l`osservatore romano

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l`osservatore romano
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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLIV n. 161 (46.703)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
giovedì 17 luglio 2014
.
Mahmoud Abbas in missione al Cairo mentre proseguono i bombardamenti e i lanci di razzi
L’omelia di Severo d’Antiochia sul Trisaghion
Le iniziative diplomatiche
non fermano le violenze a Gaza
Colui che nella debolezza
mostra la sua forza
TEL AVIV, 16. Le iniziative diplomatiche non fermano le violenze nella
Striscia di Gaza. La notte scorsa le
forze aeree israeliane hanno colpito
le abitazioni di alcuni leader di
Hamas. Al nono giorno dell’offensiva, i caccia israeliani hanno lanciato
diversi missili a Gaza contro la casa
di Mahmoud Al Zahar e di Bassem
Naim. Secondo testimoni sul posto,
al momento del bombardamento
non ci sarebbero state persone nell’edificio di quattro piani, centrato
da almeno due razzi.
Colpite anche una moschea e le
abitazioni dell’ex ministro della Sanità, Fathi Hammad, e del deputato
di Hamas, Ismail al-Ashqar, a
Jabalia, nel nord della Striscia.
Il bilancio provvisorio dei bombardamenti è salito a 205 palestinesi
uccisi — di cui ventiquattro donne e
trentanove tra bambini e adolescenti — e 1.500 feriti, mentre per la prima volta dall’inizio della grave crisi
si registra anche una vittima israeliana: un civile ucciso da un razzo al
valico di Eretz.
«Una soluzione diplomatica sarebbe stata preferibile, è ciò che
abbiamo cercato di fare quando abbiamo accettato la proposta di tregua dell’Egitto. Ma Hamas non ci
ha lasciato altra scelta che quella di
estendere ed inasprire la nostra of-
fensiva», ha affermato il premier
israeliano, Benjamin Netanyahu.
Intanto, l'esercito israeliano ha intimato a centomila palestinesi che vivono nei popolosi rioni di Zaitun e
di Sajayah, nel nord e nell’est di Gaza, vicino al confine con Israele, di
abbandonare oggi le proprie abita-
zioni. Secondo i media israeliani,
l’esercito ha usato messaggi telefonici registrati per avvertire gli abitanti dei due rioni dove, secondo
fonti dell’esercito, verranno intensificati gli attacchi. Secondo i militari, i
due centri abitati sono sistematicamente utilizzati dai gruppi armati
Un bambino palestinese tra le macerie di Gaza (LaPresse/Ap)
palestinesi come zona di lancio per i
razzi verso Israele.
L’agenzia delle Nazioni Unite per
i profughi palestinesi ha annunciato
la disponibilità di ventuno suoi
centri per ospitare i tanti civili in
fuga. Molti, però, sono rimasti. Si
tratta — rilevano gli analisti — di famiglie che vivono in povertà e che
non possono trovare ospitalità presso parenti o permettersi di affittare
appartamenti a Gaza. «Hamas ha
ordinato loro di ignorare gli avvertimenti», ha invece accusato in una
nota un portavoce militare israeliano.
Dal punto di vista diplomatico, il
ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, ha sollecitato oggi il presidente israeliano uscente,
Shimon Peres, affinché faccia ogni
sforzo perché si arrivi a una tregua
con Hamas, condizione imprescindibile perché possa riprendere il
dialogo tra le due parti. E nel tentativo di trovare una soluzione per
uscire dalla crisi, il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, si recherà
oggi in visita al Cairo. L’obiettivo
della missione è arrivare al successo
dell’iniziativa egiziana per porre fine alle ostilità. Subito dopo, Abbas
andrà in Turchia per altri incontri
con i leader politici di Ankara.
Eletto il nuovo presidente del Parlamento
In via di superamento lo stallo politico iracheno
BAGHDAD, 16. Alla fine si è usciti
dallo stallo. Ieri, infatti, è stato eletto il nuovo presidente del Parlamento iracheno: è il sunnita Salim Al Juburi, leader del partito islamico iracheno. L’elezione, riferiscono fonti
locali, è avvenuta nel corso di una
sessione a porte chiuse. Juburi, segnalano le agenzie di stampa internazionali, poteva contare sul’appoggio del presidente del Parlamento
uscente, Osama Al Najafi, suo allea-
to all’interno della coalizione Al
Mutahiddun in occasione delle elezioni legislative. Najafi aveva annunciato nei giorni scorsi l’intenzione di
rinunciare a un secondo mandato
per spingere anche il primo ministro
Nasce la banca dei Brics
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La presidente brasiliana all’apertura del vertice (Reuters)
Il Santo Padre ha nominato, per
un quinquennio, Consultori della
Congregazione per gli Istituti di
Vita Consacrata e le Società di
Vita Apostolica gli Eccellentissimi Monsignori: Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto (Italia);
Angelo Vincenzo Zani, Arcivescovo titolare di Volturno, Segretario della Congregazione per
l’Educazione Cattolica; i Reverendi: Suor Marcella Farina,
F.M.A., Docente Ordinario di
Teologia Fondamentale e Sistematica nella Pontificia Facoltà di
Scienze dell’Educazione «Auxilium», Roma; Padre José Cristo
Rey García Paredes, C.M.F., Vice
Direttore dell’Istituto Teologico
di Vita Religiosa di Madrid
(Spagna); Padre Robert J. Geisinger, S.I., Docente di Diritto
Canonico presso la Pontificia
Università Gregoriana, Procuratore Generale della Compagnia
di Gesù, Roma; Padre Loïc-Ma-
BRASILIA, 16. Al termine, ieri, della
prima giornata del vertice del Brics
a Fortaleza, i leader di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica hanno
deciso di dare attuazione all’annunciato progetto della banca di sviluppo comune da cento miliardi di
dollari. La nuova banca avrà sede a
Shanghai, in Cina, e il primo presidente di turno sarà un indiano. Ai
ministri delle Finanze dei cinque
Paesi Brics spetterà il compito di
costituire un consiglio di amministrazione, che, per primo, sarà presieduto dal Brasile.
NOSTRE INFORMAZIONI
rie Le Bot, O.P., Decano della Facoltà
di
Diritto
Canonico
dell’Istituto Cattolico di Toulouse (Francia); Suor Maria Domenica Melone, S.F.A., Rettore Magnifico della Pontificia Università «Antonianum», Roma; Padre
Pier Luigi Nava, S.M.M., Docente
di formazione alla vita consacrata nella Pontificia Facoltà di
Scienze dell’Educazione «Auxilium», Roma; Sacerdote Jesu
Maria James Pudumai Doss,
S.D.B., Docente straordinario nella Facoltà di Diritto Canonico
della Pontificia Università Salesiana, Roma; Padre Bruno Secondin, O.CARM., Docente ordinario emerito di Spiritualità moderna e Fondamenti di vita spirituale presso la Pontificia Università Gregoriana, Roma; Padre
Yuji Sugawara, S.I., Decano della
Facoltà di Diritto Canonico della
Pontificia Università Gregoriana,
Roma; le Illustrissime Signorine:
Dottoressa Elena Lucia Bolchi,
consacrata nell’«Ordo Virginum»
dell’Arcidiocesi di Milano, Patrono stabile del Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo, Milano (Italia); Dottoressa Lourdes
Grosso García, M. ID., Direttrice
del Segretariato della Commissione Episcopale per la Vita
Consacrata della Conferenza
Episcopale Spagnola, Madrid
(Spagna).
Il Santo Padre ha nominato
Osservatore Permanente della
Santa Sede presso l’O rganizzazione degli Stati Americani
(O.A.S.) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Bernardito
C. Auza, Arcivescovo titolare di
uscente, lo sciita Nouri Al Maliki, a
farsi da parte nella corsa alla guida
del nuovo Governo. Ma stando alle
ultime indiscrezioni, non sembra
proprio che Al Maliki abbia intenzione di defilarsi.
Al contrario, proprio qualche giorno fa il premier ha ribadito la volontà di candidarsi alla guida dell’Esecutivo che dovrebbe essere formato
entro tempi brevi così da contribuire
a dare una sufficiente stabilità al
quadro politico in un territorio alle
prese con la graduale avanzata dei
miliziani dello Stato islamico (Is).
Da tempo e da più parti si chiede la
formazione di una nuova compagine
governativa che comprenda tutte le
componenti del Paese, ma l’impresa
non è facile considerando le sempre
forti rivalità tra gli sciiti, i sunniti e i
curdi. Anche la comunità internazionale sta facendo pressione per un
Governo di unità nazionale. E in
questo contesto si registrano pure le
pronunciate spinte da parte del Kurdistan iracheno ad allontanarsi sempre più dal potere centrale di Kabul.
Suacia, Osservatore Permanente
della Santa Sede presso l’O rganizzazione delle Nazioni Unite
(O.N.U.).
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo Ordinario Militare per il
Perú Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Juan Carlos Vera Plasencia, M.S.C., finora Vescovo Prelato della Prelatura Territoriale di Caravelí (Perú).
Nomina
di Vescovo Coadiutore
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo Coadiutore della Diocesi di Santos (Brasile) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor
Tarcísio Scaramussa, S.D.B., finora Vescovo titolare di Segia ed
Ausiliare di São Paulo.
«Deposizione dalla croce», evangeliario siriaco di Mor Gabriel (XIII secolo)
di MANUEL NIN
a centoventicinquesima omelia cattedrale di Severo d’Antiochia, pronunciata nel 518,
è l’ultima di quelle predicate durante i suoi sei anni di episcopato
nella capitale dell’Oronte. Il patriarca commenta il trisàghion (letteralmente, “tre volte santo”) secondo la formula «santo Dio, santo forte, santo immortale (hàghios
ho theòs, hàghios hischyròs, hàghios
athànatos), crocefisso per noi, abbi
pietà di noi». Acclamazione liturgica tratta da testi veterotestamentari
(Isaia, 6, 3 e Salmi, 41, 3) e attestata al concilio di Calcedonia (451), il
Trisaghion era divenuto controverso per l’aggiunta «crocefisso per
noi» introdotta dal patriarca antiocheno Pietro Fullone (468-488).
All’inizio l’omelia parla di Paolo,
modello di apostolo ed esempio di
uomo di fede nelle lotte e nella
predicazione, ma poi Severo presenta se stesso, vescovo della Chiesa di Antiochia che, come Pietro,
confessa Cristo: «Ho messo davanti ai vostri occhi la fermezza della
fede ortodossa e ho rifiutato quello
che è estraneo alla confessione di
fede apostolica». E qui inizia il
commento vero e proprio, in chiave
cristologica, al canto del Trisaghion: «Alcuni hanno osato togliere dalla dossologia del Trisaghion
l’aggiunta “crocefisso per noi”. Ma
questa dossologia è perfetta con
l’aggiunta “crocefisso per noi” perché è al nostro salvatore Cristo che
si canta». Questa lettura rimarrà fino a oggi nelle tradizioni di molte
antiche Chiese cristiane orientali.
Severo, considerando il mistero
dell’incarnazione del Verbo di Dio,
passa al commento della prima acclamazione del Trisaghion: «Per
questo confessiamo e professiamo
— e, direi, ci meravigliamo di fronte alla gloria di questo mistero —
che, dopo aver svuotato se stesso,
Cristo non ha smesso di essere
Dio. Anzi, facendosi uomo senza
cambiamento, non ha oscurato lo
splendore della divinità e fa quello
che è proprio di Dio e quello che
conviene all’economia della nostra
redenzione. Per questo innalziamo
a lui la lode e diciamo: santo
D io».
La passione del Verbo di Dio incarnato illumina poi la seconda ac-
L
clamazione del Trisaghion: «E poiché si è fatto uomo, ha preso su di
sé volontariamente le malattie della
carne, le ingiurie, le sofferenze, la
flagellazione, la crocefissione e così
ha fatto vedere che è forte e ci ha
salvati, lui il forte che ha vinto Satana, per questo lo acclamiamo:
santo forte». La risurrezione di
Cristo spiega infine la terza acclamazione del Trisaghion: «E dopo
che nella carne ha subito la morte
ed è disceso nello sheol, il terzo
giorno è risuscitato, perché era immortale per natura, benché nel suo
corpo potesse soffrire e morire; a
lui quindi che abbiamo visto immortale nella morte, a lui nella lode diciamo: santo immortale».
Infine Severo commenta l’aggiunta al Trisaghion: «Noi abbiamo visto l’Emmanuele che, messo
in croce, mani e piedi inchiodati,
messo a morte per mezzo della croce, ha vinto Satana. Perciò annunciamo anche il mezzo con cui è
messo a morte, cioè la croce, confessando la grandezza della sua
forza e dicendo apertamente: santo
immortale, crocefisso per noi, abbi
pietà di noi». Il vescovo di Antiochia conclude l’elogio del Trisaghion presentandolo come sintesi
di tutto il mistero della fede cristiana: «Questa lode quindi viene detta all’unigenito di Dio, al Verbo,
che per noi si è incarnato e si è fatto uomo. Infatti che il Padre è per
natura Dio e forte e immortale, e
allo stesso modo lo Spirito, è chiaro a tutti. Così, rifiutando la stoltezza e l’incredulità, diciamo: santo
Dio, che per noi ti sei fatto uomo
senza cambiamento e rimani Dio;
santo forte, tu che nella debolezza
hai mostrato la forza; santo immortale, crocefisso per noi, che nella
carne hai sopportato la morte in
croce e hai fatto vedere che sei immortale anche quando sei morto».
Concludendo l’omelia Severo difende l’origine molto antica di questa formulazione del Trisaghion,
che è antiochena proprio come il
nome dato ai discepoli di Cristo
secondo il racconto degli Atti degli
apostoli: «E questa lode è iniziata
nella nostra città di Antiochia, allo
stesso modo in cui qui ha avuto
inizio il nome dei cristiani, lode
che già è arrivata alle Chiese
dell’Asia e cammina verso tutte le
altre Chiese».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
A Bruxelles la riunione del Consiglio europeo
Intervento della Santa Sede a New York
L’ora delle nomine ai vertici
delle istituzioni dell’Ue
Energia
centro nevralgico di tante
sfide attuali
BRUXELLES, 16. Quella di oggi dovrebbe essere la giornata decisiva
per dipanare la complicata matassa
delle nomine ai vertici delle istituzioni dell’Unione europea, a partire
dalla scelta di chi guiderà la politica
estera dell’Ue dopo Catherine
Ashton. All’indomani dell’elezione
di Jean-Claude Juncker a capo della
Commissione (con 422 voti a favore
e 250 contrari) l’attenzione si sposta
ora da Strasburgo a Bruxelles dove
a tenere banco al summit dell’Ue sarà il negoziato dei candidati per le
poltrone più importanti.
Ma prima di affrontare la questione del pacchetto delle nomine, i leader dei Ventotto dovranno comunque discutere della critica nel Vicino
Oriente e di possibili, nuovi sanzioni contro la Russia. Dagli esiti delle
riunioni pomeridiane e dalla cena di
lavoro si capirà finalmente il grado
di tenuta della collaborazione bipartisan Ppe-Pse, anche nel quadro delle scelte di altri top job, cioè su chi
sarà il futuro presidente del Consiglio e dell’Eurogruppo.
Riguardo alla nomina del nuovo
alto rappresentante per la politica
Estera e di Sicurezza, sta circolando
con insistenza, nelle ultime ore, il
nome del ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini. Ma in merito a tale nomina, rilevano le agenzie di stampa internazionali, vi sa-
Pubblichiamo in una nostra traduzione
italiana l’intervento pronunciato il 6
giugno a New York dal vescovo Mario
Toso, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace in occasione del primo forum annuale
sull’Energia sostenibile per tutti che celebra l’avvio del Decennio 2014-2024
per l’Energia sostenibile per tutti.
Signor Presidente,
Eccellenze,
Signore e Signori,
Il ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini (Ansa)
rebbero le riserve di alcuni Paesi.
Gli stessi osservatori concordano nel
rilevare che quella della nomina del
nuovo alto rappresentante per la politica Estera e di Sicurezza rappresenta un passaggio politico pieno di
incognite. C’è infatti anche chi ipo-
tizza che, in mancanza di un accordo, l’unica via d’uscita sarebbe prendere tempo e convocare un altro
vertice, il 23 luglio.
Ma si verrebbe così a configurare
uno scenario che rischierebbe di risultare più un terreno di scontro che
di dialogo. Non a caso ieri le prime
affermazioni del nuovo presidente
della Commissione Ue hanno richiamato l’esigenza di procedere con
unità di intenti così da favorire e rilanciare la competitività dell’Unione
europea.
Critiche dal gruppo di contatto
Sentenza di un tribunale locale
I separatisti ucraini
rifiutano il dialogo
Olanda condannata
per Srebrenica
KIEV, 16. Il gruppo di contatto sulla
crisi ucraina (Organizzazione per la
sicurezza e la cooperazione in Europa, Russia e Ucraina) ha denunciato questa mattina la «mancanza
di buona volontà» per un dialogo
da parte dei separatisti filo-russi, riferendo che la videoconferenza proposta per ieri è saltata. «Purtroppo
l’appuntamento previsto non ha
avuto luogo», si legge in un comunicato del gruppo di contatto pubblicato sul sito dell’Osce. «Questo
— prosegue la nota — mostra la
mancanza di volontà da parte dei
separatisti per avviare delle discussioni sostanziali su un cessate il
fuoco reciprocamente accettabile».
Dal canto suo, il presidente
ucraino, Petro Poroshenko, ha assicurato di avere il sostegno di Germania e Stati Uniti per l’operazione
antiterrorismo che le forze di Kiev
stanno portando avanti nell’est del
Paese. Il capo dello Stato ucraino
ha avuto ieri colloqui con il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e con
il vicepresidente statunitense, Joe
Biden, per discutere il sostegno che
la comunità internazionale può garantire all’Ucraina alla vigilia del
Consiglio europeo.
E mentre resta alta la tensione
nell’est dove non si fermano i combattimenti (11 militari di Kiev sono
stati uccisi nelle ultime 24 ore) il
presidente
statunitense,
Barack
Obama, ha chiamato il cancelliere
tedesco, Angela Merkel. Secondo
quanto ha reso noto oggi la Casa
Bianca, i due leader — che hanno
parlato anche «di cooperazione in
materia di intelligence tra Stati
Uniti e Germania» — si sono trovati
d’accordo sulla necessità che la
Russia adotti misure immediate che
portino a una de-escalation della situazione nell’Ucraina orientale, fermi il flusso di armi pesanti, equipaggiamento e combattenti verso
quella zona.
Gli Stati Uniti, inoltre, stanno
considerando di imporre sanzioni
unilaterali nei confronti della Russia. Lo riporta la stampa statunitense citando alcune fonti, secondo le
quali l’Amministrazione di Washington si prepara a muoversi da sola
se l’Unione europea non dovesse
decidere
per
sanzioni
forti
nell’odierno vertice.
Novità anche sul fronte energetico. Nel contesto attuale non c’è posto per la ripresa dei negoziati sul
gasdotto South Stream, ora sospesi,
e «tenendo conto dell’evoluzione
della situazione in Ucraina la nostra posizione non può cambiare
per il momento». Lo ha detto il direttore generale per l’Energia della
commissione europa, Dominique
Ristori. Quando migliorerà la situazione con l’Ucraina — a cui Mosca
ha chiuso i rubinetti del gas da oltre un mese per il contenzioso sul
prezzo delle forniture — allora, secondo l’esponente europeo, sarà
possibile rivedere la posizione con
la Russia su South Stream. Ma, ha
avvertito, «su un punto siamo chiarissimi: l’applicazione delle regole
europee deve essere del 100 per
cento, e su questo non si negozia».
I problemi erano sorti lo scorso
autunno quando i sei Paesi
dell’Unione europea attraversati dal
gasdotto (Bulgaria, Ungheria, Grecia, Slovenia, Croazia, Austria più
Serbia) avevano siglato accordi intergovernativi con Mosca non in linea con le norme europee del pacchetto energia sull’accesso e l’utilizzo dell’infrastruttura e sul sistema
di tariffazione. Era stato creato un
gruppo di lavoro tecnico per risolvere i nodi ma, con l’aggravarsi della crisi ucraina, è da febbraio che
non si è più riunito.
L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
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giovedì 17 luglio 2014
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
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Una donna nel memoriale di Potocari (Ansa)
L’AJA, 16. Lo Stato olandese è responsabile per la morte di trecento
delle oltre ottomila persone uccise a
Srebrenica, l’enclave musulmana
bosniaca dove nel luglio del 1995 si
consumò la maggiore strage in Europa dalla fine della seconda guerra
mondiale. A Srebrenica, a suo tempo
dichiarata
zona
protetta
dall’Onu, la popolazione restò inerme di fronte all’attacco delle milizie
serbo-bosniache, che trucidarono
uomini, vecchi e bambini dopo
averli separati dalle donne. Un tribunale olandese, accogliendo un ricorso presentato dall’associazione
Madri di Srebrenica, ha deliberato
oggi che lo Stato è responsabile
della morte di trecento uomini deportati dai serbo-bosniaci dalla base di Potocari dei caschi blu olandesi. I caschi blu, infatti, fecero
uscire quanti vi avevano cercato rifugio, esponendoli al massacro.
Desidero unire la mia voce a quanti
mi hanno preceduto per ringraziare
gli organizzatori di questo Summit.
Il documento finale della Conferenza di Rio+20 esprime la determinazione dei partecipanti «a lavorare
affinché l’energia sostenibile per
tutti diventi una realtà, e contribuire così a sradicare la povertà e ad
avanzare verso lo sviluppo sostenibile e la prosperità mondiale» (n.
129).
La Santa Sede condivide questa
determinazione. Auspica e incoraggia nell’ambito del “D ecennio”
azioni efficaci e in grado di offrire
soluzioni. Di fatto, per la Santa Sede rivestono grande importanza il
benessere e la felicità di ogni persona umana, specialmente di quelle
più povere e vulnerabili, di tutti coloro che non hanno opportunità
per studiare, per lavorare, per partecipare all’attività economica e per
vivere con dignità.
Realizzare il diritto-dovere di
ogni essere umano allo sviluppo integrale e ottenere realmente l’energia sostenibile per tutti richiede un
cambiamento radicale di paradigma
nel modo di comportarsi gli uni
con gli altri, nella maniera di percepire l’economia e lo sviluppo, e nella gestione, a tutti i livelli, delle sfide della famiglia umana. Un simile
cambiamento di paradigma è atteso
da lungo tempo e proprio l’energia
può essere un driver fondamentale
per contribuirvi.
Il creato con le sue risorse, tra le
quali anche quelle energetiche, come ha spiegato di recente Papa
Francesco, «è un dono meraviglioso
che Dio ci ha dato, perché ne abbiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti, sempre con grande rispetto» (Catechesi nell’Udienza generale, 21 maggio 2014). È pertanto
fondamentale che, proprio nello
sforzo di fornire energia sostenibile
per tutti, si promuovano una maggiore equità e inclusione sociale nel
mondo. Devono essere altresì abbandonati atteggiamenti come somministrare energia a livello sufficiente solo per evitare conflitti, solo
per ottenere più consumatori; o solo per sembrare “verdi”, o per non
mettere in pericolo i guadagni futuri. La responsabilità sociale delle
imprese, i criteri degli investitori e
le decisioni politiche, in particolare,
devono liberarsi dell’opportunismo,
del cinismo, e impegnarsi con sincerità e responsabilità per il bene
comune a lungo termine. Ottenere
la sostenibilità per tutti richiede anche che si rifletta sull’uso dell’energia, ossia sui nostri modi di trasformarla, di consumarla e anche di
sprecarla. Perciò è necessario stabi-
lire una gerarchia tra le priorità di
consumo e di distribuzione in base
a criteri di necessità, giustizia, equità e solidarietà, il che contribuirà a
generare cambiamenti significativi e
responsabili negli stili di vita.
Signor Presidente,
La Santa Sede è nella migliore
disposizione per collaborare, in base alle proprie competenze, con tutti i promotori del “D ecennio” e con
quelli che vi aderiranno. Occorre
coltivare un’ampia e ambiziosa visione delle modalità con cui fornire
energia. Tali modalità devono soddisfare condizioni non solo tecniche
ed economiche, ma anche sociali,
ambientali, culturali e politiche.
Una visione ristretta e parziale condurrebbe a insuccessi e delusioni.
Questo non sarebbe accettabile,
perché l’energia è il centro nevralgico di numerose sfide che oggi si rivelano sempre più interconnesse.
La famiglia umana in molti luoghi
soffre a causa di tragedie sociali,
politiche, economiche ed ecologiche
le cui soluzioni dipendono, almeno
in parte, da una volontà rinnovata,
audace e di ampio respiro da parte
della comunità internazionale. Questo Foro e questo “D ecennio” sono
un momentum particolarmente favorevole per l’energia. Occasioni simili non possono essere sprecate! Riprendendo lo spirito dell’Appello
(cfr. Appello all’umanità, Ouagadougou, 29 gennaio 1990, n. 4) lanciato
nel 1990 da san Giovanni Paolo II,
ci possiamo chiedere: Come giudicherebbe la storia questa nostra generazione che, avendo tutti i mezzi
per fornire energia sostenibile alla
popolazione della terra, si rifiutasse
di farlo con indifferenza fratricida?
Seminario organizzato a Roma dalla Focsiv
Confronto tra no profit e imprese sullo sviluppo sostenibile
ROMA, 16. Una cooperazione tra il
variegato mondo del no profit e
quello delle imprese economiche
può contribuire a uno sviluppo sostenibile nel rispetto dei diritti umani. Da questa convinzione prende le
mosse il seminario di oggi alla Pontificia Università Lateranense, organizzato dalla Federazione organismi
cristiani di servizio internazionale
volontario (Focsiv). Il seminario
conclude il ciclo di lezioni del master in «Nuovi orizzonti di cooperazione e diritto internazionale», che
quest’anno ha affiancato alla Lateranense il corso di perfezionamento
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Carlo Di Cicco
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
post-laurea della Focsiv, giunto alla
XXIII edizione.
L’attuale situazione internazionale, segnata da una crisi pagata soprattutto dai popoli più poveri e dai
ceti meno abbienti anche nei Paesi
ricchi, sollecita il settore privato a riflettere su come «i mercati si siano
allontanati dalla morale». Perché,
come sostiene Mario Benotti nella
sua relazione al seminario, bisogna
rimettere l’uomo al centro delle scelte politiche. Anche in ambito economico. In questo, secondo Benotti,
l’Europa può tradurre il suo tradizionale ruolo di «faro di democrazia
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caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
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e di rispetto dei diritti umani in una
forte politica capace di rovesciare lo
status quo dominato dalla finanza,
soprattutto nel creare lavoro, investendo nell’economia reale, nella ricerca e sviluppo, nella cultura e nel
turismo».
A rendere di stretta attualità il seminario non è dunque solo la situazione italiana, come dimostra la dimensione europea dell’apertura del
mondo del volontariato alla cooperazione con le aziende. Una tendenza questa confermata dal recente incontro di Firenze tra i ministri dello
Sviluppo dell’Unione europea, in-
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
contro che si è concentrato proprio
sul nuovo ruolo del settore privato
nella cooperazione allo sviluppo. Da
sempre attenta alla dottrina sociale
della Chiesa, la Focsiv proprio in
questa prospettiva sta riesaminando
l’impegno a favore delle popolazioni
più povere, secondo quanto dichiarato dal suo presidente, Gianfranco
Gattai. C’è infatti la necessità di
rendere più efficaci gli spazi di collaborazione virtuosa tra no profit e
imprese, responsabilizzando queste
ultime sulla cruciale questione del
rispetto dei diritti umani per uno
sviluppo davvero equo e sostenibile.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
A Fukushima
un muro
di ghiaccio
TOKYO, 16. Nella centrale nucleare giapponese di Fukushima,
praticamente distrutta l’11 marzo
del 2011 dal terremoto e dal successivo tsunami, tra pochi giorni
sarà attiva l’ultima grande struttura. Si tratta di un enorme edificio di due piani di quattordicimila metri quadrati, antisismico
e senza finestre esterne, destinato a ospitare i 1.200 tecnici e ingegneri, che già lavorano senza
sosta nella battaglia quotidiana
di contenimento dell’acqua contaminata. Si trova appena fuori
dal perimetro originario dell’impianto e anticipa quella che, al
momento, resta l’emergenza primaria: la spianata di centinaia di
serbatoi da mille tonnellate
l’uno, circondati da muri di contenimento. La Tepco, il gestore
della disastrata centrale, ha permesso a un gruppo di giornalisti
stranieri l’accesso al cantiere dove sono in corso le attività per
realizzare un ambizioso muro di
ghiaccio sotterraneo, uno strato
di permafrost per isolare i quattro reattori distrutti e per ridurre
gli enormi volumi di acque reflue radioattive. I lavori sono
partiti dall’unità numero quattro
e per il completamento ci vorrà
la sistemazione di 1.550 pali d’acciaio fino a trenta metri di profondità lungo il perimetro di
1.500 metri: un liquido di raffreddamento, da marzo del 2015,
circolerà nei tubi per congelare il
terreno
isolando
i
reattori
dall’acqua della falda freatica.
Allo stesso tempo, la Tepco lavora per bloccare, con il principio
del congelamento, le acque reflue in un tunnel di servizio del
reattore numero 2 e impedire così lo sfogo finale in mare. Incontrando i giornalisti, il manager
della centrale, Akira Ono, ha
confermato che i test hanno confermato il funzionamento del
muro di ghiaccio.
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L’OSSERVATORE ROMANO
giovedì 17 luglio 2014
pagina 3
Fondo a favore della Repubblica Centroafricana
Già duemila civili uccisi quest’anno in Nigeria
Finanziamenti europei
a Bangui
Le vittime di Boko Haram
BRUXELLES, 16. L’Unione europea
intensifica l’impegno per la stabilizzazione e la ricostruzione della Repubblica Centroafricana, stremata
da oltre un anno di conflitti tra i
gruppi armati rivali. Lo fa con uno
strumento chiamato Bêkou («speranza» in lingua locale sango), un
fondo fiduciario istituito con il contributo di alcuni Paesi donatori. il
Bêkou sarà inizialmente dotato di
64 milioni di euro, di cui 39 dal
Fondo europeo per lo sviluppo e
due milioni dal bilancio umanitario
Impedito
in Costa d’Avorio
il rimpatrio
di profughi
YAMOUSSOUKRO, 16. Sono stati
respinti alla frontiera del loro
Paese quattrocento cittadini della
Costa d’Avorio che l’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati
(Unhcr) si apprestava a far rimpatriare dopo tre anni di esilio in
Nigeria. Il convoglio organizzato
dall’Unhcr è stato fermato al
confine e costretto a tornare indietro. A nulla sono serviti i contatti allacciati con le autorità ivoriane che avrebbero dovuto dare
il via libera al rientro dai quattrocento rifugiati. «È una situazione
drammatica e inammissibile. Il ritorno nel Paese di origine è un
diritto fondamentale della persona. È stata commessa una violazione del diritto interno e internazionale. È un incidente grave
che può avere conseguenze significative» ha denunciato il rappresentante dell’Unhcr in Costa
d’Avorio, Mohamed Touré, ricordando che lo stesso Governo ivoriano ha più volte invitato i rifugiati a fare ritorno in patria.
Finora le autorità ivoriane hanno spiegato, in via soltanto ufficiosa, il rifiuto con l’esigenza di
scongiurare il contagio del virus
ebola che da mesi ha colpito la
Liberia, oltre alla Guinea e alla
Sierra Leone. «Non è un argomento serio, visto che il rimpatrio viene monitorato dall’Unhcr
che procede a tutti i controlli sanitari del caso, sia al momento
della partenza dalla Liberia sia
all’arrivo in territorio ivoriano»,
ha sottolineato Touré. In merito,
il responsabile dell’Unhcr ha ricordato che il confine con la Liberia chiuso per i rifugiati di fatto rimane aperto per tutte le altre
categorie di persone in transito.
Durante e dopo la crisi seguita
alle elezioni presidenziali del
2010, circa trecentomila ivoriani,
per lo più politicamente vicini
all’ex presidente Laurent Gbagbo, hanno trovato rifugio nei
confinanti Liberia e Ghana. Il
flusso di profughi, in realtà era
incominciato anni prima, dopo il
mancato colpo di Stato del 2002
e lo scoppio di una crisi interna
politica e militare che ha diviso il
Paese per oltre un decennio.
dell’Unione. Venti milioni saranno
forniti, in due anni, da Francia e
Germania e altri tre dai Paesi Bassi.
Il fondo sarà successivamente alimentato da nuove donazioni per
contribuire alla ricostruzione del
Paese, con la riabilitazione dell’amministrazione nazionale e di quelle
locali, la ripresa delle attività economiche e dei servizi essenziali, come
energia elettrica, trasporti, sanità e
istruzione. Inoltre, secondo quanto
comunicato dalla Commissione europea, questo nuovo strumento offrirà un sostegno ai Paesi confinanti
— Camerun, Ciad, Congo e Repubblica Democratica del Congo — colpiti dalla crisi centroafricana. Come
noto, tali Paesi hanno accolto decine di migliaia di rifugiati oltre a dover fronteggiare minacce alla propria sicurezza interna.
Dal dicembre 2012 l’Unione europea ha già sbloccato 84,5 milioni di
euro di aiuti umanitari a favore della Repubblica Centroafricana, dove
dallo scorso aprile ha anche dispiegato una forza militare per la sicurezza dell’aeroporto e di due quartieri della capitale Bangui.
La costituzione del fondo di Bêkou è stata annunciata a pochi giorni dall’apertura del Forum sulla riconciliazione nazionale tra Governo
di transizione, forze politiche, società civile e principali gruppi ribelli
Studentesse a Maiduguri (Afp)
ABUJA, 16. Sono già oltre duemila i civili nigeriani uccisi dall’inizio dell’anno in attacchi armati e attentati terroristici del gruppo islamista Boko Haram. Lo afferma
un rapporto pubblicato ieri dall’organizzazione umanitaria Human Rights Watch (Hrw) che parla di 2.053
morti accertati in quasi un centinaio di attacchi di Boko
Haram in varie zone della Nigeria.
Nel solo Stato nordorientale del Borno, che di Boko
Haram è la roccaforte, i morti sono stati 1.446, mentre
negli Stati dello Yobe e dell’Adamawa — gli altri due
dove da quattordici mesi il Governo federale di Abuja
ha proclamato lo stato d’assedio — i morti sono stati rispettivamente 143 e 151. Hrv ricorda inoltre che il rapimento delle 276 liceali di Chibok, a metà aprile, non è
stato l’unico attacco alle scuole sferrato da Boko Haram. A febbraio i miliziani islamisti avevano infatti bruciato vivi 59 ragazzi in un collegio di Buni Yadi. Sempre ieri l’esercito ha comunicato la cattura, avvenuta sabato nello Stato di Bauchi, di uno dei più feroci capi di
Boko Haram. Si tratta di Mohammed Zakari, responsabile, tra l’altro, di un eccidio di donne e bambini nel
villaggio di Kaigamari.
Il segretario generale dell’Onu condanna la strage al mercato
Kabul tra violenze e ricerca della stabilità politica
Il luogo del sanguinoso attentato nella provincia di Paktika (LaPresse/Ap)
La Thailandia espelle
rifugiati del Myanmar
BANGKOK, 16. Con un’operazione
giustificata da necessità di ordine
pubblico e stabilità, la giunta militare della Thailandia — al potere da
maggio con un colpo di Stato — ha
deciso il rimpatrio di molti profughi del Myanmar.
Al momento, non sono stati diffusi i particolari dell’operazione di
rientro, che dovrebbe comunque
durare un anno in diverse fasi, ma
le organizzazioni umanitarie segnalano che la Thailandia dovrà sottostare alle regole internazionali che
regolano la materia. Inoltre, Bangkok dovrà prevedere adeguate
strutture per il rimpatrio e — in accordo con il Governo del Myanmar
— garantire sicurezza nel Paese
d’origine.
Apparentemente, invece, l’Esecutivo di Naypyidaw del presidente
riformista, Thein Sein, non sarebbe
stato coinvolto nella decisione.
rivali del Paese africano, fissato dal
21 al 23 giugno a Brazzaville, la capitale della Repubblica del Congo.
A mettere in forse gli obiettivi del
forum, peraltro, è intervenuta una
spaccatura della Seleka («alleanza»
in sango), la coalizione degli ex ribelli in lotta con gli antibalaka (balaka, sempre in sango, significa machete, l’arma dei miliziani Seleka).
Al forum è favorevole l’ala guidata
da Abdoulaye Hissène, nominato a
maggio coordinatore nazionale della
Seleka. È invece contraria l’ala dissidente guidata da Michel Djotodia,
che nel marzo 2013 guidò il colpo di
Stato contro il presidente François
Bozizé e si autoproclamò capo di
Stato prima che le pressioni internazionali lo obbligassero a ritirarsi.
Intanto la presidente di transizione, Catherine Samba-Panza, ha destituito il ministro delle Miniere,
Olivier Malibangar, e affidato la direzione ad interim del dicastero al
primo ministro, André Nzapayéké.
Secondo la stampa locale, a Malibangar sono rimproverate la gestione del blocco delle esportazioni di
diamanti, in vigore dallo scorso anno per iniziativa del cosiddetto
Kimberley Process, l’accordo internazionale sul commercio e sulla
tracciabilità delle pietre preziose, e
alcune malversazioni riscontrate nel
bilancio del ministero.
Il capo della giunta militare thailandese, generale Prayuth Chanocha, ha infatti solo segnalato di
avere personalmente raggiunto un
accordo
con
il
comandante
dell’esercito del Paese vicino, Min
Aung Hlaing, incontrato a Bangkok nei giorni scorsi.
Attualmente, una moltitudine di
profughi del Myanmar vive da oltre
vent’anni nei nove campi allestiti
dalle numerose organizzazioni internazionali nelle aree di confine, in
territorio thailandese, molti dei
quali nel distretto di Mae Sot. Fonti umanitarie locali rilevano che le
loro condizioni economiche e sociali sono in media pessime.
Quei pochi che hanno un’occupazione sono spesso sfruttati e lavorano in nero, per paghe da fame,
nelle imprese agricole e nelle industrie della zona, per lo più gestite
da cinesi.
KABUL, 16. Il segretario generale
dell’Onu, Ban Ki-moon, ha espresso
ferma condanna per l’attentato suicida compiuto ieri in un mercato nella
provincia afghana di Paktika: più di
novanta i morti. Ban Ki-moon ha
definito l’attacco «un atto criminale
ignobile», che è costato la vita anche
a numerosi bambini. Il segretario generale dell’Onu ha poi condannato
l’attacco, avvenuto sempre ieri a Kabul, nel quale sono morti due dipendenti del Governo. «Tali azioni contro i civili rappresentano gravi violazioni del diritto umanitario internazionale» ha dichiarato Ban Kimoon. Nello stesso tempo il segretario generale dell’Onu ha elogiato
ancora una volta il coraggio del popolo afghano che nell’arco di breve
tempo ha partecipato in massa a due
turni elettorali mostrando nel modo
più chiaro la volontà di rifiutare la
violenze e di continuare a lavorare
per un futuro di pace.
E mentre nel territorio afghano le
violenze non danno tregua, sul piano politico si segnala l’inizio del riconteggio dei voti del ballottaggio
presidenziale che vede in corsa, per
la successione ad Hamid Karzai, l’ex
ministro degli Esteri Abdullah Abdullah, e l’ex ministro delle Finanze
Ashraf Ghani. Il riconteggio è stato
deciso — con la paziente mediazione
del segretario di Stato statunitense,
John Kerry — dopo che Abdullah
aveva denunciato presunti brogli. Da
principio si era pensato di procedere
a una revisione parziale delle schede,
Filippine colpite
dal primo tifone della stagione
MANILA, 16. Oltre 450.000 filippini
hanno passato la notte nei centri di
raccolta per sfuggire al primo tifone
della stagione che si è abbattuto
sull’arcipelago, il cui occhio è passato stamani sul sud di Manila. Il
tifone è stato accompagnato da
venti che hanno raggiunto i 250
chilometri orari quando, ieri sera,
ha colpito le isole orientali dell’arcipelago.
Il bilancio delle vittime è al momento di 15 morti tra cui un bambino di 11 mesi. Circa 450.000 persone hanno dovuto lasciare le loro
abitazioni in cerca di rifugio nei
centri di accoglienza.
Il tifone — secondo il servizio
meteorologico del Paese — ha colpito l’area centro-orientale dell’arcipelago, una zona densamente popolata, e anche la capitale. Oltre duecento voli nazionali e internazionali
sono stati cancellati, mentre nel-
l’area di Manila, una metropoli con
12 milioni di abitanti, è stato sospeso il servizio ferroviario.
«Ci stiamo preparando al peggio.
È fondamentale che l’evacuazione
sia portata a termine», aveva affermato ieri sera Alejandro Rafaelito,
responsabile della protezione civile
di Bicol, una regione povera che vive di pesca e agricoltura, con una
popolazione di 5,4 milioni di persone. Spesso i tifoni che attraversano
le Filippine provocano la morte di
migliaia di persone.
Nel novembre scorso, il tifone
Haiyan — uno dei più violenti abbattutosi sull’arcipelago — provocò
6.245 morti accertati, 28.625 feriti e
1.039 dispersi, la maggior parte nella regione di Visayas, nella zona di
Samar e nell’intera provincia di
Leyte. Le case colpite furono
1.140.000, di cui mezzo milione
completamente distrutte.
ma Abdullah si era opposto: allora,
per uscire dallo stallo, si è deciso di
tagliare il nodo gordiano stabilendo
la verifica di tutti i voti. Questa operazione, come ha spiegato lo stesso
Kerry, richiederà circa tre settimane:
di conseguenza subiranno uno slittamento l’annuncio del vincitore del
ballottaggio, previsto per il 22 luglio, e il suo insediamento, fissato
per il 2 agosto.
L’auspicio adesso è che una volta
completato il processo elettorale,
non si verifichino nuove proteste e
non si alimenti ulteriormente un clima di sospetto, l’ultima cosa di cui
ha bisogno un Paese sempre segnato
dalle violenze e da tempo alla ricerca di una stabilità, anzitutto sul piano politico.
Il dopo Karzai, che il popolo afghano sperava potesse coincidere
con un periodo di calma e di progresso lungo il cammino della piena
democrazia, si sta invece rivelando
un momento molto critico, che sta
condizionando anche il rilancio
dell’immagine dell’Afghanistan sulla
scena internazionale. Entrambi i
candidati, durante la campagna elettorale, hanno espresso l’intenzione
di firmare l’accordo sulla sicurezza
con gli Stati Uniti: passo che Karzai
si era rifiutato di compiere. La firma
dell’intesa, con tutta probabilità, rilevano gli analisti, aiuterà il Paese a
recuperare un importante ruolo strategico nell’ambito delle complesse
dinamiche regionali.
Rischio
inquinamento
a New Delhi
NEW DELHI, 16. New Delhi, seconda metropoli più popolosa al
mondo con venticinque milioni
di abitanti, è sull’orlo del collasso
per gli enormi problemi di inquinamento legati soprattutto al trasporto urbano inadeguato. Con
ottanta milioni di veicoli circolanti e mille nuove immatricolazioni
ogni giorno, la rete stradale è insufficiente nonostante la costruzione di sopraelevate. Le nuove
linee della metropolitana, che
trasporta circa due milioni di
pendolari al giorno, contribuiscono solo in parte al grosso problema della mobilità. Di conseguenza, da alcuni anni si registra
un aumento record dell’inquinamento dell’aria, soprattutto di
polveri sottili, le più pericolose
per la salute.
Ispezioni dell’Onu
ai convogli
umanitari
inviati in Siria
DAMASCO, 16. Il coordinatore per
gli aiuti umanitari dell’Onu alla
Siria, Nigel Fisher, ha detto ieri
che le Nazioni Unite si incaricheranno di ispezionare le spedizioni
di aiuti dai Paesi vicini, dopo che
lunedì il Consiglio di sicurezza ha
adottato una risoluzione che consente l’invio dei convogli anche
senza il permesso del Governo di
D amasco.
Fisher ha sottolineato che è dovere dell’Onu sigillare i carichi
prima della loro partenza, per
scongiurare la possibilità che possano servire a far entrare armi nel
Paese. Proprio questo era stato il
motivo che il Governo siriano aveva dichiarato quando si era opposto all’ingresso dei convogli non
ispezionati dalle proprie truppe.
«Le Nazioni Unite controlleranno
tutti i convogli in partenza dalla
Giordania,
dalla
Turchia
e
dall’Iraq per accertare che contengano esclusivamente aiuti umanitari»,
ha
detto
l’esponente
dell’Onu al quotidiano «Al
Qhad», specificando che squadre
di ispettori sono attese nei Paesi
confinanti con la Siria per organizzare le operazioni.
Le affermazioni di Fisher sono
in linea con quanto contenuto nella risoluzione approvata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza
nella quale si stabilisce — oltre
all’apertura di quattro valichi, due
in Turchia, uno in Giordania e
uno in Iraq — di istituire un meccanismo di controllo sotto l’autorità del segretario generale dell’O nu
per monitorare la consegna degli
aiuti. Non è tuttavia chiaro quando le spedizioni cominceranno e
quale tipo di forza militare garantirà la loro protezione, necessaria
in quanto i convogli dovranno attraversare aree presidiate dai belligeranti, non solo forze governative, ma anche gruppi ribelli spesso
in lotta tra loro.
Nel frattempo è atteso per le
prossime ore il giuramento di
Bashar Al Assad per l’inizio del
suo terzo mandato presidenziale
settennale al quale era stato eletto
all’inizio di giugno, con una consultazione considerata dalle opposizioni e da diversi Paesi stranieri
non credibile, in quanto non è
stato possibile votare nelle aree
controllate dai ribelli. La presidenza siriana non ha indicato la
data e il luogo esatto del giuramento, ma ha comunicato che il
discorso del presidente servirà a
definire le priorità e la strategia
politica ed economica per i prossimi sette anni.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
giovedì 17 luglio 2014
Indicato come emblema del tradizionalismo
rivoluzionò in chiave pastorale
l’assetto delle diocesi italiane
Compresa la curia romana rimasta ferma
a strutture ed esigenze dello Stato pontificio
Uno degli incontri con i romani
che Pio X ebbe nel cortile
di San Damaso in Vaticano
Nella monografia di Romanato si recupera il vero Pio
X
fuori dalle ideologie
E lo chiamavano
Papa di provincia
di ALEJANDRO MARIO DIEGUEZ*
n Papa passato alla
storia per il suo catechismo, ma che da
giovanissimo cappellano scrisse un dialogo
catechistico per promuovere socialmente la classe contadina, inculcando principi di galateo, di economia e
igiene domestica, di puericultura:
«Non ninnate tanto il bambino, né
gli date la pezzetta collo zucchero. I
U
Don Sarto si riferiva al romanzo
del giornalista garibaldino Franco
Mistrali Maria Maddalena, gli amori
della peccatrice. Storia del Vangelo di
Cristo, pubblicato a Milano nel 1860:
il giovane cappellano aveva quindi
appena venticinque anni.
Un Papa percepito come “distante”, ma che da giovane vescovo passeggiava ogni sera per la città fermandosi a chiacchierare con la gente, salendo sulle barche dei pescatori
e interessandosi dei problemi di cia-
una gondola”, ma che in realtà ha
dotato la Chiesa di un corpus giuridico all’avanguardia e aggiornato la altri cardinali non l’avessero tratteformazione dei sacerdoti alle esigen- nuto.
Un Papa che, in quell’occasione,
ze del Novecento.
Un Papa adottato a emblema del rispondeva a un vescovo che «si tertradizionalismo, ma che rivoluzionò rà conto dei bisogni materiali spein chiave pastorale
l’assetto delle diocesi
italiane, Roma comEra ritenuto culturalmente impreparato
presa, e la stessa curia romana rimasta
ma da giovanissimo cappellano
ferma alle strutture
aveva il permesso di leggere libri proibiti
ed esigenze dello
Stato
Pontificio.
dalla Congregazione dell’Indice
Non a caso, nei priper poterli confutare dal pulpito
mi suoi appunti per
la riforma della curia
romana il dicastero
che poi avrebbe ricevuto il nome di cialmente delle chiese quando si sarà
Congregazione per la disciplina dei provveduto all’urgenza dei malati e
sacramenti era stato da lui denomi- dei senza pane» e che fu oggetto di
nato Congregazione del matrimonio, ammirazione, anche della stampa ancon la chiara intenzione di imprime- ticlericale del tempo, per aver garanre un’accelerazione alla soluzione di tito di tasca propria un tetto e un
questioni così delicate come quelle mestiere a più di 600 orfani di questa calamità. In queste, e tante altre
matrimoniali.
Un Papa associato alla caccia alle contrapposizioni, si racchiude la figura di un Papa, san Pio X, per
streghe della crisi modernista, ma
qualche decennio rimasta schiacciata
che non mancò di riaccogliere i satra gli eccessi dell’apologetica agiocerdoti ravveduti e di consigliare loro di «trovare nel ministero le più
care consolazioni».
Un Papa che non promosse mai
suoi segretari e li ammonì che se
avessero cercato di far soldi li avrebbe «cacciati via con un calcio». Anzi, un Papa che si riteneva raggirato
Pubblichiamo uno degli
dai suoi collaboratori, ma che in
interventi tenuti nel corso del
realtà si serviva di essi per dare riconvegno «San Pio X . Un
sposte efficaci e veloci, scrivendo a
Papa riformatore di fronte alle
volte anche a nome loro.
sfide del nuovo secolo»
Un Papa che sarebbe accorso di
organizzato dal Pontificio
persona, recandosi in treno, a conComitato di Scienze Storiche
fortare le vittime del tremendo terrein occasione del centenario
moto di Calabria e Messina del
1908, se il suo segretario di Stato e
della morte di Giuseppe Sarto.
Centenario
Il patriarca Sarto esce dalla Scuola Grande di San Tocco a Venezia (16 agosto 1902)
bambini col ninnare s’addormentano
bensì, ma solo perché si cagiona loro
una specie di vertigine troppo dannosa al loro tenero cervello. La pezzetta poi collo zucchero (il ciuccio)
non lo offrite, perché lo zucchero indurisce le gengive e rende più difficile la dentizione, perché corrompe i
denti sul loro spuntare. Non date il
latte ogni qual volta piange, perocché potrebbe darsi che pianga per
incomodo di replezione allo stomaco
il quale inconveniente si farebbe più
grave. A tutto questo aggiungete un
bagno freddo quotidiano (tiepido
all’inverno) e diventeranno sani e
forti come orsotti».
Un Papa ritenuto “culturalmente
impreparato”, ma che da giovanissimo cappellano aveva il permesso di
leggere e conservare libri proibiti
dalla Congregazione dell’Indice per
poterli confutare dal pulpito e nel
confessionale. Come in questa predica sui “Libri cattivi”: «Non v’incresca, o Signori, di prender meco per
poco in esame alcuni di codesti libri,
che appunto per essere tanto accreditati in istima, non v’ha sacente del
popolo, che quasi non si vergogni di
non averli letti. Quà, miei Signori,
cominciamo dove meglio vi piace,
non andiamo in cerca del più irreligioso, o più lubrico, ma dal primo
che sotto le mani vi cada. Vorreste
veder con raccapriccio derisi i Santi
beati del Cielo? Non avete che a
guardar le prime pagine di quell’empio italiano, che dopo d’aver divinizzata la sensualità a conferma del
parto mostruoso della sua mente
metteva la mano sacrilega nel sacrosanto deposito del Vangelo, e accozzando i fatti a suo modo apponeva
la più nera calunnia a quegli esemplari di castità e pudicizia nei quali
noi veneriamo l’eroismo della vera
virtù: Gli amori della Maddalena. Ma
senza dilungarci di troppo fra quelli
stessi che si dicono i più castigati, i
più buoni, troverete, in una, difesa
la religion naturale; in un altro propugnato il sistema del comunismo,
in questo dichiararsi solubile il matrimonio, in quello arbitrario l’esercizio della giustizia, in quasi tutti sostituirsi al pudore la sfacciataggine,
alle nozze altra cosa, all’ubbidienza
la ribellione, all’equità la soperchieria, alla fedeltà il tradimento».
scuno, e che da Papa spalancò le
porte del Vaticano per incontrare la
domenica la popolazione e gli oratori ricreativi romani.
Un Papa “di provincia”, accusato
di “trasformare la barca di Pietro in
vamente come un momento di repressione,
di chiusura al nuovo,
di rottura con il mondo moderno, ma il rinnovamento della Chiesa. Il volume di Gianpaolo Romanato, Pio
X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo
(Torino, Lindau, 2014,
pagine 584, euro 32),
tiene conto di queste
nuove acquisizioni e ci offre più che
una biografia, «la descrizione di una
personalità, di uno stile, di una cultura, di un mondo interiore che segnarono una svolta nella conduzione
della Chiesa».
Un’opera che
aiuta a «ripensa-
grafica e della denigrazione preconcetta. Ciò è stato possibile grazie alla pubblicazione delle fonti da parte
dell’Archivio Segreto Vaticano, a
studi sistematici e approfonditi da
parte di storici qualificati e a convegni di studi che hanno consentito di
ricuperare «il Pio X della storia e
non quello del mito, il Pio X del governo e delle riforme ecclesiastiche e
non quello della pietà popolare», ricomponendo la complessa e affascinante personalità di questo Pontefice, liberando la sua figura sia da coloro che l’avevano innalzata
a baluardo del tradizionalismo piu ottuso sia da coloro che l’avevano resa bersaglio obbligato di ogni accusa di antimodernismo intemperante. Le fonti oggi
disponibili offrono infatti
validi spunti per un’analisi
onesta e pacata degli atti
dell’intenso pontificato piano e ribadiscono il taglio
estremamente personale ed
eminentemente
pastorale
dell’attività di un Pontefice
che, se dopo la domenica
“dei quattro Papi” non è
più l’ultimo Papa santo delGiuseppe Sarto sulla salita del Monte Grappa
la Chiesa, è sempre l’unico
dove andò a benedire
che prima di sedere sul sola statua della «Madonna con il Bambino» (1901)
glio di Pietro, abbia percorso tutte le tappe del servizio ecclesiastico.
Gli studi hanno allargato il campo re Pio X fuori dalle ideologie, dai
di indagine estendendolo tanto agli pregiudizi e dalle nostre personali
anni precedenti l’ascesa al papato, opinioni sulla Chiesa, su ciò che è,
all’origine veneta, alle radici locali dovrebbe essere o vorremmo che fosdel suo stile pastorale quanto al conse», e perciò aiuta non solo a capire
testo interno e internazionale, civile
ed ecclesiastico, del suo operato. il passato, ma a comprendere meglio
Hanno potuto così rimettere al cen- il presente.
tro del suo pontificato non la condanna del modernismo, vista esclusi- *Archivio Segreto Vaticano
Nino Costa, il poeta piemontese caro a Bergoglio
Quanta Torino c’è a Córdoba
di ALBINA MALERBA e GIOVANNI TESIO
Nino Costa (Torino 28 giugno 1886 – 6
novembre 1945) si può considerare per
eccellenza il poeta di Torino e del Piemonte: il più conosciuto, il più amato.
Capace di affascinare tanto Luigi Einaudi (che nel 1955 scrisse un’intensa presentazione alla raccolta completa delle
sue poesie per le edizioni del Cenacolo)
Cento poesie
Pubblichiamo stralci della prefazione
al libro Nino Costa. Cento poesie piemontesi
inserito nella collana «La biblioteca di
Papa Francesco», diretta da Antonio
Spadaro (edizioni Rcs per il «Corriere
della Sera», in collaborazione con «La
Civiltà Cattolica»).
quanto i cuori più semplici che recitano
a memoria i suoi versi, entrati a far parte di un vero e proprio genius loci, quando non di un culto naturalmente profano, di cui è stato l’editore Andrea Viglongo a cogliere in primis — e non a
caso — la dimensione regional popolare.
A patto che si tenga però conto di un
dato essenziale: che Costa — pur partecipando dell’attività legata alla sua passione di poeta “in piemontese” — non si
è mai rinchiuso in un regionalismo semplicemente emotivo e meno che mai
grettamente provinciale, ma ha mirato
ad aprire con la poesia le più ampie finestre al sentimento della vita (ossia
poesia come vita che resta impigliata in
una trama di parole).
Come stupirsi, allora, che il piemontese-argentino Papa Bergoglio abbia imparato e ami i versi del poeta più nostro? In Argentina ci fu un tempo in cui
nelle zone più profonde e remote — le
zone strappate alla sterpaglia e coltivate
da mani di emigranti piemontesi — il
piemontese era la lingua “ufficiale”.
Tanto che — come racconta De Amicis
nel suo libro In America — «nel consiglio comunale si parla piemontese; i tedeschi, gli inglesi, i francesi che hanno
affari con la colonia, bisogna che imparino il dialetto, e lo imparano» e perfino
«una vecchia indiana, ravvolta in un
mantello di cento colori, una strana faccia color di terra, gli occhi obliqui e fissi, e un sorriso di fattucchiera» poteva
rispondere in piemontese («Mai pì!, mai
pì!», ossia “ma no, ma no”) a una domanda di predizione meteorologica.
Nino Costa non ha mai visitato i piemontesi d’Argentina, ma nei versi di
Rassa nostran-a, dedicata «Ai Piemontèis ch’a travajo fòra d’Italia» (e non solo lì) ha dipinto forse l’affresco più lucido e sicuramente appassionato del fenomeno migratorio legato al Piemonte.
Una storia fino a poco tempo fa quasi
priva di una narrazione, a differenza
delle migrazioni dalle altre parti d’Italia:
«Ò bionde ’d gran, pianure dl’Argentina, / “fazende” dël Brasil perse ’n campagna, / i sente mai passé n’ “aria” monfrin-a / ò ’l ritornel d’una canson ’d
montagna?». (“O pianure d’Argentina
bionde di grano, / ‘fazende’ del Brasile
perse nella campagna, / non sentite mai
passare un canto monferrino / o il ritornello d’una canzone di montagna?”).
Retorica? Non diremmo proprio. E
diremmo piuttosto passione, passione
ardente. Versi che
recano una loro memoriosa luce di verità. E che anche oggi
riescono come tali a
motivare l’esplosione di gioia che ha
unito in un attimo
le due parti di mondo — la piemontese
e l’argentina — alla
notizia dell’elezione
di Papa Bergoglio.
Non ci sarebbe stato
tanto contento senza la persistenza di
una memoria non
ancora oscurata e
vinta dalla «dësmentia», dalla dimenticanza.
Chi di noi ha incontrato l’Argentina
di oggi e i piemontesi che vi si sono
Nino
stanziati, plasmandone la terra e modificandone la rotta
storica (se ha senso, come crediamo,
non diremo di fare la storia con i se, ma
di servirsene per ipotizzare i più diversi
futuri) ha potuto constatare le tracce di
una ben nota affermazione ancora di De
Amicis: «L’opera gigantesca dei nostri,
a cui un giorno o l’altro la storia
dell’Argentina dovrà solennemente pa-
gare il debito di gratitudine». Senza i
«piemontesi» d’Argentina, quella storia
sarebbe stata un’altra storia, mentre è
diventata una storia nostra, anche nostra. Attraversato l’oceano, è un po’ come trovarsi a casa:
la cattedrale barocca
di Córdoba, per
esempio, con i campanili illustrati dalle
stesse «teste di indio» di palazzo Carignano (non per
nulla Córdoba è gemellata con Torino,
e sarà anche perché,
quali che siano le
torsioni d’oggidì, in
quella curva antica
di Argentina c’è la
Fiat). Ma la vera
sintonia è nei volti,
negli occhi, nei pensieri nei sogni di
tante persone che
portano i cognomi
della loro origine.
Incontri con gente
d’aria nostrana, gesti, profili, andature
Costa
delle terre di Piemonte, con un sorriso, una dolcezza in
più. Storie scritte nella semantica dei
nostri nomi: Casalis, Tribaudino, Bergoglio. Ognuno è un luogo, un paese mai
visto, un crocicchio di strade, di vite —
la commozione dei nomi, come annotava Canetti — che raccontano luoghi.
Tutto appare così lontano e a un tempo
così presente, così vicino.
giovedì 17 luglio 2014
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 5
Il campione toscano
inseguito da Fausto Coppi
L’epigrafe che apre Villa Borghese
Progetto estetico
inciso nel marmo
di ANTONIO PAOLUCCI
a qualche giorno
è collocata nel
salone d’ingresso
della
Galleria
Borghese, prestata dai Musei Vaticani per una
esposizione per ora temporanea, una iscrizione latina di
particolare interesse. Non sappiamo perché e a opera di chi
quel documento marmoreo è
finito nel Lapidario Vaticano.
Probabilmente il trasferimento
è avvenuto agli inizi del Novecento quando la villa dei
Borghese, con tutte le opere
d’arte contenute al suo interno, passava in proprietà allo
Stato italiano per la somma
che allora sembrò vertiginosa
di 3.600.000 lire, mentre il
Parco sul Pincio affidato in
gestione al Comune, diventava il giardino pubblico dei romani.
La lapide collocata in origine
all’ingresso della villa che il gran
cardinale Scipione Borghese volle
colmare di meraviglie (la grande
statuaria romana e Gian Lorenzo
Bernini, Raffaello e Correggio, Caravaggio e Domenichino) per il piacere suo e dei suoi amici, parla di
ospitalità e di felicità, del piacere
dei sensi, della gioia dell’intelletto e
D
troverai nelle chiese e nei palazzi di
Roma; Roma che ti aspetta appena
fuori Porta Pinciana.
È proprio in questo modo, come
ci insegna l’esortazione latina della
lapide, che bisogna godere la Galleria Borghese. La quale non è un
museo didattico come gli Uffizi (la
grande storia dell’arte italiana ed
europea raccontata per exempla),
non è un museo generalista come i Vaticani dove sono ordinati per sezioni
(gli Etruschi e gli
antichi Egizi, l’Etnografia e l’Arte
Moderna, la statuaria greco-romana e
il Rinascimento) i
documenti
della
umana artisticità.
La Galleria Borghese è un’altra cosa. Non è governata
da un progetto museografico ma da un
collezionismo onnivoro e tuttavia infallibile nel gusto e
nella percezione e
nella scelta della
qualità. L’accumulo
La Sala degli imperatori nella Galleria Borghese
prodigioso
della
Borghese, la sua
«meravigliosa condel cuore di fronte alla seduzione fusione», come scriveva, con una
della bellezza della natura mescola- bellissima immagine, lo Haskell, sota a quella dell’arte.
no la ragione principale del suo faCi è ignoto l’autore che all’inizio scino. Bisogna perdersi dentro la
del Seicento dettò il testo, scritto in Borghese, lasciandosi guidare da
uno splendido latino che ha la te- niente altro che dalla seduzione del
nerezza luminosa di Ovidio e di luogo e delle cose.
Virgilio. Chiunque sia stato (forse
Occorre, come scrive l’esortaziolo stesso cardinale Scipione) egli ne latina, chiedere e cercare, ogni
era un genio della sensibilità artisti- volta, quae cupis, le cose che più
ca e insieme della comunicazione, ami e che vuoi rivedere.
Questo è vero per tutti.
Ogni volta che io torno
nella Galleria Borghese
«Gira dove ti pare
voglio rivedere certe cose.
Per esempio il levigato
chiedi
splendore delle membra
cerca quello che ami
di Dafne che diventano
rami e foglie nella statua
e poi vattene quando vuoi»
del Bernini, per esempio
Ecco come il cardinale Scipione
il liocorno che la dama di
Raffaello stringe in bracinvitava allo «stupore armonioso»
cio come se fosse un affettuoso
gattino,
per
esempio la Danae di Corperché ci ha detto, come nessuno reggio, capolavoro di squisito erotiha saputo fare meglio di lui dopo, smo, o il cielo velato di nubi che
le ragioni del fascino di Villa Bor- sta sopra l’incontro fra Tobiolo e
ghese e il modo giusto per attraver- l’Angelo, nel noto quadro del Sasarla e per goderla.
voldo.
Ito quo voles, petito quae cupis,
Soffermandomi anche, senza conabito quando voles; questo dicono le trasto, senza contraddizione, sui
parole di accoglienza e di benvenu- mosaici tardoantichi che parlano di
to scolpite nel marmo e rivolte al venatores e di iugulatores: atroci racvisitatore: «Gira dove ti pare, chie- conti di massacri di belve e di uodi, cerca quello che ami» (petito mini.
quae cupis) e poi vattene quando
Se esiste un luogo al mondo abivuoi. Sapendo che quello che hai tato dallo “stupore armonioso”, due
visto e ammirato dentro la Galleria parole che sono sinonimo della pu(Caravaggio e Raffaello, Gian Lo- ra felicità, questo è la Galleria Borrenzo Bernini e il Lanfranco, Anni- ghese. Ce lo dice la lapide vaticana
bale Carracci e Rubens, la statuaria ora in esposizione e chiunque potrà
romana con il bianco marmo, il ne- facilmente verificare che ciò che lì è
ro basalto e il rosso porfido) lo ri- scritto è perfettamente vero.
Erano mesi e mesi
che pistava sulle strade
toscane e umbre
con documenti contraffatti
E in un giorno afosissimo
di luglio
le cose precipitarono
di OLIVIERO BEHA
opo la guerra, a chiunque gli
avesse domandato, sapendo
qualcosa di vago oppure nulla di nulla sulle sue missioni
di corriere, se ci fosse stato
un momento peggiore degli altri in cui
aveva visto la morte in faccia, Gino rispondeva senza esitare: «La prigione e la
banda Carità». Questione di momenti.
Nella storiografia partigiana occupa un
posto significativo il concetto di “momento buono” sviluppato negli episodi e nelle
fasi di una guerra diventata civile dopo
l’8 settembre. C’era un “momento buono”
per un’incursione o un assalto, c’era un
“momento buono” per l’occupazione di
un luogo con i tedeschi in ritirata, c’era,
più in generale, “il” momento buono per
antonomasia, quello in cui la sollevazione
popolare sarebbe stata matura per avere il
sopravvento.
Ovviamente il “momento buono” presupponeva una sfilza spesso ininterrotta
di “momenti cattivi”. Per Gino, postino
degli ebrei, era quasi l’opposto: con la
Provvidenza sulle spalle e gli Angeli che
lo sollevavano insieme alla sua bicicletta,
come avrebbe scritto Malaparte in una sofisticata distinzione con Coppi, invece interpretato come Angelo di suo nei duelli
“ignari” (delle imprese belliche di Bartali)
del dopoguerra, lui aveva infilato una
lunga serie di momenti buoni per sé e
quindi per gli altri. Come valutare altrimenti la straordinaria continuità positiva
delle sue “missioni segrete”? Anche se, a
ben guardare, quei giri speciali di Gino
nel macroscopico contesto bellico non ne
facevano un’epopea, nel momento in cui
il pericolo volteggiava sulla testa di tutti,
o quasi. Certo, bombardamenti e mitragliate erano frequenti, ma poteva sembrare che non ci fosse poi grande differenza
tra un Gino in allenamento e uno in missione particolare. Aveva insomma normalizzato un’impresa eccezionale assimilandola a una sorta di routine nel modo di
portarla a termine. Aveva inanellato una
catena di “momenti buoni” che lui aveva
fatto diventare tali, e l’eccezione era il
“momento cattivo”. Che venne, e fu pessimo.
D
La sola cosa certa era
che se potevano dimostrare che lui
collaborava con una rete di falsari
era destinato all’esecuzione
Erano mesi e mesi che Gino pistava
sulle strade toscane e umbre, latore dei
documenti contraffatti ma anche di informazioni preziose sugli spostamenti di tedeschi e repubblichini. E quando poteva
reperiva cibo per i più deboli, i “poveracci”, nella fame dilagante. Tra ciò che era
permesso fare, come ad esempio aiutare i
più disgraziati magari nell’ambito di iniziative che partivano dalla diocesi e dai
vari ordini religiosi, e ciò che invece non
era permesso, dall’“operazione documenti” alle informazioni cruciali per i partigiani e i profughi in genere, lo spartiacque
cambiava di volta in volta, secondo le circostanze.
Nel termometro del rischio il mercurio
andava a balzi, così da stressare chiunque.
Gino compreso, naturalmente, giacché la
sua forza morale doveva fare i conti con
la sua razionalità che l’adrenalina caricava
a mille. Lo dice lui, sempre in quella forma pudica delle sue memorie “reticenti”.
«Dovunque andassi mi pareva che mi seguissero. Io, che già dormivo poco, smisi
completamente di farlo. Rimanevo tutta
la notte ad ascoltare lo sfrigolio dello
stoppino di una lampada a petrolio». Da
quando monsignor Dalla Costa gli aveva
affidato “la” missione ovviamente era
cambiato tutto, anche se all’esterno doveva simulare una continuità con il Gino di
Cento anni fa, il 18 luglio 1914, nasceva Gino Bartali
La sfida più difficile?
Con la banda Carità
prima. Ma dire che non si aspettasse migerata banda che correvano sulla bocca
qualche brutta sorpresa, quello no, non dei fiorentini, a opera dei sopravvissuti o
era cretino: impazzavano le squadracce fa- per vanteria pubblica degli scherani. Si fisciste più zelanti addirittura dei nazisti e gurò le scene di Carità con le finte esecuun campione di ciclismo e di popolarità zioni, cui seguivano lunghe risate sganche girava con una simile libertà non po- gherate di fronte ai superstiti, privati se
teva non dare nell’occhio. Almeno così te- non ancora della vita certo di ogni dignimeva, e a ragione, nella Firenze infestata tà. Oppure il Grand Guignol degli struda spie, che in quell’estate del 1944 si av- menti di tortura a vista, nella vasta sala
viava all’ultimo atto dell’occupazione te- che fungeva da stanza per gli interrogatodesca.
ri e da luogo di bisboccia, prima e dopo:
Fu allora, in un giorno afosissimo di lu- fruste, verghe d’acciaio, pinze, manette,
glio, che le cose precipitarono e arrivò ap- arnesi di rozza falegnameria destinati ai
punto il “momento pessimo” di Gino, lobi delle orecchie delle vittime, un trianneppure troppo inaspettato, come detto. golo in legno cui venivano appese e fruIl paradosso, intrigante nel raccontarlo state. Non mancava neppure la modernizma affilato nel viverlo, fu che il Bartali zazione delle scariche elettriche in una
postino non c’entrava moltissimo con il stanza apposita. Molto presto toccò a lui,
motivo per cui venne arrestato dalla ban- in quella sala: somigliava davvero a come
da Carità, interrogato e programmato per se l’era immaginata. Mentre aspettava, gli
un’esecuzione. L’“Himmler italiano” godeva di quel soprannome perché tale
avrebbe voluto essere. Girava bardato fino
all’inverosimile di tutti gli orpelli “gotici”
del comando, “nero” d’anima e di aspetto,
era o si faceva passare per maggiore, era
sempre circondato
da un drappello di
fedelissimi che facevano a gara nel dimostrarsi più feroci
del capo. Il suo nome era Mario Carità, laddove il nomen
omen del destino diSaranno diversi gli appuntamenti, il
disomen
ventava
18 luglio, per ricordare Gino Bartali.
volgendosi
quasi
Tra gli altri, a Firenze, in Palazzo
sempre tragicamenVecchio, si svolgerà una celebrazione
te nel suo contracommemorativa e a Ponte Ema,
rio.
luogo di nascita del campione, il
In quel periodo
cardinale Giuseppe Betori,
di transizione tra il
arcivescovo di Firenze, aprirà il
1943 e il 1944, priMuseo del ciclismo dedicato alla
ma dell’arrivo degli
memoria di “Ginettaccio”. Tutte le
Alleati,
in
cui
l’odio e la paura si
informazioni si possono trovare in
attizzavano
l’un
rete (www. fondazionebartali.it).
l’altra, Carità faceva
In questa pagina pubblichiamo
praticamente il belalcuni stralci dal libro appena uscito,
lo e il cattivo temUn cuore in fuga. Il romanzo di
po, con un punto
Bartali, eroe silenzioso
d’onore nel terro(Milano, Piemme, 2014, pagine 320,
rizzare le persone e
euro 14,90).
uno zelo nell’interrogarle, torturarle e
spesso farle uccidere che seminava
spavento ovunque. Convocare Gino Bar- cadde l’occhio su una lettera, in vista sul
tali, con l’alone che il campione garantiva, tavolo, di cui scorse il destinatario: era infu per il leader della banda Carità un vero dirizzata a lui. Non fece in tempo a reapiacere. C’era almeno una lettera detta- lizzare compiutamente che cosa significagliata indirizzata a lui, ne avrebbe dovuto va perché entrò il temutissimo “Himmler
rispondere. Così un giorno pessimo di lu- d’Italia”, e l’attenzione di Gino si spostò
glio dovette presentarsi in quella a forza su di lui. Era un individuo grottefamigerata Villa Triste, teatro di sco. L’avrebbero descritto con la «bocca
mille nequizie, quartier generale da rana» e le «palpebre a mezz’asta sugli
di Carità e dei suoi sgherri, ov- occhi freddi, verde lucertola». Aveva una
viamente senza conoscere il mo- sua forza, seppure caricaturale. La prima
tivo della convocazione né parte dell’interrogatorio se ne andò con le
l’eventuale capo di imputazione. banali intemerate del maggiore Carità
La sola cosa certa era che se contro la Chiesa e i cattolici. Gino rimase
potevano dimostrare «ragione- in silenzio. Quindi Carità prese con gesto
volmente» (e tale avverbio lo fe- teatrale la lettera dal tavolo e cominciò a
ce rabbrividire) che lui collabo- leggerla a voce alta. Era per lui, dal Vatirava con una rete di falsari, era cano: si citava «il suo aiuto». «Quale aiudestinato all’esecuzione. Bastava to?» chiese il bislacco graduato stropicche qualcuno avesse parlato, ba- ciandosi le mani prima e schiaffeggiandosi
stava un torturato che avesse gli alti stivali neri con una frusta poi. Siraccontato dei suoi viaggi a te- curamente la considerava una lettera cifrata.
laio pieno...
«Armi, vero? Tu hai mandato armi al
E poi c’era la storia dei Goldenberg, asilo a una famiglia Vaticano. Posso farti uccidere per questo»
ebrea, non avrebbe saputo a che insistette.
«No, no, niente armi» proruppe Gino
santo votarsi, che è un modo di
dire perché c’era sempre la pa- con decisione, quasi sollevato, ma senza
trona dei carmelitani, santa Te- darlo a vedere, con la sua voce ancora più
roca. «Non è vero, stai mentendo» fece
resa di Lisieux.
Nella penombra gli vennero gelido Carità. «Non mento, è la verità»
in mente tutti i racconti sulla fa- rispose Gino reggendo lo sguardo.
Un cuore in fuga
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
giovedì 17 luglio 2014
L’efficacia dei sacramenti
Tutto proviene
da Gesù
di GIANCARLO MARIA BREGANTINI
Don Mazzolari è stato una di quelle
figure, chiare e preziose, che ci hanno accompagnato negli anni decisivi
della nostra formazione verso il sacerdozio e la vita consacrata, in seminario. Specie negli anni roventi
della contestazione del dopo concilio, anni fecondi pur se sofferti. Anni in cui la parola profetica di don
Primo, letta con avidità e interiorizzata con la forza che ha lo studio
giovanile, era diventata un sicuro
punto di riferimento, una luce, una
risposta per maturare scelte decisive
nella vita, che dovevano essere fatte
“nostre” e non imposte da fuori, per
ovvietà o stanchezza intellettuali.
La storia ha i suoi tempi, di non
facile lettura. Ma di certa maturazione. Come potremmo subito cogliere
dal cammino di questi 50 anni di
dopo concilio, preparato appunto da
voci profetiche come quella di don
Primo.
Oggi, con benedizione, questo
cammino di lenta ma fiduciosa maturazione ha in Papa Francesco la
sicura certezza che quanto i profeti
avevano intuito era esatto, era già
una primavera che faceva intravedere feconde stagioni di frutti. Questo
libro ha un pregio impagabile: quello di far emergere, con rigorosa documentazione (quella documentazione di chi don Mazzolari l’ha studiato fin sui banchi dell'università, per
farne tesi di laurea, appassionata e
vitale), che se don Mazzolari è stato
un “profeta” che ha saputo intravedere la presenza del Signore in tempi difficili e in condizioni ostili, è
stato proprio perché ha vissuto come parroco. Da qui, quella luce che
ancora oggi emanano le sue opere.
Specie quelle più appassionate che
parlano del Cristo come impegno di
vita. Parola, questa, che tanto mi ha
aiutato nella mia scelta, insieme alla
voce e alla testimonianza di don Lorenzo Milani e di padre Turoldo.
Ecco perché cogliere il taglio di
don Primo come «parroco d'Italia»
è di certo un'intuizione preziosa. E
stato parroco d'Italia, proprio perché è stato parroco di piccoli paesi,
a Cicognara e Bozzolo. Qui, nel
piccolo, nel quotidiano, nell’umiltà e
nella povertà è diventato quella
«tromba dello Spirito Santo in terra
mantovana» (come finalmente lo ebbe a proclamare papa Giovanni
nell’atteso incontro, poco prima di
morire, il 5 febbraio 1959).
C'è infatti un modo diverso di vedere le stesse cose. C’è chi le osserva
superficialmente. C’è invece chi va
oltre. Imparando proprio dai contadini di Bozzolo, don Primo intuì
che non bastava osservare passivamente i rami, apparentemente secchi, di filari di viti durante l’inverno.
Certo, sembrano sterili, tesi al nulla,
perduti. E invece, quando l’esperto
contadino pota, già «intravede sui
rami secchi il grappolo. Non vede,
ma intravede». Questo è il profeta.
Questo è stato don Primo. Ma se ha
saputo intravedere tempi futuri, per
la Chiesa e per l’Italia, lo ha fatto
imparando proprio dalla sua gente,
dai contadini delle sue parrocchie di
Cicognara e di Bozzolo. Li amava,
ne condivideva le fatiche e la fame
in tempo di guerra e di miseria; li
serviva e ammoniva, insegnando dal
pulpito con voce chiara, ogni sera,
di INOS BIFFI
Don Primo Mazzolari
Il parroco d’Italia
partendo sempre dal Vangelo, proclamato con chiarezza e bellezza. Si
impara a intravedere poiché si ama
la gente, il suo linguaggio, si ascoltano le sue lacrime. Come fece don
Primo nei dieci anni di parroco a
Cicognara e poi nei lunghi anni di
Bozzolo. Ma poi, seppe volare alto,
oltre i confini ristretti della sua stessa parrocchia, come ricorda nel suo
stesso testamento spirituale: «Se ho
lavorato anche fuori, il Signore sa
che non sono uscito per cercare rinomanza, ma per esaurire una vocazione, che, pur trovando nella parrocchia la sua più buona fatica, non
avrebbe potuto chiudersi in essa (...)
ed il tornare a Bozzolo fu sempre
per me tornare a casa e rimanervi
con gioia affettuosa e ilare». Intravede chi ama. Come fece l’apostolo
Giovanni, davanti al «fantasma»
sulla riva. Fu lui, per primo, che intravide in quell’ombra: «È il Signore» (Giovanni, 21, 7). E lo gridò con
gioia e certezza, tanto da creare nel
cuore preoccupato di Pietro lo slancio ardito verso Gesù. Poi, con calma e pienezza, giunse anche la barca, con i suoi 153 grossi pesci.
Tutti i protagonisti incontrano
Gesù. Ma con cuore diverso, con
tempi differenti e scaglionati. Don
Mazzolari è quel Giovanni che intuisce e proclama. Per questo la sua
voce si è fatta profetica. Perché tanto ha amato. Proprio nella linea che,
in questi giorni, Papa Francesco ci
ha regalato, nella sua concretissima
esortazione apostolica Evangelii gaudium. Scrive, quasi eco dello stile e
della vita di don Primo: «Il predicatore deve porsi in ascolto del popolo, per scoprire quello che i fedeli
hanno bisogno di sentirsi dire. Un
predicatore è un contemplativo della
Parola ed anche un contemplativo
del popolo» (n. 154).
Non poteva esserci conferma migliore. Così don Primo oggi trova
luminosa conferma da Papa Francesco, come già ieri ne aveva provvi-
I destini del mondo maturano
in periferia
Il servizio alla parrocchia e l’impegno «oltre la parrocchia» per
una pastorale missionaria e una testimonianza coraggiosa
ispirata al convincimento che «i destini del mondo si maturano
in periferia»: tutto questo è racchiuso nella biografia che Bruno
Bignami dedica a una delle figure più significative del
cattolicesimo italiano nella prima metà del Novecento
(Don Primo Mazzolari. Parroco d’Italia, Bologna, Dehoniane,
2014, pagine 188, euro 15). Pubblichiamo la prefazione a firma
dell’arcivescovo di Campobasso-Boiano.
L’annuncio del Vangelo sulle alture etiopi
I piccoli missionari di Kofale
di EGIDIO PICUCCI
†
Nella fede in Cristo Risorto, il Vescovo,
mons. Beniamino Pizziol, il presbiterio
e l’intera comunità diocesana, annunciano
la morte, avvenuta martedì 15 luglio all’Ospedale di Vicenza, di
Monsignor
PIETRO GIACOMO NONIS
Vescovo Emerito
Ricordando con riconoscenza il suo servizio episcopale alla Chiesa vicentina dal
1988 al 2003, lo affidano alla misericordia
del Padre invocando per lui il premio promesso ai servi fedeli.
Le esequie si terranno sabato 19 luglio
alle ore 10 nella Chiesa Cattedrale di Vicenza.
La salma sarà esposta nella Chiesa di
San Bartolomeo nel Chiostro antico
dell’Ospedale di Vicenza fino alle ore 12
di giovedì 17 luglio e successivamente dalle ore 17 all’Oratorio del Gonfalone in
Piazza Duomo.
Vicenza, 16 luglio 2014.
denzialmente avuto sostegno e riabilitazione da Papa Giovanni. Quel
papa che di certo pensava a lui
quando iniziava il Concilio, nella
sua celebre omelia dell’11 ottobre
1962: «Nello stato presente degli
eventi umani, nel quale l'umanità
sembra entrare in un nuovo ordine
di cose, sono piuttosto da vedere i
misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi
successivi, attraverso l’opera degli
uomini e spesso al di là delle loro
aspettative e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende
umane, per il bene della Chiesa!».
Il suo soffrire ha fecondato il suo
parlare e agire. Ci è di monito serio
ed efficace per tutti. Specie per chi,
come un vescovo, deve proclamare,
deve parlare, deve prendere posizione e non può restare neutrale. Deve
schierarsi. Ma sempre, posso anch’io
umilmente attestare, proprio in quel
crogiuolo della sofferenza, nasce
l’oro purissimo della fede, il frutto
oltre la potatura, la pesca con le reti
piene oltre le reti vuote. Dio premia
chi ama e chi lo ama e chi lo fa
amare, con verità e coerenza. Grazie
a don Bruno, per questo libro, che
esce ora, nel solco approfondito
dall’Anno della fede. Sono certo che
anche questo libro ci aiuterà, oggi,
sulla scia della nuova evangelizzazione, a essere coraggiosi, fantasiosi,
aperti al nuovo incontrato nello studio e nella passione di biblioteca.
Ma soprattutto incontrato nella voce
di un popolo, con cui condividiamo
il dramma della crisi, in povertà e
sacrificio, ma anche in letizia e gioia
perché sorretti da quel Cristo, con
cui ci siamo impegnati per amore,
per sempre.
C’è voluta molta pazienza, ma
l’iniziativa ha avuto successo. Parliamo di quanto è accaduto sulle
alture etiopiche di Kofale, il luogo
in cui i famosi e temibili maratoneti etiopi si allenano per le gare
di atletica leggera cui partecipano
(spesso vincendo) in tutto il mondo. Qui ci sono i verdi acrocori
degli Oromo, folti di vegetazione
che sul far del giorno gronda lacrime di rugiada. I monti svettano
tutti sopra i duemila metri, un’altitudine quanto mai adatta a preparare gli scatti felini dei 100-200 e
400 metri o le distanze del mezzofondo, discipline in cui gli etiopi
fanno ormai scuola.
Proprio a Kofale c’è una missione cattolica che appartiene alla
prefettura apostolica di Robe, affidata al cappuccino Angelo Antolini. Parroco è il suo confratello padre Bernardo Coccia che vi lavora
insieme a una piccola comunità di
suore francescane missionarie di
Cristo, impegnate nell’assistenza
dei bambini e nella promozione
della donna. La gente è religiosamente divisa tra ortodossi e musulmani, con una notevole prevalenza di questi ultimi; i cattolici
sono lo 0,03 per cento, ma godono di una considerevole stima perché la Chiesa li ha formati secondo i principi del Vangelo: essere
vicino ai poveri e rispetto per gli
altri, compreso quello per le culture, le tradizioni e le lingue.
Da Kofale dipende il piccolo
villaggio di Gode, in cui manca
quasi tutto: acqua, energia elettrica, ospedale, scuola e chiesa: la
gente, compresi i catecumeni, si
riuniscono o all’ombra di un mango o sotto una tenda polivalente.
Oltre alla catechesi, a padre Bernardo preme anche l’istruzione dei
piccoli che parlano e capiscono solo la lingua oromo che egli ha imparato rapidamente sia studiandola sulla grammatica scritta a suo
tempo da monsignor Guglielmo
Massaja, sia alla scuola di un giovane oromo, prima ancora di arrivare fra la tribù.
Non sapendo a quale realtà appigliarsi per facilitare l’insegnamento dei piccoli, insieme alla
suora ha trovato, finalmente, un
metodo “fatto in casa”. Ha fatto
disegnare dai bambini di Kofale e
riunire in unico quaderno, piante,
insetti, animali, utensili domestici,
corredati dal nome oromo e da far
colorare ai coetanei di Gode. Pare
una cosa da nulla, ma ha richiesto
un anno di lavoro attento e paziente. Al quaderno, il parroco e
la suora hanno poi abbinato un
secondo quaderno (un lavoro immane, considerando che si tratta
di centinaia di quaderni) che riporta le immagini e le scene più
comprensibili della Bibbia con didascalie in lingua oromo. L’intento è quello di servirsi della Bibbia
per insegnare a leggere e a conoscere la Sacra Scrittura come si faceva un tempo, cioè con una piccola “Bibbia dei poveri” a portata
di mano. La “catechesi” è stata affidata naturalmente ai piccoli cattolici che hanno accettato con entusiasmo e facendo un’evangelizzazione a tappeto, passando da
una capanna all’altra con la spontaneità dei bambini e la serietà dei
maestri.
Quando la Chiesa pellegrina sulla
terra celebra la liturgia, e in particolare l’Eucaristia, è persuasa che
alla sua lode prenda parte anche
la Chiesa celeste. Essa conclude
abitualmente i prefazi proclamando di essere unita «agli angeli e
agli arcangeli e a tutti i santi del
cielo» nel canto gioioso dell’inno
della gloria, e pregando che le sue
«umili voci» si possano associare
al loro inno eterno.
La stessa persuasione ritorna
lungo il canone: così, nel ricordo
della Vergine Maria, dei santi apostoli e martiri e di tutti i santi;
nella supplica di poter «godere
della loro sorte beata»; nell’implorazione che l’offerta eucaristica
«sia portata sull’altare del cielo».
Tutta la popolazione celeste, invisibilmente ma realmente, presenzia ai riti della Chiesa di quaggiù
in preghiera. I sensi non la avvertono, ma la percepisce la fede.
Viene in mente la convinzione di
Newman, che nel caso della liturgia è ancora più fondata. Nel 1831,
in un sermone per la festa di san
Michele, scriveva: «Ogni alito
d’aria, ogni raggio di luce o di calore, ogni bella vista è, per così
dire, l’orlo della veste [degli angeli], l’ondeggiare del manto di coloro i cui volti contemplano
Dio». Egli considerava «la
santa Chiesa coi suoi sacramenti e la sua scala
gerarchica, fino alla fine del mondo», come
«un simbolo di quelle
realtà celesti che riempiono l’eternità», e «i
suoi misteri soltanto
un’espressione, in termini umani, di verità
che la mente umana
non è in grado di spiegare».
Ma non basta riconoscere questa compagnia della Chiesa celeste concelebrante con la
Chiesa terrena. In realtà, se noi possiamo celebrare quaggiù la nostra
liturgia, è perché la celebra lassù la Comunità
beata: il nostro sacrificio è
imitazione e riflesso di
quello del cielo; la
memoria dell’immolazione del Calvario
arriva a noi, passando attraverso l’esaltazione del Crocifisso glorioso.
Incominciamo, anzitutto, a osservare che la Chiesa esiste sulla
terra perché esiste la Chiesa gloriosa, la quale fonda e precede la
Chiesa ancora nel tempo. Infatti,
la Chiesa trova il suo principio e
la sua ragione nel Cristo risorto,
che è in assoluto il Capo della
Chiesa, suo Corpo. Dove c’è il Risorto, là c’è la Chiesa, là ci sono
tutti i giusti che la compongono,
tra i quali primariamente la Vergine Maria, e c’è lo stesso mondo
angelico, del quale Gesù risorto è
ugualmente Signore, capo di ogni
Principato e di ogni Potenza.
La figura della Chiesa è ora
esemplarmente
avverata
nella
Chiesa celeste, dove la grazia, che
deriva tutta dal Crocifisso risuscitato, è trasfigurata e ultimata in
gloria. Non è, quindi, la Chiesa
del compimento, a seguire le orme
della Chiesa del divenire, bensì la
Chiesa del divenire che si ispira a
quella del compimento. D’altra
parte, ogni grazia e ogni ministero
nella Chiesa terrena derivano dal
Risorto: da Colui che con la risurrezione ha ricevuto «ogni potere
in cielo e sulla terra» (Matteo, 28,
18) e, «innalzato da terra», trae
«tutti» a sé (Giovanni, 12, 32).
Tutte le azioni ecclesiali salvifiche sulla terra, finalizzate «a edificare il corpo di Cristo» — apostolato, profezia, evangelizzazione,
attività pastorale e magisteriale —
sono dono del Signore risorto assiso alla destra del Padre e operano dello Spirito da lui inviato. Ne
consegue che anche ogni atto liturgico è possibile e valido per la
presenza attiva della signoria di
Gesù e per l’azione del suo Spirito che, perfettamente in atto in
cielo, si inseriscono nella storia
della Chiesa in terra. I nostri riti
sono — secondo il linguaggio di
Ambrogio e di Newman — un’im-
magine della verità dei “riti” celesti, dove, in realtà, ormai si sono
sciolti i simboli. L’efficacia dei
“sacramenti” proviene tutta da
Gesù, che è il Signore vivente, che
colma i nostri segni o i nostri servizi.
In altre parole: se per liturgia si
intende la celebrazione della lode
divina, il ringraziamento per la redenzione, l’esultanza per la comunione col Cristo glorioso e per la
contemplazione, in lui e con lui,
della Santissima Trinità, chiaramente è in cielo che questa liturgia si trova nella condizione perfetta. Anzi, dobbiamo riconoscere
che i nostri riti, che ancora si svolgono nel tempo, sono possibili,
perché a presiederli è Gesù, il
Sommo Sacerdote, capace di «salvare perfettamente quelli che per
mezzo di lui si avvicinano a Dio:
egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore» (Ebrei, 7,
25).
La nostra liturgia è sostanziata
esattamente dall’intercessione celeste del Figlio di Dio, costituito sacerdote e «reso perfetto per sempre» (Ebrei, 7, 28). Mancasse questa presenza di Cristo e questa sua
persistente intercessione, essa si
troverebbe estenuata e impotente.
Questo vale in particolare per la
celebrazione eucaristica. Né per
ciò verrebbe compromesso il valore storico dell’immolazione della
Croce. Al contrario. Nella messa è
presente il sacrificio del Calvario
nella sua verità storica. Solo che
quel sacrificio, a differenza di tutti
gli altri sacrifici, destinati a esaurirsi e a ripetersi, ricevette un
compimento e una perfezione, o
una condizione celeste, che lo riscattavano da una pura storicità e
temporalità terrene. Il sacrificio
della Croce è il sacrificio del Risorto; un intimo legame connette
la morte di Gesù con la sua risurrezione: se Gesù non fosse risorto,
il suo sacrificio sarebbe stato inefficace. In questo senso si potrebbe
dire che il sacrificio storico della
Croce è un sacrificio “celeste”, e
per la condizione celeste del Risorto, nella sua reale e singolare
storicità, può essere sempre e irripetibilmente presente nella liturgia
della Chiesa terrena. Alla celebrazione liturgica della Chiesa, e in
modo speciale alla celebrazione
dell’Eucaristia, fosse pure la più
solitaria, la popolazione celeste,
con Gesù risorto, tutti i santi e
l’intera corte angelica, non solo
prende parte, ma ne costituisce il
modello. Il nostro culto è ancora
«immagine e ombra delle realtà
celesti» (Ebrei, 8, 5), tutto animato
dal loro desiderio, in attesa che
trapassi in esse, con la venuta del
Signore.
L’OSSERVATORE ROMANO
giovedì 17 luglio 2014
pagina 7
Nella diocesi di Malang il raduno nazionale degli scout cattolici indonesiani
Unità
nella diversità
L’invocazione a Dio del patriarca caldeo Sako in una lettera ai parlamentari iracheni
Aiutaci a diffondere la pace
BAGHDAD, 16. Una lettera-appello
per chiedere a tutte le forze politiche di prendere atto che il Paese sta
scivolando nel caos, con un numero
sempre crescente di morti e di rifugiati, e che dunque non c’è più tempo da perdere nella formazione di
un nuovo Governo, è stata indirizzata ai parlamentari iracheni dal patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël I Sako. Il patriarca —
così si legge nell’appello — unisce la
sua «umile voce di responsabile cristiano» a quelle dei capi musulmani, sciiti e sunniti, per chiedere di
«accelerare le elezioni delle tre presidenze e salvare il Paese dai pericoli dell’anarchia e della disgregazione».
Il leader spirituale della Chiesa
caldea propone ai membri del Parlamento anche il testo di una preghiera, breve e intensa, da leggere
all’inizio delle riunioni dell’assemblea parlamentare: «Dio — così recita l’invocazione suggerita dal patriarca — aiutaci affinché possiamo
dialogare tra noi e possiamo comprenderci gli uni gli altri, così da
sciogliere gli equivoci tra noi, lontano da ogni restrizione e settarismo.
Dio, aiutaci a diffondere la pace e la
tranquillità tra il nostro popolo, così
che l’Iraq possa uscire vittorioso da
tutti i suoi problemi. Amen».
L’appello del patriarca Sako è solo l’ultimo dei tentativi intrapresi
dai responsabili della comunità cristiana locale per richiamare l’attenzione sul clima di violenza e di insicurezza che attraversa il Paese, soprattutto a seguito dell’avanzare
delle forze jihadiste. Nei giorni
scorsi lo stesso patriarca caldeo, insieme all’arcivescovo di Mossul dei
Siri, Yohanna Petros Moshe, e
all’arcivescovo di Kerkūk dei Caldei,
Yousif Thomas Mirkis, si è recato a
Bruxelles per lanciare un appello ai
responsabili dell’Unione europea affinché si pongano in essere i necessari aiuti internazionali per impedire
una guerra civile che metterebbe in
pericolo il futuro del Paese e di una
minoranza «fragile» come quella
cristiana. L’ultimo censimento iracheno del 1987 stimava il numero
dei cristiani nel Paese in circa un
milione e 400.000. Oggi la comunità cristiana conta approssimativamente 300.000 fedeli. La maggioranza vive a Baghdad, sebbene le
migrazioni interne verso il più sicuro Kurdistan iracheno non accennino a diminuire.
L’iniziativa, promossa da Aiuto
alla Chiesa che soffre, rientra — afferma un comunicato — nell’ambito
della collaborazione che la fondazione pontificia ha da tempo avviato con le istituzioni comunitarie europee e che ha visto lo svolgersi di
altri incontri con testimoni delle
Chiese in difficoltà, quali quelle di
Pakistan, Egitto, Siria e Repubblica
Centroafricana.
Parlando di fronte al presidente
del Consiglio europeo, Herman van
Rompuy, e ad altri rappresentanti
dell’Unione, il patriarca Sako ha descritto l’estrema debolezza e la fragilità della minoranza cristiana. «Se
non verrà trovata una soluzione pacifica, non resterà che una simbolica
presenza cristiana. E ciò metterà la
parola fine alla nostra storia in
Iraq». Nonostante i cristiani non
rappresentino un chiaro obiettivo
dei fondamentalisti, il leader caldeo
ha raccontato come, in seguito
all’invasione da parte dello Stato
Islamico dell’Iraq e del Levante
(Isis), tanti dei suoi fedeli siano stati costretti a lasciare le proprie case
alle forze jihadiste. Assieme a loro
anche molti musulmani che hanno
trovato rifugio in alcune strutture
della Chiesa o presso le famiglie cristiane di villaggi vicini. «L’opera
pastorale della Chiesa — ha sottolineato il patriarca Sako — non è rivolta soltanto ai cristiani».
I membri della delegazione irachena hanno inoltre illustrato il fondamentale ruolo che la loro comunità può ancora giocare nel Paese, nonostante anni di violenze e persecuzioni sistematiche. La presenza cristiana, seppur minoritaria, può infatti contribuire alla mediazione tra
le parti coinvolte nel conflitto settario e agevolare le relazioni con la
comunità
internazionale.
L’aver
mantenuto un’assoluta neutralità e
avere promosso soluzioni pacifiche,
fa dei cristiani degli ottimi mediatori che cercano di costruire ponti di
pace attraverso il dialogo. «Tutti
sanno che il nostro unico interesse è
il bene del Paese. Ed è per questo
che gli esponenti delle diverse
fazioni accolgono sempre con favore
il nostro invito a incontrarsi e
discutere nelle nostre chiese». I tre
leader religiosi temono che le continue violenze possano mettere fine a
duemila anni di cristianità in Iraq.
«Sotto Saddam avevamo sicurezza,
ma non libertà religiosa. Oggi
abbiamo libertà religiosa ma non sicurezza», ha affermato il patriarca
Sako.
JAKARTA, 16. Quasi tremila ragazzi
e ragazze provenienti da quindici
diocesi dell’arcipelago indonesiano
hanno partecipato nei giorni scorsi
al raduno nazionale degli scout
cattolici svoltosi a Malang, nella
provincia di Giava orientale. L’incontro ha evidenziato l’anima pluralista del Paese, caratterizzato da
una varietà di etnie, lingue, religioni e culture diverse. Non a caso il
tema era «Unità nella diversità»,
sviluppato
attraverso
seminari,
gruppi di lavoro, momenti ludici
tenutisi nella sede dell’Associazione
educatori cattolici. Presenti numerosi sacerdoti che hanno contribuito in modo attivo alle iniziative in
programma.
«È un evento che si ripete ogni
due anni», ha spiegato ad AsiaNews Dionisius Agus Puguh Santosa,
docente in una scuola superiore
della diocesi di Banjarmasin, da
tempo impegnato nell’organizzazione degli incontri. Per l’edizione
2014 si è scelta la diocesi di Malang, mentre la prossima, nel 2016,
avrà luogo nell’arcidiocesi di Semarang.
Almeno duemilasettecento i giovani presenti, provenienti da sette
diocesi e territori speciali dell’isola
di Java; vi erano poi rappresentanze da altre isole dell’arcipelago. I
partecipanti sono stati suddivisi in
cinque diverse zone della diocesi,
sotto il controllo di dodici sacerdoti per ogni gruppo. All’incontro ha
partecipato il capo del movimento
scout nazionale, Adhyaksa Dault,
ex ministro per lo Sport e le Politiche giovanili del Governo di Jakarta, che si è detto «orgoglioso» di
collaborare alle iniziative dell’Associazione educatori cattolici. Oltre
allo spirito di condivisione e di valorizzazione delle diversità, la settimana di seminario ha dedicato una
particolare attenzione al tema della
globalizzazione, con un workshop
dedicato allo «sviluppo del villaggio globale», con materiali e contributi provenienti da religioni e fedi diverse.
In Indonesia, la nazione musulmana più popolosa al mondo, i
cattolici sono una piccola minoranza composta da circa sette milioni
di persone, pari al 3 per cento circa
della popolazione totale. La Costituzione sancisce la libertà religiosa
ma non mancano episodi di discriminazione e violenza sulle minoranze, soprattutto nelle aree dove
più è radicata la visione estremista
dell’islam, come ad Aceh. I cattolici rappresentano una parte attiva
nella società e contribuiscono, sotto varie forme, allo sviluppo della
nazione.
Singolare iniziativa di cristiani e musulmani in Pakistan
Quando il rispetto s’impara regolando il traffico
ISLAMABAD, 16. Mutare l’atteggiamento conflittuale dei cittadini, superare tradizioni sociali e comportamenti consolidati e sostituirli con
iniziative di pace, armonia e rispetto della vita umana. E, ancora, trasformare la società partendo dai
problemi di tutti i giorni: un processo di sviluppo che non avviene
con «ritocchi di cosmesi», ma mediante modifiche «radicali e sostanziali» che guardano alla modernità
e che devono adattarsi a un modello culturale così particolare come
quello del Pakistan. Con questo
spirito, un centinaio di studenti
delle superiori e universitari, cristiani e musulmani, hanno partecipato
— riferisce l’agenzia AsiaNews — a
un simposio di due giorni dedicato
a «Strategia e pedagogia per una
trasformazione sociale». L’evento,
svoltosi nei giorni scorsi a Faisalabad, nella provincia di Punjab, è
stato organizzato dal movimento
cristiano Learn-Empower-Act-Promote (Leap) e da Transparency
Network, una rete di ong locali.
In una società caratterizzata da
forti e non raramente violente tensioni tra le diverse comunità religiose, da ripetuti casi di abusi verso le
minoranze — basti citare la controversa questione della legislazione
sulla blasfemia, spesso utilizzata
per regolare conti in sospeso — da
discriminazioni e violenze sulle
donne, un piccolo passo verso il
cambiamento sociale può partire
anche da un diverso atteggiamento
nella vita pubblica. Una trasformazione alla quale tutti i cittadini, e in
particolare i credenti, sono chiamati
a contribuire — sottolineano i promotori del simposio — agendo in
modo «responsabile».
George Clement, ex parlamentare, filosofo e attivista sociale, è uno
dei responsabili della due giorni di
formazione. Egli spiega di avere
impiegato metodi che ricalcano i
modelli dei filosofi e dei saggi
dell’antica Grecia e degli educatori
moderni, adattati al contesto sociale. In questa prospettiva, una delle
prime attività proposte agli studenti
è stata quella, all’apparenza singolare, di contribuire a regolare il
traffico caotico della città. Perciò i
giovani sono stati inviati presso i
principali incroci e arterie per regolare il flusso di auto e motocicli. Li
hanno seguiti in questa originale
attività i vertici della polizia locale
e dei vigili urbani, che hanno mostrato loro i metodi utilizzati dagli
agenti nello svolgimento del proprio lavoro.
Un’iniziativa, è bene ripeterlo,
solo all’apparenza curiosa e marginale, perché anche in Pakistan, come in quasi tutto il mondo, il traffico è una delle principali fonti di
stress, ansia e di tensione sociale. E
proprio dal modo in cui ci si avvicina alla strada può derivare un primo, importante segnale di cambiamento culturale visto che anche le
persone con un livello elevato di
istruzione si mostrano spesso insofferenti alle norme del codice stradale. E quanti commettono di proposito delle infrazioni vengono in genere considerati più «furbi» degli
altri se non addirittura meritevoli di
stima.
Attraverso questo particolare metodo pedagogico, i giovani di diversi fedi religiose sono stati messi
alla prova e hanno tentato di regolare il traffico, assimilando e diffondendo i concetti di «tutela e sicurezza» e il bisogno di disciplina
personale sulla pubblica via. La
speranza è che le nuove generazioni
possano diventare «modelli di cambiamento», rafforzando il senso di
responsabilità e diventando fonte di
«ispirazione» per il resto della cittadinanza. «Questo potrebbe essere
il primo passo — conclude uno degli organizzatori del simposio — in
direzione del cambiamento sociale
e della trasformazione per i cittadini pachistani».
Una legge in Burundi disciplina il proliferare delle denominazioni religiose
Ce ne vuole per essere «Chiesa»
BUJUMBURA, 16. In Burundi le confessioni
religiose e loro denominazioni sono passate
nel giro di vent’anni da quarantacinque a
seicento (in gran parte comunità evangeliche) rendendo necessaria una regolamentazione. Per questo il Parlamento — riferisce
la Misna — ha approvato all’unanimità una
legge in base alla quale, per vedersi riconosciuta dalle autorità, una “chiesa” dovrà dimostrare di raggruppare almeno cinquecento membri, mille se la sua origine è straniera. Le comunità del Burundi hanno due
anni di tempo per mettersi in regola dalla
promulgazione del provvedimento, che intende contrastare la proliferazione dei
gruppi religiosi.
«La legge — osservano fonti locali contattate dall’agenzia — dovrebbe rimettere
ordine in una sfera in continua espansione
e dai contorni poco chiari. In realtà per
molti gruppi la religione è solo una scusa
per ricevere finanziamenti, soprattutto
dall’estero, trasformandosi in un vero e
proprio business e alimentando un’economia parallela. C’è una rincorsa ai soldi e al
potere fra questi gruppi, chiamati da tempo
“sette” e ormai fuori dal controllo delle
autorità». In Burundi, secondo dati ufficiali, il sessantacinque per cento della popolazione è cattolica, il 3-4 per cento musulmano, il resto si divide tra metodisti e
pentecostali.
Il provvedimento era chiesto da tempo
da varie parti. Probabilmente — secondo gli
osservatori — è stato adottato ora in vista
delle presidenziali del 2015, appuntamento
cruciale ma a rischio. Certamente in questo
momento confuso il proliferare di cosiddette chiese viene visto come un altro fattore
di insicurezza che potrebbe strumentalizzare i fedeli in chiave politica.
L’ultimo episodio di cronaca significativo
è del marzo 2013 quando sette persone
vennero uccise e trentacinque ferite in
scontri con la polizia che voleva disperdere
i seguaci di una setta pseudo-religiosa
cristiana nella città di Businde, in provincia
di Kayanza. Il gruppo cercava di raggiungere la cima di una collina per pregare. La
giustizia ha emesso condanne a cinque anni
di carcere a carico di 182 seguaci di questa
setta, riconosciuti colpevoli di disubbidienza civile per non aver rispettato il divieto
di raduno.
Anche per evitare nuovi episodi del genere, per mettere ordine nell’ambito delle
confessioni religiose caratterizzate da pratiche incontrollate, l’Assemblea nazionale ha
quindi adottato all’unanimità il disegno di
legge. «Abbiamo voluto delineare questo
quadro giuridico — ha spiegato il ministro
dell’Interno, Edouard Nduwimana — per
tentare di ridurre tale proliferazione ma anche per regolare il modo in cui queste fedi
operano, nel rispetto della tranquillità dei
cittadini».
Come detto, le condizioni per approvare
qualsiasi nuova denominazione religiosa diventano più articolate e ci vorranno almeno
cinquecento «fondatori» se l’entità è creata
da cittadini burundesi, mille se di origine
straniera. L’attività di culto si deve anche
svolgere «in un posto dignitoso». Le misure contenute nel provvedimento sembrano
prendere di mira in particolare gli animisti,
le cui pratiche sono state definite dal ministro «retrograde».
Anche secondo i rappresentanti cattolici
in Parlamento «la scelta di praticare una
religione deve essere una libera scelta» che
«non può violare i diritti degli altri».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
giovedì 17 luglio 2014
Il saluto tra i cardinali
Parolin e Rivera Carrera,
arcivescovo di México, durante la messa
Oggi sono gli immigrati «il volto
del Cristo sofferente». Naturale,
dunque, che la Chiesa abbia particolarmente a cuore la loro situazione e
reclami nei più alti consessi del
mondo il rispetto della loro dignità
umana e di tutti i loro diritti naturali, la cessazione di ogni tipo di violenza fisica o morale nei loro confronti. Per questo prega e chiede di
pregare. È il senso della celebrazione
della messa presieduta ieri, martedì
15 luglio, dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, nel santuario
mariano di Nostra Signora di Guadalupe, ultima tappa del suo viaggio
nella capitale messicana. Il porporato si era recato nel Paese latino-americano per partecipare al «Colloquio
Messico - Santa Sede su mobilità
umana e sviluppo», organizzato dal
ministero degli Affari esteri messicano lunedì 14.
Prima di lasciare il Paese, dunque,
il cardinale Parolin ha desiderato
pregare nel santuario guadalupano e
celebrare la messa con vescovi e sacerdoti della regione. «Non poteva
mancare nella mia visita a questo
amato Paese — ha spiegato all’inizio
dell’omelia — un momento in cui la
Madre mi permettesse di stare, come
una sola famiglia, con tutti voi attorno a suo Figlio. E, sentendomi parte
di questo popolo che si pone filialmente sotto la sua celestiale protezione, vengo anch’io a renderle
omaggio, come fanno tanti pellegrini, ma soprattutto vengo a chiederle
insistentemente quello che Lei sempre ci offre, suo Figlio Gesù».
Commentando il brano del Vangelo in cui si parla «della Vergine
pellegrina», il porporato ha sottolineato proprio che la «Chiesa ha im-
Nel santuario di Guadalupe il segretario di Stato prega per i migranti
Il volto di Cristo oggi
Documento conclusivo del colloquio Messico - Santa Sede
Quindi il segretario di Stato si è
rivolto direttamente ai pastori messicani per ricordare loro che «l’impegno a favore dell’unità e della riconciliazione — assunto per rigenerare la
convivenza nazionale, il dialogo con
i diversi agenti sociali, chiamati a incontrarsi e a collaborare — è l’occasione propizia per contribuire con i
valori e le radici cristiane all’edificazione di una società più giusta e solidale, una società basata sulla cultura dell’incontro, sul rispetto assoluto
per la vita umana, sul favorire instancabilmente ciò che unisce tutti e
promuove l’intesa reciproca». E ha
chiesto loro di unirsi in «un’intenzione particolare per gli immigranti
nella preghiera alla nostra Madre»,
parato da Maria che la vera evangelizzazione consiste nel “magnificare
il Signore”, nell’annunciare e scoprire i frutti della redenzione con cuore
rinnovato dall’ardore del Vangelo.
In Lei — ha spiegato — possiamo vedere il modo in cui la Chiesa si rende presente, con la luce del Vangelo,
nella vita dei popoli, nelle trasformazioni sociali, economiche e politiche». E santa Maria di Guadalupe
rappresenta il modello di riferimento
di una Chiesa pellegrina, che «non
cerca se stessa» ma «cammina con il
suo popolo e non vuole restare
estranea alle sue sfide e ai suoi progetti, alle sue angosce e alle sue speranze. Per questo, fa parte della nostra storia e la sentiamo nel più profondo del nostro cuore».
sulla scia del suo esempio di «servizio ai più bisognosi».
A questo punto il cardinale Parolin ha ricordato la sua partecipazione
al «Colloquio». Obiettivo, ha spiegato, è stata la messa a punto di una
strategia comune per «la difesa dei
diritti e della dignità delle persone
che, nella loro ricerca di lavoro e di
migliori condizioni di vita, si vedono
costrette ad abbandonare la propria
famiglia e non di rado sono vittime
di un modello economico escludente,
che non pone al centro la persona
umana». Una difesa che si rende necessaria, ha aggiunto, perché «mentre da un lato si aprono sempre più
le frontiere al commercio, al denaro,
alle nuove tecnologie, dall’altro le
persone subiscono molteplici restrizioni, violazioni e soprusi, restando
in situazioni di vulnerabilità. Gli immigranti spesso sono il volto sofferente di Cristo ai giorni nostri, che
commuove il cuore di sua Madre».
Prima di concludere ha quindi voluto ribadire «i legami di affetto e di
comunione che uniscono questo
amato paese alla Santa Sede, legami
che hanno sempre distinto il cattolicesimo in Messico». Quindi, dopo
aver rappresentato i saluti e trasmesso la benedizione di Papa Francesco,
ha voluto affidare tutti al «Cuore immacolato» di Maria, ma «soprattutto
— ha detto — i ministri del Vangelo, i
consacrati, i giovani che si preparano
al sacerdozio o alla vita religiosa, affinché sentano la gioia di donarsi
completamente a Dio e ai fratelli».
Frattanto gli organizzatori del
«Colloquio» hanno reso pubblico il
documento sottoscritto al termine
dell’incontro. Esso sostanzialmente
si articola seguendo le sottolineature
proposte dal cardinale segretario di
Stato, ricalcando il pensiero di Papa
Francesco, espresso anche nel messaggio fatto pervenire ai partecipanti. Si richiama in primo luogo la corresponsabilità di tutti nella ricerca di
strategie innovative «per favorire la
piena inclusione umana e sociale»
dei migranti. Questo nel pieno riconoscimento del fatto che la dignità
di una persona non deriva da fattori
economici, politici, etnici, religiosi,
né tanto meno dalla condizione di
migrante: «Ogni essere umano — si
legge nel documento congiunto —
per il solo fatto di essere una persona merita la stessa dignità e lo stesso
rispetto». In questo quadro rientra
anche la necessità di «privilegiare
Il cardinale Baldisseri a Lisieux per la festa dei beati Zélie e Louis Martin
Monsignor Vincenzo Paglia ai vescovi dell’Africa centrale
Matrimonio
sentiero di fede
Centralità
della famiglia
Lei era merlettaia, lui orologiaio: insomma appartenevano alla piccola borghesia
della Normandia del XIX secolo i coniugi Zélie e Louis
Martin, meglio conosciuti
per essere i genitori di santa
Teresa di Lisieux. Cosa hanno da dire a tante coppie
del mondo di oggi? Che la
santità può essere vissuta
all’interno del matrimonio,
come due in una sola carne.
In tal senso, la loro vita di
educatori, genitori, collaboratori laici di Dio è quanto
mai attuale in vista del
prossimo Sinodo sulla famiglia. Lo ha sottolineato il
cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del
Sinodo dei vescovi, presiedendo l’Eucaristia nella cattedrale di Alençon, sabato
scorso 12 luglio, memoria liturgica dei due sposi, beatificati 19 ottobre 2008.
In particolare, il porporato si è soffermato sulla figura di Zélie, «che conduceva quasi la vita di
una donna di oggi, dividendo il
proprio tempo tra la vita familiare e
quella professionale», essendo madre di nove bambini e alla testa di
una piccola impresa di merletti del
famoso punto d’Alençon. «Senza alcun dubbio — ha detto il celebrante
— è lei l’ispiratrice della bella massima teresiana: “Amare è donarsi interamente e donare se stessi”».
Conosciuta nel suo ambiente
«per la competenza professionale e
l’integrità» morale, la madre di santa Teresina aveva un alto «senso
della giustizia e dell’attenzione agli
altri», ha spiegato il porporato. Soprattutto in lei colpisce «lo “sguardo spirituale” che metteva in tutto
ciò che la circondava». Infatti, ha
aggiunto, «la sua capacità di amare
non si limitava, come troppo spesso
succede, alla sola sfera familiare, ma
si estendeva come una macchia
d’olio alle sue operaie e ai bisognosi» che incontrava.
Il segretario generale del Sinodo
dei vescovi ha poi messo in luce la
«responsabilità di Zélie verso i suoi
dipendenti e le loro famiglie», che
si concretizzava per esempio «assicurando il mantenimento e l’autonomia finanziaria delle donne» che
lavoravano per lei. Insomma, «prima ancora delle grandi encicliche
sociali del magistero», Zélie «aveva
preavvertito questa verità proveniente dalla nostra fede: il lavoro è prima di tutto “per l’uomo” e non
Jyoti Sahi, «Nozze di Cana» (2011)
l’uomo “per il lavoro”, come diceva
Giovanni Paolo II nella Laborem
exercens». Cioè per dirla con il linguaggio di Papa Francesco ogni lavoro compiuto dall’uomo deve essere stimato soprattutto nella misura
della dignità del soggetto stesso del
lavoro, cioè della persona, dell’uomo che lo esegue.
Il cardinale Baldisseri ha quindi
offerto una riflessione sull’episodio
evangelico delle nozze di Cana —
che fa parte della liturgia della Parola per la celebrazione della festa dei
beati Martin — sottolineando come
Maria per facilitare l’inizio della vita
pubblica del suo Figlio, «fa quello
che ogni donna e ogni madre fa: posa uno sguardo d’amore sugli avvenimenti e sulle persone». Infatti, come diceva Papa Wojtyła nella Mulieris dignitatem: «La dignità della donna si misura nell’ordine dell’amore
che è essenzialmente un ordine di
giustizia e di carità». E a questo
proposito, il porporato ha affermato
che solo la persona può amare, e solo la persona può essere amata. A
maggior ragione ciò vale per la donna, la cui dignità è «intimamente legata all’amore che riceve in ragione
stessa della sua femminilità e, d’altra
parte, all’amore che ella dona a sua
volta. È proprio l’attenzione agli altri, segno eminente dell’amore caritativo — nel caso delle nozze di Cana l’amore verso i giovani sposi —
che muove la santa Vergine e la
spinge a intervenire». Così, ha proseguito il cardinale Baldisseri, «nel
caso di Zélie, è l’amore che la muove ad aprirsi e a donarsi agli altri».
E nel loro ambiente familiare vivificato dall’amore reciproco, i beati
hanno saputo testimoniare, e continuano a farlo nei confronti di quanti
sono sposati e di chi si prepara a esserlo, che «il matrimonio è un sentiero di fede». Non solo: essi incoraggiano «a riscoprire per la vita di
coppia la centralità di Gesù Cristo e
del cammino nella Chiesa». Come
Maria, la quale insegna che «il bene
di ciascuno dipende dall’ascolto docile della Parola del suo Figlio». Cana, in effetti, ha concluso il cardinale Baldisseri, è «l’annuncio e l’anticipazione del dono del vino nuovo
dell’Eucaristia, sacrificio e banchetto
nel quale il Signore ci unisce, ci rinnova e ci trasforma».
L’episodio evangelico delle nozze
di Cana è stato poi ripreso dal porporato anche nella celebrazione eucaristica di domenica mattina 13 luglio, proprio nella basilica di Lisieux. «Fate tutto quello che vi dirà» dice la Vergine in quell’occasione. «Non è senza interesse — ha
spiegato all’omelia — notare brevemente che i beati Louis e Zélie
Martin hanno fatto di questa frase
della Vergine, il leitmotiv della loro
vita di coppia, della loro vita familiare, della loro vita di cristiani, tanto il loro ascolto e la loro obbedienza a Cristo e a tutti i suoi rappresentanti sulla terra ai quali ha affidato la sua Chiesa, erano grandi!».
C’è la cultura individualista esasperata alla radice della crisi della famiglia, che segna ormai anche la
realtà africana. Perciò anche in questo continente occorre riproporre il
valore dell’istituto familiare al centro della vita della Chiesa e della
società. Ne è convinto l’arcivescovo
Vincenzo Paglia, presidente del
Pontificio consiglio per la famiglia,
intervenuto nei giorni scorsi alla decima assemblea generale dell’Associazione delle conferenze episcopali
dell’Africa centrale (Acerac), svoltasi a Brazzaville, in Congo.
Il presule ha citato lo studioso
africano Albert Tévoédjrè, che in un
suo libro afferma: «Per i cristiani
laici, nell’Africa agitata da varie correnti, difendere la famiglia come
l’ha voluta Dio, non è solo un atto
coerente con la loro fede», ma significa «preservare le fondamenta
stesse della società e di un autentico
sviluppo». Purtroppo invece le minacce alla famiglia in Africa oggi
sono innumerevoli, tipo: «la dissoluzione della morale — ha fatto notare l’arcivescovo — gli attacchi alla
unicità del matrimonio; l’allentamento dei legami tra i membri della
famiglia; la proliferazione delle
unioni di fatto, ma anche la povertà
e l’aumento della disoccupazione
che non permettono ai genitori di
adempiere alle loro responsabilità».
E la situazione è ancor più grave in
un continente in cui la famiglia è
sempre stata il fondamento della società, un luogo di formazione e di
trasmissione dei valori culturali e
spirituali.
Ecco allora l’esortazione dell’arcivescovo Paglia a riaffermare «con
forza che c’è un grande bisogno di
costruire forti relazioni tra le generazioni, di tessere una rete di solidarietà tra bambini, giovani e anziani». Ma questo vale per l’Africa, come per l’Europa, come per il resto
del mondo. Non a caso Papa Francesco ha voluto dedicare alla famiglia due Sinodi dei vescovi: quello
speciale del prossimo ottobre e
quello ordinario in programma nel
2015. Le «altre istituzioni pubbliche,
politiche, economiche, giuridiche e
culturali — ha quindi concluso il
presule — dovrebbero prendere
esempio dalla Chiesa cattolica, nel
mettere la famiglia al centro dei loro pensieri e delle loro decisioni».
Da ricordare infine che oggi,
mercoledì 16, si apre a Lilongwe, in
Malawi, la diciottesima assemblea
plenaria dell’Associazione delle conferenze episcopali dell’Africa orientale (Amecea). Il tema scelto è «La
nuova evangelizzazione attraverso
una vera conversione e la testimonianza della fede cristiana». Tra i
relatori ci sarà anche monsignor Paglia che nella sessione di venerdì 18
luglio interverrà sul tema «La pastorale familiare oggi».
Corteo nuziale in un villaggio africano
non solo la dignità della persona
umana ma anche quella della famiglia» nel contesto normativo dei singoli Stati.
Un capitolo a parte è stato dedicato alla condivisione delle preoccupazioni della Chiesa per la difesa dei
bambini che varcano da soli i confini del proprio Paese. La loro tutela,
si legge, deve essere «criterio prioritario in ogni politica migratoria».
Analoga adesione è stata espressa alla ferma condanna da parte della
Chiesa a proposito della tratta delle
persone e del traffico illecito dei migranti. E sono stati invocati provvedimenti e politiche nazionali che servano a eliminare abusi e ulteriori
sofferenze. Infine, dopo il riconoscimento della preziosa opera svolta
dalla Chiesa cattolica nella società
messicana, soprattutto in campo sociale, il documento ribadisce la reciproca volontà di collaborazione tra
Messico e Santa Sede in difesa e a
sostegno dei migranti.
Nomine
episcopali
Le nomine di oggi riguardano la
Chiesa in Perú e in Brasile.
Juan Carlos
Vera Plasencia
ordinario militare
per il Perú
Nato a Trujillo, arcidiocesi di
Trujillo (Perú) il 25 giugno 1961,
dopo aver ricevuto la formazione
secondaria presso il locale collegio pubblico, è entrato nella congregazione dei missionari del Sacro cuore di Gesù dove ha emesso la professione religiosa il 15
agosto 1984. Ha compleato gli
studi di filosofia e teologia presso
l’istituto superiore Juan XXIII di
Lima. Ordinato sacerdote il 22
luglio 1988, ha ricoperto diversi
uffici pastorali: vicario parrocchiale, formatore ed economo del seminario dei missionari del Sacro
cuore nella capitale, superiore ad
interim della regione peruviana
della congregazione, rettore del
seminario e superiore regionale. Il
18 giugno 2005 è stato nominato
vescovo prelato della prelatura
territoriale di Caravelí. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 28 agosto. Nella Conferenza episcopale è membro del
consiglio permanente.
Tarcísio Scaramussa
coadiutore di Santos
(Brasile)
È nato il 19 settembre 1950 a
Prosperidade, diocesi di Cachoeiro de Itapemirim, stato di Espírito Santo. Il 31 gennaio 1969 ha
emesso la prima professione nella
società salesiana di san Giovanni
Bosco e il 24 gennaio 1977 i voti
perpetui. Ordinato sacerdote il
successivo 11 dicembre, è licenziato in teologia alla Pontificia università cattolica di Minas Gerais e
in pedagogia alla facoltà Don Bosco di São João del Rey. È stato
coordinatore degli studi dell’istituto di pedagogia e filosofia di
São João del Rei (1978-1979); vice
direttore dell’istituto Anchieta, a
Jaciguá (1979-1983); parroco di
São João Batista e direttore della
casa salesiana a Jaciguá (19841988); parroco e coordinatore diocesano delle comunità ecclesiali di
base (Ceb) di Cachoeiro de Itapemirim (1985-1988) e nel contempo consigliere ispettoriale (fino al 1990). Quindi è stato direttore dell’istituto regional de pastoral catequética del regionale
Leste II a Belo Horizonte (19871997); vice provinciale dell’ispettoria salesiana di Minas Gerais, Rio
de Janeiro, Espírito Santo, Goiás
e Distrito federal, e delegato
ispettoriale per i cooperatori
(1990-1996); superiore dell’ispettoria salesiana di Minas Gerais, Rio
de Janeiro e Espírito Santo (19962002); membro della direzione
della Conferenza dei religiosi del
Brasile – regionale Leste II (20012002); consigliere generale dei salesiani per le comunicazioni sociali (2002-2008). Il 23 gennaio
2008 è stato nominato vescovo titolare di Segia e ausiliare di São
Paulo, ricevendo l’ordinazione
episcopale il successivo 19 aprile.