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MANUELA PIRAS
aishiteru
Capitolo 1
Emy chan
27/11/2012
Aishiteru – capitolo 1
Prologo
“Freddo! Fa freddo qui” sfregai le mani sulle braccia per riscaldarmi e
camminavo nervosamente, avanti e indietro. Il tempo fluiva, inesorabile,
secondo dopo secondo. Non gl’importava quanto la situazione fosse
precaria. Quella lancetta non smetteva mai di muoversi scandendo il tempo
in un’opera eterna senza fine.
“Si congela”.
Unico testimone del susseguirsi delle generazioni su questo mondo. Ci
guarda evolvere, invecchiare, spegnerci senza mai intervenire, superstite
della vita e della morte.
“Da quanto tempo è entrata nella sala operatoria?”.
“Almeno quattro ore fa… o sei…” rispose Chris. Il mento poggiato sulle
nocche della mano. Lo sguardo perso nel vuoto.
Colpevole dell’incalzare degli eventi, spesso troppo vicini l’uno all’altro
come a volerci soffocare.
“Lei starà bene. Tranquillo! La stanno guarendo”.
Due parole. Due. Solo due. Non chiedevo nient'altro al Cielo. Sarebbe
bastato un ‘Sta bene’ o ‘Fuori pericolo’.
Me ne stavo li, di fronte alla sala operatoria, in attesa di un giudizio e quel
ticchettio mi si conficcava nel cervello come quando prima di dormire.
“Non possono curarla” nessuna inflessione nella voce. Continuava
semplicemente a fissare il pavimento.
M’innervosii: “Taci!”. M’inginocchiai davanti a lui poggiando le mani sulla
sedia. Il chirurgo ci raggiunse proprio in quel momento. La cuffietta in testa,
la divisa verde, la mascherina che pendeva da un orecchio e l’espressione
grave. Disse due parole. Due. Solo due.
Avvertivo il pulsare delle vene nelle tempie, prepotente, a tempo con quella
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lancetta.
“Mi dispiace” si tolse la cuffietta dalla testa e alcune perle di sudore
cominciarono a scendere sulla fronte.
Lo sguardo di Chris iniziò a vagare per la stanza convulsamente. Sentii un
dolore improvviso alla bocca dello stomaco, il senso di colpa che, da allora,
non mi avrebbe più abbandonato.
Se ci soffermiamo a pensare, il tempo, come noi lo percepiamo, è solo
l’eterno ticchettio che ci perseguita. Un’ora dopo l’altra, un giorno dopo
l’altro, un mese dopo l’altro, per tutta la vita.
*** 1 ***
pleased to meet you
Ginger terminò la conversazione e infilò il cellulare nella tasca dei jeans. Si
avvicinò a Viola e le bisbigliò qualcosa all’orecchio mentre quest’ultima
mutava gradualmente espressione. I lineamenti inizialmente rilassati si
contrassero, lo sguardo assorto a rivelare l’attività convulsa dei suoi pensieri.
“Tutti pronti! Stanno arrivando” disse in modo solenne.
E così, come fosse scoppiato l’allarme antincendio o partito il countdown o,
peggio ancora, il principio della fine del mondo, assistenti, tecnici e, ogni
anima vivente o meno della Goong Records era pronta a compiere il suo
dovere. Gli ordini rimbalzavano da una parte all’altra veloci come in una
partita di ping-pong.
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“No, no, no! Quello va dall’altra parte, riportatelo indietro!” urlò Ginger a
una coppia di operai che trasportava un oggetto non bene identificato. Li
vidi sfilare sotto il mio naso con gli occhi al cielo e i muscoli contratti. Mi
sembrava di camminare su un campo minato con la sensazione di poter
saltare in aria da un momento all’altro. Inutile ricordare che più si è famosi
più gente serve per soddisfare i tuoi desideri.
“Reiko, come va l’ospitalità?” la voce stridula di Ginger, aka Snow Queen,
graffiò le mie orecchie.
“Dove sono le tane di Jerry quando hai Tom alle calcagna? Mi mangerà, lo
sento” bisbigliai a me stessa.
Forse non troppo a me stessa perché Ginger mi captò: “Hai detto
qualcosa?”.
Scossi vigorosamente il capo in segno di diniego e, dopo un rapido sospiro
controllai la lista che tenevo in mano per poi iniziare a esporre la situazione:
“Ho soddisfatto tutte le richieste dei LIME solo latte di soia, abolito il
limone, poi… dove ho messo il post-it…”.
Perse presto interesse per quanto dicevo preferendo dedicarsi al suo sport
preferito: tormenta l’operaio.
“Fate attenzione!” alzò gli occhi al cielo come se nessuno al mondo potesse
capirla e si allontanò mormorando qualcosa sui suoi nervi. Povera Signora
Bennet.
“Ci siamo messi tutti ad assecondare i capricci delle prime donne”
bofonchiai seccata mentre continuavo a cercare quel maledetto post-it.
“Quelle prime donne significano soldi in banca, tu invece, sei solo una cifra
nei libri contabili”.
Il suo super udito non sbagliava un colpo. Ginger sapeva esattamente come
incoraggiare l’autostima. Quando distribuivano la simpatia dove si era
nascosta? Non ci facevo più caso, ormai la sua totale ignoranza delle più
elementari buone maniere non era altro che un tesserino di riconoscimento.
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La mano di Viola si posò proprio allora sulla mia spalla, con gentilezza:
“Ignorala!” sorrise, come sempre. Se esistesse un concorso per la persona
più sorridente dello Stato, lei lo vincerebbe di sicuro. D’altro canto Snow
Queen sarebbe campionessa mondiale di ‘Chi Non Ride Prima’.
Viola non si arrabbiava mai, non obiettava mai, non urlava mai ed era
ancora coperta da garanzia. Ho sempre pensato che doveva avere una vita
davvero felice. Dal mio punto di vista, chi non sarebbe stato felice di essere
il Direttore Generale della Goong Recordss, figlia del Presidente Tyler Spencer
Bevans?
Mi porse alcuni cd: “Sono dei LIME, ascoltali e trova qualcosa di carino da
dire, ok? Potrebbero sorprenderti”.
“Ci proverò” risposi dubbiosa e imboccai il corridoio rigirandoli fra le mani.
Avevo bisogno di controllare ancora una volta che tutto fosse a posto e poi
essere presente alla conferenza stampa. Guardai l’orologio da polso: “Solo
mezz’ora e nemmeno una macchina del tempo?”.
“Aspetta!” Gin mi raggiunse affannata e mi fece dono di una bellissima
composizione floreale. Fiori? Per me? Avrei potuto commuovermi per tanta
gentilezza.
“Portali nello studio dei LIME” come sempre non parlava, ordinava.
Non stava arrivando Jennifer Lopez ma una band composta di quattro baldi
giovani considerati gli idoli della musica pop asiatica da milioni di scimmie
urlatrici. Inoltre, non sapevo bene per quale ragione eppure avevo il
sospetto che i fiori fossero stati banditi. Avrei dovuto dirglielo? Mi schiarii
la voce nel tentativo di esporre la situazione: “Ah… ah… Gin…”.
Oddio sembrava un sound check!
Mi bloccai come se mi mancasse il respiro. Non sapevo come dirglielo.
Infrangere i suoi sacri precetti non era una buona idea di solito. Che quella
fosse la volta buona? I cosiddetti “sacri precetti di Ginger Baker” possono
essere riassunti in due regole fondamentali:
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“Regola n. 1, Ginger ha sempre ragione. Regola n. 2, in caso avesse torto ripassare la
regola numero uno”.
Presi un bel respiro e tutto il coraggio custodito durante gli anni in cui
avevo lavorato per lei e terminai la frase: “I fiori… ecco… niente fiori per i
LIME”.
L’avevo detto!
In fretta per paura che le parole si nascondessero ma l’avevo detto. Avrei
dovuto essere orgogliosa di me ma non ne ebbi il tempo. Se lo sguardo
avesse potuto uccidere, sarei già morta milioni di volte e quel giorno ci
sarebbe stato l’ennesimo funerale. Nonostante la mia frase facesse a pugni
con ogni regola grammaticale esistente, sfortunatamente per me lei ne aveva
compreso precisamente il significato. I suoi occhi ne erano un’esplicita
conferma. Sollevò il sopracciglio ben disegnato, palese spia di nervosismo.
La voce quasi un sussurro di rabbia trattenuta: “Se io ti dico di portare
questi fiori nel camerino dei LIME tu porti questi fiori nel camerino dei
LIME. Chiaro?”.
“Trasparente” mi affrettai a dire.
Il mio coraggio era durato quanto un ghiacciolo alla menta nel deserto del
Sahara e ne aveva avuta anche la consistenza. Non potevo negare che, anni
orsono, non nacqui con il coraggio nel DNA. Non sono geneticamente
predisposta al coraggio. Ginger, invece, soddisfatta del successo della sua
autorità, scomparve così come era apparsa. Rassegnata, raggiunsi il
camerino dei LIME il più in fretta possibile. Poggiai i fiori davanti allo
specchio e fu allora che notai il piccolo biglietto rosa piegato in due. Scossi
la testa ripetendomi più volte che non erano affari miei.
“Ora me ne vado. Sì. Devo lasciare qui i fiori e andare via. Quello che c’è
scritto in questo piccolo, insignificante bigliettino non sono affari miei.
Nemmeno se questo biglietto proviene da Snow Queen”.
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Feci alcuni passi verso la porta. La mano sulla maniglia ma non perdevo di
vista quei fiori che si vantano di sapere qualcosa di cui io non ero a
conoscenza. Quel pensiero, purtroppo, bastò a farmi infrangere la privacy di
Ginger. Il biglietto riportava:
“’Se la musica è l'alimento dell'amore, seguitate a suonare, datemene senza risparmio,
così che, ormai sazia, il mio appetito se ne ammali, e muoia.’.
G.B.”
“Ginger Baker. E’ proprio da parte sua. Allora è una fan dei LIME!”.
Più che stupirmi di questo fatto mi colse di sorpresa la scoperta che, anche
Snow Queen era dotata di quell’accessorio chiamato umanità. Anche lei,
dunque, era in grado di provare sentimenti.
“Forse c’è speranza anche per lei… se non ricicla le frasi di Shakespeare”.
Nascosi nuovamente il biglietto tra i fiori e mi affrettai a uscire. Ma chi vidi
arrivare dal corridoio? Proprio i LIME diretti verso il camerino assegnato
loro. Li avevo visti poche volte e solo nei poster ma di persona facevano
tutto un altro effetto. Il leader, il più alto dei quattro, sempre sorridente
all’ennesima potenza davanti alle fan, in quel momento sembrava avercela
col mondo intero.
“Che altezzoso”.
La differenza con i suoi compagni invece rilassati e sorridenti era netta. Mi
preoccupava un po’ essere la sua assistente ma dopotutto era il mio lavoro
ed ero abituata a trattare con gli artisti, per quanto strani potevano essere.
Mentre la porta si chiudeva dietro di loro, un pensiero mi fulminò
improvviso: “I fiori!”. Il post-it scomparso si materializzò proprio in
quell’istante, almeno io ebbi quell’impressione perché in realtà era rimasto
attaccato alla mia lista per tutto il tempo. Riportava chiaramente le allergie di
un membro del gruppo: fragole, pollini...
“Pollini?”.
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Micky Takahashi leader dei LIME, prezioso quanto un diamante di prima
classe per la nostra società, era allergico ai pollini, a quegli stessi pollini che
io avevo introdotto nel suo camerino attraverso quei fiori che non
dovevano assolutamente trovarsi lì. Senza pensarci mi catapultai verso la
porta e la aprii violentemente.
“Micky!” urlarono i suoi amici in coro.
Il presentimento che fosse accaduto qualcosa mi pietrificò per qualche
secondo. Entrai lentamente nella stanza facendo vagabondare lo sguardo su
tutti i presenti. Dietro la porta, un Micky sofferente e sanguinante si reggeva
il naso.
“Oddio! Cos’è successo?” chiesi angosciata.
“Dovresti fare attenzione, guarda cosa hai fatto al nostro leader”.
Il biondino del gruppo era palesemente in collera mentre indicava il suo
compagno in difficoltà.
“Sono… stata… io?” deglutii la saliva diventata lava incandescente.
“Qualcuno potrebbe chiamarla ‘aggressione’!” disse Micky. Nel frattempo
prese qualche Kleenex, per tamponarsi il naso poi reclinò la testa per
trattenere il sangue. Istintivamente mi avvicinai a lui e, con delicatezza,
corressi quella posizione.
“Non dovresti piegare la testa altrimenti il sangue tornerà indietro e starai
male”.
Sbatté più volte le palpebre, perplesso: “E di chi è la colpa, se mi trovo in
questo stato? Potrei stare male? Tsk! Non sto bene. Sto male!”.
Allontanò con sdegno le mani che avevano osato toccarlo. La mia
espressione doveva essere tra il terrorizzato e l’indemoniato, potevo
addirittura sentire in sottofondo una musica degna del girone degli iracondi.
“Tu, chi sei?” chiese uno dei quattro con delicatezza. Fu la sola persona
nella stanza a guardarmi con indulgenza, sembrava non avercela con me.
“Reiko… Fujihara. Sono la vostra assistente. Spero di poter rendere
piacevole il periodo che passerete alla Goong”.
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“Questo è il modo in cui ti prendi cura dei tuoi artisti?” continuò il
biondino.
Micky si sedette davanti allo specchio così notai che alcune gocce di sangue
gli avevano macchiato la camicia.
“Provvedo subito a farti avere una camicia pulita” tentai di rendermi utile
ma lui ignorò totalmente la mia offerta.
“Quelli” accennò invece ai fiori “li hai portati tu?”.
Nel momento in cui rivolse i suoi occhi scuri su di me, attraverso lo
specchio, capii che esisteva qualcosa di più terrificante dello sguardo-killer
di Ginger. Il mio cuore saltò un battito per partire subito dopo in un
galoppo sfrenato che lo condusse dritto in gola. Le figure autoritarie mi
avevano sempre suscitato grande agitazione e in quel momento avvertivo il
sudore freddo scendere lungo la schiena.
“Allora?” m’incalzò.
Assunsi l’espressione più rammaricata che potei e chinai perfino il capo: “Mi
dispiace infinitamente. Provvedo subito a liberare il camerino”.
Micky controllò allo specchio lo stato del suo prezioso naso poi buttò i
Kleenex nel cestino accanto. Con grande eleganza mosse qualche passo nella
mia direzione, non avevo mai visto qualcuno che apparisse sexy persino da
adirato. Si chinò verso di me, dall’alto del suo metro e novantatre, per
accostare il viso al mio e farmi osservare il suo odio da vicino: “Mi hai
sbattuto la porta sul naso e mi hai fatto trovare dei fiori in camerino. Stai
tentando di uccidermi?”.
Mi puntò contro l’indice affusolato: “Tu, stai molto, molto, molto lontana
da me” scandì ogni parola. Soddisfatto della paura suscitatami si raddrizzò
congedandomi con un gesto nervoso della mano. Senza farmelo ripetere
una seconda volta raggiunsi la porta ma lui aggiunse: “Riprenditi i fiori”.
Feci come ordinato e scomparii, intensamente turbata. Primo giorno con i
LIME e già avevo combinato diversi guai. Aveva ragione ad avercela con
me, perfino io ce l’avevo con me. Come rimediare?
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“Accidenti! Non ho il tempo per pensare a questo adesso. La conferenza
stampa!”.
“Di solito si aspetta prima di arrivare in vetta e poi si fanno i capricci ma tu
devi sempre anticipare i tempi, eh?” Youri mi rimproverò come sempre, a
causa del mio ritardo. Sono ritardataria cronica ma sto studiando una cura.
“Scusami ma ho avuto un problema da sistemare”.
“Non importa, basta che ora sei qui. Hanno fatto partire prima il video poi
toccherà a te parlare con i giornalisti. Tieniti pronta, sta per finire. Ti ricordi
tutto? Pensi di farcela?”.
Annuii e così mi sospinse delicatamente verso il palco allestito per la
conferenza. Aspettai davanti ai gradini accanto a Viola e Ginger.
“Dove ti eri cacciata?” mi apostrofò quest’ultima “e non potevi cambiarti i
vestiti? Lo stile mercatino dell’usato non si addice a una conferen…” .
“L’importante è che sia qui!” intervenne Viola mettendola a tacere.
Scrutai i miei jeans strappati, le converse sbiadite e la maglia spiegazzata.
Non avevo avuto il tempo di cambiarmi per colpa sua e anche se lo avessi
fatto dubito che il risultato sarebbe stato accettabile. Dovevo solo dire
qualche parola ai giornalisti non sfilare per la stagione Primavera-Estate di
Armani. Non aveva nemmeno un briciolo di pietà per una povera assistente!
Quando il video documentario terminò e le luci in sala si accesero Viola sali
sul palco. Non appena il piede fu sul primo gradino partirono flash e
applausi mentre i giornalisti impazzirono spintonandosi l’uno con l’altro.
“Salve a tutti, sono Viola Bevans, Direttore Generale della Goong Records”
sorrise e fece una pausa puntando i suoi occhi blu verso i presenti.
“Wow… siete davvero tanti! Per prima cosa vi ringrazio per essere venuti
tutti con così poco preavviso. Non solo voi addetti stampa ma anche tutti
gli artisti che hanno deciso di unirsi alla causa” altro applauso.
“Tutti voi conoscete Rainie Yang, cantante di punta della nostra casa
discografica e vincitrice dell’ultima edizione del talent show Dream High,
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recentemente scomparsa a causa di un tragico incidente stradale. E’ stato un
brutto colpo per tutti noi ma nel breve periodo in cui ha fatto parte della
famiglia della GR abbiamo potuto apprezzare la sua maturità artistica e la
sua grande voglia di continuare a crescere per realizzare il suo sogno. Sogno
che purtroppo si realizzerà postumo ma, anche grazie a voi qui presenti,
tutti sentiranno la sua musica. Rainie potrebbe essere la Janis Joplin della
sua generazione e merita di essere ricordata e riconosciuta per l’intensità del
suo cuore. Proprio di cuore vogliamo parlare oggi ma per fare questo
cederò la parola a una persona che conosceva Rainie più di chiunque altro e
che è l’ideatrice di questo meraviglioso progetto. Accoglietela con un
applauso per favore come membro della famiglia GR, la nostra dolce Reiko
Fujihara”.
Nella mia vita non mi sarei mai aspettata di poter salire su di un palco
accompagnata dal un rovescio di applausi ma la formalità della situazione
richiedeva che si rispettassero le convenzioni. Gli occhi su di me, mi
fissavano domandosi perché erano costretti ad ascoltare una comune
impiegata, ultimo anello della catena discografica. Odiavo essere in primo
piano ma Viola me lo aveva chiesto con tale gentilezza che il mio cuore non
aveva avuto il coraggio di rifiutare. Provai a scacciare i timori cercando con
lo sguardo quello di Youri che mi restituì un sorriso rassicurante. Forse
poteva bastare. Diedi un colpetto di tosse per verificare di avere ancora con
me la voce e ringraziai tutti i presenti.
“Sono Reiko Fujihara, Gruppo Accoglienza e Problem Solving della GR” i
fogli spiegazzati tremavano tanto da dover inseguire le parole che vi erano
scritte sopra. “Tante persone hanno lavorato a questo progetto ma la vera
ideatrice purtroppo non è qui per parlarvene” sentii la mia stessa voce
incrinarsi. Espirai a fondo, leggere era sempre più difficile a causa della
patina opaca che mi appannava la vista. Buttai fuori tutta l’aria, infilai i fogli
nella tasca dei jeans e scelsi di parlare con il cuore.
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“Lei era una persona davvero altruista e molto… particolare” Viola mi
guardava con turbamento.
“La prima volta che la vidi aveva le ginocchia sporche di sangue e terra, i
capelli biondi spettinati e il viso fiero nonostante arrossamenti e graffi”
sorrisi. Dopo quanto era accaduto, mi stupivo della piacevolezza che ancora
mi procurava quel ricordo. “Amava nuotare, guardare le stelle e i pesci rossi.
Non riusciva a dormire se non stringeva a se il pupazzo di Spongebob. Era il
suo segreto! E dovevi fare attenzione alle sopracciglia se dormivi accanto a
lei, vero Youri?”.
L’interessato rise facendomi contemporaneamente cenno con la mano. In
realtà solo un misero tentativo di asciugare segretamente le lacrime che vidi
luccicare. “L’indomani mattina si è risvegliato con le sopracciglia
completamente rasate” spiegai al pubblico che rise divertito. Quando tutti si
ripresero, proseguii: “Entrava di nascosto nel retro della panetteria e rubava
dei panini che portava ai bambini poveri di Queen Street, ogni giorno, e
amava fare musica, davvero tanto e quando il suo sogno è diventato realtà, il
suo desiderio era di curare le persone attraverso la sua musica. Era
bellissima e imprevedibile… una stella che ha brillato per troppo poco
tempo”.
I flash cessarono, il pubblico tacque forse in attesa non di altre parole ma di
pause, testimoni di un affetto che tornava a galla. La mia migliore amica era
morta da meno di un anno, al suo posto restava solo un affetto intriso di
tristi ricordi che mi avvolgeva totalmente. Desideravo creare una
connessione tra i miei sentimenti e quelle persone sconosciute davanti a me
in modo da dar loro l’impressione di averla conosciuta. Il vuoto lasciato era
uno strascico che si ripercuoteva ancora sulla mia vita.
“Sapete? Una delle cose strane di non essere stata in grado di salvare
un’amica, è scoprire quante persone abbiano ancora bisogno del tuo aiuto,
del nostro aiuto. Rainie avrebbe compiuto vent'anni proprio domani il che
lo rende un giorno perfetto per celebrare la sua vita e raccogliere fondi”.
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Gli applausi scrosciarono ma sapevo bene, dentro di me, che ciò nonostante
nessun tipo di beneficienza avrebbe potuto alleviare l’enorme peso che
sentivo nel mio cuore.
“Non avere un tetto è uno dei problemi più grandi della nostra società,
affligge migliaia di bambini ogni giorno. Molti di loro non hanno un posto
sicuro dove andare. Per questo sono lieta di promuovere il primo concerto
di beneficenza in onore di Rainie Yang, Sweetheart, con lo scopo di finanziare
Rainie House, una casa famiglia per giovani senza tetto”.
Altro applauso. Ringraziai ancora i giornalisti e lasciai la parola al Direttore
Generale: “Per quest’occasione così importante, la GR ha invitato i più
popolari cantanti del mondo e, con grande entusiasmo alcuni di loro hanno
deciso di partecipare alla nostra iniziativa per aiutare i bambini della città di
Toronto. Tra loro, un gruppo di giovani talentuosi alla conquista
dell’occidente già veri e propri idoli in Asia. Sono al loro sesto album e
spero tanto che vorranno collaborare con noi per espandersi da questa parte
del globo. Vi presento Lukas, Izo, Micky, Eiichi in altre parole, i LIME!”
tese il braccio in avanti così che tutti i giornalisti ne seguissero la direzione. I
LIME erano appostati dietro la folla, quasi in disparte ma attirarono
immediatamente l’attenzione. Perfetti nelle acconciature, nell’abbigliamento
singolare e forniti di un’eleganza inconsueta. Appena i flash gli abbagliarono
sorrisero tutti distendendo i tratti orientali. Tutti tranne Micky, che salutò a
malapena con un cenno della mano. Uno dopo l’altro sfilarono tra la folla e
raggiunsero il palco. Il primo a salire fu proprio Micky che sembrava
minacciare il pubblico e dire: “Voi tutti che osate posare i vostri insulsi occhi sulla
mia nobile figura assaggerete la lama della mia spada!”.
Per fortuna questa mia sensazione non si concretizzò e sorrisi da sola della
ridicolaggine di tale pensiero. Ero preoccupata per il naso di Micky ma
sembrava essere perfettamente a suo agio. Per fortuna non gli avevo causato
un danno grave. Potevo stare tranquilla almeno su questo.
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Ancora sul palco insieme ai LIME Viola terminò: “Vi ricordo che l’intero
ricavato del concerto andrà in beneficienza perciò siate generosi” sgattaiolò
via lasciando loro ampio spazio.
Forse contagiato dall’atmosfera, Micky mi rivolse uno sguardo malinconico,
poi accostò il microfono alle labbra: “Non conoscevamo Rainie Yang
tuttavia ha regalato tanta bella musica a chi ha avuto la fortuna di starle
accanto” il suo sguardo era ancora su di me. “Purtroppo altri suoi pezzi
splendidi non li sentiremo più” si voltò verso il chitarrista alla sua sinistra,
che aggiunse: “Al concerto canteremo alcune delle sue canzoni, così che
tutti possano conoscere la persona che era attraverso la sua musica”.
Dopo la conferenza stampa fu il momento degli autografi e delle foto. Il
mio compito era anche quello di parlare con i giornalisti per promuovere il
concerto e spingere il maggior numero di persone a partecipare. Viola mi
raggiunse poco dopo in compagnia dei LIME. In quel momento, sotto lo
sguardo attento di Micky, mi sentivo ancora più impacciata e stupida del
solito. Ero così assorta in quel pensiero che il giornalista fu costretto a
ripetere la domanda due volte. Mi riscossi e continuai a sorridere tentando
di prestare attenzione alle sue domande. Viola mi cinse le spalle
frapponendosi tra me e i LIME: “Questo è un esempio di come quando le
persone si uniscono per una giusta causa, è impossibile dire di no”.
I quattro ragazzi si lasciarono fotografare e risposero a tutte le domande
poste loro con consumata abilità e inusuale gentilezza.
“Non è la band numero uno dell’Asia solo perché sono carini” mi sussurrò
la donna compiaciuta. “Comportati bene con loro, sto cercando di
convincere il leader a firmare con noi”.
“Perché solo il leader?”.
“Il manager, Lukas, Izo, ed Eiichi sono d’accordo, manca solo il suo
benestare ma Micky è una persona… difficile da convincere”.
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Al termine della conferenza fui convocata in sala riunioni dove si trovavano
i LIME con il loro manager, Viola, Ginger e altri addetti ai lavori.
“… il gioiello più splendente della corona della GR” il Direttore Generale
indicava una foto di Rainie con orgoglio e quando entrai disse al mio
gruppo: “Spero collaborerete insieme per il successo del concerto”.
Perché ero ancora tanto nervosa? Nessuno dei quattro mi prestò
inizialmente attenzione ma poi il biondino mi si accostò facendomi
sussultare. Afferrò le mie mani, mi spaventai a causa del suo slancio
improvviso ma mi stupii ancora di più quando disse con occhi commossi:
“Ero un suo fan!”.
Spalancò gli occhioni castani come un cucciolo, atteggiamento molto
diverso da quello manifestato in precedenza ma come potevo avercela con
lui per quello? In fin dei conti, avevo fatto del male a un suo amico e da
bravo cucciolo aveva difeso il padrone.
“Grazie! Spero che faremo un buon lavoro insieme” balbettai confusa.
Sbirciai nella direzione di Micky che aveva l’aria di avere molte cose più
importanti da fare piuttosto che essere li. Si era cambiato i vestiti, ed era
bellissimo, erano tutti bellissimo, proprio come nei poster. Se il fotografo
aveva usato Photoshop doveva averlo fatto sugli originali perché, anche
osservati da vicino, non avevano alcun difetto di fabbrica. Solo il leader e il
ragazzo gentile si distinguevano per un delicato alone di barba sulla pelle
liscia. Micky, in particolare vantava un insieme di tratti proporzionati
alleggeriti da due piccole fossette assassine agli angoli della bocca. Il ragazzo
gentile invece si chiamava Lukas ed era gentile davvero, in modo universale.
Dopo aver parlato a lungo con la stampa lo avevo avvistato conversare con
alcune mie colleghe e le aveva gratificate con caldi sorrisi, autografi e
gentilezze varie. Anche lui era davvero bello come del resto gli altri due
compagni. Chi l’avrebbe mai detto che i giapponesi potevano essere tanto
‘carini e coccolosi’. Osservandoli con attenzione Micky e Lukas, uno vicino
all’altro si somigliavano parecchio.
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“Io sono Eiichi la lettera E del gruppo” mi riscosse lo stesso biondino che
finalmente aveva un nome anche per me “ma puoi chiamarmi Ei” sorrise
raggiante.
“O MamEiichi!” s’intromise Izo scoppiando a ridere con Lukas. Adduceva
chiaramente alla sua bassa statura in quanto la parola “mame” in
giapponese, significa letteralmente “fagiolo”. Si può usare anche per definire
una persona meticolosa e diligente ma, in questo caso, anteposta al nome di
Eiichi, sapevo che alludeva alla sua statura piuttosto ridotta se confrontata a
quella dei suoi compagni.
Eiichi scoccò a entrambi un’occhiata in tralice: “Questi due simpaticoni
sono Lukas e Izo mentre questo musone è Micky, il nostro leader”.
Quest’ultimo non ci si provò nemmeno a farmi un sorriso limitandosi ad
accavallare le gambe come se Eiichi non avesse nemmeno parlato. Com’è
possibile che riesca a rendere sexy anche un gesto tanto normale e a
sembrare nel contempo tanto cafone? Misteri della scienza.
“Tutte insieme, le iniziali dei nostri nomi, formano la parola LIME”
terminò orgoglioso.
“Vi do il benvenuto alla GR, mi piace molto la vostra musica” sorrisi dopo
aver mentito spudoratamente. Poco importava perché Viola annuì
soddisfatta. A rincarare la dose intervenne Ginger: “Il vostro singolo è
accattivante, vi auguro che il prossimo album sia un grande successo e una
carriera ricca di soddisfazioni”.
Micky si alzò improvvisamente: “Iniziamo le prove” accompagnò la frase
con un cenno del capo e lasciò la stanza seguito dagli altri componenti del
gruppo.
Poco dopo entrò Youri: “Non hai un concerto da organizzare? Sai,
permessi da gestire e cose simili…” si rivolgeva a me.
“Ciao Youri!” disse Viola.
“Ciao Direttore Generale Viola Bevans” rispose senza guardarla.
“Arrivo” uscii dalla stanza seguendolo.
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“Non dimenticare questi” i cd dei LIME comparvero nuovamente nelle mie
mani facendo tornare alla mente le raccomandazioni di Viola. Non avevo
mai ascoltato la loro musica, potevano anche essere la band più popolare
d’Asia ma a me, questo interessava poco o niente. Lo facevo solo per Viola
e così, dopo innumerevoli impegni, cercai di accrescere la mia cultura su di
loro con lo stesso desiderio di sottopormi ad una tonsillectomia senza
anestesia. Probabilmente non era giusto giudicarli a priori e in effetti, non
sapevo molto su di loro ma quel poco ritenevo potesse addirittura avanzare.
Per natura non mi accorgo di quello che succede intorno a me, figuriamoci
nel resto del mondo. Ho sempre vissuto in due mondi, uno era quello della
musica, un mondo gratificante pieno d’ispirazione senza il quale non sarei
potuta stare in piedi. La musica non mi ha mai fatto pensare che non
potevo fare quello che volevo e che addirittura non sapevo nemmeno di
volere. Mi piaceva vivere in quel mondo che mi estraniava da quello vero.
Lo sapevo, era uno dei miei tanti difetti insieme alla totale mancanza di
senso dell’orientamento e l’incapacità di prendere decisioni. Se così non
fosse stato, un anno fa, non sarei stata colta di sorpresa e molte cose,
probabilmente, sarebbero andate in modo diverso.
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