioni servivano ai governi europei per mostrare la bandiera nazionale in Paesi spesso arretrati, ma anche, più concretamente, per stabilire contatti con le autorità locali, raccogliere informazioni, sorvegliare le iniziative degli stati che perseguivano gli stessi obiettivi. Gli archeologi, dal canto loro, erano lieti di collaborare con i governi. Qualcuno era nazionalista, e quindi ben contento di promuovere indirettamente gli interessi politici ed economici del suo Paese. Altri avevano capito che i finanziamenti sarebbero stati tanto più generosi quanto più il governo avesse constatato l’utilità politica della missione; e non perdevano occasione per decantare i grandi vantaggi che la madrepatria avrebbe tratto da quelle imprese. Nel caso dell’Italia l’argomento vincente era quello della romanità». In S. Romano, Anche l’archeologia a servizio del potere, in «Corriere della Sera», 14 aprile 2009, p. 31. 154 P. Barocelli, Monumenti e culti preromani e romani del Grande e del Piccolo S. Bernardo, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIX, n. 10, ottobre 1933, pp. 765-72. 165 nazionali dell’associazione,155 i resti romani di Assuan, della Provenza, dell’Albania, della penisola iberica, della costa turca e tunisina, senza dimenticare la Tripolitania, ove il fascismo riesce a spingersi anche oltre i confini dell’antico impero, con la conquista del Fezzan. Ad inaugurare questo rinnovato e più esteso interesse per l’archeologia romana al tramonto degli anni Venti, seguito mensilmente nel Notiziario dalla rubrica Scavi e scoperte, ove si proseguono a documentare gli stadi dei lavori di cui si è già scritto, sono le notizie delle scoperte straordinarie, condotte da Luigi Maria Ugolini nell’Albania meridionale, oggi patrimonio dell’UNESCO. Un sito romano di estrema rilevanza per i miti fondativi di Roma e di riflesso del fascismo è appunto Butrinto, cantata dal poeta dell’Impero per antonomasia nel poema celebrante le sue origini. Virgilio nel terzo libro dell’Eneide narra le peregrinazioni dell’eroe prima dell’approdo sui lidi italici ove fondare una nuova Ilio, tra esse vi è la sosta all’eccelsa Butrinto, «parva Troia» giustappunto.156 Tuttavia a parte la titolistica redazionale focalizzata sul poema classico (La tradizione virgiliana del viaggio di Enea negli scavi di Butrinto)157, Ugolini, giovanissimo archeologo preistorico, non dimentica i primi amori riducendo l’interesse per il sito al solo scalo di Enea. I suoi resoconti sono precisi, dettagliati, non omettono né minimizzano le scoperte preistoriche e greche, per giungere alla chiusura del cerchio delle indagini con i ritrovamenti della rocca veneziana del XVI secolo, segno dell’ultima dominazione italica nell’Illiria. Ancora latente, rispetto al finire degli 155 Dopo le numerose escursioni nella penisola negli anni Venti, dalla Sardegna alle terre redente, con la fine del decennio e l’inizio del successivo il Touring amplia il raggio delle proprie mete, adeguandosi alla geografia dell’Italia coloniale, così come la mole della Guida d’Italia si allarga nel 1929 con l’aggiunta del volume Possedimenti e colonie. Isole Egee, Tripolitania, Cirenaica, Eritrea, Somalia. Proprio per celebrare il completamento dell’opera omnia, cui seguirà necessariamente il volume sull’Africa Orientale Italiana (Milano, Consociazione Turistica Italiana, 1938), nel settembre 1929 si organizza una Crociera nelle isole Egee. A seguire, nel 1931 per festeggiare il ventesimo anniversario dello sbarco italiano a Tripoli i soci visitano la città, Leptis Magna e le oasi del Fezzan, lasciando la Cirenaica all’escursione nazionale del 1933, mentre l’anno seguente per il cinquantenario della colonia primigenia, per la prima volta una carovana di turisti attraversa l’Egitto e il Sudan per arrivare sino in Eritrea. Cfr. A. Gerelli, Un dovere nazionale: conoscere la Tripolitania, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVI, n. 9, settembre 1930, pp. 674-85; I vent’anni della Tripolitania e un’escursione del Touring, in ivi, anno XXXVII, n. 9, settembre 1931, pp. 641-9; F. Fantoni Modena, Una prima carovana di turisti in Eritrea con ritorno dal Sudan e dall’Egitto, in ivi, anno XXXIX, n. 2, febbraio 1933, pp. 143-52; Echi dell’Escursione del TCI in Tripolitania e Cirenaica, in ivi, anno XL, n. 1, gennaio 1934, pp. 78-9. 156 Cfr. i tre esametri dell’Aen. III, vv. 290-3: «protinus aerias Phaeacum abscondimus arces / litoraque Epiri legimus portuque subimus / Chaonio et celsam Buthroti accedimus urbem». 157 L. M. Ugolini, La tradizione virgiliana del viaggio di Enea negli scavi di Butrinto, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVI, n. 9, settembre 1930, pp. 643-9, che riprende il primo resoconto dell’avvio del lavoro di scavi in Albania pubblicato tre anni prima sulla rivista: Id., Attività archeologica italiana in Albania, in ivi, anno XXXIII, n. 10, ottobre 1927, pp. 1138-42. 166 anni Trenta e l’inizio del decennio successivo, è però il discorso ideologico e di riconquista dell’attuale regno di re Zog. Una simile acribia e onestà intellettuale è riscontrabile in un’altra firma del Touring Club: Ferdinando Reggiori. Architetto milanese con la passione per l’arte e l’archeologia, dal 1934 libero docente di storia dell’architettura e del restauro, futuro Presidente dell’associazione negli anni Sessanta, comincia a 16 anni a pubblicare: «lire quindici per un raccontino accettato da Silvio Spaventa Filippi e pubblicato nel Corriere dei Piccoli, giugno del 1914: precoce passione e conseguente nostalgia per un mestiere che mi sarebbe piaciuto di fare».158 I legami con l’associazione datano giovane età: suo professore di lettere al ginnasio è Giovanni Bertacchi, mentre di storia è lo storico Ferruccio Quintavalle, altro collaboratore delle «Vie d’Italia».159 Al Politecnico è: «l’unico, unicissimo studente che sedeva, in un’aula deserta, ad ascoltare le lezioni di archeologia medievale del professor Ugo Monneret de Villard, l’insigne archeologo (e ingegnere elettrotecnico) che mi doveva portare con sé, a scavare in Egitto (e con me, risalendo le dune del deserto di Assuan, egli si sfogava sulla pretesa, ostinatissima, di un suo grande zio perché egli facesse veramente l’elettrotecnico e non lo sconsiderato scavatore di mummie)».160 In una di quelle occasioni, per il mensile, con cui aveva iniziato a collaborare dal 1924, Reggiori illustra «un frammento di casa nostra», un resto di bagno romano ad Assuan,161 con perizia, senza cadere nelle trappole della retorica e preferendo affidarsi al rigore tecnico e fotografico: «da uno studio accurato lo riteniamo piuttosto una costruzione per un padiglione sorgente dalla acque del Nilo e poggiante sulle arcate, ben visibili nella fotografia»,162 e così prosegue indugiando su ogni vasca e canaletto ancora riconoscibile. Si tratta del suo unico articolo pubblicato sul mensile di argomento archeologico fuori dai confini nazionali; gli altri, mantenendo il medesimo stile e la 158 Ecco quanto risulta dalle memorie autobiografiche dal titolo portiano Lament del pover meneghin, p. 4, ritrovate nel dossier Ferdinando Reggiori, presso l’Archivio Storico del Touring Club Italiano. 159 Cfr. F. Quintavalle, Un angolo tranquillo nel Trentino, in «Le Vie d’Italia», anno XXX, n. 7, luglio 1924, pp. 769-78 e Id., Usi e costumi tradizionali delle Giudicarie esteriori, in ivi, anno XXXIV, n. 3, marzo 1928, pp. 261-8. 160 F. Reggiori, Lament del pover meneghin, cit., p. 4. 161 F. Reggiori, Un rudero romano ad Assuan, nell’Alto Egitto, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIII, n. 12, dicembre 1927, p. 1449. 162 Ibidem. 167 medesima precisione, riguardano temi architettonici, museali ed artistici del patrimonio italiano. Un dato cronologico significativo inerente alla mole quantitativa dei pezzi andati in stampa, una ventina, è che queste collaborazioni datano tra gli anni 1924 e il 1930,163 poi vi è una lunga pausa fino al secondo dopoguerra, quando riprendono le pubblicazioni della rivista, con molti ritorni, Rusca, Mira, Borsa e, tra gli altri, lo stesso Reggiori. Col procedere del terzo decennio del Novecento, i legami tra ideologia politica e studio del passato romano si fanno più espliciti e gli articoli presenti si pongono in maniera più netta a servigio di queste compromissioni anche da un punto di vista formale, finendo per cadere dal tecnicismo alla retorica imperialista della dittatura. In questo senso, rispetto a un Reggiori e a un più implicato Ugolini, Romanelli e Brusin, scrivendo in concomitanza di ricorrenze immancabili per il regime (il decennale della marcia su Roma, la proclamazione dell’Impero e il bimillenario augusteo), non mancano l’assimilazione tra presente e lontano passato. In occasione dell’anniversario fascista, Pietro Romanelli, insigne archeologo, soprintendente al Palatino, impegnato a Ostia, a Tarquinia e soprattutto a Leptis Magna, passando in rassegna le tracce lasciate dall’impero romano in tutto il Mediterraneo, dall’Asia Minore alla Tripolitania, nell’enfasi celebrativa della superiorità dei Cesari, pecca di un certo servilismo ideologico. Banalmente, sovrappone il presente fascista giunto al concordato con la Chiesa cattolica, e la sfera religiosa politeista romana nell’ambito artistico: «se mai infatti vi fu arte che ebbe ognora nobiltà di ispirazione e di intenti, disdegno per tutto quanto avvilisce ed oscura la divina bellezza dell’anima umana, ansiosa cura di elevare e di elevare quanto invece in questa v’ha di più nobile e di più sacro: il culto di Dio e la reverenza per i maggiori».164 Annota del resto anche Munzi: «a dispetto della sua nomina pre-fascista, Romanelli appare profondamente imbevuto di quel mito che vuole 163 Tra i numerosi articoli dell’architetto durante la prima fase del mensile, vale a dire prima della cesura bellica del 1943, ricordo: F. Reggiori, Santa Caterina del Sasso sul Lago Maggiore, in «Le Vie d’Italia», anno XXX, n. 7, luglio 1924, pp. 777-84; Id., La villa e il giardino di S. Remigio a Pallanza, in ivi, anno XXXI, n. 3, marzo 1925, pp. 285-93; Id., Le vicende della facciata del Duomo di Cremona, in ivi, n. 4, aprile 1925, p. 357; Id., Il Museo civico di Brindisi, in ivi, n. 9, settembre 1925, pp. 1057-60; Id., L’anfiteatro di Pozzuoli, n. 10, ottobre 1925, pp. 1112-4; Id., La badia di Mirasole, alle porte di Milano, in ivi, anno XXXII, n. 7, luglio 1926, pp. 775-6; Id., L’Abbazia benedettina di Marienberg ed il Castello Fürstenburg presso Burgusio nell’alta Val Venosta, in ivi, anno XXXIII, n. 12, dicembre 1927, p. 1450 ed infine i due articoli del 1930: Id., Come fu salvata la basilica di S. Andrea in Vercelli, in ivi, anno XXXVI, n. 4, aprile 1930, pp. 275-84 e Id., La Triennale delle Arti decorative a Monza, in ivi, n. 10, ottobre 1930, pp. 777-84. 164 P. Romanelli, L’arte romana nel mondo, in ivi, anno XXXVIII, n. 2, febbraio 1932, p. 92. 168 Roma antica diretta madre della nuova Roma fascista».165 Di questo ne dà sempre dimostrazione nei suoi articoli apparsi sul mensile fino al 1940, come nella ricorrenza del bimillenario di Augusto, le cui celebrazioni iniziano il 23 settembre 1937 e durano un anno, per volontà del novello Augusto, bramoso di rinforzare quel binomio fascismo-romanitas che negli auspici di Bottai doveva andare oltre la retorica,166 e nei fatti, guardando ai restauri effettuati, da Siracusa ad Aosta, almeno ci riesce. O ancora, nell’articolo dell’agosto 1940 a seconda guerra mondiale iniziata, ove in virtù delle Orme di Roma in Tunisia si rivendica il diritto sul protettorato francese, conteso dall’Italia da fine Ottocento.167 Da ultimo, tra i più noti archeologi che collaborano alla rivista, Giovanni Brusin, direttore degli scavi di Aquileia, di cui si occuperà in tutti i suoi cinque articoli pubblicati sul mensile dal 1928 al 1942, indulge ancora nella ciclicità storica, elemento fondativo della nuova retorica imperiale: «Le parole solenni s’imprimono nel fondo del cuore al cospetto degli augusti segni, nella verità del ricorso storico ch’esse celebrano».168 Nella fattispecie delle tematiche coloniali ed archeologiche, affrontate dalla rivista, scandagliando ogni numero e ogni articolo incluso nei termini cronologici del post mortem Bertarelli e dell’ante mortem TCI, ribattezzato CTI, dopo l’ulteriore passaggio direzionale da Bognetti a Bonardi, si può trovare concordanza con le parole di Giovanna Rosselli, che lasciavano aperture ad analisi più approfondite: «Certo è difficile trovare, anche se forse un’attenta analisi dei testi potrebbe dare frutti interessanti, una posizione originale, specifica al TCI e magari critica nei confronti del regime e delle sue realizzazioni coloniali. Sostanzialmente il TCI riflette organicamente la cultura dell’epoca e senza tuttavia mai cadere nella propaganda ideologica più aperta, esprime senza dubbio il pensiero colto e scientifico accreditato dal regime».169 165 M. Munzi, L’epica del ritorno: archeologia e politica nella Tripolitania italiana, Roma, L’Erma di Bretschneider, 2001, p. 43. 166 Cfr. G. Bottai, L’Italia di Augusto e l’Italia d’oggi, in «Roma», anno XV, n. 2, febbraio 1937, p. 53. 167 P. Romanelli, Scavo e restauro di monumenti romani nel bimillenario di Augusto, in «Le Vie d’Italia», anno XLIII, n. 12, dicembre 1937, pp. 835-47 e Id., Orme di Roma in Tunisia, in ivi, anno XLVI, n. 8, agosto 1940, pp. 878-84. Sugli sviluppi del fascismo in Tunisia cfr. J. Bessis, La Méditerranée fasciste. L’Italie mussolinienne et la Tunisie, Parigi, Editions Karthala, 1981. 168 G. Brusin, Segni gloriosi di Roma imperiale, in «Le Vie d’Italia», anno XLIII, n. 4, aprile 1937, p. 255. 169 G. Rosselli, Turismo e colonie: il Touring Club Italiano, cit., p. 107. 169 Di lampi originali ne abbiamo trovati: gli studi linguistico-letterari di un geografo come Conti Rossini, il rigore di un pensiero come quello di Reggiori diverso dal dominante, e il credo patriottico ancora pre-fascista, senza compromessi, di Ferrari e di Fabietti. Testimonianze fulminee di altre vie di espressione e di ricerca possibili e pubblicabili, nonostante tutto, proprio laddove era più impensabile trovarle, al di là dei nuovi miti e dei diktat propagandistici. 3.6 ATTRAVERSO L’ITALIA DI SCRITTORI E ARTISTI Se la propaganda del regime penetra a macchia d’olio nella rivista, sempre meno concretamente operativa, si può percorrere qualche altra via di fuga al totale asservimento. Proprio illustrando l’arte, i borghi, le città e il paesaggio italiano, graficamente attraverso le immagini dell’archivio Touring, e verbalmente, attraverso i racconti, i reportages e gli articoli più eminentemente giornalistici di scrittori e di critici letterari e d’arte, Bognetti, uomo di una certa levatura intellettuale, può continuare quel progetto bertarelliano-stoppaniano di far conoscere l’Italia agli italiani, sviando, per quanto possibile, la retorica delle opere del regime. Il richiamo è più vivo che mai, non solo nel programma editoriale della collana «Attraverso l’Italia», portato con successo a termine da Bognetti, ma pure nel mensile che si avvale del nipote dell’abate del Bel Paese per rivendicare le sue radici ambrosiane e politecniche: «Sulle sponde orientali di quel ramo del Lario che si stende verso Lecco, in grembo ai monti che le ridenti spiagge dividono dalla pittoresca Valsassina, si apre un ameno bacino, quasi direbbesi un cratere, dal cui fondo abbellito di verzura e solcato da ruinoso torrente, s’ergono all’ingiro con mille mosse bizzarre le severe rupi, cariche qua e colà di giovane ma fitta boscaglia, o sparse di gruppi e di isolati colossi di secolari faggi, di cui vid’io un sì gigante e cui leggera scalfittura sarebbe stato il morso della sega, demolito dalla mina a mo’ di torre […] Perché sì scarsi fra noi i visitatori di Esino?” Questo scriveva Antonio Stoppani nel “Politecnico” del 1864-65. Il Bel Paese 170 era ancora in mente Dei».170 I modelli del Bertarelli, di uno Stoppani manzoneggiante, politecnico, mirabilmente ecfrastico, preso a interrogare il reale, non sembrano morire soffocati dalla censura. Questo almeno fino al 1935, anno di morte di Bognetti: la rivista cerca di mantenere equilibri tra i tributi, inevitabili, da pagare alla politica e la propria missione, delineata ancora negli anni Venti, più divulgativo-descrittiva, ma meno attuativa: «Giovanni Bognetti ha saputo dare alla gloriosa creazione milanese la sua nuova funzione: una funzione culturale, diretta a promuovere la coscienza storica e geografica della nuova Italia».171 E lo ha fatto grazie a molti collaboratori normalmente presenti su riviste letterarie e non meramente tecniche e turistiche: Emilia Salvioni, Ettore Lo Gatto, Raffaele Calzini, Riccardo Balsamo Crivelli, Valentino Brosio, Giannetto Bongiovanni, Alessandro Francini Bruni, Elio Zorzi e Giuseppe Fanciulli. Scrittori e intellettuali molto diversi tra loro, concordi nel riconoscere l’elevato valore culturale del mensile più diffuso in Italia172 e nel sottoporre i propri contributi non più a un caporedattore quale Rusca, bensì all’italo-svizzero Gualtiero Laeng, tutto fuorché un letterato: «Personalità quanto mai poliedrica, con interessi che andavano dalla geologia alla geografia, dall’archeologia alla speleologia, dalla mineralogia alla storia, dalla botanica alla toponomastica, dalla pubblicistica alle nuove forme di turismo e, naturalmente, dall’alpinismo all’escursionismo».173 A capo della redazione del mensile del Touring si trova dal 1928 al 1935 un chimico, filiazione diretta bertarelliana, più che bognettiana, proveniente dalla redazione delle pubblicazioni del CAI, di cui è stato segretario generale, e dall’ufficio stampa dell’ENIT. I suoi contributi alla rivista su escursioni, campeggi e argomenti montani alla portata di tutti, secondo l’idea democratica di Mario 170 P. Stoppani, Antonio Stoppani pioniere delle nostre Alpi, in «Le Vie d’Italia», anno XLII, n. 1, gennaio 1936, p. 66. 171 A. Solmi, Giovanni Bognetti. Discorso commemorativo pronunciato nella sede del Touring Club Italiano..., cit., p. 24. Il solito Bertacchi con un’epigrafe lo ha così celebrato: «Educatore di giovani / assunto a presiedere il Touring / GIOVANNI BOGNETTI / prodigo di dottrina e d’ardore / al vasto còmpito italico / il grande retaggio arricchì / di fedi e d’opere nuove». Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta del 24 maggio 1935. 172 Relazione del Consiglio per l’esercizio 1929, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVI, n. 5, maggio 1930, p. 324: «Questa nostra pubblicazione, che può ben dirsi la bandiera del Touring, non solo per la sua qualifica di organo ufficiale, ma soprattutto per la fedeltà con cui l’anima del Sodalizio vi trova interpretazione e divulgazione fin dalle sue origini, ha anche nel 1929 il massimo gradimento: essa rimane la più diffusa delle Riviste italiane». 173 A. Stefanini, Lo svizzero che amò e fece amare le Alpi Lombarde. Gualtiero Laeng. Alpinista, esploratore e divulgatore, in «Provincia ieri e oggi», notiziario n. 109, aprile 2009, p. 144. 171 Tedeschi, rimpiazzano subito quelli di Pocar, ugualmente appassionati e precisi, e tuttavia i suoi interessi non pesano sulle scelte redazionali, bilanciandosi armoniosamente, per quanto possibile, con le pressioni esterne e con le inclinazioni di Bognetti, come a suo tempo faceva in un clima diverso la coppia Bertarelli-Bognetti. La sua presenza non è dunque umbratile come quella di Rusca e quella del suo successore (per soli pochi mesi, da marzo a luglio 1935) Antonio Bandini Buti, più presente sulla rivista in qualità di redattore, che non di caporedattore, il cui posto sotto la direzione di Bonardi sarà di nuovo preso da Gerelli, più duttile e abile a seguire le direttive politiche, nonché appena insignito del grado di Grand’Ufficiale della Corona d’Italia.174 Sia di Laeng che di Bandini Buti nella prima metà degli anni Trenta si leggono sulla rivista articoli pacati e discosti dalla politica, impegnati a illustrare l’Italia quotidiana, paesaggistica ed artistica e non quella delle grandi opere del regime, quella stessa Italia ancora poco nota che gli scrittori, loro collaboratori, ritraggono, lontani dai fasti imperiali: dall’altopiano di Borno al Savio, dalla Romagna al Casentino, ai mosaici di Ravenna e alla sua scuola.175 Per questo, nonostante le concessioni inevitabili alla propaganda fin qui viste, occorre riconoscere a Bognetti l’attenta scelta dei caporedattori, redattori e collaboratori, atta a non trasformare la rivista di propaganda turistica e culturale in una rivista di pura e semplice propaganda di regime. In questo senso, appare riduttivo e fuorviante a fini interpretativi quanto scritto sulla rivista nel suo «coccodrillo», dettato chiaramente dalle circostanze: «Si può comprendere come un uomo quale il Bognetti – addestrato dalla Scuola a ritenere essenziali i principi di autorità, di gerarchia, di disciplina – abbia partecipato alla vita del Fascismo per convinzione sincera e con compiacenza intima, [...] conservando con amore una delle funzioni più caratteristiche del Touring: quella di costituire presso di sé come un grande inventario delle opere del Regime, da far conoscere in Italia e fuori, attraverso volumi, articoli di rivista, guide, 174 Cfr. Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta del 29 marzo 1935, Milano, Archivio storico del Touring Club Italiano. 175 Tra gli articoli dei due redattori si vedano: G. Laeng, L’altopiano di Borno, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIII, n. 7, luglio 1927, pp. 811-20; Id., Da rifugio a rifugio, in ivi, anno XXXV, n. 10, ottobre 1929, pp. 791-9; Id., La ferrovia Aosta-Pré-St. Didier, in ivi, n. 11, novembre 1929, pp. 855-62; Id., Il Campeggio nel gruppo di Brenta, in ivi, anno XXXVI, n. 6, giugno 1930, pp. 465-70; mentre di A. Bandini Buti, Passeggiata sul basso Savio, in ivi, n. 10, ottobre 1930, pp. 751-62; Id., Dalla Romagna al Casentino, in ivi, anno XXXVII, n. 5, maggio 1931, pp. 391-9 e Id., La scuola del mosaico a Ravenna, in ivi, anno XLIV, n. 12, dicembre 1938, pp. 1497-1501. 172 carte, informazioni».176 «Le Vie d’Italia» di Bognetti, Laeng e Bandini Buti, viste nella loro varietà, passate a setaccio e sotto la lente d’ingrandimento non si possono considerare univocamente come «un grande inventario delle opere» di Mussolini, il quale, in data 3 aprile 1934, stringeva ancora di più le maglie della censura, prescrivendola preventiva su ogni tipo di pubblicazione: «Tutti gli editori o stampatori di qualsiasi pubblicazione o disegno, anche se di carattere periodico, dovranno prima di metterli in vendita aut comunque effettuarne diffusione, presentare tre copie di ciascuna pubblicazione alla prefettura».177 In questo clima, rifugiarsi nella collaborazione di letterati viaggianti su strade di provincia, come voleva il costume rondesco, o su libri seguendo itinerari geo-letterari da proporre al nuovo italico turista, ha i suoi vantaggi, sia per il regime che per tutto il panorama delle riviste, non soltanto quelle del Touring. «Le immagini tennero vece dei ragionamenti, le impressioni valsero più della logica»,178 ha scritto Pancrazi criticando la figura dell’inviato speciale del Ventennio. Le impressioni, invece del ragionamento e della partecipazione attiva, del resto possono dare da un lato meno noie ai piani alti e dall’altro un po’ più di libertà alla penna, qualora si cerchino sentieri più defilati dalle vie maestre propagandistiche. Di più, anzi, tali sentieri defilati e del disimpegno nel solco dell’alta tradizione letteraria nostrana, tuttavia ancora poco pratica di odeporica da Gran tour «autogestita», finiscono per essere nuovamente funzionali all’ennesimo mito fascista: «il mito del viaggio italiano, che lentamente si crea, abbraccia tutta l’Italia, nuova e antica. Solamente questo mito potrà muovere quei nove decimi degli italiani, e forse molto di più per i quali l’Italia è ancora tutta da scoprire».179 Il sogno del Bertarelli, al di là di tutti i bavagli e i megafoni propagandistici, trova nella politica fascista finalmente un chiaro e netto riscontro:180 l’idea di un turismo conoscitivo concepito come un dovere 176 Il Consiglio del Touring Club Italiano, Giovanni Bognetti, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 3, marzo 1935, p. 172. 177 Circolare riportata in N. Tranfaglia, A. Vittoria, Storia degli editori italiani. Dall’Unità alla fine degli anni Sessanta, cit., p. 30, ove si spiega che «Due copie [...] erano destinate all’Ufficio stampa del governo e alla Direzione generale della polizia, la terza sarebbe rimasta presso la Prefettura per il vaglio relativo». 178 P. Pancrazi, L’inviato-speciale, in «Corriere della Sera», 21 settembre 1947, ora in Id., Della tolleranza, Palermo, Sellerio, 2004, p. 49. 179 E. Guagnini, Da Alfredo Panzini a Michele Serra, in I. Crotti, Il viaggio in Italia: modelli, stili, lingue. Atti del Convegno, Venezia 3-4 dicembre 1997, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999, p. 219. 180 In questo è anche concorde S. Pivato, Il Touring Club Italiano, cit., p.120: «Non c’è dubbio che “fatta 173 nazionale, cui il contributo di letterati isolati dal regime come Giovanni Bertacchi o Aldo Spallicci,181 è comunque ben accetto tra le pagine delle pubblicazioni di Corso Italia. La lontananza milanese dalla capitale, assieme al peso nazionale del nome del sodalizio, lo permette. Permette anche che note penne di ritrattisti e paesaggisti firmino gli itinerari geo-letterari dalla Val Nerina, dalle città di provincia come Modica e Cortona, sulle vie dei Promessi Sposi,182 nella Modena tassoniana, lungo le rotte di Orazio183 e nei luoghi fogazzariani, senza trattare d’ufficio le opere del regime né mai abbassarsi a raccontare le imprese di un Duce vacanziero. Queste penne di noti collaboratori si muovono, invece, per l’Italia intera rispondendo a quella domanda conoscitiva del proprio paese che la propaganda aveva comunque innestato. Non può che nascere sistematicamente tra gli anni Venti e gli anni Trenta l’home tour degli scrittori italiani in viaggio in Italia: Gadda crocerista nel Tirreno finito sull’«Ambrosiano»,184 Linati ciclista sulle orme di Renzo Tramaglino lungo i canali casalinghi nei «Quaderni della Voce», poi in A vento e sole e sulle «Vie d’Italia»,185 Vittorini lirico in Sardegna edito da Parenti,186 Cardarelli «viaggiatore di terza classe»187 nelle città di Roma, Venezia, Tarquinia e Milano per Bompiani, l’Itinerario italiano di Alvaro nei «Quaderni di Novissima»,188 i viaggi gastronomici di Monelli, per conto della «Gazzetta del Popolo».189 Di quest’aria nuova nel panorama letterario, giornalistico ed editoriale, dove, per non perdere di vista l’altra faccia della medaglia, per dirla polemicamente col Pancrazi «si l’Italia”, il fascismo inizi a farla conoscere a molti italiani secondo quelle modalità che il Touring aveva auspicato (e praticato) fin dalla sua fondazione». 181 A. Spallicci, Modigliana e il suo Eroe, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 10, ottobre 1935, pp. 798800. 182 Cfr. gli articoli del critico manzoniano Ezio Flori, Cassolnovo e la casa degli Arconati, in ivi, anno XXXVIII, n. 8, agosto 1932, pp. 585-96 e Id., Tommaso Grossi a Treviglio, l’«Innominato» e Don Rodrigo, in ivi, anno XLI, n. 5, maggio 1935, pp. 369-82, che in quegli stessi anni pubblica: Voci del mondo manzoniano, Milano, Moneta, 1932 e Id., Soggiorni e villeggiature manzoniane, Milano, Vallardi, 1934. 183 Cfr. l’articolo del già citato archeologo A. Calderini, Viaggi e avventure di viaggio dei tempi di Orazio, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 7, luglio 1935, pp. 498-507. 184 C. E. Gadda, Tirreno in crociera, in «L’Ambrosiano», 1 agosto 1931, poi in Id., Il castello di Udine, Firenze, Edizioni di Solaria, 1934, ora in Id., Romanzi e racconti I, cit. 185 C. Linati, Sulle orme di Renzo. Pagine di fedeltà lombarda, in «I Quaderni della Voce», 15 maggio 1919; poi Id., Uccel di bosco. Sulle orme di Renzo in fuga, in «Le Vie d’Italia», anno XLIII, n. 7, luglio 1937, pp. 459-73, riedito in Id., A vento e sole, Torino, Società Subalpina Editrice, 1939, p. 130. 186 E. Vittorini, Nei morlacchi, Viaggio in Sardegna, Firenze, Parenti, 1936. 187 V. Cardarelli, Il cielo sulle città, Milano, Bompiani, 1939, p. 176. 188 C. Alvaro, Itinerario italiano, Roma, Quaderni di Novissima, 1933. 189 P. Monelli, Il ghiottone errante, con 94 disegni di Novello, Milano, Treves, 1935. 174 fuma senza nicotina», «Le Vie d’Italia» non possono che beneficiarne. Anzi, vista la loro diffusione nelle case italiane, rappresentano una vetrina di importanza sostanziale sia per i resoconti di viaggio d’autore sia per una primaria critica dell’odeporica, che per una critica letteraria a carattere geografico, toponomastico e odonomastico, senza la pedanteria e il positivismo ottocenteschi. Le verità non sono più assolute e non si scava più con i metodi d’indagine dilettantistici di saccenti tuttofare, bensì con tecniche critiche aperte a sensibilità pluridisciplinari che comprendono un’attenzione tipografica e paratestuale, oltre al dato biografico e testuale. Emilia Salvioni, proprio in quest’ultimo senso, si cimenta sul mensile di Corso Italia al tramonto degli anni Venti, quando è già un’autrice di successo della letteratura rosa e per l’infanzia,190 cui si affiancherà il nome oggi più noto di Liala. A differenza di quest’ultima, la pur prolifica Salvioni oggi è poco ricordata, eccezion fatta per l’epigrafe tombale di Andrea Zanzotto che ricorda, oltre alla passione per la narrazione, «i valori dell’arte / l’amore del libro / cui dedicò la sua cura costante / quale bibliotecaria dell’Istituto / giuridico dell’Università bolognese». L’amore bibliofilo emerge dal suo accostarsi all’incunabolo della Chronica mundi, volgarmente conosciuta come Cronaca di Norimberga, con un tono nuovo e del tutto confacente alla rivista, che ne riproduce alcuni scorci grafici: «seguendo la capricciosa distribuzione delle città italiane fatta dallo Schedel nel suo volume, par di sfogliare una guida di una Italia remota, nella quale tuttavia troviamo tanti lineamenti rimasti intatti ancor oggi. Attorno ad ogni vignetta lo Schedel fa la sua descrizione, indica le cose principali degne di essere viste in ciascuna città, cerca e questo gli preme moltissimo, l’etimologia del nome che essa porta. Quando poi come a Roma o a Venezia la piena dei ricordi e il calore dell’affetto gli premono troppo il cuore, finisce il suo dire con una specie di suonatine in pessimi ma teneri versi latini»,191 riportati in più occasioni nel corso dell’articolo, scevri di qualsiasi allusione alla retorica contingente. Parimenti, Bruno Brunelli, curatore delle opere del Metastasio, conduce il 190 Gli esordi sono nei primi anni Venti sotto lo pseudonimo di Marina Vallauri, Prima che ritorni il sole, Milano, Pro Famiglia, 1922 e Ead., Quella che aspettavo sei tu: il libro di Giovannino, Bologna-Rocca S. Casciano, L. Cappelli, 1923. 191 E. Salvioni, Le città italiane nella Cronaca di Norimberga, in «Le Vie d’Italia», anno XXXV, n. 11, novembre 1929, p. 829. 175 lettore tra gli smaniosi villeggianti goldoniani del Settecento, quando la vacanza comincia a diventare un irrinunciabile status symbol, un dovere sociale più che mai attualissimo,192 «volendo sortire alla campagna / incomodarci e spendere dobbiamo. / E quello che in un anno si guadagna / coll’entrate, o facendo alcun mestiere, / fuori in un mese a villeggiar si magna»;193 mentre il critico emiliano Fausto Bianchi viaggia nella Modena eroicomica di Tassoni «maleodorante, ricca di stabbio e di “canalette”», non meglio precisate.194 Un altro emiliano, Aldo Cerlini, socialista all’epoca non ancora tesserato fascista, nonché accademico medievalista esperto dell’Ariosto, mena a scoprire le città ove aveva visto la luce l’Orlando furioso, seguendo le peregrinazioni diplomatiche del suo autore da Reggio Emilia, a Mantova, a Ferrara.195 Itinerari geoletterari vengono proposti non soltanto in forma di articolo saggistico, ma anche ricordati in trafiletti nelle Notizie ed echi, come quelli in Valsolda di Giannetto Bongiovanni,196 scrittore dosolese, giornalista del «Secolo», già collaboratore della rivista con pagine dalle ripe del Po, mirabilmente ritratte con grafite e carboncino da Bisi (questa volta più pittore che illustratore), attivo sin dai primi anni Venti in area lombarda coi i suoi racconti padani, introdotti da Raffaele Calzini.197 Nome ben conosciuto questo nei circoli di allora, da Corso Italia a Via Solferino passando per la via del «Convegno» di Enzo Ferrieri, via Montenapoleone, laddove l’aria ambrosiana si mischia ai venti d’Oltralpe, post-romantici e stendhaliani. Ed è 192 Fenomeno di costume oggetto di parodia e critica sociale nella coeva opera di A. Campanile, Agosto, moglie mia non ti conosco, Milano, Treves, 1930. 193 B. Brunelli, Villeggianti nel Settecento, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIII, n. 4, aprile 1927, p. 413 cita C. Goldoni, L’anno felice per la vestizione della signora Maria Francesca Belloni, poi in G. Ortolani (a cura di), Tutte le opere di Carlo Goldoni. Componimenti poetici, Milano, Mondadori, 1955, p. 775. 194 F. Bianchi, Modena tassoniana, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 8, agosto 1935, pp. 591-6. 195 A. Cerlini, Dove nacque l’Orlando furioso, in ivi, anno XXXVII, n. 1, gennaio 1931, pp. 31-8. Per un suo profilo si veda M. Miglio, Aldo Cerlini, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1988, ora disponibile anche online. 196 G. Bongiovanni, Con Fogazzaro in Valsolda, Vicenza, Jacchia, 1935, recensito in Notizie ed echi, «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 6, giugno 1935, p. 206. Questa recensione è quasi uno scambio di favori e manifesta il solido legame del giornalista-scrittore con la rivista e l’associazione: si ricorderanno i ritorni stampa apparsi sul «Secolo» a firma di Bongiovanni sui campeggi del Touring all’inizio degli anni Venti, citati da Mario Tedeschi e menzionati nel secondo capitolo. Altre segnalazioni e curiosità geo-letterarie trovano posto nella rubrica Varie, come La casa di Pirandello a Porto Empedocle, in ivi, anno XLIII, n. 4, aprile 1937, p. 133. 197 G. Bongiovanni, Consigli a Madlen: racconti di Padania, con una lettera di R. Calzini, Milano, Sonzogno, 1925. Sui reportages dalle colonie balneari fluviali apparsi sul mensile, atti a sostenere la campagna del regime di democratizzazione di salubri vacanze anche per le classi meno abbienti, cfr. Id., Il mare di chi non ha il mare, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIX, n. 6, giugno 1933, pp. 417-24 e Id., Aspetti vecchi e nuovi del Po, in ivi, anno XLIII, n. 10, ottobre 1937, pp. 707-22, con illustrazioni di Carlo Bisi. Per un suo profilo biografico si veda G. Bongiovanni, L’argine più alto, a cura di A. Ghinzelli, Viadana, Il campanile, 1982. 176 giusto Calzini, inviato speciale e critico d’arte del «Corriere», a portare anche in questa rivista, certamente diversa dal «Convegno», in cui circolano (e circoleranno) i nomi amici di Linati e Angioletti, un soffio d’Europa, oltre agli home tours letterari nostrani. La sua apertura intellettuale al mondo artistico europeo, condivisa con i sodali «convegnisti», e pur non dimentica di far scoprire pittori contemporanei come il Segantini,198 lo conduce a interessarsi degli sguardi altrui sulla penisola, concentrandosi su uno scrittore francese a lui congenialissimo: Gabriel Faure. «Più di questi “Nessuno – egli confessa – ha da allora consacrato più libri all’Italia. La mia gioia maggiore sarebbe che nessuno me ne facesse una colpa o me li rimproverasse. È un sogno troppo ambizioso? No: sulle pagine di questa Rivista che vuol essere la prima a celebrare le bellezze antiche e nuove dell’Italia, si può far l’elogio del suo troviero d’Oltralpe”».199 Sono una trentina i volumi del Faure dedicati al Bel Paese celebrato da Stendhal,200 di cui Calzini si sente figlio: «la “linea settentrionale” del C., a differenza di quella del Linati, più prossima alla lezione vociana e rondesca, e dello stesso Angioletti, distinto da altra carica morale, risale più indietro nel tempo, quasi prosecuzione emblematica di una Milano culturale “primo Impero”, di impronta stendhaliana».201 Non sfugga che per motivi diversi, cioè legati al mero apprezzamento di uno straniero per l’Italia da volgere in chiave propagandistica, anche il Duce si pronunzierà a proposito del Faure, firmando personalmente nel 1934 la prefazione del volume Le visage de l’Italie, curato dal transalpino: Mussolini «in francese, spiegava, alludendo ai paesaggi e alle città d’Italia: “il faut connaître pour comprendre”».202 Dunque urge non più soltanto far conoscere 198 Del Segantini, ritornerà a scrivere sei anni dopo la pubblicazione del suo primo romanzo storicobiografico di successo, sulla scia del verismo lombardo, che gli vale il Premio Viareggio, su «Le Vie d’Italia», anno XLVI, n. 3, marzo 1940, p. 258, in occasione del quarantennio della morte del pittore: «Eccomi a riscrivere di Segantini; dico “riscrivere” perché molte, moltissime cose che erano state ispirate dalla sua vita e dalla sua opera, dal racconto che di una e dell’altra mi fece il suo discepolo più degno e più fedele, Carlo Fornara, sono entrate a far parte di quel romanzo: Segantini: romanzo della montagna, che è troppo noto e mi appartiene troppo da vicino perché io ne possa fare la critica o l’elogio». Altra biografia critica è tracciata nel marzo 1941: Id., Il «Giudizio Universale» di Michelangelo Buonarroti, in ivi, anno XLVII, n. 3, pp. 314-5. 199 R. Calzini, Innamorato dell’Italia: Gabriel Faure, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVII, n. 12, dicembre 1931, p. 948. 200 Già alcuni titoli, oltre alle denominazioni regionali dall’Umbria alla Via Emilia, dai giardini di Roma alla Sicilia, dal Veneto a San Remo, rivelano filiazioni e ammirazioni letterarie: G. Faure, Au pays de Stendhal, Grenoble, J. Rey, 1920; Id., Stendhal compagnon d’Italie, Paris, Fasquelle, 1931; cui seguirà per l’ENIT, Id., Au pays de Gabriele D'Annunzio illustré par Michele Cascella, Roma, Ente nazionale industrie turistiche, 1934. 201 F. Del Beccaro, Raffaele Calzini, in Dizionario biografico degli italiani, cit. 202 I. Zannier, Fotografi del Touring Club Italiano, cit., p. 22, tratto da G. Faure (a cura di), Le visage de l’Italie, Roma, Ente nazionale industrie turistiche, 1934. 177 l’Italia agli italiani, ma muoversi in ambito internazionale, facendo conoscere la nuova Italia anche agli stranieri (che non affollano più la penisola come al tempo del Gran tour), e riportando gli echi della ricezione estera del patrimonio e degli artisti nostrani. L’apertura europeistica dal punto di vista artistico dà nuova aria anche alla rivista del Touring Club, nascondendo l’altra faccia della medaglia cara al Duce. A partire dal 1929 alle «Vie d’Italia» collabora anche un francese, Louis Dimier, scrittore e critico d’arte specializzato nella pittura d’oltralpe, amante del Primaticcio, pubblicato dall’editore Michel di Parigi nel 1928. L’esordio sul mensile italiano è proprio sul pittore bolognese, trattato assieme a Leonardo, Cellini e agli altri artisti alla corte francese nel Cinquecento, e continua nel 1932 con gli artisti italiani di successo in Francia del Seicento e Settecento, dallo scultore Ladatte all’ingegnere idraulico Tommaso Francini al seguito di Francesco I.203 Comincia la lunga serie, costituita da una dozzina di puntate, dell’illustrazione e della presentazione critica degli artisti italiani nel mondo nel corso dei secoli: dall’Austria alla Polonia, da Londra fino in Russia. A occuparsi in particolare degli artisti nostrani al servizio degli zar è lo slavista Ettore Lo Gatto, negli anni Trenta attraversati da un gran fervore di studi in questo campo ancora poco dissodato: «gli anni trenta rappresentano per la slavistica italiana, e in particolare per la Filologia Slava coltivata dal Maver e per la Russistica sempre più floridamente guidata dal Lo Gatto, un’epoca di costante e progressiva affermazione».204 Dalle origini di San Pietroburgo agli architetti italiani che le hanno dato vita, dal «Kreml […] la cittadella delle antiche città russe»205 agli artisti del XVIII secolo, Lo Gatto, reduce dall’esperienza della «Rivista di letterature slave» e dei due viaggi in Unione Sovietica, dà in tre puntate un’anticipazione della sua pubblicazione Gli artisti italiani in Russia, edito in tre volumi tra il 1933 e il 1943 dalla Libreria dello Stato di Roma nella collezione L’opera del genio italiano all’estero.206 203 L. Dimier, Leonardo, il Primaticcio, il Cellini e gli artisti italiani in Francia nel Cinquecento, in «Le Vie d’Italia», anno XXXV, n. 3, marzo 1929, pp. 203-214 e Id., Artisti italiani in Francia nel Seicento e Settecento, in ivi, anno XXXVIII, n. 3, marzo 1932, pp. 161-74. 204 R. Picchio, Quaranta anni di slavistica italiana nell’opera di E. Lo Gatto e di G. Maver, in Studi in onore di Ettore Lo Gatto e Giovanni Maver, Firenze, Sansoni, 1962, p. 15. 205 E. Lo Gatto, Artisti italiani in Russia – Il Cremlino di Mosca, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVIII, n. 11, novembre 1932, p. 839. Cfr. anche le puntate seguenti: Id., Artisti italiani in Russia – Origini di Pietroburgo e gli architetti italiani, in ivi, anno XXXIX, n. 2, febbraio 1933, pp. 105-17 e Id., Artisti italiani in Russia nel secolo XVIII, in ivi, n. 4, aprile 1933, pp. 241-56. 206 E. Lo Gatto, Gli architetti a Mosca e nelle provincie, vol. I, 1933; Id., Gli architetti del secolo XVIII a Pietroburgo e nelle tenute imperiali, vol. II, 1935; Id., Gli architetti del secolo XIX a Pietroburgo e nelle 178 Nella medesima rassegna delle «Vie d’Italia», individuata dall’occhiello «L’arte italiana nel mondo», inizia la sua collaborazione con la rivista, limitatamente ai primi anni Trenta, Giuseppe Fanciulli, il «Mastro Sapone» del «Giornalino della Domenica», altrimenti conosciuto anche presso il pubblico più adulto come il «Chichibio» del «Guerin Meschino», impegnato in quegli anni in un programma radiofonico destinato ai bambini.207 Rispetto a questo, di tutt’altra natura sono gli articoli apparsi sulle «Vie d’Italia»: reportages letterari, ritratti di città e tavole di paesaggi, indi non legati alla stretta attualità giornalistica, ed il primo di questi non è dedicato all’Italia, bensì a una città straniera, Salisburgo e alle influenze esercitate dall’arte italiana, nella fattispecie veneta, in terra asburgica.208 Ad essa seguono i luoghi toscani natii: Bagni di Lucca, la Val di Nievole, il Casentino, senza seguire degli itinerari prestabiliti: «Ognuno fa gli itinerari come può.[…] tuttavia, il luogo di partenza ha sempre qualche influenza – nelle nostre impressioni – sul luogo di arrivo». Le impressioni di viaggio e la memoria dei luoghi, prendono il posto dell’esattezza positivista: «oggi si vuol conoscere tutto con misure esatte, e qualcuno mi domandava: “Quanto è alto?”. “Non molto: quattrocento metri, forse anche cinquecento”. Citavo a memoria. Memoria del luogo, s’intende; non di una cifra che non mi ero mai curato di sapere».209 Il genius loci per i flâneurs del Ventennio torna in auge: «è storia vecchia che ogni paesaggio ha una faccia e un’anima. Eppure, molti ancora non se ne accorgono». Fanciulli, invece, fa ruotare attorno a questa anima la poetica della sua odeporica. Contro il «baulismo», quel fenomeno della modernità dei viaggi veloci che riduce a viaggiare come bauli, emerge fortissima la necessità di vedere al di là della dimensione meramente visiva, limitatamente sensoriale, di appropriarsi delle stratificazioni artistiche di un luogo, delle ricezioni di uno Stendhal, di un Andersen o del tenute imperiali, vol. III, 1943. 207 Cfr. D. Giancane, Giuseppe Fanciulli: maestro della letteratura per l’infanzia. Una monografia, Bari, Levante editori, 1994, p. 17. Sulla sua figura all’interno del panorama letterario Giuseppina Robuschi Romagnoli, tra le prime a dedicargli attenzioni, ha scritto: «Il Fanciulli è figura di primo piano nella storia della letteratura contemporanea per ragazzi. La sua posizione è tra i buoni narratori più recenti, che si sono tenuti nella scia della nostra illustre tradizione letteraria del Collodi, del Vamba e del Baccini. È narratore schietto di provata fiducia educativa, perché nella sua opera ha trasfuso, senza perciò appesantire di dettati moraleggianti, la sua sicura coscienza di uomo, illuminata e retta da una profonda fede religiosa», in Ead., Giuseppe Fanciulli, Firenze, Le Monnier, 1955, p. 101. 208 G. Fanciulli, Riflessi di vita italiana a Salisburgo, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVI, n. 2, febbraio 1930, pp. 81-92. 209 G. Fanciulli, Bagni di Lucca, in ivi, n. 5, maggio 1930, p. 337. 179 D’Annunzio delle Laudi alcioniche, chiamate in causa negli articoli.210 Di fronte a un Fanciulli inedito viaggiatore, che elogia il viaggiar lento, dacché «se si cerca soltanto il rapido moto, tanto vale andare nella stratosfera o sotto i ghiacci artici»,211 par strano accostarsi a un altrettanto inedito Riccardo Balsamo Crivelli, entusiasta dell’aeroplano: «A Napoli bisognerebbe non esserci stati mai e arrivarci per la prima volta in aeroplano – raccogliendo il volo sopra la vetta di Camaldoli».212 Sarà forse la sede della rivista ad ispirare un’inconsueta brama di modernità al poeta del Boccaccino (Bari, Laterza, 1920), tacciato di misoneismo per la sua ammirazione unica per il medioevo, negli anni Venti quando imperversava il futurismo, la cui Vittoria di Samotracia era certo l’automobile, ma ancor di più l’aereo. Inaspettato è scoprire a Napoli il prosatore di viaggio degli itinerari pedestri di Paesi e grilli (Milano, Ceschina, 1929), intento a ricordare, oltre al Boccaccio e a Vittoria Colonna, la costruzione della «grande e nuova arteria di Posillipo che termina nel Parco. Il tracciato prescelto per questa nuova magnifica strada corre a mezza costa fra la attuale via di Posillipo e la Via Manzoni».213 Anche per arrivare a Gubbio il progresso, seppur lento, non stona e si adegua ai vezzeggiativi insistiti e un poco fastidiosi dell’idillio paesaggistico: «bei boschi, lieti di uccelletti e di frescura, c’erano e ci sono, e la ferrovietta, che viene d’Arezzo e soffia e va lenta e fa un poco di fatica, li passa pel mezzo, con gran diletto del viaggiatore».214 Nelle Marche contadine, a parte le rievocazioni storico-ambientali del luogo, tipiche degli elzeviri odeporici del mensile, cui Balsamo Crivelli ricorre con espedienti narrativi coinvolgenti il lettore,215 ritorna invece nell’io-viaggiante, il passato rinascimentale delle lotte intestine: «Domani passerò oltre; per intanto indugio in quest’ora di bellezza e di pace. Penso ai secoli che sono trascorsi, e ai poverini e ai prepotenti e ai signori che sono passati con loro: Varano, Borgia, Montefeltro, Farnese e 210 Cfr. G. Fanciulli, L’arte di ben vedere, in ivi, anno XXXVIII, n. 11, novembre 1932, pp. 859-67; cfr. anche Id., La Val di Nievole, in ivi, anno XXXVI, n. 10, ottobre 1930, pp. 721-30 e Id., Il Casentino, in ivi, anno XXXIX, n. 9, settembre 1933, pp. 657-69, ove si cita quasi interamente I tributarii di Alcyone. 211 G. Fanciulli, L’arte di ben vedere, art. cit., p. 862. 212 R. Balsamo Crivelli, Napoli vecchia e nuova, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIX, n. 11, novembre 1933, p. 801. 213 Ivi, p. 808. 214 R. Balsamo Crivelli, Gubbio, in «Le Vie d’Italia», anno XXXV, n. 8, agosto 1929, p. 607. 215 Cfr. R. Balsamo Crivelli, Tra la Valdichiana e la Val d’Orcia, in ivi, anno XLIV, n. 1, gennaio 1938, p. 48: «Chiudiamo idealmente gli occhi e gli orecchi e torniamo indietro di cinque secoli o poco meno. C’è tumulto nelle vie, un accorrere, un gridare, uno stridere e un lampeggiar di ferri». 180 che so io. […] Ogni cosa è finita, ogni cosa è mutata: la giornata intanto, muore. Dai cascinali comincia qualche sottil filo di fumo: la massaia apparecchia la cena, mentre i monti si tingono di viola: e suona la campanella, forse di quei frati là».216 Tale l’explicit dell’articolo che riconduce ai temi più familiari e noti del poeta milanese dell’Italia rurale e bucolica, rafforzati anche da un progetto iconografico che segue l’articolo, atto ad illustrare il Bel Paese contadino, ossia quello più diffuso, delle campagne subito fuori le grandi città (da contare ancora sulle dita di una mano). Pagina folcloristica, in «Le Vie d’Italia», anno XL, n. 8, agosto 1934, p. 303. È dal 1926 che la rivista, sempre proiettata verso il progresso e la modernità, promuove un concorso fotografico «folcloristico»: a cadenza pressoché bimestrale, una pagina, intitolata appunto «folcloristica», viene riservata ad accogliere una fotografia «strapaesana», o comunque dell’altra «stracittadina» faccia delle dell’Italia strade, dei parcheggi per le automobili e degli aerei, che l’associazione mai aveva occultato.217 Contadine volterrane col cappello di feltro, mucche al pascolo col pastore, massare sulcitane al forno, ragazze sarde al pozzo con le anfore colme. Anche questo fa più che mai parte di quel progetto illustrativo dell’Italia del Touring, ma è pure 216 R. Balsamo Crivelli, Attraverso le Marche, in ivi, anno XL, n. 4, aprile 1934, p. 302. Ricordo in ultimo le altre due prose di viaggio apparse sul mensile negli anni Trenta: Id., Viterbo e i suoi dintorni, in ivi, anno XXXVIII, n. 2, febbraio 1932, pp. 107-17 e Id., In Val Nerina, in ivi, anno XLII, n. 10, ottobre 1936, pp. 657-62. 217 Si ricordino a questo proposito gli articoli precursori di Giolli e Nicodemi sull’arte paesana pubblicati sulla rivista tra il1920 e il 1922. 181 «indubbio che nel periodo tra le due guerre mondiali l’impiego del folklore fu notevole soprattutto da parte dei regimi fascisti che si servirono delle tradizioni popolari come strumento educativo e propagandistico. […] L’impiego effettivo del folklore da parte dell’Ond [ndr: Opera Nazionale del Dopolavoro] ebbe inizio nel 1927. Alla fine di quell’anno il bollettino mensile dell’organizzazione pubblicò un programma che comprendeva l’organizzazione di mostre regionali di costumi e arti popolari, la riproduzione cinematografica di costumi e sonora di canti, l’organizzazione di feste popolari». 218 Rientra senz’altro in questo programma la serie di articoli intitolata Il volto agricolo dell’Italia, «affidata a persona che alla conoscenza specifica della materia congiunge brillanti qualità di scrittore: S. E. Arturo Marescalchi. L’iniziativa tende ad illustrare non soltanto le risorse della magna parens frugum, come tali, ma la loro influenza sul paesaggio italiano, influenza che assume particolare importanza oggi che, per opera del Regime, intiere plaghe vengono redente e trasfigurate».219 Circa le doti scrittorie dell’insigne enologo senatore Marescalchi, che anticipa a puntate la sua pubblicazione omonima per la Consociazione Turistica Italiana,220 meglio non enfatizzare a tal punto. D’altro canto, per gli scrittori e intellettuali, più propriamente detti, non si è sprecata alcuna presentazione, vedi i casi di Adolfo Oxilia, Valentino Brosio, Alessandro Francini Bruni e Domenico Varagnolo. Il primo, insegnante, nel secondo dopoguerra noto fondatore con Papini della rivista di poesia e metasofia «L’Ultima», nonché collaboratore del «Secolo d’Italia» con la rubrica di metalinguistica,221 lascia le proprie tracce da antichista, esordendo con i versi incipitari tradotti del secondo libro 218 S. Cavazza, Folklore e tempo libero: il dibattito europeo e l’esperienza italiana tra le due guerre mondiali, art. cit., pp. 159-60. 219 Cappello redazionale, imputabile a A. Bandini Buti, all’articolo di A. Marescalchi, Il volto agricolo dell’Italia: Friuli e Goriziano, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 6, giugno 1935, p. 413. La serie prosegue con Trento e Bolzano, in ivi, n. 9, settembre 1935, pp. 641-59; Firenze, in ivi, n. 12, dicembre 1935, pp. 908-18 e Arezzo e Siena, in ivi, anno XLII, n. 1, gennaio 1936, pp. 12-31. 220 A. Marescalchi, Il volto agricolo dell’Italia, Milano, CTI, 1938, presentato da Rustico, Le nuove opere della CTI: Il volto agricolo dell’Italia, in «Le Vie d’Italia», anno XLIV, n. 1, gennaio 1938, pp. 65-71. 221 Cfr. G. Bianchi, Memorie per Adolfo Oxilia. Da «L’Ultima» a «La Camerata dei Poeti», Firenze, Polistampa, 2011. 182 dell’Eneide, dedicati a Còrito, la futura Cortona.222 Sfoggia doti di cultore d’arte nel consueto profilo storico-artistico del luogo, esatto dal Touring, al pari di Valentino Brosio, collezionista e studioso d’arte, egli stesso artista, biografo di Palazzeschi,223 futuro produttore cinematografico, di cui l’associazione si avvale per redigere i primi volumi della collana «Attraverso l’Italia» (1927-1931), mentre è il «corrispondente viaggiante» per «La sera». In questi primi anni Trenta lascia un articolo anche sul mensile, esortando all’eremo del Gesù di Modica «restauri conservativi ed integrativi che potrebbero, fors’anche ridarci senza spesa eccessiva, un originale ed importante documento storico-artistico dell’epoca feudale».224 Medesima acribia nell’indagine critico-artistica e ricerca di terreni ancora ignoti, anche agli specialisti, dimostra Alessandro Francini Bruni, collega di Silvio Benco al «Piccolo», con cui condivide l’amicizia (fra alti e bassi) di Joyce. Si prodiga pertanto a far scoprire la figura di Giovanni Francesco Gonnelli, scultore non vedente alla corte medicea: «Se nella cerchia degli studiosi il Cieco di Gambassi è quasi un dimenticato, per il gran pubblico è addirittura uno sconosciuto. La storia dell’arte ne fa menzione. Ma questa non è bastata a fare opera di divulgazione del nome, così nemmeno ha giovato a farlo conoscere la buona volontà di coloro che saltuariamente lo hanno riesumato negli stelloncini di qualche giornale».225 Tra i nuovi collaboratori, sempre di area veneta, oltre al Francini Bruni, vi sono due nomi legati alla Biennale di Venezia, società di cultura trasformata nel 1930 in ente autonomo statale dedito alla promozione delle arti: Domenico Varagnolo ed Elio Zorzi. Il primo è drammaturgo e poeta, segretario dell’ente, nonché fondatore e conservatore del suo archivio storico delle arti contemporanee, mentre il secondo è a capo dell’Ufficio stampa, giornalista del «Gazzettino», futuro direttore della Mostra del Cinema.226 Saranno loro a riportare le cronache dell’evento seguitissimo dal mensile e Zorzi, in particolare, lascerà in eredità al figlio Alvise questa stretta collaborazione con il Touring. Varagnolo apre le porte ai lettori dei retroscena e dei 222 A. Oxilia, Cortona, in «Le Vie d’Italia», anno XXXVIII, n. 12, dicembre 1932, pp. 945-55. V. Brosio, Ritratto segreto di Aldo Palazzeschi, Torino, D. Piazza, 1985. 224 V. Brosio, L’eremo di Gesù a Modica, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIX, n. 5, maggio 1933, p. 352. 225 A. Francini Bruni, Il cieco di Gambassi, in ivi, anno XL, n. 10, ottobre 1934, p. 795. Altro articolo dedito a riesumare la memoria di un personaggio, questa volta eminente nelle scienze sismologiche e meteorologiche, è pubblicato nel febbraio 1941: Padre Guido Alfani nei ricordi di un vecchio amico, in ivi, anno XLVII, n. 2, p. 192. 226 Cfr. La morte di Elio Zorzi, in «La Stampa», n. 281, 26 novembre 1955, p. 3 e sulla Biennale cfr. A. Donaggio, Biennale di Venezia: un secolo di storia, Firenze, Giunti, 1988. 223 183 salotti del celeberrimo Caffé Florian,227 mentre Zorzi, oltre a seguire l’evento dalla XVIII alla XXIII Biennale, si interessa anche ad altre esposizioni artistiche veneziane come quella del Settecento italiano, e ad aspetti di cronaca cittadina, le cui conseguenze sono pure di materia eminentemente turistica.228 È il caso del ponte autostradale di collegamento fra la terraferma e Venezia, oggetto, fra l’altro della contestata commedia di Varagnolo El ponte in balanza, la cui rappresentazione nel 1929 è bloccata dalla polizia. Quattro anni dopo, nel 1933, l’opera ingegneristica è completata e Zorzi, fiero veneziano, cosciente del valore turistico della sua terra, rivendica con forza le peculiarità marine della città unica al mondo, contro una «tendenza a circondare Venezia di strade ordinarie e automobilistiche, a trasformare la sua vita, ch’è tutta sulle acque, in una vita di terraferma; a farne una città di transito automobilistico, nella quale i turisti possano sostare un’ora, per far benzina o cambiare una gomma, e riprendere poi la loro strada. Questo dev’essere ad ogni costo impedito. Questo significherebbe per Venezia non già la fortuna e il rifiorimento economico, ma la rovina di tutto il suo spirito e di tutta la sua bellezza, e la fine non più soltanto del suo isolamento lagunare, bensì della sua stessa ragione di esistere. E questo non vogliono i veneziani, né vuole il magistrato che tanto degnamente li presiede, il Podestà Mario Alverà, principale artefice dell’opera ciclopica realizzata, per volontà del Duce, da Venezia fascista».229 Nonostante una non troppo dissimulata polemica, la chiusa sul fascismo in un articolo il cui occhiello recita «Opere dell’Italia nuova», è inevitabile, come del resto lo sarà nella serie di articoli pubblicati a partire dal 1938 sotto l’occhiello «Città che attendono il Duce», cui Zorzi dà il proprio contributo con la cronaca da Padova. Curioso notare come a differenza di altri schieratissimi contributi, principale preoccupazione del giornalista del «Gazzettino» saranno le nuove strutture architettoniche fasciste, e non il 227 D. Varagnolo, Il «Florian» e la Biennale, in «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 10, ottobre 1935, pp. 74754. 228 E. Zorzi, L’Esposizione del Settecento italiano a Venezia, in ivi, anno XXXV, n. 9, settembre 1929, pp. 641-53; Id., La XVIII Biennale di Venezia, in ivi, anno XXXVIII, n. 8, agosto 1932, pp. 557-67; Id., Uno sguardo d’assieme alla XXI Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, in ivi, anno XLIV, n. 6, giugno 1938, pp. 748-54; Id., Spettacoli all’aperto, in ivi, anno XLV, n. 7, luglio 1939, pp. 942-53 e Id., La XXIII Biennale d’Arte di Venezia, in ivi, anno XLVIII, n. 8, agosto 1942, pp. 748-78. 229 Id., Il nuovo ponte autostradale fra Venezia e la terraferma, in ivi, anno XXXIX, n. 4, aprile 1933, p. 275. 184 culto di Mussolini.230 230 Da confrontare è l’articolo a duplice firma E. Zorzi-A. Cassuto, Città italiane che attendono il Duce: Padova e Trieste, in ivi, anno XLIV, n. 9, settembre 1938, pp. 1071-84. La prima parte da Padova, sobria e non focalizzata sull’avvento del Duce, bensì sulla città in mutamento, è redatta da Zorzi, mentre la seconda da Trieste di Cassuto centra perfettamente la notizia e il registro secondo l’ottica propagandistica, con frasi brevi e scandite, come nei cinegiornali dell’Istituto Luce. 185 4. «LE VIE D’ITALIA» DELLA CONSOCIAZIONE TURISTICA ITALIANA (1937-1943) 4.1 CENSURA ED AUTARCHIA Leonardo Devoti, senza badare all’autorialità dei collaboratori coinvolti, nella sua analisi tecnica degli articoli apparsi sulla rivista, relativi alle città di fondazione durante il Ventennio, aveva identificato nell’anno 1937 una data di cambiamento radicale nel linguaggio e nella retorica della pubblicistica dell’associazione.1 Le ragioni sono inconfutabili, a prima vista: a partire dall’ottobre 1937 «Le Vie d’Italia» non sono più la rivista del Touring Club Italiano, bensì della Consociazione Turistica Italiana, «pro italica lingua», come ben metteva in nota Gadda nella redazione di «Letteratura» del Pasticciaccio, mantenendo però con deferenza al Bertarelli e smacco a quel «politicototalitario del Merda» l’ordine dell’acronimo TCI, grazie all’inversione dei primi due termini.2 Il punto però non risiede soltanto qui, nella battaglia fascista contro gli stranierismi intrapresa alla fine degli anni Trenta: occorre fare qualche passo indietro, al 1935, altro anno politico cruciale come il 1926, altro anno di passaggio delle consegne nella direzione dei periodici del sodalizio. I due aspetti, quello macrostrutturale politiconazionale e quello microstrutturale associativo-editoriale, non sono legati da causalità: i cambiamenti ai vertici del Touring sono dovuti, come nel 1926, alla morte del Presidente, nonché direttore dei periodici, in questo caso Giovanni Bognetti, mancato il 9 gennaio 1935. Anche l’altra anima, quella dotta, culturale, complementare al pragmatico Bertarelli, lascia «Le Vie d’Italia», in un momento di estrema criticità, non solo per la libertà di stampa, alla luce della già citata circolare del 3 aprile 1934, ma pure per il mondo associativo, nella fattispecie legato al turismo. È giusto il 1935 quando viene creata la Direzione Generale per il Turismo presso il Sottosegretariato di Stato per la Stampa e la Propaganda, poi Ministero (con poteri ampliati) della Cultura Popolare dal 1937. Ed è giusto il 14 gennaio 1935 che il Consiglio direttivo del TCI 1 L. Devoti, Anni Trenta: dall’Italia all’Oltremare con il Touring Club Italiano, art. cit., p. 46. C. E. Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Redazione di «Letteratura» 1946-47, in Id., Opere, Romanzi e racconti, vol. II, cit., p. 459. 2 186 elegge all’unanimità l’avvocato senatore Carlo Bonardi Presidente del sodalizio ed ergo nuovo direttore delle pubblicazioni, avvisando immediatamente con una comunicazione il segretario del PNF Starace dell’avvenuta nomina. Una scelta chiaramente politica e necessaria per la sopravvivenza, relativamente autonoma, che cade su un parlamentare di lungo corso, il cui fratello Italo era già a Roma a rappresentare l’associazione nel Gran Consiglio. Zanardelliano convertito, sottosegretario alla guerra nel primo gabinetto Mussolini, intrattiene con questo e con Turati stretti rapporti, rinsaldati anche dalla nomina alla Presidenza dell’Istituto di Cultura Fascista dal 1933 al 1938.3 I rapporti informali certo aiutano, ma non evitano progressivi tentativi di assimilazione del periodico più diffuso in Italia, perlopiù organo di stampa di un ente statale: «Poco dopo la creazione della nuova Direzione Generale, un funzionario chiamava a Roma il Direttore del TCI per un colloquio circa Le Vie d’Italia. La nostra Rivista portava, allora nella testata della copertina e nel frontespizio, lo stemma dell’ENIT e la dicitura “Organo ufficiale dell’Ente Nazionale per le Industrie Turistiche”. All’ENIT e al suo sviluppo il nostro Touring aveva dato, fin dalle origini, attiva collaborazione e Le Vie d’Italia ne erano diventate l’organo ufficiale e ne pubblicavano gli atti: contributo notevole e amichevole alla conoscenza di un’attività ben degna di essere divulgata e apprezzata».4 Con l’ENIT inglobato in un organo governativo, il Direttore Generale per il Turismo diventa anche Direttore Generale dell’ENIT. Cosa significa concretamente questo per la rivista? Significa ancora una volta doversi adeguare alla nuova situazione, all’ennesima prova di assimilazione dittatoriale: «non era più possibile che esse, poiché portavano lo stemma di un organo statale, potessero stampare quel che piaceva al nostro Sodalizio o al suo Direttore. Si rendeva perciò indispensabile un esame preventivo, numero per 3 In una sua lettera dattiloscritta destinata ad Attilio Gerelli del 30 novembre (l’anno non è indicato ma dal contenuto è presumibile il 1928), esordiva manifestando una certa quotidianità dei rapporti con il governo, già all’epoca tenuto al corrente da lui stesso (e non direttamente da Bognetti) degli sviluppi editoriali dell’associazione: «Caro Gerelli, sono stato dal Duce il quale è sempre buono con me e nel riferirgli del viaggio in Ungheria ho creduto bene dirgli come prova della italofilia di quel paese che il Min. Istruzione diffonde nelle sue scuole l’atlante del Touring! Non ha detto nulla ma ho capito che la cosa lo ha colpito in senso favorevole! Dell’affare delle Guide è meglio lasciar fare a Turati». Lettera conservata nel dossier intitolato a Carlo Bonardi, Archivio Storico del Touring Club Italiano. 4 A. Gerelli, I cinquant’anni del Touring, Bozze di stampa, cit., p. 191. 187 numero, della materia da pubblicare».5 In realtà la censura preventiva entra già in vigore con la circolare del 1934, quindi a poco vale l’escamotage di levare dalla testata lo stemma e lo storico sottotitolo dell’ente governativo, al fine di evitare i controlli cautelari. Le regole date alla stampa sono queste e arduo è trovare scampo: il Presidente deve inviare ogni mese e con anticipo rispetto alla data di pubblicazione i sommari, consistenti nei titoli degli articoli da mandare in tipografia, non i testi, «in osservanza del carattere non ufficiale degli accordi» tra Carlo Bonardi e il governo. Secondo tali accordi, vagliando i soli titoli, «in data 7 marzo 1935 fu vietata, in base alla semplice lettura del titolo, la pubblicazione di un articolo sulle insegne alberghiere in Italia»,6 redatto da Marco Avancini, capo dei servizi di statistica dell’ENIT: Note statistiche e considerazioni spicciole circa le insegne alberghiere in Italia. Probabilmente l’argomento appare pericoloso per i contenuti legati alle possibili denominazioni straniere, in urto con il purismo xenofobo linguistico che va facendosi strada anche nel campo associativo e turistico, culminando con il mutamento del nome del Touring e con la legge numero 2042 del 23 dicembre 1940, vietante «l’uso di parole straniere nelle insegne, nei cartelli, nei manifesti, nelle inserzioni ed in genere in ogni forma pubblicitaria, con qualunque mezzo effettuata».7 Tuttavia, comunicando soltanto il titolo del contributo, almeno fino al novembre 1935, è possibile trovare nelle «Vie d’Italia» articoli patriottici di materia risorgimentale affidati a firme antifasciste, come si è visto per la celebrazione di Cesare Battisti, e quindi caratterizzati da una retorica non certo allineata alle presunte filiazioni che il fascismo vuole accaparrarsi. L’ultimo caso è dell’ottobre 1935 con il pezzo del medico poeta Aldo Spallicci, Modigliana e il suo eroe, consacrato al sacerdote carbonaro Giovanni Verità. Il ricordo, come nel caso di Battisti, è totalmente svincolato dal fascismo, che sin dagli albori si pone come continuatore del Risorgimento incompiuto; si lega invece ai luoghi, intimamente noti all’autore, che della Romagna, omessa patria 5 Ibidem. G. Vota, I sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., p. 300. 7 Articolo n. 2 della legge riportata in S. Raffaelli, Le parole proibite. Purismo di stato e regolamentazione della pubblicità in Italia (1812-1945), cit., p. 242. Circa l’iter dell’inasprimento delle leggi contro i forestierismi cfr. G. Klein, La politica linguistica del fascismo, cit., p. 115: «se prima, nel 1923, le insegne straniere vengono solamente tassate, ora, nel 1938, vi è il divieto di diciture e denominazioni in lingua straniera se non accompagnate da indicazioni italiane su prodotti italiani (R.D.L. 28 giu. 1938, n. 1162; convertito con modificazioni in L. 19 gen. 1939, n. 251, ulteriormente precisato nella L. 12 feb. 1940, n. 215). Lo stesso anno vengono vietate le denominazioni straniere ai locali di pubblico spettacolo (R.D.L. 5 dic. 1938, n. 2172). Nel 1940 una legge (L. 23 dic. 1940, n. 2041 vieta l’uso di parole straniere nelle intestazioni delle ditte e nelle varie forme pubblicitarie». 6 188 del Duce, fa il fulcro della sua produzione artistica: «la Romagna per Spallicci è tutto, è l’unico tema della sua poesia, l’argomento di tutta la vita dai primissimi versi sino agli ultimi, lungo circa sette decenni».8 Così scrive Claudio Marabini, scrittore faentino, saggista di area romagnola, che nel secondo dopoguerra, quando ritornerà a collaborare per il mensile anche lo stesso Spallicci, celebrando non a caso Pascoli e Panzini,9 contribuirà con Giusto Vittorini, l’architetto Vico Mossa, i già citati Bongiovanni e Isnardi, alle «Vie d’Italia» per la serie «Medaglioni di città», illustrando Faenza, girando per il Montefeltro e giungendo a Ferrara.10 La Romagna di Spallicci giammai è la terra del capo della dittatura, che non gli risparmia il carcere, l’esilio a Milano per tutti gli anni Trenta e il confino in Campania nel 1941. Il suo dialetto non è nemmeno un fatto folklorico strapaesano, ma è la stessa vita quotidiana, a lungo privata, a causa della sua fede democratica, repubblicana, mazziniana, che in questo articolo di metà anni Trenta trova ancora una possibilità di espressione: «sulle orme di Garibaldi erano nate le ultime Camicie Rosse. E queste, con [ndr.: Silvestro] Lega e con Verità, sono le glorie più vere di questo paese».11 Subito a partire dal novembre 1935 con l’esame preventivo delle bozze, la redazione delle «Vie d’Italia» è richiamata per non essere riuscita a bloccare in tempo la pubblicazione dell’articolo di Luigi Parpagliolo, di cui abbiamo già trattato evidenziando il suo rigore scientifico: di certo non sono apprezzati i suoi slanci propositivi, non provenienti dal pulpito governativo.12 Parimenti, un altro articolo, dal titolo Come nasce un’esposizione, che però non vedrà mai la luce, non è gradito al Direttore Generale per il Turismo, il gerarca Oreste Bonomi, futuro ministro agli scambi e valute, che il 3 dicembre 1936 scrive alla redazione: «Sono costretto a vietare la 8 C. Marabini, Rilettura di Spallicci, in Società di Studi Romagnoli, Aldo Spallicci. Studi e testimonianze, Bologna, La Fotocromo emiliana, 1992, p. 15. 9 A. Spallicci, In Romagna con Panzini, in «Le Vie d’Italia», anno LXIX, n. 10, ottobre 1963, pp. 123443; Id., La Romagna del Pascoli, in ivi, anno LXX, n. 1, gennaio 1964, pp. 66-75. Di argomento non geoletterario, bensì medico è La lotta contro la malaria in Sardegna, in ivi, anno LV, n. 3, marzo 1949, pp. 252-9. 10 C. Marabini, Medaglioni di città: Faenza, in ivi, anno LXII, n. 2, febbraio 1956, pp. 203-14; Id., In giro per il Montefeltro, in ivi, anno LXX, n. 11, novembre 1964, pp. 1308-17; Id., È la volta di Ferrara, in ivi, anno LXXI, n. 9, settembre 1965, pp. 1030-44. Per gli altri medaglioni di città cfr.: G. Vittorini, Medaglioni di città: Pescara, in ivi, anno LVII, n. 7, luglio 1951, pp. 817-23 e V. Mossa, Medaglione di città: Sassari, in ivi, anno LVI, n. 1, gennaio 1950, p. 93 e Id., Medaglione di città: Cagliari, in ivi, anno LVII, n. 1, gennaio 1951, pp. 36-44. 11 A. Spallicci, Modigliana e il suo eroe, art. cit., p. 800. Per un profilo del pensiero politico di Spallicci, si veda L. Lotti, Spallicci: l’uomo politico, in Società di Studi Romagnoli, Aldo Spallicci. Studi e testimonianze, cit., pp. 301-9. 12 L. Parpagliolo, Per la migliore tutela delle bellezze naturali – Osservazioni e proposte, art. cit. 189 pubblicazione di questo articolo, avendo notato che esso contiene una critica poco opportuna. Le considerazioni dell’autore sulla figura del Presidente e sul Comitato d’Onore […] mi sembrano fuor di luogo, in quanto il regime ha saggiamente provveduto anche in questo campo».13 Sono solo due esempi di censura riportati da Gerelli nelle sue bozze della storia del Touring, e da quel che si può supporre non sono certamente i soli. Viste le pressioni e i controlli esterni, la selezione redazionale interna deve allora farsi più accurata e dunque lo stesso Gerelli, all’epoca Segretario Generale, prossimo a ritornare caporedattore dei periodici TCI, per volontà del presidente Bonardi poco presente sulla rivista rispetto al suo predecessore Bognetti,14 il 28 giugno 1935 scrive un Promemoria per i miei colleghi della redazione delle riviste: «Ho seguito e seguo da molti anni il lavoro di redazione delle Riviste. Sono stato io stesso Redattore, per un certo periodo delle “Vie d’Italia”: ho quindi avuto agio di rendermi conto come si svolge il lavoro al Touring. Recentemente poi l’esame di parecchi articoli che si trovavano giacenti presso la Redazione delle Vie d’Italia mi ha chiarito ancor meglio le idee. […] Il primo rilievo che debbo fare è che gli articoli vengono accettati con troppa facilità, oserei dire con faciloneria».15 Il problema non è tuttavia, almeno da quanto risulta in superficie dalle carte, di carattere censorio, di questo aspetto è bene non parlare troppo durante il Ventennio, quanto piuttosto di natura contenutistica e iconografica: «Prima di accettare un articolo si deve essere ben sicuri che è un buon articolo, che è redatto seriamente, che non è una rifrittura di cose vecchie e che corrisponde alle nostre esigenze. […] Altro punto delicato è quello delle fotografie. Troppo spesso si constata che ai collaboratori è 13 A. Gerelli, I cinquant’anni del Touring, Bozze di stampa, cit., p. 192. Firmati dal deputato e presidente Bonardi sono sette articoli riguardanti celebrazioni militari come il decennale dalla fine della Grande guerra (Nel decennale della Vittoria, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIV, n. 11, novembre 1928, pp. 843-4) e il ricordo dell’appena scomparso Amedeo di Savoia (Il Duca di ferro, in ivi, anno XLVIII, n. 4, aprile 1942, p. 369). I restanti cinque sono di carattere istituzionale e concernono il sodalizio, le gite e i programmi associativi: Id., Col Touring nel Fezzan, in ivi, anno XLI, n. 7, luglio 1935, pp. 485-97; Id., Col Touring nella zona dell’Adamello, in ivi, anno XLII, n. 10, ottobre 1936, pp. 623-5; Id., L’avvenire turistico della Libia, in ivi, anno XLIII, n. 6, giugno 1937, pp. 434-7; Id., Discorrendo fra noi, in ivi, n. 9, settembre 1937, pp. 603-4 e Id., Il nostro programma per il 1943-XXI, in ivi, anno XLVIII, n. 10, ottobre 1942, pp. 873-7. 15 Il Segretario Generale, Promemoria per i miei colleghi della redazione delle riviste, dattiloscritto contenuto nel dossier sulla Corrispondenza redazionale «Le Vie d’Italia», Archivio Storico del Touring Club Italiano. 14 190 stato risposto press’a poco così: “Il materiale illustrativo è deficiente, ma ci occuperemo noi per le integrazioni, ecc.” […] dato che l’offerta di articoli supera la domanda, è meglio di esigere da tutti un lavoro finito tanto per il testo quanto per le fotografie».16 Per questi motivi, e non per altri, lo stesso Gerelli il 5 luglio 1935 cestina con tali righe l’articolo del console del Brasile, cav. Bruno Zuculin, intitolato Un giro nell’Ascolano: «Più che un articolo di Rivista, sembra un capitolo di Guida turistica. Troppo arido. Le illustrazioni, scadenti e misere»,17 sollevando di nuovo il problema economico. Già, perché a parte il vaglio della censura, prima titolistica e poi integrale, dietro a maggiori esigenze redazionali, alle quali Bonardi pare essere estraneo in confronto a Bognetti,18 occupandosi più delle relazioni politiche, vi sono ragioni finanziarie: «la materia è sovrabbondante e noi paghiamo i collaboratori fior di denari»,19 anche qualora i loro articoli, una volta accettati, non vengano più pubblicati. Per avere un’idea, nei primi anni Trenta un articolo non passato alle stampe come quello di Piero Domenichelli, corrispondente fiorentino del «Popolo d’Italia» e direttore della collezione Bemporad «Quaderni fascisti», dal titolo Il Museo delle Scienze a Firenze, è pagato 350 lire, o ancora quello di Mario Pensuti da Cattolica, autore di libri per ragazzi per la collana dei «Libri d’acciaio» di Bompiani, vale 400 lire, tanto quanto quello di Mario Puccini su Carrettieri e sembianze della Maremma Laziale.20 Di fronte a queste cifre, si ricordi che lo stipendio orario di un bracciante siciliano nel 1930 si aggira attorno a 1,50 lire, per scendere, a causa dei retaggi della grande depressione, nel 1934 al di sotto di una lira.21 E il peggio, a livello economico, deve ancora venire, nei latifondi siciliani, ma anche in Corso Italia. Se nel 1936 l’abbonamento annuo alle «Vie d’Italia» è ancora di 18,50 lire, 16 Ibidem. Lettera dattiloscritta a firma del Segretario Generale, contenuta nel dossier sulla Corrispondenza redazionale «Le Vie d’Italia», Archivio Storico del Touring Club Italiano. 18 «Quante volte il prof. Bognetti ha dovuto intervenire per mutamenti anche notevoli sul foglio di macchina perché il lavoro non era stato elaborato convenientemente prima», si sfoga Gerelli nel suo Promemoria, cit. Viste le negoziazioni politiche che assorbono completamente Bonardi, il Consiglio decide di affidare l’alta supervisione delle riviste al classicista Aristide Calderini. 19 Il Segretario Generale, Promemoria per i miei colleghi della redazione delle riviste, cit. 20 Scheda dattiloscritta dei Compensi corrisposti dalla redazione della rivista per articoli non pubblicati, senza data, ma presumibile dei primissimi anni Trenta, vista la presenza di riferimenti alle «Vie d’Italia e dell’America Latina», nel dossier sulla Corrispondenza redazionale «Le Vie d’Italia», Archivio Storico del Touring Club Italiano. Nella scheda sono menzionati 22 articoli inediti per i quali il Touring sborsa un totale di 7.400 lire. 21 Dati ripresi dai Bollettini mensili di statistica agraria e forestale, Annali 1930-34, riportati da P. Orteca, Produzione e fattori della produzione nelle campagne, in A. Checco (a cura di), Banca e latifondo nella Sicilia degli anni Trenta, Napoli, Guida editori, 1983, p. 87. 17 191 subendo minimi incrementi dalla nascita del mensile sino ad allora, due anni dopo sale a 25,50 lire per la distribuzione in Italia e nelle colonie, mentre per l’estero è di 45,50 lire. Ugualmente gli aumenti dal 1938 incidono sulle quote associative vitalizie ed annuali al Touring Club, rispettivamente da lire 250 a lire 350, e da lire 15 a lire 22. Le conseguenze si riflettono immediatamente sul numero dei soci che, dopo aver raggiunto nel 1937 i massimi storici (476.838 membri), nel momento di più alto consenso al regime in seguito alla vittoria coloniale, comincia gradualmente a decrescere di anno in anno. Le ripercussioni della campagna d’Etiopia, unite alle sanzioni internazionali imposte all’Italia, diventano pesanti e incisive sui prezzi delle materie prime, la carta in primis. Già nel novembre 1935 il problema della carta diventa pressante, nonostante il buon andamento delle campagne associative: «ci rendiamo conto tuttavia della necessità di risparmiare nella massima misura del possibile il consumo di carta e già da tempo abbiamo adottate misure tendenti a questo scopo.22 Questo, s’intende, indipendentemente dalle riduzioni effettuate per le Riviste e derivanti da disposizioni di carattere generale,23 […] sacrifici fatti in considerazione dei difficili momenti attuali e anche nel vivo desiderio di poter mantenere salde e vive le maggiori riviste, “Le Vie d’Italia” e “Le Vie d’Italia e del mondo”, a cui è affidata una missione tanto importante nella vita culturale del Paese».24 È in questo clima autarchico che la rivista madre del Touring, per la quale si è sempre stati disposti al sacrificio, nel giro di un biennio passa dall’essere l’organo di stampa dell’ENIT a divenire soltanto il mensile della Consociazione Turistica Italiana, così come imposto dal Capo del Governo, che ai primi di luglio del 1937 aveva già deciso tutto il da farsi: «sarebbe il caso di chiamare il Sodalizio “Unione Turistica Italiana”. Anzi si chiamerà Unione Turistica Italiana».25 Il problema dei fastidi del 22 Il riferimento è ai risparmi effettuati sulle guide della Campania, sulla Carta dell’Africa Orientale e sulla Guida pratica ai luoghi di soggiorno e di cura. 23 I sacrifici in campo editoriale di cui si fa menzione sono il passaggio dalla frequenza mensile a quella trimestrale per la rivista tecnica di propaganda alberghiera legata all’ENIT «L’albergo in Italia», e dalla frequenza mensile a quella bimestrale per «L’Alpe», che chiuderà definitivamente i battenti nel 1938. 24 Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta del 27 novembre 1935, Milano, Archivio storico del Touring Club Italiano. 25 Cfr. la lettera di Osvaldo Sebastiani, Segretario Particolare di Mussolini, ricevuta il 4 luglio 1937 dalla Delegazione Romana del TCI, riportata in G. Vota, I sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., p. 301. 192 regime nei confronti di tale denominazione straniera e di una certa disinvoltura linguistica nel campo tecnico del turismo non è una novità, per questo valga ricordare le disquisizioni antesignane del 1923 sul lemma campeggio.26 Per far fronte alle accuse infamanti e sempre più insistenti provenienti da certa stampa, già dal 1928 Giovanni Bognetti, aveva chiesto l’autorizzazione ad Arnaldo Mussolini di pubblicare un articolo difensivo sul «Popolo d’Italia» riguardante Il Touring Club Italiano e la purezza della lingua italiana. Bognetti all’epoca si era destreggiato seguendo la tradizione bertarelliana, amante dell’intercomprensione pratica a livello internazionale e del rigoroso tecnicismo linguistico: «“Touring” è, nel fatto, parola tecnica, speciale senza equivalenti in altre lingue. L’uso di questa parola, adoperata dagli inglesi a riassumere le complesse manifestazioni del viaggiatore, fu adottato anche dalle altre Nazioni».27 Il richiamo al sotto-codice internazionale tecnico-scientifico proseguiva con esemplificazioni, tranquillamente accolte nel dizionario del Bertarelli, diatopicamente e diafasicamente apertissimo, dai calanches di Ajaccio agli emposieux del Colle Cimetta:28 «La scienza ne ha una ricca serie: gneiss, coherer, plankton. “Touring Club” è di questa categoria».29 L’articolo di certo non aveva convinto chi di dovere e pertanto Arrigo Solmi, guardasigilli di Mussolini sino al 1939, nominato Consigliere dell’associazione alla fine del 192830 e collaboratore delle «Vie d’Italia», nel giugno 1935 commemorando Bognetti, si era così barcamenato, appellandosi invece all’etimologia, all’immancabile (e discutibile) latino: «In realtà il nome Touring Club Italiano non è poi così straniero e barbaro come a prima vista potrebbe essere giudicato, perché la voce inglese “club”, già divulgatissima da più di un secolo anche in Italia, non è che la traduzione della voce latina “globus” […] quanto alla voce “touring”, che richiama l’idea del viaggio, e, più esattamente, del giro, 26 Cfr. la nota redazionale all’articolo di M. Tedeschi, Il campeggio del Touring nella conca di By, art. cit. G. Bognetti, Il Touring Club Italiano e la purezza della lingua italiana, in «Il Popolo d’Italia», 21 novembre 1928, ritaglio di giornale nel dossier dedicato alla «Denominazione CTI», Archivio Storico del Touring Club Italiano. Le parole di Bognetti, senza la doverosa citazione della fonte bertarelliana, sono infatti le stesse usate dal Luigi Vittorio nell’articolo Il Touring Club Italiano. Vent’anni di un sodalizio nazionale, in «Nuova Antologia», anno L, n. 1035, 1915, pp. 24-25. 28 Manifesto del plurilinguismo bertarelliano, oltre che del programma di lavoro delle «Vie d’Italia» ricongiuntesi con la «Rivista Mensile» è il già citato articolo di L. V. Bertarelli, La traccia di un grande lavoro. 29 G. Bognetti, Il Touring Club Italiano e la purezza della lingua italiana, art. cit. 30 Cfr. Vita del Touring, in «Le Vie d’Italia», anno XXXIV, n. 12, dicembre 1928, p. 453. 27 193 anch’essa non è poi affatto straniera, poiché, anche nella sua patria inglese, trova per base la voce latina “tornus”».31 Nemmeno questa difesa persuade, e nel 1937 l’autarchia anche linguistica del regime, in lotta contro la perfida Albione, non può più chiudere un occhio sull’associazione fondata dall’anglo-milanese Federico Johnson, mancato il 7 maggio di questo stesso anno.32 Troppo visibili sono quei cartelli indicatori «inarborati» per tutta la penisola, troppo diffuse nelle case degli italiani quelle carte, quegli atlanti e soprattutto questa rivista, per detenere ancora un marchio straniero, entrato ormai nel vocabolario d’uso, accettato dallo Zingarelli e dal Panzini. Da qui la decisione «apripista» del cambiamento del nome, cui seguiranno nel 1938 il CAI, ribattezzato Centro Alpinistico Italiano e nel 1939 il Reale Automobile Club d’Italia, divenuto Reale Automobile Circolo d’Italia. Da riconoscere che il sodalizio riesce almeno ad imporre una più ragionevole denominazione, preferendo il termine «Consociazione» a «Unione», «richiamandosi al concetto di collaborazione anziché a quello di accentramento»,33 che consente, oltretutto, di mantenere le stesse lettere e, per la prima volta nell’ordine grafico corretto, all’interno dello stemma in stile liberty con al centro la T di Touring. L’annuncio viene dato dalle colonne dell’editoriale d’apertura delle «Vie d’Italia» del mese di ottobre, con una retorica completamente asservita al regime, che finalmente non può che apprezzare: «Con questo animo e con la sua denominazione romana, il CTI inizia l’anno XVI della E. F.: vecchio Touring, più vecchio di un giorno da ieri, giovane e totalitariamente italiano oggi come ieri».34 Se è vero che il Duce approva con un comunicato apparso su tutti i giornali della penisola il 15 ottobre,35 riportato trionfalmente dal mensile dopo il sommario del mese di novembre, è anche vero che i soci, o meglio i consoci, non paiono essere d’accordo, e alla redazione tocca nuovamente giustificarsi, questa volta 31 A. Solmi, Discorso commemorativo di Giovanni Bognetti, Milano, 27 giugno 1935, Archivio Storico del Touring Club Italiano. 32 Dopo Bertarelli e Bognetti, l’associazione si trova a commemorare l’ultimo grande fondatore attraverso le parole di un altro socio storico, Augusto Guido Bianchi, alieno alla retorica fascista (Federico Johnson, in «Le Vie d’Italia», anno XLIII, n. 6, giugno 1937, pp. 378-87), che già aveva ricordato la scomparsa del Luigi Vittorio tra le pagine del mensile, Luigi Vittorio Bertarelli nei primi anni del Touring, in ivi, anno XXXII, n. 3, marzo 1926, pp. 229-36. 33 Lettera dattiloscritta della Presidenza del Touring Club Italiano del 19 luglio 1937, contenuta nel dossier dedicato alla «Denominazione CTI», Archivio Storico del Touring Club Italiano. 34 Il Consiglio Direttivo, Consociazione Turistica Italiana – Touring Club Italiano, in «Le Vie d’Italia», anno XLIII, n. 10, ottobre 1937, p. 677. 35 Si veda ad esempio la prima pagina della «Stampa» del 15 ottobre 1937, Il Duce approva il programma della Consociazione Turistica. 194 nei confronti del suo pubblico.36 Troppe sono le lettere arrivate nel giro di un mese in Corso Italia, talune dissenzienti altre nostalgiche, rammaricate, poiché non v’era stata alcuna consultazione democratica, com’era d’uso del sodalizio ai tempi del Bertarelli. Tra queste vale la pena di levarne una dall’oblio degli archivi. Il Console Serati di Corbetta, capopieve del milanese, dimora del conte Carlo Alberto Pisani Dossi, il 17 ottobre 1937 impugna la penna ed esprime, non già nell’italica lingua, ma in versi meneghini indirizzati alla direzione del sodalizio con genuina franchezza ogni sua perplessità e quale sia ancora a quella altezza temporale la vera anima del Touring, della maggioranza dei suoi soci e dei suoi lettori: «Spiacent. / Ma mi sont del 800 / E disi che el dett “Consociason” / L’è minga alla man / Com’è el detto Turinc / Ingles o Italian // Ingles o Milanes / per nun fondatôr / L’era istes / Ma i temp s’in cambiaa / Da allora con adess // Del 94 l’era ciclista / e in su dô rœud / Côi noster gamb e voluntaa / Tut el mônd / Se andava girà // Ma gh’è vegnu el 900 / E tutt la scômbusolaa / Aereo – auto e television / Che el detto Turinc / L’è andaa in del tumbon // Tumbon per modo de dì / Ma mi foo tanti auguri / Che el detto Consociason / El porta prest al ! milion».37 I tempi sono sì decisamente cambiati: con la creazione nel maggio 1937 del MinCulPop, cresciuto dalle radici del Sottosegretariato di Stato per la Stampa e la Propaganda, la redazione delle «Le Vie d’Italia» ed il Touring non sono più in grado di relazionarsi con tutti gli altri ministeri per tentare di agire fattivamente all’interno della società e dell’opinione pubblica. Tutto deve passare dai filtri del Ministero della Cultura Popolare, ergo, nonostante i forti legami politici dell’associazione, non sono più possibili rapporti con il Ministero 36 Cfr. Il Consiglio della CTI, Il premio più ambito, in «Le Vie d’Italia», anno XLIII, n. 11, novembre 1937, p. 755 e la rubrica Vita della Consociazione (ex Vita del Touring) che si apre con l’articolo anonimo, redazionale, dal titolo Nomen atque omen, in ivi, pp. 829-31, che cerca di placare e rassicurare gli animi, facendo appello all’accezione ciceroniana del lemma «consociazione». 37 C. Serati, lettera manoscritta, contenuta nel dossier dedicato alla «Denominazione CTI», Archivio Storico del Touring Club Italiano, che qui di seguito traduco: «Spiacente. / Ma io sono dell’Ottocento / E dico che il detto Consociazione / Non è alla mano / Come il detto Touring / Inglese o Italiano // Inglese o Milanese / Per noi fondatori / Era lo stesso / Ma i tempi sono cambiati / Da allora rispetto a oggi // Dal ‘94 era ciclista / E sulle due ruote / Con le nostre gambe e volontà / Tutto il mondo / Si andava girando // Ma è venuto il Novecento / E tutto ha scombussolato / Aereo - auto e televisione / Che il detto Touring / È andato nella tomba / Tomba per modo di dire / Ma io faccio tanti auguri / Affinché il detto Consociazione / porti presto al mezzo milione». 195 «delle Finanze per tutto quanto riguarda i passaggi delle automobili alle frontiere; con quello della Pubblica Istruzione per i fini stessi del Sodalizio rivolti alla conoscenza del Paese, e alla tutela delle bellezze artistiche e naturali; con quello dei Lavori Pubblici per gli studi che continuamente si fanno in materia stradale […]; con quello dei Trasporti per lo studio dei problemi della circolazione e per le intime connessioni fra turismo e ferrovie, fra turismo e servizi pubblici automobilistici».38 Ciò significa per l’associazione e per il suo principale organo di stampa perdere ogni slancio propositivo, tecnico e fattivo in tutte queste materie, per le quali «Le Vie d’Italia» erano nate e che sono ora appannaggio esclusivo del regime. Alla dottrina bertarelliana del «fare» si sostituisce quella dell’«adeguarsi»: «adeguarsi agli straordinari eventi di cui siamo testimoni e che saranno domani materia di storia. Gli ampi studi pubblicati sui problemi preminenti della nostra autarchia economica e sulle incessanti conquiste del Regime in ogni campo di attività pubblica e privata, l’ampliamento dei notiziari sono prove concrete che nulla si lascia intentato per conciliare al periodico la simpatia degli Italiani attenti alle sorti della Patria».39 Tale è il profilo della rivista della Consociazione Turistica Italiana delineato per l’anno 1939: urge informare, o meglio propagandare con maggior forza le attività non già del sodalizio, divenuto mero testimone, ma della dittatura del Duce, che «ha impartito le sue direttive per lo svolgimento del futuro programma di lavoro»,40 come è scritto testualmente sulle colonne del periodico. Si seguono così con vivo interesse i littoriali, specie quelli sportivi con reportages fotografici, le mostre autarchiche e della rivoluzione fascista, le imprese dei Balilla, il Premio Cremona allestito dallo «spirito polemico e concretizzatore di Roberto Farinacci»,41 e dal gennaio all’agosto 1939 «Le Vie d’Italia» si apriranno sistematicamente con la serie intitolata «Panorami autarchici». 38 A. Gerelli, I cinquant’anni del Touring, Bozze di stampa, cit., p. 193. Relazione del Consiglio della CTI per l’esercizio 1939, in «Le Vie d’Italia», anno XLVI, n. 5, maggio 1940, p. 461. 40 La Direzione della CTI, Alti riconoscimenti, in ivi, anno XLVI, n. 1, gennaio 1940, p. 34. 41 La Mostra della Rivoluzione Fascista, in ivi, anno XLIII, n. 12, dicembre 1937, pp. 887-9; I littoriali della neve, in ivi, n. 1, gennaio 1938, p. 92; I. Bianchi, La Mostra autarchica del minerale italiano, in ivi, anno XLIV, n. 11, novembre 1938, pp. 1369-80; T. D’Amico, Il «Premio Cremona», in ivi, anno XLVII, n. 7, luglio 1939, pp. 954-5; P. Molino, I Balilla rocciatori, in ivi, n. 12, dicembre 1939, pp. 1569-71. 39 196 Il tutto senza tralasciare i progetti espansionistici dell’Impero, celebrato e divulgato con minuzia mensile dalla Consociazione, ancora in concomitanza con i reperti romani in area mediterranea: dalla Turbie augustea in terra provenzale, neoacquisto delle «nuove legioni di Roma liberatrice»42 in una delle prime battaglie della Seconda Guerra Mondiale (quella delle Alpi Occidentali), celebrata dall’archeologo ligure Nino Lamboglia, alla Tripolitania nei ricordi del soprintendente Renato Bartoccini. «Ricordo un certo giorno del 1923, in cui condussi, per i miei scavi di Leptis, due noti capi indigeni, uno Arabo e uno Berbero, combattenti con noi contro i ribelli. Alla fine, mentre temevo, di fronte al loro quasi ermetico silenzio, di aver perduto il mio tempo e il mio fiato, mi sentii dire: “Adesso ho capito perché scavi queste cose; per dimostrare che voi Italiani avevate il diritto di tornare qui”. Vi giuro che mi brillavano gli occhi».43 Parole affatto nuove, ma quel che stupisce in questo articolo è la grafica curata da Sandro allievo del Parmeggiani, Baranelli, eccentrico disegnatore, mai uguale a se stesso, che qui si cimenta nel fotomontaggio. S. Parmeggiani in R. Bartoccini, Archeologia di ieri e battaglie di oggi sulle rive del Mediterraneo, in «Le Vie d’Italia», anno XLVIII, n. 2, febbraio 1942, p. 181. 42 Per la prima volta sulla rivista, la dialettica iconico- N. Lamboglia, Il trofeo di Augusto alla Turbia, in ivi, anno, XLVI, n. 10, ottobre 1940, p. 1109. Sempre dell’archeologo ligure sono, nei primi anni Quaranta, altri contributi di rivendicazione nazionalista del Nizzardo, ove imperversa la guerra: Id., Ritorno a Mentone italiana, in ivi, n. 9, settembre 1940, pp. 983-9; Id., Il Castello di Nizza, in ivi, n. 12, dicembre 1940, pp. 1398-403; Id., Monaco, roccaforte di tenacia ligure, in ivi, anno XLVIII, n. 11, novembre 1942, pp. 994-9. 43 R. Bartoccini, Archeologia di ieri e battaglie di oggi sulle rive del Mediterraneo, in ivi, anno XLVIII, n. 2, febbraio 1942, p. 183. Oltre a Lamboglia e a Bartoccini ad aggiornare le ricerche archeologiche ci pensa il professore di topografia romana Giuseppe Lugli con il trittico di articoli dal titolo Roma imperiale alla luce delle moderne scoperte archeologiche, in ivi, anno XLVI, n. 7, luglio 1940, pp. 73849; Id., anno XLVIII, n. 1, gennaio 1942, pp. 42-51; Id., febbraio 1942, pp. 148-58. 197 testuale comprende tre poli: quello fotografico, quello verbale del racconto e del dialogo, e infine quello grafico. Il rapporto è simbiotico e originalissimo l’esito finale: la retorica verbale e fotografica della grandeur imperiale è sminuzzata dalle figure caricaturali, agili e leggere, che entrano nella pagina e la animano con un tocco nuovo, inatteso. Fortunatamente, perché altrimenti di souple e di inaspettato in questa fine degli anni Trenta, vi è ben poco: autarchia è la nuova parola d’ordine, «in tutti i campi della vita e dell’attività nazionale si cominciò a pronunciare la parola necessaria e tremenda: autarchia. Parola necessaria, perché autarchia vuol dire indipendenza economica e politica, indipendenza che è fine supremo di ogni grande Nazione: parola tremenda, perché l’abusata espressione della nostra povertà di materie prime faceva apparire paurosa e quasi senza speranze la lotta in campo».44 Autarchica è la lingua, autarchico è il turismo prospettato da Cosimo Giorgieri Contri,45 autarchiche sono le pubblicità dei prodotti, per quanto possibile: della lavanda Coldinava, della lana Gatto, del consueto Olio Sasso, delle macchine per scrivere Olivetti, delle tende coloniali Ettore Moretti, dei cappelli Borsalino, delle sedi del Banco di Roma nel Mediterraneo e in AOI. 4.2 NUOVI ALLEATI E NUOVE CONQUISTE Eppure, sguardi al di fuori dell’Italia (imperiale) ci sono, e sono inediti per la rivista, sebbene non inattesi, riflettenti le alleanze politiche. Una reclame dettagliata nel mese di luglio del 1938 propone «le più suggestive e riposanti villeggiature» in Germania, «il paese che lavora e che sorride», così recita lo slogan, dopo aver elogiato l’alto livello culturale germanico, sperimentabile nelle esposizioni, nei musei e nei teatri. Ed è in questo senso, di conoscenza culturale del nuovo alleato, che si deve intendere la recente attenzione oltre confine, in preparazione della visita in Italia di Hitler. 44 45 M. G. Levi, Autarchia dei carburanti e dei combustibili, in ivi, anno XLIV, n. 1, gennaio 1938, p. 33. C. Giorgieri Contri, Turismo autarchico, in ivi, anno XLVIII, n. 6, giugno 1942, pp. 554-8. 198 Pubblicità inframmezzata nella rubrica introduttiva Ali nel cielo, in «Le Vie d’Italia», anno XLIV, n. 7, luglio 1938, p. 806. . «Contrariamente agli altri Paesi del mondo, dove la partenza degli uomini di Governo per delle visite ufficiali all’estero si svolgono fra la grande indifferenza delle masse, nei nostri due Paesi, l’Italia e la Germania, quando un Capo intraprende un viaggio all’estero della natura e dell’importanza di questi che hanno luogo fra due poli dello stesso asse politico, Berlino e Roma, il popolo vuole essere presente».46 Tuttavia questa prosa gonfia e populista è un poco più moderata negli articoli del mensile di argomento tedesco: i lettori sono già ben «preparati» all’arrivo di Hitler in Italia dalla stampa quotidiana, dalla radio e dai cinegiornali dell’Istituto Luce, che vi dedicano intere settimane. L’enfasi dai personaggi protagonisti dell’asse si sposta dunque sulla città e sugli itinerari prestabiliti, dalla nuova stazione ostiense a Piazza Venezia: «si ritorna così alla tradizione di presentare l’Urbe agli ospiti nella sua magnificenza monumentale»,47 ricordando altre storiche entrate nella Roma imperiale. Parimenti gli articoli del cattolico filofascista del gruppo di «Frontespizio», Guido Manacorda, si concentrano sul lato culturale dell’operazione politica, rientrando nel 1940 nel progetto bottaiano volto allo studio comparato delle civiltà italiana e tedesca.48 Le attenzioni di Manacorda convergono in particolare sugli antesignani dell’Italienische Reise 46 Il saluto della Germania al suo grande condottiero, in «Il Popolo d’Italia», 2 maggio 1938 riportato in M. Martucci, Hitler turista: viaggio in Italia, Milano, Greco&Greco editori, 2005, pp. 111-2. 47 L. Bottazzi, Hitler in Italia. gli ingressi trionfali dell’Urbe, in «Le Vie d’Italia», anno XLIV, n. 5, maggio 1938, p. 607. 48 Cfr. G. Manacorda, in Dizionario biografico degli italiani, cit. 199 goethiano, ossia sui poeti latini del Rinascimento germanico impegnati nella loro discesa, non letta come viaggio verso il caldo sole della penisola, quanto verso una luminosità sacrale, tipica del suo cattolicesimo fascisteggiante: Lemnius, Georgius Fabricius, Euricius Cordus «e non so quanti altri. Scendono, sprezzando i disagi dell’aspro viaggio, a rapire qualche scintilla del fuoco sacro onde ardono gli Italiani».49 Di nuovo il suo spiritualismo lo porta a indagare la mitologia germanica, antipodica alla sua fede, in cui, novello Tacito, cerca punti di contatto con il paganesimo nostrano, ossia romano, concedendosi all’irrazionalismo substratico dei miti fondanti la società totalitaria nazista, contro la quale si era pur pronunciato per la difesa dei cattolici tedeschi sotto il Reich: «non è dubbio che nel mito, meglio che nella storia, ove invece acquista necessariamente pieno rilievo l’opera consapevole dei singoli, si riflette l’anima collettiva dei popoli. Proprio qui, infatti, voglio dire nella selva spessa di questi miti, risulta forse nel miglior modo riconoscibile e afferrabile, se pure, ben s’intende, ancora primitiva e in nuce, l’anima moderna dei nordico-germanici: eterna corsa verso il sapere, il potere, il possedere».50 Thor, Odino, le Norne e le Walkirie prendono corpo non solo nei passi tradotti dei poemi norrenici dell’Edda maggiore, ma anche nelle grafiti tormentate e impetuose di Francesco Chiappelli, pluripremiato acquafortista all’Esposizione parigina del 1937, già illustratore dell’Aminta per l’associazione dei «Cento amici del libro». Le riesumazioni dei miti germanici al servizio del nazismo e delle leggi per la tutela della razza, ancora elogiate dal capocronista del «Corriere» Ciro Poggiali,51 non portano tuttavia ad affrontare apertamente sul mensile la questione ebraica, spinosa vergogna, che resta invece nei retroscena del sodalizio. Le leggi del 1938 impongono epurazioni alle associazioni culturali e sportive, non solo direzionali ma anche nell’albo dei soci. Il che pone un grave problema: nello schedario della Consociazione ci sono i nominativi di più di 470.000 soci dall’Italia, dalle Americhe e dall’Africa, e del tutto assenti sono le indicazioni religiose e razziali. Pertanto «si prese la deliberazione di non procedere al rinnovamento dell’incarico annuale per i Consoli, quando fosse stata accertata l’appartenenza alla razza ebraica; per quanto invece riguardava la massa dei Soci, si lasciò immutata la situazione senza disturbare i Soci 49 G. Manacorda, L’Italia nei poeti latini del Rinascimento germanico, in «Le Vie d’Italia», anno XLVII, n. 11, novembre 1941, p. 1222. 50 G. Manacorda, Nella selva del mito nordico-germanico, in ivi, anno XLVII, n. 4, aprile 1941, p. 419. 51 C. Poggiali, Discendenza di Sigfrido e di Brunilde, in ivi, n. 8, agosto 1941, pp. 920-31. 200 stessi mentre ai candidati nuovi Soci si sarebbe chiesto la dichiarazione di non appartenenza alla razza ebraica».52 Gli sguardi oltre confine delle «Vie d’Italia» non si limitano al suo Impero e alla sola Germania, amica e alleata fedele nei cartelloni di Boccasile: nuove acquisizioni e aspirazioni belliche nel vortice del secondo conflitto mondiale si fanno strada. Con l’annessione del regno d’Albania nel 1939, l’interesse per l’altra sponda dell’Adriatico e il Mediterraneo orientale non è più soltanto di materia archeologica. Icilio Bianchi, figlio di Augusto Guido, redattore alle dipendenze di Gerelli, biografo di Guido da Verona, nonché fondatore della casa editrice Modernissima, vicina all’ambiente milanese futurista, segue gli sviluppi delle vittorie e delle conquiste nel mare nostrum. Dell’Albania appena occupata vi è il consueto ritratto etnografico di usi e costumi, dettagliato fin nel vocabolario albanofono essenziale dal punto di vista religioso, giuridico e culinario: begtasci, pilaf, besa e Kanun danno un sapore esotico, che infrange per un istante l’autarchia, assieme alle foto di bambine e pastorelle scalze in attesa delle provvidenze del regime, come recitano pateticamente le didascalie. Tuttavia, come sempre, «né ci dorremo se, a contatto della civiltà, lo smagliante folclore schipetaro perderà qualche suo barbaglio orientale, se al senso omerico della vita si sostituirà quello romano ed eterno»,53 che imperverserà (per poco) anche nello Ionio. 4.3 IN GUERRA Con la guerra alle porte, il mensile che era nato proprio in tempo bellico, ritorna a spronare i soldati italiani, anche se del tutto assenti sono lo sguardo e l’impegno concreto in prospettiva di una ricostruzione futura, che animavano gli editoriali bertarelliani. Ventitré anni dopo si assapora solo la vittoria dell’espansionismo 52 G. Vota, I sessant’anni del Touring Club Italiano, cit., p. 304. I. Bianchi, Usi e costumi del popolo albanese, in «Le Vie d’Italia», anno XLV, n. 6, giugno 1939, p. 777. Con la solita prontezza l’anno successivo esce anche il relativo volume della Guida d’Italia. Sempre del redattore della CTI sono le cronache del conflitto nello Ionio e più ampiamente nel Mediterraneo: Id., Malta, piccola terra dalla grande storia (articolo accompagnato dai versi pascoliani dedicati all’isola e contenuti nella raccolta di O. F. Tencajoli, Poeti maltesi d’oggi, Roma, Signorelli, 1932, pp. 211-2), in «Le Vie d’Italia», anno XLVI, n. 8, agosto 1940, pp. 908-18; Id., Le aquile romane tornano in Grecia, in ivi, n. 12, dicembre 1940, pp. 1408-22; Id., L’Italia vittoriosa riapproda alle Isole Ionie, in ivi, anno XLVII, n. 6, giugno 1941, pp. 681-96; Id., Tappe della vittoria nel mare nostro, n. 7, luglio 1941, pp. 787-802. 53 201 nazionale a lungo osteggiato: «noi della Consociazione Turistica Italiana […] già pregustiamo l’indicibile gioia di ripercorrere, con orgoglio e amore di possesso, le terre che Dio ci ha assegnate, che l’iniquità e l’egoismo ci negavano».54 Non è più la questione irredentista che infiammava gli editoriali del Bertarelli, bensì è il compimento del destino imperiale, delirante di onnipotenza, che del resto dilaga in tutte le ideologie colonialiste, ad infervorare le aperture di Arrigo Solmi, «contro le forze cieche della democrazia settaria, massonica e giudaica»,55 affrontando geopoliticamente le questioni di Malta, Tunisi, Gibuti, della Corsica, del Nizzardo e della Savoia. Gli editoriali dell’ex ministro si susseguono mese dopo mese nella prima fase del conflitto, quella della guerra spagnola e dall’ascesa della Germania che ridisegna la cartina del continente e che prospetta al Duce nuove acquisizioni, in nome della cosiddetta «ingiustizia di Versaglia».56 Dopo Solmi, la retorica infuocata del tempo di guerra è nelle mani e nella penna di Ettore Cozzani, dal 1938 al 1943 la firma più presente sul mensile della CTI, con quasi una trentina di articoli. L’anima dell’«Eroica», storica rivista, fondata a La Spezia nel 1911, di arte, letteratura e xilografia, vicina allo sperimentalismo futurista e all’innovazione moderna con nomi già noti alla redazione del Touring (De Carolis, Servolini57 e Viani), inaugura parecchi numeri delle «Vie d’Italia». I toni sono decisi, «da vecchio dannunziano enfatico»,58 che di questi tempi non possono che far piacere 54 Vincere!, in ivi, anno XLVI, n. 7, luglio 1940, p. 717. Introduzione redazionale all’articolo di A. Solmi, I diritti dell’Italia nel Mediterraneo, in ivi, p. 718. 56 A. Solmi, Giustizia coloniale, in ivi, n. 10, ottobre 1940, p. 1095. Dello stesso vi è la serie geopolitica inaugurata con La nuova Europa, in ivi, n. 8, agosto 1940, pp. 849-54; Id., La nuova Germania, in ivi, n. 11, novembre 1940, pp. 1217-22; Id., La nuova Spagna, in ivi, n. 12, dicembre 1940, pp. 1353-58; Id., La nuova Italia, in ivi, anno XLVII, n. 2, febbraio 1941, pp. 169-73. 57 Luigi Servolini, maestro indiscusso dell’incisione italiana, lascia un breve compendio di storia della xilografia, con tanto di suoi capolavori, sulla rivista nel febbraio 1934, dal titolo La xilografia italiana, pp. 101-12. 58 Cfr. G. Papini, Diario, Firenze, Vallecchi, 1962, p. 412, citato in A. Modena, L’altrove della poesia, e il tempo delle speranze, in Ead., A. Pagano, E. Pontiggia, M. Noja, Ettore Cozzani e l’Eroica. L’avventura di un uomo, Milano, Biblioteca di Via Senato Edizioni, 2004, p. 29. Proprio con il «coccodrillo» di D’Annunzio Cozzani aprirà il mese di aprile del 1938 del mensile del Touring: cfr. E. Cozzani, Gabriele D’Annunzio e la bellezza d’Italia, in «Le Vie d’Italia», anno XLIV, n. 4, aprile 1938, p. 417, ove il maestro dello spezzino sovrasta ogni altro: «In nessuno scrittore in prosa o in versi della nostra storia, – dai più lontani, e pur presi da questa attrazione delle “forme” dell’Italia, come Virgilio e Cicerone – a quelli che si sporsero dall’età di mezzo per tramandare alla moderna l’eredità di questo canto di bellezza, come il Petrarca e il Boccaccio, – a quelli che, come l’Ariosto, investirono del riflesso felice del nostro paesaggio la loro opera tutta, – ai più vicini a noi e a Lui, Carducci e Pascoli, che pur ebbero potenti note in poesia e in prosa di rievocazione dell’Italia bella, – nessuno ebbe un così costante bisogno, una così persistente passione, una gioia così ebbra, e a volte un così urgente delirio, di esaltare quel che Dio e gli uomini hanno adunato di bellezza nella Penisola». Sempre a Cozzani è affidata un’altra commemorazione, quella di Giuseppe Verdi a quarant’anni dalla sua morte, in ivi, anno XLVII, n. 3, marzo 1941, pp. 322-3. 55 202 alla direzione bonardiana. Cozzani, si è già dimostrato fervente interventista nella prima guerra mondiale con iniziative numerose, dai fascicoli dell’«Eroica» dedicati alle nazioni alleate, ai «volumetti per la “resistenza” (Monito dei combattenti, Resistenza spirituale del popolo belga, Orazione ai giovani ecc.) e molti suoi discorsi a civili e militari».59 Nuovamente, schiera apertamente l’«Eroica», dedicando l’intero fascicolo del maggio-giugno-luglio 1940 alla dichiarazione di guerra e ai protagonisti italiani e tedeschi, fatto unico per il suo periodico d’arte.60 Dopo questo numero, infatti, editoriali bellici, riflessioni e commenti di politica interna ed estera saranno assenti dai sommari, unicamente di materia artistica; mentre è sulle «Vie d’Italia» che l’intellettuale spezzino, dannunzianeggiando, segue le vicende geo-politiche del conflitto: «Sappiamo che la nostra non è una guerra, ma una crociata»61, scrive in apertura del numero dell’agosto 1941, interpretando con lungimiranza scenari da Guerra Fredda, valutando l’inconciliabilità del sostegno della nazione anti-capitalista per eccellenza, l’Unione Sovietica, agli Alleati capitalisti sorretti dagli Stati Uniti. In un altro editoriale, inaugurale dell’anno 1942, a commento dell’ennesimo punto di svolta all’interno del conflitto mondiale, l’entrata in guerra del Giappone, presenta epicamente la nuova potenza dell’Asse, ancora tanto ignota alle nostre longitudini, anche ai lettori delle «Vie d’Italia»: «Dalla sua isola rocciosa, arida come pietra pomice, scossa dai fremiti della terra, battuta da mareggiate selvagge, un popolo scarnito da una sobrietà ascetica, silenzioso per la usa prudenza riflessiva, arso da una fede che tien serrata nel cuore esplode a un tratto in una guerra logica e temeraria, e investe della bellezza d’un eroismo sovrumano l’immenso Oceano pacifico».62 In cotanta retorica caratterizzante gli sguardi nipponici di Cozzani vero è che vi è pure una descrizione del kamikaze in nuce, in quanto il primo reparto suicida data soltanto 1944: «l’Imperatore comanda; e non c’è più nulla al mondo, altro che la necessità di obbedirgli, con la vita e al di là della vita. Perciò il soldato non si getta nella mischia con la speranza di vincere e di tornare; ma con la sola certezza del sacrificio». Dall’Unione Sovietica al Giappone, fino in Africa, gli editoriali di Cozzani sono incalzanti: febbrile è il ritmo generato dalla 59 A. Pagano, Ettore Cozzani: la vita e l’uomo, in Id., A. Modena, E. Pontiggia, M. Noja, Ettore Cozzani e l’Eroica. L’avventura di un uomo, cit., p. 23. 60 Si veda M. Noja, Indici completi de L’Eroica, in Id., A. Modena, A. Pagano, E. Pontiggia, Ettore Cozzani e l’Eroica. L’avventura di un uomo, cit., pp. 43-66. 61 E. Cozzani, Alba di un’era, in «Le Vie d’Italia», anno XLVII, n. 8, agosto 1941, p. 874. 62 E. Cozzani, Saluto al Giappone, in ivi, anno XLVIII, n. 1, gennaio 1942, p. 33. 203 ripetizione aggettivale, dalle onomatopee e dalle allitterazioni degli «schianti di siluro», turbinoso è l’inneggiamento, figlio del futurismo, alla guerra e ai suoi mezzi, occultando i suoi effetti di morte e devastazione: «quel tragitto fra Gibilterra e Suez, che era fino a ieri la libera strada di tutte le alterigie e le prepotenze britanniche: la Marina e l’Aviazione gli scattano addosso con disegno geometrico, con perfette coincidenze, con abilità acrobatica, con implacabile ostinatezza».63 Le dimensioni e la complessità di questo nuovo conflitto mondiale sono qualcosa di mai visto prima nella storia e il Touring con la sua rivista madre sono ancora una volta in prima linea a propagandare e documentare su più fronti. Il 21 luglio 1941 l’Agenzia Stefani divulga a tutti i giornali il comunicato inerente all’ «attività della CTI che ha avuto speciali finalità in relazione alla guerra: dall’apprestamento di parecchie migliaia di cartelli indicatori nelle zone di movimento delle Forze Armate, alla preparazione, a tempo di primato, della Guida e della Carta della Grecia a corredo delle truppe italiane operanti in tale settore, ai numerosi articoli, dovuti a scrittori e specialisti, coi i quali le due riviste della Consociazione, Le Vie d’Italia e Le Vie del Mondo, hanno contribuito alla maggiore comprensione delle ragioni del conflitto dai punti di vista geografico, storico ed economico».64 Oltre alle «Vie del mondo», anche la rivista madre, per molti tratti, pare infatti divenire un mensile di geo-politica: giornalisti inviati di guerra come Camuri, intellettuali del 63 E. Cozzani, Pantelleria… Tobruch… El Alamein, in ivi, anno XLVIII, n. 8, agosto 1942, p. 705. Altrettanto enfatiche sono le sue prose dal fronte dell’Adriatico Orientale, sull’avanzamento italiano in Istria: Id., Zara la Santa, in ivi, anno XLVII, n. 6, giugno 1941, pp. 660-70; Id., La corona di Pola, in ivi, anno XLVIII, n. 6, giugno 1942, pp. 566-71; Id., Parenzo, «gemma dell’Istria», in ivi, n. 11, novembre 1942, pp. 968-75. Per dovere di completezza bibliografica citerei qui di seguito in ordine cronologico i restanti articoli, parte dei quali pregevoli ritratti paesaggistici dall’Italia provinciale, soprattutto ligure, dall’Italia di confine o ancora dall’Italia letteraria: Il Finale, in ivi, anno XLIV, n. 3, marzo 1938, pp. 308-19; Il Natisone, in ivi, n. 12, dicembre 1938, pp. 1492-6; La rupe che dà fiori, in ivi, anno XLV, n. 1, gennaio 1939, pp. 81-93; Nobiltà delle Apuane, in ivi, n. 2, febbraio 1939, pp. 220-30; Il canto della risaia, in ivi, n. 8, agosto 1939, pp. 1105-14; Perugia, in ivi, n. 10, ottobre 1939, pp. 1325-37; Una rivoluzione dal cielo, in ivi, anno XLVI, n. 1, gennaio 1940, pp. 65-75; Terra del Brennero, in ivi, n. 3, marzo 1940, pp. 245-7; L’eremo dell’Abuna Messias a Frascati, in ivi, n. 4, aprile 1940, pp. 359-69; Spotorno, in ivi, n. 7, luglio 1940, p. 766-75; La strada di Francia, in ivi, n. 12, dicembre 1940, pp. 135972; Un nome e una fede: Piambello, in ivi, anno XLVII, n. 7, luglio 1941, pp. 782-6; Arni, in ivi, n. 9, settembre 1941, pp. 1001-13; Le Cinque Terre, in ivi, n. 11, novembre 1941, pp. 1210-21; Recanati, in ivi, anno XLVIII, n. 3, marzo 1942, pp. 276-85. 64 Il Duce approva l’attività della Consociazione Turistica Italiana e traccia le direttive per il programma del nuovo biennio, in ivi, anno XLVII, n. 8, agosto 1941, p. 872a. 204 rango di Cozzani, generali e colonnelli seguono in presa diretta il conflitto. Per la prima volta, immagini di guerra vengono pubblicate sulle «Vie d’Italia», una voce di pace, che sempre aveva rifuggito la spettacolarizzazione visiva della violenza, quando era sorta. La guerra oltre a essere udita e raccontata per la prima volta con le onde radio,65 si fa immagine, ora più che mai: fotografie propagandistiche dell’Istituto Luce irrompono sulla pagina di Giuseppe Pini, Immagini della guerra africana: esplosioni, soldati a terra, carri armati puntati sul nemico, campi di concentramento con affamati prigionieri britannici.66 Dalle sabbie del Sahara alle nevi della steppa Coi soldati italiani sul fronte russo, ove il nemico è quasi fiabesco, per eludere le atrocità fisiche che hanno decimato l’esercito nostrano: «Snjegoruzka, la piccola fata delle nevi, sta ormai per scomparire definitivamente. Snjegoruzka, così bella sotto le gelide brume nella sua bianca veste, si è sciolta e dileguata ai primi raggi del nuovo sole. Snjegoruzka, la candida, graziosa ma scomoda compagna di tutti i soldati su questo duro fronte orientale, se n’è andata».67 Le parole e le fotografie di soldati immersi nella neve, certo non così estasiati dalla Snjegoruzka, sono di Alessandro Camuri, redattore del «Popolo d’Italia». Non solo le fotografie belliche degli articoli animano la veste grafica di questi anni: anche le pubblicità, finora ad uso e consumo della classe media, con giocattoli, impermeabili alla moda e caramelle autarchiche, si adeguano al clima, con gli smalti Duco utilizzati per la mimetizzazione dei carri armati italiani al fronte e le pellicole Agfa reclamizzate da una fotografia di due soldati sorridenti intenti a scartare lettere contenenti istantanee di mogli e figli. Ad introdurle spesso si incontrano le copertine del noto disegnatore della «Domenica del Corriere» e dell’«Illustrazione italiana», Franco Codognato,68 raffiguranti carri armati, aerei e navi da combattimento, che celebrano la potenza e la modernità della guerra di terra, di cielo e di mare. Codognato non solo disegna le tavole di apertura, talvolta correda con illustrazioni a grafite in bianco e nero articoli bellici come quelli del tenente colonnello Vincenzo Lioy sul progresso in materia di bombe e di siluri.69 I segreti della guerra, certo non quelli più reconditi, vengono divulgati: 65 Cfr. Ebi, La radio e la guerra: notizie a casa… notizie da casa, in ivi, anno XLIX, n. 5, maggio 1943, p. 411. 66 G. Pini, Immagini della guerra africana, in ivi, anno XLVIII, n. 4, aprile 1942, pp. 370-81. 67 A. Camuri, Coi soldati italiani al fronte russo, in ivi, anno XLVIII, n. 5, maggio 1942, p. 453. 68 Figlio d’arte, ossia di Plinio, altro illustratore, è ricordato assieme al padre nel volume di A. Codognato, I cantori della velocità: Plinio e Franco Codognato. Manifesti e disegni, Tradate, Comune di Tradate, 2006. 69 V. Lioy, Bombe e siluri aerei, in «Le Vie d’Italia», anno XLIX, n. 2, febbraio 1943, pp. 127-32; Id. 205 l’informazione orchestrata spazia dalle tecniche e dai mezzi impiegati alle tattiche militari, alle previsioni di nuovi scenari bellici. Di questa natura sono le cartine militari del generale Edoardo Scala, altro esperto del mensile in temi bellici.70 Adeguamenti alle contingenze militari si registrano anche nella struttura della rivista, che dal luglio 1940 inaugura la rubrica La nostra guerra: «In un’ora decisiva […] crediamo utile dare inizio a questa rubrica di notizie in rigoroso ordine cronologico. […] In ogni numero de “Le vie d’Italia” registreremo i principali avvenimenti degli ultimi trenta giorni, sino al 20 del mese in cui si stampa la Rivista».71 Cartine dettagliatissime dai vari fronti del conflitto coprono l’intero globo, dedicando particolare attenzione anche ad aree strategiche per i rifornimenti di materie prime: vedi i giacimenti petroliferi in Bahrein e quelli minerari centro e sud-africani. La nuova rubrica figura in affiancamento al notiziario, che si conforma anch’esso alla dimensione internazionale richiesta dal conflitto, prevedendo la sezione Echi dal mondo. Intercettori notturni, in ivi, n. 8, agosto 1943, pp. 635-40. 70 E. Scala, La tattica tedesca, in ivi, anno XLVIII, n. 10, ottobre 1942, pp. 878-87. Vedi anche gli altri suoi articoli: Id., I nostri soldati in Russia, in ivi, anno XLVIII, n. 12, dicembre 1942, pp. 1041-9; Id., Carri armati e carristi, in ivi, anno XLIX, n. 2, febbraio 1943, pp. 121-6; Id., Granatieri di Sardegna, in ivi, anno XLIX, n. 6, giugno 1943, pp. 457-64; Id., I cacciatori di carri armati, in ivi, anno XLIX, n. 8, agosto 1943, pp. 609-16. 71 La nostra guerra, in ivi, anno XLVI, n. 7, luglio 1940, p. 701. 206 Dalle copertine di guerra disegnate da Codognato nell’ultimo anno prima della chiusura del mensile nel ‘43 alle pubblicità dei prodotti bellici, dalle cartine militari del generale Scala alle fotografie scattate dagli inviati al fronte e dall’Istituto Luce: così l’aspetto grafico del mensile della Consociazione si adegua ai tempi. 4.4 L’INGEGNER GADDA E LA PROPAGANDA Carlo Emilio Gadda è uno dei collaboratori di questa nuova sezione, Echi dal mondo, nel numero del novembre 1939, con due articoli piuttosto lunghi rispetto alla norma, uno di seguito all’altro e fra loro complementari: Le marine da guerra delle Nazioni belligeranti…, … e le loro forze militari terrestri. Il primo firmato per esteso e il secondo soltanto siglato dalla «g» del Gaddus, forse per evitare ridondanze, forse anche per prender le distanze da un evidente plagio commesso, che pare per un solo attimo rimettere in discussione lo sforzo smisurato gaddiano per i suoi scritti mercenari «con cifre sempre due volte in dare, e mai in ricevere»,72 messo in luce anche da Ungarelli, il quale si occupa di questa «insolita ed abbastanza fitta attività su periodici di varia cultura ed attualità: dalle gloriose ed anziane testate della Nuova Antologia e delle “geografiche” Vie d’Italia, al modernissimo quindicinale Panorama dell’editore Gianni Mazzocchi, 72 F. Pedriali, Dell’equità. L’inviato speciale invia, in «The Edinburgh Journal of Gadda Studies», anno 2004, n. 4, p. 2. 207 fino all’illustrato Tempo, settimanale diretto da Alberto Mondadori, grafica di Bruno Munari».73 Probabilmente un simile turbinio di lavori commissionati e adempiuti, come vedremo, straordinariamente anche in questa rivista, che continua a essere dimenticata da molti spogli letterari di scrittori italiani, lo induce in un caso a far presto e ad accorciare i tempi, oltre che gli articoli altrui. Ma andiamo con ordine, in questa analisi nella quale vorrei, per una volta, indugiare un po’ più del dovuto, vista la novità, e visto l’autore, cui ci si trova di fronte. Per il primo articolo non v’è dubbio sulla paternità: è gaddiano fin nelle viscere di quella inconfondibile prosa rigorosamente tecnicoscientifica, metodologica e puntuale, sia nel breve che nel lungo periodare elencativo e asindetico, a livello microsintattico e macrostrutturale, che si concede alla mera chiarezza delle esemplificazioni, dei numeri e delle tabelle, senza divagazioni propagandistico-ideologiche: «La esistenza e la efficienza di un siffatto naviglio contribuisce in modo anche essenziale alla condotta della guerra marittima, e può facilitare i compiti assai complessi a cui sono ordinariamente e in primo appello chiamate le unità da battaglia; oltre ad assolvere poi compiti specifici, per es., di ammonizione costiera in colonia, trasbordo e sbarco truppe, rifornimenti in alto mare, avvisi, campagne idrografiche, allenamento e scuola; non ultime mansioni certo di una moderna marina militare».74 Dietro ai numeri dell’ingegnere, che con distacco si accinge di nuovo a scrivere di guerra, dopo che una l’aveva segnato fin nel midollo,75 si celano sotterfugi letterari, da gran scrittore, finissimo classicista, intento a scrivere il suo capolavoro, La cognizione del dolore, che appare a puntate su «Letteratura» tra il 1938 e il 1941, esattamente i termini cronologici delle collaborazioni gaddiane con il mensile della Consociazione. Lampi lessicali di un certo raffinato gusto retrò fanno capolino laddove non ci si aspetta: nel notiziario bellico di una rivista considerata oggi come meramente turistica, ma l’autore in questione non è un ingegnere, uno scienziato, un intellettuale o uno scrittore qualsiasi: è tutte queste identità mischiate insieme. Così nell’accezione metonimica del 73 G. Ungarelli, Le occasioni di Gadda, in E. Manzotti (a cura di), Le ragioni del dolore, Carlo Emilio Gadda 1893-1993, Lugano, Edizioni Cenobio, 1993, p. 53. 74 C. E. Gadda, Le marine da guerra delle Nazioni belligeranti…, in «Le Vie d’Italia», anno XLV, n. 11, novembre 1939, p. 1399. 75 Cfr. E. Carta, Cicatrici della memoria. Identità e corpo nella letteratura della Grande Guerra: Carlo Emilio Gadda e Blaise Cendrars, Pisa, Edizioni ETS, 2010. 208 «naviglio» come flotta, e non come corso d’acqua, e nell’articolazione della preposizione «per» riaffiora una classicità greco-latina, non ostentata propaganda da regime, bensì amato sottotesto liceale, avvalorato anche dalla presenza del comune (solo per Gadda) aggettivo «esiziale»: «La offesa del siluro può ritenersi oggi la più grave e pericolosa pel naviglio attaccato e risulta pressoché sempre esiziale alla unità colpita, in quanto la raggiunge sotto la linea di immersione».76 Nella guerra moderna dei sommergibili, riecheggia la traduzione di Pindemonte dei versi 543-551 del dodicesimo libro dell’Odissea, con un Ulisse in balia di forze mostruose sottomarine nello stretto di Messina: «Io pel naviglio su e giù movea, / Finché gli sciolse la tempesta i fianchi / Dalla carena, che rimase inerme. / Poi la base dell’albero l’irata / Onda schiantò: ma di taurino cuojo / Rivestìalo una striscia, ed io con questa / L’albero e la carena in un legai, / E sopra mi v’assisi; e tale i venti / Esizïali mi spingean su l’onde».77 Un topos gaddiano, antecedente ogni retorica fascista, quello libresco della visione classica, antica, della guerra, in nomine Caesaris,78 che conclude anche l’articolo seguente con il riferimento in nota «Da un articolo di Luigi Crema ne “L’Ingegnere” (N. 9, Settembre 1939XVII)»,79 cultore di storia e di architettura romana. Tuttavia Cesare non è da considerarsi auctor mediato attraverso gli studi di Crema: al di sotto dell’excursus sulle tecniche militari romane c’è il De Bello Gallico conosciuto da Gadda a menadito: «Cesare, all’assedio di Avaricum [ndr. Bourges, De Bello Gallico, VII, paragrafi 13-32], fece costruire un agger alto 24 metri, cioè quanto le mura stesse. Assediando Alesia [ndr. De Bello gallico, VII, paragrafi 68-89], la rinserrò dentro un agger di circonvallazione lungo oltre 16 chilometri. Questo agger aveva funzione ossidionale. Un secondo agger, lungo 21 chilometri, concentrico al primo, aveva invece funzione difensiva e proteggeva alle spalle i 76.000 Romani assedianti dalle offese dell’esercito di 240.000 Galli che s’era mosso in aiuto della 76 C. E. Gadda, Le marine da guerra delle Nazioni belligeranti…, art. cit., p. 1396. Il passo di Scilla e Cariddi del resto è ben noto anche alla tradizione virgiliana («Dextrum Scylla latus, laevom inplacata Charybdis / obsidet, atque imo barathri ter gurgite vastos / sorbet in abruptum fluctus, rursumque sub auras / erigit alternos, et sidera verberat unda», Virg., Aen., libro III, vv. 420-3), più seguita da Gadda rispetto a quella omerica, che rimane pur sempre il punto di riferimento della cultura greca gaddiana (Cfr. la voce della «Pocket Gadda Encyclopedia» curata da E. Narducci, Omero, in «The Edinburgh Journal of Gadda Studies», anno 2002, n. 2, supplemento n. 1). 78 C. E. Gadda, Elogio di alcuni valentuomini, in apertura del Castello di Udine: «Sognavo una vivente patria, come nei libri di Livio e di Cesare», in Id., Opere, Romanzi e racconti, vol. I, cit., p. 127. 79 C. E. Gadda, … e le loro forze militari terrestri, in «Le Vie d’Italia», anno XLV, n. 11, novembre 1939, p. 1404. 77 209 città».80 E ancora, altro sottotesto è un meno conosciuto Bellum iudaicum dello storico romano di origine ebrea Flavio Giuseppe, espressamente citato. Prima di questo lungo excursus, costante riattualizzazione del mondo classico, vi è l’analisi delle forze militari terrestri del presente, con il rinvio a un articolo giornalistico: «Sulla traccia di un articolo di Victor, pubblicato dalla Stampa, eccoci a fare questo succinto bilancio».81 In realtà, se si risale a questo non meglio precisato articolo di Victor, ossia Bilancio delle forze in guerra. I quattro eserciti. Come la Germania è scesa in campo e come può affrontare senza timore Polonia Francia e Inghilterra, apparso sulla terza pagina de «La Stampa» il 7 settembre 1939, si scopre che il «succinto bilancio» non è tratto da tale articolo, ma è l’articolo stesso, ridotto da Gadda qua e là, soprattutto nelle sue parti quantitativostatistiche, senza nemmeno cambiar la punteggiatura e aggiustando lievemente soltanto qualche frase di raccordo.82 80 Ivi, p. 1408. Ivi, p. 1400. 82 A partire dalla riduzione-plagio gaddiana, ripubblicata senza un commento completo in C. E. Gadda, I littoriali del lavoro e altri scritti giornalistici 1932-1941, a cura di M. Bertone, Pisa, Edizioni ETS, 2005, pp. 97-108 e disponibile anche online in «The Edinburgh Journal of Gadda Studies», anno 2003, n. 3, supplemento n. 2, per ottenere l’articolo completo di Victor, basterà aggiungere i seguenti paragrafi: alla fine del periodo terminante con «la popolazione è rimasta la stessa»: «Nel 1914 la Francia mobilitò 83 divisioni di fanteria, più di dieci di cavalleria; nel 1915 ne aveva in tutto 97; nel 1916, 110; nel 1917, 117; nel 1918, 113; alla fine della guerra, 112. La forza alle armi fu nel 1916 di tre milioni e 600 mila, di cui la metà circa combattente; e successivamente si mantenne intorno ai due milioni e 900 mila fino alla fine della guerra. Contemporaneamente, le artiglierie aumentavano da 4600 pezzi nell’agosto del 1916 a 11.700 pezzi alla fine della guerra. Vennero mobilitati, in tutto 8 milioni e 400 mila uomini, di cui caddero un milione e 384 mila. Furono feriti 3 milioni, 660 mila resi invalidi e 530 mila fatti prigionieri. L’Africa del Nord e le colonie fornirono in tutto alla Francia — cifre comprese nel totale sopra indicato — 460 mila uomini fra cui le perdite, non precisate, furono letteralmente enormi». Di seguito a «fu la caratteristica principale della grande guerra»: «Nel frattempo, la Germania, avversaria presupposta, avrebbe logorato le sue forze contro i nemici orientali che la politica francese le aveva creato; l’esercito alleato inglese si sarebbe costituito e alla fine i franco-inglesi, in piena efficienza, sarebbero sbucati fuori dalle loro fortificazioni per distruggere l’esercito tedesco, reduce sia pure dai trionfi effimeri riportati in oriente, ma logorato, dissanguato e indebolito dal blocco degli accerchiatori. Questo bel progetto è caduto per una serie di ragioni: anzitutto gli alleati orientali o sono stati distrutti come la Cekoslovacchia o si sono proclamati neutrali, come la Jugoslavia e la Romania o hanno addirittura lasciato, se non cambiato, il campo come la Russia. È rimasta sola la Polonia di cui poi diremo. In complesso, il sogno dell’accerchiamento e del blocco è dunque svanito e tutto il progetto francese è andato a monte. Ma vi ha di più, e cioè che la Germania non vuole ripetere l’errore madornale del marzo 1918, di attaccare cioè la fronte fortificata francese. Essa ha dichiarato di non avere scopi politici in occidente e, in conseguenza, intendendo restare quivi in difensiva, ha costruito una linea Maginot quintuplicata che va sotto il nome di linea o zona Sigfrido, ove attende l’attacco. Infine, la Francia ha perduto il suo alleato belga sul quale fino a due anni or sono faceva il più sicuro affidamento; il Belgio ha dichiarato l’assoluta neutralità armata: esso non intende divenire il campo di battaglia di due paesi contendenti per affari che non lo riguardano. La Francia si trova, dunque, davanti al gravissimo compito di dovere, per i proclamati obblighi verso la Polonia, svolgere una guerra offensiva contro la più potente zona fortificata che sia mai stata costruita, avendo un esercito creato con intenti eminentemente difensivi. Ciò spiega molte cose». Dopo il periodo 81 210 A parte il plagio gaddiano, in questa sede secondaria della rivista, cioè un notiziario seccamente cronachistico, per il quale l’«Ingegner fantasia» non ha comunque esitato a divagare tendendo più alla forma articolistica lunga, le collaborazioni di Gadda sono straordinarie: forse il sogno che il Lüis Vitòri, ingegnere mancato e scrittore «a modo suo», totalmente autodidatta, non ha mai potuto vedere realizzarsi a simili livelli. Quel sogno politecnico, ambrosiano in tutto e per tutto, lo aveva scritto stilisticamente e (pluri)linguisticamente nella Traccia di un grande lavoro che inaugurava nel 1921 «Le Vie d’Italia. Rivista mensile del Touring Club Italiano», e lo aveva proseguito dedicandosi a Postumia, coniugando varianti tassiane alla scientificità del suo sapere speleologico, mai lessicalmente approssimativo e senza troppi inchini ai politici. In circostanze totalmente diverse, con un’Italia non più post-bellica e liberale, gravida di attese, bensì al tramonto del suo totalitarismo e in procinto di gettarsi in una nuova guerra, l’ingegnere della letteratura italiana prosegue fedelmente sulle «Vie d’Italia. Rivista mensile della Consociazione Turistica Italiana» quel progetto, nonostante le accuse di un fascismo gaddiano,83 che si è però sempre misurato nel «Gadda contro Gadda», senza aprirsi alla che termina con «e il materiale»: «Durante la grande guerra passata, l’Inghilterra, che dovette anche allora adottare la coscrizione, inviò in Francia, impiegando tutte le risorse imperiali, le seguenti forze: all’agosto 1914, sei divisioni; a gennaio 1915,12 divisioni; giugno 1915, 22 divisioni (più cinque di cavalleria) ; settembre 1915, 29 ; luglio 1916, 55; aprile 1917, 62; autunno 1917, 59 (più 12 in altri scacchieri), luglio 1918, 59 (più 24 in altri scacchieri)». Di seguito a «dell’impero britannico in armi»: «L’Inghilterra mobilitò in tutto otto milioni e mezzo di uomini, ed ebbe 870 mila morti e un milione e mezzo di feriti. POLONIA. Della Polonia ci siamo già occupati e abbiamo detto come e perché il suo vantato esercito dovesse considerarsi sin dall’inizio delle operazioni virtualmente perduto. Il punto mortalmente debole della Polonia, come già dicemmo, sta nel materiale di armamento e di equipaggiamento assolutamente deficiente e inoltre nella mancanza di un’industria bellica capace di rifornire l’esercito. Si comprende quanto grande sia questa deficienza in un paese che sin dall’inizio delle ostilità, in seguito alla sua folle politica, si è trovato automaticamente separato da ogni contatto con i suoi alleati e col mondo. Altra inferiorità è costituita, come tutti hanno potuto vedere, dalla sua aviazione, composta di svariati tipi, in gran parte invecchiati e acquistati all’estero; infatti fin dal secondo giorno la aviazione germanica ha dichiarato di avere distrutto la maggior parte delle installazioni aeree e degli apparecchi polacchi». Nel paragrafo dedicato alla Germania dopo la frase che si conclude con: «sarebbero circa 200»: «È chiaro, dunque, come sin dall’inizio la Germania abbia una decisa superiorità come numero di Grandi unità su tutti e tre gli avversari riuniti. Ma questa superiorità è destinata ad accrescersi fatalmente dopo la inevitabile distruzione dell’esercito polacco, il quale, attaccato da forze superiori numericamente e tecnicamente, e per di più privo di aviazione, appare destinato a perire in breve tempo». Da aggiungere al periodo che Gadda fa finire con «grande zona fortificata di Sigfrido»: «che conta ben 17 mila opere corazzate e che appare dunque insormontabile a qualsiasi forza umana, anche se difesa da un numero di unità assai inferiore a quelle attaccanti». Infine l’explicit di Victor non si ferma a «quella riunita dei franco-britannici», bensì prosegue più enfatico con: «ma che anch’essa probabilmente si manterrà sulla difensiva onde logorare le aviazioni avversarie contro la sua munita difesa controaerea per poter dire a suo tempo l’ultima parola. Ecco perché la Germania ha dichiarato che intende sbrigare da sola questa guerra e si è accinta ad essa senza tremare affatto di fronte all’intervento e alle provocazioni britanniche, scendendo in campo con animo risoluto e con ferma fede nel finale successo». 83 Cfr. R. Stracuzzi, Gadda: propaganda e ironia (in margine a una recente riedizione di scritti divulgativi), in «The Edinburgh Journal of Gadda Studies», anno 2007, n. 6, p. 7, che classifica i gaddisti 211 contestualizzazione della sua pubblicistica. Lontano anni luce dalle compromissioni di un Solmi e dalle fanfare di un Cozzani, l’ingegner Gadda affronta tutti i grandi temi che tengono maggiormente banco nella rivista della Consociazione, inevitabili nella propaganda acutizzata del regime al capolinea. Oltre alla guerra, come abbiamo visto, v’è la preparazione alla colonizzazione, esterna, ma anche interna (del latifondo siciliano), la bonifica delle terre e le risoluzioni autarchiche in materia economica. Ma sotto i titoli, presumibilmente non di Gadda, bensì redazionali, identificanti il nucleo tematico tramite parole-chiave della retorica imperante, c’è dell’altro. Non si tratta di articoli ossequianti le opere del regime e il suo Duce, peraltro non chiamato in causa per captatio benevolentiae, bensì elogianti il lavoro, la fattività (sostantivo caro al Bertarelli), la cooperazione e il sacrificio di tutti gli italiani, donne comprese. A orientarci nella lettura interviene lo stesso Gadda, che non accenna affatto al fascino e al culto del Mascelluto soprattutto presso il pubblico femminile, come farà con frusta impietosa in Eros e Priapo:84 «C’è da insistere sul “frazione Garbagnate”, sul “Cascina Vecchia” e sul “Laghetto”, perché proprio questi nomi ci dicono lo spirito, la serietà, la fattività d’una gente; ci dicono da quali termini e lontananze della verde campagna, dopo l’opificio e i fratelli e il pollaio, la ragazza biciclettasse alla scuola popolare dell’Impero».85 Altro topos gaddiano che appare nel primo contributo pubblicato sulla rivista, è quello del ritorno dal lavoro in bicicletta,86 con il verbo in colpevolisti come P. Hainsworth, Fascism and Anti-Fascism in Gadda, in M. Bertone e R. S. Dombroski (a cura di), Carlo Emilio Gadda. Contemporary Perspectives, Toronto, University of Toronto Press, 1997, pp. 221-41 e R. S. Dombroski, Gadda e il fascismo, in Id., Gadda e il barocco, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, pp. 124-40; e innocentisti come G. Stellardi, Gadda antifascista, in R. Donnarumma (a cura di), Antinomie gaddiane, in «The Edinburgh Journal of Gadda Studies», anno 2003, n. 3, supplemento n.1. 84 L’autore nell’articolo La donna si prepara ai suoi compiti coloniali, in «Le Vie d’Italia», anno XLIV, n. 10, ottobre 1938, p. 1251, si concentra unicamente sull’operato femminile: «c’è da esprimere la certezza che le donne italiane, ove se ne dia loro l’occasione, sapranno essere in colonia quello che sono in patria: le compagne, le madri, le consolatrici di chi lavora, di chi osa, di chi vince, poiché la vittoria è bene spesso il premio di una volontà senza soste e di una paziente fatica». Sull’altra faccia delle donne del Ventennio secondo Gadda, si legga Eros e Priapo, in Id., Opere, Saggi, giornali favole, vol. II, cit., p. 268: «Polpute gambocce annaspavano con marinettiano simultanismo lungo l’asfalto guerriero, polpone e cicce che bisognava chiamarle “maschie” e mavortine anche loro. Dacché tutto era, allora, maschio e Mavorte: e insino le femine e le balie: e le poppe della tu’ balia, e l’ovario e le trombe di Falloppio e la vagina e la vulva. La virile vulva della donna italiana». 85 C. E. Gadda, La donna si prepara ai suoi compiti coloniali, art. cit., p. 1248. 86 Analizzato nelle varie occorrenze dalla primordiale Notte di luna (antecedente all’esito giornalistico), ouverture dell’Adalgisa, fino alla Cognizione in E. Manzotti, Il prologo dell’Adalgisa. Lettura di Notte di luna. Si vedano in particolare i passi: «Le ragazze, a frotte, tornavano dall’opificio, telaî, o incannatoî, o bacinelle di filanda: biciclette avevano riportato i garzoni dall’incudine», in C. E. Gadda, La cognizione del dolore, in Id., Opere, Romanzi e racconti, vol. I, cit., p. 679; e «La sera vi passano senza rallentare altri ciclisti e pedoni, reduci dal lavoro, con vari abiti e generalmente dimessi: e ragazze un po’ stanche, 212 altrettanto gaddiano «biciclettare» accolto anche nella Cognizione del dolore.87 Anziché aprire poi, come potrebbe esser ovvio per le linee della propaganda, un excursus sulle colonie italiane, alle quali le donne di provincia vengono preparate, il Gaddus, che in quei tempi rimugina la cognizione del suo dolore, lo apre sul cavallo e sul destino: «Il destino è, molte volte, la nostra attitudine o inettitudine a combinare un qualche cosa. Il destino è un cavallo, e da tener con briglia: e la briglia è la nostra fede in un bene possibile e in un meglio probabile, purché vi si spendano attorno intelletto e fatica».88 Purtroppo, il cavallo del tenente Gadda era morto in guerra sul Carso, come il fratello, e di briglie (di fede) non ce ne sono state davvero più, solo intelletto e tanta fatica: così per lui aveva deciso il destino-cavallo.89 Di questi sforzi, Gadda, sempre lamentoso con gli amici e insoddisfatto in primo luogo nei riguardi di se stesso, si sfoga con Lucia Rodocanachi: «Per tirare avanti e per guadagnare qualcosa ho accettato di sobbarcarmi a qualche fatica pamphletaire tecnicopropagandistica, cavandone gloria nessuna, denaro poco, e noia molta».90 Sebbene il denaro elargito dalla Consociazione, come abbiamo visto, non debba essere poi così poco, le energie impegnate sono comunque notevoli, nonostante gli esiti dallo stesso autore vengano giudicati «piuttosto fessi». Questo, stando alla lettera del febbraio 1941 destinata al cugino Piero Gadda Conti (altro collaboratore del mensile della CTI, presenza fissa a partire dal secondo dopoguerra), ove unica consolazione è il fatto di esser riuscito a pubblicare su più giornali i materiali raccolti in un unico viaggio in Sicilia,91 premurosamente inviati anche al critico Enrico Falqui: «Volevo dirti che per il latifondo siciliano ho scritto 3 = tre articoli: uno per la N.A., di cui ti invierò estratto, uno per “Le dai capelli raccolti, uscite dalle fabbriche» in Id., Notte di luna, in Id., Opere, Romanzi e racconti, vol. I, cit., p. 294. 87 Cfr. C. E. Gadda, La cognizione del dolore, in Id., Opere, Romanzi e racconti, vol. I, cit., p. 653: «“Non credo nel vigile… che trasvola… come un’ombra a infilare il bigliettino dentro la serratura… del cancello; che ha duecentocinquanta ville, e relativi boschi, da biciclettargli accanto, nel buio… sperse in tre o quattro comuni…”». 88 C. E. Gadda, La donna si prepara ai suoi compiti coloniali, art. cit., p. 1249. 89 Cfr. C. E. Gadda, Il primo libro delle favole, in Id., Opere, Saggi giornali favole, vol. II, cit., p. 17: «Il cavallo, mandato nel Carso, traeva una carretta bene leggera al ritorno, tutto affidatosi al giurare della Notte. Ma la perjura Notte gli mancò la parola: e la fascia del mattino che guarda era già sul Veliki. Nati dal cielo del mattino fiori atroci, i latrati delle folgori. Agonizzava tra infinite budella, chiedendo perché, perché». 90 C. E. Gadda, Lettere a una gentile signora, a cura di G. Marcenaro, Milano, Adelphi, 1983, p. 129. 91 Cfr. M. Bertone, Introduzione a C. E. Gadda, I littoriali del lavoro e altri scritti giornalistici 19321941, cit., p. 13. 213 vie d’Italia” della C.T.I., con molte fotografie: uno su “La Nazione”: con fotografia».92 Sulle fatiche tecnico-propagandistiche bollate come fesse ci sarebbe ancora da (ri)dire qualcosa, estrapolando qualche passo: «Le fitte alberature degli agrumeti inselvano la vallèa con il loro verde lustro, incupito, come di smalto; fronde e foglie dal contorno ricurvo, preciso, con l’offerta repentina delle loro arance color vèspero, come le vediamo dietro la Madonna in trono e i Santi del Ghirlandaio. Piccole abitazioni rurali si sono collocate umilmente, saggiamente, nella meravigliosa campagna, o verso i poggi a cui non è aliena dolcezza, e una grazia chiara del risalire nel cielo; dove il mandorlo di rada foglia non adombra il granire precoce de’ frumenti, e il tardo popolo degli ulivi, figlio dei secoli, mette i suoi cespi rotondi, scuri, su acclivi arature, e poi su, su, fino a varcare, quasi trasmigrando, le grige spalle del monte».93 È pura ekphrasis lirico-botanica. Tutto il resto (la propaganda) passa in secondo piano: il nucleo permane intatto, i dati del patto colonico dell’agosto 1940 sono in apertura e in chiusura. Non vengono nemmeno seguiti gli schemi consueti del descrittivismo storicoguidistico-toponomastico del Touring strutturante la maggior parte degli articoli della rivista e neppure un approccio autobiografico rondesco al viaggetto in linea col Linati, già sperimentato negli articoli confluiti nel Castello di Udine da un Gadda crocierista. Arrivati a questa altezza cronologica gli interessi di Gadda, non ingegnere fascista tout court, bensì ingegnere-scrittore (pietra miliare per questa rivista), e non ancora scrittore-ingegnere, sembrano essere diversi dalla mera propaganda tecnica. Da rivedere, in tal senso, sono le affermazioni di Dombroski: «Con le seguenti parole, invece, nella nota introduttiva in corsivo all’articolo che inaugura il numero del dicembre 1939 La grande bonificazione ferrarese (“Le Vie d’Italia”, 12, dicembre 1939) Gadda esprimeva la propria approvazione del progetto governativo: “Mentre le operanti provvidenze mussoliniane trasformano in terra da lavoro e da frumento le lande impaludate dal cielo o abbandonate dagli uomini, 92 A. Andreini, Studi e testi gaddiani, Palermo, Sellerio, 1988, p. 173. C. E. Gadda, La colonizzazione del latifondo siciliano, in «Le Vie d’Italia», anno XLVII, n. 3, marzo 1941, pp. 336-7. 93 214 mentre il secolare latifondo è chiamato alla coltivazione intensiva e ferve in tutta Italia la civile fatica della bonifica e del dissodamento, la nostra Rivista è lieta di potersi allineare in ispirito coi combattenti della grande battaglia”».94 Tale nota introduttiva di natura redazionale, conforme ai tempi e alle sue retoriche, non è affatto scritta da Gadda, bensì con una certa probabilità da Attilio Gerelli, e ad essa sarebbe errato ridurre l’intero articolo, il cui sostrato tecnico-quantistico, come ha puntualmente dimostrato Silvestri con anche annotazioni avantestuali,95 è il Bacchelli de Il mulino del Po («quel suo stupendo romanzo storico, e anche idrologico»)96 e di Acque dolci e peccati. Tra le preoccupazioni dell’ingegnere letterato non v’è poi soltanto «il canone di Codigoro», ossia spiegare i processi di bonificazione realizzati attraverso la particolare inclinazione dei canali. V’è pure la glossa, oltre alla citazione, del secondo verso della prima terzina del sonetto carducciano Momento epico (in Rime nuove, libro II): «“ove pianser le Elìadi” la caduta di Fetonte. (Per i navigatori greci dell’Adriatico eran queste le terre di sera; l’Esperia: dove i pioppi e i salici piangono in caduta del Sole)»,97 senza tralasciare una nuova attenzione botanica, questa volta linneiana che ricorda il rigore bertarelliano esemplificato con la Phoca vitulina nel manifesto delle «Vie d’Italia»:98 «Mentre un’esile canna impennacchiata di scuro, la Tipha augustifolia, contende la poca patria a quella parvenza di eriche che sono la Salsula sodii, la Salsula Kali, o ai “brulli”, o ai giunchi, o ai minori steli; e un marezzo scialbo, un brivido di soli- 94 R. S. Dombroski, Gadda e il fascismo, cit., p. 131. Cfr. A. Silvestri, «I 2 Todhunter, i 2 Murani». Gadda e la cultura tecnico-scientifica, in D. Isella et alii, Nella biblioteca di Carlo Emilio Gadda. Atti del Convegno e Catalogo della Mostra Milano marzo-aprile 1999, Milano, Libri Scheiwiller, 2000, p. 64 e seguenti: «Qualche postilla a un testo pubblicato nel ‘39 su “Le Vie d’Italia”, La grande bonificazione ferrarese. La preparazione dell’articolo era stata preceduta da alcuni progetti di viaggio con Contini verso “acque, fiumi, mulino del Po, (...), Ferrara, bonifiche (...)”. […] I progetti si realizzeranno solo in parte: non ci fu il sopralluogo ferrarese, ma sì il soggiorno veneziano, e dagli scaffali di Gadda lo testimonia il catalogo della suddetta mostra del Veronese, che si tenne a Ca’ Giustinian dal 25 aprile al 4 novembre di quell’anno». 96 C. E. Gadda, La grande bonificazione del ferrarese, in «Le Vie d’Italia», anno XLV, n. 12, dicembre 1939, p. 1515. 97 Ibidem. Non stupisca l’urgenza glossatoria gaddiana per il Carducci, un maestro per l’ingegnere, non esente però da critiche riguardo all’uso di un linguaggio metaforico troppo spinto, che perde la via della chiarezza dei nessi logici, essenziali per il Nostro. Cfr. A. Tropiano, Carducci, in «Pocket Gadda Encyclopedia», in «The Edinburgh Journal of Gadda Studies», anno 2004, n. 4, supplemento n. 1. 98 Nel già ricordato manifesto bertarelliano, La traccia di un grande lavoro, le aperture lessicali vanno dai capanni «tucul abissini» alle canzoni in cagliaritano sulla «gente rubbia», personalizzazione dei fenicotteri («su mangoni, su mangoni, allonghia, allonghia!»), dalla «roggia» della Bassa Milanese fino appunto alla specie della «Phoca vitulina» nella Grotta del Bue Marino. 95 215 tudine corre la grigia laguna. Tempo da cacciatori in valle del Po».99 Acutissimo osservatore del paesaggio e delle sue mutazioni per mano dell’uomo-progettista di ingranaggi per fini autarchici, il reporter Gadda è pure un fine ascoltatore: «L’orecchio è occupato da quel carrucolare incessante, che fugge a dissolversi in un lontano brusio; e si avvezza alla fuga perennemente rinnovata come al fluire d’un’acqua montana».100 Niente di tutto questo abbiamo visto esserci nella Bonifica dell’agro pontino di Puccini, altro scrittore-intellettuale tout court, come Cozzani, che quando si cimenta negli scritti tecnico-propagandistici, non possedendo il plurimo sostrato competente dell’ingegnere, lascia galoppare a briglia sciolta la retorica, prospettando in nome del fascismo (cui aveva dedicato anche Credo. Romanzo dell’era fascista),101 un nuovo Eden, postumo alle difficoltà belliche, ottenuto con il sacrificio e con il lavoro, letterariamente di deriva verista: «e i sani ed onesti amori fioriranno a decine, a centinaia: anche quando su Pomezia correrà impetuosa la tempesta».102 Per lui non ci sono limiti settoriali, è stato scritto nella sua bibliografia.103 D’accordo, ed è anche un fine scrittore di novelle e prose di viaggio, ingiustamente dimenticato come ha lamentato Pratolini, però non si cerchi la profondità cognitiva gaddiana, nella sterminata produzione pucciniana. Instancabile attivista culturale, ex vociano, collabora, tra gli altri, con «L’Ambrosiano», «La Nazione», «Roma», e il suo nome compare sulle riviste più svariate: «Il lavoro cooperativo», «Cinema», «Politica sociale», «Reale Automobile Club d’Italia», «Emporium», oltre che su tutti i maggiori periodici del regime: «Arte fascista», «Quadrivio», «Gioventù fascista», «Lavoro fascista», «Mediterraneo», 99 C. E. Gadda, La grande bonificazione del ferrarese, in «Le Vie d’Italia», anno XLV, n. 12, dicembre 1939, p. 1516. Si veda anche la voce Alberi di F. Bertoni nella «Pocket Gadda Encyclopedia», in «The Edinburgh Journal of Gadda Studies», anno 2002, n. 2, supplemento n. 1, testimone dell’amore gaddiano per il mondo vegetale, eccezion fatta per l’infestante robinia. 100 C. E. Gadda, Le funivie Savona-San Giuseppe di Cairo e la loro funzione autarchica nell’economia nazionale, in «Le Vie d’Italia», anno XLIV, n. 12, dicembre 1938, p. 1482. In relazione all’articolo si veda ancora A. Silvestri, «I 2 Todhunter, i 2 Murani». Gadda e la cultura tecnico-scientifica, cit., p. 72, che ne commenta la relazione iconico-testuale: «Le funivie Savona-San Giuseppe di Cairo e la loro funzione autarchica nell’economia nazionale […], non ha fornito elementi utili la consultazione al Burcardo del volumetto della Cokitalia S.A. – riccamente illustrato dal pittore Mario Bacchelli, fratello di Riccardo – La cokeria di San Giuseppe di Cairo nell’anno della sua inaugurazione (Officina Tipografica Gregoriana, Milano 1937). Qui il discorso, e così pure il consistentissimo apparato iconografico, è limitato appunto alla cokeria, mentre Gadda è più attento alle fasi che ne stanno a monte: allo scarico del carbone nel porto di Savona, alle difficoltà di accumularvelo, al trasporto a S. Giuseppe come con “una gru con lo sbraccio di 20 chilometri”; anche le fotografie che illustrano il pezzo di Gadda sulle “Vie d’Italia” hanno questo diverso taglio». 101 Pubblicato a puntate sulla rivista «Gente Nostra» dal settembre 1937 al marzo 1938. Cfr. R. Pirani, Bibliografia di Mario Puccini, Senigallia, Fondazione Rosellini, 2002. 102 M. Puccini, La bonifica dell’agro pontino, art. cit., p. 1429. 103 R. Pirani, Bibliografia di Mario Puccini, cit., p. 34. 216 «Scuola fascista», «Il Popolo d’Italia», «Il tricolore». Dal 1906 al 1957, il marchigiano pubblica un totale di 3.600 articoli su 330 periodici (senza tutti i timori gaddiani: alle volte tre o quattro articoli compaiono il medesimo giorno in sedi giornalistiche diverse, riciclando moltissimo), senza contare le 4.167 novelle, i 1.900 racconti e le 360 traduzioni, soprattutto dallo spagnolo (vedi Unamuno e Blasco Ibáñez). Profondo conoscitore della penisola iberica, dunque, apertamente schierato con il generale Franco,104 esordisce sulle «Vie d’Italia» con un articolo sulla partecipazione italiana nella guerra civile spagnola. Niente numeri e analisi da ingegnere o amoreggiamenti futuristi con la guerra alla Cozzani, Puccini fascisteggia anche qui con la medesima proiezione edenica (non sono ancora arrivati i tempi del carcere a causa del figlio partigiano): «si andrà in quella terra come in un tempio: anche il turista più indifferente, di fronte a questo popolo che ha saputo soffrire e morire con tanta facilità e prontezza per salvarsi, dovrà piegare il suo spirito all’ammirazione […] Sgominate le ideologie pazze, vinte per sempre le forze distruttrici e disgregatrici, la Spagna ritroverà, armoniosa e fedele, se stessa».105 Più pacate (e pregevoli) le prose di viaggio, di cui è prolifico scrittore sotto vari pseudonimi.106 Nel caso delle «Vie d’Italia» si tratta di presentazioni e divulgazioni storico-geografiche dei dintorni natii, marchigiani e umbri, in perfetta sintonia con il costume del Touring, con l’aggiunta di un certo brio stilistico, vicino al Linati col quale aveva pure condiviso l’esperienza dello Studio Editoriale Lombardo assieme a Mino Facchi.107 Tra queste, fa gli onori di casa al Metauro, facendosi beffe degli amati storici latini gaddiani: «Niente impedisce alla nostra immaginazione di ricostruire la gigantesca battaglia, che doveva segnare per i Cartaginesi la sconfitta definitiva e costare tanti morti quanti forse non era costati la battaglia di Canne. Niente lo impedisce, ripeto; perché il mare ha la stessa faccia di 104 Aveva introdotto l’anno precedente il volume anonimo, Testimonianza di tre deputati alla cortes sulla giustizia del fronte popolare spagnolo, Roma, Tip. Ramo Ed. degli Agricoltori, 1937. 105 M. Puccini, Tappe del valore legionario in Spagna, in «Le Vie d’Italia», anno XLIV, n. 11, novembre 1938, p. 1382. 106 Si ricordino il Viaggiatore, il Cicerone, il Girovago, il Giramondo, Lazzarillo, Emmepi, Mario Foresta o Foresti (cfr. R. Pirani, Bibliografia di Mario Puccini, cit., p. 34), non presenti però sul mensile del sodalizio. Molte di queste prose sono poi raccolte in diversi volumi tra i quali : M. Puccini, Viva l’anarchia. Romanzo di un viaggiatore in poesia, Firenze, Bemporad, 1920; Id., L’Argentina e gli Argentini, Milano, Garzanti, 1939 e Id., Milano, cara Milano! Impressioni, incontri e ricordi della Milano di ieri e dell’altro ieri, Milano, Ceschina, 1957. 107 Cfr. A. Modena, Gaetano Facchi. Un editore di cultura alle origini del tascabile popolare, Milano, Fondazione Mondadori e Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, 1999. 217 allora; le colline son le medesime, lo sbocco della valle non ha mutato aspetto; ed anche il Metauro laggiù… Eh, no; è proprio il Metauro che tradisce o compromette la nostra ricostruzione immaginaria, che guasta d’improvviso il nostro incanto. Perché il fiume, oggi, non è più largo di sessanta metri; e vi scorre, sì, una certa quantità d’acqua, ma nessuno avrebbe paura di affrontarla, non diciamo un guerriero montato su un elefante o su un cavallo, ma neppure un ragazzetto di questi contadini che lavorano a pochi passi dalla foce. E vedete com’è l’uomo e, come è, in fondo, povera la sua fantasia! Mancato il Metauro al suo compito di grande fiume non guadabile, noi cominciamo anche a dubitare di quello che gli storici romani chiamarono il monte d’Asdrubale».108 Fin qui, con qualche raffronto pucciniano, le opere del regime nella vulgata gaddiana delle «Vie d’Italia» della Consociazione, che consacrano l’ingegnere finalmente «scrittore» a pieno titolo nel cappello introduttivo all’articolo, Terreno, piogge, fiumi e impianti idroelettrici nell’Atlante Fisico-Economico della C.T.I.: «Nel presente articolo, uno scrittore italiano volge la sua attenzione ad un insieme di dati tra loro virtualmente connessi, portando il suo esame di non-scienziato anzitutto sulla chiara sinossi morfologica del nostro Paese».109 Sul «non-scienziato» scritto dal redattore, Gerelli o Bianchi, ci sarebbe da ridire, visto che l’attività scrittoria del neoautore delle Meraviglie d’Italia (Firenze, Parenti, 1939), non esclude affatto l’indagine e l’analisi scientifica. Anzi, l’anfibio Gadda, né carne, né pesce, ma entrambi, conferisce al noto esametro petrarchesco una terza dimensione, quella geologica, rivendicando un’idea di paesaggio imprescindibile dalla cognizione del suo profondo: «Il paesaggio italiano, questo elemento vivificatore e consolatore della nostra anima, è la risultante di superficie della storia geologica d’Italia, il termine al quale è pervenuta la serie delle vicende di profondità, oggi così felicemente archiviate nelle nostre cognizioni stratigrafiche. Così vorremmo ridire l’esametro petrarchesco, (Salve, cara Deo tellus 108 M. Puccini, Storia, poesia e leggenda del Metauro, in «Le Vie d’Italia», anno XLVII, n. 12, dicembre 1941, p. 1315. Di Puccini sulle «Vie d’Italia» si ricordino anche: Il Perugino, la sua città e il suo presepe, in ivi, anno XLVIII, n. 12, dicembre 1942, pp. 1061-5 e Incontro sentimentale con tre Sante, in ivi, anno XLIX, n. 8, agosto 1943, pp. 617-25. 109 Introduzione a C. E. Gadda, Terreno, piogge, fiumi e impianti idroelettrici nell’Atlante FisicoEconomico della C.T.I., in ivi, anno XLVI, n. 3, marzo 1940, p. 269. 218 sanctissima, salve!110) potenziandone il tono fino al significato più memore, quasi conferendo, a quel filiale grido alpino, una terza e pure amorosa dimensione: la dimensione geologica».111 I richiami testuali portano ai pensieri dell’ingegnere Pietrantoni annotati in Un romanzo giallo della geologia: «non è più pensabile a lui, oggi, poeta, un lirismo “di superficie”, alla maniera dell’Addio! manzoniano. Rimango male: la sua voce ed anima affermano: “il paesaggio non è se non affiorante parvenza della ragione e della causa geologica”. La catena delle cause remote, cioè l’acquisita cognizione del profondo».112 Così la recensione di un atlante diventa qualcosa di più: Gadda lo sfoglia e si concede totalmente e meravigliosamente «con immaginoso trasporto a questo esercizio di lettura, se pur soltanto d’alcuni fogli e tavole: e l’animo sillabava i suoi sogni, come d’un ragazzo “appassionato di carte e di stampe”».113 In tal modo termina l’articolo dell’autore de I viaggi, la morte,114 così come il poeta dello spleen chiude Les fleurs du mal con la poesia Le voyage il cui incipit intona: «Pour l’enfant, amoureux de cartes et d’estampes, / l’univers est égal à son vaste appétit». Come un fanciullo, Gadda sfoglia l’atlante, sfoglia l’Italia, e i luoghi del suo intimo, attraverso le proprie elaborate enumerazioni («singula enumerare, omnia circumspicere», ricorda Roscioni115): «A tavola 8 le “pianure alluvionali non terrazzate” della bassa valle del Po, che conosciamo incise, nell’Emilia, dal greto dei fiumi errabondi o geometrizzate dai canali infiniti della bonificazione ferrarese» (di cui abbiam già detto).116 Risale la penisola, risale l’Appennino, con sinuosità linguistiche, lessicali e retoriche, con similitudini, da lasciar afoni: «Il cretacico ha conferito ai calcari del Velino, del Sirente, quell’albore 110 Incipit dell’epistola metrica di F. Petrarca, Epistole, 3, 34, saluto commosso all’Italia dalla vetta del monte Gebenna, sulle Alpi. 111 C. E. Gadda, Terreno, piogge, fiumi e impianti idroelettrici nell’Atlante Fisico-Economico della CTI, art. cit., p. 269. 112 C. E. Gadda, Un romanzo giallo della geologia, in «Gazzetta del Popolo», 23 dicembre 1934, ora in Id., Le Meraviglie d’Italia, in Id., Opere, Saggi giornali favole, vol. I, cit., p. 147. 113 C. E. Gadda, Terreno, piogge, fiumi e impianti idroelettrici nell’Atlante Fisico-Economico della CTI, art. cit., p. 271. 114 C. E. Gadda, I viaggi, la morte, in «Solaria», anno II, n. 4, aprile 1927, pp. 21-49 e n. 5, maggio 1927, pp. 28-36. 115 Cfr. G. Roscioni spiega l’universo della letteratura gaddiana in La disarmonia prestabilita, Torino, Einaudi, 1974. 116 C. E. Gadda, Terreno, piogge, fiumi e impianti idroelettrici nell’Atlante Fisico-Economico della CTI, art. cit., p. 270. 219 e lucore come di ossa e di teschi, che Leonardo ascriveva alla “percussione delle folgori”; quasi che il cielo operasse un candeggio elettrico delle altissime rocce, dal titano scomparso abbondante alla commiserazione del Sole. Poi sulla vetta del cinabrifero Amiata117 la veduta spazierà sulla vasta e rotondeggiante modulazione dei calcari, delle argille, degli scisti, delle arenarie, d’un resultante color chiaro ed arsiccio, nel luglio, come ocre e pelo di cammello, con lontane quinte azzurrate degli accumuli collinosi del pliocene, là verso Arezzo, o Perugia, o Siena».118 Ha scritto Greco: «Qui il lessico tecnologico acquista una musicalità e un’eccezionale attitudine a sprigionare effetti letterari in insolite leghe e provvisori incontri con linguaggi che si direbbero del tutto inconciliabili».119 Gadda è un Bertarelli all’ennesima potenza: mai presentazione più bella (meravigliosa) poteva essere scritta per una pubblicazione dell’associazione,120 già illustrata da uno dei suoi creatori, Giotto Dainelli, nel 1935,121 quando c’era ancora il Touring, e non la CTI del «Merda», comunque non citato nell’Italia cartografica gaddiana. Non è l’ennesima opera del regime, ma del sodalizio, figlio dei lumi del Cattaneo, dal quale, a livelli diversi, sia Bertarelli che Gadda hanno ereditato la tensione ad una prosa tecnico-scientifica aulica, non esente per legittimarsi da ricercatezze letterarie, ma sempre al contempo divulgativa, glossata, con quel gusto delle note a piè di pagina, come per il conoide: «Conoide di deiezione è quella sorta di aggeratura largamente conica, e per lo più aperta a ventaglio, dei materiali litici e sabbiosi franati o fluitati da una gronda montana. 117 Dato che «del purscell, el se sbatt via nagott» (un lombardo sa bene che del maiale non si butta via niente), la visione dell’Amiata, sempre cinabrifero, la si ritrova nel 1959 in La nostra casa si trasforma (e l’inquilino la deve subire), in «Radiocorriere-TV», anno XXXVI, n. 13, 29 marzo-4 aprile, pp. 16-17, poi in C. E. Gadda, Verso la Certosa, Milano-Napoli, Ricciardi, 1961, ora in Id., Opere, Saggi giornali favole, vol. I, cit., p. 377: «Dalle finestre del Madagascar vedevo nelle sfumature di lontananza l’Amiata, la groppa color cammello del cinabrifero Amiata». 118 C. E. Gadda, Terreno, piogge, fiumi e impianti idroelettrici nell’Atlante Fisico-Economico della CTI, art. cit., p. 270. 119 L. Greco, Censura e scrittura. Vittorini, lo pseudo-Malaparte, Gadda, Milano, Il Saggiatore, 1983, p. 78. 120 Suggerirei ad esempio il raffronto con le propagandistiche presentazioni della guida di Roma, della Tunisia e di un volume sulle vicende belliche a firma di Cozzani: Le nuove pubblicazioni della CTI: Roma, in «Le Vie d’Italia», anno XLVII, n. 1, gennaio 1941, pp. 41-58; Documenti per la fede: «L’Europa e il mondo attraverso due guerre», in ivi, anno XLIX, n. 3, marzo 1943, pp. 193-4 e Documenti per la fede: la «Guida della Tunisia», in ivi, n. 4, aprile 1943, pp. 271-2. Le guide del Cervino, in ivi, anno XLVI, n. 11, novembre 1940, pp. 1231-43, presentate dallo spezzino sono invece un canto montano con un corredo di splendidi primi piani fotografici della gente di montagna. 121 G. Dainelli, L’Atlante Fisico-Economico d’Italia, in ivi, anno XLI, n. 2, febbraio 1935, pp. 82-90. 220 Tipiche le conoidi cretose dei torrenti laterali di una valle, come, per esempio, in Val d’Aosta e Valtellina».122 Circa le idee gaddiane sulla divulgazione tecnica nel campo delle pubblicazioni si ricordi il trittico Divulgazione tecnica pubblicato sull’«Ambrosiano» nel 1932, con particolare riferimento alla rivista «La Science et la Vie»: «Ameremmo questo esempio imitato in Italia, con eguale serietà e facilità. Condizione prima del successo è quella del suddetto interesse pubblico: è l’esistenza di un ceto di lettori che amino conoscere i dati di fatto, il meccanismo palese o segreto della vita e della tecnica – con la finalità di un doveroso orientamento, il quale prepari l’uomo e il cittadino alla ricognizione e alla valutazione dei problemi organici del mondo, che spogli la sua mente e le sue labbra dalle frasi fatte, dai “sentito dire”, dai nebulosi miti, dai facili entusiasmi».123 Giustappunto come le pubblicazioni del Touring «vecchio stile», volte allo «studio prezioso» destinato «ad ogni cittadino colto» affinché veda «il suo paese nei computi di una rappresentazione organata, e non più nella nebbia delle informazioni occasionali».124 4.5 VIAGGETTI La nebbia delle informazioni tecniche in tempi totalitari, e per lo più di guerra, è fitta fitta: Gadda lo sa. Difficile, pressoché impossibile muoversi al suo interno, se non seguendo le rigide direttive del Minculpop. Per questo «Le Vie d’Italia» della 122 C. E. Gadda, Terreno, piogge, fiumi e impianti idroelettrici nell’Atlante Fisico-Economico della CTI, art. cit., p. 270. Il conoide è presente già nel Racconto italiano di ignoto del Novecento: «Le carte di tiro recano gli ovuli rossi, intersezione del conoide lungispruzzante con la montagna». Racconto Italiano, appendice a cura di Dante Isella, in C. E. Gadda, Opere, Romanzi e racconti, vol. I, cit., p. 584. Poi con varianti, compresa la combinazione con l’aggettivo «gretoso», in Id., La Madonna dei Filosofi, Firenze, Edizioni di Solaria, 1931, ora in Id., Opere, Romanzi e racconti, vol. I, cit., pp. 30-1. Sui risvolti parodistici della prosa scientifica gaddiana nei contesti romanzeschi si veda P. Zublena, Il linguaggio tecnico-scientifico nel Gadda narratore, in «Lingua e stile», anno XXXIV, n. 2, 1999, pp. 253-83. 123 C. E. Gadda, Divulgazione tecnica. Accessibilità di una Rivista, in «L’Ambrosiano», 12 aprile 1932, ora in Id., I littoriali del lavoro e altri scritti giornalistici, cit., pp. 41-52. 124 C. E. Gadda, Terreno, piogge, fiumi e impianti idroelettrici nell’Atlante Fisico-Economico della CTI, art. cit., p. 271. 221 Consociazione sono alla ricerca di altre strade da percorrere o da potenziare, per poter «scrivere d’altro» con meno affanni contingenti: «Le Vie d’Italia sono lo strumento più noto con cui intendiamo cooperare alla creazione d’una coscienza geografica nazionale, e d’un orgoglio degli Italiani per la loro patria: rinnovate nella collaborazione letteraria, che è tra le più serie di sostanza e nobili di stile, riordinate e rese più moderne nella impaginazione e illustrazione».125 L’altra faccia delle «Vie d’Italia» della Consociazione è dunque quella squisitamente letteraria e artistica, ancor più rafforzata dai contributi di disegnatori e scrittori, oltre ai già citati Gadda (punto di congiunzione di queste due facce), Cozzani e Puccini (maggiormente duttili rispetto ai tecnici alla celebrazione propagandistica), e, sul fronte grafico, a Parmeggiani e a Codognato. Proprio dal 1937 più assidue diventano le collaborazioni di Carlo Linati, che nel 1929 aveva esordito sulle «Vie d’Italia» con l’articolo Saline e salinari126 e aveva proseguito a collaborare con il Touring con il già citato volume Lombardia della collana «Attraverso l’Italia» e con «Le Vie del Mondo».127 A parte la recensione della mostra Gonzaghiana128 e la propaganda sulla costruzione di nuove strade nell’Alto Adige, gli scritti linatiani non possono che essere ariose prose di viaggio (o meglio di viaggetti), prose sportive e di viaggi insoliti, e infine tentativi di una critica dell’odeporica, anch’essa in movimento. Il moto è la chiave di lettura per eccellenza della produzione di Linati, che pure nello scritto propagandistico, almeno nei propositi titolistici, Fervore d’opere in Alto Adige, pensa più a «un simpatico itinerario turistico»129 che alle opere del regime: «L’ho percorso in una giornata di sole, dopo che un acquazzone era passato sulla vallata a lavarla tutta nei suoi verdi e nel suo oro e ne ho riportato un ricordo veramente piacevole».130 Una menzione in conclusione va a chi ha reso possibile questo giretto, al progresso portato avanti da quell’«esercito d’ingegneri, di minatori, di sterratori, designati a prolungare la conoscenza e la bellezza, fin sotto agli occhi degli 125 Relazione del Consiglio della CTI per l’anno sociale 1940, in «Le Vie d’Italia», anno XLVII, n. 5, maggio 1941, p. 523. 126 C. Linati, Saline e salinari, in ivi, anno XXXV, n. 3, marzo 1929, pp. 185-8 127 C. Linati, Coira, figlia di Roma, in «Le vie del mondo», anno XII, n. 8, agosto 1935, pp. 939-54. 128 C. Linati, Mantova e la Mostra Gonzaghiana, in «Le Vie d’Italia», anno XLIII, n. 5, maggio 1937, pp. 313-21, articolo omesso dalla Bibliografia degli scritti di Carlo Linati, in Id., Il bel Guido e altri ritratti, a cura di G. Lavezzi e A. Modena, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1982, assieme a; C. Linati, Sport popolari, in «Le Vie d’Italia», anno XLVII, n. 11, novembre 1941, pp. 1242-50 e Id., Viaggio con l’Ultralento, in ivi, anno XLIII, n. 3, marzo 1943, p. 223-32. 129 C. Linati, Fervore d’opere in Alto Adige, in ivi, anno XLIV, n. 10, ottobre 1938, p. 1264. 130 Ibidem. 222 inaccessi ghiacciai».131 Ironia della sorte, lo scritto segue giusto il primo articolo tecnico-propagandistico dell’ingegner Gadda, «Gaddone» per il Linati, che con ogni probabilità lo introduce alla redazione di Corso Italia,132 come già poteva essere avvenuto con un altro suo caro amico, Piero Gadda Conti,133 compagno di viaggi memorabili, quasi un figlio, conosciuto nelle sale del «Convegno». Proprio a quest’ultimo Linati dedica un saggio dal titolo Piero, o del tappasciare,134 un manifesto identitario e di poetica estendibile al suo autore, un «tappascion» per dirla con il meneghino, che se ne va «a zonzo senza un programma al mondo», se non quello di conoscere e sperimentare camminando, pedalando, coi piedi e con la penna in ogni dove, come aveva suggerito Carlo Dossi, «il quale in una delle sue colorite e spassose “Note azzurre” prospetta come possibile un viaggio allo scopo di perdersi».135 Alla base del versatile bifrontismo linatiano, al contempo produttore e ricettore del Novecento letterario nostrano e internazionale, traduttore di Joyce, critico di Lawrence e del Manzoni, inviato di terza pagina del «Corriere» e dell’«Ambrosiano», nonché prosatore fine e prolifico, vi è dunque un «viaggiatore lento», che tuttavia non rinuncia a schiacciare il piede sull’acceleratore della propria automobile, con al fianco come passeggero il più timoroso Gaddone.136 Il viaggio in Linati è eletto in tutte queste molteplici attività non meramente a metafora testuale, garante di tale versatilità letteraria, ma a linfa creativa che, insita nel corpo, pervade ogni sua ricezione e produzione. Tale centralità è visibile già in superficie: «Pochi scrittori, come Carlo Linati, danno a conoscere il proprio gusto e vocazione già dal titolo dei loro libri: I doni della terra, Nuvole e paesi, Sulle orme di Renzo, Amori erranti, Passeggiate lariane, A vento e sole, Aprilante [non dimenticherei Natura e altre prose selvatiche, Memorie a 131 Ivi, p. 1272. Circa i rapporti di stima e affetto reciproci, instauratisi tra Linati e Gadda, rimando alla manciata di lettere redatte dall’autore della Cognizione, commentate e pubblicate da Cerboni Baiardi, Diciotto lettere di Carlo Emilio Gadda a Carlo Linati, in G. Arbizzoni e M. Bruscia (a cura di), Studi per Eliana Cardone, Urbino, Università degli Studi di Urbino, 1989, pp. 265-87. In esse non si fa riferimento alla rivista del Touring, ma molte di queste testimonianze lacunose presentano datazioni coeve agli scritti gaddiani delle «Vie d’Italia» e confermano, oltre alla volontà gaddiana di disfarsi della sua ossessione per la villa di Longone grazie all’aiuto del comasco, la solida amicizia nata agli inizi degli anni Trenta, con un Linati tramite fondamentale per l’ingegnere negli ambienti culturali e giornalistici lombardi. 133 P. Gadda Conti, La giovinezza italiana di Giacomo Callot, in «Le Vie d’Italia», anno XLIII, n. 12, dicembre 1937, pp. 867-75. 134 P. Gadda Conti, Concerto d’autunno, Milano, Pan, 1976, pp. 46-47. 135 C. Linati, Viaggi bizzarri, in «Le Vie d’Italia», anno XLVII, n. 9, settembre 1942, p. 829. 136 C. E. Gadda, Con Linati, a grande velocità, a cura di C. Vela, in «I quaderni dell’ingegnere», n. 1, 2010, pp. 21-42. 132 223 zig zag e Arrivi]… Vocazione di scrittore all’aria aperta».137 Un’affermazione che ben si può estendere anche alla maggior parte dei contributi pubblicati sul mensile, molti di questi inseriti nelle raccolte supra citate: Uccel di bosco. Sulle orme di Renzo in fuga, Cortina d’Ampezzo. Itinerari sciistici, Palinuro. Sulle orme di Enea, A zonzo per canali e lagune, Viaggi bizzarri, Viaggio con l’Ultralento e Salti di cefalo.138 Il movimento linatiano si coniuga all’indagine letteraria (o meglio geo-letteraria), allo sport tout court, e, ovviamente, ai luoghi. Si vedano nel caso delle «Vie d’Italia» il natio Lario, Il Biellese e la Val Sarentina.139 Ovunque v’è un Linati in movimento, sugli sci, sul calesse, sullo schiacciasassi, a nuotare nelle grotte d’Enea, in bicicletta sulla via di Renzo, a passeggio, o come dice lui a zonzo all’aria aperta. Si tratta di narrazioni di viaggio, ove finalmente imprescindibile è la messa in scena dell’io-traveller, in questo caso un intellettuale formidabile sportman, e non di elzeviri e bozzetti storicopaesaggistici, cui il Touring ci ha abituato con il suo progetto illustrativo «Attraverso l’Italia». Per l’inventore dell’adagismo (oggi noto come slow foot), non solo il paesaggio è importante, lo è anche chi lo percepisce, in che modo, e a bordo di quali mezzi. Il manifesto che sorregge la sua celeberrima biciclettata sulle strade manzoniane, ripresa dopo quasi un ventennio sulle pagine del mensile, è custodito nell’insolita prosa di viaggio, sul mezzo di locomozione (!) più lento che esista: lo schiacciasassi, in squisita polemica con «l’andazzo del mondo e la sua furia ossessa», per non perdersi davvero nulla con taccuino alla mano di un paesaggio umano, custode di stratificazioni naturali e letterarie: «ho sempre pensato che l’uomo riceve dal paesaggio sensazioni diverse secondo il sistema di locomozione ch’egli usa. Andando a piedi ne ritrae una sensazione di calma idillica, arcadica, direi di antichità classica, omerica. Le cose intorno gli si dispiegano e muovono 137 A. Bocelli, Lo scrittore pellegrino, in «Il Mondo», 31 dicembre 1949, p. 8. Oltre al già citato C. Linati, Uccel di bosco. Sulle orme di Renzo in fuga, per i restanti articoli ecco i riferimenti bibliografici: Id., Cortina d’Ampezzo. Itinerari sciistici, in «Le Vie d’Italia», anno XLIV, n. 3, marzo 1938, pp. 335-42; Id., Palinuro. Sulle orme di Enea, in ivi, anno XLV, n. 2, febbraio 1939, pp. 176-85, poi in Id., Aprilante, Roma, Tumminelli, 1942; Id., A zonzo per canali e lagune, in «Le Vie d’Italia», anno XLVI, n. 5, maggio 1940, pp. 498-509; Id., Viaggi bizzarri, art. cit.; Id., Viaggio con l’Ultralento, art. cit., poi in Id., Arrivi. Racconti, Milano-Roma, Rizzoli, 1944 e Id., Salti di cefalo, in «Le Vie d’Italia», anno LII, n. 3, marzo 1946, pp. 224-30. 139 C. Linati, Ultima Tule lariana, in ivi, anno XLIV, n. 4, aprile 1938, pp. 452-63, poi in Id., Passeggiate lariane, Milano, Garzanti, 1939; Id., Il Biellese, in «Le Vie d’Italia», anno XLIV, n. 8 agosto 1938, pp. 962-71, poi in Id., A vento e sole, cit.; Id., Val Sarentina, in «Le Vie d’Italia», anno XLV, n. 5, maggio 1939, pp. 648-63, continuazione dell’articolo Fervore d’opere in Alto Adige. 138 224 linearmente, una dopo l’altra, con ordine, in tutta la loro semplicità antica. e disposizione […] Ma questa sensazione ecco che gli si fa impressionistica, se va in bicicletta. Allora paesi e vedute, pur mantenendo a lui una certa lor pacatezza, acquistano ai suoi occhi un che di mescolato e di frammentario; e ciò anche per quella facilità eccessiva e disinvoltura che ha la bicicletta di giravoltarti or di qua or di là e di mutare davanti a te, in un attimo, i vari punti cardinali. Dalla diligenza e dalla carrozza tu hai la sensazione di una natura un po’ da andeghee,140 un po’ sul tipo delle stampe ottocentesche, mentre eroica e guerresca è quella che ne ricevi di sulla groppa del cavallo, con l’odor eccitante dei finimenti e del sudore equino che ti ferisce le nari e conferisce al tuo viaggio un’emozione ariostesca e napoleonica. E non parliamo del treno e dell’auto, per i quali la natura quasi più non esiste che per cedere il passo alla pura velocità, o si dà a vedere soltanto sotto forma di un frego di cose scappanti e inafferrabili».141 Passati in rassegna velocemente, come dal treno, direbbe Linati, questi contributi, spesso splendidamente raccontati anche graficamente dall’amico Mario Vellani Marchi, verrebbe da dire che il suo moto (lento) è quasi perpetuo: «È probabile che Linati finisca di scrivere quando finirà di camminare e siccome le gambe le ha veramente buone così è anche probabile che scriverà ancora per un pezzo»,142 gli augura l’amico 140 In milanese come aggettivo significa «antiquato», come sostantivo, di cui è arcaico l’uso, «antiquario». 141 C. Linati, Viaggio con l’ultralento, art. cit., pp. 230-2. 142 D. Tessa, Carlo Linati e il suo ultimo libro, in «Corriere del Ticino», 14 luglio 1939, poi in Id., 225 Delio Tessa, anch’egli, guarda caso, nuovo collaboratore della Consociazione. Il contributo di quest’ultimo è uno soltanto, ma denso di significato, non solo per la letteratura di De Marchi, ma anche per i tempi che corrono, specialmente a Milano. E Dante Isella non se l’è lasciato sfuggire.143 L’avvocato milanese, poeta dialettale sublime e antifascista, necessariamente isolato dal suo tempo, «come uno che fosse rimasto indietro con la moda di qualche decennio»144, passa inosservato nel Ventennio. Si accorgono di lui soltanto Croce, Linati e Pancrazi, e la Mondadori di Rusca che gli pubblica nel 1932 L’el dì di mort, alegher! Per il resto, per lui solo silenzio e le collaborazioni all’«Ambrosiano» e al «Corriere del Ticino», oltre a questo ritratto di una Milano demarchiana, liberal-democratica, defunta sotto «la cenere delle battaglie»,145 per lasciare il posto a una «brutta» («e mal combinata», ha aggiunto Gadda) città.146 Così l’incipit: «Ho fatto a tempo a vederlo; già stava per morire, ma l’ho visto. Ora è morto del tutto. Era un piccolo mondo, così piccolo che al suo confronto quegli altri due del Fogazzaro, l’antico e il moderno, sono grandi assai. […] Le ragazze della filanda tornavano la sera tardi da Cernobbio, dopo aver guadagnato ottanta centesimi – me le ricordo anch’io; tornavano ai loro paesi, a Moltrasio, a Urio, a Carate, a Torriggia persino; tornavano stanche, a crocchi e non cantavano…».147 Quell’epoca, tardo ottocentesca, quando il Touring era nato, del «scrív ciar»,148 «un po’ da andeghee», era già finita con il Cesarino Pianelli del De Marchi, poiché, appunto, «il mondo è cattivo ed è mal combinato».149 Percorsi geoletterari d’autore come questi, nella rivista della Consociazione, non Critiche contro vento. Pagine ticinesi 1934-1939, a cura di G. Anceschi, con nota di G. Orelli, Lugano, Casagrande, 1990, p. 229. 143 L’articolo di D. Tessa, Emilio De Marchi e il suo mondo, in «Le Vie d’Italia», anno XLIV, n. 6, giugno 1938, pp. 706-18, è infatti incluso nella Bibliografia delle prose giornalistiche, in Id., L’el dì di mort, alegher! De là del mur e altre liriche, a cura di D. Isella, Torino, Einaudi, 1985, ove vi è segnalata anche la ri-pubblicazione postuma in «La Martinella di Milano», anno V, n. 12, 1951, pp. 606-10. 144 C. Linati, «El Tessa», in Il bel Guido e altri ritratti, cit., p. 60. 145 A evidenziare un comune sentire gaddiano-tessiano, cfr. C. E. Gadda, Accoppiamenti giudiziosi, Milano, Garzanti, 1963. 146 D. Tessa, Emilio De Marchi e il suo mondo, cit., p. 707: «Nonostante la réclame che le ha fatto Stendhal, Milano è sempre passata per una brutta città» e C. E. Gadda, Libello, in «L’Ambrosiano», 28 ottobre 1938, p. 7: «Milano è una brutta e mal combinata città». Il fascicolo delle «Vie d’Italia» contenente l’articolo di Tessa è presente anche nella Biblioteca gaddiana del Burcardo, cfr. A. Cortellessa e G. Patrizi (a cura di), La Biblioteca di Don Gonzalo. Il Fondo Gadda alla Biblioteca del Burcardo, Bulzoni Editore, Roma, 2001. 147 D. Tessa, Emilio De Marchi e il suo mondo, cit., p. 706. 148 Cfr. Ibidem: «“Me raccomandi, dottor…” E el dottor, a sua volta, si raccomandava alla cliente: “Che la scriva ciar, per caritaa, se de nò el scior Fumagalli…”». 149 Ivi, p. 710. 226 sono più casi isolati, bensì una consuetudine. Talvolta sono ancora meri ritratti legati alle ricorrenze, come sotto la direzione bognettiana, altre volte idee per itinerari di un turismo letterario. Numerosi e da non sottacere sono gli esempi: già nell’aprile 1937, il fedelissimo del Touring e del «Corriere», Augusto Guido Bianchi svela le verità dell’amico Pascoli, rivisitate da Cozzani150 e nei mesi a seguire il prolifico Salvator Gotta, l’autore dell’inno del PNF, rammenta la casa del suo «maestro» Gozzano, il critico Titta Rosa, oltre alle sue prose di viaggio, lascia sul mensile un ricordo del Lucini e una celebrazione del paesaggio verghiano, Michele Saponaro segue il Foscolo a Como, Bino Sanminiatelli si muove nella sua Toscana e tra gli altri contributi odeporici spicca Il paese di Pinocchio, mentre a occuparsi delle Tre Corone intervengono il futurista Buzzi per il Petrarca e dal «Popolo d’Italia» Giuseppe Villaroel per Dante e Boccaccio. Gotta, oggi dimenticato romanziere del Ventennio,151 si sposta nella cerchia del suo Piemonte e consegna al mensile piacevoli contributi: il ritratto di Vincenzo Lancia, fondatore dell’omonima casa editrice e due prose di viaggio: una dal Lago Sirio d’Ivrea152 con tanto di sua foto personale, vacanziero in giacca e cravatta su uno scoglio in mezzo al bacino, e una da Aglié, ove sorge appunto la ben conosciuta casa del Gozzano. Con il poeta crepuscolare assieme a Borgese, Frassati e Pastonchi condivide gite e ricordi, che affiderà al volume autobiografico Tre maestri (Milano, Mondadori, 1975), ossia Fogazzaro, Giacosa e Gozzano. Una piccola anteprima è data in questo articolo, che vede Gotta ritornare con la memoria dopo anni ad Aglié e percorrere quelle stanze da «Amica di nonna Speranza», con «il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti, / i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro».153 Con affetto entra in 150 A. G. Bianchi, Giovanni Pascoli. Verità e leggenda, in «Le Vie d’Italia», anno XLIII, n. 4, aprile 1937, pp. 242-7. Del solido legame d’amicizia tra il poeta schivo e il giornalista ne è testimonianza il Carteggio, a cura di M. Montibelli, Milano, La Nuova Italia, 2001. 151 Dopo gli esordi fogazzariani de Il figlio inquieto (Milano, Treves, 1917) e con il ciclo familiare de I Vela, all’autore del best seller per ragazzi Il piccolo alpino (Milano, Mondadori, 1926), Bonaventura Caloro ha riconosciuto il merito «di averci dato un affresco ben colorito di un’Italia che era in ascesa sul cammino del progresso civile e industriale e che andava formando una classe sociale, la ricca borghesia, che via via si sprovincializzava, prendendo gusto a un raffinato tenore di vita sull’esempio di Francia e d’Inghilterra. Questa civilissima Italia è rientrata un po’ nell’ombra […] ma orgogliosa di sentirsi una collettività sana, onesta, dignitosa e patriottica», in B. Caloro, Ricordo di Salvator Gotta nel primo anniversario della morte, Rapallo, Circolo degli Amici di Santa Margherita Ligure, Officine Grafiche Canessa, 1981, p. 13. 152 S. Gotta, Lancia, pioniere dell’automobilismo, in «Le Vie d’Italia», anno XLIII, n. 4, aprile 1937, pp. 228-7 e Id., Il lago Sirio d’Ivrea, in ivi, anno XLVIII, n. 8, agosto 1942, pp. 724-8. 153 S. Gotta, La casa di Guido Gozzano, in ivi, anno XLIII, n. 8, agosto 1937, p. 546. 227 quella casa «adesso […] affittata, per metà ai Reali Carabinieri; il giardino è diviso in due parti da una rete metallica, oltre la quale – chissà perché – furono abbattuti i begli alberi secolari. Nella prima sala a terreno c’è il Fascio Femminile. L’ultima volta che mi vi recai, uno sciame di ragazzine, con le loro maestre, stavano preparando i pacchi per la Befana Fascista. Ebbene, penso che non sarebbe dispiaciuto a Guido questo fervore di giovinezza».154 Altra anteprima di ritratti e itinerari geo-letterari di celebri poeti è costituita dal contributo dello scrittore regionale leccese, d’adozione milanese, Michele Saponaro, che nel 1938 dà alle stampe Vita amorosa ed eroica di Ugo Foscolo, per Mondadori, cui seguiranno Leopardi, Mazzini e Michelangelo. Nel gennaio del 1938 Saponaro sul mensile si concentra sui soggiorni e sugli amori lacustri del Foscolo, accompagnando il testo con cartoline e stampe ottocentesche delle ville, ove il poeta era passato.155 Un nuovo accompagnamento paratestuale sarà invece presente il mese successivo con il suo articolo montano, Assalto al Cervino, che inaugura l’inserzione nel mensile dell’utile cartina degli itinerari sciistici, presente anche nel pezzo di Linati da Cortina, e testimone di un interesse sempre crescente verso gli sport invernali.156 Di un anno prima, il 1937, è l’esordio di Bino Sanminiatelli sulla rivista e più precisamente nel mese di luglio, aperto in copertina dal dipinto del maestro paesaggista, d’adozione toscana, Domenico Baranelli, consacrato al Castello di Brolio nel Chianti, come questo primo articolo in questione. Al pari di Baranelli, lo scrittore toscano si dimostra essere mirabile paesaggista: «nel paesaggio – diceva Cecchi – è la sua più diretta posizione di canto. Può capitargli di atteggiare un personaggio che riesca meno convincente ; ma è molto difficile gli capiti di evocare un paesaggio a vuoto […] E se dinanzi a tali pagine c’è qualcuno che storce il muso, per motivo che ormai bozzettismo, “macchiaiolismo” e simili son sorpassati, ditegli pure, senza neanche bisogno di riscaldarvi, che ne capisce poco».157 Dalla Consociazione in una presentazione 154 Ibidem. M. Saponaro, Ugo Foscolo a Como, in ivi, anno XLIV, n. 1, gennaio 1938, pp. 84-9. 156 M. Saponaro, Assalto al Cervino, in ivi, n. 2, febbraio 1938, pp. 206-11. Sempre di Saponaro, vd. anche: Evoluzione del paesaggio, in ivi, anno XLII, n. 3, marzo, 1936, pp. 193-204, articolo contenutisticamente vicino al viaggio di Linati con l’ultralento, sulla modernità e la velocità dei viaggi e Id., Un giorno ad Assisi, in ivi, anno XLIV, n. 12, dicembre 1938, pp. 1485-91. Continuerà a collaborare col mensile anche nel secondo dopoguerra con un intervento ancora inerente al paesaggio italiano, visto questa volta dalla prospettiva della rappresentazione e interpretazione pittorica: Il paesaggio italiano in una Mostra alla Permanente di Milano, in ivi, anno LX, n. 7, luglio 1954, pp. 845-53. 157 E. Cecchi, Di giorno in giorno. Note di letteratura italiana contemporanea (1945-1954), Milano, 155 228 redazionale è definito con una certa enfasi, legata piuttosto al suo profilo biografico di viticoltore, «scrittore agricoltore»158 in occasione del primo Convegno per il miglioramento della vita rurale. In realtà il ruralismo di Sanminiatelli è infinitamente lirico e pittorico. I bozzetti tendono al poemetto in prosa e parimenti raffinati sono gli schizzi grafici di case, piccioni e galline, forzando la tradizione rurale-bozzettistica del realismo toscano, verso una meditazione critico-sociologica. Emerge un mondo contadino, con le sue regole semplici e feudali e con la sua arte «come quella di saper tirare su ben lunate le corna delle giovenche, abbicare il fieno in piombo, costruire muri a secco».159 Le incanalature strapaesane sembrano fuori luogo per Sanminiatelli: sinuoso corre lo sguardo sui dettagli, sul vezzeggiativo e sull’aggettivo pittorico e rivelatore, «i maialetti vanno mangiando la ghianda e una contadinella fa la calza mentre bada a poche pecore magre e a una giovenca inselvatichita».160 Il tempo par fermarsi nella tranquillità delle sue pennellate descrittive: «un po’ d’orto, un po’ di pollame, un po’ di fiori e una gran pace posata tra i muri del chiostro»,161 ci pone all’ascolto del silenzio dei luoghi,162 topos sanminiatelliano confermato anche in queste prose. Ha scritto Pancrazi: «Diciamo che questi scrittori trovano ogni volta la loro pace nello scrivere; lo scrivere li faceva sereni».163 Eppure lampi stilistici degli esordi futuristi, dettati dalla storia, si stagliano nel suo canto amebeo contemporaneo: «Lontano è ormai il tempo dell’escursionismo romantico e degli storici elegiaci e paesisti, il regno della pace silvana e il dolce suono d’agreste zampogna dei pastori che pascolano i loro greggi, seduti all’ombra di annose querci o sulla pietra dei monumenti. Trenini, sfilate guerresche, di trattori, enormi cumuli di carbone, carbonaie fumanti, cantieri, schianti di alberi abbattuti, alacre vai e vieni di carri, automobili, biciclette (Tante donne in bicicletta, come si usa nella Val Padana, per Garzanti, 1977, p. 278, citato anche da G. Luti, Sanminiatelli dall’avanguardia a Vignamaggio, in B. Sanminiatelli, Paesaggio meccanico. Scritti dell’avanguardia, a cura di G. Vanghetti, Firenze, Vallecchi, 1992, p. 83. 158 Introduzione redazionale a B. Sanminiatelli, Case rurali in Toscana, in «Le Vie d’Italia», anno XLIV, n. 8, agosto 1938, p. 988. 159 B. Sanminiatelli, Chianti, in ivi, anno XLIII, n. 7, luglio 1937, p. 496. 160 Ivi, p. 490. 161 Ivi, p. 492. 162 Cfr. Fausto Pettinelli, Introduzione. Sanminiatelli o la filosofia del silenzio, in F. Romboli, Le ragioni della natura. Un profilo critico di Bino Sanminiatelli, Chieti, M. Solfanelli, 1991. 163 P. Pancrazi, I Toscani dell’Ottocento, Firenze, Bemporad, 1924, pp. VII-IX, ripreso in F. Romboli, Le ragioni della natura. Un profilo critico di Bino Sanminiatelli, cit., p. 43. 229 quelle vie diritte e piatte come canali)».164 Il Novecento irrompe con fetori anche nel paese di Pinocchio, appunto detto «Pinocchio», contrada fiorentina, ove: «Quel che rende quella via più paesana che campestre è il passaggio del tram, son le rotaie: rotaie dimenticate, perdute fra i mentastri polverosi dove finiscono i rifiuti della strada».165 Bisogna addentrarsi nelle «vie escluse al mondo, che si consumano in silenzio attraverso a un succedersi continuo di cose sempre ferme e sempre impreviste. Gli anni passano su di loro in un seguito di piccoli avvenimenti comuni e meravigliosi».166 E qui Sanminiatelli ci apre il mondo fiabesco ritratto dal Lorenzini a cinquant’anni dalla sua morte, rievocato anche dal paratesto costituito dagli acquarelli di un altro celebre disegnatore toscano, la cui vena comica e corposa ricorda quella di Bisi, ossia Piero Bernardini, già illustratore per Bemporad della saga per bambini.167 Altro elemento iconico che conferisce dinamismo alla pagina, insinuandosi tra testo e tavole è l’iterazione del saltellante burattino di legno, elaborazione grafica che ricorda quelle di Parmeggiani. P. Bernardini in B. Sanminiatelli, Il paese di Pinocchio, in «Le Vie d’Italia», anno XLVI, n. 11, novembre 1940, p. 1245 e, a fianco, D. Baranelli schizza la Piazza del Campo senese in G. Titta Rosa, Bizzarro viaggio in Toscana, in ivi, anno XLIX, n. 4, aprile 1943, p. 297. 164 B. Sanminiatelli, Il Circeo e l’Agro Pontino, in «Le Vie d’Italia», anno XLIV, n. 3, marzo 1938, p. 296. Altre due prose di viaggio di Sanminiatelli che mancano all’appello bibliografico sono: Id., Siracusa, in ivi, anno XLVI, n. 4, aprile 1940, pp. 378-5 e Id., Volterrana e Volterra, in ivi, anno XLVIII, n. 4, aprile 1942, pp. 382-91. 165 B. Sanminiatelli, Il paese di Pinocchio, in ivi, anno XLVI, n. 11, novembre 1940, p. 1245. 166 Ivi, p. 1246. 167 Cfr. la trilogia uscita da Bemporad nel 1924 di P. Bernardini, Pinocchio; Id., Pinocchio in Affrica e Id., Il segreto di Pinocchio. Di lui si è occupata P. Pallottino, L’asso degli illustratori. Piero Bernardini, con introduzione di M. Luzi, Bologna, Cappelli, 1979. 230 Parimenti di rilievo grafico sono i bozzetti a china ancora del Baranelli a corredo del viaggio «bizzarro» di Titta Rosa in Toscana, collaboratore dagli anni Quaranta. Delizioso taccuino di viaggio, grafico-testuale, che cerca l’itinerario anticonformista, lontano dalle spiagge già all’epoca affollate dai «bagni di mare» reclamizzati dal regime. La ricerca porta casualmente alla casa del Machiavelli, in una gita con «la macchina lanciata quasi a rompicollo»,168 ove lo sguardo non può altro che descrivere cinematograficamente il paesaggio, tuttavia con grazia stilistica, consona a uno dei maggiori critici letterari italiani, per il quale «dei viaggi è un po’ come di certe letture, di certe scoperte di libri. Ve ne sono alcuni che, una volta letti, si raccontano al primo amico che incontri, e quasi sempre si dimenticano […]; ve ne sono altri che, appena ti capita, torni a rileggerli, e sempre che puoi ci rivai col ricordo, e col desiderio del nuovo godimento che sicuramente ti offriranno».169 Una letterarizzazione del viaggio, se così si può dire, che culmina alla fine del Ventennio, quando la guerra impazza o è ancora nell’aria e forse un itinerario libresco e memoriale sembra essere l’unico viaggio concesso. Dunque oltre ai petits circuits dalla terra di casa del Nostro, l’Abruzzo, e gli elogi della sana villeggiatura in bicicletta alla Oriani e alla Panzini coi disegni di Bruno Angoletta,170 ecco l’analisi dell’opera verghiana incentrata sulla chiave interpretativa del paesaggio siciliano come elemento drammatico e non descrittivo,171 e infine il ricordo, in apertura del mese di luglio del 1943, del centenario dalla nascita di Renato Fucini, che «al paese toscano fra monti e maremma […] ha dato, per primo, cittadinanza letteraria; da ciò anche la sua fortuna di scrittore».172 Anche il futurista Paolo Buzzi negli stessi anni Quaranta si occupa di paesaggi letterari, nel suo caso petrarcheschi, con un articolo sfuggito agli spogli bibliografici, che vede la Milano del Poeta ancora campestre e non «la cementizia bolgia e l’Asfaltide tentacolare d’oggigiorno».173 Tuttavia l’urgenza autoriale del futurista civile dal 168 G. Titta Rosa, Bizzarro viaggio in Toscana, in «Le Vie d’Italia», anno XLIX, n. 4, aprile 1943, p. 296. Ivi, p. 291. 170 G. Titta Rosa, Elogio di questa villeggiatura, in «Le Vie d’Italia», anno XLVIII, n. 8, agosto 1942, pp. 743-7. Per gli altri itinerari del critico si vedano: Id., Fra il lago e il monte della Sibilla, in ivi, anno XLVII, n. 5, maggio 1941, pp. 529-37; Id. Immagini dell’Aquila, in ivi, n. 10, ottobre 1941, pp. 1107-18; Id., Le opere e i giorni, in ivi, anno XLVII, n. 11, novembre 1941, pp. 1197-209; Id., La campagna in città, in ivi, anno XLVIII, n. 7, luglio 1942, pp. 648-55; Id., La chiesa di S. Satiro, in ivi, anno XLIX, n. 1, gennaio 1943, pp. 57-62. 171 G. Titta Rosa, Il paesaggio di Sicilia nell’opera di Giovanni Verga, in ivi, anno XLVI, n. 9, settembre 1940, pp. 1000-9. 172 G. Titta Rosa, I cent’anni di Fucini, in ivi, anno XLIX, n. 7, luglio 1943, p. 529. 173 P. Buzzi, Petrarca e il ciel di Lombardia, in ivi, anno XLVII, n. 4, aprile 1941, p. 439, non presente in 169 231 paesaggio si sposta verso l’impegno politico del Petrarca e la profezia di una «Italia gloriosa come ai tempi d’oro dell’Impero di Roma: per virtù di quel latin sangue che tanto è più puro quanto più scorra nelle vene d’una gente di ferro e di valore armata».174 Una militanza civile (e imperialistica), quella del poeta milanese degli Aeroplani, che ritorna anche negli altri contributi, in particolare nella prosa di viaggio natalizia da un Egitto lunare, consono al suo «titanismo fantastico»,175 attraversato sfrecciando sull’autostrada: «la macchina sfida silenziosa il cosmo delle ocre dove lo sciacallo è padrone. Falangi di fusti, vuoti di carburante ma ricolmi di sabbia, segnano, a guisa di paracarri, i bordi della strada […] torna l’abbandono cosmico, quasi angoscioso. Dove siamo? Nella luna? Ci si sente vivi, sì, ma come al margine dei sensi, portati attraverso le distanze pallide da una carovana di spettri».176 Da spiriti magni, non da spettri, sono abitate note dimore nelle quali Giuseppe Villaroel, con un pluralis maiestatis includente la sfera ricettiva dei lettori, si muove da inviato. Il poeta siciliano dagli esordi dannunziani, pluripremiato e critico letterario del «Popolo d’Italia», e il suo pubblico si inoltrano nella casa che fu del Boccaccio «agitati da un senso di riverenza e di sgomento»,177 che nel caso dantesco si traduce in «strano senso di smarrimento» nella stanza del castello dei Malaspina: «Va da sé che è tutta ricostruita; ma noi abbiamo l’illusione che così fosse quando il Poeta vi sostò».178 Ma Villaroel assieme ad altri scrittori regionali non è solo l’ennesimo poeta degli itinerari turistici geo-letterari: il conflitto incombe anche sulla penisola, non soltanto sui lontani fronti coloniali e dell’Asse. Questi e Stanis Ruinas inviano reportages di mobilitazione alla guerra dalle loro isole, le più grandi, fulcro del Mediterraneo, rispettivamente la Sicilia e la Sardegna. «Chi immagina la terra assolata attraverso la tradizione e il folclore vede una Sicilia coreografica, primitiva, festaiola, tragica, solenne, elementare, che non è più la Sicilia di oggi»,179 romana e risorgimentale, tutt’uno con l’Italia. Un atto di fedeltà militare è sancito con ancor più vigore dal giornalista e scrittore sardo, fascista intransigente di sinistra, celebre per il suo Viaggio per le città di Mussolini M. Buzzi (a cura di), Bibliografia generale di Paolo Buzzi, Torino, L’impronta, 1959. 174 P. Buzzi, Petrarca e il ciel di Lombardia, art. cit., p. 443. 175 Cfr. G. Ravegnani, G. Titta Rosa (a cura di), L’antologia dei poeti italiani dell’ultimo secolo, Milano, A. Martello, 1963, p. 230. 176 P. Buzzi, Autostrada del deserto e presepi egiziani, in «Le Vie d’Italia», anno XLVI, n. 12, dicembre 1940, pp. 1406-7. Altra prosa di viaggio è dell’aprile 1940 dal titolo Elogio della mulattiera, pp. 408-14. 177 G. Villaroel, La casa del Boccaccio, in ivi, anno XLVIII, n. 12, dicembre 1942, p. 1075. 178 G. Villaroel, Dante nel Castello dei Malaspina, in ivi, anno XLIX, n. 5, maggio 1943, p. 398. 179 G. Villaroel, La Sicilia e la guerra, in ivi, anno XLVIII, n. 5, maggio 1942, p. 469. 232 (Milano, Bompiani, 1939), che gli vale il premio letterario Sabaudia. Rientrato da Berlino, ove dirige «Lager», un giornale per gli emigranti italiani, celebra anche con fotografie propagandistiche l’«improvvisa apparizione del Duce»,180 rivendicando il cambiamento dell’isola da «macigno malarico» a sistema irreggimentato, ove «ognuno ‹è› al proprio posto: è questa la tacita consegna. Nelle case e nei campi, nelle miniere e nelle fabbriche, negli aeroporti, a difesa delle coste, sui fronti di battaglia».181 Come abbiamo visto, ciò a cui si assiste nella rivista in questa fine del Ventennio è un aumento cospicuo delle firme giornalistiche e letterarie, sia della grande letteratura che di quella minore, più defilata, regionale o poco ricordata dall’attuale canone. In particolare, in riferimento a quest’ultima, comincia a farsi strada il filone meridionalista: prose di viaggio dal Sud dell’Italia, raccontato per la prima volta non da un Bertarelli turista o da un Isnardi sanremese che abbraccia la causa e lì si trasferisce come insegnante. Oltre ai nomi supra menzionati e a Ernesto Murolo, nome cardine per la riscoperta della musica partenopea, che consegna nei suoi ultimi anni di vita prose canonicamente paesaggistiche dalle isole Flegree,182 uno scrittore imprescindibile è Corrado Alvaro. Emblema della rinascita dell’odeporica sotto nuove prospettive sociologiche, un apripista per «Le Vie d’Italia» del dopoguerra neorealista, cui collaboreranno con assiduità, tra gli altri, Saverio Strati e Domenico Rea. Lo scrittore e giornalista calabrese, già noto anche nell’odeporica nostrana per il suo Itinerario italiano (Roma, Quaderni di Novissima, 1933), oltre che per le sue prose di viaggio di origine giornalistica parigine, russe e turche, nel gennaio 1941, dopo un lungo peregrinare lavorativo con cui la sua narrativa meridionalistica si troverà sempre dialetticamente a fare i conti,183 rientra in Calabria per i funerali del padre. Questa è l’occasione per ritornare a scrivere della propria terra, pubblicando prose di viaggio per 180 S. Ruinas, La Sardegna e la guerra, in ivi, anno XLVIII, n. 7, luglio 1942, p. 632. Ivi, p. 637. 182 Esordisce così il profilo a lui dedicato da C. Pittari in La storia della canzone napoletana: dalle origini all’epoca d’oro, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2004, p. 245: «Gli aspetti più belli della natura e della vita sono i temi preponderanti della poesia di Ernesto Murolo» e ciò è riscontrabile anche nelle tarde prose apparse sul mensile: E. Murolo, Sant’Angelo d’Ischia, in «Le Vie d’Italia», anno XLIII, n. 2, febbraio 1937, pp. 100-7; Id., Capri, l’isola che non si scorda mai, in ivi, anno XLIV, n. 9, settembre 1938, pp. 1112-9 e Id., Napoli, Procida, Ischia, in ivi, anno XLV, n. 6, giugno 1939, pp. 810-21. 183 Per il viaggio elemento fondativo della poetica di Alvaro si veda C. Alvaro, Un treno nel Sud, a cura di A. Frateili, Milano, Bompiani, 1958, p. 120: «Fuggiamo da luogo a luogo, cercando un’intimità che non troviamo, perché questo non è più il nostro mondo; è il mondo dei nostri padri» e P. Tuscano, Corrado Alvaro poeta in versi e la metafora del «viaggio», in A. M. Morace, A. Giannanti (a cura di), Corrado Alvaro e la letteratura tra le due guerre. Atti del convegno Cosenza-Reggio-San Luca 27-29 settembre 2001, Cosenza, Pellegrini, 2006, pp. 545-62. 181 233 la rivista della Consociazione, che non è mai stata presa in considerazione negli spogli bibliografici.184 In questi contributi, due fotoreportages risalenti ai primi anni Quaranta e un terzo articolo agli anni Cinquanta, quando sarà anche giurato per il Concorso Letterario delle «Vie d’Italia» assieme a Pancrazi e a Diego Valeri,185 si conferma il suo personale percorso stilistico odeporico. Da San Demetrio Corone «che è un paese della provincia di Cosenza, tra la Sila Greca e la valle del Crati, ripensavo alla forza delle favole eroiche nella vita dei popoli. E un altro pensiero, comune ma riscoperto sul vero, mi veniva in mente come nuovo: l’universalità e il cosmopolitismo delle civiltà mediterranee in confronto ad altre civiltà esclusive».186 Subito nell’incipit del primo articolo apparso sul mensile traspaiono due aspetti della poetica odeporica alvariana: la dialettica tra paesanismo meridionale e cosmopolitismo, che ha segnato la sua biografia oltre alle collaborazioni a «’900» di Bontempelli, e una meditazione storico-sociologica, che affonda nel mito prendendo il posto del bozzettismo toscano, del descrittivismo odeporico di matrice rondesca e delle correnti avanguardistiche settentrionali. Della Calabria, che scorre nelle sue vene, dà un quadro inedito, rispetto all’idea di una terra chiusa e impenetrabile: parla di minoranze, le più svariate, albanesi e piemontesi che qui hanno trovato rifugio, e dei collegamenti e rapporti con il Settentrione del benessere del dopoguerra, con lucidissime e dure analisi: «pochi conoscono il bisogno e l’avidità e quasi l’idolatria delle merci moderne da parte di certe popolazioni meridionali interne; li conoscono bene i mercanti che arrivano dalla Lombardia nelle fiere dell’Italia meridionale coi loro automezzi, e vi fanno buoni affari. Se l’esperienza di questi lombardi e padani fosse conosciuta, credo che molti pregiudizi sull’autonomia e autosufficienza del nord, sull’urgenza di una soluzione dell’economia meridionale […] avrebbero un’utile lezione».187 Il suo cosmopolitismo primitivo è franco e schietto, senza prendere alcun partito di derivazione strapaesana, senza tradursi tuttavia in anti-modernismo dei popoli e della 184 Cfr. C. Alvaro, Scritti dispersi 1921-1956, a cura di W. Pedullà e M. Strati, Milano, Bompiani, 1995 e C. Alvaro, Opere, a cura di G. Pampaloni, Milano, Bompiani, 1990. 185 Cfr. La Direzione delle «Vie d’Italia», Il Concorso Letterario delle «Vie d’Italia», in «Le Vie d’Italia», anno LVI, n. 5, maggio 1950, pp. 513-8. 186 C. Alvaro, Gli ultimi discendenti di Scanderbeg il Castriota, in ivi, anno XLVII, n. 4, aprile 1941, p. 468. 187 C. Alvaro, La nuova città, in ivi, anno LVII, n. 4, aprile 1951, pp. 431-2. 234 natura in essi incarnata, senza perdere infine le radici del mito, che nutre neorealisti come Vittorini e Pavese: «Alvaro ha percepito la necessità di non affidarsi completamente alla denuncia e alla pagina violentemente e marcatamente sociale, e di reperire invece un tempo intermedio di incontro fra quelle verità così dure e impietose, e il senso di mistero, il sentore di arcano».188 Suggestionato dal viaggio, che per lui e più in generale per un meridionale non si configura come svago turistico, bensì come fuga necessaria, Alvaro risale al mito delle migrazioni della sua terra e delle tradizioni radicate nei secoli. La sua profondità non è data da toni folcloristici per un consumatore, lettore o turista che sia; è costruita nella vita quotidiana partecipata internamente, come nel caso di un matrimonio arbëreshë o di un battesimo dei valdesi piemontesi, e non più osservata esternamente, per questo non annacquata dal senso comune travestito da pseudoscientismo positivista. «Andavo a vedere davvero il Piemonte in Calabria, in un paese che porta il nome di Guardia Piemontese. E non senza scetticismo», eppure «se c’è una terra dove le correnti migratorie, che l’hanno trasformata e arricchita o impoverita, si possano ancora distinguere precisamente, questa è la Calabria».189 Questo sguardo interno, che però appartiene a un viaggiatore, o meglio a un migrante che ritorna dopo aver conosciuto altri mondi ed esser stato stimolato da nuove urgenze espressive, può parere intrusivo anche ai suoi stessi conterranei, con cui sempre forte sarà una dialettica antinomica tra lo scrittore che ha compiuto gli studi e se n’è andato dal paese e chi è rimasto: «Le donne si affacciano alla finestra tra file sgargianti di formidabili peperoni rossi messi a seccare. Che audacia di pose! Una bellissima, per non mostrare più che la caviglia, delineandone così la fattura. Siccome ho una macchina, vorrei ritrattarla. Ma ella si ritira gridando a una bambina: “Serre, serre la fenêstre” […] Credo che se puntassi la macchina su questa fila di donne che esce dalla chiesa, dove s’è celebrato un battesimo, metterei lo scompiglio nelle loro file. Mi consigliano di non farlo: “Vu ve n’anné, e deman a’ tücc a noeu a scuntari st’imprudenza (Voi ve ne andate, e domani tocca a noi scontare 188 W. Mauro, Invito alla lettura di Corrado Alvaro, Milano, Mursia, 1973, p. 161. C. Alvaro, Una comunità piemontese in Calabria, in «Le Vie d’Italia», anno XLVIII, n. 4, aprile 1942, p. 409. 189 235 quest’imprudenza)”».190 Stupisce una sensibilità più che moderna al modo di accostarsi al fotoreportage, al ritratto iconico e verbale, incentrandosi sempre sulle persone, i costumi, la cinesica, la prossemica, i canti, le minoranze linguistiche, riportate e analizzate con competenza, in tempi peraltro parecchio infausti. Aspetti già propri dell’Alvaro corrispondente dalla Russia e da Parigi, come è già stato messo in luce per gli articoli parigini pubblicati sul «Mondo».191 Il paesaggio naturale, cui si è avvezzi nell’odeporica del Ventennio, scompare, o meglio, è negli uomini stessi, perché «la Calabria è un paese dove uomini e cose acquistano rilievo di primo piano: nel fondo stanno la natura e le case, le case troppo piccole e le porte troppo anguste: uomini, animali e frutta ne formano il senso».192 4.6 QUALCHE VOCE FUORI DAL CORO E UN ARRIVEDERCI Un criticismo sociologico simile, in tempi sospetti, anche se meno innovativo e ancorato a un nostalgico paesaggismo anti-moderno, è riscontrabile anche nei contributi del primo curatore delle opere di Alvaro: Arnaldo Frateili, all’epoca direttore della terza pagina della «Tribuna», in via di affermazione come romanziere, il quale, dopo un articolo tecnico-propagandistico sugli impianti sciistici dell’Abetone,193 non risparmia critiche dirette al regime, colpevole di avergli rovinato i luoghi natii di Piediluco, «che con quelle sue linee, con quei suoi colori era rimasto più o meno immutato da secoli, s’è messo in linea col progresso dei tempi. L’organizzazione dopolavoristica e assistenziale della “Terni” da una parte, le necessità turistiche dall’altra, che reclamavano la costruzione d’un albergo moderno con grandi terrazzi sul lago per i pranzi delle comitive domenicali, hanno dotato il paesaggio piedilucano di alcuni di 190 Ivi, p. 410. Cfr. C. Chiodo, Di alcuni articoli di Corrado Alvaro apparso su «Il Mondo» di Giovanni Amendola, in A. M. Morace, A. Giannanti (a cura di), Corrado Alvaro e la letteratura tra le due guerre, cit., p. 111. 192 C. Alvaro, Una comunità piemontese in Calabria, in «Le Vie d’Italia», anno XLVIII, n. 4, aprile 1942, p. 408. 193 A. Frateili, Com’è nato un grande centro sciatorio, in ivi, anno XLVIII, n. 1, gennaio 1942, pp. 68-77. 191 236 quegli edifici “novecento” che arieggiano la forma delle scatole».194 Par strano, ma non solo articoli come questi, bensì anche nomi chiaramente legati all’antifascismo, in particolare al movimento di Giustizia e Libertà, dal 1940 cominciano a comparire nei sommari della rivista della Consociazione. C’è da supporre che, con l’inizio del conflitto, vi sia sì la necessità di una propaganda urlante come quella di Cozzani, ma, d’altro canto, le urgenze primarie del regime, fiaccato dalla guerra, divengono anche altre. E poi, in fondo, Milano è pur sempre lontana da Roma, e questo Mussolini lo sa e per tale ragione, dopo aver imposto il cambiamento del nome del sodalizio, aveva tentato invano un suo spostamento nella capitale.195 La manciata di firme «fuori dal coro» è composta dall’archeologo Umberto Zanotti Bianco, arrestato nel 1941 per il suo antifascismo, da Mario Longhena, redattore dell’edizione clandestina dell’«Avanti», da Giuseppe Gorgerino, gobettiano vicino a Parri, attivo prima come caporedattore della terza pagina dell’«Ambrosiano» poi sul foglio milanese «Italia libera»,196 e infine da Franco Antonicelli, assidua presenza nelle «Vie d’Italia» del dopoguerra. Visti i nomi implicati e la rivista-istituzione di cui trattiamo, non si può pretendere che i loro articoli siano filo-resistenziali, significativa è però una certa aria di cambiamento, che dopo l’intossicazione dell’occupazione nazista e il conseguente sfollamento da Milano a Merate, si riprenderà a respirare a pieni polmoni in Corso Italia. Si tratta pertanto di articoli consueti per il mensile, ossia le scoperte archeologiche presso il Sele di Zanotti Bianco, il ritratto dell’astronomo Eustachio Manfredi steso da Longhena, mentre sul fronte dell’arte, la guida alla VII Triennale di Gorgerino e la celebrazione del centenario dalla nascita del paesaggista Delleani scritta da Antonicelli,197 continuano la tradizione della critica artistica portata avanti da 194 A. Frateili, Elegia su Piediluco, in ivi, anno XLVIII, n. 6, giugno 1942, p. 565. Dall’Archivio Storico del Touring Club Italiano emerge una relazione sul trasferimento della sede a Roma, che rivendica l’inestirpabile ambrosianità delle origini, tuttavia non legata al caso: «L’esser sorto in Milano fu del tutto casuale. In Milano però trovò l’ambiente adatto per svilupparsi, e soprattutto trovò una schiera di uomini che, con grave sacrificio personale, seppero condurlo alla grandezza attuale che gli è invidiata da tutto il mondo. Un trasferimento gli riuscirebbe senza dubbio di grave pregiudizio. (Inoltre trasferendosi come altre associazione non accrescerebbe comunque il suo affiatamento con le altre, che non è mai mancato, sin dagli inizi aveva anche sede distaccata a Roma)». 196 Cfr. il profilo divertito che ne traccia Carlo Linati in Quelli dell’«Ambrosiano», in «Corriere Padano», 2 agosto 1942, poi raccolto in Id., Il bel Guido e altri ritratti, cit., pp. 52-9. 197 Rispettivamente i riferimenti bibliografici nell’ordine cronologico di apparizione: F. Antonicelli, A cent’anni dalla nascita di Lorenzo Delleani, in «Le Vie d’Italia», anno XLVI, n. 2, febbraio 1940, pp. 156-64; M. Longhena, Eustachio Manfredi e le umili origini di un famoso osservatorio bolognese, in ivi, n. 4, aprile 1940, pp. 393-7; G. Gorgerino, Guida alla VII Triennale di Milano, in ivi, n. 5, maggio 1940, pp. 471-7; U. Zanotti Bianco, Le scoperte allo Heraion del Sele, in ivi, n. 8, agosto 1940, pp. 892-902. 195 237 Marziano Bernardi (vicino a Nicodemi e Venturi nel progetto editoriale della rivista «L’Arte»), dall’accademico d’Italia Ettore Allodoli,198 e da Lorenzo Viani. Quest’ultimo, ancora nel 1935, sul mensile del Touring non lascia tracce grafiche, bensì un suo articolo su Giacomo Puccini, cronaca fervente della «riconquista del fascio» della pineta viareggina che porta alla tomba del compositore.199 Morto Viani prematuramente, di Puccini ritornerà a scrivere il suo librettista e biografo Giuseppe Adami, collaboratore della rivista negli anni Quaranta, con articoli commemorativi anche di Boito, Catalani e Leocavallo.200 Negli anni Quaranta va aumentando numero dopo numero l’interesse della rivista per il mondo delle arti e i suoi protagonisti, chiamati a collaborarvi attivamente, costituendo un tratto caratteristico della ripresa delle «Vie d’Italia», sotto la direzione di Mira. Nel corso dei decenni avviene in tal modo il graduale processo di trasformazione da mensile tecnico a mensile di turismo culturale e di cultura a più ampio spettro. Un aspetto della cultura italiana legato al turismo che sin qui non era mai stato toccato è quello del turismo gastronomico, sul quale il viaggio del 1935 del Monelli aveva acceso i riflettori. Due anni più tardi, cioè a partire dal solito anno spartiacque 1937, «Le Vie d’Italia» dotano la rubrica finale dell’appuntamento fisso degli Itinerari gastronomici, corredato, come vuol la tradizione lanciata dal Monelli con la collaborazione del disegnatore Novello (che illustrerà il mensile nel dopoguerra), da un apparato grafico 198 M. Bernardi, La mostra del Barocco piemontese nel Palazzo Carignano di Torino, in ivi, anno XLII, n. 10, ottobre 1937, pp. 678-89; Id., Antonio Locatelli, eroe artista, in ivi, anno XLIV, n. 2, febbraio 1938, pp. 191-8; Id., Il gotico e il Rinascimento piemontese nella mostra di Torino, in ivi, n. 9, settembre 1938, pp. 1090-6; Id., Castelli antichi del Saluzzese, in ivi, anno XLV, n. 9, settembre 1939, pp. 1210-9; Id., Antonio Fontanesi nella sua scuola di Torino, in ivi, anno XLVII, n. 10, ottobre 1941, pp. 1124-33. Mentre per ciò che concerne il critico letterario prestato talvolta all’arte vedi: E. Allodoli, Turismo ed arte dai disegni inediti di Telemaco Signorini, in ivi, anno XLIV, n. 11, novembre 1938, pp. 1361-8; Id., Visioni d’oriente a Firenze, in ivi, anno XLVI, n. 3, marzo 1940, pp. 282-7; Id., Palazzo Strozzi, nuova sede del Centro Nazionale di Studi sul Rinascimento, in ivi, n. 9, settembre 1940, pp. 1020-9. 199 Del famoso conterraneo, dei suoi luoghi, delle sue opere e dei suoi aneddoti, il Viani si era già occupato sul «Corriere» dal 1930 al 1936, con i seguenti scritti: Il garzoncello Giacomo, in «Corriere della Sera», 9 gennaio 1930; La Bohème ritorna al suo paese, in ivi, 17 agosto 1930; Madame Butterfly a Torre del Lago, in ivi, 23 agosto 1931; La festa delle frittelle e delle «padelle», in ivi, 21 marzo 1932; Arrivo e ritorno di Giacomo Puccini, in ivi, 5 dicembre 1934; Silenzio, ho finito la Bohème, in ivi, 3 gennaio 1936. Dell’articolo Dal Muro Rotto alla tomba di Puccini, pubblicato sulle «Le Vie d’Italia», anno XLI, n. 8, agosto 1935, pp. 587-90, non v’è traccia nelle raccolte postume giornalistiche (V. Corti, Lorenzo Viani: dieci articoli, Padova, Libreria Padovana Editrice, 1996 e L. Viani, Racconti (1928-1936), a cura di M. Veglia, Napoli, Liguori editore, 2008), che hanno vagliato, oltre al «Corriere della Sera», quotidiani nazionali e riviste locali, come: «Il Nuovo Paese», «Il Popolo d’Italia», «Il Popolo Toscano», «La Rivista del Medico», «Augustea», «La Quarta Roma», «Il Resto del Carlino», «Il Telegrafo». 200 G. Adami, Paesaggi e cacce pucciniane, in «Le Vie d’Italia», anno XLVIII, n. 1, gennaio 1942, pp. 78-85 e Id., Boito, Catalani, Leoncavallo, in ivi, n. 4, aprile 1942, pp. 392-7. 238 divertente, macchiettistico, curato dai già citati Angoletta e Bernardini, e da Leone Gessi. Quest’ultimo giornalista della «Lettura» cura anche parte dei testi, pseudoricettari e al contempo prose di viaggio enogastronomiche con tanto di suggerimenti ai lettori-consumatori, assieme ad altre firme giornalistiche e letterarie, come Odo Samengo, pubblicista del «Piccolo» e Giovanni Cenzato, critico musicale del «Corriere».201 Una scelta vincente che proseguirà anche con la ripresa post-bellica, sistematicamente con contributi da ogni regione italiana, ma intanto con la guerra in casa non resta che lodare pane e minestra, quando ci sono, come recita l’articolo di Cosimo Giorgieri Contri. Trattasi dell’ultimo articolo del poeta toscano, andato in stampa proprio mentre moriva, che chiude il ciclo della decina di scritti, pubblicati sul mensile a partire dal 1936, comprendenti prose odeporiche di vagabondaggi e di villeggiature, come in uso anche dal Linati, ma dal ritmo pacato, intime e nostalgiche, fissate nel ricordo.202 Con lui e con la pace tipica del paesaggismo toscano, si chiude anche questa fase delle «Vie d’Italia» autarchiche, delle «visite in casa propria», come recita l’occhiello di un suo articolo, coercitive, visti i tempi di chiusura dei totalitarismi europei, in cui parlare di turismo, di movimento dei forestieri e degli italiani diventa sempre più difficile. Impossibile sotto le bombe, nonostante una cartolina solare e spensierata da Verona del poeta Lionello Fiumi, rientrato nella sua città da Parigi, dove aveva diretto «Dante. Revue de culture latine» fino al 1940. Fiumi, assieme alla foto qui riprodotta, fa ancora sognare nell’ultimo numero prima della chiusura: «Ogni donna bella ha un volto per tutti, quello che tutti possono cogliere per via; ma uno ne serba, più intimo, dolcissimo di segreto, ch’è solo per e dell’amato. Occorre, delle città illustri, come delle donne: ha, ciascheduna, il suo itinerario di monumenti, dinanzi ai quali non è lecito che alcuno abbia a non sostare, che sono deposti in tutte le 201 G. Cenzato, Vecchia osteria oasi del turismo, in ivi, anno XLIV, n. 1, gennaio 1938, pp. 72-8; O. Samengo, Itinerari gastronomici, in ivi, anno XLVII, n. 2, febbraio 1941, p. 259; L. Gessi, Curiosità gastronomiche, in ivi, n. 7, luglio 1941, p. 829. 202 C. Giorgieri Contri, Visite di buona vicinanza, in ivi, in tre puntate: anno XLII, n. 8, agosto 1936, pp. 545-53; anno XLIII, n. 3, marzo 1937, pp. 181-91 e n. 8, agosto 1937, pp. 563-73; Id., Tra Bocca d’Arno e Bocca di Magra, in ivi, anno XLIV, n. 4, aprile 1938, pp. 428-39; Id., Vagabondaggi tra luoghi e ville del Veneto, in ivi, n. 6, giugno 1938, pp. 735-47; Id., Villeggiature appenniniche, in ivi, anno XLV, n. 8, agosto 1939, pp. 1086-95; Id., Piemonte nel ricordo, in ivi, anno XLVI, n. 2, febbraio 1940, pp. 165-76; Id., Notte serena per le vie d’Italia, in ivi, anno XLVII, n. 3, marzo 1941, pp. 344-9; Id., Un piccolo lago, un piccolo fiume, in ivi, n. 5, maggio 1941, pp. 557-67; Id., Turismo autarchico, art. cit.; Id. Fuoco di lume e fuoco di bitume, in ivi, anno XLVIII, n. 11, novembre 1942, p. 1004; Id., Lode dei cibi elementari: pane e minestra, in ivi, anno XLIX, n. 4, aprile 1943, pp. 287-90. 239 guide, conclamati da tutte le cartoline; ma ha, anche, le sue bellezze come a dire intime, che non si concedono che a chi sappia meritarsele».203 Fotografia di F. Parolin in L. Fiumi, Diversità di Verona, in «Le Vie d’Italia», anno XLIX, n. 8, agosto 1943, p. 627. In questo stesso numero, il comunicato del 25 luglio 1943 sullo sbarco in Sicilia degli Alleati e sul nuovo comando militare assunto da Badoglio, viene pubblicato in extremis, pure in apertura, quando la rivista è già in macchina: del Duce estromesso ormai non si parla più, rimane solo un «Dio salvi l’Italia! […] Viva l’Italia! Viva il Re!».204 Sottintesi sono la speranza e un arrivederci ai tempi nuovi, di cui qualche bagliore abbiamo già avuto. 203 204 L. Fiumi, Diversità di Verona, in ivi, anno XLIX, n. 8, agosto 1943, p. 625. Commento redazionale ai proclami del Re e di Badoglio, in ivi, anno XLIX, n. 8, agosto 1943, p. 585. 240 5. RIPRESA. CONTINUITÀ, NOVITÀ E RITORNI (1946-1958) 5.1 «GUARDARE AVANTI» E A NUOVI MODELLI «Frattanto si presentava il problema, che la Delegazione Consiliare ritenne di urgente soluzione, di riprendere la pubblicazione del più antico e importante strumento di azione e di propaganda del Touring, della Rivista mensile che può dirsi l’organo ufficiale del Sodalizio: “Le Vie d’Italia”. Fortunatamente la carta necessaria si trovava disponibile nei nostri magazzini in seguito a larghe provviste fatte a tempo opportuno e a buon prezzo. Ciò ha permesso di fissare il prezzo di abbonamento annuo in L. 400, vale a dire a circa 33 lire ogni fascicolo di 80 pagine più copertina, con abbondanza e varietà di illustrazioni e buona scelta di collaborazioni. Al 15 marzo scorso il numero degli abbonati alla Rivista ammontava a 30.007. Nel programma delle future attività del Touring un posto importantissimo spetta senza dubbio alla ripresa, al perfezionamento, al potenziamento di questa nostra vecchia e gloriosa Rivista, la cui collezione rispecchia tutta la storia del nostro Sodalizio e, si può dire, tutta l’evoluzione del turismo italiano da mezzo secolo ad oggi».1 Chiusa, non senza perdite materiali, la parentesi della Consociazione e dell’occupazione nazista sotto il Komando IGM Nebenstelle Mailand, la nuova vita del Touring Club Italiano è imprescindibile dalle storiche «Vie d’Italia», per le quali a sette mesi dal ritorno in stampa si stende in sede consiliare il punto della situazione, degli standard e del valore del mensile, dei costi di abbonamento ragionevolmente aumentati e degli abbonati (anch’essi ragionevolmente) più che dimezzati, sebbene a soli tre mesi dalla ripresa delle pubblicazioni il dato possa ancora dirsi confortante, soprattutto tenendo presente che «la tiratura media dei p.‹eriodici› è stata negli anni Cinquanta 2-3.000 copie».2 «Le Vie d’Italia» tornano dopo due anni e quattro mesi di silenzi pesanti, contro i quali, quotidiani come «La Stampa», avevano lanciato i loro strali accusatori di una 1 Foglio annesso al Verbale del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta del 30 luglio 1946, Milano, Archivio storico del Touring Club Italiano. 2 N. Tranfaglia, Le riviste di cultura nel secondo dopoguerra, in Id., Ma esiste il quarto potere in Italia? Stampa e potere politico nella storia dell’Italia unita, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2005, p. 276. 241 irresponsabile latitanza culturale, imputabile agli istituti culturali regionali, al mondo dell’associazionismo e all’Accademia d’Italia, domandando retoricamente: «E la Consociazione Turistica Italiana, altamente meritevole per tutto ciò che si chiama Italia, ritiene più opportuno soprassedere ad ogni attività proprio nel momento in cui il patrimonio d’arte e di bellezza ch’essa ha strenuamente illustrato e difeso è minacciato da vicino, quando non è addirittura distrutto?».3 Legittime e coscienziose osservazioni, cui si poteva dar retta solo sapendo rispondere ad altrettante domande: come continuare il proprio operato occupati militarmente dall’esercito nazista che trafuga le preziose carte militari sotto la fantocciata della Repubblica Sociale di Mussolini, con il quale ci si era già dovuti fin troppo compromettere? Dove imprimere i periodici e le pubblicazioni dopo che i bombardamenti su Milano dell’agosto 1943 hanno distrutto le tipografie e i magazzini predisposti alla stampa? Non solo quello: a Milano tutti i Musei e le Gallerie erano stati sventrati dall’offensiva aerea: dalla Pinacoteca di Brera all’Ambrosiana, a Palazzo Sormani. Dunque proprio nel momento di maggiore urgenza, era però divenuto pressoché impossibile proseguire il proprio lavoro, tenere relazioni con tutti i soci, i consoli e gli abbonati sparsi sul territorio nazionale, da nord a sud, alle colonie, parte al fronte, parte deceduti, parte isolati, in un’Italia divisa e in guerra. Che si sperasse solo a sopravvivere fisicamente, sfollati a Merate, vicino a Como, era già molto. Occorreva poi rinascere identitariamente, riorganizzarsi seguendo la tradizione del vecchio Touring, spazzando via retaggi e compromissioni della Consociazione, «deceduta» ufficialmente nell’assemblea del 27 giugno 1945. Durante quest’anno, in cui i soci annuali scendono a meno di 27.000 unità, si lavora per ideare e mettere in cantiere un ritorno associativo ed editoriale, innovando nel solco della tradizione con conferme e ritorni più che doverosi, come quelli di Giovanni Mira e di Luigi Rusca, i futuri ultimi due direttori della rivista madre, che alle prime avvisaglie di inquadramento politico avevano lasciato Corso Italia, quando Luigi Vittorio Bertarelli se ne stava andando anch’egli, ma per altri mondi. «Si tratta ora di riprendere l’opera sua e dei suoi compagni. Abbiamo dietro a noi una nobile tradizione e un’esperienza preziosa; abbiamo davanti a noi una stagione piena di difficoltà e di travaglio»: occorre per questo unirsi più che mai e «conoscere bene l’Italia […], una necessità essenziale per tutti i figli della nostra terra. Soltanto così potranno guarire i mali inveterati del 3 XXX, Responsabilità della cultura, in «La Stampa», n. 95, 4 aprile 1944, p. 2. 242 campanilismo e del regionalismo, della miopia particolarista che non vede più in là del naso, della sospettosa ignoranza che nel connazionale di diverso accento vede piuttosto un estraneo che un fratello, del pervicace antagonismo tra nord e sud, che quasi un secolo dopo l’inno di Mameli vorrebbe incrinare la nuova unità morale della Nazione».4 Con uno sguardo al passato drammatico e uno al futuro difficoltoso, nella redazione del primo mensile del sodalizio ad essere ripristinato, tutto è finalmente pronto per il primo gennaio 1946, «per ricominciare nel ricordo dei maestri che ci hanno lasciati, nel nome dei compagni che sono caduti per rendere possibile questo risorgimento».5 Senza dimenticare l’indigenza economica nella quale versano i soci e i lettori: «Non è vergogna riconoscere che l’Italia oggi è molto povera, perché ha perduto gran parte dei beni d’ogni genere che anche un paese povero sa metter da parte col suo lavoro negli anni di pace».6 In questa realtà desolata si muovono il Touring, l’Italia intera e l’uomo nel disegno frontespiziale di Fulvio Bianconi, punto di riferimento, oltre che per la Garzanti, per la nuova iconografia del Touring, assieme a Del Corno, Dall’Aglio e Novello. Nello schizzo introduttivo all’editoriale datato luglio 1946 dal titolo Guardare avanti, che invoca il sacrificio dell’adeguamento delle quote dei soci vitalizi agli attuali costi reali della vita, per non dover aumentare oltremodo le spese associative dei nuovi soci annuali, puntando su venture fidelizzazioni, Bianconi riassume il cammino della storia sin qui battuto, che ha portato alla distruzione materiale e alla desertificazione culturale lamentata dalla «Stampa». Inscena un panorama arido, battuto dal sole, un albero senza fronde, delle case-ruderi sullo sfondo e un uomo che si allontana dalla strada percorsa fino a questo momento, tiene nella mano sinistra una bacinella e con la destra attinge i semi ivi contenuti, spargendoli in un nuovo campo. È in questo contesto di semina, di sforzi e di sacrifici nel deserto, che va intesa la ripresa, la rinascita, presupposto del boom economico degli anni Cinquanta. 4 La Delegazione Consigliare, Ripresa, in «Le Vie d’Italia», anno LII, n. 1, gennaio 1946, pp. 30-31. Ibidem. 6 Guardare avanti, in «Le Vie d’Italia», anno LII, n. 7, luglio 1946, p. 504. 5 243 F. Bianconi, Guardare avanti, in «Le Vie d’Italia», anno XLII, n. 7, luglio 1946, p. 504. Le fatiche e i disagi di quel rimboccarsi le maniche sono premiati già l’anno successivo, quando «gli abbonamenti a Le Vie d’Italia sono affluiti, nei primi mesi del 1947, così numerosi da superare ogni più ottimistica previsione. La cosa, di cui possiamo ben compiacerci, ha fatto sì che i primi tre fascicoli dell’anno siano ora totalmente esauriti».7 Ciò spinge ad osare di più alla fine del decennio, abbandonando la carta di risulta utilizzata sino a quel momento e le copertine fotografiche monocromatiche, per optare a dei viraggi in quadricromia, abbondando nel numero delle pagine che giunge a 96, di cui otto stampate in rotocalco per poter valorizzare al meglio le collaborazioni fotografiche:8 difatti, «stava emergendo una nuova generazione di “fotografi Touring”, ma colui che in questa ha maggiormente caratterizzato almeno il periodo fino ai primi anni dell’ultimo dopoguerra è stato Bruno Stefani. Egli più di ogni altro – come sottolinea Quintavalle9 “ha contribuito a formare l’immagine di un certo ‘genere’ di fotografia”, intendendo per convenzione il genere “turistico”».10 È lui a firmare, oltre ad un articolo di materia fotografica,11 la maggior parte delle copertine della «ripresa» fino al 1949, quando in luogo delle fotografie, ritorneranno per un biennio i dipinti di paesaggi, di particolari e di temi legati a specifiche mensilità ad opera dei maggiori pittori e illustratori, in genere contemporanei, come Giorgio Morandi, Filippo De Pisis, Carlo Vitale e Mario Vellani Marchi. Quest’ultimo, collaboratore della «Lettura», dell’«Illustrazione italiana» e della «Fiera letteraria», nonché fondatore del Premio Bagutta assieme all’amico Vergani, costituisce dal punto di vista grafico, al pari 7 Vita del Touring, in ivi, anno LIII, n. 4, aprile 1947, p. 292. Cfr. La nostra rivista nel 1949, in ivi, anno LIV, n. 12, dicembre 1948, p. 1085. 9 A.C. Quintavalle, in R. Campari (a cura di), Le “Milano” di Stefani, Parma, CSAC, 1976. 10 I. Zannier, Fotografi del Touring Club Italiano, cit., p. 45. 11 Cfr. B. Stefani, Ricordi di un fotografo, in «Le Vie d’Italia», anno LII, n. 7, luglio 1946, p. 556. 8 244 di Bruno Stefani sul versante fotografico, una solida e felice linea di continuità con «Le Vie d’Italia» della Consociazione, cui va riconosciuto il merito di aver aperto il mensile a contributi straordinari, sia artistici che letterari, andando sempre più al di là dei propositi meramente tecnico-turistici degli albori. Due copertine delle «Vie d’Italia»: B. Stefani, Primavera in Alto Adige, aprile 1946 e M. Vellani Marchi, Garzone di valle Buranella (1946), novembre 1949. Nel dopoguerra la rivista continua su questa linea più di intrattenimento generalista, resasi necessaria durante il Ventennio, soprattutto verso la fine, non potendo più occuparsi di argomenti direttamente tecnici al di fuori della propaganda e di materie belliche. Una linea accostabile ad un altro pregevole mensile milanese legato al «Corriere», la appena citata «Lettura», con la quale già il mensile della Consociazione condivideva, come abbiamo visto, molti collaboratori. In questi termini dunque si connota la rivista della «ripresa»: «Non dobbiamo trascurare il fatto che Le Vie d’Italia sono oggi la più importante e diffusa rivista di cultura popolare che esca in Italia, e che il campo degli argomenti di interesse turistico è assai vasto e vario: escursioni e viaggi; regioni e città; monumenti e opere d’arte; usi e costumi; attività economiche, soprattutto attività artigiane; aspetti della 245 geografia, della geologia, della zoologia, della botanica; comunicazioni, mezzi di trasporto, organizzazione ricettiva, strumenti e sussidi del turismo; ricordi storici e letterari direttamente o indirettamente connessi col turismo, e altri e altri argomenti che ciascuno è facilmente in grado di suggerire: tutti hanno diritto di ospitalità nelle nostre pagine».12 Tale politica editoriale non più settorializzata, retaggio del Ventennio, è giustificata anche dalla diversificazione delle pubblicazioni dell’associazione, che dirige dal 1946 la nuova rivista mensile «Turismo», edita dalla S.A. L’Editrice di Milano, trasformata l’anno successivo in «Turismo e Alberghi», raccogliendo l’eredità dell’anteguerra dell’«Albergo in Italia». Il nuovo periodico è destinato specificatamente «a dare un particolare contributo allo studio e alla divulgazione dei problemi riguardanti la ripresa del turismo, il movimento dei forestieri, l’industria alberghiera, il rinnovamento e l’incremento di tutti gli Enti periferici del turismo, da quelli provinciali alle Aziende Autonome, alle Pro Loco».13 A fine conflitto, rappresenta quindi la risposta alle medesime necessità per le quali erano sorte nel 1917 «Le Vie d’Italia», in affiancamento alla «Rivista mensile» meno tecnica e più illustrativa, al fine di sfruttare le potenzialità di un’ondata turistica internazionale post-bellica: «i soldati d’oggi saranno i turisti di domani e […] i militari alleati, venuti in Italia, sono dei turisti in potenza: molti di essi torneranno assieme ai loro cari per rivedere i campo di battaglia dove hanno combattuto e per rendere pietoso omaggio ai loro morti».14 Le intuizioni di matrice bertarelliana sul turismo nei campi di battaglia vengono così riviste alla luce di una nuova strutturazione editoriale dei mensili: «Rapido per la periodicità mensile e il carattere vivo e attuale della materia, è il lavoro per le Riviste, dalla maggiore Le Vie d’Italia ai periodici tecnici Turismo e Alberghi e Le Strade. Qui si respira aria più giornalistica, fra il ticchettio delle macchine, lo squillo frequente del telefono, la consultazione rapida delle pubblicazioni, la nervosa dettatura della corrispondenza, l’attenta correzione delle bozze».15 12 La direzione de «Le Vie d’Italia», «Le Vie d’Italia» nel 1947, in ivi, anno LII, n. 11, novembre 1946, p. 824. 13 Vita del Touring, in ivi, anno LII, n. 2, febbraio 1946, p. 84. 14 La Rivista «Turismo» nuovo strumento per una importante propaganda, in ivi, anno LII, n. 2, febbraio 1946, p. 98. 15 C. Chiodi, Qui si lavora per voi, in ivi, anno LIV, n. 1, gennaio 1948, p. 21. 246 5.2 RIAVVIARE E RIPENSARE IL TURISMO Sarebbe errato tuttavia pensare di esautorare la rivista madre dalla sua vocazione originaria, sebbene tecnicismo e divulgazione raffinata anche da un punto di vista estetico, abbiano preso concretamente strade meglio distinte. I problemi turistici continuano ad inaugurare molti numeri del mensile, negli editoriali di un direttore, Giovanni Mira, attivissimo come furono a loro tempo Bertarelli e Bognetti. L’ex capo della Segreteria della Presidenza del Consiglio del governo Parri e commissario dell’Opera Nazionale per Combattenti si concentra nelle pagine della rivista madre sul turismo degli italiani in Italia, lasciando all’altra sede il movimento dei forestieri assieme ai suoi dati e alle sue statistiche. Con pressante dedizione sulle «Vie d’Italia» affronta il problema del rilancio interno, basato sul potenziamento del turismo popolare, degli alberghi malandati con personale spesso improvvisato salvo qualche eccezione, dei costi elevati in relazione ad un’offerta ristretta e poco competitiva, ridotta dalla guerra ai minimi termini,16 e dei servizi di trasporto: mezzi pubblici, treni, utilitarie e biciclette.17 Assieme al giornalista Tertulliano Marzani, vice corrispondente da Perugia del «Messaggero», Mira denuncia l’isolamento ferroviario di regioni come l’Umbria e promuove le possibilità di circuiti minori, funzionali alla ripresa, segnata necessariamente da ristrettezze economiche. Nonostante le difficoltà contingenti, le misure previste per la ripresa devono continuare a concedere a tutti, oltre che delle migliorie nel servizio dei trasporti, la possibilità di effettuare gite fuori porta, proseguendo la democratizzazione (e massificazione) turistica portata avanti sistematicamente nel Ventennio, senza tuttavia la coercizione propria di quest’ultimo periodo.18 Resoconti, statistiche e convegni dell’Alliance Internationale du Tourisme, 16 G. Mira, Una visita alla scuola alberghiera di Stresa, in ivi, anno LX, n. 5, maggio 1954, pp. 613-6; Id., L’anima del turismo, in ivi, n. 10, ottobre 1954, pp. 1229-38; Id., Anno turistico 1955. Luci e penombre, in ivi, anno LXI, n. 12, dicembre 1955, pp. 1511-9; Id., Gli alberghi in Italia, in ivi, anno LXII, n. 8, agosto 1956, pp. 956-67. 17 Cfr. G. Mira, Turismo e popolo, in ivi, anno LI, n. 8, agosto 1946, pp. 581-92; Id., Per un piano triennale del turismo italiano, in ivi, anno LII, n. 2, febbraio 1947, pp. 127-30 e in ivi, n. 3, marzo 1947, pp. 210-4; Id., Per l’organizzazione del turismo popolare, in ivi, n. 7, luglio 1947, pp. 625-9; Id., Problemi attuali del turismo, in ivi, anno LIX, n. 1, gennaio 1953, pp. 76-80. 18 Cfr. G. Mira, Piccolo turismo in ferrovia: dall’Alto Po alla Laguna Veneta, in ivi, anno LIX, n. 11, novembre 1953, pp. 1409-19 e in ivi, n. 12, dicembre 1953, pp. 1555-72; T. Marzani, Una ferrovia turistica che dovrà rinascere: la ferrovia centrale umbra, in ivi, anno LII, n. 12, dicembre 1946, pp. 917- 247 segno della ripresa dei rapporti con l’estero dopo anni di isolamento con i vari Touring Clubs, sono comunque riportati negli anni Cinquanta da Giuseppe Vota, capo dell’Ufficio Guide dal 1929, successore del Bertarelli guidistico, cui si deve il rifacimento in 25 volumi della Guida d’Italia,19 mentre negli anni Sessanta l’inviato di redazione sarà un inedito Luciano Bianciardi.20 Giuseppe Vota costituisce con Attilio Gerelli l’ennesima linea di continuità, assolutamente ininterrotta, nella pubblicistica del Touring dagli inizi degli anni Venti fino agli anni Cinquanta: il primo dal 1931 è inoltre capo responsabile di tutti i servizi redazionali (guide, carte e riviste) e nel 1948 è nominato Segretario Generale dell’associazione, mentre il secondo, che rimarrà Consigliere del Touring sino all’anno di morte (1951), dopo le dipartite di Bognetti e di Rusca, è da considerarsi la mente effettiva della rivista madre, oltre che l’ideatore del mensile «L’albergo in Italia». Tra gli altri Consiglieri del sodalizio, in aggiunta al generale Felice Porro e all’avvocato Doro Rosetti, collaboratori delle «Vie d’Italia» dagli anni Venti con alcune pagine informative rispettivamente sui progressi dell’aeronautica civile21 e sulle automobili, vi sono però parecchie novità, alcune delle quali alquanto partecipi alla vita del mensile. Si tratta di Antonio Banfi, noto ordinario di storia della filosofia presso l’Università di Milano, dell’industriale Enrico Falck, di Filippo Sacchi, all’epoca della nomina direttore della «Lettura»,22 mensile variegato al quale paiono richiamarsi «Le Vie d’Italia» del dopoguerra, e di Fernanda Wittgens, critica d’arte di respiro europeo, come si evince dagli interventi sul periodico del TCI, e neodirettrice della Sopraintendenza alle gallerie lombarde, reduce dalla condanna a quattro anni di carcere per favoreggiamento di azioni 20. Sul corrispondente del «Messaggero», passato poi al «Tempo», si veda la raccolta di articoli curata dal figlio Paolo: T. Marzani, Lettere dall’Umbria. L’affaticato cuore d’Italia dal dopoguerra alle soglie del regionalismo nelle cronache di un giornalista (1950-1966), Perugia, Volumnia, 2006. 19 Cfr. G. Vota, Il turismo internazionale, in «Le Vie d’Italia», anno LIX, n. 7, luglio 1953, pp. 924-5 e si vedano gli altri scritti di materia propagandistica dell’associazione: Id., La guida, strumento indispensabile del turismo, in ivi, n. 11, novembre 1953, pp. 1467-75; Id., Tappe del Touring Club Italiano, in ivi, anno LX, n. 10, ottobre 1954, pp. 1239-50, in occasione del sessantennio dell’associazione per il quale il Nostro ha redatto il volume più volte citato I sessant’anni del Touring Club Italiano; Id., Il programma del Touring per il 1956, in «Le Vie d’Italia», anno LXI, n. 10, ottobre 1955, pp. 1239-48. Per un suo profilo si veda il curriculum vitae custodito nell’Archivio Storico del Touring Club Italiano e il ricordo del suo operato steso da Giovanni Mira, Saluto non commiato, in ivi, anno LXVII, n. 7, luglio 1961, p. 846. 20 L. Bianciardi, Un cronista al terzo Congresso internazionale del turismo sociale, in ivi, anno LXVIII, n. 7, luglio 1962, pp. 808-19. 21 Negli anni Sessanta Porro farà il punto della situazione italiana e anticiperà le novità del Concorde: cfr. L’aviazione civile in Italia oggi, in ivi, anno LXVII, n. 1, gennaio 1961, pp. 34-42 e L’aereo di domani, in ivi, anno LXIX, n. 12, dicembre 1963, p. 1515. 22 Cfr. Curriculum vitae di Filippo Sacchi presso l’Archivio Storico del Touring Club Italiano. 248 partigiane e di protezione degli ebrei.23 A questi devono aggiungersi i già citati ritorni di Mira e di Rusca, che all’interno dell’architettura del sodalizio ricoprono rispettivamente la carica di Vice Presidente e quella consiliare, sotto le direttive dell’ingegnere Cesare Chiodi, nuovo Presidente dell’associazione, attivissimo nel dar vita all’Ufficio Ricerche dei Deportati e Combattenti, poi Ministero Assistenza Postbellica.24 Ad eccezione di Banfi e di Falck, sono tutti nomi variamente presenti nel periodico, certo più generalista, ma pur sempre, come tira le somme lo stesso Chiodi, cinque anni dopo la ripresa, «vessillo e portavoce del Sodalizio», nel quale esorta i Soci «a rientrare nelle file […], recando loro una viva eco del fervore di ricostruzione che animava tutta la Nazione. Se il turismo era per il momento praticamente inibito, la rivista illustrava i massimi problemi della ricostruzione e specialmente quelli connessi col turismo, e riproponeva all’attenzione degli italiani le bellezze naturali e artistiche del Paese che ognuno anelava a rivisitare».25 Tale attivismo sinergico tra esercizio sodale e pubblicistico mostrato dal Presidente, dai Consiglieri e dal direttore della rivista, segna un ritorno ai tempi ben antecedenti a quelli della Consociazione, quando invece le sfere e le figure erano più distinte, anche dal punto di vista fisico-geografico con un distaccamento romano per il sodalizio sotto più ristretto controllo politico, con l’attività editoriale contraddistinta dai megafoni propagandistici del regime e da interventi tecnici e letterari più defilati, rimasta sempre a Milano, sorvegliata speciale, per la sua diffusione e per la sua plurima natura, prima dalle autorità prefettizie e poi ministeriali. La propaganda turistica ridiviene scevra di ogni coloritura politica: «Le Vie d’Italia» rimangono l’organo principe di espressione del Touring e della «sua» politica in materia di organizzazione turistica, fatta risuonare anche nei nuovi ambienti governativi, dal momento che proprio il direttore della rivista, già uso al gabinetto di Parri, è pure membro della Commissione preparatoria di studio convocata dalla Presidenza del Consiglio per affrontare i problemi del dopoguerra. Certamente non si tratta di un ritorno tout court alle azioni pionieristiche bertarelliane operanti in un sistema liberale ancora da regolamentare, 23 Vita del Touring, in «Le Vie d’Italia», anno LII, n. 7, luglio 1946, p. 403. Per le collaborazioni di Fernanda Wittgens si vedano: Ead., Capolavori dei Musei Viennesi a Zurigo, in ivi, anno LIII, n. 2, febbraio 1947, pp. 119-26 e Ead., La mostra di pittura fiamminga a Palazzo Strozzi, in ivi, n. 10, ottobre 1947, pp. 907-14. Un suo ricordo è steso dal solito Mira, Fernanda Wittgens, in ivi, anno LXIII, n. 8, agosto 1957, p. 1027. 24 Cfr. Curriculum vitae di Cesare Chiodi presso l’Archivio Storico del Touring Club Italiano. 25 C. Chiodi, Bilancio di cinque anni, in «Le Vie d’Italia», anno LVII, n. 6, giugno 1951, p. 662. 249 dacché «il Governo dovrà continuare a esplicare un’azione di vigilanza e di indirizzo generale sul turismo in quanto è attività di interesse pubblico. Un Ufficio centrale per il turismo, dipendente dalla Presidenza del Consiglio, dovrebbe avere in primo luogo questa funzione».26 Dunque un attivismo nuovo, dopo l’intorpidimento del Ventennio, non più direttamente legato all’ENIT e ridimensionato dal naturale evolversi della moderna organizzazione democratica nella sua complessità, con la quale il Touring manterrà contatti di prim’ordine,27 tuttavia con esiti da inascoltata Cassandra, come non nasconde lo stesso Mira: «Rientrando in Italia ho portato con me, insieme con la soddisfazione d’aver visto ancora una volta degnamente accolto e apprezzato dai sodalizi similari di tutto il nostro Touring, il cruccio di saperlo finora quasi inascoltato in una delle sue propagande più giuste e più chiaramente intese al vantaggio e al buon nome della patria».28 La propaganda qui in questione, per la quale «Le Vie d’Italia» si batteranno a lungo senza risultati evidenti, nonostante l’eco internazionale suscitato,29 è quella contro la pubblicità presente lungo le strade italiane, vero e proprio sfregio paesaggistico, nonché pericolosa fonte di disattenzione per gli automobilisti, causa di incidenti, feriti e morti, stando alle cronache del tempo.30 In piena ricostruzione, alle prime avvisaglie di un mutamento di mentalità consumistica su base americana che sarebbe andato affermandosi violentemente durante il boom economico, il mensile, assieme al quotidiano torinese ribattezzato «La nuova Stampa», tramite la firma di Bacchelli, nota anche in Corso Italia, si fa portavoce del disagio moderno, segnato da «affastellamenti di scritte, figure, fantocci, richiami», motivo dell’ennesimo investimento mortale sulle 26 Un voto del Touring al governo, in ivi, anno LII, n. 5, maggio 1946, p. 365. Cfr. la cronaca della visita alla sede del Touring del commissario per il turismo, on. Pietro Romani, in Vita del Touring, in ivi, anno LIV, n. 1, gennaio 1948, p. 4. 28 Il direttore del mensile in quest’occasione interviene sul turismo internazionale seguendo a Monaco di Baviera il Congresso dell’Alliance Internationale du Tourisme, lamentando, di fronte al progresso di trasporti sempre più veloci, l’arretratezza burocratica doganale, vero e proprio ostacolo per la diffusione di un turismo internazionale su larga scala. G. Mira, Quante cose s’imparano a un congresso internazionale, in ivi, anno LX, n. 7, luglio 1954, p. 871. 29 Contro gli eccessi della pubblicità. La parola ai tedeschi, in ivi, anno LXIII, n. 5, maggio 1957, p. 637. 30 Sul tema della sicurezza stradale, l’attenzione del Touring si conferma di primo piano con gli articoli, figli della loro epoca, di Aldo Saponaro, spesso illustrati da Bioletto e Luigi Grosso: A. Saponaro, Medicina e turismo: donne al volante, in ivi, anno LXIV, n. 5, maggio 1958, pp. 589-93; Id., Strade e feriti, in ivi, anno LXV, n. 2, febbraio 1959, pp. 236-43; Id., Strano fenomeno: lo smog, in ivi, anno LXVI, n. 3, marzo 1960, pp. 371-7. 27 250 strade del vercellese.31 A proseguire questa battaglia per il Touring v’è Luciano Della Mea, reduce di «Giustizia e Libertà», assunto da Giovanni Mira nel 1950 con mansioni di segreteria all’interno dell’associazione, per passare quattro anni più tardi all’«Avanti» curando la rubrica «Arrivi e partenze», e rientrare come pubblicista in Corso Italia dal 1958 fino al ’70, responsabile del bollettino di informazioni ai soci, fino alla chiusura delle pubblicazioni assieme alle «Vie d’Italia» e alle sue filiazioni, lasciando il posto al solo «Qui Touring».32 L’attivista toscano, presente sia nel mensile «Marco Polo», erede della «Sorgente», sia nella rivista madre con scritti di soggetto turistico, dal «medaglione di città» dedicato a Lucca al funzionamento di un grande albergo fino al paesaggio natio rievocato negli ulivi di Torre e interpretato dalla grafica di Bianconi,33 coglie criticamente i cambiamenti del costume: «C’è stata la guerra e dopo la guerra l’invasione di un sistema di marca americana ma che però in America ha già fatto il suo tempo. […] Cartelloni, insegne luminose, automobili addobbate, uomini sandwich, una caotica, prorompente disposizione di immagini e di scritte che vogliono imporsi all’occhio di chi passa».34 Sugli stessi motivi, smascheranti l’illusorio nuovo benessere, continua il critico d’arte del «Corriere» Leonardo Borgese, figlio del celebre Giuseppe Antonio, le cui idee non vanno certo interpretate alla luce di un misoneismo estraneo al progresso, lume sempre seguito dai discepoli del Bertarelli. Il suo orizzonte, largamente condiviso tra i locali di Corso Italia nel dopoguerra, è «quello di una borghesia illuminata nella quale crede»35 al fine di poter salvare il Bel Paese dalle deturpazioni frutto di un affarismo becero, lontano dalla bellezza del paesaggio e del patrimonio artistico, da salvaguardare strenuamente, riducendo «la velocità, la velocità fine a se stessa, la megalomania produttiva, l’ansia e l’angoscia, l’illuminazione eccessiva, 31 R. Bacchelli, Incuria delittuosa. L’investimento di Vercelli, in «La nuova Stampa», anno IX, n. 127, 29 maggio 1953, p. 3, ripreso anche in Contro gli eccessi della pubblicità, in «Le Vie d’Italia», anno LIX, n. 9, settembre 1953, p. 1213. 32 Cfr. L. Della Mea, Una vita schedata, Milano, Jaca Book, 1996, pp. 40-77, ove emergono la passione per il lavoro svolto all’interno del sodalizio, i legami con Giovanni Mira e la soddisfazione per una «retribuzione finalmente decente». 33 L. Della Mea, Ricordo di una diligenza, in «Le Vie d’Italia», anno LVII, n. 9, settembre 1951, pp. 1053-6; Id., Medaglione di città: Lucca, in ivi, anno LVIII, n. 4, aprile 1952, pp. 457-65; Id., Dietro le quinte di un grande albergo, in ivi, anno LIX, luglio 1953, pp. 930-7; Id., Gli ulivi di Torre, in ivi, anno LXII, n. 3, marzo 1956, pp. 321-6 e Id., Chi va e chi viene, in ivi, anno LXIX, n. 1, gennaio 1963, pp. 6978, ultima denuncia dello spopolamento della campagna toscana con i disegni di Vellani Marchi. 34 L. Della Mea, La strada, il paesaggio, la pubblicità, in ivi, anno LVII, n. 5, maggio 1951, pp. 588-93. 35 C. Bertelli, Il Paladino del Belpaese. Elzeviro Leonardo Borgese, in «Corriere della Sera», 25 novembre 2005, p. 55, presentazione della raccolta di alcuni articoli pubblicati sul quotidiano tra il 1946 e il 1970 di L. Borgese, L’Italia rovinata dagli italiani. Scritti sull’ambiente, la città, il paesaggio, a cura di V. Emiliani, Milano, Rizzoli, 2005. 251 orgogliosa, fine a se stessa, il rumore… E quindi la pubblicità, aggiungiamo adesso noi».36 Altro paladino dell’Italia e del Touring della ricostruzione sarà un rientrato Ferdinando Reggiori che, con la ripresa delle pubblicazioni, segue il rifacimento delle città (Milano, Firenze, Verona, Roma), in vari appuntamenti, contrassegnati dall’occhiello «Come si rifanno le nostre città»,37 ritornando ancora una volta sul problema pubblicitario con riferimento all’inquinamento luminoso delle insegne caotiche, sintomo della trasformazione di un’Italia che corre troppo e senza criterio. Il periodico, dal canto suo, fedele all’avversione di un consumismo selvaggio, nonostante le difficoltà economiche, non cerca scappatoie negli introiti pubblicitari, non accrescendo il numero di pagine introduttive e conclusive a questo predisposte. Il corpus centrale del mensile rimane così intatto e si interpongono solo nelle rubriche e nei notiziari gli affiches geometrizzanti dello svizzero Nico Edel per la Cinzano, le rime baciate di Trilussa per le lenti Salmoiraghi, le pubblicità concepite dallo studio Ultra degli alcolici Biancosarti e del DDT della Bombrini Parodi-Delfino, nuova pericolosa soluzione alle aree infestate dalla zanzara anofele, le réclames delle linee di navigazione italiane verso le Americhe, l’Australia e le coste del Mediterraneo, sintomo che l’emigrazione italiana non accenna da arrestarsi. Anzi, nel marzo 1949 prima del sommario d’apertura vi è pure un prospetto pubblicitario pronto a caldeggiare l’emigrazione come soluzione ai problemi del dopoguerra: «La politica di emigrazione non mira semplicemente a risolvere il problema della disoccupazione. Essa contribuirà anche, grazie alle rimesse degli emigranti, ad alleggerire la bilancia dei pagamenti». Centocinquantamila a partire dal dopoguerra sono gli italiani che ogni anno lasciano la patria, nonostante l’aria di novità portata dai beni di consumo come la Lambretta, prodotta ogni anno in più di 110.000 esemplari, i cui nuovi acquirenti sono agevolati a divenire soci del Touring, come reclamizzato nel 1953. Nello stesso anno, stando alle pubblicità sul mensile, una campagna di marketing similare è stipulata anche tra la benzina Esso e i membri dell’associazione. 36 L. Borgese, Pubblicità tiranna, in «Le Vie d’Italia», anno LXII, n. 2, febbraio 1956, pp. 16. Si veda anche l’articolo in difesa del patrimonio artistico nazionale di Id., Lasciar tranquilli i capolavori, in ivi, anno LXIII, n. 1, gennaio 1957, pp. 29-32. 37 F. Reggiori, Passato, presente, futuro di Milano, in ivi, anno LII, n. 6, giugno 1946, pp. 435-44; Id., Firenze, in ivi, anno LIX, n. 6, giugno 1953, pp. 729-38; Id., Verona, in ivi, n. 8, agosto 1953, pp. 101220; Id., Roma, in ivi, anno LX, n. 2, febbraio 1954, pp. 145-55; Id., Il volto nuovo di Milano, in ivi, anno LXII, n. 4, aprile 1956, pp. 415-24. 252 Questa politica di marketing testimonia come il sodalizio non tradisca le sue origini legate al moto, e con la ripresa democratica si presenti, assieme alla sua pubblicistica, non circoscritta alla sola rivista tecnica «Le Strade», sempre più connesso a un nuovo dinamismo privato e pubblico in materia di trasporti, da ripensare alla luce della ricostruzione, dei bisogni e delle possibilità di un’Italia impoverita, ma pronta a correre come mai aveva corso prima. Da un lato il Touring tra i privati perde il ruolo orchestrato con il RACI (poi ACI) pressoché monopolistico nella gestione stradale dell’epoca dell’Italia liberale, ma dall’altro, dopo gli anni totalitari, riconquista almeno una voce in capitolo nella concertazione statale e delle aziende interessate: «Tornano alla ribalta dell’aperta discussione dopo lunghi anni di coercitivo silenzio, insieme e tanti altri problemi della vita economica e sociale italiana, quelli dell’automobilismo. Urge delineare per esso un ragionevole clima legislativo; urge definire i rapporti con l’Autorità e la legge».38 Aldo Farinelli ritorna sulle pagine del mensile per discutere di questo con un occhio di riguardo alla classe popolare, auspicando, così come era avvenuto per la bicicletta, una progressiva democratizzazione dei mezzi a motore. Un suo articolo dell’immediato dopoguerra, non esente da orientamenti ideologici, del tutto nuovi per la rivista, comincia così: «Il mondo volge a sinistra e tenta di portare a sinistra anche l’automobile, riformandone la struttura sotto specie di vetturetta popolare».39 È l’inizio dell’epoca della Cinquecento e dell’Italia attraversata a tutta velocità dall’arteria autostradale delle vacanze: l’autostrada del Sole, costruita oltre che per il rilancio del turismo, per favorire più rapidi collegamenti tra Nord e Sud della Penisola e abbattere dunque i costi e i tempi di trasporto.40 Il secolo della velocità, vincitrice su ogni distanza, cerca di riprendere a correre dopo la seconda guerra che lo ha martoriato: si guarda non solo alle strade, ma anche al cielo. L’aeropittore futurista Enrico Castello detto Chin, da esperto d’aeronautica scrive e disegna il nuovo ruolo (centrale per la posizione geografica) dell’Italia nei cieli;41 dieci anni dopo, Vittorio Gorresio, responsabile della redazione romana della «Stampa», commentatore politico tra i più 38 Introduzione redazionale a A. Farinelli, E adesso povera auto?, in ivi, anno LII, n. 2, febbraio 1946, p. 119. 39 A. Farinelli, Microvetture per il dopoguerra, in ivi, anno LII, n. 10, ottobre 1946, p. 770. Sulle auto utilitarie sogno del ceto medio italiano si veda anche C. Biffi, Grande desiderio di piccola automobile, in ivi, anno LVI, n. 1, gennaio 1950, pp. 54-60. 40 Cfr. C. Biffi, L’Autostrada del Sole, in ivi, anno LXIII, n. 4, aprile 1957, pp. 421-30 e n. 5, maggio 1957, pp. 595- 604; Id., Un turista sull’Autostrada del Sole, in ivi, anno LXV, n. 8, agosto 1959, pp. 1049-54. 41 E. Castello, Futuro aeronautico dell’Italia, in ivi, anno LII, n. 1, gennaio 1946, p. 73. 253 letti,42 nel mezzo della guerra fredda pronostica i tempi di un turismo astronautico, stando a fonti russe: «nel 1990 sarà compiuto il primo viaggio di osservazione attorno alla luna, e finalmente nel 2000 sarà possibile il primo nostro sbarco sulla luna».43 Gorresio si sbaglia: il mondo corre più veloce. Corre anche l’Italia, non nei cieli e nello spazio, ma nel suo piccolo, come può: sulle sue strade intrise di sangue, come denuncia il Touring, da sempre attento alla sicurezza, con Cesare Biffi44 e con una tragica interpretazione grafica di Bianconi di corpi raccolti dall’asfalto: «Ci domandiamo: perché? a quale scopo? Troppo difficile è persuaderci che si tratti davvero del prezzo fatale di ogni progresso. Dubitiamo invece, e con dose sempre più tenue di dubbio, che si tratti di un pezzo senza acquisto, o con il solo acquisto di sempre più accendere la nefasta ambizione del superare, quell’ambizione che una volta era soltanto dei cavalli che ciascuno vorrebbe correre davanti a tutti e tutti corrono come bestie pazze; quell’arroganza meccanica che può vantarsi di avere trasformato la strade in palestre di rischio mortale».45 Nel giro di pochissimi anni la rivista, seguendo i repentini cambiamenti sociali, le influenze di nuovi costumi d’oltreoceano e le iniezioni economiche del piano Marshall, passa dal trattare i temi dell’indigenza degli sfollati tra le rovine di quelle che un tempo erano città, ai contrasti di uno sviluppo troppo veloce, costruito su basi che paiono talvolta effimere e fallaci, oltre che dannose, come le pubblicità commerciali infestanti ogni angolo della vita quotidiana e l’irruenza meccanica che nutre la sfida di superare ogni limite consentito. Dell’Italia, uscita martoriata dal conflitto, occorre ricordare i punti di partenza, i sacrifici e le lotte, per ritrovare un’identità sganciata dai modelli dei liberatori oltre che da un passato tronfio, portatore di distruzione. «Andavate per le strade e vedevate sfilare dinanzi ai vostri occhi tutta questa umanità rassegnata, carica di fagotti e fagottini, valige e valigette, preoccupata solo d’arrivare in qualche 42 E. Marcucci, Giornalisti grandi firme, cit., p. 233. V. Gorresio, Turismo astronautico, in «Le Vie d’Italia», anno LXII, n. 1, gennaio 1956, p. 29. 44 Cfr. anche C. Biffi, Circolare e rispettare il prossimo, in ivi, anno LV, n. 5, maggio 1949, pp. 491-6; Id., Gli incidenti stradali possono, quindi devono, essere evitati…, in ivi, anno LVII, n. 2, febbraio 1951, pp. 153-62, e Id., Il codice della strada che stiamo aspettando, in ivi, anno LXIV, n. 9, settembre 1958, pp. 1117-24 e n. 10, ottobre 1958, pp. 1281-8. 45 C. Biffi, Corride per le strade, in ivi, anno LX, n. 1, gennaio 1954, p. 28. 43 254 modo alla meta»:46 è uno dei tanti pensieri di un taccuino di viaggio scritto e illustrato da un Biscaretti di Ruffia, inedito, calvo, ormai anziano, che si ritrae in primo piano a cercar riparo dietro le pietre, tra morti, soldati e civili in fuga, sotto i bombardamenti aerei. Altri disegni di devastazione, inusuali per la rivista d’intrattenimento familiare, che pure si era ben prestata alla propaganda bellica al tempo della Consociazione, sono quelli dei ponti del Serchio, ad opera di una sconosciuta Ornella Giovannini, che documenta lo sdegno della gente «nel vedere che quei meticolosi infernali preparativi di distruzione erano salvaguardati da soldati in uniforme italiana».47 Ancora più dure non possono che essere le immagini fotografiche dell’agenzia Publifoto di strutture ed edifici devastati dai bombardamenti tedeschi e alleati, senza far distinzione: il risultato alla fine della guerra è il medesimo. Un drammatico F. Bianconi interpreta l’articolo di C. Biffi, Corride per le strade, in «Le Vie d’Italia», anno LX, n. 1, gennaio 1954, p. 29, e a fianco, C. Biscaretti di Ruffia, Da Strambino a Torino con l’aiuto di Dio, in ivi, anno LII, n. 5, maggio 1946, p. 369. Fotografia Publifoto in O. Spinelli, Dramma delle ferrovie italiane, in ivi, anno LII, n. 2, febbraio 1946, p. 125. 46 C. Biscaretti di Ruffia, Da Strambino a Torino con l’aiuto di Dio. Turismo del povero sfollato, in ivi, anno LII, n. 5, maggio 1946, pp. 366-7. 47 O. Giovannini, Dove è passata la guerra: i ponti del Serchio, in ivi, anno LII, n. 12, dicembre 1946, p. 947. 255 5.3 NEORISORGIMENTO. DALLA RESISTENZA AI NUOVI CONFINI L’Italia ferita, dei semplici soci, dei professori come Oscar Spinelli, dei giornalisti come Casimiro Wronowski, estromesso nel Ventennio dal «Corriere», ha bisogno di raccontare e documentare come si è ridotta la penisola con ogni mezzo espressivo, verbale, fotografico, iconografico, rompendo il silenzio, celebrando la resistenza partigiana. Così fa il giornalista italo-polacco, cognato di Matteotti, accompagnato dai disegni di un ritrovato Umberto Zimelli, narrando la storia di un vecchio partigiano di Fontanigorda, emozionato dall’esecuzione dell’inno nazionale diretto dal maestro Toscanini;48 così fanno Nuto Revelli e Bianca Ceva, altri antifascisti, legati a «Giustizia e Libertà», che anticipano sulla rivista il ritorno di Franco Antonicelli. «Il turista che oggi risalga le valli del Cuneese, vestite dei grandi castagneti che danno i più pregiati marroni alle pasticcerie di mezzo mondo, non vede se non scarse tracce della guerra partigiana: case distrutte o incendiate, ponti rabberciati alla meglio, resti di interruzioni stradali e tombe nei piccoli cimiteri»,49 a far sì che i nuovi gitanti non dimentichino quel che è successo tra boschi e valli remote ci pensano la memoria di Nuto Revelli, nome cardine per il filone resistenziale einaudiano, e i ricordi della sorella di Umberto Ceva, insegnante al liceo Beccaria di Milano, attivissima nelle file partigiane nell’Oltrepò, altrettanto solerte poi all’interno del Movimento di Liberazione in Italia, che sulle «Vie d’Italia» ripercorre i suoi mesi alla macchia coi «montanari della val Curone, costretti a trascinare a piedi scalzi sugli erti sentieri ghiacciati i cannoni, sotto la sferza dei mongoli».50 L’iniezione resistenziale che pervade pagine e pagine della rivista, le cui fila annoveravano già ai tempi dell’ultimo atto della Consociazione i nomi di Antonicelli, Longhena e Gorgerino, si deve senza molti dubbi a Giovanni Mira, che rinnova queste collaborazioni. Da precisare che Franco Antonicelli, nonostante le aspettative legate al suo nome di figura cardine della resistenza, sulla rivista lascerà quasi una ventina di articoli compresi tra il 1956 e il 1962, tutti rigorosamente schedati nella Bibliografia degli scritti a lui dedicata, di carattere letterario, odeporico e storico risorgimentale, in 48 C. Wronowski, Toscanini e il vecchio partigiano, in ivi, anno LII, n. 2, febbraio 1946, pp. 137-41. N. R., Partigiani nelle valli del Cuneese, in ivi, anno LII, n. 8, agosto 1946, p. 593. 50 B. Ceva, La lotta partigiana nell’Oltrepò Pavese, in ivi, anno LIII, n. 4, aprile 1947, pp. 336. Per un profilo della partigiana pavese si veda M. Addis Saba, Partigiane: le donne della resistenza, Milano, Mursia, 2007, p. 93. 49 256 linea con la ricostruzione storiografica-identitaria messa in atto dalle scelte redazionali di Mira, circondato, come vedremo, da storici di prim’ordine quali Salvatorelli, Spellanzon e Di Nolfo. Antonicelli anziché al passato prossimo partigiano guarda quindi un po’ più indietro: «Non è certo un caso che la sua lunga e appassionata rivisitazione del passato, il ritorno alle radici della nostra nazione, siano da lui affrontati proprio nei difficili anni della ricostruzione, negli anni dei violenti contrasti sociali, della faticosa ricerca di un volto nuovo mentre il vecchio tardava tanto a scomparire, della guerra fredda, dell’angoscia per la tragedia vissuta e rimasta dentro gli animi. Allora egli pensò che il punto di riferimento non poteva non essere costituito dal Risorgimento […] il fittissimo lavoro che egli svolse per il centenario del ’61 va ben al di là dell’intento celebrativo, e rappresenta il punto di approdo di una ricerca di valori capaci di saldare in profondo il primo e il secondo Risorgimento».51 La saldatura è ideologicamente fortissima tanto da non essere immune a vere e proprie sovrapposizioni: riguardo ai garibaldini, Cavour «sapeva benissimo che, in una misura o nell’altra, i volontari professavano idee rivoluzionarie, o ne portavano con sé i germi o li avrebbero facilmente accolti vivendo insieme. Una guerra partigiana; ma sapeva anche che la loro presenza testimoniava davanti all’Europa che l’indipendenza dell’Italia era un frutto maturo da tutte le parti».52 A Cavour e ad altre icone dell’Italia risorgimentale e liberale, come Verdi e Giolitti, Antonicelli consacra un ciclo di trasmissioni radiofoniche dal titolo Dove il passato vive, che si riflette nella produzione destinata al mensile del Touring, già uso dagli anni Trenta a celebrare ricorrenze di figure emblematiche per la cultura italiana, muovendosi tra critica e odeporica. In relazione a questa tipologia di reportages interpretata dall’intellettuale d’adozione piemontese, Barbarisi ha scritto: «è sorprendente come i generi si confondano e tutto confluisca in 51 G. Barbarisi, Il «letterato» Franco Antonicelli, in Id. e P. Pellegrini (a cura di), Bibliografia degli scritti di Franco Antonicelli, Firenze, Olschki, 1990, p. XVIII. 52 F. Antonicelli, Garibaldi e i suoi volontari nel ’59, in «Le Vie d’Italia», anno LXV, n. 8, agosto 1959, p. 982. Si vedano anche: Id., In margine al glorioso ’59, in ivi, n. 6, giugno 1959, pp. 733-40 e Id., L’avventura di Aspromonte, in ivi, anno LXVIII, n. 7, luglio 1962, pp. 820-8. 257 una pagina quant’altre mai personale».53 Della stessa matrice polimorfa, geo-letteraria e odeporica, sono i cinquantenari dalla morte di due padri dell’Ottocento nostrano, al centro dell’analisi antonicelliana, celebrati con la visita nelle case che hanno visto partorire i loro capolavori o con ricordi autobiografici d’infanzia: Carducci e De Amicis. Come il Bertacchi nella casa di Leopardi, anche un più sobrio Antonicelli scava nell’anima dei muri e degli oggetti di proprietà Carducci grazie all’aiuto del vecchio custode Gigi, e scopre e fa scoprire che «nulla si è perduto, tranne in un bombardamento aereo, a Casaglia dove era stato tutto trasportato durante la guerra, un centinaio di libri, qualche manoscritto, il ritratto della regina, un busto di Dante. Tutto è qui, non manca che il suo padrone. Nessuna casa, tranne forse quella del Leopardi, che però l’abitò solo nella prima giovinezza, nessuna casa è così piena e viva e par che senta l’ansia di una presenza appena smarrita, quella notte del 16 febbraio 1907, alle 1,28, in un tempo di neve».54 Di De Amicis rivivono invece i ricordi delle amate letture d’infanzia, gelosamente custoditi e tenuti al riparo dalle profanazioni analitiche della critica, e il pari impegno civile, atto a costituire l’anima della nazione.55 La stessa anima per la quale lui e Cesare Pavese, immortale (come i suoi personaggi),56 avevano lottato. 53 G. Barbarisi, Il «letterato» Franco Antonicelli, cit., p. XIII. In riferimento agli articoli concernenti i medesimi protagonisti delle trasmissioni radiofoniche, si vedano: F. Antonicelli, Memorie e luoghi giolittiani, in «Le Vie d’Italia», anno LXIII, n. 11, novembre 1957, pp. 1445-52 e Id., Verdi fra due case, in ivi, anno LXIV, n. 12, dicembre 1958, pp. 1571-80. 54 F. Antonicelli, Ricordi carducciani del vecchio Gigi, in ivi, anno LXIII, n. 2, febbraio 1957, p. 197. Altra ricorrenza cinquantennale è quella di Giuseppe Giacosa ripercorsa nel Piemonte nostrano: Id., In margine al cinquantennio giacosiano: ombre della Duse nel Canavese, in ivi, anno LXII, n. 11, novembre 1956, pp. 1441-7. 55 F. Antonicelli, Il re di cuori. Edmondo De Amicis nel cinquantenario della morte, in ivi, anno LXIV, n. 4, aprile 1958, pp. 480-8. 56 Cfr. F. Antonicelli, Visita alle Langhe sulle orme di un poeta: il clarino di «Nuto», in ivi, anno LXII, n. 9, settembre 1956, pp. 1109-13. In queste pagine, corredate anche dagli schizzi di Bianconi, nuovamente la letteratura, a contatto con le persone e coi luoghi ove nasce, prende vita: «Nuto è un personaggio della Luna e i falò […]. Che Nuto fosse cavato dal vero, con tutti i ritocchi della discrezione e della fantasia, lo pensavo: ma non sapevo che in realtà un Nuto tutto intero, in carne ed ossa, ci fosse, anche se il nome non è quello naturalmente. Però è lui, l’uomo che in gioventù andava suonando il clarinetto per questi paesi e colline, per feste e fiere, e guidava la sua banda per gli stradoni freschi e bianchi di luna estiva», ivi, p. 1111. Tra gli articoli di Antonicelli, sin qui non ancora ricordati, molti dei quali reportages piemontesi, si vedano: Id., Italia minore: Sovana, in ivi, anno LXIII, n. 3, marzo 1957, pp. 351-6; Id., Ricorditi di me che sono la Pia, in ivi, n. 6, giugno 1957, pp. 729-35; Id., Piccola città del Piemonte: Bra, in ivi, n. 9, settembre 1957, pp. 1177-83; Id., Stampa di Palazzo Carignano, in ivi, anno LXIV, n. 1, gennaio 1958, pp. 39-47; Id., Una città del silenzio in Piemonte: Saluzzo, in ivi, n. 10, ottobre 1958, pp. 1262-70; Id., Ricordate Cabiria?, in ivi, anno LXV, n. 1, gennaio 1959, pp. 79-88; Id., Montaigne viaggiatore in Italia, in ivi, anno LXVI, n. 1, gennaio 1960, pp. 96-105; Id., La mostra storica di Torino, in ivi, anno LXVII, n. 8, agosto 1961, pp. 1008-16; Id., Le «carceri» di Giambattista Piranesi, in ivi, anno LXVIII, n. 4, aprile 1962, pp. 444-52. 258 Altro ritorno dalla fronda antifascista delle «Vie d’Italia» della Consociazione è il Longhena, neoeletto Presidente dell’Amministrazione degli Ospedali di Bologna, futuro Presidente della Croce Rossa Italiana, il quale lascia un reportage dal capoluogo emiliano, ove tutte le strutture sanitarie sono state colpite dalle bombe e ora in via di ricostruzione.57 Gorgerino, fedele di Parri, invece, per qualche mese, da luglio a settembre 1954, sarà il caporedattore della rivista, con un contributo inviato dalla Biennale di Venezia.58 Prima di lui Mira alle sue dirette dipendenze, in sostituzione di Gerelli, promuove a capo della redazione Antonio Bandini Buti, già redattore nell’anteguerra sia delle «Vie d’Italia» sia delle «Vie del mondo», il quale lascerà l’incarico nel 1949 per andare a dirigere il nuovo settimanale tecnico «Auto Commercio», poi «Auto Illustrazione», proseguendo alla Editoriale Domus in qualità di caporedattore di «Quattroruote». Anch’egli restituisce l’immagine di un’Italia mutilata e ancora inquietante: «fra le innumerevoli ferite inferte dalla guerra al nostro Paese, figurano, non ultime e non meno dolorose, quelle che riflettono la distruzione del suo patrimonio forestale»,59 documentando con sue fotografie le condizioni della pineta di Ravenna. In treno ritorna poi a Trieste, terra nuovamente di transizione in attesa di giudizio internazionale, intorno alla quale, in mezzo alla ricostruzione e agli sfollati istriani, si svelano verità oscure: «Ogni tanto, al largo della costa istriana, una barca armata jugoslava piomba sul motopeschereccio, ne sequestra il carico o addirittura lo conduce al più vicino porto della Zona B, controllato dalle forze di Tito, ove imbarcazione ed equipaggio vengono trattenuti. Le famiglie restano per parecchi giorni senza notizie, e le previsioni più tetre si fanno strada lasciando affiorare una parola tremenda e abusata: la foiba».60 Da una Pisa post-bellica che si rialza aprendo un nuovo museo, quello Nazionale di S. Matteo, invece scriverà Lorenzo Camusso, il quale prenderà il posto di Bandini Buti, curando anche la nuova rassegna di cronaca, fino a 57 M. Longhena, Rinascono gli ospedali bolognesi, in ivi, anno LIII, n. 3, marzo 1947, p. 272. G. Gorgerino, Visita alla XXVII Biennale di Venezia, in ivi, anno LX, n. 8, agosto 1954, pp. 965-72. 59 A. Bandini Buti, La pineta di Ravenna grande mutilata, in ivi, anno LII, n. 5, maggio 1946, p. 349. 60 A. Bandini Buti, Ritorno a Trieste, in ivi, anno LIV, n. 8, agosto 1948, p. 693. Tra gli altri suoi articoli più disimpegnati, d’arte, di costume e di servizio propagandistico all’attività dell’associazione si ricordano: Id., Un frutto di stagione: il cocomero, in ivi, anno LIII, n. 8, agosto 1947, pp. 733-8; Id., Le vacanze estive del Touring, in ivi, n. 10, ottobre 1947, p. 945; Id., Riflessi d’arte e di paesaggio nel francobollo, in ivi, anno LIV, n. 3, marzo 1948, pp. 270-7; Id., Tra Brenta e Piave: a Possano col Canova, in ivi, anno LV, n. 5, maggio 1949, pp. 531-9. 58 259 quando, come abbiamo detto, subentrerà Gorgerino.61 Quest’ultimo lascerà le sue mansioni dopo tre mesi, e in seguito a tali turbolenze redazionali, l’incarico finirà nelle mani di Mario Salvatorelli, continuando a coltivare un filone di interesse storicoidentitario, congeniale al professor Mira, molto legato al padre Luigi, nonché funzionale ai tempi gravidi di mutamenti territoriali e di ricorrenze: dai moti quarantottini, al centenario dei martiri di Belfiore, dall’unità d’Italia a Trieste italiana da un secolo a questa parte, fino alle battaglie della prima guerra mondiale. L’ex collaboratore di «Giustizia e Libertà», giovanissimo, muove i primi passi giornalistici tra il mensile del Touring e le sue guide, e celebra con un editoriale d’apertura, non appena insignito dell’incarico di redattore capo, il ritorno di Trieste italiana: il 5 ottobre 1954, «l’accordo di Londra restituisce all’Italia la città italiana che fu sempre meta luminosa del nostro Risorgimento nazionale, e quel tanto di litorale che permette l’unità territoriale entro i confini della patria; lascia alla Jugoslavia le città dell’Istria, ove suona tuttora la favella italiana, di Roma e di Venezia».62 Sull’Istria abbandonata a se stessa, naturale filiazione triestina, nelle «Vie d’Italia» si leva il canto di Giani Stuparich: «Dalla riviera di Barcola, dalle colline, da San Giusto, da ogni casa un po’ elevata di Trieste, l’Istria appare subito per quella che è in realtà: la continuazione naturale, un corpo solo con essa. Provenendo dall’Istria col piroscafo, non appena doppiata la Punta Salvore, Trieste apre le braccia, presenta la sua ridente faccia».63 Ma alla materna Trieste, «antica, rimasta fedele alla sua sobrietà tradizionale e un po’ chiusa nella fierezza della sua nobiltà», vengono strappati ancora in grembo i suoi figli: la sua penisola e i suoi abitanti. Nella prosa dell’ex vociano, combattente sul Carso, il paesaggio costiero, il suo profilo, divengono il personaggio protagonista, un essere vivente pulsante di vita, imprevedibile, sempre nuovo, vario. Tuttavia tale vitalità non costituisce più un dato reale, bensì fisso nella memoria: si tratta di Ricordi istriani, come recita il titolo dell’articolo che verrà ripreso per l’insieme di contributi giornalistici, edito dalle Edizioni dello Zibaldone di Trieste nel 1961, seconda raccolta autobiografica triestina, dopo quella garzantiana del 1948, Trieste nei 61 L. Camusso, Pisa dopo la guerra, in ivi, anno LVI, n. 3, marzo 1950, pp. 320-8. Seguirà anche la presentazione della Mostra Colombiana, Buscar el Levante por el Poniente, in ivi, n. 12, dicembre 1950, pp. 1369-74 e Il paesaggio e i pittori nel Rinascimento, in ivi, anno LVIII, n. 3, marzo 1952, pp. 373-80. 62 M. Salvatorelli, Cent’anni di passione per Trieste italiana, in ivi, anno LX, n. 11, novembre 1954, p. 1370. 63 G. Stuparich, Ricordi istriani, in ivi, anno LII, n. 2, febbraio 1946, p. 142. 260 miei ricordi. L’estetismo lirico di Stuparich pertiene a una dimensione memoriale, con proiezioni oniriche, stridenti con il presente, con il reale, che si riscontrano anche in una prosa di viaggio coeva all’articolo delle «Vie d’Italia», apparsa sul quotidiano torinese «La nuova Stampa», per il quale lo scrittore collabora dal 1932 al 1955: «Un porto è sempre un porto, cioè una realtà fluente, l’immagine della vita. Prendo pochi bacini del mio porto, gli usuali, tra molo e molo, lungo le rive, a contatto immediato con la città; e li proietto nel tempo. Quale prospettiva! Mettiamo quarant’anni e scelgo una giornata qualunque. […] E un altro triste giorno ci svegliammo pure; sarebbe stato più pietoso non svegliarsi. Il porto era deserto; non una barca, non un bastimento, non una nave, non una vela, un deserto d’acqua e di pietre costrutte; e il sole indifferente vi splendeva sopra, i venti increspavano i bacini tra molo e molo. Era la guerra. Ed oggi non c’è più la guerra e il deserto, la vita ritorna; ma il porto ha messo su una nuova armatura guerresca, e quale armatura. Occhi di luce sospettosi da per tutto».64 Nel contributo lasciato alle «Vie d’Italia», le proiezioni oltre che temporali e oniriche, sono spaziali, in quanto Stuparich rievoca magistralmente un viaggio in vaporetto da Trieste a Pola, in continua evoluzione prospettica. La sua prosa è ritmica, quasi una danza armoniosa «di ghirlande che lega cittadina con cittadina», «cittadine innalzate come miracoli su piccoli promontori e penisolette, coricate placidamente in profondi seni, esposte sulla palma d’un’isoletta congiunta alla costa da un ponte o da un terrapieno, chiuse in porticcioli naturali, e tutte civettanti col mare, a specchio dell’acqua, con mirabili sfondi di colline ad anfiteatro o a più piani, con variazioni di luci dal rosa pallido e dal cilestrino all’arancione e all’intenso violetto, protette da scogli selvaggi, circondate da pinete; e tra l’una e l’altra nastri di terra rossa e di terra bruna coltivati a grano, a viti, a olivi, e lauri e cipressi […]. L’incontro insospettato della terra, il molo, il cicaleccio della gente affollata, lo stridere della passerella, i rumori dello scarico e del carico; e quelle piazze nel sole, quelle casine variopinte riflesse nell’acqua, le tende rigate a colori delle osterie, i mandracchi con le 64 G. Stuparich, Riflettori sotto le stelle, in «La nuova Stampa», anno II, n. 18, 20 gennaio 1946, p. 1. 261 barche pescherecce, e le reti ad asciugare, l’odore del pesce mescolato al profumo dei pini o dei lauri, delle mente e dei timi».65 L’eleganza sinuosa della sintassi ampia, che si snoda nella variatio delle descrizioni allitteranti, cromatiche e sensoriali, si erge sulle insistite riduzioni dei diminutivivezzeggiativi dal forte valore affettivo, i quali confermano la dimensione evocativa di un passato irrimediabilmente perduto. «I suoi Ricordi Istriani (1961) sono l’elegia sentimentale di una perdita»,66 la privazione di una terra crocevia, piena di vita e d’una irrequietezza poi soltanto funerea. Carlo Bo, in una sua collaborazione degli anni Cinquanta sul mensile del Touring nei suoi ritratti di scrittori triestini (Svevo, Slataper, Benco, Saba e Gambini), rivendica d’altro canto come non si debba considerare Stuparich «un raffinato creatore di atmosfere poetiche ma sia invece più utile fissarlo nell’ambito di una letteratura viva fra morale e bellezza»,67 o meglio tra passione civile della patria, per la quale si è a lungo lottato, e incanto estetico della propria terra. Prosegue il mese successivo, con fare più scientifico e meno poetico, se non per le rievocazioni dei versi virgiliani (Aen. I, vv. 241-6) e danteschi (Inf. IX, vv. 113-4), l’allievo di Stuparich, Sergio Pirnetti, scrittore e poeta dialettale, che in questa sede si concentra sulla fonte di energia idroelettrica costituita dal fiume carsico Timavo e sui rischi di destabilizzazione geo-politica cui si andrebbe incontro con una spartizione territoriale del suo corso,68 come effettivamente avverrà. Oltre al dato geo-economico con implicazioni politiche, a documentare il dramma umano dei confini mal tracciati dal trattato di Parigi, ci pensa il giornalista del «Corriere» Giuseppe Silvestri, imbarcatosi per seguire l’esodo degli italiani d’Istria sui vaporetti, un tempo carichi di triestini come Stuparich, che lì tornavano per le vacanze. Alla pubblicazione delle condizioni del trattato di pace parigino, in una delle tante piccole motonavi a far da spola tra le due sponde nemiche, «circa settecento profughi erano a bordo: un carico di sventura e di dolore».69 Il totale ammonta a più di 250.000 esuli. Mario Salvatorelli e l’alpinista, scrittore e fotografo Silvio Saglio, legatissimo al Touring e al CAI per la redazione delle 65 G. Stuparich, Ricordi istriani, art. cit., pp. 143-5. A. Ara, C. Magris, Trieste: un’identità di frontiera, Torino, Einaudi, 1982, p. 97. 67 C. Bo, Scrittori di Trieste, in «Le Vie d’Italia», anno LXI, n. 1, gennaio 1955, p. 55. Un altro articolo del critico ligure è un reportage pugliese del 1950: Id., Taranto e il giuoco delle impressioni, in ivi, anno LVI, n. 9, settembre 1950, pp. 997-1004. 68 S. Pirnetti, Attualità del Timavo, in ivi, anno LII, n. 3, marzo 1946, pp. 186-91. 69 G. Silvestri, Il dramma di Pola, in ivi, anno LIII, n. 3, marzo 1947, p. 250. 66 262 collane «Guida dei monti d’Italia» e «Da rifugio a rifugio», le cui tracce sono ben visibili sul mensile,70 nel 1954 ripercorrono in tre tappe questo discusso confine orientale, dal Tarvisio a Muggia, passando per Tarcento e Gorizia, in occasione del trattato di Londra che estende il territorio italiano di 215 chilometri rispetto alla precedente conferenza di Parigi. Un reportage tecnico, di strade percorse, impervie e militarmente ovunque sorvegliate, distanze, altitudini toccate, da una terra divisa, con Gorizia in primis a pagare le spese.71 Alle «Vie d’Italia» del dopoguerra collabora anche il padre di Mario Salvatorelli, l’insigne storico Luigi, autore antifascista chiamato da Rusca in Mondadori per il Corso di storia per i licei (Milano, 1933), con il quale Mira, altro nome amico segnalato dal solito Rusca per la collana «Scie», redigerà la Storia del fascismo. L’Italia dal 1919 al 1945 (Roma, Novissima, 1952) e Storia d’Italia del periodo fascista (Torino, Einaudi, 1956).72 Salvatorelli padre nella sede del periodico del Touring si occupa dell’inaugurazione del monumento a Mazzini: «Non sarà fare del misticismo (o della retorica) se si chiama provvidenziale il fatto che, dopo tanti ritardi, tocchi alla nuova Repubblica italiana, nei suoi primi anni, inaugurare il monumento di Colui che non può non essere considerato il suo primo e maggior ispiratore; e che l’inaugurazione 70 Oltre a scattare le fotografie delle vette, poste in copertina a molti numeri (febbraio 1946, febbraio 1952, aprile 1952, marzo 1959), presentazioni e anticipazioni delle guide sono presenti sulla rivista, accanto ad articoli sempre di argomento montano, per un totale di più di venti contributi, che incoronano lo scrittore come il punto di riferimento del Touring per la montagna: S. Saglio, I rifugi delle Prealpi lombarde, in «Le Vie d’Italia», anno LII, n. 6, giugno 1946, pp. 458-63; Id., Lieto bilancio delle «vacanze economiche» del TCI: cinque settimane nell’Ortles-Cevedale, in ivi, n. 10, ottobre 1946, p. 797; Id., L’equipaggiamento dello sciatore, in ivi, anno LIII, n. 1, gennaio 1947, pp. 77-80; Id., Nell’alta Valle Brembana, in ivi, anno LV, n. 5, maggio 1949, pp. 497-503; Id., Fra i ghiacciai delle Pennine, anno LVI, n. 3, marzo 1950, pp. 273-80; Id., Nelle Alpi centrali tra il Maloia e il Resia, in ivi, n. 6, giugno 1950, pp. 652-8; Id., I rifugi alpini, in ivi, anno LVII, n. 6, giugno 1951, pp. 669-75; Id., Nelle Alpi Pennine: il Monte Rosa, in ivi, n. 7, luglio 1951, pp. 796-805; Id., Le Alpi Graie, in ivi, anno LVIII, n. 6, giugno 1952, pp. 729-39; Id., Le Alpi Retiche Occidentali, in ivi, anno LIX, n. 6, giugno 1953, pp. 746-55; Id., Fra i monti dell’Adamello, in ivi, anno LX, n. 1, gennaio 1954, pp. 40-8; Id., «Le Alpi Carniche», nuovo volume della «Guida dei monti d’Italia», in ivi, n. 5, maggio 1954, pp. 559-67; Id., Le Dolomiti tra Cordevole e Piave, in ivi, n. 8, agosto 1954, pp. 957-64; Id., La Valle Anzasca e il Monte Rosa, in ivi, anno LXI, n. 7, luglio 1955, pp. 840-7; Id., È accaduto in montagna, in ivi, anno LXIII, n. 8, agosto 1957, pp. 1043-7; Id., Rifugi e bivacchi, in ivi, anno LXV, n. 7, luglio 1959, pp. 911-20; Id., Mestiere modesto e difficile. Guide e portatori, in ivi, anno LXVI, n. 2, febbraio 1960, pp. 181-8; Id., Un gigante delle Alpi Retiche, l’Adamello, in ivi, n. 6, giugno 1960, pp. 740-51; Id., Un colosso delle Alpi Retiche, il Bernina, in ivi, n. 10, ottobre 1960, pp. 1321-31; Id., Sci e scarponi in vetrina, in ivi, anno LXVII, n. 1, gennaio 1961, pp. 93-100; Id., Il Monte Rosa, in ivi, n. 6, giugno 1961, pp. 718-27 e Id., Ritratto del Monte Bianco, in ivi, anno LXVIII, n. 7, luglio 1962, pp. 865-74. 71 S. Saglio e M. Salvatorelli, Il nostro confine orientale, in ivi, anno LX, n. 12, dicembre 1954, pp. 150714; anno LXI, n. 1 e 2, gennaio e febbraio 1955, pp. 24-32 e pp. 150-8. 72 Sui legami instauratisi alla Mondadori durante il Ventennio tra Rusca, Salvatorelli e Mira, cfr. G. Turi, Luigi Salvatorelli, un intellettuale attraverso il fascismo, in «Passato e presente», n. 66, 2005, pp. 89-109. 263 avvenga nel primo centenario di quella Repubblica Romana e di quella difesa di Roma che segnano, nell’ispirazione a con l’opera dell’apostolo, i precedenti più significativi e gli auspici più luminosi della terza Italia».73 L’Italia repubblicana rinasce nuovamente come una Fenice; il Ventennio, ossia la seconda Italia, è accantonato nel ricordo ancora bruciante, tutto a favore della prima Italia, quella Risorgimentale. Ripresa e Risorgimento nelle pagine storiografiche, predisposte dalla rivista in numero sempre maggiore, costituiscono il connubio identitario privilegiato, ampliato sino agli eroismi del primo conflitto mondiale. Si prosegue in tal modo la tradizionale evocazione patriottica di stampo tardo ottocentesco tipica del Touring, alla quale in Corso Italia pure in epoca fascista si era rimasti fedeli, allontanandosi dalla propaganda allora dominante, con i casi di Ettore Fabietti e di Oreste Ferrari, quest’ultimo ancora «nel dopoguerra dette alle “Vie d’Italia” qualche bell’articolo sui canti popolari trentini»74 e una celebrazione del viaggio in Italia di Goethe.75 Cesare Spellanzon, storico seguace del Cattaneo, il cui «Politecnico» fu sempre visto con favore dal sodalizio ambrosiano (sebben orientato verso idee più conservatrici ed unitarie), aveva anch’egli già collaborato col mensile nell’anteguerra, ricordando l’opera di irrigazione messa a punto dalla rete di canali voluta da Cavour e l’invio delle truppe sabaude nella penisola di Crimea. Le contestualizzazioni e i richiami col periodo fascista erano esaltati dagli occhielli o dalle introduzioni redazionali, premurose a ricordare la «Bonifica integrale in azione»76 e nel mezzo della campagna di Russia «un’altra guerra, ch’ebbe per teatro principale la Crimea, e in cui l’esercito piemontese si coperse di gloria nella battaglia della Cernaia».77 I suoi contributi storiografici del 73 L. Salvatorelli, Il monumento nazionale di Giuseppe Mazzini in Roma, in «Le Vie d’Italia», anno LV, n. 6, giugno 1949, p. 637. 74 g.[iovanni] m.[ira], Notiziario. Anche Oreste Ferrari si è spento, in ivi, anno LXVIII, n. 3, marzo 1962, p. 384. 75 O. Ferrari, Canti del Trentino, in ivi, anno LIV, n. 11, novembre 1948, pp. 989-94 e Id., Goethe in Italia. Acquarelli e disegni del viaggio in Italia nel bicentenario della nascita, art. cit. 76 Occhiello introduttivo all’articolo di C. Spellanzon, La rete demaniale dei canali Cavour, in ivi, anno XXXV, n. 11, novembre 1929, p. 835. 77 Nota redazionale a C. Spellanzon, Vittorio Emanuele, Cavour, La Marmora e la guerra di Crimea del 1854-55, in ivi, anno XLVII, n. 12, dicembre 1941, p. 1293. Circa l’attaccamento di Spellanzon alla matrice democratica cattaneana dimostrata per tutto il Ventennio nei quattro volumi della Storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, Milano, Rizzoli, 1932-’38 (proseguita fino al 1965), e ancora in questo articolo degli anni Quaranta, «non deve […] stupire che un indirizzo siffatto Spellanzon mantenesse all’indomani della guerra, quando soprattutto il nome di Cattaneo parve rappresentare un punto di riferimento per la costruzione di una tradizione patria alternativa a quella che lo stato unitario prima e il fascismo poi avevano, sotto il segno di un aggressivo nazionalismo, molto forgiato», in A. De 264 dopoguerra non necessitano più di tali cornici giornalistiche e Giovanni Mira, intento durante il periodo della sua direzione a celebrare gli anniversari di Vittorio Veneto e le tappe dell’unità italiana, lascia ampio spazio alle divulgazioni storiche, prima di Spellanzon e poi di Ennio Di Nolfo, il continuatore della sua Storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia. Nelle pagine del mensile trovano posto, mai in maniera così insistita, puri saggi di storia contemporanea in risposta a quella necessità impellente di riscriverla, potendo tenere finalmente e apertamente fede al rigore del proprio pensiero e non ai diktat del regime.78 Non solo si tratta di riscrivere il passato, ma vi è anche l’urgenza di capire il presente in cui si decidono nuovamente i confini nazionali, senza tuttavia tentare di interpretare i vent’anni fascisti ancora troppo vicini nella memoria dei lettori delle «Vie d’Italia» della Consociazione. Di Nolfo, oltre alle commemorazioni dei patrioti Daniele Manin e del protagonista dello sbarco di Sapri, Carlo Pisacane, ricorda tra i pezzi dell’appena inaugurato Museo Cavouriano nella dimora di caccia della famiglia dello statista a Santena, il centenario del Congresso di Parigi, quello al termine della guerra di Crimea che pose finalmente la penisola al centro della politica internazionale, con esiti più positivi sulle sorti dell’Italia rispetto a quello del 1947.79 Nei riguardi di quest’ultimo, la presidenza di Corso Italia, che sempre aveva seguito i mutamenti dei confini territoriali nazionali e imperiali, ferita nel suo patriottismo, non mancherà di pronunciarsi, denunciando i misconoscimenti del sacrificio della lotta partigiana contro il nazifascismo, le ingiustizie, le spoliazioni delle terre frutto di lotte secolari e di battaglie coloniali: «al lume della giustizia internazionale, la privazione delle Colonie che l’Italia fondò in Africa in pieno accordo con le altre Potenze coloniali, Francesco, Mito e storiografia della «Grande rivoluzione». La Rivoluzione francese nella cultura politica italiana del ‘900, Napoli, Alfredo Guida editore, 2006, p. 20. 78 Cfr. C. Spellanzon, Le cinque giornate di Milano, in «Le Vie d’Italia», anno LIV, n. 3, marzo 1948, pp. 245-51, riprodotte sulla copertina a tema attraverso la stampa di G. Mazzola conservata nella Civica Raccolta delle Stampe del Castello Sforzesco (La costruzione di una barricata a Milano il 19 marzo 1948); Id., Il quadrilatero nella guerra 1848, in ivi, n. 7, luglio 1948, pp. 625-32; Id., La Repubblica Romana del ’49 e la sua eroica difesa, in ivi, anno LV, n. 7, luglio 1949, pp. 745-52; Id., Giovanni Berchet nel centenario della morte, in ivi, anno LVII, n. 12, dicembre 1951, pp. 1477-81; Id., I martiri di Belfiore e il 6 febbraio 1853, in ivi, anno LIX, n. 1, gennaio 1953, pp. 110-7. Di Giovanni Mira si ricordino: A quarant’anni da Vittorio Veneto, in ivi, anno LXIV, n. 11, novembre 1958, pp. 1391-404; Id., Il 1859 nella storia d’Italia e d’Europa, in ivi, anno LXV, n. 4, aprile 1959, pp. 424-37; Id., Il 1860: unione tra nord e sud, in ivi, anno LXVI, n. 5, maggio 1960, pp. 558-71. 79 Cfr. E. Di Nolfo, Nel centenario del Congresso di Parigi. Santena e Cavour, in ivi, anno LXII, n. 10, ottobre 1956, pp. 1265-72; Id., La spedizione di Sapri, in ivi, anno LXIII, n. 8, agosto 1957, pp. 1021-6; Id., Daniele Manin, in ivi, n. 10, ottobre 1957, pp. 1329-33. 265 recando un positivo contributo di civiltà a quel continente, non potrebbe essere giustificata».80 Pur cambiando i confini geografici italiani, non cessano, sebbene più misurate, le attenzioni per gli ex domini coloniali, verso i quali il Touring riconoscerà sempre il ruolo civilizzatore dell’Italia, nascondendo o non volendo sapere le pesanti contropartite. Non si guarda più all’impero, cancellato dalla memoria storica, quanto piuttosto alle singole ex colonie di vecchia data liberale, come la Tripolitania, l’Eritrea e la Somalia. Amilcare Fantoli, dopo la guerra ritorna in Tripolitania e denuncia «le colture, distrutte nel giro di poche settimane dalle esigenze militari degli occupanti. Si è così annullato un ventennio di lavoro. E quale lavoro!»;81 lamenta come l’opera portatrice di progresso, frutto del sudore italiano, sempre indiscusso e indiscutibile, sia andata perduta in nuove mani: «le strade, gli edifici pubblici, le linee telegrafiche e telefoniche, gli impianti idrici; in una parola, la cornice integrale di un quadro che può ben dirsi di vita civile».82 Rimpianti non dissimili si provano per l’Eritrea e gli italiani ivi rimasti (17.000 ancora nel 1956), che nonostante il protettorato britannico e il passaggio sotto il potere etiopico, hanno saputo portare nuova prosperità, a quanto si legge e si vede dal fotoreportage di Vincenzo Fusco. Questi, capo dell’Ufficio Escursioni, Vacanze e Campeggi del TCI, con Carlo Orlando, specialista di campeggi, nel 1956 pianificherà l’ennesima escursione sociale in Tripolitania, come ai vecchi tempi: sarà l’ultima volta.83 Lino Pellegrini, fotoreporter appassionato di sub84 ed ex combattente nel continente nero, fondatore nel 1961 del trimestrale «Il reduce d’Africa», ancora nel 1953 parla di turismo in Somalia: «venti ore di volo, e quel territorio ci sta in pugno».85 Un sentimento di possesso, che non tiene in considerazione gli abitanti indigeni, ma si focalizza sempre sulla «volontà e la tenacia degli Italiani ‹che› hanno saputo mantenere una certa vitalità all’economia della Somalia, di cui 80 La Presidenza del TCI, 10 febbraio 1947, in ivi, anno LIII, n. 3, marzo 1947, p. 209. A. Fantoli, In Tripolitania dopo trent’anni, in ivi, anno LIV, n. 9, settembre 1948, p. 804. 82 Ivi, p. 808. 83 Cfr. C. Orlando, In Tripolitania con il Touring, in ivi, anno LXII, n. 2, febbraio 1956, pp. 189-96 e V. Fusco, Incontro con gli italiani in Eritrea, in ivi, n. 3, marzo 1956, pp. 327-35. 84 Suoi e del nobile siciliano Francesco Alliata di Villafranca, amante di fotografia e di riprese subacquee saranno i fotoreportages sottomarini degli anni Cinquanta e Sessanta: L. Pellegrini, Vecchio e nuovo sotto il mare, in ivi, anno LXV, n. 9, settembre 1959, pp. 1142-51; Id., Passeggiate sottomarine, in ivi, anno LXXI, n. 8, agosto 1965, pp. 929-41; mentre da ricordare di Alliata, scopritore di Fosco Maraini, che correda l’articolo con i suoi scatti tratti dal film Vulcano con Anna Magnani, Il tonno e la tonnara, in ivi, anno LVII, n. 9, settembre 1951, pp. 1025-37. 85 L. Pellegrini, Turismo in Somalia, in ivi, anno LIX, n. 8, agosto 1953, p. 1047. 81 266 sempre costituiscono il fulcro e l’elemento propulsore».86 Tali le parole dell’africanista (e colonialista) Enrico De Leone, che accuserà di patrio tradimento gli orientamenti di nuovi storici come Giorgio Rochat, i quali rompono per la prima volta l’omertà nostrana sugli studi coloniali, denunciando morti, deportati e metodi di conquista sprezzanti ogni diritto internazionale,87 ben oltre gli idilli di un’Italia esotica, con un posto al sole. 5.4 NOVITÀ IN REDAZIONE Se queste appena viste non sono altro che le ultime manifestazioni del turismo coloniale, d’altro canto, il turismo giovanile e scolastico del Touring pare invece rinascere. Chiusa la parentesi statale militarizzata dei Balilla e delle colonie elioterapiche del regime, che aveva causato la soppressione dell’organo di stampa «La Sorgente», il sodalizio milanese ritorna ad avere nel settore un ruolo di primo piano, «quasi a ribadire la sua originaria vocazione pedagogica»88 stoppaniana, con la nascita del mensile «Marco Polo». Dalle colonne delle «Vie d’Italia» l’invito propagandistico è tradizionale (e ancora maschilista): «Ogni Socio che abbia la fortuna d’essere padre iscriva il suo figliolo al Touring: è il più bel dono che gli possa fare, il più benefico alla sua educazione giovanile e virile».89 Come a dire, il turismo è ancora per soli uomini. Nonostante questi accenti passatisti, aperture nella granitica tradizione del Touring e del suo organo di stampa principale si riscontrano a partire dagli anni Cinquanta. I cambiamenti sono dovuti alla già citata generalizzazione dei contenuti, una tendenza del resto messa già in luce durante il Ventennio, che ora risponde ad una volontà di allargamento di pubblico e non più a delle necessità censorie. Tra le difficoltà post-belliche segnalate, il razionamento dell’energia elettrica, motivo di ritardi per 86 E. De Leone, L’Italia sulle sponde dell’Oceano Indiano, in ivi, anno LIV, n. 2, febbraio 1948, p. 156. Ancora di De Leone si vedano i contributi dall’Africa: Gli Italiani in Egitto dopo la guerra, in ivi, n. 6, giugno 1948, pp. 505-11 e Id., L’80° anniversario dell’acquisto della Baia di Assab, in ivi, anno LVI, n. 2, febbraio 1950, p. 220. 87 Cfr. N. Labanca, P. Venuta (a cura di), Seminario di studi storici italo-libici. Un colonialismo, due sponde del Mediterraneo, Atti del Seminario di studi storici italo-libici, Siena-Pistoia, 13-14 gennaio 2000, Pistoia, CRT, 2000. 88 S. Pivato, Il Touring Club Italiano, cit., p. 138. 89 La Presidenza, Il Touring e i giovani, in «Le Vie d’Italia», anno LIII, n. 12, dicembre 1947, p. 1086. 267 l’allestimento delle pubblicazioni,90 e i prezzi delle materie prime sempre in rialzo, in conseguenza della guerra di Corea, i propositi di rinnovare il mensile, trasformandolo in un prodotto editoriale elegante, vario e per tutta la famiglia, slittano di qualche tempo. A causa del «rincaro formidabile della carta e della stampa […] non si è potuto, come si sperava, aumentare lo spessore dei fascicoli, migliorare il materiale grafico, introdurre le tavole a colori, dare insomma alla Rivista una veste più sfarzosa ed elegante. […] Vuol dire che tutto il nostro studio si dovrà concentrare sull’altro obiettivo: migliorare il contenuto».91 Tuttavia già nel 1951, quando si stende questo bilancio prudente e si decide di portare per l’anno successivo il costo annuale dell’abbonamento della rivista da 1.200 a 1.800 lire, vi sono novità: si tenta di dare avvio a un notiziario illustrato in apertura del mensile sotto il titolo di Notizie e immagini sul modello (un po’ retrò, ma di straordinario successo) della «Domenica del Corriere», e ritornano in copertina le fotografie (questa volta finalmente a colori) di Bruno Stefani, Fosco Maraini, Alfredo Camisa e Giancolombo, sebbene una migliore qualità grafica con tinte sgargianti si raggiungerà effettivamente soltanto nel 1954, con l’adozione della carta patinata. Giancolombo, al secolo Giovan Battista Colombo, collabora con i maggiori illustrati italiani e mondiali («Epoca», «Tempo», «Panorama», «Life» e «Paris Match»), firma tra i molti scatti per il TCI la copertina del gennaio 1953, Sciatori in Alta Val Gardena, mentre per la celebrazione dei sessant’anni del sodalizio il ricordo corre ad Achille Beltrame, autore della copertina della «Domenica del Corriere» del 4 giugno 1905: Entrata in Milano dei ciclisti partecipanti al Congresso decennale del Touring (27 maggio 1905). 90 Cfr. Il Sodalizio si scusa per questo con gli abbonati del periodico in Vita del Touring, in ivi, anno LVI, n. 1, gennaio 1950, p. 4. Sull’aumento delle necessità energetiche al fine di supportare la rinascita economica e sulle carenze dell’offerta, due mesi dopo interviene anche S. De Capitani, Impianti geotermici di Larderello, in ivi, n. 3, marzo 1950, pp. 289-94. 91 Il Direttore, Cinque minuti in redazione, in ivi, anno LVII, n. 11, novembre 1951, p. 1279. 268 La novità maggiore appare però dal febbraio 1951, in fondo al mensile, prima del notiziario, comprendente la Vita del Touring e le storiche rubriche a tematiche variabili a seconda del mese (automobilismo, aeronautica, fra i libri, astronomia, motociclismo, ferrovie, meteorologia…), vale a dire: compaiono le Rassegne. Si tratta non di trafiletti informativi ai quali i lettori sono già usi, bensì di approfondimenti di temi d’attualità focalizzati ogni mese su uno, due, tre campi del sapere e del costume: dall’arte allo sport, dalla letteratura alla moda, dal teatro al cinema, alla musica. Veri e propri articoli di aggiornamento che si affiancano alla più consueta illustrazione paesaggistica ed etnico-antropologica della penisola e dei suoi cambiamenti ambientali, industriali, sociali, dal momento che «la nostra è una Rivista di varia coltura, il che implica praticamente la necessità che essa si occupi di tutto».92 Per questo motivo in redazione fervono i lavori per trovare dei collaboratori fissi «di grido», da contendersi con altre riviste, in particolare con i settimanali, il cui successo va a discapito dei mensili, che tentano invano di rimanere al passo coi tempi e con una più serrata e vincente periodicità.93 Nella fattispecie, un nome che circola ripetutamente nella corrispondenza redazionale è quello di Ennio Flaiano, senza tuttavia arrivare mai a concretizzarsi in alcun contributo: «La notizia triste è che Flaiano, dopo essersi impegnato con noi, ha avuto divieto dal Direttore del Mondo [ndr.: Mario Pannunzio] di scrivere per altri periodici su argomenti cinematografici. Sarà meglio trovare qualcuno a Milano, e ne scrivo subito anche a Sacchi. […] Direi, se possibile, di procurarci due Rassegne annuali per la moda: più che rassegne, prospettive stagionali, come si annunzia la moda estiva e come la moda invernale. Trovando il collaboratore o la collaboratrice, si 92 Vita del Touring. «Le Vie d’Italia» nel 1955, in ivi, anno LX, n. 12, p. 1600. Si veda P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, cit., pp. 212-3: «All’immobilismo che caratterizza l’editoria quotidiana, al quale si accompagna una diffusa docilità della categoria giornalistica, fa riscontro il crescente dinamismo dei settimanali in rotocalco. Anche per quelli che si dedicano all’attualità, alla politica e alla cultura si può parlare, dal 1950 in poi, di un vero e proprio fenomeno. […] Ecco alcuni dati che si riferiscono al 1950 e al 1955: “Domenica del Corriere” 600.000-900.000; “Oggi” 500.000-760.000; “Epoca” 200.000-500.000; “Tempo” 150.000-420.000; “L’Europeo”, che è il settimanale di migliore qualità e non conformista, 100.000-130.000». 93 269 potrebbe mettere in giugno la prospettiva della moda estiva (magari non solo femminile ma anche maschile)».94 A scrivere la lettera indirizzata all’allora caporedattore Camusso, è Giovanni Mira, chiaramente intenzionato ad allargare il più possibile il pubblico del Touring, con una certa probabilità preoccupato per la concorrenza sempre più marcata con i settimanali di attualità in rotocalco. Per ciò che concerne i collaboratori eletti alla cura di queste rassegne si decide per: il medesimo Lorenzo Camusso per la cronaca, lo stesso Filippo Sacchi per il cinema, cui si alternano Piero Gadda Conti e Domenico Meccoli, Carlo Terron per il teatro, Dario Cartago per la musica, Bruno Roghi per lo sport, Alessandro Cruciani per la letteratura, in genere di matrice turistica, Licia Ragghianti subentrata a Franco Russoli per l’arte e infine Irene Brin, sostituita da Anna Pressi, per la moda. Dunque, nonostante il tentativo fallito con Flaiano, le rassegne tematiche, in forma di lunghi elzeviri, vengono tutte affidate a firme giornalistiche tra le più competenti e note in circolazione. Filippo Sacchi, legato sin dai tempi del «Caffé» a un ritrovato Mario Borsa,95 a Mira e a Rusca, i quali probabilmente lo coinvolgono nel dopoguerra nell’organizzazione del sodalizio, di cui sarà sempre fervente sostenitore e propagandista,96 è il memorabile critico cinematografico del «Corriere»,97 estromesso 94 Lettera di Giovanni Mira a Lorenzo Camusso del 30 aprile 1951, contenuta nel dossier sulla corrispondenza redazionale, per la maggior parte risalente al secondo dopoguerra, Archivio Storico del Touring Club Italiano. 95 Cfr. M. Borsa, Barzio e la Valsassina, in «Le Vie d’Italia», anno LV, n. 10, ottobre 1949, pp. 1102-6. 96 Si veda il suo articolo apparso su «La nuova Stampa», anno VIII, n. 68, 20 marzo 1952, p. 3: L’avventura del Touring, un manifesto, oltre che dell’operato del sodalizio, dell’idea di Sacchi del reportage: «La moda giornalistica ci costringe ai reportages brillanti. Ma può darsi che un giorno, quando avremo dato fondo a tutto, agli amori di Totò e ai sigari di Churchill, alle supervitamine o ai gatti celebri di Hollywood, agli accendisigari automatici o ai reggiseni esistenzialisti, saremo costretti a ricorrere ai reportages noiosi. Sarà un bel giorno, incomincerà anche per noi una vita calma, senza assilli. E poi chissà che non incominceremo finalmente a divertirci per davvero. Uno di questi reportages noiosi potrebbe essere un giro nelle vecchie istituzioni, quelle vecchie e nobili istituzioni il cui nome più o meno è nelle orecchie di tutti». Sacchi comincia in questo modo a ripercorrere la storia dell’associazione: «e a mano a mano la ruota diventa sempre più grande: alla ruota della bicicletta si è aggiunta la ruota dell’automobile che segna la conquista definitiva della ruota da parte dell’uomo. Le piccole guide diventano grandi guide: i sette volumi del primo preventivo diventano sedici volumi. Il piccolo bollettino iniziale diventa una rivista, Le Vie d’Italia, poi due riviste, Le Vie del Mondo, poi tre riviste, Monti e Boschi, poi quattro riviste, Turismo e Alberghi, poi cinque riviste, Le Strade, poi sei riviste, Marco Polo (per i ragazzi del turismo scolastico). Poi le carte: la carta d’Italia al 250 mila al 500 mila al 1.250.000. in realtà non tutti si rendono conto che il Touring è diventato una delle più grandi case editrici non solo d’Italia ma anche d’Europa. A questo punto si capisce perché c’è un’avventura nel Touring: perché non sta mai fermo; perché nel suo lavoro si riflette una sempre movente e cangiante vita, che è la vita stessa della storia e del mondo». 270 da Lando Ferretti, nome a noi già noto, durante le epurazioni fasciste e salvato dal critico teatrale, commediografo e librettista, Eligio Possenti, che lo fa collaborare in incognito con «La Domenica del Corriere», di cui è direttore. Tra parentesi: Possenti, proprio negli anni Cinquanta sarà introdotto nella redazione di Corso Italia come esperto di teatro contemporaneo, ricettivo alle nuove correnti e alla crisi indotta dal cinema e dalle emissioni radio-televisive; questi si affianca alle rassegne di Carlo Terron, collaboratore del «Corriere Lombardo» e poi a capo del settore musicale e letterario della neonata televisione italiana, apertissimo alle tendenze internazionali con critiche su George Bernard Shaw, Tennessee Williams e Thomas Stearns Eliot.98 Questo a sottolineare non solo i fitti legami instauratisi tra i vari collaboratori, ma anche il fatto che le rassegne non esauriscono in sé le trattazioni teatrali, musicali, letterarie, artistiche, modaiole, cinematografiche e sportive della rivista. Ritornando allo stesso Sacchi, non solo è uno dei referenti per la rassegna cinematografica, assieme al cugino di Carlo Emilio Gadda e a Meccoli, ma come loro, come Terron, come Roghi e tutti gli altri collaboratori di questa novità redazionale, concorre ad arricchire il mensile con ulteriori contributi, anche non necessariamente di carattere illustrativo-paesaggistico. In tal senso, particolare è il caso di Sacchi, poiché egli si occuperà non solo di cronaca cinematografica e turistica, con accompagnamento grafico di Vellani Marchi, di Dall’Aglio e dell’amico pittore codognese Giuseppe Novello, bensì pure di musica, affiancandosi alle rassegne di Dario Cartago e a una pietra miliare della critica musicale quale Massimo Mila, altra nuova entrata nel mensile dalle file di «Giustizia e Libertà».99 Alle doti recensorie cinematografiche di Sacchi già elogiate da Luciano Morbiato e da 97 Per ricostruire le vicende biografiche e professionali, i suoi legami giornalistici, si veda l’articolo di R. Broggini, Filippo Sacchi dal «Corriere» alla Svizzera, in A. Chemello (a cura di), Filippo Sacchi e Silvio Negro scrittori-giornalisti vicentini del Novecento, Venezia, Marsilio, 2001, pp. 3-17. 98 Per le pagine di critica teatrale delle «Vie d’Italia» i due nomi di riferimento sono appunto Possenti e Terron, dei quali forniamo qui di seguito uno spoglio bibliografico. Per E. Possenti cfr.: Il Teatro di San Ferdinando, in ivi, anno LX, n. 6, giugno 1954, pp. 763-9; Id., Dieci anni di attività del Piccolo Teatro di Milano, in ivi, anno LXII, n. 12, dicembre 1956, pp. 1519-24; Id., La casa di Goldoni a Venezia, in ivi, anno LXIII, n. 6, giugno 1957, pp. 745-52; Id., Scrittori di teatro italiani all’alba del secolo, in ivi, anno LXV, n. 9, settembre 1959, pp. 1134-41; Id., I problemi del teatro nel nuovo anno, in ivi, n. 12, dicembre 1959, pp. 1609-17; Id., I registi di teatro, in ivi, anno LXVI, n. 10, ottobre 1960, pp. 1298-304 e Id., Sguardo al 1960 teatrale, in ivi, anno LXVII, n. 4, aprile 1961, pp. 489-95. Per C. Terron, oltre alle rassegne di teatro da lui curate (si veda ad esempio la prima nell’aprile 1951 a p. 474): Un dono di grazia e di poesia: «Venezia e la sua laguna», in ivi, anno LII, n. 10, ottobre 1946, pp. 748-54; Id., Crisi nel teatro di prosa, in ivi, anno LXV, n. 5, maggio 1959, pp. 602-8. 99 M. Mila, Mozart in Italia, in ivi, anno LXII, n. 6, giugno 1956, pp. 704-12. 271 Nuccio Lodato,100 occorre aggiungere quelle di vivace affabulatore, dimostrate anche nei suoi romanzi.101 Attento agli attacchi e alle chiusure, al fine di instaurare un solido legame col lettore distratto dei periodici, il giornalista vicentino si dimostra un viaggiatore nelle parole e nel sapere. Il viaggio e la ricerca del dato curioso ispirano i suoi articoli, capaci di connettere e valorizzare tutte le sue conoscenze, dalla panna di Codogno alla celebrazione dell’amico pittore di lì originario, dal mutamento di nome della provincia di Massa e Carrara102 al «coccodrillo» di Arturo Toscanini, pagato ben 40.000 lire, poco meno della retribuzione mensile di un metalmeccanico.103 Nell’articolo vi è indirettamente contenuta l’analisi di uno dei problemi delle «Vie d’Italia» di fronte alla concorrenza e al successo dei settimanali: «Se le ferree leggi della periodicità hanno impedito a Le Vie d’Italia di deporre il cordoglio loro e dei lettori dinnanzi alla salma ancora calda di Arturo Toscanini, non ci impediscono almeno di essergli vicini per l’estremo omaggio nel momento in cui torna alla patria diletta, per entrare nella pace della tomba».104 Oltre alle salde cognizioni giornalistiche, conoscenze odeporiche, più che mai consone alla sede, sono manifeste nell’incipit dell’articolo dedicato ai Viaggiatori della musica: «Grandi viaggiatori furono sempre i militari e i marinai. Ulisse è il prototipo, e la spedizione di Alessandro il Grande resta ancora la più 100 L. Morbiato, Lo stile di un recensore di cinema, in A. Chemello (a cura di), Filippo Sacchi e Silvio Negro scrittori-giornalisti vicentini del Novecento, cit., pp. 19-30. Più recente è la curatela di Nuccio Lodato, L’epoca di Filippo Sacchi. Recensioni 1958-1971, Alessandria, Falsopiano, 2003. 101 F. Sacchi, La casa in Oceania, Milano, Mondadori, 1932; Id., Il mare è buono, Milano, Garzanti, 1946; Id., Felici e infelici, Milano, Longanesi, 1967. 102 Cfr. F. Sacchi, Codogno, capitale della panna, in «Le Vie d’Italia», anno LV, n. 2, febbraio 1949, pp. 175-82; Id., Un paesaggio che ha perso il nome, in ivi, anno LIX, n. 9, settembre 1953, pp. 1166-8; Id., Novità e scoperte al Castello Sforzesco, in ivi, anno LXII, n. 5, maggio 1956, pp. 561-71; Id., Novello, in ivi, anno LXXI, n. 4, aprile 1965, pp. 408-12. 103 Abbiamo notizia del montante, testimone in questo caso di un eccezionale trattamento riservato dalla redazione al suo collaboratore, da una lettera del 15 febbraio 1957 stesa dal Presidente Chiodi indirizzata al giornalista in questione, protagonista di un nobile gesto di beneficenza a favore del sodalizio: «il prof. Mira mi comunica che Ella ha restituito alla nostra Amministrazione l’assegno di L. 40.000 che essa Le aveva inviato quale compenso per il Suo scritto “Arturo Toscanini, musicale profeta”, pubblicato nel fascicolo di febbraio delle “Vie d’Italia”. Alla riconoscenza che Le dobbiamo per lo splendido e originale articolo che tanto degnamente ha commemorato nella nostra maggiore Rivista il grande Scomparso, aggiungiamo quella per la generosa offerta al nostro Villaggio Alpino». Dossier di Filippo Sacchi presso l’Archivio Storico del Touring Club Italiano. Dal dossier emerge anche una lettera del 21 gennaio 1956 in cui un articolo di Sacchi figura pagato L. 10.000, compenso standard previsto in genere per le collaborazioni. Circa l’ammontare di una mensilità media di un metalmeccanico fissata a 42.000 lire, cfr. A. Cova, Economia, lavoro e istituzioni nell’Italia del Novecento. Scritti di storia economica, Milano, Vita e Pensiero, 2002, p. 123. 104 F. Sacchi, Arturo Toscanini musicale profeta, in «Le Vie d’Italia», anno LXIII, n. 2, febbraio 1957, p. 141. Al musicista, Sacchi aveva già dedicato la monografia Toscanini, Milano, Mondadori, 1951. 272 gigantesca carovana Touring mai avvenuta a memoria d’uomo. Poi vennero i commercianti: basta per tutti il nome di Marco Polo. I letterati cominciarono a viaggiare più tardi, con Petrarca e Montaigne. Inutile dire quanto esploratori come Livingstone o naturalisti come von Helmoltz abbiano contribuito ad allargare la sfera dell’escursionismo umano. Alla fine il giornalismo ha creato l’“inviato speciale”, che dovrebbe essere l’applicazione professionale del motto di Filippo Sassetti: “Vedere, e toccare, e scrivere”. Una categoria però che, da secoli, dà un contributo altissimo di grandi viaggiatori è quella dei musicisti». 105 Mozart, Salieri, Paganini, Liszt: novelli Ulisse, ma mai quanto quello impersonato sugli schermi cinematografici da Kirk Douglas, cui Sacchi si accosta senza alcuna supponenza, dacché «si può dire ogni male del cinema, ma non neghiamo che in certi casi, coi suoi spicci, sguaiati e brutali modi pubblicitari, esso può servire a dare anche a nomi illustri e rispettabili un rilancio di interesse popolare che coi loro soli meriti non sarebbero mai riusciti a ottenere».106 Sacchi, Meccoli, Gadda Conti con le rassegne periodiche persino dai festival locali, come quello del film di montagna a Trento,107 e con i numerosi articoli contribuiscono alla consacrazione artistica del cinema, specialmente nostrano, che in questi anni di neorealismo raccoglie consensi dalla critica internazionale alle classi popolari raccolte nei cinema all’aperto nelle sere d’estate come in Bellissima. L’Italia con Cinecittà e con il suo paesaggio variegato diventano protagonisti della settima arte: «per rendere al nostro mondo italiano una sua realtà nell’arte del cinema, per porne in luce l’essenza morale e la quotidiana verità, di cui anche gli aspetti naturali, paesistici e ambientali sono parte integrante, occorreva il rinnovamento del dopoguerra […]. Allora il mondo riscoprì a sua volta l’Italia, non più paludata secondo lo stile degli affreschi di Giulio Aristide Sartorio, ma sincera nella sua grandezza e nella sua povertà».108 Si inserisce in tal modo nel dibattito cinematografico anche Alvise Zorzi, figlio del già citato Elio, redattore molto presente sul mensile, soprattutto sotto la direzione di Rusca, alle cui dipendenze vi è come caporedattore delle rinate «Vie del mondo» dal 1950 al 105 F. Sacchi, Viaggiatori della musica, in «Le Vie d’Italia», anno LVII, n. 8, agosto 1951, p. 926. F. Sacchi, Il viaggio di Ulisse, in ivi, anno LXI, n. 1, gennaio 1955, p. 7. 107 P. Gadda Conti e F. Sacchi, Rassegne: Cinema, in ivi, anno LXI, n. 12, dicembre 1955, pp. 1588-94. 108 A. Zorzi, L’Italia nel film italiano, in ivi, anno LV, n. 9, settembre 1949, p. 970. 106 273 1953. Suoi sono inoltre i contributi veneziani, i reportages dall’Italia minore e dai paesaggi italiani di Dante, D’Annunzio e Wagner,109 oltre a interventi ove particolarmente manifesta si fa l’attenzione verso un altro mezzo di comunicazione nascente, per il quale Zorzi sarà Direttore dei Programmi Culturali della RAI e Vicepresidente dell’Unione Europea di Radiodiffusione: la televisione, «strano mondo nel quale sono di casa attori e professori d’Università, dei corridoi nei quali irrompono talvolta schiere di ballerine in tutù o di armigeri del Duecento […]. È un mondo nuovo, per un linguaggio nuovo, che non ha ancora acquistato piena coscienza delle proprie possibilità».110 Un linguaggio che già alla fine degli anni Cinquanta, scrive Domenico Meccoli, futuro direttore della Mostra di Venezia, mette in crisi il cinema, per il quale il film non può ridursi a un mero fatto industriale.111 I vari Visconti, Rossellini, De Sica, Lattuada e De Santis, non paiono destinati a morire, la loro arte verrà raccolta oltralpe dalla nouvelle vague, e sedurrà anche oltreoceano, rinvigorendo la tradizione del viaggio in Italia, rinnovata nella versione più spensierata e meno conoscitiva della vacanza, che è in via di diffusione anche nel costume italiano del boom economico: «Dicono che molti americani abbiano scelto Roma come meta dei loro viaggi turistici dopo aver visto i film Vacanze romane e Tre soldi nella fontana. […]. Ma sarà vero?»,112 si chiede sempre Meccoli. Ebbene sì, il cinema d’arte italiano e francese, e ancor di più quello stereotipato americano, spesso criticato senza mezzi termini anche da Piero Gadda Conti,113 incrementa davvero il turismo, e per questo un’attenzione costante gli viene dedicata sulle «Vie d’Italia»: «Un giorno il regista Luigi Comencini114 andò a girarvi Pane, amore e fantasia dove però, per un eccesso di scrupolo, il suo 109 Cfr. fra i numerosi articoli, risalenti al periodo della direzione di Luigi Rusca: A. Zorzi, L’Abruzzo di D’Annunzio, in ivi, anno LXIX, n. 6, giugno 1963, pp. 642-53; Id., Con Wagner in Italia, in ivi, n. 11, novembre 1963, pp. 1323-33; Id., Viaggio in Sabina, in ivi, anno LXX, n. 10, ottobre 1964, pp. 1179-89; Id., Nel nome di Dante Alighieri, in ivi, anno LXXI, n. 1, gennaio 1965, pp. 32-40; Id., Il Matese, in ivi, anno LXXII, n. 11, novembre 1966, pp. 1286-97; Id., Difendiamo Venezia, in ivi, anno LXXIII, n. 7, luglio 1967, pp. 784-96. 110 A. Zorzi, Come nasce una trasmissione TV, in ivi, anno LX, n. 7, luglio 1954, p. 899. Si veda anche A. Zorzi, TV: inizio delle trasmissioni televisive, in ivi, n. 1, gennaio 1954, pp. 80-9. 111 Cfr. D. Meccoli, Panorama del cinema italiano, in ivi, anno LXV, n. 3, marzo 1959, pp. 322-30 e la risposta francese a tale crisi contenuta in Id., Il nuovo cinema francese, in ivi, n. 8, agosto 1959, pp. 10007. 112 D. Meccoli, Il paesaggio nel cinema, in ivi, anno LXIII, n. 3, marzo 1957, p. 361. 113 Si veda P. Gadda Conti, La XIII Mostra internazionale d’arte cinematografica, in ivi, anno LVIII, n. 10, ottobre 1952, p. 1313: «è stata una buona mostra, suppergiù al livello di quella dell’anno scorso. E sarebbe riuscita anche migliore, se gli americani si decidessero a capire che film commerciali e film per mostre d’arte non appartengono necessariamente alla stessa famiglia». 114 Suo fratello Gianni ripercorre invece per il mensile del Touring i Primi passi del cinema, in ivi, anno LXII, n. 7, luglio 1956, pp. 885-90. 274 nome fu sostituito con quello, inventato, di Sagliena. Subito dopo l’enorme successo del film, Castel San Pietro divenne meta di gite domenicali e perfino di torpedoni turistici. Vi arrivò anche un torpedone carico di solide e allegre ragazze norvegesi».115 Un motivo in più per il mensile ormai di cultura ampiamente intesa e di intrattenimento, per non perdere nemmeno una edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Essa non figura nelle rassegne, ove rientrano critiche e festival minori e d’interesse più specifico, bensì le vengono dedicati ogni anno appositi articoli dagli inviati che si succedono: Guido Aristarco, l’intransigente critico di orientamento marxista, direttore di «Cinema Nuovo», ammiratore di Zavattini e del neorealismo, già in laguna membro della giuria nel 1948,116 l’appena citato Domenico Meccoli117 e Piero Gadda Conti. «Piero, o del tappasciare», figlio letterario del Linati, seguirà per il mensile del Touring quattro edizioni consecutive del Festival, con acribia e palato raffinato, dedicando maggior attenzione al cinema minore emergente,118 non venendo però meno alla sua vocazione primaria odeporica con uno scritto di una gita dal Golfo dei poeti, nel levante ligure, comprendente un tributo al suo maestro: «A Portovenere uno scrittore lombardo recentemente scomparso, Carlo Linati, ha dedicato una sua opera giovanile, pubblicata nel 1910, rievocando alcuni mesi di un soggiorno».119 Dell’opera letteraria del cugino di Gadda ci si ricorderà ancora nel maggio 1967 anche nella rubrica fissa «Libri ricevuti», staccatasi dal resto delle rubriche via via ridotte con l’avvento delle rassegne, con una breve recensione del volume La Brianza, contenente le fotografie di Mario De Biasi (Roma, L’editrice dell’Automobile, 1966): «una descrizione per immagini di rara efficacia, un invito persuasivo per quanti, pur vivendo ai margini di questa regione, ben dotata di attrezzature ricettive e ideale per un week-end, l’hanno distrattamente trascurata».120 115 D. Meccoli, Il paesaggio nel cinema, art. cit., p. 366. G. Aristarco, La XI Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, in «Le Vie d’Italia», anno LVI, n. 10, ottobre 1950, pp. 1133-44. 117 D. Meccoli, La XIX Mostra del Cinema, in ivi, anno LXIV, n. 10, ottobre 1958, pp. 1331-7. 118 Cfr. oltre al già citato articolo sulla XIII edizione del festival, P. Gadda Conti, Festival senza vincitore, in ivi, anno LIX, n. 10, ottobre 1953, pp. 1332-9; Id., La XV Mostra del Cinema a Venezia, in ivi, anno LX, n. 10, ottobre 1954, pp. 1277-5; Id., Delusione al Festival, in ivi, anno LXI, n. 10, ottobre 1955, pp. 1271-6 e Id., Trent’anni di Festival veneziano del cinema, in ivi, anno LXVIII, n. 11, novembre 1962, pp. 1341-50. I suoi scritti cinematografici verranno accolti da Sansoni negli anni Sessanta, nell’ambito di un progetto piuttosto esteso: Cinema e giustizia, Cinema e civiltà, Cinema e sesso, Cinema e società, Cinema e libertà. 119 P. Gadda Conti, Il golfo dei poeti, in «Le Vie d’Italia», anno LVII, n. 5, maggio 1951, p. 566. 120 Libri ricevuti, in ivi, anno LXXIII, n. 5, maggio 1967, p. 639. 116 275 Veri e propri elzeviri letterari, in forma lunga ed articolata, trovano invece posto nella rassegna di «Letteratura turistica» curata da Alessandro Cruciani, nel dopoguerra critico d’arte del «Politecnico» di Vittorini e redattore di «Argine Numero»,121 che troverà occasione di esprimersi pure nel suo settore di studi celebrando i settecento anni dalla nascita di Giotto, oltre che pubblicando reportages dalla Sicilia e tra la via Emilia e la via Cassia.122 Nella rassegna da lui tenuta, vale la pena citare la critica a uno dei più noti reportages di scrittori italiani in viaggio nell’Italia del dopoguerra, nato da occasioni radiofoniche, ossia il Viaggio in Italia di Guido Piovene, grande assente dalle pagine delle «Vie d’Italia». Di lui scrive Cruciani: «Lo ha colpito dovunque una vitalità, una straordinaria volontà di vivere; la vitalità che ha permesso al Paese di superare d’impeto la catastrofe della guerra. Ma fino a che punto, vien fatto di chiedersi, questa vitalità è indice d’una effettiva sanità morale? Fino a che punto sussiste il pericolo ch’essa decada in puro vitalismo, in fisicità grossolana? Il recente giudizio di un francese, riportato da Piovene: essere l’Italia mancante di speranze metafisiche, mentre è ricca di speranze pratiche, lascia turbati e trepidanti».123 I desideri degli italiani del dopoguerra, nati nell’indigenza, nutriti dal boom economico, sono estremamente pratici, poco lungimiranti e lontani da una regolamentazione morale, cosa che, come vediamo, preoccupa la redazione delle «Vie d’Italia». A denunciare questa condizione c’è anche Bruno Roghi, all’epoca a capo del «Corriere dello Sport», con un passato glorioso alla «Gazzetta della Sport» e un futuro alla guida di «Tuttosport», per la farla breve: la firma per eccellenza del giornalismo sportivo in Italia, «l’unico giornalista ad aver diretto i tre principali quotidiani sportivi italiani».124 Questi non può altro che essere l’autore eletto per la rassegna dedicata allo sport, e per una corposa serie di articoli sulle Olimpiadi romane e sulla «situazione generale dei singoli sport in Italia: luci e ombre, virtù e difetti, vittorie e sconfitte, confessioni e 121 Cfr. L. Caramel, Arte in Italia 1945-1960, Milano, Vita e Pensiero, 1994, p. 20. A. Cruciani, Viaggio in Sicilia, in «Le Vie d’Italia», anno LIX, n. 2, febbraio 1953, pp. 185-95; Id., Nel territorio degli antichi Falisci: dalla via Flaminia alla via Cassia, in ivi, anno LXII, n. 1, gennaio 1956, pp. 38-44 e Id., Giotto nel centenario, in ivi, anno LXII, n. 6, giugno 1966, pp. 992-6. 123 A. Cruciani, Letteratura turistica, in «Le Vie d’Italia», anno LXIV, n. 3, marzo 1958, p. 378. 124 A. Aveto (a cura di), Notizie sugli autori, in F. Contorbia, Giornalismo italiano, vol. III, 1939-1968, Milano, Mondadori, 2009, p. 1844. 122 276 prospettive. Così fece anno per anno, per il calcio e per la scherma, per l’ippica e per il nuoto, per il ciclismo e per il pugilato. Erano articoli chiari e caldi che fornivano nozioni esatte e idee equilibrate ai profani e nello stesso tempo, data la riconosciuta autorità dello scrittore, davano agli intenditori valida materia di giudizio e di riflessione».125 E da riflettere c’è molto, secondo Roghi, sul modo di divertirsi degli italiani: sempre meno sportivi, a giudicare dalla crisi della bicicletta spazzata via dai motori, e sempre più appassionati tifosi di sports spettacolarizzati. Si vedano in proposito le pagine dedicate allo sport preferito dagli italiani, il calcio: «oggidì, è diventato un autentico fatto sociale per gli interessi che congloba, le moltitudini che muove e sommuove, le ripercussioni che esercita anche negli ambienti estranei allo sport attivo: basterà accennare ai 12 milioni settimanali di giocate al totocalcio con introiti che si misurano sulla base di miliardi. […] è di evidenza palpitante, come dicono gli avvocati, che il gioco del calcio, materia e strumento vivo del totocalcio, sia preservato dai malanni che potrebbero preludere alla sua decadenza: questi malanni sono essenzialmente di natura morale».126 125 g.[iovanni] m.[ira], Notiziario. Bruno Roghi è scomparso, in «Le Vie d’Italia», anno LXVIII, n. 3, marzo 1962, p. 384. 126 B. Roghi, Gli italiani amano il calcio, in ivi, anno LVII, n. 2, febbraio 1951, p. 171. Oltre alle rassegne pressoché mensili, numerosi sono gli articoli del collaboratore sportivo: Id., Momento dell’atletica leggera, in ivi, anno LVI, n. 12, dicembre 1950, pp. 1388-5; Id., Cronache e leggende del ciclismo, in ivi, anno LVII, n. 4, aprile 1951, pp. 464-73; Id., Pugni e guantoni, in ivi, n. 11, novembre 1951, pp. 1338-45; Id., Lo sport della neve, in ivi, anno LVIII, n. 2, febbraio 1952, pp. 238-45; Id., 71 Nazioni all’Olimpiade di Helsinki, in ivi, n. 7, luglio 1952, pp. 882-90; Id., 19 medaglie d’oro olimpiche per la scherma, in ivi, n. 10, ottobre 1952, pp. 1334-9; Id., Vicende e personaggi del tennis, in ivi, anno LIX, n. 1, gennaio 1953, pp. 118-28; Id., Il nuoto, in ivi, n. 6, giugno 1953, pp. 739-45; Id., L’equitazione, in ivi, n. 11, novembre 1953, pp. 1459-66; Id., La ginnastica, in ivi, anno LX, n. 5, maggio 1954, pp. 6239; Id., Luci e ombre dello sport italiano, in ivi, anno LXI, n. 1, gennaio 1955, pp. 33-40; Id., Gli Ercoli della lotta, in ivi, n. 5, maggio 1955, pp. 622-8; Id., Il segreto delle Olimpiadi, in ivi, n. 8, agosto 1955, pp. 1009-16; Id., Con gli schermitori italiani in Russia, in ivi, anno LXII, n. 1, gennaio 1956, pp. 73-9; Id., Le Olimpiadi di Cortina: rapsodia in bianco, in ivi, n. 3, marzo 1956, pp. 305-12; Id., Tramonto della bicicletta?, in ivi, n. 7, luglio 1956, pp. 891-7; Id., La guerra delle bocce, in ivi, n. 9, settembre 1956, pp. 1133-9; Id., 74 Paesi alle Olimpiadi di Melbourne, in ivi, n. 11, novembre 1956, pp. 1391-6; Id., A Melbourne: noi e gli altri, in ivi, anno LXIII, n. 1, gennaio 1957, pp. 33-9; Id., Preparazione e pericoli dell’Olimpiade di Roma, in ivi, n. 3, marzo 1957, pp. 326-32; Id., Il pubblico può curare la crisi del calcio, in ivi, n. 9, settembre 1957, pp. 1161-6; Id., La pallacanestro, in ivi, anno LXIV, n. 2, febbraio 1958, pp. 213-20; Id., Roma olimpica, in ivi, anno LXV, n. 6, giugno 1959, pp. 782-90; Id., Uno sguardo al calcio italiano, in ivi, n. 10, ottobre 1959, pp. 1313-9; Id., Vita coi cavalli, in ivi, anno LXVI, n. 2, febbraio 1960, pp. 220-7; Id., Vita del purosangue, in ivi, n. 7, luglio 1960, pp. 928-35; Id., Finestre aperte sulle Olimpiadi di Roma, n. 8, agosto 1960, pp. 1032-9; Id., Bilancio di un grande spettacolo: l’Olimpiade di Roma, in ivi, n. 11, novembre 1960, pp. 1469-76; Id., Momento del calcio italiano, in ivi, anno LXVII, n. 2, febbraio 1961, pp. 240-7; Id., Ciclisti su tutte le strade, in ivi, n. 5, maggio 1961, pp. 636-43 e Id., Società di calcio e miliardi, in ivi, n. 11, novembre 1961, pp. 1479-85. 277 Stupisce ancora assistere all’amaro e duro disincanto del nuovo benessere, in realtà tirannico e schiavizzante, in articoli inerenti a un argomento di intrattenimento leggero come può essere la moda, che entra per la prima volta nelle pagine del mensile: «Bisognava inventare qualcosa di diverso, di abbastanza spiacevole da restare quasi inaccessibile: e quest’anno Dior, Fath, Schiaparelli si sono ricordati del rigore, della crudeltà del 1925. Di nuovo capelli cortissimi, di nuovo magrezza assoluta, di nuovo ginocchia scoperte, e scarni, aderenti, difficili abiti da sera. Ora le sartine ed i grandi magazzini cercheranno un compromesso: e le Belle di quartiere dovranno decidere tra fascini già antiquati e durezze recentissime. Ora le grassone dovranno rassegnarsi a indumenti senza forma, senza data, oppure dimagrire, oppure farsi saltare le cervella. Ma molto probabilmente la Moda del Dopoguerra si è esaurita in quest’ultimo, amaro gioco».127 Voluta da Giovanni Mira, Irene Brin, alias Maria Vittoria Rossi, nata giornalisticamente con Longanesi e il suo settimanale «Omnibus», è nel dopoguerra la Contessa Clara sulla «Settimana Incom» di Luigi Barzini junior.128 È lei a segnare il giornalismo di moda degli anni Cinquanta, innovando gli interventi più compassati sulla storia del costume italiano di Rosita Levi Pisetzky, attiva dagli anni Trenta sulle riviste femminili e definita da Guido Lopez «la signora del costume italiano».129 Su tutte le altre, alla Brin spetta il compito di portare per la prima volta una voce inestricabilmente femminile sulle pagine delle «Vie d’Italia». Di collaboratrici, in questo ambiente redazionale preminentemente maschile, ve ne erano state, da Paola Lombroso a Amy Bernardy, ad Anna Maria Gobbi Belcredi, e ve ne sono ancora, dalla Wittgens alla Levi Pisetzky, fino alla botanica Eva Mameli Calvino, madre del noto scrittore,130 ma con la Brin è la prima volta che una donna parla finalmente delle donne, della loro storia, della Storia dal loro punto di vista: «Sarebbe errato credere che le guerre trasformano le donne: anzi, le immobilizzano per un tempo talvolta lunghissimo […] il 1939 colse di 127 I. Brin, Moda del dopoguerra, in ivi, anno LVI, n. 4, aprile 1950, p. 565. Cfr. E. Marcucci, Giornalisti grandi firme, cit., pp. 129-32. 129 Cfr. R. Levi Pisetzky, Il costume italiano nel ’48, in «Le Vie d’Italia», anno LIV, n. 9, settembre 1948, pp. 829-35 e Ead., Pittura e costume. Abiti e acconciature di cinque secoli in una mostra d’arte torinese, in ivi, anno LVII, n. 6, giugno 1951, pp. 696-706. 130 E. Mameli Calvino, La coltivazione dei fiori in Riviera, in ivi, anno LV, n. 4, aprile 1949, pp. 381-7. 128 278 sorpresa le donne di tutto il mondo in sottana scozzese e golfino beige, le poverette emigrarono, fuggirono, si nascosero, vennero deportate, si sposarono, si difesero, misero al mondo figli, mentirono, complottarono, morirono, ma sempre in sottana scozzese, sempre in golfino beige […] Il dopoguerra fu, dapprincipio confuso dovunque, tranne che in Italia, dove ci eravamo tutti tanto pentiti e tanto disprezzati, da poter ricominciare a vivere con la sincerità sfinita, infantile, e già gaia, che segue i grandi scoppi di pianto, le vere esplosioni di vergogna e di dolore. Ridevamo di noi stessi, eravamo magri, affamati, coraggiosi. […] Se pensiamo con riconoscenza a Renzo Vespignani, a Marcello Muccini, a Vitaliano Brancati, a Elio Vittorini, a Luchino Visconti, non bisogna dimenticare Germana Marucelli, e Fernanda Gattinoni, le Fontana e le Palmer, e quanti, disponendo di tessuti ancora scarsi, di disegnatori ancora timidi e di clienti ancora incerte, misero in piedi, dignitosamente e garbatamente, una moda per la prima volta del tutto italiana. Si poteva già considerarla la Moda del Dopoguerra? In un certo senso, no: le mancava la stravaganza, l’eccesso, l’esplosione, storicamente inevitabili».131 Con questo articolo sulla moda del dopoguerra, toccante e brioso, leggero e insieme profondo, accompagnato dagli schizzi dei modelli da femme fatale della figurinista Jeanne Grignani,132 Irene Brin inaugura la sua collaborazione con Corso Italia, continuata con le rassegne modaiole, a partire dal giugno 1951. Dal gennaio 1954 a proseguire le pagine di moda è Anna Pressi, la quale si limita a seguire le tendenze emerse dall’avvicendarsi frenetico delle sfilate, da Parigi a New York. Di pregio sono le fotografie di Elsa Haertter a illustrare le novità stagionali raccolte dalla Pressi. La fotografa di moda, di origine tedesca, si afferma a partire dal 1940 sul settimanale «Grazia», rivoluzionando le inquadrature dei servizi fotografici: non in statici set di posa, bensì en plein air, in un’Italia non da cartolina, ma in movimento, a sottolineare la dimensione del viaggio, cardine della sua ricerca.133 131 I. Brin, Moda del dopoguerra, art. cit., pp. 561-2. Per un profilo della moglie del designer Franco Grignani, cartellonista tra gli altri, per la Pirelli e la Singer, si veda AA. VV., Catalogo Bolaffi del Manifesto Italiano, Torino, Giulio Bolaffi Editore, 1995. 133 Cfr. il catalogo della mostra tenutasi alla Triennale di Milano nel 2008: F. Bernardinelli Roditi (a cura di), Viaggiare con la moda: i racconti itineranti di Elsa Haertter, Mestrino (UD), Walking Fashion, 2008. 132 279 J. Grignani interpreta I. Brin, Moda del dopoguerra, in «Le Vie d’Italia», anno LVI, n. 4, aprile 1950, p. 565 e a fianco E. Haertter fotografa la moda della rassegna di A. Pressi, in ivi, anno LX, n. 1, gennaio 1954, p. 104. 5.5 LETTORI PROTAGONISTI Oltre ai cosiddetti «viaggi con la moda» di Elsa Haertter, con gli anni Cinquanta la rivista conferisce maggior spazio e importanza al reportage interamente fotografico, riuscendo finalmente a predisporre ogni mese, fuori testo, le otto tavole a colori in rotocalco e su carta patinata. La fotografia è dunque intesa non più come corredo testuale, o come copertina che deve invogliare il lettore, bensì come opera d’arte del tutto autonoma. Non è più questione di fedeltà dell’immagine: vincono la ricerca nella composizione geometrica e cromatica, lo studio nel taglio e nella luce per caricare di significato il soggetto ritratto. Lo dimostrano Piero Di Blasi, Pietro Donzelli, Marcella Pedone e Pepi Merisio. I primi due, fotografi affermati, tra i fondatori dell’Unione Fotografica Italiana; i restanti, scoperti rispettivamente dal secondo e dal terzo concorso fotografico, indetti dalle «Vie d’Italia». Entrambi inizieranno grazie a questi concorsi la carriera e le collaborazioni con il Touring e con la redazione della rivista madre, che affiderà loro copertine e pagine patinate per i portfolio fotografici. Marcella Pedone con Cetara si aggiudica dalla giuria, presieduta da Fernando Pasta (altro fotografo per il 280 Touring), il terzo premio nel 1957, mentre Bruno Stefani l’anno successivo decreterà il secondo posto di Merisio. Di quest’ultimo ha scritto Zannier: «si era caratterizzato subito, nell’ambiente della “nuova” fotografia italiana, con immagini tese all’indagine sociologica, ma senza scadere mai nella faziosità di un certo sbracato neorealismo».134 P. Donzelli, Istantanee del litorale grossetano, in «Le Vie d’Italia», anno LXII, n. 9, settembre 1956 e a destra P. Merisio, Cortile a Murano, in ivi, anno LXIV, n. 1, gennaio 1958. Il livello di questi concorsi, come si può ben capire, è parecchio elevato, e la concorrenza è serrata: nel 1957 a gareggiare per il primo premio di 100.000 lire sono oltre 4.200 fotografie.135 Il pubblico di lettori del periodico si conferma essere attivo e partecipe alle iniziative redazionali, così come Bertarelli l’aveva immaginato sin dall’inizio di questa rivista, indicendo il «concorsino» per deciderne il titolo e poi chiamando direttamente alla collaborazione gli abbonati con l’invio di materiali testuali e fotografici, quando «Le Vie d’Italia» si uniscono alla «Rivista Mensile». A voler riprendere questo dialogo con i lettori è Mira, mettendosi in gioco personalmente con la rubrica finale Lettere al direttore. Sorta nel 1952, la rubrica prende il posto della Valigia del giramondo, nata nel dopoguerra come raccolta di curiosità provenienti da tutto il pianeta: dalle stramberie gastronomiche degli inglesi, consumatori dell’arrosto di cigno, alla misurazione del tempo presso gli Assiri e così via. Le Lettere al direttore, sostituendosi alle curiositas, risultano più funzionali al sistema editoriale, costituendo il canale di comunicazione diretto tra la redazione, gli autori e i lettori, questi ultimi 134 I. Zannier, Fotografi del Touring Club Italiano, cit., p. 87. Cfr. Colori d’Italia. Risultati del III Concorso fotografico del TCI, in «Le Vie d’Italia», anno LXIV, n. 1, gennaio 1958, p. 48. 135 281 particolarmente reattivi nel chiedere ulteriori informazioni in seguito alla pubblicazione dei bandi di concorso indetti dalla rivista,136 ragguagli e consigli sui mezzi di trasporto da usare e sui loro costi,137 nell’annotare lamentele, disservizi e migliorie della compagine stradale e alberghiera, nel proporre soluzioni al problema turistico, soprattutto estivo. A volte nascono dei veri e propri dibattiti, segno di una volontà di smuovere e animare l’opinione pubblica per mutare situazioni di fatto, sebbene i margini d’intervento del Touring, abbiamo visto, vadano riducendosi. In un caso, interviene il futuro direttore del mensile, Luigi Rusca, uscendo dall’ombra a lui congeniale ed esponendo il suo punto di vista imprenditoriale, in quanto capo dell’azienda da lui fondata a metà degli anni Cinquanta, a Catania, la CESAME (Ceramiche Sanitarie del Mediterraneo), impegnato in prima linea nel rilancio del Mezzogiorno, economicamente depresso e lontano dal tanto decantato boom: «Le osservazioni apparse nella rubrica delle “Lettere al Direttore” del numero di maggio delle Vie d’Italia circa la diluizione delle vacanze estive nell’interesse delle aziende, dei lavoratori e delle industrie turistiche, mi sembrano molto opportune. Un mezzo pratico per decongestionare l’affollamento dei luoghi di villeggiatura durante i mesi di luglio e agosto è quello seguito da alcune aziende, le quali concedono ai propri impiegati due giorni di vacanza in più se usufruiscono delle ferie in giugno o settembre, e quattro giorni in più a chi sceglie i mesi di maggio o ottobre. Un periodo più lungo di ferie, la minore spesa e il miglior trattamento dovrebbero costituire un notevole allettamento per i lavoratori e un minor disagio per i prestatori d’opera».138 Il dado è tratto in questa sede più defilata, che negli anni acquista importanza, tanto da passare nel 1960 in apertura della rivista, assieme alla Vita del Touring, lasciando in conclusione il tradizionale Notiziario, i Libri ricevuti e il Calendario delle manifestazioni, inaugurato nel 1957 (poi intitolato Manifestazioni di un mese). Sul problema vacanziero, in un’Italia sempre meno di turisti come li aveva pensati il 136 Cfr. Lettere al direttore, in ivi, anno LXI, n. 3, marzo 1955, p. 386: i lettori chiedono informazioni sulle tipologie fotografiche ammesse al concorso di quell’anno. 137 Cfr. ad esempio, un lettore s’informa sul costo del viaggio in auto a seconda della marcia utilizzata e gli risponde in questo caso, anziché Mira, un esperto in materia, l’ingegnere Ernesto Tron in Lettere al direttore, in ivi, anno LXIV, n. 1, gennaio 1958, p. 120. 138 L. Rusca, Turismo e vacanze, in Lettere al direttore, in ivi, anno LXV, n. 6, giugno 1959, p. 696. 282 Touring dalle origini, e sempre più di villeggianti, ritorneranno pure Mira e Reggiori con puntuali editoriali.139 A parte l’eccezionale intervento di Rusca, le lettere inviate alla rubrica sono firmate dai comuni lettori che, oltre alla richiesta di informazioni e all’invio di critiche al sistema turistico, non mancano di commentare gli articoli usciti il mese precedente, con precisazioni, suggerimenti e in alcuni casi, apprezzamento: «Sono letteralmente entusiasta del nuovo tipo di servizio ch’è stato introdotto ne Le Vie d’Italia col bellissimo articolo di Mario Carafòli su un viaggio in Austria. Penso che tutti i lettori saranno molto contenti se in ogni numero uscirà un articolo di questo tipo»,140 scrive il signor Gino Valle, non l’unico, come si vede dalla risposta di Mira, ad apprezzare il viaggio del fotoreporter corinaldese. L’articolo tanto gradito è il diario di viaggio di un tour dell’Austria con cane e famiglia, a bordo di una FIAT 600, raccontato giorno per giorno, tappa per tappa con la macchina fotografica al collo e con cartina alla mano, con i costi, i chilometri percorsi, le avventure e i fraintendimenti di un espresso all’italiana bevuto fuori dai confini. Una tipologia di racconto, vivace e spesso dialogata, non nuova per Carafòli, che già aveva pubblicato sul mensile un suo diario turistico dall’Appennino tosco-ligure,141 senza il fardello di certe notizie storico-artisticheaneddotiche o lo spirito di denuncia che aveva animato il viaggio in treno attraverso l’Italia dei primi anni Venti di Augusto Guido Bianchi, con la dedica al Bertarelli.142 La denuncia può dirsi estranea a Carafòli, inviato motorizzato nell’Italia delle ferie, che giunge ad affermarsi nella redazione di Corso Italia sia come fotografo già nel 1939,143 «sebbene meno “geometrico” e radicale nelle scelte prospettiche di Stefani, […] autore 139 G. Mira, Scaglionamento delle vacanze, in ivi, anno LXVI, n. 1, gennaio 1960, pp. 50-3 e F. Reggiori, Programmare le vacanze, in ivi, anno LXXI, n. 6, giugno 1965, pp. 648-9. 140 Lettere al direttore, in ivi, anno LXIV, n. 11, novembre 1958, p. 1498. 141 Oltre all’articolo Turista in Austria con utilitaria e famigliola, in ivi, anno LXIV, n. 9, settembre 1958, pp. 1133-48, v’è sempre di M. Carafòli il tour tra Lunigiana e Garfagnana, Vacanze in utilitaria: un bel giro di quattro giorni, in ivi, anno LXII, n. 7, luglio 1956, pp. 847-56. In questi stessi anni simili reportages di viaggio, pratici ed informativi per i futuri turisti, sono redatti anche dal giornalista del «Giornale», Renato Albanese, cfr. Viaggio in Dalmazia. 1. Da Fiume a Spalato, in ivi, anno LXIV, n. 10, ottobre 1958, pp. 1271-80 e Viaggio in Dalmazia. 2. Da Spalato a Ragusa, in ivi, n. 11, novembre 1958, pp. 1413-20. 142 A.G. Bianchi, Un viaggio di piacere alla fine del 1921, in ivi, anno XXVIII, n. 3, marzo 1922, pp. 273-80. 143 Il suo primo articolo sul mensile riguarda proprio il legame tra Turismo e fotografia e risale al marzo 1939, pp. 360-9, continuerà il suo discorso con testi e fotografie nel marzo 1950, La cartolina questa Cenerentola, p. 345, e nell’aprile 1956 con Le cartoline illustrate ovvero l’Italia da una seggiola, pp. 437-42. 283 emergente delle nuove campagne fotografiche del Touring»,144 sia come scrittore. L’occasione per il riconoscimento letterario sul mensile è la pubblicazione di un suo scritto, dal titolo che oggi suona un po’ postmoderno: La città smisurata, titolo sotto il quale radunerà i suoi articoli con la prefazione del conterraneo Fabio Tombari,145 altro collaboratore della rivista ai tempi della Consociazione con contributi, esaltanti invece un certo primitivismo strapaesano di matrice lirica, sulla condizione della caccia e della pesca in Italia.146 «Io abito una città lunga più di mille chilometri e larga in media duecento. Affitto in essa un alloggio fatto di centinaia di stanze – ahimé – pressa’a poco tutte uguali»:147 è l’esordio di Carafòli, viaggiatore per lavoro, uomo assolutamente contemporaneo che vive in un continuum spaziale urbano, senza però finire in una denuncia ante litteram del non-luogo, poiché nell’autore prevale una passione incondizionata per i viaggi, quelli veloci, magari in automobile sull’autostrada come darà modo di esprimere nel corso della ventina di articoli dalle Marche e dall’Italia intera, pubblicati sul mensile.148 144 I. Zannier, Fotografi del Touring Club Italiano, cit., p. 22. M. Carafòli, La città smisurata; le care Marche, Milano, Casa Ed. Val Padana, 1976. 146 Cfr. F. Tombari, La pesca in Italia, in «Le Vie d’Italia», anno XLIV, n. 7, luglio 1938, pp. 847-55 e Id., La caccia in Italia, in ivi, n. 8, agosto 1938, pp. 1003-10. Sul rapporto lirico di Tombari con gli animali presente nelle sue opere frusagliane si vedano U. Piersanti, Gli animali e Tombari e G. Mura, Cocchierigghiù. Gli animali e il cibo fra Fabio Tombari e Gianni Brera, in E. L. Morselli (a cura di), Omaggio a Fabio Tombari, Atti del Convegno, Fano-Rio Salso, 18-21 gennaio 1996, Rimini, Guaraldi, 1999, rispettivamente alle pp. 221-4 e pp. 225-34. 147 M. Carafòli, Città smisurata, in «Le Vie d’Italia», anno LVI, n. 6, giugno 1950, p. 636. 148 Cfr. M. Carafòli, Io non mi annoio sull’autostrada, in ivi, anno LXI, n. 7, luglio 1955, pp. 848-52 e Id., L’automobile come sentimento. Ho rivisto la «Nilde», in ivi, anno LXII, n. 10, ottobre 1956, pp. 1260-4. Si vedano anche: Id., Medaglione di città: Gubbio e la festa dei ceri, in ivi, anno LVII, n. 6, giugno 1951, pp. 689-95; Id., Corinaldo, in ivi, anno LVIII, n. 10, ottobre 1952, pp. 1340-5; Id., Il prosciutto va a balia a Langhirano, in ivi, anno LXI, n. 3, marzo 1955, pp. 308-12; Id., Trattorie di Bologna: «Pietro», in ivi, n. 8, agosto 1955, pp. 985-91; Id., La Tacchina, in ivi, n. 10, ottobre 1955, pp. 1297-304; Id., Qualcosa intanto si potrebbe fare, in ivi, anno LXII, n. 2, febbraio 1956, pp. 215-21; Id., Le belle mura di Corinaldo, in ivi, n. 7, luglio 1956, pp. 753-6; Id., Morte della Mariannina, in ivi, n. 9, settembre 1956, pp. 1161-4; Id., Un fiore sull’asfalto, in ivi, anno LXIII, n. 1, gennaio 1957, pp. 66-8; Id., Attorno al «… gibbo che si chiama Catria», in ivi, n. 2, febbraio 1957, pp. 148-59; Id., Forniture per canzoni, in ivi, n. 5, maggio 1957, pp. 617-20; Id., Silenzio Paradiso perduto, in ivi, n. 7, luglio 1957, pp. 869-73; Id., Caccia alla volpe in Brianza, in ivi, n. 12, dicembre 1957, pp. 1570-6; Id., Piccola città del Salento: Manduria, in ivi, anno LXIV, n. 1, gennaio 1958, pp. 65-73; Id., I castelli di Iesi e il verdicchio, in ivi, n. 11, novembre 1958, pp. 1461-7; Id., Tre uomini, una stadia e un livello, in ivi, anno LXV, n. 8, agosto 1959, pp. 1060-4;Id., Norchia, malinconia degli Etruschi, in ivi, anno LXIII, n. 10, ottobre 1967, pp. 1224-33. 145 284 5.6 ORIGINE E SVILUPPI DI UN CERTAME LETTERARIO Resta da approfondire il contesto di pubblicazione di dell’esordio, a suo modo letterario, di Carafòli, accompagnato da ariose fotografie urbane dello stesso autore. Per far luce partiamo dal consueto dialogo che il direttor Mira ricerca coi suoi lettori: «Fra le lettere dei consoci e abbonati che pervengono alla Direzione delle Vie d’Italia alcune lamentano che la Rivista non contenga anche qualche componimento propriamente letterario. Ci rendiamo ben conto dei motivi che determinano questo desiderio. Da una parte sono venute a mancare certe riviste mensili di varia cultura e di notevole diffusione, che in passato offrivano oltre ad articoli su argomenti storici, scientifici e artistici anche qualche saggio di letteratura viva: novelle, racconti, puntate di romanzi, brevi commedie, talora anche poesie […]. Il Direttore è un veterano di capelli grigi, ma i redattori son giovani dal cuore caldo e dall’estro fecondo e più volte gli hanno suggerito di aprire una porticina anche a scritti un po’ meno didattici e un po’ più poetici».149 Oltre alla necessità di un cambiamento generazionale, v’è il riferimento, a partire dal dopoguerra, a un mutato panorama delle riviste. Come già accennato, esso è sempre più orientato alla settimanalizzazione, con una particolare allusione alla fine delle pubblicazioni (nel 1946 sotto Sacchi) del mensile del «Corriere», cui «Le Vie d’Italia» si erano ispirate e con il quale avevano condiviso molti giornalisti, scrittori e illustratori, ossia «La Lettura».150 Al suo posto, «La Domenica del Corriere», sotto la direzione di Possenti e con l’aiuto di Dino Buzzati, altro collaboratore del periodico del Touring, raggiunge cifre mai pensate sino ad allora. «Le Vie d’Italia» perdono dunque il punto di riferimento più a loro vicino (anche geograficamente), si ritrovano a colmarne il vuoto lasciato, senza tuttavia trarre vantaggi quantitativi di pubblico, dacché quest’ultimo è ormai avviato verso letture più frequenti ed attuali, garantite da settimanali variegati, come appunto lo storico settimanale di Via Solferino, con cui Mira si trova a fare i 149 La Direzione della Rivista, Turismo e letteratura. Concorso per un bozzetto turistico, in ivi, anno LV, n. 9, settembre 1949, p. 929. 150 Per un profilo della rivista si veda: E. Camerlo, La Lettura, 1901-1945. Storia e indici, Bologna, Clueb, 1992. 285 conti. Tra le innovazioni, le rassegne da periodico generalista, la corrispondenza tra il direttore e i suoi lettori, i concorsi volti alla fidelizzazione del pubblico, assistiamo all’accentuarsi di una tendenza divenuta, per altri motivi, sempre più forte già all’epoca della Consociazione: la presenza di firme e di testi letterari. La fine del mensile del «Corriere» implica indirettamente l’accrescersi di questo trend per il periodico di Corso Italia, che si rifà come può, a modo suo, indicendo un concorso a questo confacente, di bozzetti di ispirazione turistica e di argomento italiano. Questa tipologia, dal sapore un po’ retrò, viene definita come un agile scritto odeporico, «più libero della novella perché sciolto dall’impegno narrativo, più ampio e nutrito dell’articolo di terza pagina dei quotidiani, più sostanzioso del frammento-esercitazione delle riviste letterarie».151 Tra i 546 iscritti al concorso, a vincere il primo premio, ossia 150.000 lire, davanti a Mario Carafòli, è una donna, dato non di poco conto sia negli ambienti letterari che in quelli del Touring. Si tratta di una gobettiana della prima ora, germanista, amica di Annie Vivanti, non certo agli esordi:152 Barbara Allason, autrice di un raccontino sulle vicissitudini burocratiche di un restauro e sull’amore tempestivo per l’arte che sconfigge ogni scartoffia.153 Rapidi schizzi di Renato Vernizzi impreziosiscono lo scritto, così come accade per i tratti marcati di Achille Badi, che interpreta il terzo bozzetto premiato, quello di Gianni Roghi. Agli esordi giornalistici su «Milano-Sera», il figlio ventitreenne del più noto Bruno, che comincia a collaborare con «Le Vie d’Italia» negli stessi mesi, qui (e in un altro scritto lasciato al mensile illustrato da Carlo Vitale) asseconda la sua passione marina, con un ben orchestrato racconto di viaggio, dal titolo Vento di Ponente, in mezzo a vecchi lupi di mare nell’arcipelago della Maddalena.154 Sempre ambientato in paesaggi marittimi e con i bozzetti di Vitale, che collabora anche con «Marco Polo», è lo scritto autobiografico presentato al concorso da Lorenzo Camusso, già caporedattore del mensile, il quale affronta la tematica sociale alvariana dell’inquieto ritorno al paese d’origine, in questo caso Monterosso nello spezzino, una 151 La Direzione della Rivista, Turismo e letteratura. Concorso per un bozzetto turistico, art. cit., p. 930. Oltre all’opera di traduttrice dei classici tedeschi, i suoi esordi letterari datano gli anni Venti, con il romanzo Quando non si sogna più, Milano, Sonzogno, 1920. Aveva poi pubblicato nel 1933 La vita di Silvio Pellico, per la collana mondadoriana delle «Scie», diretta da Rusca, ove rientrava il volume dello stesso Mira Autunno 1918: come finì la guerra mondiale; nel secondo dopoguerra, dopo gli anni del silenzio imposto, si era sfogata nelle Memorie di un’antifascista, 1919-1940, Firenze, Vallecchi, 1946. 153 B. Allason, L’affresco in pericolo, in «Le Vie d’Italia», anno LVI, n. 5, maggio 1950, pp. 519-26. Della stessa autrice: il ritratto di Brindisi, in ivi, anno LIX, n. 9, settembre 1953, pp. 1159-65. 154 Cfr. G. Roghi, Vento di Ponente, in ivi, anno LVI, n. 7, luglio 1950, pp. 764-70 e Id., In barca lungo le coste calabro-lucane, in ivi, anno LVII, n. 3, marzo 1951, pp. 300-4. 152 286 volta che si è emigrati nella «città più città d’Italia», Milano. L’impossibile reintegrazione rende vano ogni futuro rientro: «è che fuori è diverso! Non ci sono le viti e le barche anzi forse ci sono, anzi ci sono certamente ma è che tu non le vedi e anche se le vedi non ci vivi. Se te ne vai dal paese non te ne vai per cercare altre viti o altre barche, perché allora non te ne andresti; ma senza le viti e le barche è diverso; tu cominci a pensare diverso e del paese ti ricordi continuamente come se tu ci stessi, anche più che se tu ci stessi, ma pensi diverso. Poi qualche volta ti piglia la nostalgia, allora fai come ho fatto io e ritorni, ma poi ti accorgi che pensi diverso e allora non ti puoi fermare, perché ti viene tristezza».155 I tre giurati dai nomi ingombranti, Corrado Alvaro, Pietro Pancrazi e Diego Valeri, apprezzano e sanciscono in un primo momento vincitore proprio Camusso. Tuttavia non sarebbe stato onesto proclamare vincitore del concorso della rivista il suo redattore capo: si sarebbe sollevato un polverone non nuovo a un certame del Touring (basti pensare a quello di inizio secolo per la scelta dell’inno sodale, che vedeva coinvolti i giudici Arrigo Boito e Augusto Guido Bianchi, colpevoli secondo il poeta sconfitto Vittorio Betteloni di aver consegnato la vittoria nelle mani raccomandate di un altro poeta, Olindo Guerrini, capoconsole dell’associazione a Bologna).156 Per motivi di 155 L. Camusso, Breve ritorno, in ivi, anno LVI, n. 8, agosto 1950, p. 885. Sull’inno del TCI si veda la nota numero 18 del secondo capitolo. Mentre sulle difficoltà incontrate dai giurati a decretare i vincitori tra i più di 500 scritti pervenuti, si veda l’articolo redatto dalla Direzione, Il concorso letterario delle Vie d’Italia. I vincitori, in ivi, anno LVI, n. 5, maggio 1950, pp. 514-5: «La fatica dei giudici non si presentava leggera. Valeri accusò il colpo con questa cartolina: “Ho ricevuto un vagone di bozzetti”. Pancrazi confessò: “La prima impressione fu di terrore, la seconda di rassegnazione”. Alvaro, da calabrese taciturno, non disse nulla. Furono concordati tre mesi di tempo per la lettura che ciascuno avrebbe fatto per conto proprio a casa sua, Valeri a Venezia, Pancrazi a Camucia (Cortona), Alvaro a Roma. […] Mentre il carnevale veneziano impazzava, Diego Valeri stava chiuso nel suo studiolo, sul solitario rio presso i Carmini, ed entro una cortina di dattiloscritti e di fumo resisteva ai fantasmi poetici delle damine in baùta e delle chitarre in amore. Pietro Pancrazi non guardava i bianchi bovi aggiogati all’aratro fendere le zolle brune nel chiaro sole della sua Val di Chiana, non guardava perché era intento a maciullar bozzetti. Lo stesso faceva Corrado Alvaro, voltando le spalle allo spettacolo ond’è privilegiata la sua dimora romana, sordo a tutte le tentatrici armonie che salgono e scendono tra i campanili della Trinità dei Monti e la fontana di Piazza di Spagna. Quando si avvicinò il termine stabilito, uno dei tre espresse il desiderio che il convegno finale si tenesse possibilmente non in una grande città, ma in un luogo appartato, tranquillo, propizio ad una ben meditata sentenza. Il Touring obbedì al cenno e per la festa di S. Giuseppe convocò la Commissione giudicatrice in un chiostro francescano sulla Costiera d’Amalfi […]. A ciascuno dei tre giudici fu assegnata una cella, mi pare al Pancrazi, per via di certa sua sorridente gravità, la cella del padre guardiano. I conciliaboli durarono tre giorni. Più volte i giudici furono visti andare e venire lungo i colonnati, anche a tarda sera, e ogni tanto 156 287 correttezza, nel caso di Camusso si opta dunque per una segnalazione e per la conseguente pubblicazione, così come accade al bozzetto di un altro collaboratore del dopoguerra, punto di riferimento in materia stradale: Cesare Biffi. Il suo è un viaggio onirico in sella a una bicicletta in anni giovanili, ormai da molto tempo lasciati alle spalle, con l’interpretazione grafica umoristica, dalle linee nette e vivaci, di Giorgio Dall’Aglio.157 Tra queste segnalazioni al di là del podio, la vera novità per la rivista è rappresentata da Massimo Mila, che concorre con un titolo eloquente, a lungo cancellato dal dizionario del regime: Gli emigranti, sintomatico di una problematica sociale e letteraria parecchio diffusa. Di turistico v’è solo l’attacco: una gita alpinistica dietro casa, in Val di Susa, teatro di un altro articolo di Mila apparso sul mensile nel 1953, ripubblicato nei suoi Scritti di montagna, a lungo progettati e raccolti soltanto postumi.158 A differenza del contributo successivo, ritratto eminentemente turistico della Generosa Val di Susa, aperta a tutti i torinesi in fuga dalla città, in cerca di vicine gite montane, nel bozzetto turistico segnalato (che di bozzetto e di turistico ha ben poco), prevale la narrazione drammatica sin da subito, dall’incontro con due migranti baresi clandestini in cerca di un varco per sconfinare in Francia, «due disgraziati che evadevano da una terra ingrata, incapace di assicurar loro il diritto di vivere».159 È lo scontro-incontro tra due Italie che non hanno ancora avuto modo di incontrarsi e di conoscersi, tra gli italiani delle ferie e delle gite in montagna, attrezzati e organizzati, e gli italiani disperati, senza niente, in fuga da quel niente: «“Però, questi terroni! S’incamminano su di qui senza scarpe, senza cibo, ma guarda un po’ se mollano la loro chitarra! Cosa si crede d’andare a fare in Francia, quello lì con la sua chitarra?” gli rispose il più vecchio di noi, dopo un altro bel po’ di silenzio, riempito solo dalla cadenza regolare degli scarponi. […] Parlò con semplicità disadorna, sostare agitando fogli dattiloscritti e disputando. […] Il terzo giorno consegnarono la loro relazione, e allora, soltanto allora, uscirono dal convento». 157 C. Biffi, Sogni di biciclette, in ivi, anno LVI, n. 10, ottobre 1950, pp. 1157-62. 158 «Un libro di montagna era tra i progetti di Massimo Mila. Un progetto di volta in volta rinviato per l’assillante impegno critico-musicologico, gli spostamenti continui da un teatro all’altro, in Italia, ai quattro angoli del mondo. Poi la morte, nel dicembre 1988. Vogliamo qui tener fede a quel progetto tanto accarezzato» è quanto scrive la curatrice Anna Mila Giubertoni nella Nota del curatore, in M. Mila, Scritti di montagna, Torino, Einaudi, 1992, p. XXIII, volume che comprende l’altro articolo di Mila apparso per la prima volta sulle «Vie d’Italia», anno LIX, n. 5, maggio 1953, pp. 633-42, Generosa Val di Susa, ripubblicato anche in L. Clerici (a cura di), Il viaggiatore meravigliato. Italiani in Italia (17141996), Milano, Il Saggiatore, 1999, pp. 288-96. 159 M. Mila, Gli emigranti, in «Le Vie d’Italia», anno LVI, n. 9, settembre 1950, p. 1019. 288 non tanto perché è un buon artigiano senza pretese di cultura letteraria, quanto piuttosto perché tra noi c’è sempre un certo imbarazzo quando si dicono cose molto serie e si toccano affetti sinceri, sentimenti profondi nel cuore dell’uomo. “Ma, sai”, disse esitando, in piemontese, “quando sono poi là in Francia, e hanno lavorato tutto il giorno, la sera si trovano fra di loro, e suonano la chitarra, e cantano le canzoni del loro paese”».160 Gli incantamenti bucolici sono spariti, rimane la durezza: è un neorealismo postbellico a imporsi, carico di tante storie da raccontare, di gente comune, di sopravvissuti e disperati nell’Italia da passare a setaccio con lenti nuove o comunque ben ripulite dagli idilli strapaesani della letteratura di propaganda del passato. «Dalla Kirghisia alla Barbagia, da Salomone alla Deledda, la vita dei pastori è stata sempre la stessa: tanto dura, quanto ingrata la terra e il clima inclemente. Il mondo pastorale è il più semplice e insieme il più spietato, perché in esso sono le bestie che dettano all’uomo una norma di vita»,161 scrive una voce sarda autorevole e da riscoprire, Francesco Zedda, docente presso il Conservatorio di Milano e poi di Roma,162 ancor prima che i bozzetti letterari del concorso imperversassero sulla rivista. Straordinaria è anche qui la simbiosi con i disegni severi e vigorosi del pittore conterraneo, Aligi Sassu, stimatore di Delacroix e di Picasso, dal passato futurista. Contenuto letterario e forma pittorica, non soltanto fotografica, come si potrebbe erroneamente pensare, visti i tempi di affermazione del fotoreportage, si saldano in perfetta armonia: mai il connubio sulla rivista è stato così elevato come in questi anni della ripresa. In taluni casi è fisicamente inscindibile, e lo dimostra il bozzetto funambolico di Urbino, redatto e disegnato da Salvatore Fiume, fresco della consacrazione di Raffaele Carrieri e di Alberto Savinio, lanciato nell’olimpo della Biennale e nel successo internazionale. In quest’occasione ritorna nella città che lo ha formato come artista all’Istituto d’Arte del Libro, senza il benché minimo approccio turistico. Scanzonato e fatalista, l’artista di Comiso mette subito tutto 160 Ivi, p. 1022. F. Zedda, Pastori di Sardegna, in «Le Vie d’Italia», anno LV, n. 7, luglio 1949, p. 721. Dello stesso autore il ritratto della cittadina sarda di Oliena, in ivi, anno LIV, n. 3, marzo 1948, pp. 222-6. 162 Di lui ha scritto il critico Nicola Tanda: «Francesco Zedda è quasi certamente il narratore più interessante che abbiamo in Sardegna», in Id., Letteratura e lingue in Sardegna, Cagliari, EDES, 1991, p. 155, ripreso, con particolare riferimento alla monumentale epopea storica del romanzo degli anni Sessanta Maracanda, nell’articolo di Ivan Seidl, Conviene (ri)scoprire Francesco Zedda (Alcune riflessioni sopra il romanzo Maracanda), in «Studia minora facultatis philosophicae universitatis brunensis», anno L, n. 18, 1997, pp. 43-51. 161 289 in chiaro nella rivista turistica per eccellenza: «Ad Urbino non ci sono andato per scopo turistico: ci sono capitato, solo, come una nuvola di passaggio. Appena vi entrai, avrei voluto ripartirmene, tanta fu la paura che provai entro quello strano paese, ma poi rimandai tante volte la mia partenza che ci dimorai cinque anni».163 Cinque anni per poter vedere quella città come nessun altro gitante della domenica avrebbe mai potuto fare: «Dal monte delle Vigne, Urbino si vede tutta. Nelle cartoline, la veduta da questo monte si chiama “panorama”. Ma quello non è un panorama, è uno spavento: la città, in linee perfettamente verticali e orizzontali, è sospesa nello spazio come per incantesimo».164 La poetica metafisica, anticipatrice del surrealismo europeo, emerge in queste visioni grafico-verbali, scardinando ancora una volta i più consueti elzeviri odeporico-illustrativi tendenti a una certa oggettività e neutralità autoriale, ai quali la rivista dell’anteguerra indulgeva, sebbene una maggior consistenza di prose di viaggio personalissime sia riscontrabile negli anni della Consociazione. Non più soltanto un Bertarelli, un Linati, un Sanminiatelli o un Alvaro osano inscenare l’io traveller con tutta la loro arte e perizia negli scritti odeporici delle «Vie d’Italia». A evidenziare questo trend, non paia dunque una forzatura l’estensione alla rivista madre dell’affermazione di Paolo Volponi, contenuta nella sua analisi sull’evolversi della collana «Attraverso l’Italia»: «Le monografie della seconda serie, in specie quelle pubblicate dopo la metà degli anni Cinquanta, tendono a un commento scritto sempre più personalizzato, di larga suggestione poetica».165 Estinta (o comunque in via d’estinzione) la tipologia odeporica meramente illustrativa e un poco asettica, definire queste nuove prose della «ripresa», oltretutto così finemente illustrate, «bozzetti turistici» par tuttavia riduttivo, per l’alone negativo calato su entrambi i termini: il primo, già distorsione vezzeggiativa, connesso a un disimpegnato impressionismo rifiutato dall’odeporica del dopo-Ventennio, il secondo identificato come spensierato collezionismo (o consumismo) di luoghi, meglio mete, irrinunciabili per un ceto medio sempre più allargato e meno educato ai fini più elevati del sapere, al rispetto dei beni storico-paesaggistici, nonché al piacere della scoperta personale delle curiosità e della ricchezza del contatto umano autoctono. Difficile quindi 163 S. Fiume, Urbino città metafisica, in «Le Vie d’Italia», anno LIV, n. 6, giugno 1948, p. 519. Ivi, p. 523. 165 P. Volponi, Introduzione, in Id. (a cura di), Scrittori di «Attraverso l’Italia 1930/1972», Milano, TCI, 1984, p. 18. 164 290 immaginare questi pittori e questi scrittori dei pedissequi turisti, con guida, magari del Touring, alla mano, impegnati in chiassose gite della domenica. A sinistra: uno degli acquerelli a tecnica mista di Aligi Sassu rende la durezza della vita dei pastori sardi narrata da F. Zedda in Pastori di Sardegna, in «Le Vie d’Italia», anno LV, n. 7, luglio 1949, p. 723; segue Salvatore Fiume che descrive e disegna Urbino città metafisica, in ivi, anno LIV, n. 6, giugno 1948, p. 523, «sospesa nello spazio come per incantesimo», come sarà più di un decennio dopo per il surrealista René Magritte Le Château des Pyrénées. A sinistra, il tratto greve e fumettistico di Achille Badi dà volto ai pescatori e al selvaggio guardiano del faro Baralì sull’isola di Santa Maria, in G. Roghi, Vento di Ponente, in ivi, anno LVI, n. 7, luglio 1950, p. 768; a fianco, Renzo Grazzini, l’amico di sempre di Pratolini, interpreta con i suoi schizzi la Vita popolare fiorentina dello scrittore neorealista, in ivi, anno LV, n. 1, gennaio 1949, p. 57. 291 «Mattino. “Uscendo dalla stazione – dirà la vostra guida – si incontra Santa Maria Novella”. È un errore. Non così scoprirete Firenze: cambiate itinerario. È mattina, dunque, e subito dietro la stazione ecco il Mercato Centrale, alto sulla sua scalinata da antica cattedrale, coi suoi box di macellai, pizzicagnoli, pesciaioli»,166 così Vasco Pratolini per i lettori delle «Vie d’Italia» comincia un itinerario sui generis, giocando in casa, facendo il verso alle guide turistiche e ai monumenti arcinoti al mondo intero, e ricominciando da capo, indicando altre strade fuori dalle rotte. Sono i vicoli, gli scorci, le botteghe e le bancarelle dei quartieri popolari fiorentini dietro la stazione nella loro quotidianità ad aprirsi allo sguardo del lettore, che forse ha appena letto, oppure sarà incitato a farlo dopo questo articolo, la triade pratoliniana del 1947, interamente fiorentina: Cronaca familiare, Cronache di poveri amanti (vincitore del Premio «Libera Stampa»), Mestiere da vagabondo. La triade pubblicata da Vallecchi, ad eccezione per l’ultimo titolo edito da Mondadori, elegge protagonista, al pari dell’articolo delle «Vie d’Italia», Firenze e il suo popolo, una dimensione corale inedita, poiché di norma connessa ad un ambiente contadino anziché urbano, quest’ultimo nuova linfa ispiratrice neorealista.167 Coralità e senso del luogo, che nella fattispecie è il quartiere: è questa la Firenze reale, perché piena di vitalità, non un cartolinesco prodotto per turisti o cultori d’arte, perlopiù rinascimentale, distante cronologicamente e socialmente, dacché arte per soli signori e non arte popolana: «Siamo un popolo che si esprime per immagini, ma fate attenzione, la nostra immaginazione aggrava di realtà la realtà la quale appare. […] Il Rinascimento, mi meraviglio di quei marxisti che ne fanno l’elogio, fu una grossa cenciata per il popolino».168 Un ulteriore manifesto neorealista si cela sotto questa prosa cittadina, cui l’autore, reduce dalla consacrazione del 1947, sembra essere piuttosto affezionato, viste le ripetute riprese negli anni a venire in diversi contesti, messe in luce da Francesco Paolo Memmo.169 La firma del «Bargello» e dell’«Universale», ove collabora dagli anni Trenta con l’illustratore, amico d’infanzia, Renzo Grazzini, 166 V. Pratolini, Vita popolare fiorentina, in «Le Vie d’Italia», anno LV, n. 1, gennaio 1949, p. 57. Cfr. A. Gabelli, Un luogo di Firenze: via del Corno nella vita e nell’opera di Vasco Pratolini, in «Forum Italicum», anno 2004, n. 2, pp. 468-90. 168 V. Pratolini, Vita popolare fiorentina, art. cit., pp. 60-1. 169 All’articolo Pratolini sembra esserci affezionato, vista la ripresa della prima parte in La battaglia delle massaie, in «Paese Sera», Roma, 23 aprile 1952, p. 3; poi col titolo La battaglia delle massaie, in «Il Nuovo Corriere», Firenze, 1 maggio 1952, p. 3; e infine, in parte riutilizzato in La battaglia delle massaie, in «Milano Sera», Milano, 13-14 maggio 1952. I vari passaggi e rimaneggiamenti non sono sfuggiti allo spoglio di F. P. Memmo, Vasco Pratolini: bibliografia 1931-1997, Firenze, Giunti, 1998, p. 65. 167 292 presente di nuovo anche sulle «Vie d’Italia», provocatoriamente snobba la Firenze nota a tutto il mondo, rispondendo alle istanze del progetto neorealista, volto a conferire agli spazi urbani e al popolo operaio nuova dignità, rinnovando i topoi della geoletteratura. Il tutto in maniera peraltro non estranea al programma editoriale sia del mensile del Touring sia della ripresa collana «Attraverso l’Italia», che rifugge il pittoricismo grafico-letterario, alle volte patinato, della serie dell’anteguerra: «I grandi monumenti troppo noti, i paesaggi tipici, gli antichi ripetuti simboli delle terre dei popoli delle città delle scuole vengono, quando non siano addirittura omessi, tagliati secondo nuovi punti di vista, dall’interno di una scena per la quale non è più necessaria l’informazione misurata e la rappresentazione».170 D’accordo con l’analisi di Paolo Volponi, appena riprodotta, sull’evolversi della collana, che in questo aspetto è ben estendibile anche al mensile, la scelta di totale rottura e rinnovamento di Pratolini, di molti illustratori e della nuova generazione dei fotografi del Touring, non è tuttavia una costante. Se il narratore neorealista opta per la maternità popolana di Firenze, nel medesimo anno (1949), Riccardo Bacchelli non fa altrettanto con la sua Alma Mater bolognese. Inerente a questa, in anteprima sulle «Vie d’Italia» esce un frammento dell’introduzione bacchelliana del volume Emilia e Romagna per la nuova serie della collana «Attraverso l’Italia», per la quale il solito Volponi commenta: «Nelle monografie pubblicate dopo il ’45 spicca subito Venezia e la sua laguna di Diego Valeri, e insieme, e non a livello più basso, l’Abruzzo di Silone, il Molise di Francesco Jovine, l’Emilia Romagna di Riccardo Bacchelli del 1950. […] Anche tra gli autori della seconda serie non tutti esprimono con convinzione un interesse autentico per ciò che sta mutando rapidamente e attraverso una molteplice serie di impressioni sopra la società che descrivono. Un allargamento e un rinnovamento delle misure insite nel genere monografico non era facile, né era forse nelle intenzioni del Touring. Bisogna dunque ricorrere alle “Vie d’Italia” per trovare un approfondimento e ampliamento di quelle misure».171 170 171 P. Volponi, Introduzione, in Id. (a cura di), Scrittori di «Attraverso l’Italia 1930/1972», cit., p. 18. Ivi, p. 16. 293 Nonostante il distaccamento bacchelliano dai mutamenti sociali contemporanei e la prospettiva classicheggiante di derivazione sintattica e di ricercatezza lessicale, dimostrata nelle prose odeporiche raccolte per Rizzoli nel 1952 sotto il titolo omnicomprensivo Italia per terra e per mare: capitoli di viaggio, vale la pena di premiare l’aderenza plastica e storica del rondista del Mulino del Po. «Bacchelli aveva insistito molto sugli splendidi, ben fermi, saldissimi muri, sulla moltitudine e bravura dei muratori, sulla geniale ossessione muratoria di Bologna e dei bolognesi»,172 ciò è vero per quel che concerne lo scritto integrale pubblicato per la collana. C. Vitale illustra le torri medievali bolognesi per l’articolo di R. Bacchelli, Bologna Alma Mater, in «Le Vie d’Italia», anno LV, n. 9, settembre 1949, p. 936. Tuttavia, nel frammento apparso sul mensile, tale plasticità «muratoria» è lasciata ai pennelli di Carlo Vitale, alla solidità del suo chiaroscuro a tecnica mista, mentre Bacchelli può dar sfogo alle sue impellenze storiche, che impregnano quelle mura e quelle torri, così come il suo ciclo romanzesco sul Po: «la mente ripercorre i secoli: quante invasioni, scorrerie, conquiste, “calate”, “passaggi” d’oltremonti, quante “guerre d’Italia”, passarono e percossero qui, come Annibale o il Frundsberg […]. E non c’è stato fatto d’Italia, fra quanti impegnarono le sorti della penisola, che qui non si sia ripercosso, quando non altrimenti, colle divisioni di parte, ch’ebbero sempre un carattere sterminativo, per cui la storia interna 172 Ivi, p. 145. 294 emiliana e romagnola credo che non ceda a nessuna e molte ne superi per la terribilità che v’assumono fazioni e lotte d’idee, d’interessi, di ceti, politiche ed economiche, tra famiglie e borghi e città».173 Dai primati storici bolognesi di Bacchelli a quelli artistico-architettonici della Vicenza palladiana di Neri Pozza, il passo per «Le Vie d’Italia» è breve: basta girare la pagina. Nuovamente, nonostante il taglio illustrativo e celebrativo dell’articolo, redatto in occasione dell’anniversario della vittoria dell’architetto vicentino nel concorso per le Logge della Basilica, l’indole dell’autore si fa più presente e orienta in una direzione piuttosto che in un’altra l’articolo. Per l’intraprendente editore, scopritore di Parise, con un passato da scultore, qui e in un successivo scritto vicentino, immancabile e impeccabile è lo zelo bibliografico sugli studi palladiani pubblicati a Vicenza, sintomo di un’attenzione nutrita, oltre che da ragioni autoctone ed artistiche, da motivazioni professionali.174 Una bibliofilia, manifestata anche da un altro addetto ai lavori (editoriali), che in questi primi anni Cinquanta collabora al mensile: Guido Lopez, direttore dell’Ufficio Stampa della Mondadori. Quale miglior autore per ripercorrere i cinque secoli della storia del libro a stampa con grande (e dissacrante) apertura alla modernità? «Che, poi, le grandi lezioni della stampa siano passate nel giro di cinque secoli dai testi liturgici alla pubblicità commerciale, vorremmo non sembrasse un’eresia: il mondo ruota secondo sue ineluttabili leggi e la bellezza può albergare tanto nelle figurazioni pagane degli Aztechi quanto nella Bibbia di Borso d’Este, tanto nella geometria euclidea quanto nella relatività einsteiniana».175 Sempre Lopez, con la sua verve ipermoderna, sarà protagonista di inedite e originali prose di viaggio cittadine da luoghi inattesi. Si comincia con lo zoo milanese, vivacemente raccontato da questo meneghino d’eccezione, con interpretazioni teologiche strampalate in chiave odeporica: «Ecco: un giardino zoologico mi sembra la valigia-campionaria di un “viaggiatore” di eccezione: il Padreterno. Cìmbali, che fantasia! balza, noncurante del ridicolo, dal sublime al grottesco; si leva, senza fatica, dal viscido al superbo. Lo zoo è l’esempio 173 R. Bacchelli, Bologna Alma Mater, in «Le Vie d’Italia», anno LV, n. 9, settembre 1949, p. 936. Da segnalare un’altra collaborazione dello scrittore bolognese con il sodalizio, vale a dire la cura del volume della collana «Attraverso l’Europa» dedicato alla Svizzera, con le fotografie di Toni Nicolini (Milano, TCI, 1974). 174 N. Pozza, Celebrare Palladio, in «Le Vie d’Italia», anno LV, n. 9, settembre 1949, pp. 939-45 e Id., Inventari di Vicenza, in ivi, anno LX, n. 6, giugno 1954, pp. 753-62. 175 G. Lopez, Cinque secoli di libri, in ivi, anno LX, n. 3, marzo 1954, p. 338. 295 dilettevole – combinatogli dall’uomo – della sua bizzarra e divina incongruenza».176 Si prosegue con la fiera campionaria, emblema del benessere portato dal boom economico, narrata attraverso i capricci del bimbo Carluccio per un elicottero giocattolo.177 Da notare è che a far da contraltare a questa Milano collezionista di stramberie del Creato e consumista, qualche mese dopo il pezzo di Lopez sulla fiera, sarà un eminente critico e collega mondadoriano, reporter da un’altra fiera, quella del latte di Lodi. Stiamo parlando dell’unico contributo lasciato sul mensile da Giansiro Ferrata, che, partendo fisicamente e letterariamente da Milano, la Paneròpoli del Foscolo, dal nome meneghino della crema di latte, ci conduce gradualmente nella Bassa pianura lombarda: «Milano è città di confine, attraversandola da nord a sud sud-est si passa dalla Lombardia dei laghi a quella dei fiumi; ed è un mutamento che la massa piatta di Paneròpoli rende quasi insensibile per il viaggiatore, ma, di fatto, tutt’altro che piccolo. Già quel nome di Paneròpoli, per esempio, fa pensare che Foscolo mentre abitava a Milano guardasse impaziente verso Venezia o verso Roma, e con l’amareggiata fantasia incontrasse subito Melzo e Treviglio, Crema e Lodi. Invece Stendhal… Era arrivato con Napoleone, sognava qualche infinito week-end in Brianza con la Pietragrua; la sua Milano è limpida, prealpina. Chiamiamola pure Paneròpoli, noi che qualche legame di sangue e di memoria unisce ancora alla Bassa, alla Lombardia dei fiumi e dei canali, dei prati a marcita, delle cascine dove le stalle lunghissime reggono appena al peso dei fienili. […] Di burro e di formaggio, nella regione semichiusa fra Adda, Lambro e Po, si produce quasi la sesta parte che nel resto d’Italia. Trecentomila litri di latte al giorno scorrono, a Lodi o intorno a Lodi, per la Polenghi-Lombardo; e in nessun luogo più giustamente che a Lodi poteva sorgere una Fiera Nazionale del Latte».178 Questa fiera insolita e meno conosciuta rispetto a quella cittadina raccontata da Lopez è l’occasione per non dimenticarsi delle campagne nell’epoca di urbanizzazione e di industrialesimo forzoso, per accostarsi nuovamente al mondo contadino senza gli idilli 176 G. Lopez, Oh, lo zoo, in ivi, anno LVI, n. 7, luglio 1950, p. 814. G. Lopez, Ah, la fiera, che passione, in ivi, anno LVII, n. 5, maggio 1951, pp. 522-33. 178 G. Ferrata, Viaggio alla terra del latte, in ivi, anno LVII, n. 10, ottobre 1951, p. 1211. 177 296 strapaesani di un tempo, recuperando la concretezza cattaneana della Notizia Economica di Lodi e Crema, citata direttamente in tutta la sua precisione agronomica. In questo filone, sempre nelle terre del contado padano fa gli onori di casa uno tra i più noti scrittori della letteratura venatoria italiana: il novarese Eugenio Barisoni, che negli ultimi anni della sua vita lascia al mensile prose sul lavoro contadino e ritratti paesaggistici, lacustri e marini, da Omegna e dalla Capraia.179 L’autore lanciato da Bompiani nel 1932 con Cacciatore si nasce, nelle campagne di casa rievoca il passato: «nei begli anni che io facevo il cacciatore di mestiere si seminava ancora l’Ostiglia. Era il riso più pregiato, il riso dei signori. Era pure il riso dei cacciatori perché patria dei beccaccini».180 Tuttavia, inutile farsi illusioni virgiliane, secco è lo scarto tra la dimensione poetica e quella contadina: «l’agricoltore, come ho detto, non ha la mente volta alla poesia e alla caccia, bada al sodo».181 E questo lo si vede anche dalla china di Giuseppe Novello che si inframmezza all’articolo di Barisoni sui Lavoratori dei campi, illustrando indaffarati contadini segnati dalle fatiche della mungitura, del governo del sistema delle chiuse di canalizzazione nei campi, della cascina e dei suoi macchinari, della stalla e dei suoi animali. Novello disegna i Lavoratori dei campi di E. Barisoni, in «Le Vie d’Italia», anno LVI, n. 2, febbraio 1950, p. 158. Sempre dalla Bassa, questa volta pavese, giungono in redazione i ricordi della vendemmia del 1944 della scrittrice per l’infanzia, collaboratrice del «Corriere dei 179 In ordine cronologico: E. Barisoni, Una piccola isola dantesca: la Capraia, in ivi, anno LIII, n. 4, aprile 1947, pp. 362-7; Id., Omegna sul dolce lago, in ivi, anno LIV, n. 3, marzo 1948, pp. 235-9; Id., Vita nella risaia, in ivi, n. 10, ottobre 1948, pp. 907-13 e Id., Lavoratori dei campi, in ivi, anno LVI, n. 2, febbraio 1950, pp. 153-60. 180 E. Barisoni, Vita della risaia, art. cit., p. 912. 181 Ivi, p. 913. 297 Piccoli» e della «Vispa Teresa», Giana Anguissola, interpretati graficamente da Achille Badi: «venivo da Piacenza, dall’intravisto funerale di mio padre, a cui avevo partecipato per un’ora, superando chilometri e chilometri, pericoli e pericoli. Si tornava. A Castelsangiovanni, l’allarme. A un posto di blocco a metà strada con Stradella, ci fermano. Proibito proseguire: caccia sulla testa, nuvole di terra si alzano dal vicino campo di aviazione mitragliato».182 Nemmeno questo frena il consueto brindare al vino nuovo, per cui si è tanto faticato. Forse, un giorno, a fermare la ciclicità dei campi sarà l’«ombra di malinconia che taglia queste giovinezze […]. Lavorano molto perché son tutti proprietari. Borbottano contro l’autorità dei genitori, caso mai, ma non pensano di rovesciarla. Alcuni vorrebbero tentare l’avventura fuori dalla terra, ma intanto la lavorano. E la terra prospera senza saper nulla».183 «Terra di fatica, giovane ancora nella sua antica staticità, ripresa palmo a palmo alle acque chi [sic] si direbbe abbiano trovato nell’estate aspra, torrida, una irrevocabile vendetta; pagana e mistica a un tempo; spregiudicata come la cicala, previdente come la formica. Chiusa e aperta insieme, anche la notte la perde nell’infinito e la sua voce è stridore allegro di civette»:184 così esordisce sul mensile dalla Val di Chiana, due mesi dopo l’Anguissola, Renzo Modesti, poeta comasco tra i più celebrati degli anni Cinquanta, antologizzato da Anceschi, da Erba, da Falqui e da Piero Chiara. Il suo lirismo campestre che ben si adagia sul tradizionale paesaggismo toscano, si allarga, seguendo l’evolversi della sua poetica di metà secolo, ad una visione, o meglio a una «istantanea» (per riprendere il titolo dell’articolo che si contrappone al bozzetto) della campagna più complessa socialmente e storicamente: «i paesi sono un’altra cosa: il contado ha limiti certi, definiti che a un paesano è ben difficile varcare. Si potrebbe parlare di caste tanto i modi di vita si differenziano, tanto sono opposti i problemi economici, sociali, politici, tanta è la reciproca diffidenza».185 Ancora più arduo varcare i limiti per riuscire a superare la diffidenza e giungere a comprendere micro-mondi, Italie, ancora più distanti, come le comunità montane dell’Appennino calabro, passate alla ribalta delle cronache per le inondazioni 182 G. Anguissola, Vendemmia a Stradella, in ivi, anno LVII, n. 9, settembre 1951, p. 1045. Ivi, p. 1043. 184 R. Modesti, Istantanee in Val di Chiana, in ivi, anno LVII, n. 11, novembre 1951, p. 1337. All’articolo seguiranno dello stesso autore: Tre ville del Varesotto, in ivi, anno LXI, n. 9, settembre 1955, pp. 1133-42 e un notiziario in veste di critico d’arte da La XIX Biennale Nazionale di Milano, in ivi, n. 12, dicembre 1955, p. 1618. 185 R. Modesti, Istantanee in Val di Chiana, art. cit., p. 1337. 183 298 dell’inverno a cavallo tra il 1953 e il 1954. Il fatto di cronaca è occasione per il mensile per continuare con impegno a coltivare il filone già tracciato ai tempi della Consociazione dal prezioso collaboratore Alvaro, ossia il Meridione raccontato e descritto da scrittori del Sud (o con esso identificabili), come Francesco Perri, Michele Prisco, Domenico Rea e Anna Maria Ortese. Di fronte alle sciagure delle fiumare in piena che divorano villaggi «costruiti con la stessa tecnica con cui gli uccelli fabbricano i loro nidi: con materiale di ventura raccolto sul posto»,186 e ricostruiti poi nella medesima instabile maniera, pronti per esser travolti nuovamente, occorre un interprete locale per far luce su questa che potrebbe essere tacciata come irrazionalità ancestrale, tutta meridionale. Tale interprete è Francesco Perri, originario dell’entroterra calabrese alluvionato, giornalista affermato al Nord tra le file antifasciste della «Voce repubblicana» e autore, tra le molte opere, del romanzo, che scorre fra le corde della sua vita, Emigranti, premiato e pubblicato da Mondadori nel 1928. Questi illumina un pubblico spesso molto lontano da questi orizzonti refrattari al progresso: «Gli spiriti forti si metteranno a ridere davanti a queste manifestazioni di ingenua e caparbia fedeltà a quelli che potremmo chiamare “i patrii Lari” la religione del focolare domestico; e anche a me, che sono calabrese e in oltre quarant’anni di lontananza non ho nulla rinnegato delle mie origini, anche a me questa resistenza ad avvicinarsi al progresso fa effetto. Ma quando penso alla bestia pericolosa in cui si va trasformando l’uomo civile, che non vede che se stesso, e ha perduto interamente quella che il grande Goethe chiamava “la venerazione verso le stelle”; quando penso all’uomo che fa il bagno tutte le mattine e si profuma con acqua di Colonia, e va in auto; e poi, chiuso nel suo laboratorio, si dedica ai sinistri calcoli della mega-morte, allora sento il bisogno di tornare con lo spirito a Natile, prendere per mano il primo contadino che incontro, farmi condurre da lui nella chiesetta disadorna e riposare il mio spirito».187 186 F. Perri, Villaggi montani in Calabria, in ivi, anno LX, n. 2, febbraio 1954, p. 180. Sempre sul mensile del Touring Perri si occupa della ripresa del cantiere navale di Sestri Levante dopo la guerra, A Sestri si vara, in ivi, anno LII, n. 1, gennaio 1946, pp. 59-6, della commemorazione del 74° anniversario dalla morte di Mazzini in veste di autorevole voce repubblicana, A Genova con Mazzini, in ivi, n. 3, marzo 1946, pp. 199-208, e infine della situazione delle poste italiane in Le nostre poste, in ivi, anno LXII, n. 1 e 3, gennaio e marzo 1956, pp. 49-56 e pp. 336-43. 187 F. Perri, Villaggi montani in Calabria, art. cit., p. 184. 299 Non così radicale è un’altra voce critica che si alza dal Sud, scoperta dal solito Alvaro, giurato del concorso letterario bandito nel 1945 dalla rivista del Flora «Aretusa», in cui Michele Prisco con il racconto I morti moriranno riceve una segnalazione.188 Da qui cominciano per lo scrittore partenopeo le pubblicazioni di racconti su varie riviste, tra le quali «Il Risorgimento» di Napoli diretto da Alvaro, fino a giungere alla consacrazione della raccolta La provincia addormentata del 1949. L’anno successivo, con gli scatti di Bruno Stefani, fotografo modernista attratto dalla vita semplice e contadina, dalle periferie e dalla strada, che accompagna con le sue foto la campagna toscana di Modesti e i villaggi dell’entroterra calabro di Perri, Prisco pubblica sul mensile del Touring uno scritto dal mare di casa, escluso dalle prose di viaggio raccolte nel volume Il cuore della vita (Torino, Società Editrice Internazionale, 1995). È un ritratto turistico del mare partenopeo, compiaciuto per l’inaugurazione di «un comodissimo treno ‹che› ti trasporta da Napoli direttamente a Sorrento in un’ora»,189 filtrato da un punto di vista che Raffaele La Capria aveva ben messo in contrasto con quello di un altro scrittore napoletano, di cui tratteremo qui di seguito: Domenico Rea. «Due punti di vista che eternamente si confrontano, la Napoli vista dal basso (e dai bassi) e la Napoli vista dall’alto (e dal mare)».190 La Napoli di Prisco è quella marina, dei dintorni provinciali e dei turisti borghesi in vacanza, a passeggio tra boutiques e botteghe artigiane dove «comprarsi l’immancabile ricordo di Sorrento, che sarà di volta in volta un portasigarette o un paio di nacchere o uno scrigno, tutti di legno lavorato e intarsiato».191 Partendo da questa prospettiva geografica e sociologica netta, al centro della sua indagine letteraria che mette a nudo la borghesia della provincia con i suoi vizi e i suoi torpori, Prisco viaggia «nel costume e nella cultura, […] come è accaduto a Cecchi e Comisso, a Vittorini (Sardegna come un’infanzia) e Piovene, a Parise e Arbasino, visita la provincia Europa, la provincia mondo come “luoghi fatti a mano”, da scoprire “palmo a palmo”»,192 attratto dal manufatto artigiano così come dall’ospitalità casereccia, in questo caso dei sorrentini, i quali «sanno che è giusto stupirsi e restare 188 Cfr. E. Giammattei, Il romanzo di Napoli: geografia e storia letteraria nei secoli XIX e XX, Napoli, Guida editore, 2003, p. 135. In particolare su Prisco si veda la monografia di A. Benevento, Michele Prisco, Napoli, Guida editore, 2001. 189 M. Prisco, Visita a Sorrento, in «Le Vie d’Italia», anno LVI, n. 6, giugno 1950, p. 677. 190 R. La Capria, Michele Prisco, il cuore borghese di Napoli, in «Corriere della Sera», 20 novembre 2003, p. 37. 191 M. Prisco, Visita a Sorrento, art. cit., p. 680. 192 R. Crovi, Diario del Sud, Lecce, Piero Manni, 2005, p. 190. 300 affascinati del loro mare e dei loro giardini, e dunque è inutile darsi importanza o, peggio, tentare di sfruttare quella meraviglia. Per questo a Sorrento si ha sempre l’aria di stare in famiglia, e anche i grandi e lussuosi alberghi conservano la gentilezza domestica d’una pensione».193 Dalla benestante costiera sorrentina di Prisco qualche mese più tardi, sul finire del 1950, anno in cui abbiamo visto dare una considerevole svolta letteraria al mensile con il concorso dei bozzetti turistici sotto la giuria di Alvaro, Pancrazi e Valeri, giungiamo alla Napoli dei bassifondi popolani di Rea. Con La terra dei pomodori, disegnata da Bianconi, nel novembre del 1950 ha inizio una lunga collaborazione con la redazione di Corso Italia destinata a durare fino al 1958, annoverando ben quattordici contributi partenopei, tutti finemente illustrati, oltre che dall’appena citato artista della Garzanti, da Dall’Aglio, Vellani Marchi, Del Corno, Hans Meury, Luigi Grosso, e ancora una volta dal fotografo Stefani. Pertanto, in primo luogo, occorre aggiornare la bibliografia reana contenuta nel «Meridiano» curato da Francesco Durante, che concentra la collaborazione nei soli anni 1957-1958194 e si focalizza sui materiali che portano nel 1960 alla raccolta pirontiana di discreto successo, con 4.000 copie vendute, Il re e il lustrascarpe, impreziosita dalle illustrazioni a colori di Paolo Ricci, riedita l’anno successivo da un entusiasta Arnoldo Mondadori.195 Secondariamente, urge più che altro interessarsi agli scritti dimenticati sia dallo spoglio bibliografico, sia dal progetto pirontiano e mondadoriano, che porta proprio il titolo dell’articolo apparso sul mensile del Touring nel luglio 1957. Da questi contributi giornalistici, che assorbono l’autore costringendolo «sempre più entro i confini della sua napoletanità (i giornali milanesi e romani, e tutti gli altri, sembrano non chiedergli altro che pezzi di colore su Napoli)»,196 emerge tutta l’antiteticità del capoluogo campano terragnolo e popolare di 193 M. Prisco, Visita a Sorrento, art. cit., p. 682. Risultano pertanto presenti nella Bibliografia a cura di F. Durante, in D. Rea, Opere, Milano, Mondadori, 2005, p. 1711, tutti gli articoli apparsi sul mensile del Touring in questo biennio segnalato: D. Rea, Nel Cilento, in «Le Vie d’Italia», anno LXIII, n. 4, aprile 1957, pp. 482-8; Id., Il re e il lustrascarpe, in ivi, n. 7, luglio 1957, pp. 885-8; Id., La passeggiata del cocchiere napoletano, in ivi, n. 12, dicembre 1957, pp. 1596-600; Id., Italia minore: Caserta vecchia, in ivi, anno LXIV, n. 4, aprile 1958, pp. 501-6; Id., Il lotto a Napoli, in ivi, n. 6, giugno 1958, pp. 729-33; Id., Portieri a Napoli, in ivi, n. 11, novembre 1958, pp. 1441-5; Id., Turisti a Pompei, in ivi, n. 12, dicembre 1958, pp. 1541-4. 195 Nella Cronologia, in D. Rea, Opere, cit., p. CXXVII, riporta Durante: «Il nuovo libro viene salutato da un biglietto di Arnoldo Mondadori il 20 dicembre 1960: il presidente trova il volume del “collega Pironti” semplicemente “splendido”. “L’ho accolto” dice “con soffusa mestizia perché avrei voluto che il libro portasse la nostra tradizionale firma”. […] è una strenna perfetta». 196 F. Durante, Cronologia, in D. Rea, Opere, cit., p. CXXVI. 194 301 Rea rispetto all’ariosa geografia marina e manifatturiera di Prisco. «I napoletani non sono gente di mare. Con i suoi frutti vivono poche famiglie, i tradizionali luciani, che un secolo fa avevano le case sul mare. Gli altri sono terragni e molti di essi, specialmente in passato, il mare lo vedevano occhieggiare di sfuggita tra un palazzo e l’altro […] Sanno che c’è e che è lì a due passi, e ciò basta loro».197 Popolani, goderecci, «pessimi nuotatori da adulti i napoletani, uomini e donne, stanno come foche lungo la riva»,198 gustano il mare domestico nelle sole domeniche estive, dando adito a Rea di sbizzarrirsi in più occasioni in lunghi elenchi di prodezze culinarie consumate in spiaggia: «tortiere di maccheroni, frittate, peperoni imbottiti come polli, ceste di frutti di scarto, vino, gasose [sic], birre, non c’è fine».199 Quello delle «Vie d’Italia» è un Rea più disimpegnato, meno tragico e truculento della raccolta Spaccanapoli, se non per il tema della «pesca ‹che› a Napoli è un dramma tremendo»,200 perché snaturalizzato, consumato in un golfo dissanguato da pescherecci a strascico industriali, con pescatori mendicanti del loro mare, sempre più distante, dacché relegati in case popolari di periferia. A parte questa denuncia, si badi bene, marina e non terrestre, Rea è ancora un divertito e grottesco neorealista, consapevole ma indulgente per le colpe e le goffaggini della sua gente contadina «de pummarole»,201 animata da un «accanito sentimento georgico»,202 che in gita per la prima volta a Capri o a Ischia trasforma i leggeri vaporetti del golfo in «minuscole navi di emigranti»,203 carichi di ogni prelibatezza, in una terra straniera, ove «stranieri sono anche gli altri italiani».204 Il legame con Nocera, la terra d’infanzia lontana dalla costa, scaccia la percezione marina dal capoluogo partenopeo, come concorda la Ortese, non bagnato dal mare, bensì proiettato verso un interno meno gramo, verso la «fitta e ubertosa campagna»,205 attraversata da bambino sulla Circumvesuviana. I ricordi d’infanzia emergono in una prosa di viaggio semplice e solare, riappropriandosi del punto di vista puerile e prendendo le distanze dal dramma e dal grottesco napoletano: «per me quel viaggio significava la realizzazione di un sogno fantastico: la possibilità di poter diventare finalmente passeggero di un treno giocattolo 197 D. Rea, Il mare dei napoletani, in «Le Vie d’Italia», anno LIX, n. 7, luglio 1954, p. 894. Ivi, p. 895. 199 Ivi, p. 894. 200 D. Rea, Una rete per un pesce, in «Le Vie d’Italia», anno LXII, n. 5, maggio 1956, p. 572. 201 D. Rea, La terra dei pomodori, in ivi, anno LVI, n. 11, novembre 1950, p. 1266. 202 D. Rea, Vita contadina nella campagna di Napoli, in ivi, anno LX, n. 4, aprile 1954, p. 474. 203 D. Rea, Il mare dei napoletani, art. cit., p. 895. 204 Ibidem. 205 D. Rea, I piaceri della Circumvesuviana, in «Le Vie d’Italia», anno LXI, n. 6, giugno 1955, p. 717. 198 302 […] Mi sentivo come nel mio elemento. Potevo ammirare i controllori che passavano da una vettura all’altra, attraverso i predellini fatti a bella posta, come spericolati cowboys. Campanelle, allegri fischi, trombettate di capostazioni servivano a eccitarmi maggiormente. Non era un viaggiare, ma un giuocare».206 Un poco più grande, la realizzazione di quel sogno ferroviario si sarebbe tramutata nel compimento di un altro sogno odeporico, parecchio originale: a bordo di uno scooter,207 agile e arioso come il linguaggio di queste prose, a tutti comunicative e un poco timide nella sperimentazione diatopica. Tra il 1957 e il 1958 seguiranno, ad eccezione dei bozzetti tra favola e neorealismo sulle credenze para-religiose del lotto e sui mestieri napoletani del lustrascarpe e del portinaio, prose di viaggio cittadine e regionali, che mai potranno uscire dai confini che avevano reso noto l’autore. Il viaggio in utilitaria con destinazione Calabria si concentra sul Cilento, che concede scorci brasiliani, ben noti al Rea emigrante e reporter per il «Nuovo Corriere» dal 1948 al 1949: «mi sembra di avviarmi verso un’altra città del sud: a Campinas, a cento chilometri da San Paolo del Brasile. Uguali gli odori, uguale il cielo (bleu), uguali le stelle, grandi come palle di alberi natalizi e con i raggi visibili e tremolanti. Arrivo nel felice paese che si chiama Policastro».208 Il reportage termina qui, al confine campano che per «Le Vie d’Italia» non verrà mai varcato. D’altronde entro questi limiti v’è ancora tutto un mondo dimenticato, come Caserta Vecchia, «un paradiso perduto, un minuscolo Tibet»,209 un tesoro da valorizzare e far scoprire non soltanto ai turisti, stranieri e italiani che già da anni (se non da secoli) lo apprezzano, ma agli stessi campani, ignari delle loro pietre millenarie pompeiane, «forse perché non hanno una preparazione, o meglio un’inclinazione nativa ad ammirare ciò che non è trasformabile in denaro; forse perché non riescono a spiegarsi come sia possibile intraprendere un così lungo viaggio per venire a stare tra vecchie pietre».210 È una giustificazione tagliente e al contempo sconsolata, in cerca di indulgenza, indirizzata a uno dei massimi archeologi italiani, sovrintendente alle antichità della Campania, nonché collaboratore delle «Vie d’Italia», 206 Ibidem. D. Rea, Lo scooter, macchina naturale, in «Le Vie d’Italia», anno LIX, n. 4, aprile 1953, pp. 470-4. 208 D. Rea, Nel Cilento, art. cit., p. 488. 209 D. Rea, Italia minore: Caserta vecchia, art. cit., p. 502. 210 D. Rea, Turisti a Pompei, art. cit., p. 1544. 207 303 Amedeo Maiuri,211 con la sicurezza che questi «giudicherà queste nostre realistiche impressioni con la sua sorridente saggezza».212 Restando nella geo-letteratura del Sud, è facile passare nelle pagine del mensile di questi anni Cinquanta, così in fermento letterario, dalle impressioni realistiche (e grottesche) di colore e di viaggio nella Campania di Rea, che quantitativamente e qualitativamente resta uno dei punti di riferimento, alla forma del racconto odeporico semi-onirico, dalle imprecisate geografie marine meridionali di Anna Maria Ortese. Inedita per l’immane opera biografica e bibliografica curata da Luca Clerici, Apparizione e visione. Vita e opere di Anna Maria Ortese (Milano, Mondadori, 2002), è la sua unica presenza sul mensile nel gennaio del 1956, accompagnata dai disegni del solito camaleontico Bianconi, che ondeggianti si ritagliano curvilineamente nel testo de Il comandante Taras, sovrastato da un occhiello alquanto significativo: «Un racconto di Anna Maria Ortese». A. M. Ortese, Il comandante Taras, con illustrazioni di F. Bianconi, in «Le Vie d’Italia», anno LXII, n. 1, gennaio 1956, pp. 80-1. 211 Del Professor Amedeo Maiuri, sul mensile del Touring si vedano giustappunto la maggior parte degli interventi scientifico-divulgativi da Pompei e dalla Campania: A. Maiuri, Restauri di guerra a Pompei, in «Le Vie d’Italia», anno LIII, n. 3, marzo 1947, pp. 215-21; Id., Gli scavi di Pompei e la bonifica dell’agro pompeiano, in ivi, anno LVI, n. 1, gennaio 1950, pp. 39-45; Id., Ville e pitture antiche a Castellammare di Stabia, in ivi, anno LXII, n. 6, giugno 1956, pp. 685-94; Id., Vita e morte a Pompei negli ultimi scavi, in ivi, n. 12, dicembre 1956, pp. 1511-8; Id., I giardini di Pompei, in ivi, anno LXVII, n. 9, settembre 1961, pp. 1130-9; Id., Pompei nelle ore della tragedia, in ivi, anno LXVIII, n. 2, febbraio 1962, pp. 201-11; Id., Da Napoli a Reggio Calabria Strade antiche e moderne, in ivi, n. 12, dicembre 1962, pp. 1477-88; Id., Alla scoperta della Campania dimenticata, in ivi, anno LXIX, n. 2, febbraio 1963, pp. 144-53. Un ricordo di questo archeologo collaboratore, attivo sino all’ultimo sul mensile, sarà steso da Giovanni Mira nel Notiziario del mese di maggio 1963, p. 607. 212 D. Rea, Turisti a Pompei, art. cit., p. 1544. 304 Dunque un racconto, e non un reportage: genere letterario nuovo per la rivista turistica per eccellenza, firmato da una delle maggiori scrittrici del Novecento, nonché «probabilmente», scrive Clerici, «la prima donna reporter italiana».213 Trattasi di un racconto, pur sempre odeporico, ma che non può sfuggire a questa classificazione narratologica data dalla redazione, perché gli occhiali della Ortese non permettono una messa a fuoco netta: la miopia immaginifica dell’io traveller vince sulla determinatezza delle geografie del reale, per cui la visione generale della costa (di Palermo vista probabilmente da Lipari) sfuma al pari della toponomastica, mentre l’assenza di presbiopia permette la focalizzazione sui personaggi, elemento caro al genere narrativo. Proprio questi, o meglio uno di loro, dà il titolo che sarà mantenuto nella successiva pubblicazione sul settimanale «Il Contemporaneo» del 19 gennaio 1957, stando alle annotazioni bibliografiche di Clerici. Da ricordare, grazie a quest’apparato bibliografico, che Il comandante Taras non è tuttavia un inedito, poiché già pubblicato su «Il Mondo» nel gennaio del 1954 sotto il titolo, più inclusivo dal punto di vista dei personaggi, I due capitani, per essere infine riedito nel 2004 nella raccolta La lente scura come Arrivo a Palermo. 214 Sebbene l’articolo firmato dall’Ortese sia un esemplare unico per il mensile, occorre non considerare un fatto isolato la presenza della tipologia narrativa. L’occhiello redazionale «Un racconto di…» introduce tutti e cinque i contributi del poeta e scrittore romano, Giorgio Vigolo, usciti tra il 1955 e il 1958. Trattasi di racconti narrati sempre in prima persona di ambientazione domestica, cioè romana, che tuttavia non possono rientrare nella categoria odeporica stricto sensu. Tra sogno, finzione e ricordi, affacciarsi a un balcone, a una finestra, a una porta dell’infanzia trascorsa in antichi palazzi capitolini, significa per Vigolo scovare prospettive cittadine inedite, sotterranei e scorci impensabili: «nitidissima è rimasta in me l’impressione che provai, affacciandomi alla finestra di un palazzo cinquecentesco, dove bambino mi avevano condotto a far visita ad alcuni lontani parenti. Il palazzo aveva l’entrata da via 213 L. Clerici (a cura di), Il viaggiatore meravigliato. Italiani in Italia (1714-1996), cit., p. 297. Ricapitolando in ordine cronologico le varie apparizioni del racconto sotto vari titoli: A. M. Ortese, I due capitani, in «Il Mondo», anno VI, n. 3, 19 gennaio 1954, p. 7; Ead., Il comandante Taras, in «Le Vie d’Italia», anno LXII, n. 1, gennaio 1956, pp. 80-5; Ead., Il comandante Taras, in «Il Contemporaneo», anno IV, n. 3, 19 gennaio 1957, pp. 9-10; Ead., La nostalgia del capitano, in «Corriere d’Informazione» (edizione pomeridiana), 17-18 gennaio 1959, p. 5; Ead., Arrivo a Palermo in Ead, Il mormorio di Parigi, con postfazione di N. Orengo, Roma-Napoli, Teoria, 1986, pp. 75-84; infine Ead., Arrivo a Palermo in Ead., La lente scura. Scritti di viaggio, a cura di L. Clerici, Milano, Adelphi, 2004, pp. 29-35. Cfr. L. Clerici, Apparizione e visione. Vita e opere di Anna Maria Ortese, Milano, Mondadori, 2002, p. 675. 214 305 dell’Anima, il cui nome già vale una poesia: una strada che direi oltremondana».215 Sono viaggi surreali, intimisti, interni nella memoria e nello spazio labirintico, che aprono verso l’esterno, insolito ambiente cittadino, verso l’ignoto, verso il misterioso leggendario o verso l’inconscio, abitato, come le centralissime dimore romane perlustrate, da sonnambule e da spiriti oltremondani, «mentre piazza Navona, di sotto, ondeggiava di folla».216 A caricare oniricamente tali racconti, molto simili fra loro, tanto da poter costituire un unico pentamero, per impianto condotto dall’io narrante-io sognante, per tematica e per ambientazione, concorre la grafica sempre curata da Bianconi, con la sola eccezione de La sonnambula sul diluvio illustrata da Dall’Aglio. L’atmosfera che esce dalla pagina è quella notturna del romanticismo nordico hoffmanniano, calato sulla città eterna, arcinota, eppur trasognata in un punto di vista nuovo, fornito dall’allora critico musicale del «Mondo». Un’utile chiave di lettura può essere costituita dal richiamo alla trilogia vigoliana degli anni Venti e Trenta, formata da La città dell’anima (Roma, Studio Editoriale Romano, 1923), da Canto fermo (Roma, Formiggini, 1931) e da Il silenzio creato (Roma, Novissima, 1934), da cui in particolare l’autore riprenderà la storia di Prosperina, per il numero della rivista dell’aprile 1957. Dal punto di vista critico, ritengo possa valere anche per queste più tarde prose d’appendice, quanto affermato da Bruno Nacci: «per comprendere pienamente il valore e l’eccezionalità della prosa di Vigolo, è bene ricordare un suo breve saggio Critica della ragione sognante […]. L’elemento di originalità della riflessione vigoliana consiste, partendo dall’equazione romantica secondo cui sogno e poesia hanno identiche radici in un territorio dello spirito dai confini incerti e pericolosi, nel definire la relazione tra l’io sognante e l’io della veglia».217 Proprio in questo sospeso dormiveglia si collocano i cinque racconti capitolini apparsi sulle «Vie d’Italia», dimenticati dagli spogli bibliografici,218 e confluiti nella raccolta Le notti romane (Milano, Bompiani, 1960). Con il 1958 scompaiono questi contributi narrativi, e Vigolo non collaborerà più col mensile. Nemmeno per commemorare il centenario 215 G. Vigolo, Costanza dalle belle mani, in «Le Vie d’Italia», anno LXIV, n. 6, giugno 1958, p. 786. Ivi, p. 787. 217 B. Nacci, Introduzione a G. Vigolo, La città dell’anima, Milano, Greco&Greco editori, 1994, p. 11. 218 Cfr. A. Frattini, Introduzione a Giorgio Vigolo, Milano, Marzorati, 1984. Qui di seguito forniamo dunque gli estremi per il reperimento dei contributi vigoliani nel mensile dell’associazione: G. Vigolo, Avventura a Campo di Fiori, in «Le Vie d’Italia», anno LXI, n. 12, dicembre 1955, pp. 1576-83; Id., Il guardacaccia, in ivi, anno LXII, n. 12, dicembre 1956, pp. 1561-4; Id., Il ratto di Prosperina, in ivi, anno LXIII, n. 4, aprile 1957, pp. 469-72; Id., La sonnambula sul diluvio, in ivi, n. 11, novembre 1957, pp. 1419-21; Id., Costanza dalle belle mani, art. supra cit. 216 306 della morte del tanto studiato Belli e la sua Roma, che Bianconi interpreta più alla luce del Vigolo belliano che del Vigolo hoffmanniano: «Se po’ ffregà Ppiazza-Navona mia / E dde San Pietro e dde Piazza-de-Spaggna. / Cuesta nun è una piazza, è una campaggna, / Un treato, una fiera, un’allegria», recitava la prima quartina del sonetto intitolato Piazza Navona, riportato da Mario Praz nell’omonimo articolo dell’agosto 1961.219 F. Bianconi disegna un’interminabile (anche sulla pagina) Piazza Navona, formicolante di vita e «stirata spazialmente», azzerando le prospettive, in G. Vigolo, Avventura a Campo di Fiori, in «Le Vie d’Italia», anno LXI, n. 12, dicembre 1955, pp. 1580-1. Già, perché a ricordare il Belli e a portare a spasso i lettori del periodico per le vie di una Roma, questa volta perfettamente (e magnificamente) reale, dalla fine degli anni Cinquanta sarà Mario Praz, i cui omologhi da Firenze e da Venezia in Corso Italia avevano, già dai tempi della Consociazione o dai primi mesi della ripresa, rispettivamente i nomi di Piero Bargellini e del succitato Diego Valeri. 5.7 CRITICA (E PROSA) D’ARTE Praz, Bargellini e Valeri costituiscono una triade straordinaria per il mensile, in un momento d’oro dell’editoria d’arte, come nota Mira in una relazione redazionale della fine degli anni Cinquanta.220 Tutti e tre assiduamente presenti, ad impreziosire la critica (e la prosa) d’arte del mensile, assieme al maestro giellino Lionello Venturi, che in questa sede ritorna sui suoi studi leonardeschi e fa il punto della situazione sulla pittura 219 M. Praz, Piazza Navona, in «Le Vie d’Italia», anno LXVII, n. 8, agosto 1961, p. 1032, ristampato in Id., I volti del tempo, Napoli, ESI, 1964. Dedicato invece al poeta romano è l’articolo sempre di Praz, La Roma del Belli, in ivi, anno LXIX, n. 12, dicembre 1963, pp. 1487-96. 220 G. Mira, Relazione delle «Vie d’Italia», post quem aprile 1957, ante quem gennaio 1963, Archivio Storico del Touring Club Italiano, p. 2. 307 contemporanea (da Picasso a Pollock, da Chagall a Klee),221 e ai due curatori delle rassegne d’arte: Licia Ragghianti Collobi, animatrice della rivista «seleARTE», e Franco Russoli, futuro sovrintendente a Brera e direttore per la Fabbri dell’opera in quindici volumi L’arte moderna.222 In questa folta schiera di nuovi collaboratori d’arte, l’apripista era stato senz’altro Piero Bargellini, attivo sin dal 1941 (l’anno seguente alla chiusura del «Frontespizio») sulle pagine della rivista della Consociazione e rientrato più prolifico che mai nella redazione di Corso Italia nel 1957, dopo una lunga assenza dovuta all’assolvimento dell’incarico di assessore delle Belle Arti di Firenze alle dipendenze del sindaco La Pira. Dei quasi venti articoli pubblicati sul mensile inutile precisare la preponderanza dell’argomento fiorentino, che in taluni casi si allarga all’area toscana.223 Ricordando la sua corposa produzione Lorenzo Del Zanna ha scritto: «dicendo che i libri di Bargellini son come tanti capitoli di una medesima opera, pensavo al titolo che essa dovrebbe avere: non c’è scelta; esso s’impone da sé: la città. E di città, in questo caso, ce ne può essere una sola: Firenze».224 Una Firenze complementare a quella pratoliniana, la Firenze di uno «scrittore negato», come l’ha definito Listri, perché troppo intento a divulgarla, a rivisitare la sua storia dell’arte come 221 L. Venturi, La luce di Leonardo, in «Le Vie d’Italia», anno LVIII, n. 4, aprile 1952, pp. 484-8 e Id., Pittura del nostro secolo, in ivi, anno LXIV, n. 2, febbraio 1958, pp. 167-72. 222 Dei due curatori delle rassegne di argomento artistico si ricordano altri articoli inerenti a restauri, mostre, musei e biennali: L. Ragghianti Collobi, Un restauro rivelatore: le porte d’oro del Battistero di Firenze, in ivi, anno LII, n. 12, dicembre 1946, pp. 928-33 e Ead., Il Magnifico e le arti, ossia il mondo di Lorenzo de’ Medici rievocato in una mostra d’arte a Palazzo Strozzi, in ivi, anno LV, n. 9, settembre 1949, pp. 953-60; mentre di F. Russoli, Il Museo Poldi-Pezzoli, in ivi, anno LVIII, n. 1, gennaio 1952, pp. 96-107; Id., Rembrandt e il ‘600 olandese (sulla mostra a Palazzo Reale di Milano), in ivi, ano LX, n. 4, aprile 1954, pp. 419-29; Id., Mediocre la XXVIII biennale veneziana, in ivi, anno LXII, n. 7, luglio 1956, pp. 835-42; Id., L’arte lombarda dai Visconti agli Sforza (su un’altra mostra a Palazzo Reale), in ivi, anno LXIV, n. 4, aprile 1958, pp. 423-34; Id., Una Biennale senza troppi compromessi, in ivi, n. 7, luglio 1958, pp. 909-16. 223 Eccone la ricapitolazione bibliografica: P. Bargellini, Il Mugnone, fiume senza poesia e senza pace, in ivi, anno XLII, n. 7, luglio 1941, pp. 770-81; Id., La chiesa del Piovano Arlotto, in ivi, anno XLIX, n. 5, maggio 1943, pp. 377-84; Id., Si è aperto il balcone più bello su Firenze, in ivi, anno LXIII, n. 3, marzo 1957, pp. 317-25; Id., Ponte a Santa Trinita, in ivi, n. 5, maggio 1957, pp. 627-37; Id., Andrea del Castagno, in ivi, n. 8, agosto 1957, pp. 984-92; Id., Romena, in ivi, anno LXIV, n. 3, marzo 1958, pp. 350-6; Id., I Tatti, in ivi, n. 6, giugno 1958, pp. 723-8; Id., Magia del presepio, in ivi, n. 12, dicembre 1958, pp. 1562-70; Id., Giotto autografo in Santa Croce, in ivi, anno LXV, n. 2, febbraio 1959, pp. 16979; Id., Cafaggiolo, la culla dei Medici, in ivi, n. 8, agosto 1959, pp. 1018-24; Id., Storie e leggende del lago Trasimeno, in ivi, anno LXVI, n. 1, gennaio 1960, pp. 62-70; Id., San Giovanni il più bel battistero, in ivi, n. 3, marzo 1960, pp. 282-95; Id., Piero della Francesca e i suoi affreschi di Arezzo, in ivi, n. 8, agosto 1960, pp. 988-1001; Id., Giotto e il Natale, in ivi, n. 12, dicembre 1960, pp. 1552-63; Id., Masaccio e i suoi affreschi nella Cappella Brancacci, in ivi, anno LXVII, n. 4, aprile 1961, pp. 422-35; Id., La basilica di Santa Croce a Firenze, in ivi, n. 10, ottobre 1961, pp. 1293-304 e Id., Il convento del Beato Angelico, in ivi, anno LXVIII, n. 2, febbraio 1962, pp. 156-67. 224 L. Del Zanna, Piero Bargellini, in Scrittori italiani. Piero Bargellini, Davide Lajolo, Mario Luzi, Michele Prisco, Leonardo Sciascia, Milano, Letture, 1982, p. 11. 308 una summa di storia spirituale culturale e sociale delle varie epoche: «I lettori dovevano poter capire anche le cose più difficili; farsi – grazie alla vivacità della descrizione – spettatori partecipi di un quadro storico vivo e animato. Papi, santi, poeti, briganti, condottieri, balzavano fuori da quelle pagine semplificati ma vivi e parlanti».225 La divulgazione dell’arte e del paesaggio toscano è sempre stata la priorità assoluta, tanto più negli scritti editi dal sodalizio, che pertanto sono completamente immuni dai credo politici via via abbracciati dal Nostro, dal fascismo alla Democrazia Cristiana. In questa sede, totalmente estraneo alla propaganda prima fascista e poi del proprio operato in qualità di assessore, concede soltanto una presentazione del Forte Belvedere che sovrasta Firenze, «sgombrato, ripulito, amorevolmente restaurato»226 proprio grazie al suo impulso (mai chiamato in causa), messo al servizio non delle idee politiche, bensì dell’amore per quella che Petrarca chiamava «perla di tutte le città». «Non c’è mai una pagina di Bargellini che vada al di sotto della dignità»,227 aveva decretato Geno Pampaloni. La sua prosa vivace, via via sempre più sciolta e naturale svela segreti e storie di architetture e pitture: quelle di Andrea del Castagno, di Giotto, di Piero della Francesca, del Beato Angelico e del Masaccio, cui fa eco sul fronte dell’arte veneta la penna di Diego Valeri. Circa i contributi pubblicati dal poeta e prosatore d’arte di Piove di Sacco va confermata la presenza, a detta di Mengaldo, di una «prosa che io direi “di sguardo” delle Fantasie veneziane».228 I tocchi di pennello dei maestri del paesaggismo veneto, dal Tiepolo al Tintoretto, dal Guardi al Longhi, si perdono nelle opere minori affinché «formino “ambiente” attorno alle maggiori e massime. La prosa è necessaria; anche e soprattutto come supporto della poesia».229 Carlo Tenuta ha parlato di un Valeri trino, è vero, e ci si può spingere anche oltre, a un Valeri quadrifronte. La fusione di quattro elementi sui suoi fogli è totale: prosa, poesia, pittura e paesaggio sono creati con la medesima tecnica tutta orientata alla visione e alla ricerca della luce e dei colori.230 Così le nuvole del Tiepolo sono «argentee, rosate, iridescenti; seriche, lanose, spumanti, 225 P. F. Listri, Tutto Bargellini: l’uomo, lo scrittore, il sindaco, Firenze, Nardini, 1989, p. 104. P. Bargellini, Si è aperto il balcone più bello su Firenze, art. cit., p. 325. Cfr. anche Id., Ama Firenze, Firenze, Edizioni dell’Istituto Professionale Leonardo da Vinci, 1961. 227 P. F. Listri, Tutto Bargellini: l’uomo, lo scrittore, il sindaco, cit., p. 111. 228 P. V. Mengaldo, La tradizione del Novecento, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, p. 46. 229 D. Valeri, Capolavori dei Musei Veneti esposti a Venezia, in «Le Vie d’Italia», anno LII, n. 7, luglio 1946, p. 513. 230 Cfr. C. Tenuta, Valeri uno e trino: sulla prosa di Diego Valeri, in «Studi novecenteschi», anno 2010, n. 2, pp. 323-38. 226 309 balenanti; diafane e corpose, traslucide, e quasi carnali; tali quali si vedono errare, tra giugno e ottobre, sulla distesa della laguna veneziana».231 Ogni aggiunta aggettivale è una ragionata e rassicurante pennellata, attenta alla musicalità del verso soggiacente la sua prosa, rivolta al Veneto e ai suoi artisti: pittori e letterati vengono evocati ripercorrendo «questa pianura bassa, dolcissima, che emerge dalla laguna di Venezia (un gradino appena sopra l’acqua)»,232 come nel caso dei paesaggi goldoniani. Eppure, dagli orizzonti di casa, anche per il mensile, Valeri esce eccome: compagno di studi di Filippo Sacchi, forse suo mediatore con l’ambiente milanese del Touring, del «Corriere» e del Bagutta, si allontana dalla consueta area veneta per ricordare l’amico Anselmo Bucci, pittore del Tour de France al seguito di Vergani e prima ancora collega del Nostro presso la scuola media di Monza, nonché illustratore della copertina della sua prima raccolta di versi Umana del 1915.233 Tra l’altro, tanto per chiudere il triangolo tra Corso Italia, Via Solferino e la nota trattoria di Via Bagutta, sia Bucci che Vergani sono collaboratori del periodico in questi anni di rinascita. Un ultimo aspetto del Valeri prosatore e dei suoi interessi letterari emerge infine da queste collaborazioni: il traduttore einaudiano de Il rosso e il nero non si sottrae dal mettere l’Italia in relazione allo sguardo dei viaggiatori letterati stranieri, fornendo una lettura odeporica del romanticismo letterario francese. In queste pagine, seguendo i criteri biblioteconomici del collezionista di viaggi in Italia, Angiolo Tursi, Chateaubriand, Madame De Staël, Stendhal, Gautier e Nerval sono interpreti del paesaggio italiano, che in Valeri, alla ricerca della luce e del colore in un testo come in un quadro, diviene squisitamente pittorico, tralasciando la filologia tout court.234 Su questa linea dell’odeporica francese 231 D. Valeri, Mostra del Tiepolo, in «Le Vie d’Italia», anno LVII, n. 7, luglio 1951, p. 826. D. Valeri, Paesaggi goldoniani: il canale di Brenta, in ivi, anno LXIII, n. 3, marzo 1957, p. 285. 233 D. Valeri, Anselmo Bucci, in ivi, anno LXVI, n. 7, luglio 1960, pp. 881-9, articolo corredato da quattro pagine in rotocalco riproducenti alcune opere del pittore tra cui il ritratto di Bacchelli e la copertina di Umana. L’articolo è pubblicato in concomitanza con la mostra postuma dedicata al pittore, ardentemente voluta dall’amico Vergani, anch’egli da poco scomparso, e portata quindi a compimento da baguttiani e corrieristi del Touring: Dino Buzzati, Aldo Carpi, Giuseppe Novello e Mario Vellani Marchi. Di questa si forniscono informazioni nel Notiziario del mese di giugno del 1960 alla pagina 802. Per ciò che concerne infine il pittore marchigiano trapiantato a Milano, si veda il suo contributo testuale alla rivista con la stesura di un ritratto paesaggistico delle Marche, in ivi, anno LVIII, n. 11, novembre 1952, pp. 1453-63. 234 Cfr. D. Valeri, Cinquantamila «Viaggi in Italia», in ivi, anno LXIV, n. 7, luglio 1958, pp. 893-98 e Id., Questa l’Italia dei romantici francesi, in ivi, anno LXV, n. 1, gennaio 1959, pp. 32-41. Per completezza bibliografica degli scritti di Valeri editi dal mensile aggiungo: Id., Gloria della scultura pisana, in ivi, anno LII, n. 12, dicembre 1946, pp. 903-10; Id., Lorenzo Lotto a Venezia, in ivi, anno LIX, n. 8, agosto 1953, pp. 1001-11; Id., Un pittore ottocentesco Alberto Parafava, in ivi, anno LXVI, n. 6, giugno 1960, pp. 734-9 e Id., La Chiesa della Salute a Venezia, in ivi, anno LXVIII, n. 1, gennaio 1962, pp. 10-6. 232 310 in Italia, nella fattispecie stendhaliana, indaga, con una sensibilità romantica coniugata all’umanesimo artistico, anche Pietro Paolo Trompeo, francesista all’Università La Sapienza e collaboratore di riviste e quotidiani, tra i quali il solito «Corriere», «La Stampa», «La Nuova Antologia», «Letteratura» e «Primato».235 Su un piano diverso, ossia più cronachistico e di attualità, Lorenzo Bocchi, corrispondente da Parigi del «Corriere» dal 1956 al 1985, termina il discorso sui francesi in Italia, non solo scrittori viaggiatori, ma anche vacanzieri, e sul rovescio della medaglia degli italiani immigrati in Francia.236 Ritornando ad un livello di critica d’arte accademica manifestata visivamente da Trompeo e ancora di più da Valeri, per quel che concerne gli artisti francesi in viaggio in Italia, soltanto un bibliofilo ed esteta come Mario Praz osa battere sentieri defilatissimi che lo conducono al miniaturista e ritrattista Jean-Baptiste Isabey, viaggiatore in Italia nella prima metà dell’Ottocento. L’occasione del ritrovamento della raccolta di vedute italiane dell’Isabey è motivo di un articolo di Praz e non si pone appunto come caso isolato di critica e analisi degli studi sul viaggio in Italia compiuto dagli artisti stranieri.237 L’anglista Praz, come già avevano cominciato a far nell’immediato dopoguerra da un lato Enrico Barfucci, direttore dell’«Illustrazione toscana», occupato a trattare l’odeporica inglese a Firenze,238 e dall’altro i romanisti Giuseppe Ceccarelli, alias Ceccarius, e Livio Jannattoni,239 non può esimersi 235 P. P. Trompeo, Stendhal sul Lago di Como, in ivi, anno LIX, n. 11, novembre 1953, pp. 1429-36. Sullo scrittore francese di Trompeo era già apparso nel 1924, presso l’editore romano Leonardo da Vinci, lo studio Nell’Italia romantica sulle orme di Stendhal, mentre successivo è il saggio Incontri di Stendhal (Napoli, ESI, 1963). 236 L. Bocchi, Italiani in Francia, in «Le Vie d’Italia», anno LV, n. 6, giugno 1949, pp. 653-7; Id., Francesi in vacanza, in ivi, anno LXII, n. 11, novembre 1956, pp. 1397-1400; Id., Ristoranti italiani a Parigi, in ivi, anno LXIII, n. 4, aprile 1957, pp. 443-8; Id., Si svolgono in Italia i romanzi francesi, in ivi, n. 8, agosto 1957, pp. 1004-7; Id., L’Italia a Parigi è sempre di moda, in ivi, anno LXIV, n. 2, febbraio 1958, pp. 233-9. 237 M. Praz, Jean-Baptiste Isabey in Italia, in ivi, anno LXIV, n. 12, dicembre 1958, pp. 1593-600, ristampato con il titolo Il viaggio in Italia di Jean-Baptiste Isabey in Id., Bellezza e bizzarria, Milano, Il Saggiatore, 1960 e in Id., Gusto neoclassico, Milano, Rizzoli, 19743, così come riportato in V. e M. Gabrieli (a cura di), Bibliografia degli scritti di Mario Praz, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1997. 238 Cfr. E. Barfucci, Poeti inglesi a Firenze, in «Le Vie d’Italia», anno LIV, n. 2, febbraio 1948, pp. 1417; Id., Il viaggio di J. Keats in Italia, in ivi, anno LVII, n. 5, maggio 1951, pp. 584-7; Id., Case e canti di poeti stranieri a Firenze, in ivi, anno LIX, n. 3, marzo 1953, pp. 392-9. 239 Sia Jannattoni che Ceccarius, appartenenti al gruppo dei romanisti (che annovera giornalisti, poeti, scrittori romani, quali Augusto Jandolo e Ettore Petrolini), pubblicano, come Praz, una serie di articoli di argomento odeporico romano e al contempo letterario: vd. L. Jannattoni, Impressioni italiane e romane di Joseph Forsyth, in ivi, anno LVII, n. 2, febbraio 1951, p. 224; Id., I giornali di viaggio di G. G. Belli, in ivi, n. 11, novembre 1951, pp. 1354-9; Id., Trilussa, ricordo di un poeta, in ivi, anno LVIII, n. 1, gennaio 1952, pp. 115-21; Id., Nobiltà di Porta Portese, in ivi, anno LXIII, n. 2, febbraio 1957, pp. 198-202; Id., Troppi inquilini al Collegio Romano, in ivi, anno LXIV, n. 8, agosto 1958, pp. 1022-9; Id., Ottobrate 311 dall’affrontare gli autori prediletti della sua ricerca letteraria, Shakespeare incluso,240 alle prese con il classico Italian journey, il cui fulcro è spesso costituito dall’Urbe, città natale dello stesso Praz. Qui, a Roma, passo dopo passo, Praz legge il libro cittadino che gli si dispiega davanti: ne conosce perfettamente il linguaggio, che poi è lo stesso in tutto il mondo, da Copenhagen a Parigi, da Firenze a Roma. La grammatica, il lessico e la sintassi delle travi, delle colonne, delle piantine, delle fontane, dei palazzi, sono interpretati da quel maestro di educazione visiva che è Praz, sensibilissimo al richiamo dei luoghi animati dalla vita dei poeti e degli artisti, specialmente anglofoni, passati di lì prima di lui, ossia Hawthorne, Faulkner e gli amati inglesi Keats, Byron e Ruskin.241 A questo punto, a cavallo tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, Praz pubblicherà sulle «Vie d’Italia» un ciclo di passeggiate romane, da Via Veneto a Piazza di Spagna, passando per il Corso, per così dire «radiografiche», come le ha definite lo stesso autore, mettendo in evidenza tutte le sue capacità visive, analitiche e critiche: «La comparsa di quella candida mole in fondo al Corso ha avuto l’effetto di concludere un filatissimo e bel discorso con un “inconfondibile” solecismo, un errore madornale di sintassi. Ci sono molti altri errori di sintassi nel Corso, che si scopron via via nella sua condizione attuale, ma quello è il supremo, l’imperdonabile […] Perché se il monumento a Vittorio Emanuele II è simbolo dell’unità d’Italia perché mai inserisce una nota così discorde, così stridente, perché mai termina in una colossale stecca quell’a solo che filava diritto come una fucilata?».242 fuori porta, in ivi, n. 11, novembre 1958, pp. 1433-40. Per Ceccarius vd.: Fasti ed episodi delle celebrazioni giubilari attraverso i secoli, in ivi, anno LV, n. 10, ottobre 1949, pp. 1081-7 e Id., Tradizione dell’osteria trasteverina, con un disegno in apertura di Trilussa, pubblicato quattro mesi prima della sua morte, in ivi, anno LVI, n. 8, agosto 1950, pp. 917-23. 240 Cfr. l’articolo d’occasione per il quattrocentenario della nascita del drammaturgo inglese, in cui Praz ricostruisce un suo ipotetico viaggio in Italia, in Shakespeare italiano, in ivi, anno LXX, n. 6, giugno 1964, pp. 662-71. 241 Cfr. M. Praz, Roma nell’Ottocento, in ivi, anno LXIII, n. 5, maggio 1957, pp. 605-12, ristampato col titolo Roma dell’Ottocento in fotografie in Id., Bellezza e bizzarria Saggi scelti, a cura di A. Cane, Milano, Mondadori, 2002; Id., Turisti anglosassoni nell’Italia dell’Ottocento, in «Le Vie d’Italia», n. 10, ottobre 1957, pp. 1277-87; Id., Artisti stranieri nella Roma del Settecento, in ivi, anno LXV, n. 7, luglio 1959, pp. 844-55. 242 M. Praz, Il Corso di Roma, in ivi, anno LXVIII, n. 3, marzo 1962, p. 287. Ristampato in Id., I volti del tempo, cit.; in Id., Panopticon romano, Milano-Napoli, Ricciardi, 1967 e in Id., Bellezza e bizzarria. Saggi scelti, cit., pp. 1532-40. 312 A Piazza del Popolo, citando l’ineffabilità di «lie of the land (della giacitura della terra)», elaborata da Vernon Lee, Mario Praz con la sua arte scrittoria riesce precisamente a sconfessare quell’impossibilità descrittiva: «Un aggettivo, una metafora, possono evocare un intero effetto atmosferico, dipingerci un tramonto o una notte stellata. Ma le ben più sottili e individuali relazioni di linee visibili sfidano l’espressione: nessun poeta o prosatore può darvi l’inclinazione di un tetto, l’ondulazione di un campo, la curva d’una strada. Eppure son questi gli elementi d’un paesaggio che costituiscono la sua individualità e toccano più profondamente il nostro sentire».243 Ecco, a trasmettere attraverso le parole la specificità di un luogo l’anglista riesce perfettamente, e a passeggio tra le vie più note di Roma, assieme a lui, ci siamo tutti noi lettori.244 Diversamente, tra le vie dalla toponomastica più ardita, dacché di derivazione antica e popolare che attinge a scrofe e babuini, spetta a Silvio Negro portarci.245 Del vaticanista per antonomasia del «Corriere», lo stesso Praz sul mensile aveva già apprezzato l’Album romano (Roma, editore Casini, 1956) per le sue illustrazioni e fotografie storiche: «Una documentazione fotografica della fisionomia di Roma dall’epoca del Belli a quella di D’Annunzio, quale presenta Silvio Negro 243 M. Praz, Ritratto di Piazza del Popolo, in «Le Vie d’Italia», anno LXIX, n. 8, agosto 1963, p. 946. Ripubblicato con il titolo di Piazza del Popolo, in Id., I volti del tempo, cit.; in Id., Panopticon romano, cit. e in Id., Bellezza e bizzarria. Saggi scelti, cit., pp. 1555-66. 244 Segnalo le altre «passeggiate romane» pubblicate in anteprima sul mensile del Touring: M. Praz, Fontane di Roma, in «Le Vie d’Italia», anno LXV, n. 9, settembre 1959, pp. 1152-60, riedito in versione francese sul numero del gennaio 1960 della rivista «L’œil» e in Id., Bellezza e bizzarria, cit.; Id., Radiografia di Via Veneto, in «Le Vie d’Italia», anno LXVIII, n. 8, agosto 1962, pp. 940-51, ristampato col titolo di Via Veneto in Id., I volti del tempo, cit., in Id., Panopticon italiano, cit., e in Bellezza e bizzarria. Saggi scelti, cit., pp. 1588-1601; Id., Piazza di Spagna a Roma, in «Le Vie d’Italia», n. 12, dicembre 1962, pp. 1442-53, tradotto in francese per il numero del gennaio 1963 di «L’œil» e ripubblicato in Id., I volti del tempo, cit., in Id., Panopticon italiano, cit., e in Bellezza e bizzarria. Saggi scelti, cit., pp. 1541-54. Per completezza trascrivo le coordinate dei rimanenti interventi di Praz sul periodico in analisi, tutti registrati in V. e M. Gabrieli (a cura di), Bibliografia degli scritti di Mario Praz, cit.: M. Praz, Sculture bizzarre del Manierismo, in «Le Vie d’Italia», anno LXI, n. 12, dicembre 1955, pp. 1561-8, tradotto sulla rivista «Art News Annual», anno XXVI, 1957, col titolo Bizzarre Sculpture, pp. 6885 e ristampato in Id., Bellezza e bizzarria, cit.; Id., Villa Palagonia, in «Le Vie d’Italia», anno LXII, n. 6, giugno 1956, pp. 713-20, riedito in Id., Bellezza e bizzarria, cit.; Id., Sculture bizzarre nella Scuola di S. Rocco a Venezia, in «Le Vie d’Italia», anno LXIII, n. 2, febbraio 1957, pp. 177-84; Id., La grazia neoclassica lombarda, in ivi, anno LXVII, n. 5, maggio 1961, pp. 618-26 e Id., Scoperta della Sardegna, in ivi, anno LXII, n. 4, aprile 1966, pp. 390-401, tratto da G. Dessì (a cura di), Scoperta della Sardegna. Antologia di testi di autori italiani e stranieri, Milano, Il polifilo, 1965; e infine M. Praz, L’arte della cucina, in «Le Vie d’Italia», anno LXIII, n. 5, maggio 1967, pp. 557-66. 245 S. Negro, Ingenui ma belli i nomi della vecchia Roma, in ivi, anno LXIV, n. 7, luglio 1958, pp. 86980. Per un suo profilo si veda il già citato volume della Chemello, Filippo Sacchi e Silvio Negro scrittorigiornalisti vicentini del Novecento, e E. Marcucci, Giornalisti grandi firme, cit., pp. 365-8. 313 nell’Album romano […], offre materia di meditazione ancor più profonda di quanta non ne possano offrire, in natura, le rovine dell’Acquedotto di Claudio che figurano, quasi a ribadire una nota dominante, sulla fascetta e nell’ultima tavola del bel volume. Sulla poesia e la retorica delle rovine esiste invero tutta una letteratura, dai primi accenni in Du Bellay, Montaigne e John Webster (“I do love these ancient ruins…”) fino alla piena orchestra romantica con Volney, Byron e “tutti quanti”, ma il tema oggi si è spostato dai pensieri suggeriti dalla sopravvivenza delle rovine a quelli, ben più assillanti perché richiedono all’uomo un intervento attivo anziché un languido abbandono, sulla M. Del Corno in L. Incoronato, Scavi alla villa romana, in «Le Vie d’Italia», anno LVII, n. 7, luglio 1951, p. 806. convivenza con le rovine».246 L’osservazione del Praz è acuta e testimonia il passaggio da una concezione romantica dell’archeologia a una più moderna della conservazione e del restauro, sebbene ometta la mistica imperiale dell’antica Roma celebrata dal ventennio fascista, che aveva pure sul mensile catalizzato un notevole interesse, orientato a fini propagandistici. Con la ripresa si assiste ad una sostanziale diminuzione quantitativa dei pezzi dedicati all’arte antica e agli aggiornamenti sulle scoperte e gli scavi in corso, mentre prevalgono, come abbiamo visto, contributi sui restauri post-bellici, sull’arte rinascimentale, altra epoca di rinascita per la nostra penisola, e sull’arte moderna e contemporanea. Tra i nomi degli archeologi supra citati Maiuri e Bartoccini, ancora presenti sulle pagine del mensile, di una certa curiosità sono i contributi letterari anche in questo campo scientifico, che slitta quindi verso la narrativizzazione odeporica, come nel caso già incontrato dei turisti a Pompei raccontati da Rea. Luigi Incoronato e Giorgio Bocca si prestano alla divulgazione dei rinvenimenti romani dalle rispettive aree di origine: il napoletano e il cuneese. Il primo, legato agli altri scrittori partenopei, Rea, Prisco e Pomilio, coi quali fonderà nel ‘60 la rivista «Le ragioni narrative», racconta la visita agli scavi di Varano, riportati alla luce dall’archeologo Libero d’Orsi, preside della scuola ove Incoronato ha insegnato. Una visita che più che per gli scavi si fa interessante per l’accompagnatore di 246 M. Praz, Roma nell’Ottocento, art. cit., p. 605. 314 Incoronato, ossia Giorgio Bassani, attento e appassionato visitatore, e per la presenza delle illustrazioni del designer Marco Del Corno: non macchiette bozzettistiche o caricaturali, bensì intensi schizzi delle sculture rinvenute. Giorgio Bocca si distingue invece per il taglio maggiormente giornalistico del contributo, volto alla divulgazione della scoperta di Augusta Bagiennorum nel Piemonte meridionale tra il Po e il Tanaro.247 5.8 ULTIME RIFLESSIONI ODEPORICHE A prevalere nell’approccio all’epoca antica, di argomento prevalentemente romano, è soprattutto la rievocazione e l’analisi dell’odeporica greco-latina. La serie di articoli, cui facciamo riferimento, è firmata da Arturo Brambilla, classicista, collaboratore di Scevola Mariotti per la compilazione del noto dizionario della lingua latina, e, soprattutto, miglior amico di Dino Buzzati sin dai tempi del liceo Parini a Milano, cooptato in seguito nel giro dei collaboratori di Corso Italia. Entrambi forniscono acuti contributi di riflessione sulla condizione umana del viaggio che ha segnato secoli e secoli, e che nell’Italia degli anni Cinquanta si trova in un momento di nuovo mutamento del costume, marcato dall’affermazione della spensierata e oziosa vacanza in utilitaria, al mare o in montagna, in cerca di nuove mete turistiche da lanciare come moda. In questo clima tendente alla deturpazione del turismo stesso, oltre che del territorio atto ad ospitarlo, la risposta redazionale del Touring rimanda all’odeporica secolare, dai viaggi degli antichi commercianti e delegati ai nobili intellettuali romantici inglesi, francesi e tedeschi: mai come in questi anni si concentrano così tanti articoli su letterati viaggiatori. Quello che il sodalizio continua a rivendicare, attraverso i suoi collaboratori, è il viaggio conoscitivo, accrescitivo del sapere e dell’individuo stesso: 247 G. Bocca, Riaffiora una città romana tra il Po e il Tanaro, in «Le Vie d’Italia», anno LXIII, n. 6, giugno 1957, pp. 765-72. Oltre a questo, sono pubblicati due articoli, rispettivamente cronachistici e descrittivi: Id., La valli alpine del cuneese, in ivi, anno LXII, n. 11, novembre 1956, pp. 1380-90 e Id., La Romea non può attendere, in ivi, anno LXIII, n. 12, dicembre 1957, pp. 1527-34. I contatti con il sodalizio continuano almeno fino al 1981 quando è pubblicato il volume della collana «Attraverso l’Europa» dedicato alla Iugoslavia con introduzione del giornalista cuneese e fotografie di Gianni Berengo Gardin (Milano, TCI, 1981). 315 «il turismo è cosa del tutto moderna; nel suo significato migliore, che è poi l’unico che vale, vuole essere un mezzo non per addormentare la coscienza, come voleva l’amico di Orazio, ma per destarla; una via non per dimenticare, ma per imparare. Riprendendo la sentenza oraziana, si potrebbe dire che il turista, mutando cielo, non vuole mutare l’animo, ma arricchirlo. Se poi così non fosse, se, come pure avviene, si cadesse in certe forme degeneri di irrequietezza frivola o morbosa, allora gli ammonimenti degli antichi saggi sarebbero attuali oggi come qualche millennio fa».248 Dopo il Brambilla, più lontano si spinge l’amico Buzzati nell’articolo Grandezza e miseria dei viaggi, espressione di tutto il suo pessimismo nutrito nei confronti dell’umana specie irrispettosa della sacralità della Natura (leopardiana) e dei suoi limiti invalicabili che devono restare tali, avvolti dal mistero: «Per una delle fatali contraddizioni che sembrano aspettare al varco l’umanità allo scopo di ricordare la sua sostanziale miseria, quel giorno tutti gli immensi sforzi compiuti per rendere agevoli i viaggi e farne una specie di paradiso distruggeranno di colpo. Perché il primo fascino del viaggio è lontananza e mistero. Lontananza e mistero non ci saranno più e noi ci guarderemo intorno, desolati, come il bambino che ha voluto vedere bene come era fatto dentro il trenino e adesso si trova in mano soltanto un mucchietto informe di rotelle e di pezzi di latta».249 Quando il bellunese, vicedirettore della «Domenica del Corriere», parla di viaggi e di barriere da non superare, pensa alle montagne, protagoniste dei suoi sogni e di tutta la sua opera, sia pittorica che narrativa.250 Una passione condivisa sia nella vita che sulle pagine di questo mensile con il Brambilla, con Fulvio Campiotti, collega del «Corriere», con Giuseppe Mazzotti, consigliere trevigiano del Touring, e con Gabriele Franceschini, 248 A. Brambilla, Le idee degli antichi sui viaggi e la navigazione, in «Le Vie d’Italia», anno LIII, n. 6, giugno 1947, p. 516. Cfr. anche Id., Alberghi e ospitalità nel mondo antico, in ivi, anno LVI, n. 1, gennaio 1950, pp. 73-9 e Id., Il gusto della campagna e i romani, in ivi, n. 9, settembre 1950, pp. 103745. 249 D. Buzzati, Grandezza e miseria dei viaggi, in ivi, anno LIV, gennaio 1948, pp. 43-4. 250 Cfr. i pensieri datati 1° settembre 1941, annotati da Buzzati in una delle sue agende e riportati da G. Ioli in Dino Buzzati, Milano, Mursia, 1988, p. 8: «Tutte le sante notti dell’anno, da venti anni a questa parte venti anni al minimo, mi sognavo le montagne. Naturalmente non mi davano soddisfazione, queste montagne, come succede sempre quando in sonno si incontrano le cose amate». 316 la sua guida alpina prediletta.251 È alle domestiche Dolomiti252 di Bàrnabo delle montagne che corre subito il pensiero di Buzzati per denunciare il decadimento della Natura sotto gli assalti dell’uomo, per poi giungere a una radicale e risolutiva conclusione, negazione del turismo stesso: «Pensiamo a che povera cosa sarà ridotto il mondo se andremo avanti per molti anni di questo passo. Sembrano bestemmie, lo so. Eppure bisognerebbe con fermezza impedire che il percorrere la superficie terrestre diventi troppo facile».253 Idee forti, quasi blasfeme, per il primo contributo del corrierista nel mensile turistico per eccellenza, tanto che per la prima volta è costretto ad intervenire il direttore Mira con una postilla, che si richiama all’anima positivista ottocentesca dei fondatori del Touring: «Mio caro Buzzati, ti ringrazio per l’articolo pieno di sentimento e di eleganza, col quale hai gentilmente accettato l’invito a collaborare alle Vie d’Italia. E spero che non mi vorrai male se ti confesso che in qualche punto la tua requisitoria contro gli assalti troppo indiscreti dell’umana curiosità e la tua difesa dei superstiti misteri del globo terracqueo hanno scombussolato un po’ la mia mentalità di uomo nato alla fine dell’Ottocento, quando i fanciulli leggevano con rapimento i libri di Giulio Verne […]. So bene che in fondo siamo d’accordo: e la tua parola, sebbene talvolta suoni paradossale, ha risvegliato ancora nel mio vecchio cuore la ingenua e religiosa poesia che nel fanciullo suscitavano il cielo stellato e il grande silenzio della foresta. Anche di questo ti ringrazia il tuo affezionato amico».254 Apprezzate, sebbene totalmente anti-progressisite, o meglio talmente progressiste, nel senso di un ecologismo radicale, da parere reazionarie, le idee di Buzzati continueranno 251 Cfr. A. Brambilla, Escursionismo di aprile, in ivi, anno LIX, n. 4, aprile 1953, pp. 457-62; F. Campiotti, Tipi ameni e fatti curiosi nella vita delle guide alpine, in ivi, anno LXI, n. 9, settembre 1955, pp. 1143-8; Id., Una montagna bellissima e terribile: Lyskamm cresta pericolosa, in ivi, anno LXII, n. 8, agosto 1956, pp. 994-8; Id., In montagna si deve andare per vivere, in ivi, anno LXXI, n. 4, aprile 1965, pp. 449-58; Id., Un secolo fa si scalava il Cervino, in ivi, n. 6, giugno 1965, pp. 721-31 e Id., Sugli sci d’estate, in ivi, n. 8, agosto 1965, pp. 993-1003; G. Mazzotti, Dal Passo della Mauria al passo del Predil, in ivi, anno LVIII, n. 5, maggio 1952, pp. 593-603 e Id., G. Franceschini, Un’ascensione solitaria, in ivi, anno LVIII, n. 9, settembre 1952, pp. 1164-6. 252 A loro Buzzati dedica l’articolo Le Dolomiti non sono vecchie, in ivi, anno LIV, n. 7, luglio 1948, pp. 620-4; mentre si consacrerà alle ville venete in La rinascita della Cordellina, in ivi, anno LXIII, n. 5, maggio 1957, pp. 561-70 e Id., La vita in villa, in ivi, anno LXIV, n. 3, marzo 1958, pp. 310-20. 253 D. Buzzati, Grandezza e miseria dei viaggi, art. cit., p. 46. 254 G. M., Postilla del direttore, in ivi, p. 48. 317 a trovare spazio in questa rivista, con il solito tono sferzante e anticonformista: «innumerevoli le cose che dimostrano la stupidità e la follia dell’uomo d’oggi. Però la prova più sorprendente e più grandiosa consiste nello sport dello sci».255 La conclusione vede in questo caso finalmente uno spiraglio luminoso: «Si direbbe un Amore sacrale per la montagna che annulli l’uomo, eppure come è bello. Questa immensa stupidaggine è in fondo una delle poche cose buone che l’umanità moderna abbia inventato».256 Dunque non tutto è vano, o stupido o dannoso: il misoneismo apre delle fessure e il pessimismo riguardo ai tanto vituperati viaggi può forse trovare un po’ di sollievo. Certamente il sollievo si ritrova nelle pagine ariose e scattanti di un altro grande giornalista di Via Solferino, che, al pari di un Enrico Emanuelli sognante un mondo senza frontiere come il Benelux,257 vorrebbe vedere abbattuti tutti i limiti che l’uomo stesso si crea per ostacolare il suo viaggiare, tramite guerre, come quella coreana, cortine di ferro e checkpoints. Orio Vergani, il primo fotoreporter italiano, nonostante tutto, crederà sempre nei viaggi, nella possibilità infinita di scoprire il mondo, che non è mai troppo piccolo, in barba alla negazione di ogni esplorazione, elevata a manifesto del misero viaggiatore e antropologo contemporaneo nei Tristes Tropiques di Lévi-Strauss (pubblicizzati sul mensile nel dicembre 1960 per l’uscita dell’edizione italiana): «Perché non credere più nei viaggi, anche se il mondo è, in modo così evidente, inquieto e per tanti lati chiuso e insanguinato? […] È vero: quanto più la velocità aveva reso piccolo il mondo, tanto più sorgevano numerosi i cartelli che dicevano: “Alt”. […] Nato “giornalista di colore”, ai bei tempi in cui ci davano due colonne per descrivere il quieto dondolio di una palma o il rombo di una cascata africana o il brusio di un mercato indiano, certo, voglio restare ottimista. Mi ripeterò un vecchio consiglio: il mondo diventa più grande quanto più lentamente lo assaporiamo».258 E Orio Vergani è stato davvero un buongustaio, in grado di sorprendersi anche del più piccolo e insignificante ingrediente in una ricetta il cui esito non è mai lo stesso, come 255 D. Buzzati, Assurdità dello sci, in ivi, anno LIX, n. 2, febbraio 1953, p. 197. Ivi, p. 200. 257 Il pluripremiato inviato speciale della «Stampa» lascia un unico contributo al mensile, che ripercorre le sue avventure alle dogane in varie parti del mondo: E. Emanuelli, Lei ha qualcosa da denunciare?, in «Le Vie d’Italia», anno LXII, n. 7, luglio 1956, pp. 831-4. 258 O. Vergani, Mondo grande, mondo piccolo, in ivi, anno LXIII, n. 1, gennaio 1957, p. 7. 256 318 ha detto Ferruccio De Bortoli: «La sua lezione sta nel meravigliarsi della vita e nello stupirsi degli avvenimenti, senza mai precipitare nello scetticismo e nel distacco di chi “sa già” come finiscono le cose e, invece, finisce solo per polemizzare con le notizie e con la storia».259 «Alla vigilia dei giorni in cui l’Italia stava per iniziare la guerra per l’Impero, la fatalissima guerra che doveva sconvolgere – e sappiamo con quali risultati per noi – l’ordine del mondo della nostra giovinezza, mi dissero: “Fai un viaggio, cerca qualche itinerario sconosciuto, porta i lettori su qualche strada ignota del mondo…” […] proprio di quei giorni andai in Piazza del Duomo e dissi a un brumista: “Col suo cavallo, se la sente di portarmi, a piccole tappe, a Venezia?” […] Al trotto del brum, ora lo confesso, non invidiai più la Pechino-Parigi di Barzini che aveva incantato la mia infanzia».260 Già, perché la penna più veloce del giornalismo italiano è un viaggiatore che tiene a rivendicare i tempi lenti del viaggio, assolutamente necessari alla riscoperta di ciò che, per superficialità, si dà per scontato. Per esempio, «la Gardesana occidentale è certamente – con quella che da Sorrento porta a Positano e a Ravello – la più bella strada del mondo; ma di un mondo che ha fretta e che conta nervosamente i suoi minuti di viaggio sul quadrante del contachilometri. Invece con ogni probabilità, era eccessiva anche la velocità delle “carrozze della posta” e dei cavalli con i quali su queste rive viaggiarono Goethe e Heine […]; la velocità dovrebbe essere ancora dunque quella del passo o del remo».261 In questo senso, vicino allo slow foot linatiano, una delle più calzanti definizioni affibbiate a Vergani l’ha data Raffaele Carrieri ai tempi del Diario dell’Impero, chiamandolo «pedone viaggiatore».262 Sempre attento al dettaglio rivelatore piuttosto che alla grandiosità degli avvenimenti e dell’insieme di vedute schiaccianti il dato umano, Vergani stupisce per il connubio tra precisione d’osservazione e rapidità d’elaborazione verbale. Non v’è giornalista in Via Solferino, 259 F. Battistini, Orio Vergani, uno scrittore in redazione, in «Corriere della Sera», 2 febbraio 2001, p. 50. O. Vergani, Mondo grande, mondo piccolo, art. cit., p. 11. 261 O. Vergani, Paesaggio del Garda, in «Le Vie d’Italia», anno LVII, n. 5, maggio 1951, pp. 549-50. 262 R. Carrieri, Sotto i cieli d’Africa. Vergani pedone e viaggiatore, in «L’illustrazione italiana», a. LXIII, n. 2, 12 gennaio 1936, p. 72. 260 319 da Montanelli ad Afeltra,263 che non ricordi la sua proverbiale velocità e naturalezza nel comporre gli articoli, una qualità rara che al redattore Camusso non sfugge sin dal suo primo contributo giunto in Corso Italia: «l’autore è Orio Vergani, l’unico fra i molti interpellati capaci di una pronta consegna».264 Da allora, dal 1951, e fino alla morte, sopraggiunta improvvisamente nel 1960, Corso Italia se lo tiene ben stretto per ogni occasione, per ogni editoriale, dalla gastronomia pasquale ai ceramisti bassanesi, dai ricordi autobiografici alla cronaca ciclistica, di cui rimarrà sempre un imbattibile veterano.265 Memorabili restano le sue cronache del Giro d’Italia con divagazioni gastronomiche e culturali,266 come se lo sport non fosse fine a se stesso e al dannato cronometro; per questo, i cicloturisti del Touring non possono che apprezzare con vivo entusiasmo. «Se sono andato a Recanati – cinque minuti in casa di Leopardi… – lo devo pure al Giro. Arrossisco; è merito del Giro se le prime volte ho visto Lucca, se ho visto Paestum, se ho visto Volterra, e San Gimignano, e Montecassino. Un’Italia scoperta al galoppo, incalzato dai clacson della corsa»,267 costretto a non poter andare al proprio ritmo pedestre, ma fortunatamente con in borsa una bibliotechina costituita dalle carte e dai volumi delle guide del Touring, studiati la sera prima di ogni tappa, per non perdersi nulla di questa penisola che per oltre un trentennio non ha smesso di percorrere e di scoprire. «Più che un suiveur sono diventato, con gli anni, il Cicerone, la “guida autorizzata” del Giro, e di biciclette e di ciclisti m’intendo sempre di meno»,268 confida un Vergani al suo tramonto (repentino come il suo scrivere) e al tramonto di tutte quelle «antiche “società” che allevavano i vivai del dilettantismo paesano».269 Traccia il quadro di un’Italia che vuol soldi facili, per cui le fatiche del ciclismo non attraggono più i giovani, i quali nemmeno per andare al lavoro usano la bicicletta, né tanto meno 263 Cfr. I. Montanelli, Ricordi di Orio Vergani, inviato molto speciale, in «Corriere della Sera», 16 marzo 1999, p. 41 e G. Afeltra, Vergani e Buzzati velocisti di razza, in ivi, 4 luglio 1999, p. 33. 264 Lettera redazionale di L. Camusso destinata a G. Mira del 20 aprile 1951, Archivio Storico del Touring Club Italiano. 265 Cfr. O. Vergani, Ricordo dell’«Italian boy», in «Le Vie d’Italia», anno LIX, n. 1, gennaio 1953, pp. 49-52; Id., Periplo della gastronomia pasquale, in ivi, n. 4, aprile 1953, pp. 484-8; Id., Primi passi del vecchio «suiveur», in ivi, anno LX, n. 1, gennaio 1954, pp. 11-7; Id., Desideri di un turista per il nuovo anno, in ivi, anno LXIV, n. 1, gennaio 1958, pp. 5-9; Id., Quel tale lunedì di Pasqua, in ivi, n. 4, aprile 1958, pp. 445-8; Id., L’arcipelago della ceramica, in ivi, anno LXV, n. 4, aprile 1959, pp. 510-5. 266 Cfr. G. Afeltra, Bicicletta e cucina tandem da campioni, in «Corriere della Sera», 27 luglio 2003, p. 25. 267 O. Vergani, L’Italia scoperta al seguito del «Giro», in «Le Vie d’Italia», anno LXIII, n. 6, giugno 1957, p. 718. 268 Ivi, p. 720. 269 O. Vergani, Un’annata di ciclismo, in «Le Vie d’Italia», anno LXVI, n. 1, gennaio 1960, p. 76. 320 pensano di usarla per andar a fare un tour. All’alba degli anni Sessanta non sono più di moda la fatica, il senso della conquista fisica e gnoseologica di un luogo. Il Touring e «Le Vie d’Italia» accusano il colpo, Vergani e la sua generazione scompaiono prima. Luigi Testori, progettista grafico dei maggiori periodici fino agli anni Ottanta, comincia la sua carriera al Touring in qualità di cartografo, ove ricopre anche le vesti di disegnatore dell’articolo di O. Vergani, L’Italia scoperta al seguito del «Giro», in «Le Vie d’Italia», anno LXIII, n. 6, giugno 1957, p. 716. 321 6. GLI ANNI SESSANTA. VERSO LA FINE (1959-1967) 6.1 FARE «UNA GRANDE E BELLA RIVISTA DEL TURISMO ITALIANO» (?) Leonardo Di Mauro nel suo saggio dedicato ai baedeker del Bel Paese, contenuto nella Storia d’Italia einaudiana, ha messo in evidenza, per ciò che concerne la produzione guidistica del Touring, una sostanziale difficoltà del sodalizio a stare al passo con i tempi: «Ancora per tutto il corso degli anni ’50 nessun prodotto è paragonabile per qualità alle guide del Touring, il loro primato non fa che accrescersi. Ma neanche in esse vengono valutate e registrate con attenzione e puntualità le trasformazioni del paese successive alla fine della guerra, alla ricostruzione, al cosiddetto boom economico. L’Italia cambia aspetto velocemente, anzi con velocità progressiva, ma redattori ed autori sembrano non accorgersene. Non si tratta della normale sfasatura intercorrente tra qualunque descrizione della realtà ed i suoi mutamenti, o perlomeno non si tratta solo di questo. L’Italia descritta è assai spesso quella che era, che si vorrebbe che fosse, raramente quella che è».1 Per quanto il carattere periodico delle riviste cerchi di essere più d’attualità rispetto all’opera monumentale della Guida d’Italia, poco agevole negli aggiornamenti, il Paese corre troppo velocemente anche per il nostro mensile e il divario tra il sodalizio di matrice post-risorgimentale e il nuovo clima consumistico subisce una violenta accelerazione. «Tra il 1955 e il 1956, indicano concordemente le statistiche, si raggiunse il punto di non ritorno di una vera e propria mutazione culturale, portata sulle quattro ruote dell’auto e sulle onde elettromagnetiche della televisione»,2 che levano il primato dei mass media alla radio, al cinema e alla ancor più vecchia carta stampata. Sebbene il nuovo medium non faciliti la vita alla stampa, soprattutto quella quotidiana, già provata a suo tempo dall’informazione radiofonica e dai cinegiornali, il clima di 1 L. Di Mauro, L’Italia e le guide turistiche dall’Unità ad oggi, cit., p. 413. G. Petrillo, Da santificazione a consumo. La domenica della Milano operaia negli anni Cinquanta, in Tempo libero e società di massa nell’Italia del Novecento, cit., p. 201. 2 322 benessere e alfabetizzazione diffusi incoraggia i consumi, anche di beni secondari come quelli culturali. Nel mercato librario, riassume Ferretti, «novità si registrano indubbiamente nella produzione di titoli, che dal ’56 al ’60 ha un incremento del 43,4 per cento (il più alto dal dopoguerra), e nel mercato, che dal ’57 al ’65 vede più che raddoppiarsi e quasi triplicarsi rispettivamente il numero delle famiglie in cui si leggono libri e le relative spese, nel quadro di un generale incremento delle spese per cinema, giornali e periodici».3 A farla da padrone, in quest’ultimo settore, abbiamo già visto essere i settimanali in rotocalco di attualità e varietà (viaggi compresi), come il neonato «Gente» di casa Rusconi, che vede la luce nel 1957 con il distaccamento da Rizzoli. In una simile congiuntura, favorevole dal punto di vista dei consumi e meno propizia per l’aumento esponenziale della concorrenza nella produzione editoriale, «a prima vista, Le Vie d’Italia è una rivista che tiene ancora bene il suo campo: ha un forte numero di abbonati, un pubblico di lettori di scala nazionale, un antico indubbio prestigio e una nobile tradizione di divulgazione culturale piana e cordiale, seria e corretta».4 Eppure qualcosa sfugge o non lo si rincorre abbastanza velocemente, come ha notato Di Mauro per le guide, dimentiche delle trasformazioni assestate al tessuto urbano e sociale dalla FIAT in una Torino architettonicamente ancora sabauda: la visione pragmatica, tipica del Bertarelli, era già andata offuscandosi durante il fascismo, dopodiché l’unico dato turistico sopravvissuto è stato quello storico-artistico, portato certo ai massimi livelli, ma tralasciando completamente ogni aspetto sociologico. Con questo non si vuol dire che un’entità turistica come il Touring ignori stravolgimenti quali la motorizzazione di massa e le migrazioni epocali, non più esterne bensì interne, dalle campagne del Sud alle metropoli del Nord. Sul piano guidistico ne è una riprova il lancio nel 1958 della Guida rapida d’Italia, pensata per un’utenza automobilistica, erede di quel compendio che è stato nel Ventennio la Guida breve: ma anche qui l’Italia descritta, dal finestrino, en passant, è lontana dall’Italia reale in continuo e rapido mutamento. Dai sintomi di questo divario non è immune la pubblicistica del Touring, rivista madre compresa: «alcuni anni fa, ad esempio, e proprio nel periodo della prodigiosa affermazione dei motor-scooter italiani, che di mese in mese crescevano a nugoli su tutte le nostre strade, nel fare un esame della frequenza delle varie rubriche in due piene annate di Le Vie d’Italia, risultò che la rubrica “Motociclismo” era apparsa in tutto 3 4 G.C. Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004, p. 160. G. Mira, Relazione delle «Vie d’Italia», post quem aprile 1957, ante quem gennaio 1963, cit., p. 1. 323 soltanto in tre fascicoli su 24. Questa scarsa rispondenza tra Notiziari e realtà dimostra che la nostra rivista è spesso fuori circolo rispetto all’attualità turistica».5 Nemmeno la prosa odeporica di un Rea in viaggio in scooter per l’Italia dei primi anni Cinquanta riesce a sollevare le sorti di questo magro bilancio redatto dal direttor Mira, che sul finire del decennio si mostra sempre più preoccupato, lamentando come la rivista si pubblichi «tra la quasi generale disattenzione del pubblico che conta».6 A preoccupare è il lento e continuo declino del numero degli abbonati, che si immette in un trend generale dell’associazione, un tempo unico punto di riferimento fattivo e culturale per i turisti italiani. I cambiamenti mediatici, che si riversano sul mondo della stampa periodica, implicano una comunicazione più immediata e soprattutto immaginocentrica, tuttavia lontana dai classici illustrati dell’anteguerra, di cui il mensile del Touring raccoglie, come abbiamo visto, l’eredità, oltre che le migliori firme. Sul versante sociale, invece, il turismo, agevolato dalla motorizzazione poderosa, diviene una forma di svago di massa, e ciò comporta che diventi argomento d’obbligo del gran numero di riviste settimanali e mensili. La massificazione del mercato e la volontà di sfruttarne tutte le potenzialità portano da un lato all’aumento dell’offerta dei periodici «generalisti», contenitori di tutte le tematiche d’attualità (nella fattispecie di svago) della vita sociale, e dall’altro alla settorializzazione del tema turistico stesso, con esiti nuovi di successo come «Quattroruote», ove «emigra» Bandini Buti. «Le Vie d’Italia» della ripresa, con la loro tradizionale idea di turismo di una certa levatura culturale, declinata in tutti i suoi aspetti, trovandosi esattamente nel mezzo, scelgono la prima via, puntando però soprattutto sulla qualità artistica e letteraria, di più difficile ricezione massiva. La via dell’intrattenimento culturale più generalista, rispetto a quella turistica tout court, non dà i frutti sperati di allargamento del pubblico: la formula scelta all’inizio degli anni Cinquanta del mensile illustrato di «diletto culturale-artisticoletterario», com’era «La Lettura», non è più quella vincente di fronte al settimanale d’attualità, in scarsa misura ameno e, in misura ancora minore, letterario. Emerge, a questo punto, la necessità di ristabilire un distacco nella concorrenza dei periodici, di smarcarsi dalla tentazione alla settimanalizzazione e all’intrattenimento generico, e di occuparsi a fare «una grande e bella rivista del turismo italiano». Guardando alle origini, urge ritornare a specializzarsi, per imporsi in un settore 5 6 Ivi, p. 19. Ivi, p. 1. 324 in cui, sin dai tempi post-risorgimentali, il Touring è sempre stato senza concorrenti. Tutto ciò comporta, inevitabilmente, nella programmazione redazionale la scelta di un preciso orientamento, rinunciando ad essere anche una rivista di divulgazione scientifica, di lettura amena o di varietà letteraria, nonché di varietà istruttive o semplicemente curiose. Giunti alla fine degli anni Cinquanta, per Mira, la parola d’ordine è ridurre gli interessi, per far riemergere tutta la specificità originaria: «- rinunciare ad essere anche una rivista di divulgazione scientifica (e quindi trattare argomenti come “I progressi della televisione” […]); - rinunciare ad essere anche una rivista di lettura amena o di varietà letteraria […]. Lo stesso ingresso nelle sue pagine della narrativa, del bozzetto e della divagazione, si è dimostrato esperimento di dubbia riuscita, e porta in realtà la nuova rivista fuori carreggiata. Così pure le rassegne di Cinema, Teatro, Musica possono considerarsi senz’altro estranee al nostro programma: alcune sono del resto dedicate a generi in malinconico e irrimediabile declino (prosa, opera lirica) tra l’indifferenza generale; e per altre (Cinema) non potremmo comunque competere con le analoghe rassegne che appaiono regolarmente sui maggiori settimanali e si fregiano delle firme più note […]; - rinunciare ad essere anche una rivista di varietà istruttive o semplicemente curiose e di sport».7 Così, nel 1959, scompaiono dal mensile le rassegne, assieme alla maggior parte delle firme ad esse preposte. Possenti, Roghi, Gadda Conti e Meccoli continueranno a lasciare ancora per un biennio contributi tematici all’infuori di queste sedi soppresse. Sopravvive in fondo, sebbene in forma via via ridotta, lo storico Notiziario costituito da trafiletti, di mese in mese a variazione tematica, inframmezzato come di consueto da qualche annuncio pubblicitario. Grosso modo permangono i soliti sviluppi, con qualche novità, come le sezioni Difesa della natura e Radio-Tv, anche se «buona parte di queste rubriche di carattere pratico-turistico, meriterebbero […] di essere del tutto abbandonate dalla rivista e cedute al Bollettino»8 gratuito dei soci, redatto da Della Mea, e sempre 7 8 Ivi, pp. 6-7. Ivi, p. 20. 325 gravoso sul bilancio. Nonostante i propositi rigorosi manifestati dal direttore, la presenza di argomenti estranei al turismo tout court perdura, con un certo ridimensionamento, sino alla fine delle pubblicazioni, anche sotto la direzione di Rusca. A occuparsi di cinema, dopo le dipartite di Gadda Conti, Sacchi e Meccoli, vi è il giornalista cattolico Natal Mario Lugaro, caporedattore e critico cinematografico dell’«Italia»;9 per lo sport, al defunto Bruno Roghi, seguono l’ex schermitore, inviato sportivo del «Corriere», Ciro Verratti e Gian Mario Maletto, critico di jazz del neonato «Giorno» oltre che caposervizio delle pagine sportive.10 Rispetto a questi interventi su calcio, atletica e tennis, decisamente più pertinenti alla causa del turismo sono i contributi di una firma emergente del giornalismo sportivo, Carlo Marincovich. Velista professionista, prima di approdare definitivamente alla carta stampata, dove sarà l’inviato di punta di «Repubblica», tra il ’59 e il ’60 lancia il fuoribordo turistico.11 A parte la parentesi di un giornalista sportivo prestato al turismo come Marincovich, se i pezzi cinematografici e sportivi vanno scemando, mentre dal ‘61 scompaiono del tutto quelli di argomento teatrale, è d’altro canto vero, come abbiamo preannunciato, che la linea auspicata da Mira del ritorno a una rivista esclusivamente turistica non verrà attuata. Anzi, mai come dal 1959, nonostante la chiusura delle rassegne, aspetti musicali e scientifici, per la precisione meteorologici, astronomici e botanici, sono così presenti. Per la musica, innegabile nasconderlo, «c’è stato un periodo della storia italiana, dal 1958 al 1961, in cui pareva davvero che la più importante occupazione dei nostri concittadini fosse quella di ascoltare le esplosioni vocali di un Modugno o gli strilli di Mina; di schierarsi dalla parte di Nilla Pizzi o di Tonina Torrielli, di Luciano Tajoli o di Claudio Villa, di Adriano Celentano o di Tony Dallara».12 Scrive un brillante Alfredo Panicucci, giornalista di «Epoca» e direttore del rotocalco mondadoriano per ragazzi «Il musichiere», trainato dall’omonima 9 Cfr. N. M. Lugaro, Bilancio della Mostra veneziana del cinema, in «Le Vie d’Italia», anno LXVII, n. 11, novembre 1961, pp. 1448-56 e Id., Romanzi che diventano cinema, in ivi, anno LXVIII, n. 7, luglio 1962, pp. 896-905. 10 Cfr. C. Verratti, L’atletica leggera, in ivi, anno LXIX, n. 9, settembre 1963, pp. 1123-31; Id., Vita difficile degli arbitri, in ivi, n. 12, dicembre 1963, pp. 1497-505; Id., La lezione di Tokio, in ivi, anno LXXI, n. 1, gennaio 1965, pp. 72-81 e G. M. Maletto, Nuovi argomenti per il tennis, in ivi, anno LXXII, n. 3, marzo 1966, pp. 308-17. 11 C. Marincovich, Invito al turismo nautico, in ivi, anno LXV, n. 7, luglio 1959, pp. 928-34 e Id., Fuoribordo per turismo, in ivi, anno LXVI, n. 6, giugno 1960, pp. 785-92. 12 A. Panicucci, Festival di canzoni, in ivi, anno LXVIII, n. 4, aprile 1962, p. 489. 326 trasmissione televisiva. A fargli compagnia sulla rivista, con pagine più tecniche sul funzionamento e sulla produzione dell’industria discografica, è il critico jazz del «Corriere» Vittorio Franchini, futuro direttore di «Qui Touring» dal 1975 al 1982, che incontra in sala d’incisione un’Ornella Vanoni «piegata sul microfono. “Il tuo dolce viso di bambina”, sussurrava “che non sa capire quando fa del male”. Stava incidendo Per te di Gino Paoli».13 Tuttavia nell’Italia delle hits vacanziere degli anni Sessanta, gli articoli di Panicucci e di Franchini sono un fatto isolato per il mensile, ove le scelte redazionali anche in ambiente musicale denotano un certo conservatorismo, rispettoso di un pubblico datato e di cultura non massiva e popolare. Alle canzonette dei juke-box, sotto il cui giogo «i giovani delle classi lavoratrici sono caduti»,14 si preferiscono la musica classica e l’opera, materializzate nei profili biografico-artistici dei grandi maestri, redatti dal gusto aristocratico di Giulio Confalonieri, storico della musica per le edizioni della Nuova Accademia. Dal barocco di Haendel al classicismo di Luigi Cherubini, passando per il vitalismo di Vivaldi e di Puccini, si avverte più che altro l’urgenza del «ricupero di grandi musicisti del passato, ingiustamente scaduti dalla conoscenza e dalla consuetudine del pubblico».15 Ed è in quest’ottica critica affatto nazionalpopolare, così diversa dai ricordi di Toscanini stesi da Wronowski nel dopoguerra o dalle pagine wagneriane degli anni Trenta a firma dell’urbanista Albertini, che si innesta la polemica sulle partiture verdiane, accesa da Confalonieri e analizzata dal musicologo Guglielmo Barblan,16 in occasione delle celebrazioni del centocinquantenario della nascita del compositore. Sul medesimo anniversario interviene Eugenio Gara, altra firma del «Corriere», all’epoca collaboratore anche dell’«Europeo». Critico specialista nell’interpretazione vocale, Gara sul mensile non si occuperà mai di una Callas al culmine del successo, cui aveva dedicato una monografia per la Ricordi già nel 1957, ma preferirà trattare dei grandi della lirica del passato: il 13 V. Franchini, Il disco fonografico, come si fa e come si vende, in ivi, anno LXVII, n. 4, aprile 1961, p. 509 e vd. anche Id., Il mercato dei dischi, in ivi, anno LXVIII, n. 6, giugno 1962, p. 737. 14 G. Confalonieri, La musica e il popolo, in ivi, anno LXIX, n. 2, febbraio 1963, p. 162. 15 G. Confalonieri, Un grande compositore veneziano del Settecento Antonio Vivaldi, in ivi, anno LXVIII, n. 1, gennaio 1962, p. 60. Si vedano inoltre del medesimo: Id., Haendel: il cantore del barocco, in ivi, anno LXV, n. 11, novembre 1959, pp. 1400-9; Id., Centenario di un compositore Luigi Cherubini, in ivi, anno LXVI, n. 11, novembre 1960, pp. 1481-91 e Id., Gioacchino Rossini, il musicista della gioia di vivere, in ivi, anno LXVII, n. 7, luglio 1961, pp. 915-24. 16 G. Barblan, La polemica sulle partiture verdiane, in ivi, anno LXIX, n. 10, ottobre 1963, pp. 1251-9. In un’ottica più affabile e di avvicinamento della musica classica vd. anche Id., Toscanini alpinista, in ivi, anno LXXII, n. 1, gennaio 1966, pp. 52-64 e Id., Claudio Monteverdi compositore «moderno», in ivi, anno LXXIII, n. 12, dicembre 1967, pp. 1412-25. 327 baritono Titta Ruffo e la soprano Giuditta Pasta.17 Non che lo sguardo sia esclusivamente orientato al passato: le trattazioni scientifiche in aumento, a discapito delle amenità narrative degli anni lasciati alle spalle, riportano in qualche modo al presente, con i progressi in ambito meteorologico e botanico, e lanciano verso il futuro delle esplorazioni spaziali. Giorgio Abetti e Raoul Bilancini, quest’ultimo allievo del fisico Filippo Eredia, a sua volta collaboratore del mensile nel 1924,18 proseguono a dar voce a quell’ambito tecnico-scientifico che stava così a cuore al Bertarelli, cui anche la direzione dell’imprenditore-classicista Rusca riserva un discreto spazio. I due fisici si innestano nel filone divulgativo di matrice accademica e non giornalistica, in controtendenza rispetto al contributo di un inedito Gorresio del decennio passato, richiamandosi alle origini bertarelliane, più legate alle collaborazioni di tecnici e di specialisti.19 Il tutto all’interno di un contesto scientifico ben diverso da quello del primo dopoguerra: nell’epoca della guerra fredda la forza di un Paese e del suo sistema ideologico si misura al di fuori dell’orbita terrestre. Sempre di provenienza accademica sono i collaboratori di ambito botanico nel mensile, nel quale a far da apripista nella ripresa era stata Eva Mameli Calvino, cui era seguito il medico cuggionese ed eminente studioso di piante, Carlo Stucchi.20 Obiettivo di questo diffuso interesse, continuato dall’enologo Giovanni Dalmasso e dai naturalisti Valerio Giacomini21 e Lucio Susmel, quest’ultimo già collaboratore del Pavari, è la 17 Cfr. qui di seguito i contributi al mensile di E. Gara, Difficile interpretare Verdi, in ivi, anno LXIX, n. 5, maggio 1963, pp. 521-8; Id., Ritrattino di Titta Ruffo, in ivi, n. 12, dicembre 1963, pp. 1458-66; Id., Piccolo ritratto di Riccardo Strauss, in ivi, anno LXX, n. 7, luglio 1964, pp. 792-800; Id., Centenario di Giuditta Pasta, in ivi, anno LXXI, n. 12, dicembre 1965, pp. 1480-9 e Id., Arrigo Boito biografo e traduttore mancato, in ivi, anno LXXIII, n. 3, marzo 1967, pp. 288-98. 18 F. Eredia, Le immagini luminose al sorgere e al tramontare del sole: il raggio verde, in ivi, anno XXX, n. 8, agosto 1924, pp. 872-6 e Id., Che cosa si fa in Italia per studiare il patrimonio idrico nazionale, in ivi, n. 12, dicembre 1924, pp. 1351-62. 19 Di R. Bilancini vd. Meteorologia una scienza delicata, in ivi, anno LXV, n. 7, luglio 1959, pp. 882-9; Id., Che cos’è la nebbia, in ivi, anno LXVII, n. 2, febbraio 1961, pp. 217-24; Id., Che cos’è un temporale, in ivi, n. 7, luglio 1961, pp. 929-37; mentre di G. Abetti vd. La radio-astronomia, in ivi, anno LXVI, n. 4, aprile 1960, pp. 507-15; Id., L’eclissi del 15 febbraio, in ivi, anno LXVII, n. 4, aprile 1961, pp. 436-44; Id., Nel regno del sole, in ivi, anno LXVIII, n. 1, gennaio 1962, pp. 93-101; Id., Che cosa nasconde la terra, in ivi, anno LXIX, n. 1, gennaio 1963, pp. 60-9; Id., L’esplorazione di Venere, in ivi, n. 7, luglio 1963, pp. 819-27; Id., Nel mondo delle comete, in ivi, anno LXXII, n. 4, aprile 1966, pp. 465-76. 20 C. Stucchi, Giardini di casa, in ivi, anno LXI, n. 11, novembre 1955, pp. 1448-53. Su di lui si veda la monografia Id., Ricordi e riflessioni di un borghese, Cuggiono, Ecoistituto della valle del Ticino, 2008. 21 Di G. Dalmasso, Le varietà della vite in Piemonte, in ivi, anno LXVI, n. 10, ottobre 1960, pp. 1351-9; Id., I vini tipici del Piemonte, in ivi, anno LXVII, n. 4, aprile 1961, pp. 496-504. Per V. Giacomini si vedano: Giardini alpini, in ivi, anno LXI, n. 8, agosto 1955, pp. 1032-7; Id., La flora dell’Etna, in ivi, LXVI, n. 4, aprile 1960, pp. 497-506; Id., Un botanico sulla Sila, in ivi, n. 11, novembre 1960, pp. 145464; Id., Un botanico sul Gran Sasso d’Italia, in ivi, anno LXVII, n. 3, marzo 1961, pp. 353-64; Id., Un botanico a Siracusa, in ivi, anno LXVIII, n. 4, aprile 1962, pp. 497-505. 328 sensibilizzazione alle tematiche ambientali e al rispetto delle peculiarità di ciascun territorio, di cui il Touring è stato paladino nel Ventennio e ancor prima con il fedelissimo Alessandro Ghigi, firma delle «Vie d’Italia» dal 1921.22 Rispetto ai decenni passati, ora non si tratta più di bonifiche e della catalogazione del patrimonio paesaggistico, bensì di sviluppare, nel paese degli scempi edilizi del boom economico, una moderna coscienza ecologica, al fine di evitare altre frane nelle montagne e nuove alluvioni come quella del Polesine e di Firenze. «Non è ancora finita l’ora dei provvedimenti di emergenza, presi sotto l’incalzare dei flutti, che lasciano le cose al punto di prima?» si chiede Susmel, avanzando pretese più che legittime per un serio impegno politico: «Gli italiani di oggi vogliono che l’errore non si ripeta più e reclamano per questo che l’opera di salvaguardia venga affidata, durevole nel tempo, a un apposito istituto permanente, messo al riparo dalle fluttuazioni del bilancio e dagli umori della politica».23 6.2 INCHIESTE ED ENGAGEMENT Gli anni Sessanta divengono quindi gli anni dell’impegno sociale più manifesto grazie al contributo degli specialisti e di un nuovo genere giornalistico destinato a ravvivare anche le pagine, altrimenti paludate, della rivista madre. Ci riferiamo all’inchiesta, volta a smuovere l’opinione pubblica, se non delle masse, visto il target di pubblico, almeno delle tradizionali élites ancora illuminate, cui il mensile intende rivolgersi. E la posta dei lettori sembra confermare la tipologia di un pubblico colto, esigente e puntiglioso che interviene a precisare quando il linguaggio è adoperato in maniera troppo divulgativa e fuorviante, reclamando l’esattezza terminologica.24 Sempre dalla rubrica d’apertura, sul piano giornalistico, le inchieste risultano molto apprezzate dagli abbonati. I lettori inviano al direttore i loro commenti e le loro esperienze a sostegno delle campagne del Touring iniziate negli anni Cinquanta contro la pubblicità luminosa e stradale, proseguite dal solito Borgese contro il traffico cittadino, che intasa centri storici e 22 A. Ghigi, Salviamo la nostra flora, in ivi, anno LXIX, n. 10, ottobre 1963, pp. 1207-22. L. Susmel, Bosco e diluvio, in ivi, anno LXXIII, n. 3, marzo 1967, p. 328. 24 Lettere al Direttore, Voli spaziali e linguaggio scientifico, in ivi, anno LXVI, n. 4, aprile 1960, p. 419. 23 329 trasforma le piazze in parcheggi caotici:25 «Il problema trattato da Leonardo Borgese nell’articolo “Liberiamo le belle piazze” pubblicato nel numero di marzo, continua ad appassionare l’opinione pubblica. Nella pagina precedente pubblichiamo due lettere, scelte fra le molte che ci sono pervenute. Ora ci giunge notizia che il vice presidente del TCI, avvocato Gian Paolo Melzi d’Eril, nella sua veste di consigliere comunale di Milano, ha rivolto un’interrogazione al sindaco professor Cassinis».26 Dalle pagine del mensile, a firma di Mario Gorini, animatore a Padova del periodico «Il sentiero dell’arte», viene dichiarata una vera e propria Guerra allo smog!, senza però cadere nel misoneismo utopistico, ma tendendo alla problematizzazione dei dati reali: «è uno dei riflessi dell’industrializzazione, benefica sotto tanti aspetti, ma capace di moltiplicare tutti i problemi. […] Ma non pensiamo che le giuste preoccupazioni debbano assumere il tono e le pretese del Weltschmerz, che ogni tanto qualche scrittore a corto di idee torna a riesumare, pur godendosi l’automobile e il termosifone».27 Campagne ambientaliste e in difesa della fauna sono portate avanti dall’inviato di «Epoca», Giuseppe Grazzini, a tutela del Gran Paradiso,28 e da altri giornalisti e figure del mondo dell’editoria come Mauro de Mauro, Vezio Melegari, Antonio Cederna e Mario Fazio. Quest’ultimo, inviato della «Stampa» e fondatore con Bassani di Italia Nostra, collabora sin dai primi anni della ripresa del mensile con pagine sul turismo nautico,29 ma la fine degli anni Cinquanta segna una svolta per la sua produzione giornalistica, oltre che per la redazione del periodico. Dal 1959 cominciano ad apparire, non solo sul quotidiano torinese, bensì anche sulla rivista del Touring, le sue denunce sulla cementificazione della riviera ligure, di cui è originario. Negli stessi lidi quattro anni dopo sarà ambientato il romanzo del conterraneo Calvino, La speculazione edilizia, sintomo del malessere diffuso scaturito dalla deturpazione del paesaggio volta al cieco guadagno. Si tratta di un caso ove il turismo anziché arricchire una regione, come sta avvenendo in Sardegna o nella vicina Costa Azzurra, la distrugge 25 L. Borgese, Liberiamo le belle piazze, in ivi, anno LXIX, n. 3, marzo 1963, pp. 260-73. Lettere al direttore, in ivi, anno LXIX, n. 5, maggio 1963, p. 506. 27 M. Gorini, Guerra allo smog!, in ivi, anno LXIX, n. 7, luglio 1963, p. 846. Dello stesso autore sono due interventi sul progresso nella televisione reso possibile dai satelliti: L’uomo ha vinto gli spazi, in ivi, n. 11, novembre 1963, pp. 1344-51 e Id., La televisione e l’uomo, in ivi, anno LXX, n. 7, luglio 1964, pp. 828-37. 28 G. Grazzini, Salviamo il Gran Paradiso, in ivi, anno LXIX, n. 5, maggio 1963, pp. 511-20. 29 M. Fazio, Piccolo turismo sulle vie del mare, in ivi, anno LIV, n. 7, luglio 1948, pp. 633-8 e Id., Viaggio in transatlantico, in ivi, anno LX, n. 7, luglio 1954, pp. 885-92. 26 330 completamente, nota Fazio.30 Tra gli altri nomi di Italia Nostra attivi nella rivista in questo filone di denuncia, v’è il consigliere della neonata associazione ambientalista, Antonio Cederna, all’epoca giornalista del «Mondo», autore di pagine di accusa contro le amministrazioni, colpevoli di un vero e proprio progetto sistematico di «guerra al verde» perpetrata sia nelle grandi città come Roma, con particolare attenzione all’Appia Antica, sia lungo le coste, come quella della Toscana. «La rovina delle nostre città», spiega il giornalista, incitando l’opinione pubblica all’intervento, «la manomissione del loro centro storico, la distruzione del verde, i cattivi piani regolatori con le loro tristi conseguenze, non sono eventi fatali, alla stregua delle eruzioni vulcaniche o dell’invasione delle cavallette, come sembra credere la maggioranza delle persone: sono al contrario risultato dell’azione di uomini e istituti mossi da interessi particolari che sono in contrasto col bene comune».31 L’attivismo giornalistico dei membri di Italia Nostra dà nuova linfa al mensile, ora più problematico e meno illustrativo, e segna due passaggi significativi: quello dall’elzeviro all’inchiesta e quello da un’Italia da conoscere a un’Italia da salvare. Tuttavia, la comparsa dell’associazione romana, impegnata nella tutela del patrimonio artistico e paesaggistico, implica per il Touring un’invasione di campo, segno della debolezza e del ritardo manifestati dal sodalizio ambrosiano a far fronte a nuovi bisogni sociali e sensibilità turistiche. «Dovremo invece assumerci senz’altro, in questo campo, dei compiti che ci competono, e realizzare dei circuiti di corrispondenze: così ad esempio quello che si è proposto di organizzare l’associazione “Italia Nostra” (che voleva, tra l’altro, che gli stessi nostri Consoli divenissero i suoi corrispondenti, e cioè che le regalassimo la nostra organizzazione) dovrebbe essere fatto da noi»,32 con queste parole Mira mette in guardia la redazione da possibili espropri e indica la strada da percorrere non più conoscitiva, bensì protezionistica delle bellezze della penisola. Una strada seguita anche da Vezio Melegari, tra i fondatori del Premio Bancarellino, attivissimo nell’editoria per ragazzi, nella fattispecie del fumetto, dirigente Mondadori 30 M. Fazio, Continua la distruzione del paesaggio ligure, in ivi, anno LXV, n. 12, dicembre 1959, pp. 1567-76 e cfr. con Id., La rinascita della Sardegna, in ivi, anno LXXI, n. 4 e 6, rispettivamente aprile e giugno 1965, pp. 422-33 e pp. 666-79. 31 A. Cederna, Roma senza verde, in ivi, anno LXV, n. 4, aprile 1959, p. 480. A continuazione del discorso si vedano anche: Id., Guasti e sconci lungo la costa toscana, in ivi, anno LXIX, n. 4, aprile 1963, pp. 412-23; Id., La triste storia dell’Appia Antica, in ivi, n. 7, luglio 1963, pp. 774-84 e Id., Che cosa facciamo per le coste, in ivi, anno LXXIII, n. 12, dicembre 1967, pp. 1480-91. 32 G. Mira, Relazione delle «Vie d’Italia», cit., pp. 19-20. 331 dal 1960: «Riaffiora dunque uno dei più frusti luoghi comuni, quello che vuole l’Italia ignota agli italiani? E sia. Almeno però serviamocene per chiarire la portata di un altro luogo comune: quello che pretende che gli italiani, oltre a non “sentire” la natura, sono sordi ai richiami protezionistici che vengono loro rivolti sia dalla legge, sia da pulpiti coscienti e qualificati».33 Nella battaglia a difesa del verde, da cominciare sin dall’infanzia, vi è anche qualche vittoria inaspettata: «il mutamento delle cose è veloce, la passione per il verde va dilagando e uno degli effetti sarà la sparizione dell’immagine di una Sicilia brulla e gialla, disperata».34 Purtroppo è una disillusione amara constatare che a scriver queste righe così fiduciose sia il valido cronista dell’«Ora» di Palermo, Mauro de Mauro, fratello di Tullio, ucciso dalla mafia nel 1970 a causa delle sue inchieste sulla droga, sul caso Mattei e sulla classe politica di una terra disperata, cui il giornalista dedica pagine ariose di novità e di cambiamento sulla rivista, dalle scoperte archeologiche di Imera alle isole minori di Linosa, Marettimo e Vulcano.35 A parte questo sollievo illusorio, a tracciare il quadro complessivo di un’Italia a pezzi è l’inchiesta di Flavio Colutta, caporedattore, dopo la partenza di Salvatorelli, dal 1958 fino alla fine delle pubblicazioni. Colutta pone domande, del resto ricorrenti in quegli anni nei giornali di varie tinte politiche: «E il Governo? e il Parlamento? Che cosa fanno Governo e Parlamento per salvare dalla rovina il nostro patrimonio artistico?»;36 le risposte a questi quesiti sono date da uno storico dell’arte noto in Corso Italia dal 1934 per i suoi interventi sulla conservazione museale, Bruno Molajoli,37 divenuto negli anni Sessanta direttore generale delle antichità e belle arti al Ministero della Pubblica Istruzione. La conclusione cui arriva il caporedattore, di fronte a un Ministero cui vengono destinati fondi irrisori, fa a tutt’oggi riflettere: «Strano Paese, 33 V. Melegari, Difendiamo la natura!, in «Le Vie d’Italia», anno LXV, n. 6, giugno 1959, p. 729. Cfr. pure Id., Scuola e protezione della natura, in ivi, anno LXVI, n. 4, aprile 1960, pp. 447-55, in cui l’autore si prodiga per favorire negli istituti un’educazione ambientale alle future generazioni. 34 M. de Mauro, Il verde corredo della Sicilia, in ivi, anno LXX, n. 4, aprile 1964, p. 447. 35 M. de Mauro, Nuove scoperte a Imera, in ivi, anno LXX, n. 9, settembre 1964, pp. 1062-71; Id., Aria nuova a Vulcano, in ivi, n. 12, dicembre 1964, pp. 1507-20; Id., A Linosa vita da pionieri, in ivi, anno LXXI, n. 7, luglio 1965, pp. 825-40 e infine Id., Solitudine di Marettimo, in ivi, anno LXXIII, n. 11, novembre 1967, pp. 1308-20. 36 F. Colutta, L’Italia a pezzi, in ivi, anno LXX, n. 1, gennaio 1964, p. 10. 37 Cfr. B. Molajoli, La Pinacoteca Provinciale di Bari, in ivi, anno XL, n. 12, dicembre 1934, pp. 949-59; Id., Iconografia sabauda nella Regia Galleria di Torino, in ivi, anno XLI, n. 9, settembre 1935, pp. 694702; Id., Il Museo Nazionale di San Martino, in ivi, anno LV, n. 2, febbraio 1949, pp. 146-51; Id., La floridiana, in ivi, n. 9, settembre 1949, pp. 979-85; Id., Capodimonte reggia dell’arte, in ivi, anno LXIII, n. 6, giugno 1957, pp. 695-706. 332 l’Italia, i tempi eroici non sono ancora finiti».38 Anzi, proseguono, così come continuano le inchieste di Colutta nell’Italia abbandonata all’incuria e calpestata dall’affarismo dei suoi abitanti: «tutti, proprietari e mercanti di terreni, affaristi e speculatori, industriali e commercianti, aristocratici e plebei rifatti, tutti, dicevamo, non esitiamo un istante a lavorare di piccone, in quel modo barbaro che ha portato alla rovina di singoli monumenti come di antichi quartieri».39 Accanto ai testi impietosi delle inchieste non possono più trovare spazio vignette e disegni satirici dei grandi illustratori del decennio passato, che vanno scemando fino a scomparire del tutto sotto la direzione di Rusca. Al loro posto il corredo è costituito dai fotoservizi. In quest’ultimo caso citato di Colutta sugli scempi in Valtellina, il servizio fotografico è allestito da Pepi Merisio, originario delle montagne lombarde, interprete a livello internazionale di quel mondo contadino e montanaro, ma ricco d’arte, in corso di dissoluzione. P. Merisio fotografa la casa parrocchiale di Prosto in Val Bregaglia. Vetri rotti e facciata affrescata ormai sfaldata a testimoniare gli Scempi in Valtellina, in «Le Vie d’Italia», anno LXX, n. 6, giugno 1964, p. 722. A fianco Egisto Corradi registra i dati di abbandono dei poderi nell’articolo Gli uomini abbandonano l’Appennino tosco-emiliano, in ivi, anno LXV, n. 5, maggio 1959, p. 583. Da articoli e fotografie emerge un Paese in stato di abbandono, l’Italia minore, rurale, valliva e alpestre in via spopolamento in seguito a sciagurate alluvioni e a problemi sociali difficili a risolvere. Dal Polesine e dal Triveneto, con ancora le ferite politiche dei trattati postbellici, a raccontare c’è il veneziano Gastone Geron, critico 38 39 F. Colutta, L’Italia a pezzi, art. cit., p. 23. F. Colutta, Scempi in Valtellina, in ivi, anno LXX, n. 6, giugno 1964, p. 724. 333 teatrale di Goldoni, qui nelle vesti di reporter,40 assunte già per il «Gazzettino» e il «Corriere», che prosegue le cronache avviate negli anni Cinquanta dal «bottaiano di ferro» Giorgio Vecchietti.41 Dall’Appennino tosco-emiliano, demograficamente depauperato, v’è un’altra grande firma del giornalismo: Egisto Corradi, l’«inviato d’assalto» del «Corriere». Su di lui si sprecano gli aneddoti: «“Un rispetto per la verità come il suo” ha riconosciuto Montanelli “nessuno di noi l’ha mai avuto. Arrivava ad aspetti quasi maniacali”».42 Ed in effetti anche sulle «Vie d’Italia» Corradi riporta dati, percentuali e tabelle sullo spopolamento dei poderi appenninici, da ricordare lo schietto amore bertarelliano per le cifre e i prospetti economici e demografici onnipresenti nella prima edizione della Guida d’Italia.43 Poco più a sud, dalla Toscana, pervengono in redazione le inchieste di Mauro Mancini, altro reporter del «Corriere», deceduto nel 1974 nel naufragio alle Isole Falkland in cui sopravvive solo Ambrogio Fogar. Livornese, figlio della classe operaia e fedele a idee politiche di sinistra, si innesta nel filone intrapreso dalla rivista delle ricerche sui vecchi mestieri in via d’estinzione, assieme all’artista e scrittore (apprezzato da Vittorini) Renzo Biasion.44 Coltellinai, liutai, pescatori, fonditori e altri artigiani dell’Italia provinciale sono in crisi di fronte alla industrializzazione massiccia avviata nelle grandi città del Nord e alla richiesta di una popolazione che aspira a emanciparsi tramite gli studi universitari, dimenticando le arti secolari del saper fare.45 D’altro canto, l’istruzione e le aspirazioni ad essa legate, per un sodalizio con una forte propensione pedagogica, non possono non divenire oggetto d’inchiesta. Nel 1965 Mario Cervi, inviato speciale sempre di via Solferino, apre la serie di inchieste 40 G. Geron, I problemi del Polesine, in ivi, anno LXX, n. 11, novembre 1964, pp. 1330-48; Id., Vivere in Friuli, in ivi, anno LXXI, n. 10, ottobre 1965, pp. 1185-96; Id., Trieste 1965, in ivi, n. 11, novembre 1965, pp. 1290-308; Id., I problemi di Gorizia, in ivi, n. 12, dicembre 1965, pp. 1418-31; Id., Prime constatazioni del disastro nelle Venezie, in ivi, anno LXXIII, n. 2, febbraio 1967, pp. 189-204. 41 G. Vecchietti, L’Alluvione del Po nel Polesine, in ivi, anno LVIII, n. 1, gennaio 1952, pp. 64-74. Per un profilo dell’intellettuale durante il Ventennio cfr. V. Zagarrio, Primato: arte, cultura, cinema del fascismo attraverso una rivista esemplare, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007, p. 38. 42 E. Marcucci, Giornalisti grandi firme, cit., p. 166. 43 E. Corradi, Gli uomini abbandonano l’Appennino tosco-emiliano, in «Le Vie d’Italia», anno LXV, n. 5, maggio 1959, pp. 580-93. Dello stesso autore si veda anche il servizio sulla fine dei lavori al tunnel del Monte Bianco: La metropolitana d’Europa, in ivi, anno LXVIII, n. 2, febbraio 1962, pp. 212-24. 44 Del critico d’arte del settimanale «Oggi» Vittorini pubblica nei «Gettoni» Sagapò, Torino, Einaudi, 1954. 45 Cfr. R. Biasion, Visita a una fonderia artistica, in «Le Vie d’Italia», anno LXV, n. 2, febbraio 1959, pp. 226-35; Id., Visita ai liutai di Cremona, in ivi, n. 6, giugno 1959, pp. 791-8 e M. Mancini, La pesca italiana è in crisi, in ivi, anno LXX, n. 2, febbraio 1964, pp. 163-74; Id., Il paese dei ferri taglienti, in ivi, n. 9, settembre 1964, pp. 1109-19. 334 sulle università, cominciando dall’ateneo ambrosiano;46 Sergio Frosali, reporter della «Nazione», ha già affrontato il tema dell’istruzione trattando degli istituti primari di Firenze,47 laddove Vincenzo Buonassisi, altro corrierista, si interessa alle scuole elementari del milanese, alle prese coi doppi turni.48 Quest’ultimo, oltre ad aprire in esclusiva le porte delle cabine di comando di un transatlantico, di un aereo e di un locomotore,49 esporta sulle pagine del mensile la sua passione gastronomica,50 accettando l’invito di Mira ad approfondire le specialità delle cucine regionali, in compagnia del gastronomo del «Corriere», Massimo Alberini, di Mario Praz51 e di Felice Cunsolo, autore prolifico di guide. In uno dei viaggi culinari di quest’ultimo, inerente alla cucina siciliana, da rilevare, accanto alle ricette tipiche del gelo di melone, della caponatina, della pasta con le sarde e delle fave del re,52 ci sono le fotografie di piatti e bancarelle del mercato ortofrutticolo di Catania, scattate da un poco più che ventenne Ferdinando Scianna, autore, l’anno successivo, dell’album d’esordio Feste religiose in Sicilia, con prefazione di Leonardo Sciascia (Bari, Leonardo da Vinci, 1965). 46 M. Cervi, L’Università di Milano, in ivi, anno LXXI, n. 1, gennaio 1965, pp. 41-55. S. Frosali, Scuole elementari di Firenze, in ivi, anno LXVIII, n. 5, maggio 1962, pp. 569-79. 48 V. Buonassisi, Scuole elementari di Milano e del milanese, in ivi, anno LXVII, n. 5, maggio 1961, pp. 597-608 e n. 6, giugno 1961, pp. 736-47. 49 V. Buonassisi, Vita nascosta di un transatlantico, in ivi, anno LXX, n. 1, gennaio 1964, pp. 24-37; Id., Vita nascosta di un aereo, in ivi, n. 3, marzo 1964, pp. 326-40; Id., Viaggio di scoperta sulle nostre ferrovie, in ivi, n. 5, maggio 1964, pp. 573-84; Id., I milanesi in metropolitana, in ivi, n. 12, dicembre 1964, pp. 1449-64. 50 V. Buonassisi, Quel che resta della cucina milanese, in ivi, anno LXVIII, n. 3, marzo 1962, pp. 350-60 e Id., Cucina rustica o grande cucina?, in ivi, anno LXXII, n. 5, maggio 1966, pp. 555-65. 51 G. Mira, Introduzione alla cucina italiana, in ivi, anno LXII, n. 6, giugno 1956, pp. 757-9; M. Alberini, La difficile cucina ligure, in ivi, anno LXXI, n. 5, maggio 1965, pp. 609-19; Id., La cucina ducale di Mantova, in ivi, anno LXXII, n. 8, agosto 1966, pp. 989-95; M. Praz, L’arte della cucina, art. cit. 52 F. Cunsolo, Introduzione alla cucina siciliana, in ivi, anno LXX, n. 7, luglio 1964, pp. 838-48. 47 335 6.3 VERSO UNA NUOVA ICONOGRAFIA F. Scianna in F. Cunsolo, Introduzione alla cucina siciliana, in «Le Vie d’Italia», anno LXX, n. 7, luglio 1964, rispettivamente p. 839 e p. 847. L’ultima fotografia a destra è di O. Toscani in F. Lusardi, Strade di Sicilia, in ivi, n. 10, ottobre 1964, p. 1262. Dalla religiosità barocca di Scianna all’essenzialità comunicativa della linea e della forma di un altro giovanissimo fotografo, parimenti debuttante dalle strade siciliane, il passo è breve per il sempre più fotografico mensile del Touring. Tre mesi dopo l’esordio di Scianna, gli scatti del ventiduenne Oliviero Toscani accompagnano il reportage di Fabrizio Lusardi, on the road, senza fretta e senza traffico, ma solo cani, capre e carretti a ingorgare curve e rettifili. In questi casi le immagini davvero prevaricano la valenza verbale, oltre a continuare a costituire un testo a parte, in genere del tutto autonomo, nei portfolio fotografici stampati su quattro tavole a colori, curati dagli stessi fotografi, cui vengono affidate anche le copertine in stile «Life» (o per rimanere tra gli illustrati italiani, in stile «Epoca»). Nonostante Mira cerchi di smarcarsi dal modello dei settimanali illustrati, inconfondibili sono i caratteri della copertina, senza grazie bianchi su sfondo rosso, tipici del logo della rivista americana, ripresa in Italia da Mondadori. Questo almeno fino alle dimissioni di Mira, quando il logo verrà sostituito con caratteri in genere rossi 336 aggraziati e minuscoli, apposti alle fotografie, per la maggioranza paesaggistiche. Esemplari quelle di Pepi Merisio, di Ezio Quiresi, di Giancarlo Annunziata e di una Marcella Pedone, più dedita al dettaglio e alla figura umana. E. Quiresi, fotografo del Touring affermatosi in tutto il mondo per la purezza delle immagini, immortala il lago di Fusine (Tarvisio) per la copertina del numero del luglio 1962, mentre G. Annunziata, fotografo subacqueo, qui si inoltra nei boschi della Sila per l’aprile 1967. Oltre all’ultimo cambiamento grafico di copertina introdotto da Rusca, che si slega dall’imitazione dei succitati settimanali, da rilevare, negli anni Sessanta è la totale affermazione della fotografia su qualsiasi altro tipo di illustrazione. La via è già suggerita da Mira nella più volte citata relazione di redazione, che punta a proporre ai lettori un numero ridotto di otto articoli al massimo, riconducibili alla forma del fotoreportage d’autore, su un modello nuovo, di più lunga periodicità e più strettamente settoriale. Il richiamo è al «National Geographic Magazine», storico punto di riferimento mensile dal 1889, scientifico e insieme fotografico, perfetta riuscita della sintesi tra testo ed immagine, entrambi di elevata qualità. Sebbene questi siano i progetti di rilancio, con pochi, ma lunghissimi pezzi, anche di una quarantina di pagine, riccamente corredati da fotografie, non si arriverà mai all’attuazione completa. Gli articoli continueranno a essere di una dozzina di pagine accompagnati da altrettante fotografie, per un totale di otto contributi per ogni fascicolo, costituito da centoventi 337 facciate all’incirca, comprendenti le rubriche, ove spicca dal novembre 1964 la novità de L’opinione degli altri. L’essenziale del messaggio di Mira è comunque recepito, ossia puntare sulla qualità soprattutto iconografica, anziché sulla quantità: avere meno articoli in ogni numero significa poter pagare di più, soprattutto i fotografi. Un certo capovolgimento è avvenuto nelle priorità di budget redazionali: se negli anni Cinquanta si rincorrono i nomi più di grido della letteratura e dell’illustrazione, magari anche solo per poche pagine, ora si preferisce puntare sui fotografi, lanciati eventualmente dai concorsi della rivista, come era accaduto a Merisio e alla Pedone, e come capita nel 1962 a un fotografo dilettante: Gianni Berengo Gardin. Scoperto nella settima edizione del concorso fotografico, indetto dalle «Vie d’Italia», incentrato sul tema dell’architettura, Berengo Gardin, dopo aver conquistato il primo premio di 100.000 lire con due scatti da Venezia, città eletta della sua ricerca, inizia subito a collaborare con il Touring, divenendo negli anni Settanta il fotografo di punta della collana «Attraverso l’Europa».53 Prima di allora conquista spazi di prim’ordine sulla rivista madre: copertine e portfolio da fotografo protagonista, inviato in tutt’Italia, dalla Laguna al Gargano.54 «È il fotografo più ragguardevole del dopoguerra, quello che meglio ha saputo mediare proficuamente le varie tendenze, con un acume visivo che non si è lasciato condizionare troppo dal gusto del momento […] per cercare garanzie soprattutto nella chiarezza dello sguardo»,55 nella tensione dinamica del soggetto e della luce, come ha scritto Italo Zannier, altro storico «fotografo Touring». Quest’ultimo, pioniere della storia della fotografia in Italia, autore di molti studi spesso citati in questo lavoro ed editi proprio dal sodalizio, si presta alla collaborazione anche con il mensile, dispensando tecniche e consigli.56 53 G. Berengo Gardin firma le fotografie dei seguenti volumi della collana: Spagna, con testi di G. Arpino, 1973; Francia, con introduzione di M. Bonfantini, 1975; Grecia, con testi di P. Volponi, 1976; Gran Bretagna, con testi di A. Moravia, 1978; Iugoslavia, con introduzione di G. Bocca, 1981; Finlandia, Norvegia, Svezia, con testi di L. Romano e C. De Seta, 1982; Germania. Repubblica federale e Berlino, con saggi di E. Filippini, 1983. 54 Cfr. le tavole fuori testo a firma di G. Berengo Gardin, Case e colori della laguna, in «Le Vie d’Italia», anno LXX, n. 10, ottobre 1964, p. 1213 e Id., Un fotografo nel Gargano, in ivi, anno LXXII, n. 3, marzo 1966, p. 328. 55 I. Zannier, Storia della fotografia italiana, Bari, Laterza, 1986, p. 363. 56 I. Zannier, Fotografia a colori come arte, in «Le Vie d’Italia», anno LXX, n. 4, aprile 1964, pp. 46774. 338 G. Berengo Gardin autore delle diapositive vincitrici della settima edizione del concorso fotografico del mensile, dal titolo Venezia: piazzetta San Marco e piazza San Marco, riportate in Temi di architettura, in «Le Vie d’Italia», anno LXVIII, n. 1, gennaio 1962, p. 40. A fianco I. Zannier dà dimostrazione dell’utilizzo non banale del colore, in Id., Fotografia a colori come arte, in ivi, anno LXX, n. 4, aprile 1964, p. 472. 6.4 REPORTAGES E RIEVOCAZIONI D’AUTORE Sopravvivono, però, ancora rari casi in cui le fotografie cedono il passo ai disegni. Gli ultimi superstiti sono quelli a china di Fulvio Bianconi in accompagnamento a quasi tutte le prose calabresi del dimenticato Saverio Strati. L’unica eccezione dell’assenza della firma di Bianconi associata allo scrittore calabrese si rileva nel primo articolo pubblicato da quest’ultimo sul mensile: un reportage nitido e intenso sulle condizioni di lavoro e di vita degli ultimi carbonai dell’Aspromonte, tra caporalato e disboscamento selvaggio, condizioni del resto ben note all’autore di estrazione contadina.57 Scritti 57 S. Strati, Carbonai di Calabria, in ivi, anno LXVII, n. 9, settembre 1961, pp. 1198-208. 339 durante gli anni di soggiorno in Svizzera, tutti gli articoli stratiani pubblicati dalle «Vie d’Italia» non si allontanano dalla terra d’origine, così come la sua produzione letteraria neorealista radicata nel verismo verghiano. Erede dei cantori calabresi collaboratori di Corso Italia nei decenni passati, Corrado Alvaro e Francesco Perri, l’autore mondadoriano, finito nell’oblio, prosegue a divulgare la sua terra, anch’essa dimenticata dalle geografie economiche della ripresa. L’impegno di Strati con il Touring va pure al di là dei quattro articoli, editi dal mensile a cavallo tra il 1961 e il 1962, e continua nella seconda serie della collana «Attraverso l’Italia», ove l’autore è scelto per i testi della sezione calabrese del volume Basilicata, Calabria del 1968, illustrato dai bianchi e neri decisi di Berengo Gardin. Su questo lavoro ha scritto Volponi: «Nel raccontare, Strati valorizza il modo peculiare della sua scrittura (sin dai tempi de La marchesina, che è del ‘56): portare la propria testimonianza e lasciare che essa venga assunta nel suo valore documentario. […] Vi si avverte infatti il senso profondo della tradizione, l’attaccamento ad essa».58 Osservazioni condivisibili pure per gli scritti d’occasione, editi sul periodico inerenti agli usi regionali, natalizi e pasquali,59 e ai canti della tradizione vernacolare. Il folclore non si eleva al mito, che pone distanze spazio-temporali, ma resta ancorato alla vita quotidiana, obbedendo all’ideologia verista mista alle riflessioni gramsciane nazionalpopolari. Le capre F. Bianconi ritrae Michele Strati, cugino dello scrittore, nella sua casa in S. Strati, Poeti contadini di Calabria, in «Le Vie d’Italia», anno LXVIII, n. 10, ottobre 1962, p. 1205. magre e i volti scarni di Bianconi ben si prestano a Gramsci, scardinando la consuetudine giornalistica degli anni Sessanta del corredo fotografico, talvolta freddo e distante. E quando Strati cede al dialetto nostalgico del cugino Michele, pronta 58 P. Volponi (a cura di), Scrittori di «Attraverso l’Italia 1930/1972», cit., pp. 304-5. S. Strati, Il Natale in Calabria, in «Le Vie d’Italia», anno LXVII, n. 12, dicembre 1961, pp. 1560-7 e Id., La settimana santa in Calabria, in ivi, anno LXVIII, n. 4, aprile 1962, pp. 422-9. 59 340 è la traduzione, sebbene non riuscita in un italiano standard, perché «è vero che il dialetto è la lingua del popolo. Ma potevo scrivere dei libri in dialetto? Chi li avrebbe letti? Chi li avrebbe capiti? Nemmeno gli stessi contadini calabresi che lo parlano, ma non lo sanno leggere».60 A capire, o almeno a tentare di farlo, grazie alla traduzione italo-calabrese, è anche il pubblico colto e italofono della rivista, messo a contatto con «la comune miseria, la guerra assurda e distruttrice […] Vinni ‘na cartolina mi partimi / e sutt’all’armi pemmi ndindi jamu, / Trentu e Triesti pemmi ndi pigghjamu. Chi focu sceleratu chi facimu, / quantu figghi di mamma ci restamu! […] (Venne una cartolina per partire, - sotto le armi per ce ne andare, [sic] - Trento e Trieste per pigliare. - Che fuoco scellerato che facciamo, - quanti figli di mamma ci restiamo!».61 A riportare sulle vie della rievocazione storica, tuttavia sempre meno battute rispetto agli anni della ripresa, ci pensano anche: lo storico di orientamento marxista Paolo Alatri per il centenario della spedizione dei Mille, Giorgio Candeloro, altro studioso del Risorgimento di matrice gramsciana, che si occupa dell’anniversario dell’unificazione, Corrado Tumiati, anima letteraria del «Ponte» di Calamandrei, con uno sguardo inedito sugli scrittori nordamericani, da Twain a Melville, in viaggio nell’Italia risorgimentale, e, infine, il generale Emilio Faldella per le ricorrenze della terza guerra d’indipendenza e del cinquantenario di Caporetto, sotto la prospettiva eminentemente militare.62 Le commemorazioni storiche, da un lato, si confermano inerenti alla tematica risorgimentale, sebbene si avvertano urgenze storiografiche minori in confronto al decennio passato e si guardi anche a una effettiva rievocazione turistica dell’itinerario dei Mille ripercorso attraverso la patriottica crociera del Touring;63 dall’altro lato, si fermano alle battaglie del primo conflitto mondiale, sempre badando bene a non toccare tasti dolenti e più recenti della storia (e dell’associazione). A parte le posizioni strategiche dei fronti illustrate da Faldella, da non dimenticare sono le pagine di guerra, completamente diverse, firmate da Giovanni Comisso. L’autore di Giorni di 60 R. Esposito, Strati, Firenze, La Nuova Italia, 1982, p. 7. S. Strati, Poeti contadini di Calabria, in «Le Vie d’Italia», anno LXVIII, n. 10, ottobre 1962, p. 1207. 62 Cfr. P. Alatri, Stranieri a Roma cent’anni fa, in ivi, anno LXVI, n. 3, marzo 1960, pp. 330-41; Id., I Mille: chi erano e di dove venivano, in ivi, n. 5, maggio 1960, pp. 572-80; Id., La traversata del Tirreno cent’anni fa: come navigarono i Mille, in ivi, n. 9, settembre 1960, pp. 1144-52; G. Candeloro, L’unità d’Italia del 1861, in ivi, anno LXVII, n. 3, marzo 1961, pp. 284-96; C. Tumiati, Gli americani e l’Italia del Risorgimento, in ivi, anno LXVIII, n. 2, febbraio 1962, pp. 168-76; E. Faldella, La campagna del 1866, in ivi, anno LXXII, n. 7, luglio 1966, pp. 772-83; Id., La battaglia dell’Ortigara, in ivi, anno LXXIII, n. 6, giugno 1967, pp. 676- e Id., Ritorno a Caporetto, in ivi, n. 10, ottobre 1967, p. 1154-67. 63 g.[iuseppe] v.[ota], Col Touring sull’itinerario dei Mille, in ivi, anno LXVI, n. 8, agosto 1960, pp. 97887. 61 341 guerra (Milano, Longanesi, 19612 e 19653), ritorna, per il mensile, sull’argomento in concomitanza con la nuova edizione longanesiana e con il cinquantenario dell’inizio delle ostilità. Ciò che colpisce subito in Comisso è come il protagonista indiscusso non sia il conflitto, bensì ciò che normalmente nelle memorie belliche è il teatro, lo sfondo posto in lontananza, ossia il paesaggio. «Tanti momenti non sono dimenticati, ma, fissati in una luce storica, stanno fuori di noi. I paesaggi invece sono sempre vivi e vibranti dentro ai nostri occhi, riapparendo se si socchiudono, emozionanti e travolgenti».64 L’inusuale propensione per la coordinata spaziale a discapito del dato storico l’ha già rilevata Isnenghi in relazione al diario bellico comissiano che «vede nel Comisso milite un giovane attirato “dalla vacanza, dall’avventura, dallo spettacolo” […] per lui la guerra non è un evento storico e politico, ma semmai una “individuale (e generazionale) esperienza dei sensi”»,65 ascrivibile nella percezione paesaggistica. «I paesaggi di quei monti perseguitavano allontanandoci da essi, per fare prelevamenti di materiale nei paesi giù nella pianura o per brevi licenze nelle città lontane dalla guerra. Ci seguivano come un profumo imbevuto dai nostri panni».66 Questo non è che l’ultimo esempio lasciato sul mensile della sensorialità comissiana, estremamente ricettiva, all’origine del suo classicismo stridente con il presente degrado. «L’Italia di cui parla Comisso non c’è più: l’abbiamo distrutta»,67 sentenzia La Capria nella prefazione alla raccolta di viaggi nel Meridione degli anni Trenta e Cinquanta ad opera dello scrittore veneto, curata da Nico Naldini (Al Sud, Vicenza, Neri Pozza, 1996). A questa distruzione spietata che si infrange su un paesaggismo di gusto neoclassico, tocca di assistere anche al medesimo Comisso, alla fine degli anni Cinquanta, quasi disarmato, difeso solo dalla sua prosa misurata ed in perfetto equilibrio degli elementi. «Dal monte Circeo si stacca a oriente il Lido di San Felice, in direzione di Terracina, qui il mare non si rompe più sulle grige [sic] rocce delle scogliere, ma su di un’aurea spiaggia, dove però, per una fretta speculativa e per una disgraziata superficialità, si è compromesso il paesaggio costruendo senza mantenere nelle costruzioni un ordine e un certo gusto d’armonia».68 Dal Circeo al natio Veneto l’armonia della sua prosa ecfrastica, 64 G. Comisso, Ricordo della Grande Guerra, in ivi, anno LXXI, n. 5, maggio 1965, p. 520. R. Damiani, N. Naldini, Notizie sui testi, in G. Comisso, Opere, Milano, Mondadori, 2002, p. 1653. 66 G. Comisso, Ricordo della Grande Guerra, art. cit., pp. 526-7. 67 Citazione riportata anche in G. Fofi, Strade maestre: ritratti di scrittori italiani, Roma, Donzelli, 1996, p. 25. 68 G. Comisso, Volto e problemi del Circeo, in «Le Vie d’Italia», anno LXV, n. 2, febbraio 1959, p. 154. 65 342 contemplante il paesaggio da un punto di vista privilegiato, da narratore ottocentesco, subisce le scosse di assestamento delle avversative denuncianti ancora una volta le violenze estetiche al senso della misura, al !"#$#, perpetrate dall’uomo sul paesaggio. La denuncia è, se vogliamo, anche quella dell’incapacità della stessa prosa comissiana de La Favorita di adattarsi «a un nuovo ‘linguaggio’, a una vita nuova»: «Sul finire degli anni Cinquanta si è messo a dipingere fiori e farfalle, e altri oli estrosi anche nei titoli. L’ultima corrispondenza di viaggio, dall’America “come vista in sogno”, è una fantasia burlesca, che “Il Gazzettino” pubblica nel gennaio ’64. Da tempo Comisso gioca con le sue piccole proprietà, le “villulae ciceroniane, pupille dell’Italia”: la casetta prefabbricata sulle rive del Piave, i pochi metri quadrati in cemento tra i pini marittimi del Circeo, dove ha sperato invano, per sua ammissione, di adattarsi “a un nuovo ‘linguaggio’, a una vita nuova”. Si lamenta sempre più spesso dell’epoca in cui “tutto è a portata di mano e tuttavia inafferrabile”, della perdita di “una coscienza dell’eternità”».69 Stando ai reportages comissiani delle «Vie d’Italia», che vengono definiti tali dalle presentazioni redazionali adoperando le virgolette, quasi a porre distinzioni tra il genere giornalistico propriamente detto e le sue prose di viaggio, in un solo luogo la grazia e l’armonia del paesaggio urbanizzato rimangono intatte. Ad Asolo, sulle colline vicino a casa, l’avversativa comissiana ha un lieto fine, condensato nella figura dell’albergatore Giuseppe Cipriani, portatore di una filosofia dell’ospitalità semplice, ma raffinata, rispettosa dei luoghi cari alla Duse e a Robert Browning: «Asolo ha vissuto e vive di questi forestieri. Ma chi da poco ha salvato decisamente Asolo dallo sperdersi in una dissoluzione anonima di un turismo di massa è stato Giuseppe Cipriani».70 Diversamente, in tutti gli altri reportages, omessi dallo spoglio del «Meridiano», il paesaggio comissiano ne esce sconfitto, parimenti ai suoi viaggi, che, a parte i contributi odeporici pubblicati in questa sede dalla fine degli anni Cinquanta ai primissimi anni Sessanta, preferiscono farsi eminentemente libreschi, dando vita ai saggi sulla letteratura ottocentesca (Foscolo, Leopardi, Manzoni, Nievo, Fogazzaro, Verga e D’Annunzio), che costituiscono il Viaggio in libreria, pubblicato a puntate sul 69 70 R. Damiani, La sola verità dell’attimo, in G. Comisso, Opere, cit., p. LVII. G. Comisso, La grazia di Asolo, in «Le Vie d’Italia», anno LXIX, n. 12, dicembre 1963, p. 1454. 343 «Mondo» nel 1960. In questo periodo si ha così un doppio Comisso viaggiatore, quello di carta per Pannunzio e quello fisico e pedestre per il Touring che deve fare costantemente i conti contro la speculazione, che tarpa le ali al bello, scaturito dai sogni: «nel passeggiare per le strade vicentine nelle notti di plenilunio, allora il bianco delle pietre scatta tra il nero colato dal tempo e le ombre dei vuoti, e le bianche statue sui fastigi stanno per ridestarsi dal loro sonno pietroso, mentre i palazzi diventano vascelli naviganti nella notte che l’umida terra vela di nebbia. Allora si comprende che solo un portentoso sogno li ha fatti scaturire. Purtroppo neanche Vicenza, più sacra di Delfo, per la sua architettura è rimasta preservata, non dico dai bombardamenti, ma dalla valanga della nuova edilizia. Con retorica modernista, in un quartiere periferico è stata costruita una via Milano per sfidare coi grattacieli gli archi, le colonne e le logge di quello scalpellino Andrea di Pietro, detto il Palladio, che il suo protettore Trissino aveva corrotto agli schemi di Vitruvio».71 La sacralità non solo naturale ma pure architettonica viene infangata, lasciando un inerme Comisso alle sue amare constatazioni. Eppure non ovunque tutto è andato completamente perduto come a Vicenza: «Esiste un’architettura lagunare veneta che ha i suoi schemi tradizionali e così razionalmente tipici che dovrebbe essere non solo studiata, ma assolutamente difesa».72 Non rimane che la strenua tutela di quel che resta, da strappare all’anonimato e all’omologazione delle strutture moderne, difendendo la tipicità del luogo, che l’esperto traveller Comisso sa accostare ad altri esempi (stranieri) di tipicità preservata con successo. Nel Veneto dello scrittore-viaggiatore trevigiano, in quella regione galleggiante sull’acqua, da sempre porta dell’Est con Venezia, rivivono Occidente e Oriente: l’Olanda ingegneristica dei polders e l’arte millenaria del Giappone.73 Sarebbe errato tuttavia pensare a un estetismo misoneistico, negante i cambiamenti portati del progresso: Comisso non si pone mai contro la modernità, bensì contro la cieca rottura dell’armonia stilistica e antropologico-paesaggistica a fini di lucro, non garante di un effettivo sviluppo e benessere. Ben vista dunque è 71 G. Comisso, Realtà di Vicenza, in ivi, anno LXIX, n. 7, luglio 1963, pp. 794-5. G. Comisso, Caorle come problema, in ivi, anno LXV, n. 11, novembre 1959, p. 1394. 73 Cfr. l’articolo di G. Comisso sul Museo d’Arte Orientale, Finestre sull’«Orientale» di Venezia, in ivi, anno LXIX, n. 4, aprile 1963, pp. 389-400. 72 344 l’industrializzazione in Carnia, poiché illuminata, legata al suo territorio: «Importanti sono i numerosi complessi delle segherie e dell’utilizzazione dei sottoprodotti del legname nelle cartiere e nella fabbricazione del compensato».74 A leggere questi reportages per la maggior parte dall’area triveneta, nonostante i rinvii al Giappone e ai polders, vengono in mente le parole di Piovene, che nella querelle con Pasolini e Parise, ha rivendicato il sostrato veneto dello scrittore trevigiano: «Comisso ha dentro di sé gli assilli del Veneto come li ha il Veneto, che tende ad evaderne in belle forme, armonie di colore; li contiene visceralmente non ne fa oggetto di discorso intellettuale».75 Da annotare che a proseguire la denuncia dei problemi dell’area nordorientale, da Chioggia a Venezia, durante la direzione di Rusca sarà uno scrittore di fantascienza come Giulio Raiola, pioniere italiano di questo nuovo genere paraletterario, valvola di sfogo critica di tutti gli assilli e le paure dell’uomo del progresso tecnologico, incapace di curare le malattie mostruose che egli stesso crea.76 Dal Nord-Est al Nord-Ovest: lo scrittore che sulle «Vie d’Italia» e nella sua produzione letteraria è più attento ai mutamenti e alle problematiche del paesaggio piemontese tra il 1959 e il 1960, è Giovanni Arpino. Questi è appena consacrato dalla critica per il suo romanzo d’ambientazione torinese, La suora giovane, edito tra i «Coralli» di Einaudi, ed entra nel circuito delle collaborazioni giornalistiche engagées, abbandonando «Il Mondo» e passando ai più orientati «Paese Sera», «Il Contemporaneo» e «Vie Nuove».77 Tuttavia, sia Massimo Romano sia Rolando Damiani, curatore del recente «Meridiano», nei loro spogli si dimenticano delle «Vie d’Italia». Eppur totalmente condivisibili anche per la nostra rivista sono le notazioni in merito al peculiare tratto geografico-letterario che pone, pur con le dovute distinzioni, lo scrittore adottivo di Bra sulla linea di Fenoglio e di Pavese, coi quali egli stesso direttamente si confronterà:78 «il paesaggio delle Langhe è descritto nella multiforme 74 G. Comisso, La Carnia, in ivi, anno LXVI, n. 9, settembre 1960, p. 1139. Cfr. anche Id., La grande strada delle Dolomiti nel cinquantenario, in ivi, anno LXV, n. 4, aprile 1959, pp. 438-53. 75 N. Naldini, Cronologia, in G. Comisso, Opere, cit., p. XCV. 76 Cfr. G. Raiola, Gli eremiti del mare, in «Le Vie d’Italia», anno LXIX, n. 10, ottobre 1963, pp. 1195206; Id., La Riviera Adriatica è troppo affollata, in ivi, anno LXX, n. 5, maggio 1964, pp. 536-49; Id., Triste sorte della laguna veneta, in ivi, anno LXXI, n. 3, marzo 1965, pp. 264-76; Id., I problemi di Chioggia, in ivi, anno LXXII, n. 2, febbraio 1966, pp. 140-153 e Id., La marina d’Italia, in ivi, n. 10, ottobre 1966, pp. 1187-99. 77 Cfr. R. Damiani, Cronologia, in G. Arpino, Opere scelte, Milano, Mondadori, 2005, pp. LXXVIILXVIII. 78 Cfr. G. Arpino, Pavese, poeta non profeta, in «Il Giornale», 24 agosto 1980, e Id., Fenoglio: un piemontese di campagna, in «Il Giorno», 1° maggio 1963; articoli entrambi riediti in Id., Opere scelte, 345 varietà dei suoi aspetti, che segnano il variare della stagione, l’avvicendarsi del giorno e della notte, del momento e dell’ora, della luce e dell’ombra. Le colline non sono mai uguali, ma continuamente mutevoli nel trascolorare della luce».79 L’osservazione trova presto riscontro testuale anche nel mensile: «Entrando nella pianura attraverso la Statale 29, dalle parti di Alessandria e Casale, o attraverso la Statale 22, dalle parti di Torino, si incontrano paesaggi profondamente diversi: la “provincia granda” non lesina di mostrare una sua metamorfosi continua».80 Una metamorfosi che si spinge ben oltre i territori nazionali, per guardare all’America, come gli illustri predecessori conterranei: «Qua, tra le Langhe, il panorama è texano, prosegue con ondulazioni maestose e selvatiche, là invece si offre secondo un progredire di piani ricchi, che si spengono ai confini delle Alpi chiuse attorno alla distesa dei prati verdi come un anello compatto».81 Lontano dalla Langa mitica di Pavese o da quella resistenziale di Fenoglio, il cuneese di Arpino è intriso delle medesime immagini nordamericane: «Non a caso Arpino ha detto in più occasioni di sentirsi uno scrittore americano costretto a scrivere in italiano».82 Accanto a questo, nelle Langhe dell’Arpino engagé del biennio 1959-1960, c’è dell’altro, irrisolvibilmente problematico, che si ritroverà ancora nell’elzeviro uscito sulla «Stampa» del 29 maggio 1975, dal titolo emblematico Madre Langa e dalla chiusa altrettanto significativa: «Un contadino zappa, un altro maledisce [sic] la moglie in ritardo con la minestra, un terzo respira male, dal suo letto solitario di vecchio che muore. E muore dicendo: “Non vendete”. La Langa materna è anche questa realtà. Ma si è venduta».83 Questa sua svendita comporta i problemi dello spopolamento, le piene dei fiumi, l’alto tasso di ruralità, le difficoltà del mondo contadino a far fronte a nuove logiche produttive, vedi ad esempio l’indagine condotta sulla crisi della produzione del riso in Italia84 e, non ultimo, «una certa specie di turismo attuale, divorato dalla smania di accumulare chilometri: mentre questa zona [ndr.: il cuneese] è fatta per muoversi con circospezione, curiosità, senza fretta».85 Il 1959 segna l’ingresso pure di Carlo Cassola negli indici della rivista cit., rispettivamente alle pp. 1657-60 e pp. 1661-3. 79 M. Romano, Invito alla lettura di Arpino, Milano, Mursia, 1974, p. 99. 80 G. Arpino, Aspetti e problemi del cuneese, in «Le Vie d’Italia», anno LXVI, n. 2, febbraio 1960, p. 212. 81 Ibidem. 82 M. Romano, Invito alla lettura di Arpino, cit., p. 19. 83 G. Arpino, Madre Langa, in «La Stampa», anno CIX, n. 121, supplemento speciale del 29 maggio 1975, p. 1, riedito in Id., Opere scelte, cit., pp. 1653-6. 84 G. Arpino, La pianura del riso, in «Le Vie d’Italia», anno LXV, n. 6, giugno 1959, pp. 748-57. 85 G. Arpino, Aspetti e problemi del cuneese, art. cit., p. 215. 346 dimenticati dalle bibliografie.86 Circa le collaborazioni giornalistiche cassoliane del 1959, destinate in generale a rarefarsi, varrà la pena riportare la contestualizzazione fornita dall’autore stesso, in una lettera-lamento con il proprio editore, Giulio Einaudi, datata 10 gennaio: «non posso più di continuare ad andare avanti come ho fatto finora, con uno stipendio di professore assolutamente insufficiente e la necessità di dovermi arrangiare con collaborazioni giornalistiche che mi stancano e distraggono dal mio lavoro proprio ora che dovrei invece metterci tutto l’impegno».87 In effetti, nell’anno di composizione de La ragazza di Bube, destinato alla consacrazione dello Strega nel 1960, le energie per l’autore non devono andar disperse. Eppure, almeno dal punto di vista delle geografie letterarie cassoliane, poco va disperso nella Maremma di Bube e nei reportages «casalinghi» delle «Vie d’Italia», ed è lo stesso scrittore a metterci su questa via: «Cassola dice: lo scrittore può parlare solo di ciò che conosce».88 Per questo le geografie della poetica cassoliana non si discostano da quelle autobiografiche, e non costituiscono certo un’eccezione i due articoli editi sulle «Vie d’Italia», che aprono la strada alle collaborazioni dell’amico Luciano Bianciardi con il Touring, maggiormente dense e prolungate. Prima di giungere al Monte Amiata illustrato dal primo articolo di Bianciardi, vale la pena soffermarsi sulla Grosseto e sulla Maremma cassoliane: «Per parte mia potrei aggiungere che, nel ’44, alcuni soldati americani mi dissero che a loro Grosseto piaceva molto: ci ritrovavano infatti qualcosa delle loro cittadine. È dunque anonima a tal punto Grosseto che potrebbe trovarsi non soltanto nella pianura padana, ma addirittura nel Middle West?».89 Di nuovo, l’America come termine di paragone, ultima frontiera letteraria esportata assieme alla democrazia e al consumismo onnivoro e omologante, presente anche nella Grosseto-Kansas City di Bianciardi: «“Si cresce, si cresce” fece il giornalista. “La città si espande, conquista la campagna. Questa è la frontiera, l’America, Kansas City”».90 Eppure, per Cassola «con tutto ciò Grosseto non è un “paesone” anonimo, un luogo qualunque, un posto come tanti; al contrario, ha una 86 Cfr. C. Cassola, Racconti e romanzi, a cura e con un saggio introduttivo di A. Andreini, Milano, Mondadori, 2007. 87 Lettera riportata nella Cronologia contenuta in C. Cassola, Racconti e romanzi, cit., p. CIII. 88 G. Manacorda, Invito alla lettura di Cassola, Milano, Mursia, 1973, p. 123. 89 C. Cassola, Grosseto, in «Le Vie d’Italia», anno LXV, n. 2, febbraio 1959, pp. 190-1. 90 L. Bianciardi, Vitelloni anche loro, in «La Gazzetta», 27 ottobre 1953, ripubblicato in Id., L’antimeridiano. Opere complete, a cura di Luciana Bianciardi e M. Coppola, Milano, Isbn, 2008, vol. II, Scritti giornalistici (1952-1971), p. 244. 347 sua precisa fisionomia, frutto di una storia veramente singolare: singolare e tragica».91 La tragicità sta nella storia rievocata fino agli ultimi bombardamenti e nell’asprezza di sempre della vita paesana e contadina, che connota la sua poetica, «ma si è trattato di mali passeggeri. Proprio in questo dopoguerra, infatti, lo sviluppo di Grosseto ha assunto un ritmo vertiginoso».92 Immigrati del Sud vi si instaurano per poter lavorare nelle miniere dell’Amiata, sovrappopolando l’area, che nella sua parte costiera conosce pure un rinomato sviluppo turistico. Ed è su quest’ultimo punto e sulla più consueta ricapitolazione storica, che Cassola preferisce dilungarsi in codesta sede,93 lasciando alla raccolta giornalistica scritta a quattro mani con Bianciardi e commissionata dall’«Avanti!», I minatori della Maremma,94 l’indagine vera e propria delle condizioni di lavoro a cottimo, dei disagi, delle lotte della vita in miniera e delle morti risarcite dagli imputati della Montecatini per la tragedia di Ribolla del 4 maggio 1954. Parimenti, Luciano Bianciardi nel febbraio del 1960 propende per smorzare i toni dell’inchiesta e dell’accusa, che invece caratterizzano articoli apparsi in altre sedi95 e che pure ritornano, proprio in relazione a questo episodio, ancora due anni dopo nel romanzo edito da Rizzoli, La vita agra. Sul mensile del Touring anche il grossetano Bianciardi tende ad accentuare il leitmotiv del portrait turistico: «l’Amiata non è più soltanto un luogo da “estatatura” per i “buzziverdi” della Maremma (qui si va per le spicce, in quanto a soprannomi […]). È nata insomma l’industria del turismo»,96 in particolare sciistico. I temi però cari alla sua intera produzione, sia letteraria sia giornalistica, si fanno strada sulla rivista con i successivi reportages milanesi, stando sempre «dalla parte dei badilanti», come ama dire il consapevole e critico intellettuale moderno, il cui punto di vista anche dopo il trasferimento nella metropoli rimarrà quello dei subalterni, quello dell’operaio schiettamente toscano di fronte all’ipocrisia frenetica mondano-metropolitana. Programmatico l’intervento del dicembre 1960, l’unico riedito nell’Antimeridiano delle edizioni Isbn, sull’esercito dei pendolari milanesi che di mattina invade la città, ritirandosi meccanicamente ogni sera. Si tratta di un vero e 91 C. Cassola, Grosseto, art. cit., p. 194. Ivi, p. 198. 93 Cfr. C. Cassola, Viaggio nella Maremma toscana, in ivi, anno LXV, n. 6, giugno 1959, pp. 714-24. 94 Gli articoli sono poi confluiti senza distinzione d’autore in L. Bianciardi, C. Cassola, I minatori della Maremma, Bari, Laterza, 1956. 95 Cfr. l’articolo uscito sulla storica rivista turatiana a firma di L. Bianciardi, Ribolla è morta, in «Critica sociale», anno LXVIII, 5 marzo 1959, riedito in Id., L’antimeridiano. Opere complete, cit., vol. II, Scritti giornalistici (1952-1971), pp. 855-9. 96 L. Bianciardi, Giro del Monte Amiata, in «Le Vie d’Italia», anno LXVI, n. 2, febbraio 1960, p. 156. 92 348 proprio reportage di viaggio metropolitano, slegato totalmente dalla tradizione odeporica italiana più disimpegnata e dagli elzeviri turistici tipici del mensile. Un genere in cui l’autore si è già cimentato su altre testate di deciso orientamento politico, quali «Il Contemporaneo» e «L’Unità»,97 dando prova di un impietoso occhio critico dalle periferie milanesi, «Metanopoli» d’Italia, a contorno della modernissima «Capitale morale» come, ai tempi post-risorgimentali, l’aveva battezzata il Bonghi sulla «Perseveranza». Di quale genere di morale si possa parlare in relazione alla metropoli «usa-e-getta» de La vita agra, c’è ancora tanto da discutere, e Bianciardi, voce engagée della provincia toscana è funzionale proprio a questo, anche in una sede più ingessata e patriotticamente ambrosiana come quella di Corso Italia, alle prese con una forte rimessa in discussione della sua ideologia progressista di fronte alla degenerazione culturale e ambientale della penisola. Lucidissima e vivida è l’analisi di chi paga «lo scotto più duro alla prosperità della metropoli»: i soliti pendolari dalle periferiedormitorio dell’inurbamento selvaggio, «sangue fresco» giornaliero per «un gigantesco ritmico organismo», affatto riconoscente: «Quando si parla di “miracolo italiano”, non dovremmo mai dimenticare che quell’ammirevole balzo in avanti della nostra produzione e in generale della nostra economia, nel nord dell’Italia, non va solamente ad onore del progresso tecnico o di una più accorta e alacre direzione. Se l’Italia oggi sta alla pari di molti Paesi europei, e può permettersi di entrare sui grandi mercati in concorrenza con gli altri, dipende anche dalla tenacia e dallo spirito di sacrificio di chi lavora, di chi lavora così, come questi duecentocinquantamila italiani che ogni giorno “invadono” Milano».98 La città del Touring, agli occhi del grossetano, tuttavia sembra ancora riuscire a salvarsi. 97 Cfr. L. Bianciardi, Sciopero a Sesto San Giovanni, in «Il Contemporaneo», 3 luglio 1954, ripubblicato in Id., L’antimeridiano. Opere complete, cit., vol. II, Scritti giornalistici (1952-1971), pp. 681-90; Id., Lettera da Milano, in «Il Contemporaneo», 5 febbraio 1955, poi in Id., L’antimeridiano. Opere complete, cit., vol. II, pp. 700-5; Id., Metanopoli: la città per i tecnici, in «Il Contemporaneo», 9 febbraio 1957, poi in Id., L’antimeridiano. Opere complete, cit., vol. II, pp. 713-7; Id., Specialisti a Milano, in «L’Unità», 8 giugno 1955, riedito in Id., L’antimeridiano. Opere complete, cit., vol. II, pp. 749-51; Id., I frenetici, in «L’Unità», 1° maggio 1956, poi in Id., L’antimeridiano. Opere complete, cit., vol. II, pp. 791-3; Id., Rivoluzione a Milano, in «L’Unità», 3 giugno 1956, poi in Id., L’antimeridiano. Opere complete, cit., vol. II, pp. 800-2. 98 L. Bianciardi, La folla del mattino a Milano, in «Le Vie d’Italia», anno LXVI, n. 12, dicembre 1960, p. 1602, articolo riedito in Id., L’antimeridiano. Opere complete, cit., vol. II, Scritti giornalistici (19521971), pp. 863-9. 349 Nel suo lume ottocentesco più intimo permane la Milan col cæur in man, grazie all’esistenza di istituzioni «necessarie alla redenzione umana»,99 come l’Umanitaria, di cui Bianciardi traccia un profilo, esaltandone il valore pedagogico della formazione offerta e delle biblioteche popolari nel Meridione riportate in auge dall’attuale presidente: Riccardo Bauer, il fondatore, assieme a Parri, del «Caffé», foglio antifascista dove è cresciuto il binomio del Touring Mira-Rusca, sulle ceneri della Consociazione. «Ebbene, chi ha visto l’Umanitaria, chi ha conosciuto il suo presidente, si augura che un giorno Milano tutta diventi così: veramente moderna»,100 moderna come il tessuto associativo che anima la città, Touring compreso, impegnato a rinnovarsi per non soccombere con idee reazionarie, eppur troppo innovative per essere accolte dal turismo di massa, a promuovere nella società civile un turismo sociale, equo, consapevole e democratico, col quale Bianciardi simpatizza.101 La sede editoriale, grazie anche a questa firma di inviato, di intellettuale anarchico in un contesto tardo-ottocentesco e insieme antifascista, si rimoderna all’insegna di un nuovo motto: informare, documentare, fotografare anziché illustrare, abbozzare, pennellare. Tra le tipologie degli articoli letterari s’è visto decadere il classico elzeviro Touring, ricco di nozioni geografico-storico-artistiche, «mentre han preso piede, da una parte il resoconto di viaggio, disinvolto, immediato, autobiografico, di cui si apprezza quanto vi è di vivo e di diretto […] e, dall’altra, su di un piano superiore, il saggio interpretativo più pensoso e impegnativo, di molto maggiore peso culturale e morale (Moravia, Piovene, ecc.)».102 Appunto Moravia, indicato da Mira come modello di nuova prosa odeporica, collaboratore tanto agognato dal direttore del mensile, approda in Corso Italia nel 1959 per lasciare un trittico di reportages dal Sud d’Italia: dalla costa calabrese a Segesta, risalendo all’isola di Graziella, ossia Procida. Le date di pubblicazione dei contributi moraviani, comprese tra il 1959 e il 1960, sono in questo caso più che mai significative, non solo dal punto di vista letterario, bensì 99 Cfr. C. E. Gadda, La meccanica, in Id., Opere, Romanzi e racconti, vol. II, cit., pp. 497-8. L. Bianciardi, La società umanitaria di Milano, in «Le Vie d’Italia», anno LXVII, n. 2, febbraio 1961, p. 212. 101 L. Bianciardi, Un cronista al terzo Congresso internazionale del turismo sociale, art. cit. Per completezza rispetto al volume degli scritti giornalistici contenuti nell’Antimeridiano, segnalo i restanti articoli bianciardiani scritti per il Touring, ivi assenti: L. Bianciardi, Libri di viaggio e guide di tutti i tempi, in «Le Vie d’Italia», anno LXVII, n. 8, agosto 1961, pp. 988-96, sulla raccolta di Luigi Vittorio Fossati Bellani; Id., Porte aperte a Palazzo Rosso, in ivi, n. 12, dicembre 1961, pp. 1568-77; Id., Il museo di Maria Luigia, in ivi, anno LXVIII, n. 5, maggio 1962, pp. 561-8 e, infine, Id., Villa d’Este a Tivoli, in ivi, n. 9, settembre 1962, pp. 1098-108. 102 G. Mira, Relazione delle «Vie d’Italia», cit., pp. 12-13. 100 350 anche da quello strettamente autobiografico. Nel 1960 Moravia apre con «nuovo slancio» gli anni a venire accanto a Dacia Maraini: si trasferisce dalla casa di Elsa Morante in via dell’Oca a quella dell’altra scrittrice in Lungotevere della Vittoria.103 Nel medesimo anno esce sulle «Vie d’Italia» il reportage dall’isola, scenario del mai citato romanzo della Morante. Forse un addio fra le righe, forse un omaggio sottaciuto, all’autrice de L’isola di Arturo, edenica e materna, meravigliosa menzogna, da cui, come il giovane protagonista, ci si è inevitabilmente staccati, dopo anni di incantamento.104 Il descrittivismo moraviano ancorato alla materia terrestre, preciso e senza scampo nell’aggettivazione bina, tipica sia del romanziere sia del viaggiatore, come dà prova pure sul mensile dalla costa campano-calabra sino in Sicilia,105 proprio sull’isola di Arturo cede al meraviglioso: «da lontano, la vista è senza dubbio orientale, di un oriente da Mille e una notte, che si stupisce di ritrovare così magicamente intatto».106 Solo mentre si avvia verso il rientro del viaggio procidano, esce dalle tele immaginifiche intessute sull’isola della maga Elsa. Di fronte al penitenziario, in procinto di lasciare l’isola morantiana, già presentata dal mensile del Touring nel 1948 sotto l’emblematico titolo Procida, fidanzata del mare,107 riprende la consueta asciuttezza e il tipico sguardo indagatore-interpretativo, consono ai migliori reportages della moderna odeporica: «Intravedo i pantaloni di cotone a strisce, le lunghe catene che vanno dai polsi alle caviglie. Come salgono nella macchina, cerco di osservare le facce. […] A Procida, a quanto mi dicono, vengono rinchiusi soltanto i criminali condannati a pene non inferiori ai vent’anni, dunque per delitti molto gravi. Eppure quei gesti suggeriscono piuttosto la spaventevole incombenza della lunga pena che la consapevolezza del crimine compiuto».108 L’anno seguente, il 1961, consacra Sciascia con Il giorno della civetta, primo nonché indiscusso «mafiologo» della letteratura italiana. Nessun’altra parola come quella sciasciana può aprire le porte della Sicilia degli anni Sessanta, in transizione dalla mafia del feudalesimo contadino a quella urbana più organizzata e ad ampio raggio. Nel 103 A. Moravia, A. Elkann, Vita di Moravia, Milano, Bompiani, 1990, pp. 212-3. Per un’analisi del romanzo morantiano e l’interpretazione dell’isola-grembo materno-prigione si veda G. Rosa, L’isola dell’iniziazione impossibile in Ead., Cattedrali di carta. Elsa Morante romanziere, Milano, Il Saggiatore, 1995, pp. 105-164. 105 Cfr. A. Moravia, Il mare fra Sapri e Paola, in «Le Vie d’Italia», anno LXV, n. 5, maggio 1959, pp. 560-7 e Id., Visita a Segesta, in ivi, anno LXVI, n. 1, gennaio 1960, pp. 12-9. 106 A. Moravia, L’isola di Graziella, in ivi, anno LXVI, n. 12, dicembre 1960, p. 1566. 107 Cfr. G. Marotta, Procida, fidanzata del mare, in ivi, anno LIV, n. 9, settembre 1948, pp. 809-17. 108 A. Moravia, L’isola di Graziella, art. cit., p. 1572. 104 351 1962 i lettori delle «Vie d’Italia» hanno quindi la fortuna di poter leggere il suo unico articolo ivi pubblicato, scritto da un paese dell’entroterra siciliano, ancora enclave del feudalesimo: Mazzarino, non sfuggito ai curatori de La memoria di carta. Bibliografia delle opere di Leonardo Sciascia.109 «Quando si afferma che Sciascia non appartiene al meridionalismo si intende ovviamente quest’ultimo in accezione assolutamente negativa, identificandolo cioè con il provincialismo, il populismo, il bozzettismo e con tutte le possibili degenerazioni di tale letteratura»:110 ecco, in questo senso, l’intervento siciliano di Sciascia si distingue completamente da tutti gli altri articoli di medesima ambientazione e produzione meridionale per il suo punto di vista esterno, alla ricerca dell’oggettività e del lume del vero. A Mazzarino, Sciascia ci arriva da fuori, «in macchina, da Caltanissetta, dopo quarantatre chilometri di strada tutta curve e controcurve».111 Questo punto di vista distaccato, costruito dall’ironia tagliente di un siciliano in Sicilia fuori dall’ordinario, riesce a non cadere nell’isolazionismo vittimistico, al contempo fiero. Da bravo illuminista antiteleologico, è tutto orientato a sottolineare l’importanza di un’istruzione laica atta a costruire le fondamenta di una libera società civile, la quale non ha mai potuto concretamente nascere in una storia come quella siciliana, fatta dal susseguirsi ininterrotto di dominazioni. Con ironia impietosa, diversa dall’umorismo pirandelliano, Sciascia constata come «l’inutilità di sapere del resto è ancora oggi rappresentata dal numero dei quotidiani che si vendono ogni mattino: un’ottantina in tutto».112 Ma il «mafiologo» della nostra letteratura non solo guarda ai lumi, così estranei all’isola: la sua Sicilia, «la vera Sicilia di Sciascia – quella che egli ogni tanto vagheggia con la fantasia senza ricorrere alla lente della ragione – è quella araba, quella del poeta Ibn Hamdis, del geografo Idrisi, dei fiumi fluenti d’acque, delle palme rigogliose».113 Ed è una Sicilia dotta e non cristiana, lontana dalla tradizione occidentale, che «dà fastidio quasi quanto l’istruzione obbligatoria».114 La rievocazione storica del paese, tipica dell’«elzeviro Touring» con Sciascia assume caratteri davvero inediti, virando nel vivo della politica siciliana, fino 109 Cfr. V. Fascia, F. Izzo, A. Maori, La memoria di carta. Bibliografia delle opere di Leonardo Sciascia, Milano, Otto/Novecento, 1998, p. 35. 110 R. Esposito, Strati, cit., p. 17. 111 L. Sciascia, Un grosso paese di Sicilia, Mazzarino, in «Le Vie d’Italia», anno LXVIII, n. 11, novembre 1962, p. 1370. 112 Ivi, p. 1376. 113 G. Traina, Leonardo Sciascia, Milano, Bruno Mondadori, 1999, p. 201 114 L. Sciascia, Un grosso paese di Sicilia, Mazzarino, art. cit., p. 1373. 352 alle elezioni amministrative del dopoguerra con i galantuomini vincitori, spodestati soltanto nel 1952 da una lista civica di intellettuali e lavoratori, posti di fronte alla massa del popolo ignorante e sempre ignorato. 6.5 NEL SEGNO DELLA TRADIZIONE Nonostante queste innovazioni apportate da firme canoniche della letteratura nostrana, la classica presentazione storico-artistica delle bellezze italiane, nascoste, ancora da scoprire o da riscoprire, non va in pensione. Ancora nel 1961 l’editore Mario Spagnol, all’epoca alla Feltrinelli assieme a Bianciardi, illustra le meraviglie architettoniche e le vicende, gli aneddoti che si celano nel duomo di Orvieto,115 mentre sul fronte della progettazione editoriale più ampia, al di là della rivista madre, il Touring sul finire degli anni Cinquanta inaugura la nuova serie della collana «Attraverso l’Italia», che durerà fino ai primissimi anni Settanta, quando lo sforzo illustrativo, ormai esaurito sul fronte nazionale, si amplierà al vecchio continente, diviso nei blocchi e tra allineati e non, con la collana «Attraverso l’Europa». I nomi che circolano per la nuova italica serie li ritroviamo, o li abbiamo già ritrovati, sul mensile, associati alle rispettive regioni di appartenenza: Antonicelli per il Piemonte, Sacchi e Valeri per il Veneto, Sanminiatelli per la Toscana, Praz per il Lazio, Brambilla per la Lombardia, Bo per la Liguria, Strati per la Calabria, e Giuseppe Raimondi, erede del Bacchelli, per l’Emilia Romagna. Quest’ultimo, prosatore d’arte raffinatissimo, autodidatta rondista, è ancora, sia nella collana sia negli articoli editi dal mensile, il viandante incuriosito che si attarda per le calli e sotto i porticati bolognesi, nelle piazze ferraresi avvolte dalla nebbia, sempre teso al lirismo e all’inconsistenza della materia, agli antipodi della solidità muraria del Bacchelli. Valga l’esempio incipitario della prosa ferrarese: «La città affondava in un mare di nebbia, quasi che il cielo e tutto il mondo intero non fossero che nebbia: un morbido, un lento, un vasto vapore impalpabile, e senza colore».116 Col Raimondi prosegue la tradizione dei ritratti emiliano-romagnoli portata avanti negli anni 115 M. Spagnol, Il duomo di Orvieto, in «Le Vie d’Italia», anno LXVII, n. 1, gennaio 1961, pp. 66-76. G. Raimondi, Ferrara e i suoi pittori, in ivi, anno LXV, n. 4, aprile 1959, p. 454; l’articolo prosegue nel mese di maggio a p. 621. Si veda anche Id., Vecchia Bologna, in ivi, n. 1, gennaio 1959, pp. 14-22 e i testi del volume a firma di R. Bacchelli e G. Raimondi, Bologna e Romagna, Milano, TCI, 1964. 116 353 Cinquanta dal disegnatore, pubblicista e narratore riminese, Luigi Pasquini, e dal critico letterario, amante della montagna, Attilio Borgognoni, entrambi interessati al Pascoli e al suo paesaggio.117 Nemmeno la critica letteraria è dunque estromessa dal mensile, nonostante i propositi di un ritorno all’argomento eminentemente turistico con tutte le sue problematiche di tutela del paesaggio e con una nuova e decisa propensione al reportage, all’indagine e all’inchiesta di natura giornalistica. Francesco Flora, erede a Bologna della cattedra del Carducci, si presta, in più occasioni, non solo alla presentazione editoriale del volume partenopeo della rinnovata Guida d’Italia, bensì anche alla rievocazione critica del solito Pascoli a cinquant’anni dalla morte.118 Parimenti la critica d’arte stricto sensu continua ad avere particolare rilevanza all’interno della pianificazione redazionale. Di più: stando ai propositi della più volte citata relazione di Mira e guardando agli articoli di materia archeologica, pittorica e architettonica, per tutto l’ultimo decennio, anche sotto la direzione di Rusca, assolutamente in soluzione di continuità, si conferma l’importanza e la necessità della valorizzazione del nostro patrimonio, dei nostri artisti, sia dal punto di vista testuale che iconografico: «questo, di rivelare in piena luce opere d’arte che normalmente non possono essere viste in buone condizioni, è uno dei compiti che Le Vie d’Italia potrebbe spesso assumersi, prendendo accordi con Sovrintendenze e fotografi».119 L’illustrazione grafica e verbale tipica del Touring assume non più soltanto valenza pedagogica, bensì si erge pure a baluardo della tutela e della conservazione, così come già anticipato con le inchieste giornalistiche sul versante paesaggistico in favore della protezione ambientale e contro il consumo affaristico del territorio. A parte questi due aspetti della salvaguardia e della nuova funzione fotografica, riscontrabili anche negli altri ambiti, gli articoli di materia storico-artistica restano elzeviri di critica, presentazioni di musei, collezioni e monumenti, portraits di pittori e scultori in ricorrenze particolari, affidati ad archeologi, storici e critici del settore, con talvolta l’accompagnamento delle preziose 117 Cfr. l’articolo e gli acquarelli di L. Pasquini, Il paesaggio romagnolo nella poesia di Giovanni Pascoli, in «Le Vie d’Italia», anno LVI, n. 4, aprile 1950, p. 464 e di A. Borgognoni, Nel centenario della nascita: Giovanni Pascoli poeta rurale, in ivi, anno LXI, n. 7, luglio 1955, pp. 853-60. Sempre del Borgognoni è l’articolo di argomento montano che fa compagnia a quelli dei vari Saglio, Brambilla, Buzzati e Campiotti, L’inverno e l’alpinismo d’alta montagna, in ivi, anno LX, n. 3, marzo 1954, pp. 345-7. 118 F. Flora, Napoli e il suo golfo nella guida del Touring, in ivi, anno LXVII, n. 10, ottobre 1961, pp. 1275-88, continua il mese successivo alle pp. 1414-26; e Id., Giovanni Pascoli a cinquant’anni dalla morte, in ivi, anno LXVIII, n. 6, giugno 1962, pp. 680-91. 119 G. Mira, Relazione delle «Vie d’Italia», cit., p. 16. 354 quattro tavole a colori.120 A testimoniare l’assenza di rotture sono ancora nomi della rivista all’epoca della Consociazione: l’archeologo Giuseppe Lugli121 e il critico Marziano Bernardi, sebbene in quest’ultimo sia riscontrabile un certo sperimentalismo critico, che lo porta sia ad accostarsi al genere dell’intervista in occasione dell’incontro con il pittore contemporaneo Felice Casorati, sia a celebrare il centenario della nascita dell’industriale fondatore della FIAT.122 Accanto a loro, gli altri collaboratori in materia sono i critici Marco Valsecchi, Guido Perocco123 e lo storico direttore della «Fiera Letteraria», Giovanni Battista Angioletti, che negli ultimi anni dal suo ritiro partenopeo, oltre a continuare a collaborare con «La Stampa» con la serie di articoli intitolata Passeggiate italiane, svela ai lettori del periodico le meraviglie pittoriche di Capodimonte e i segreti di Montevergine e della villa Pignatelli di Napoli.124 Rispetto agli articoli pubblicati sul quotidiano torinese e presenti nella bibliografia del bel volume monografico curato da Luca Saltini,125 nei quattro articoli scritti per il Touring, dei quali negli Archivi di Cultura Contemporanea di Lugano rimane traccia della 120 Cfr. M. Valsecchi, Il pittore Ottone Rosai con quattro tavole a colori di Guido Biffoli, in «Le Vie d’Italia», anno LXVI, n. 8, agosto 1960, pp. 1014. 121 Cfr. G. Lugli, Che cosa dicono i cippi sulle vie romane, in ivi, anno LXVI, n. 5, maggio 1960, pp. 63544 e Id., Lungo l’Appia alla fine del Settecento, in ivi, anno LXVII, n. 2, febbraio 1961, pp. 225-31. 122 M. Bernardi, Il lungo cammino di Felice Casorati, in ivi, anno LXIX, n. 2, febbraio 1963, pp. 132-43. Dello stesso critico, orientato su versanti artistici più contemporanei, si guardi pure Id., Carrà è diventato un uomo tranquillo, in ivi, anno LXXI, n. 2, febbraio 1965, pp. 161-72; Id., Giacomo Manzù scultore popolare, in ivi, n. 12, dicembre 1965, pp. 1453-68; Id., Il geniale dilettante Massimo D’Azeglio, in ivi, anno LXXII, n. 8, agosto 1966, pp. 898-911; Id., Il centenario di un pioniere: Giovanni Agnelli, in ivi, n. 12, dicembre 1966, pp. 1434-47. 123 Cfr. M. Valsecchi, Tesori d’arte in una villa varesina, in ivi, anno LXVI, n. 2, febbraio 1960, pp. 16778; Id., Il pittore Ottone Rosai con quattro tavole a colori di Guido Biffoli, art. cit.; Id., Il museo di Lodi, in ivi, anno LXVII, n. 2, febbraio 1961, pp. 173-82; Id., Itinerario della Biennale veneziana, in ivi, anno LXVIII, n. 9, settembre 1962, pp. 1062-73; Id., Un pittore lombardo del primo Seicento: il Morazzone, in ivi, n. 11, novembre 1962, pp. 1360-9 a presentazione della mostra allestita a Varese da Ferdinando Reggiori. Di Perocco sono invece gli interventi in materia veneta: G. Perocco, Un pittore quattrocentesco Carlo Crivelli, sulla mostra a Palazzo Ducale a Venezia, in ivi, anno LXVII, n. 9, settembre 1961, pp. 1153-61; Id., Gemme del Carpaccio a Venezia, in ivi, anno LXIX, n. 6, giugno 1963, pp. 668-78; Id., Tesori della pittura veneta nel Friuli, in mostra alla Biennale di Udine, in ivi, anno LXXII, n. 10, ottobre 1966, pp. 1177-86 e Id., Vedutisti veneziani del Settecento, in ivi, anno LXXIII, n. 6, giugno 1967, pp. 646-60. 124 G.B. Angioletti, Le meraviglie di Capodimonte, in ivi, anno LXV, n. 7, luglio 1959, pp. 873-81; Id., La pittura dell’Ottocento a Capodimonte, in ivi, n. 10, ottobre 1959, pp. 1266-75; Id., Pellegrinaggio a Montevergine, in ivi, n. 12, dicembre 1959, pp. 1538-47; Id., Porte aperte alla Villa Pignatelli di Napoli, in ivi, anno LXVI, n. 7, luglio 1960, pp. 857-64. 125 L. Saltini, Il viaggiatore della parola. G. B. Angioletti (1896-1961), Losone (Canton Ticino), ELR Edizioni Le Ricerche, 2007. Circa gli articoli di Angioletti apparsi sulla terza pagina del giornale di Torino e menzionati dall’apparato bibliografico di Saltini, mi riferisco ai seguenti: L’asinello di Stabia, in «La Stampa», anno XCIII, n. 85, 9 aprile 1959, p. 3; Bufali a Mondragone, in ivi, n. 105, 3 maggio 1959, p. 3; Arcadia sul Vesuvio, in ivi, n. 149, giugno 1959, p. 3 e Incubo sul Faito, in ivi, n. 189, 9 agosto 1959, p. 3. 355 corrispondenza redazionale tra il medesimo Angioletti, il caporedattore Colutta e il direttor Mira,126 l’attenzione si sposta dal dato eminentemente folkloristicopaesaggistico a quello artistico, in maniera del tutto complementare. Angioletti si lascia guidare nei musei campani da esperti come il ben noto Molajoli, senza tuttavia creare distanza con il pubblico. Non entrando nei tortuosi meandri della critica d’arte, strizza l’occhio complice al lettore turista, magari esausto del tour culturale: «ce ne sono tante altre, di sedie libere, per i vostri riposi! E c’è il bar se avete sete, c’è la terrazza panoramica se volete prendere una boccata d’aria, ci sono i laboratori fisico-chimici se siete curiosi di museologia, così come, per i critici d’arte o gli studenti, ci sono i vastissimi archivi dove, servendosi di telai scorrevoli, si possono esaminare con comodo tutte le opere che non hanno trovato posto nelle sale»127 del museo di Capodimonte. Ed è probabilmente questa la caratteristica dell’Angioletti illustratore di capolavori d’arte, capace di uscire da un rigido tecnicismo di settore, pur senza rompere gli schemi dell’elzeviro, dal momento che, come scrive Mira, «il nostro non è certo un compito d’avanguardia o di tendenza, ma quello di assolvere nel modo più efficace e culturalmente elevato alla funzione di “cicerone” tutti i “valori turistici” del nostro Paese».128 6.6 GLI ULTIMI ANNI, L’ULTIMO DIRETTORE La matrice ancora sostanzialmente tradizionale, mantenuta per diciassette anni dal direttor Mira, seppur con tutti i tentativi di sperimentazione, le innovazioni giornalistiche, le firme specialistiche, i fotografi di grido, i grandi scrittori e intellettuali del nostro secondo Novecento sin qui esaminati, non si dimostra vincente. I tempi della massificazione da un lato, e i germi della contestazione dall’altro, non gli danno ragione, mentre i suoi anni avanzano inesorabilmente assieme al peggioramento delle condizioni di salute. A metà del 1962 Mira lascia la carica di vice-presidente, riducendo «i suoi compiti alla sola cura delle Vie d’Italia, ma è necessario ormai che sia esonerato 126 Cfr. T. Bonini, R. Callegari Maestretti, D. Rüesch, Fondo Giambattista Angioletti. Inventario della corrispondenza, in «Cartevive», n. 2, luglio 2003, pp. 18-63. 127 G.B. Angioletti, Le meraviglie di Capodimonte, art. cit., p. 876. 128 G. Mira, Relazione delle «Vie d’Italia», cit., pp. 12-3. 356 anche da questa incombenza, e che si trovi un Consigliere che ne prenda la direzione e la segua con l’assiduità necessaria. Egli si rende conto che ci si trova di fronte a una grossa difficoltà, per trovare il suo sostituto; difficoltà che riguarda un po’ tutte le attività del Sodalizio, quando si tratta di compiti che richiedono un notevole impegno di tempo e di lavoro da offrire del tutto gratuitamente».129 La rosa dei possibili sostituti è vagliata all’interno delle cerchia dei Consiglieri, tuttavia non si scarta la possibilità di assumere un direttore responsabile stipendiato, rivedendo lo statuto del sodalizio. Alla fine, la soluzione interna si rivela la più accreditata, non solo per ragioni economiche ma anche perché «Le vie d’Italia» sono pur sempre la rivista portavoce dell’associazione. Si opta dunque, ancora una volta, per la continuità e la tradizione, nonostante i rivolgimenti socio-economici, ideologico-culturali e politici degli esordi degli anni Sessanta. Il nome che nel sodalizio mette d’accordo proprio tutti è quello di Luigi Rusca, amico del direttore uscente sin «dagli anni di scuola e dagli anni di guerra».130 Questi ne costituisce l’erede naturale, avendo condiviso molte tappe e scelte di vita, tanto che i piani biografici degli ultimi due direttori delle «Vie d’Italia» paiono sovrapporsi, come si evince dal ricordo di Mira firmato dallo stesso Rusca l’anno prima di chiudere le pubblicazioni. Adottando il plurale maiestatico, lontano da un puro e volgare egocentrismo e rimandando invece a un sentire comune, Rusca ripercorre più di cinquant’anni di legami segnati duramente dalla storia, dalla prima guerra mondiale al fascismo vissuto da esule in patria, dalla lotta per la liberazione agli incarichi di governo, dagli arrivi alle partenze e di nuovo ai ritorni in Corso Italia: «gli eravamo stati vicini negli anni dell’immediato primo dopoguerra: era entrato a far parte del Consiglio del Touring recando la voce di coloro che avevano valorosamente combattuto, erano stati feriti, avevano partecipato quali mutilati alla riscossa del Piave, e portavano un soffio di giovinezza nell’ambiente di corso Italia. Ma Mira recava anche le sue doti di studioso, di scrittore, di parlatore serio e convincente. […] Poi venne il fascismo: dovette abbandonare l’insegnamento […] e nel consiglio del Touring Club Italiano non vi fu 129 Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta del 20 giugno 1962, Milano, Archivio storico del Touring Club Italiano. 130 Cfr. il passaggio di consegne nel Notiziario a firma di G.[iovanni] M.[ira], Cambio di direzione, in «Le Vie d’Italia», anno LXVIII, n. 12, dicembre 1962, p. 1528. 357 più posto per lui. […] Ma l’amore al Touring lo avvicinò di nuovo e sempre più al Sodalizio: riprese il proprio posto in Consiglio; quale vice-presidente fu a fianco di Cesare Chiodi nell’opera di ricostruzione del Touring, provato dal fascismo e scosso dalla guerra; curò il settore delle pubblicazioni e diresse questa rivista».131 Rusca, dal canto suo, all’epoca della nomina è da tredici anni il direttore delle «Vie del Mondo». A partire dal suo rientro nel sodalizio nel 1946, in qualità di Consigliere, era stato incaricato della ripresa, non facile, della sorella minore delle «Vie d’Italia», chiusa nel 1943 e riavviata soltanto quattro anni dopo la storica rivista mensile, ossia nel 1950. Nei tempi postbellici, di incertezze politiche e di ristrettezze economiche, anche per l’associazione, «Le Vie del Mondo» presentavano, infatti, qualche difficoltà logistica in più rispetto alle «Vie d’Italia»: «la difficoltà di stabilire corrispondenze regolari e continuative coi centri stranieri di informazione, con le Riviste geografiche dei principali paesi d’Europa e degli altri continenti».132 In quell’occasione il ritorno di Rusca al Touring, dopo il ventennio mondadoriano, concluso senza alcuna riconoscenza del suo straordinario operato da parte dei vertici, Arnoldo in primis,133 aveva rappresentato la risposta più efficace per riprendere quella rete di rapporti internazionali con cui erano cresciute «Le Vie d’Italia e dell’America Latina», delle quali era stato la prima anima redazionale. L’ideatore delle maggiori collane mondadoriane dell’entre-deux-guerres, dai «Libri gialli» a quelli «Verdi», fino alle «Scie», passato indi alla direzione editoriale della Rizzoli, ove inventa la BUR, è l’uomo chiave per un nuovo coinvolgimento nella rivista minore degli storici collaboratori delle «Vie d’Italia»: Tomaselli, Almagià e Desio, cui si aggiungono alcuni nomi del giornalismo ben noti in Corso Italia, tra i quali Filippo Sacchi, Antonio Bandini Buti, Alvise Zorzi e Giusto Vittorini. Spetta, con ogni probabilità, sempre all’eminenza grigia dell’editoria italiana la presenza tra le pagine delle «Vie del Mondo» di scrittori e fotoreporters di fama internazionale: dall’accademico di Francia Paul Morand, al Premio Goncourt Francis Ambrière, alla scrittrice e viaggiatrice ginevrina Ella Maillart. Il rilancio della sorella minore delle «Vie d’Italia» ai tempi della 131 L. R., Giovanni Mira, in ivi, cit., anno LXXII, n. 8, agosto 1966, p. 1000. La Presidenza, Programma per il 1950, in ivi, anno LIII, n. 10, ottobre 1949, p. 1046. 133 Circa l’operato antifascista di Rusca nella filiale romana della Mondadori, capace di aprire la strada alla produzione del dopoguerra della casa di Arnoldo, troppo compromesso col Ventennio, cfr. E. Decleva, Arnoldo Mondadori, cit., pp. 280-4 e pp. 322-4. 132 358 decolonizzazione, avviene dunque sotto i migliori auspici, obbedendo a quegli ideali culturali universalistici, che hanno sempre caratterizzato l’opera editoriale di Rusca, fino al suo totale inveramento costituito dalla Biblioteca Universale Rizzoli.134 Prima di prendere il posto di Giovanni Mira anche alla direzione delle «Vie d’Italia», Rusca lascia la sua firma, oltre che su un articoletto del Notiziario riguardante i lavori di restauro di Villa Adriana,135 su alcune pagine dedicate a Plinio il Giovane, di cui aveva appena curato per la BUR il commento e la traduzione delle Lettere ai familiari.136 È il 1961, l’anno del diciannovesimo centenario della nascita dell’uomo politico comasco, un’occasione per Rusca per celebrarlo all’interno del catalogo della BUR, che già conteneva i suoi contributi e le sue traduzioni di Tertulliano, Minucio Felice e Lattanzio. La ricorrenza è quindi rievocata anche dall’articolo delle «Vie d’Italia» del luglio 1961 Con Plinio il Giovane attraverso l’Italia, non senza un certo spirito auto-promozionale, in questo caso fatto più unico che raro, che induce l’autore a porre in nota conclusiva riferimenti bibliografici per il lettore: «Chi desideri maggiori notizie o la giustificazione delle affermazioni, forzatamente apodittiche, che appaiono in questo articolo, potrà trovarle nel commento a una recente edizione delle epistole pliniane da noi predisposta».137 A parte questa uscita inconsueta, Rusca, una volta assunto l’incarico direzionale anche della rivista madre, conferma la propria umbratilità, che nel suo caso non significa affatto incapacità di conferire una precisa e non anonima linea editoriale. È d’altro canto vero che, di fatto, non vi sono sostanziali cambiamenti rispetto all’impronta data da Mira al mensile a partire dalla fine degli anni Cinquanta, e la firma di Rusca, diversamente da quella del suo predecessore, non è protagonista negli scritti di materia turistica, come invece voleva anche la tradizione direzionale bertarelliana. A Rusca, da bravo imprenditore-editore, neoeletto alla vicepresidenza del Touring, piace agire dietro le quinte e il suo contributo all’interno del sodalizio in ambito turistico resta testimoniato per la maggior parte dai verbali del Consiglio Direttivo. In questi emerge la figura di un industriale sguinzagliato alla ricerca di finanziamenti e di soluzioni per 134 Cfr. A. Cadioli, Luigi Rusca, la «BUR», la letteratura universale, in Id., Letterati editori, Milano, Il Saggiatore, 1995, pp. 113-32. 135 L. R., Le canefore di Villa Adriana, in «Le Vie d’Italia», anno LIX, n. 6, giugno 1955, pp. 796-7. 136 Plinio il Giovane, Lettere ai familiari, traduzione e note di L. Rusca, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1961. 137 L. Rusca, Con Plinio il Giovane attraverso l’Italia, in «Le Vie d’Italia», anno LXVII, n. 7, luglio 1961, p. 880. 359 nuovi introiti, come la messa in affitto di proprietà immobiliari storiche del Touring adiacenti alla sede di Corso Italia e quindi il decentramento nella più economica periferia di Via Adamello della produzione editoriale e cartografica, al fine di poter operare investimenti innovativi. Preso atto dell’inevitabile affermazione della vacanza balneare a scapito del turismo culturale itinerante, figlio del Grand tour, Rusca figura tra i fautori dell’acquisto di lotti di terreno in località paesaggisticamente esclusive del Mezzogiorno depresso (alle Tremiti, alla Maddalena e a Marina di Camerota), per poter ivi lanciare i villaggi turistici dell’associazione, espressione non già di un cieco turismo di massa, bensì naturale evoluzione degli attendamenti sociali del primo Novecento, trasformati in bungalows stanziali.138 Per la divulgazione dell’attività turistica del sodalizio all’interno del mensile, che dirigerà per gli ultimi quattro anni, Rusca preferisce lasciare invece la parola al Presidente del Touring, ossia dal settembre 1964 l’architetto Reggiori, peraltro già molto attivo sulle pagine delle «Vie d’Italia» della ripresa. Sarà quest’ultimo a riprendere programmaticamente la campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, inaugurata dall’intervento di Rusca tra la posta dei lettori destinata all’allora direttor Mira nel giugno 1959, per uno scaglionamento più ragionato delle vacanze, al fine di evitare la congestione turistica nei soli mesi estivi.139 E sempre Reggiori seguirà da inviato speciale iniziative come la crociera sul Po, in compagnia di parlamentari, amministratori locali e tecnici, impegnati a valutare le potenzialità turistiche dell’itinerario fluviale.140 Restando nel campo della programmazione e progettazione turistica in sinergia con tutti gli attori sociali, si deve senz’altro a Rusca l’inchiesta che apre il numero dell’aprile 1963 sull’introduzione della cosiddetta settimana lavorativa corta. L’articolo non è firmato, ma le personalità chiamate in causa, economisti, imprenditori e sindacalisti, rimandano alle conoscenze dirette dello stesso Rusca, in grado di proporre ai lettori una serie di otto interviste d’eccezione in merito alla riduzione delle ore di lavoro e al conseguente impiego del tempo libero, nei suoi riflessi sociali, economici e turistici. A rispondere alle domande dell’anonimo intervistatore sono: Carlo Faina (Presidente della Montecatini), Vittorio Valletta (Presidente della FIAT), Giuseppe Pero 138 Cfr. Verbali del Consiglio Direttivo del Touring Club Italiano, seduta del 20 giugno 1962. Cfr. F. Reggiori, Programmare le vacanze, art. cit. 140 F. Reggiori, Taccuino di una crociera sul Po, in «Le Vie d’Italia», anno LXXII, n. 7, luglio 1966, pp. 793-808. 139 360 (Amministratore delegato dell’Olivetti), Luigi Pagotto (addetto alla direzione del personale in Pirelli), Fernando Santi (sindacalista della CGIL), l’economista Libero Lenti, Mario Bonfà (Direttore generale della ditta Fornaci Valdadige, fondata dal padre del consulente editoriale della Mondadori, Lorenzo Montano, e rilevata poi dallo stesso Rusca), e infine Raffaele Mattioli (noto mecenate di Gadda e Presidente della Banca Commerciale Italiana). La risposta di quest’ultimo al questionario di Rusca è una lettera molto familiare, che illustra lo spaccato impiegatizio del settore terziario in affermazione nell’economia italiana degli anni Sessanta: «il tuo questionario si riferisce in gran parte a una qualità di personale che non è la nostra. Non abbiamo maestranze; le ferie sono pagate da sempre; la settimana corta funziona bene da circa due anni. Immagino che il maggior interesse per te sia quello turistico: sotto questo aspetto ti assicuro che la “pentamana lavorativa” è stata uno stimolo efficace a questo tipo di svago. La Banca lo favorisce con l’organizzazione di gite settimanali che sono assai frequentate. Ma molti sono i nostri collaboratori che si organizzano per conto loro: come sai, la motorizzazione (a due o a quattro ruote) ha una diffusione capillare e direi che essa sia molto accentuata fra il nostro personale. Ognuno va dove gli pare e piace, il che credo rappresenti l’optimum per un libero cittadino. Come libero cittadino, per esempio, io vengo spesso in banca al sabato e anche alla domenica. Ma io sono della tua generazione, e ritengo che il motivo del successo sia uno solo: lavorare più degli altri».141 Assolutamente vero anche per l’umbratile e infaticabile Rusca, al quale Mattioli si rivolge. Sebbene il neodirettore non esca dall’anonimato nemmeno in quest’occasione, la nuova presenza si avverte anche nella rubrica d’apertura, intesa sempre come spazio di interazione colloquiale. Nelle Lettere al direttore, Rusca, com’era consuetudine di Mira, ogni mese risponde al pubblico sui vari argomenti sollevati: dal problema del traffico nelle città, auspicando il ritorno all’utilizzo di mezzi non inquinanti come la bicicletta con cui era nato lo stesso Touring, alla cementificazione incontrollata della penisola e alla necessità di conservare il patrimonio 141 Le nostre inchieste. La settimana corta, in ivi, anno LXIX, n. 4, aprile 1963, p. 381. 361 artistico nazionale, confermando lo spostamento del fulcro della missione del sodalizio: da un’Italia da scoprire a un’Italia da salvare. In un caso è poi lo stesso Rusca, assieme al redattore capo Flavio Colutta, che da questo spazio, viceversa, interroga i lettori: «Una volta tanto, siamo noi che indirizziamo una lettera ai lettori e a tutti gli amici de “Le vie d’Italia” che ci hanno seguito con simpatia nello sforzo di portarle a un tipo di rivista moderna che rispondesse a certi caratteri, a certe ambizioni precise. A tutti i lettori, dunque, vorremmo chiedere se la linea che la rivista ha seguito in questi primi sei mesi dell’anno risponda alle esigenze che può avere un mensile come “Le vie d’Italia” e se pensino che vada incontro alle esigenze del suo pubblico. Insomma, noi invitiamo i lettori che credono di avere qualcosa da far osservare, da suggerire, a esprimerci per lettera il loro giudizio. I consigli e i suggerimenti (e magari le critiche) che ci perverranno potranno servirci a capire se è questa la strada più giusta e più fruttuosa».142 L’attenzione rivolta anzitutto verso il pubblico, chiave di suoi successi editoriali, trova qui espressione nel tono affabile del dialogo, cercando insieme l’appoggio e la messa in discussione delle scelte finora operate. A questo proposito in seguito allo spunto offertogli da un lettore, Rusca incita i lettori a prestarsi alla segnalazione degli alberghi, mediocri o di particolare interesse, accoglienti o da evitare, esperiti durante i propri viaggi, in modo da costruire una più salda comunità turistica che si raduni attorno al periodico: «le lettere troveranno posto in una nuova rubrica che intitoleremo “Il quadro d’onore del turismo”. In Francia non è cosa nuova: il “Figaro” pubblica quasi ogni giorno lettere di elogio per questo o quell’albergo. Anche questo può giovare, ci sembra, e molto».143 L’affabile dialogicità, sempre ricercata anche in una prospettiva internazionale, non fa venir meno un altro aspetto di Rusca, colto letterato e al contempo uomo pragmatico, imprenditore come Bertarelli, che punta alla funzionalità e all’essenzialità senza mezzi termini. Di questa natura è lo sfogo, molto lungimirante, siglato nel luglio 1966 nella nuova rubrica posta in chiusura, Opinioni e proposte, contro il fiorire ovunque di premi letterari: «ormai è invalso l’uso che tutte le stazioni climatiche, balneari, lacustri indicano un premio letterario, ritenendo che ciò serva a 142 143 L. R., F.C., Domande ai lettori, in ivi, anno LXIX, n. 6, giugno 1963, p. 637. Lettere al direttore, in ivi, anno LXX, n. 9, settembre 1964, p. 1034. 362 richiamare l’attenzione dei turisti sulla località ove si assegna il premio. […] fra non molto saranno in maggior numero i premi che non le opere premiabili. Risultato: quello di tutte le inflazioni, cioè i premi non avranno più valore alcuno e il richiamo propagandistico riuscirà nullo».144 Interessante e ancora di grande attualità, nonché di tangibile utilità, è la controproposta del Nostro: «Perché (ed è un consiglio che noi rivolgiamo agli Enti provinciali per il turismo, alle Aziende di soggiorno e di cura) non si pensa a premiare i giovani scienziati? È gente che fatica senza limiti di orario, che gode di stipendi irrisori, che dà all’umanità scoperte benefiche in ogni campo del sapere: e sono giovani che compiono tale oscuro lavoro senza che nessuno li ringrazi. Sovente devono spendere tutti i propri risparmi per pubblicare i risultati delle loro ricerche, mentre i colleghi di altri paesi sono incoraggiati, premiati, onorati».145 A parte gli interventi nelle rubriche, la creazione tra queste di nuovi spazi di dialogo costruttivo come Opinioni e proposte, e l’introduzione di frasi chiave, tipiche dei rotocalchi, per spezzare il corpo del testo e facilitare (o limitare) la lettura, lo zampino dell’ultimo direttore delle «Vie d’Italia» si avverte nella presenza di nuovi collaboratori, legati al mondo del giornalismo e della letteratura, che proseguono da un lato il filone delle inchieste e dall’altro la linea più consueta dell’elzeviro turistico, pur rinnovato nei toni meno enciclopedici, abbandonando però via via il genere del reportage letterario d’autore, lanciato da Mira. Tra le firme sicuramente legate a Rusca da sincera e datata amicizia v’è quella di Cesco Tomaselli, di cui abbiamo già detto, che rinforza il corpus delle inchieste di mese in mese presenti sulla rivista, mentre per i profili storico-artistici si rivela preziosa la collaborazione del ticinese Piero Bianconi, critico d’arte per la Biblioteca d’arte Rizzoli e traduttore di Rousseau, Voltaire, Flaubert e Goethe per la BUR.146 Circa gli interventi in materia letteraria, classici per la rivista risultano gli itinerari boccacciani e danteschi, illustrati da due eminenti filologi, 144 L. R., Troppi premi letterari, in ivi, anno LXXII, n. 7, luglio 1966, p. 872. Ibidem. 146 P. Bianconi, L’arte del Medioevo, in «Le Vie d’Italia», anno LXX, n. 1, gennaio 1964, pp. 85-93; Id., L’altra faccia di Campione, in ivi, n. 9, settembre 1964, pp. 1082-96; Id., Sulle orme del Correggio, in ivi, anno LXXIII, n. 10, ottobre 1967, pp. 1194-212; Id., Sulle tracce di Lorenzo Lotto, in ivi, n. 12, dicembre 1967, pp. 1449-60. A questi maestri, Bianconi aveva già dedicato due monografie per la collana della «Biblioteca d’arte» Rizzoli (Id., Tutta la pittura di Lorenzo Lotto, 1955 e Id., Tutta la pittura del Correggio, 1960). 145 363 rispettivamente Giorgio Padoan ed Eugenio Chiarini.147 È doveroso che l’ultima annotazione in merito alle scelte, operate nel segno della continuità dalla direzione di Rusca, si riferisca al ritorno nella rivista di firme femminili, portatrici, come anni prima era stata Irene Brin, di nuovi punti di vista nel racconto odeporico, oltre che di argomenti quali la moda, di cui in seguito alla cessazione delle rassegne non ci si era più occupati. A fare il punto della situazione in materia di vestiario, ormai non più confezionato a mano dalle sartine, ci pensano la storica Edgarda Ferri e la direttrice di «Grazia» Mila Contini,148 mentre porta la firma della scrittrice italo-francese Maria Brandon-Albini l’inchiesta in due puntate sulla condizione delle donne, ancora poco emancipate, in una delle regioni più depresse del Paese: la Calabria. Calabre è il titolo del viaggio della scrittrice espatriata alla ricerca delle sue origini, edito in Francia nel 1957 (e tradotto in italiano soltanto nel 2008),149 un viaggio che viene ripetuto più volte, quasi ogni anno dalla Brandon-Albini, incantata dai costumi tradizionali, ma al contempo critica nei confronti di una società che tiene le donne sotto il giogo dell’ignoranza, eterne contadine legate alla loro terra, Penelopi in attesa dei mariti migrati altrove senza più il biglietto del ritorno: «la loro forza antica è quella di resistere, sopportare e tener duro in faccia all’avversità».150 Il bilancio steso da Rusca negli anni della sua direzione non è in ogni caso consolante, dal momento che l’ampliamento di pubblico tanto ricercato dalle sperimentazioni di Mira del dopoguerra sembra un miraggio. I «lettori Touring» sono un gruppo fin troppo connotato, nato ancora alla fine dell’Ottocento, un pubblico esigente, mediamente colto e fedelissimo, poco amante del cambiamento e, soprattutto, in via d’estinzione anagrafica. «I tentativi finora fatti hanno dato risultati francamente deludenti: Le Vie d’Italia hanno preso un atteggiamento più vivace, più impegnato nell’attualità, ma sinora non ne è sortita una confortante conseguenza. Nella cerchia dei suoi vecchi lettori, un’inchiesta mostra che essi rappresentano un pubblico di vecchi soci fedeli, paghi della formula tradizionale. In questo e negli altri campi siamo 147 G. Padoan, In Italia col Boccaccio, in «Le Vie d’Italia», anno LXIX, n. 5, maggio 1963, pp. 573-82 e E. Chiarini, Dante in esilio: Verona e Ravenna, in ivi, anno LXXI, n. 8, agosto 1965, pp. 978-88. 148 E. Ferri, Come vestono gli italiani, in ivi, anno LXX, n. 6, giugno 1964, pp. 729-37 e M. Contini, Abiti in serie per voi signore, in ivi, anno LXXI, n. 6, giugno 1965, pp. 680-9. 149 M. Brandon-Albini, Calabre, Grenoble, Arthaud, 1957 e Ead., Calabria, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008. 150 M. Brandon-Albini, Le donne di Calabria, in «Le Vie d’Italia», anno LXXI, n. 3, marzo 1965, p. 286 e vd. anche la continuazione nel mese di ottobre in Donne e essenze di Calabria, pp. 1238-48. 364 comunque coscienti che qualcosa di nuovo bisogna fare».151 Qualcosa di nuovo nel campo dei periodici, anche per le finanze dell’associazione, urge senz’altro farlo, poiché non si può continuare a tenere in vita due mensili indirizzati allo stesso target di pubblico, seguitando ad aumentare i costi d’abbonamento. Ancora all’inizio degli anni Cinquanta esso era fissato per «Le Vie d’Italia» a 1.800 lire annue, ma nel 1964 il canone annuale si innalza dalle precedenti 2.500 lire alle 2.800, conseguentemente alla drastica riduzione della pubblicità presente sul mensile e seguendo l’andamento generale degli aumenti in campo grafico, che vede salire i prezzi dei quotidiani da 40 a 50 lire. Tre anni dopo, quando chiudono le pubblicazioni dello storico periodico, l’abbonamento di dodici mensilità per i soci non cessa di aumentare, toccando quota 3.500 lire, senza peraltro riuscire a risolvere i problemi dell’elevato costo di produzione editoriale, cui non v’è un adeguato riscontro quantitativo di lettori. Rusca, giunto a questo punto, propone una sostanziale riforma dei due mensili, «Le Vie d’Italia» e «Le Vie del Mondo», propendendo verso la loro fusione, che consentirebbe un risparmio economico e di energie, finora convogliate senza molti esiti anche sul periodico minore, il cui pubblico è costituito da circa un terzo degli abbonati della stessa rivista madre. «Il problema delle due principali riviste del TCI – Le Vie d’Italia e Le Vie del Mondo – si è imposto già da molto tempo, soprattutto in seguito al continuo calo degli abbonamenti (erano 47.900 nel 1960, 30.310 nel 1966 e 27.350 alla data del 6 aprile 1967 per Le Vie d’Italia; a pari date, 12.630, 9.872 e 9.690 per Le Vie del Mondo) e al nessun risultato delle molteplici azioni di propaganda effettuate negli ultimi anni, anche secondo indicazioni di esperti della materia. La diminuzione degli abbonamenti ha recato con sé l’insorgere di perdite sempre più notevoli, tanto che il bilancio del 1967 prevede una complessiva perdita, per le due riviste, di circa 22-23 milioni, perdita doppiamente grave, per il suo stesso ammontare e perché incide su tutti i Soci del TCI, anche quelli che non ricevono le riviste».152 Ossia, una perdita che incide sulla maggior parte dei membri dell’associazione, che si 151 Relazione delle «Vie d’Italia», post quem dicembre 1963, ante quem dicembre 1966, Milano, Archivio storico del Touring Club Italiano. 152 L.[uigi] R.[usca], Relazione delle «Vie d’Italia» e delle «Vie del Mondo», aprile 1967, Milano, Archivio storico del Touring Club Italiano. 365 accontenta del «Touring», il bollettino mensile di informazione ai soci, redatto da Della Mea. Urge quindi agire al più presto, visti i costi insostenibili, così come suggerito da Rusca, riducendo via via i mensili dell’associazione, dapprima alle «Vie d’Italia e del Mondo», affiancate sempre dal bollettino gratuito, che ha una tiratura di circa 500.000 copie corrispondenti grosso modo al numero stesso dei soci, e infine, nel 1971, limitando le riviste dell’associazione al solo patinato quindicinale «Qui Touring», inviato a tutti i membri senza costi di abbonamento aggiuntivi, evitando «doppioni» unicamente informativi. Ma a questo punto, Rusca e la vecchia guardia del Touring, che per cinquant’anni tribolatissimi del Novecento avevano dato vita e animato la rivista sin qui analizzata, a tal punto di successo da prolificare altri periodici della stessa specie, non ci sono più: «Nuove disposizioni impongono che anche i direttori delle pubblicazioni periodiche appartengano alla categoria dei giornalisti professionisti. Pertanto il vice presidente del Touring Club Italiano, dottor Luigi Rusca, che in tale sua veste si occupava della direzione de “Le Vie del Mondo”, dal gennaio 1950 e de “Le Vie d’Italia”, dal gennaio 1963, non continuerà in tale incarico. La nuova grande rivista che, a partire dal gennaio 1968, inizierà le pubblicazioni sotto il titolo “Vie d’Italia e del mondo”, avrà quale direttore responsabile Vittorio Buttafava, mentre Flavio Colutta continuerà nelle funzioni di redattore capo e Giuseppe Bozzini verrà incaricato della redazione romana del periodico».153 6.7 BREVE EPILOGO La svolta giornalistica tout court segna la fine di una rivista turistica, a suo modo politecnica, nata sotto le influenze cattaneane ed evolutasi secondo i canoni dei grandi illustrati novecenteschi d’intrattenimento culturale. Segna, d’altro canto, la piena e completa affermazione del fotoreportage di viaggio e dell’inchiesta di argomento turistico, a scapito della varietà sin qui resa magistralmente da scrittori, pittori, 153 Cronache del mese, in «Le Vie d’Italia», anno LXXIII, n. 12, dicembre 1967, p. 1514. 366 cartellonisti, fotografi, giornalisti, studiosi, scienziati, ingegneri, esploratori, divulgatori. E Rusca, nipotino del Bertarelli, ultimo di quella stirpe dell’illuminismo lombardo, che tanto ha nutrito la prima associazione turistica italiana e che tenta invano negli ultimi anni un ammodernamento della gloriosa rivista, confida a Giampaolo Dossena: «dal Touring Club non ho voluto neanche la liquidazione».154 Tale uscita di scena non si dimostra tuttavia risolutiva per un vero e proprio rilancio, degno dei successi del passato, poiché differenti sono le premesse e il quadro storico-sociologico che vanno a delinearsi sia per il sodalizio sia per il suo apparato pubblicistico, in anni culturalmente sconvolgenti, marcati da tensioni politiche, divisioni sociali e settorializzazioni gestite da concentrazioni editoriali sempre più forti o portate avanti da fronde incisive soltanto in orizzonti culturali ristretti. «Le Vie d’Italia e del mondo», risorte per un solo biennio per la chiara esigenza economica di unire gli sforzi di progettazione editoriale in un unico periodico destinato al medesimo pubblico, condannato a invecchiare senza alcun significativo ricambio generazionale, rappresentano il passaggio all’attuale periodico principe del sodalizio: «Qui Touring». In esso, la continuità della linea, ormai prettamente giornalistica, è garantita dalle firme di Vittorio Franchini e di Guido Lopez, cui si affiancheranno altri giornalisti come Enzo Biagi, Luca Goldoni, Gaspare Barbiellini Amidei e Giulio Nascimbeni, nonché scrittori quali Carlo Castellaneta, Luigi Malerba e Carlo Sgorlon. L’impronta di Via Solferino nei fotoreportages è destinata a durare almeno fino al 1983, quando la realizzazione editoriale passa di mano da RCS a Mondadori. Per giungere sino a noi e stendere un bilancio attuale e contrastivo dell’erede delle «Vie d’Italia», «Qui Touring» resta il periodico di viaggi più diffuso in Italia. Entra nelle case di poco meno di 300.000 italiani soci del Touring Club, stando ai dati degli Accertamenti Diffusione Stampa del giugno 2009. Ma non è il più venduto, slegato cioè dal pagamento di una quota associativa, come lo erano le «Vie d’Italia», il cui pubblico, prima ancora di essere un gruppo di soci sgambettanti in bicicletta, era uno stuolo di fedeli e attenti lettori abbonati, in un’Italia mezza analfabeta, eppure straordinariamente ricca di cultura, cui si portava reverenza. I numeri di oggi, quelli a partire dagli anni Settanta e in fase decrescente, fanno riflettere se paragonati a quelli della prima metà del Novecento, quando andava affermandosi l’idea di un tempo libero 154 G. Dossena, L’eminenza grigia che inventò «i gialli» e la «Medusa», art. cit. 367 per tutti, oltre a un’istruzione sistematicamente obbligatoria gradualmente introdotta. Sono cifre distanti da quelle di un altro storico Touring Club, come quello svizzero, nato due anni dopo quello italiano, nel 1896, che oggi conta un milione e seicentomila membri. Un Touring Club, quello svizzero, molto diverso dal sodalizio nostrano, che è ancora solidamente affermato in una società non assimilabile alla nostra: puramente volto alla fornitura di servizi legati al turismo e non dedito all’attività pubblicistica e guidistica da grande editore pedagogo e protagonista del Novecento italiano, come si era messo in testa di fare il Bertarelli, coniugando con successo qualità dei contenuti e quantità dei lettori. Tuttavia, come vuol la tradizione di tutti i Touring Clubs ancora in vita nella baumaniana «modernità liquida» del web e dei social networks, anche il TCS ha il suo organo di stampa, il suo bollettino dei soci sin dalla fondazione, che negli anni Trenta è divenuto la rivista «Touring», ancora in vita. Quando mi sono recata nel suo quartier generale a Ginevra a chiedere di poter visionare l’Archivio Storico per vedere i numeri più vecchi di questa rivista, mi hanno detto che non esisteva alcun archivio, di provar alla Biblioteca Nazionale di Berna, ma anche lì non v’è stata alcuna volontà di conservazione o, per lo meno, non si è sentita la necessità per un mero bollettino di informazione turistica. Fortunatamente, dal punto di vista della conservazione, destino diverso hanno avuto «Le Vie d’Italia», per le quali occorre riconoscere come pressoché l’intera storia letteraria del Novecento nostrano sia passata da Corso Italia a lasciare almeno una firma, un articoletto, purtroppo, alle volte, considerato «fesso» dai rispettivi scrittori, che intanto davano alle stampe i loro capolavori, e da una critica, magari poco audace a uscire dal seminato. Non solo: il periodico ha saputo ospitare uno straordinario susseguirsi di artisti e specialisti in ogni campo dello scibile, impegnati a divulgare un’idea di turismo che oggi è ricominciata a andar di moda sotto quella dicitura onnivora che è «responsabile». Una dicitura che tuttavia non trova più nel sodalizio un unico punto di riferimento, in un panorama associativo ed editoriale profondamente rivoluzionato dal web 2.0. 368 APPARATI BIBLIOGRAFICI BIBLIOGRAFIA STORICO-POLITICA E DELLE MENTALITÀ ADAMSON W. L., The Language of Opposition in Early Twentieth-Century Italy: Rethorical Continuities between Prewar Florentine Avant-gardism and Mussolini’s Fascism, in «Chicago Journals», vol LXIV, n. 1, The University of Chicago Press, marzo 1992, pp. 22-51. ADDIS SABA M., Partigiane: le donne della resistenza, Milano, Mursia, 2007. BEN-GHIAT R., FULLER M., Italian Colonialism, New York, Palgrave Macmillan, 2005. BESSIS J., La Méditerranée fasciste. 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