meditazione di don Bernardino Giordano

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meditazione di don Bernardino Giordano
Arcidiocesi Brindisi – Ostuni
Commissione Famiglia
Ritiro di Avvento
sull'accoglienza della famiglia ferita
Brindisi, 18 dicembre 2011
Chiesa “San Benedetto”
Canto iniziale
Preghiera
Apri i nostri occhi alla tua compassione, Signore Gesù.
Sei tu il buon Samaritano;
la via che scende da Gerusalemme a Gerico
è la via di ogni uomo e di ogni donna, è la strada di ciascuno di noi.
Quante volte hai arrestato il tuo cammino
per chinarti su di noi, mosso da divina compassione!
Hai preso su di te la nostra debolezza,
le nostre ferite son diventate le tue piaghe!
Quante volte ci hai consolati e ti sei preso cura di noi che, esanimi,
forse non ti abbiamo nemmeno riconosciuto.
Apri i nostri occhi alla tua compassione, Signore Gesù.
E rendicene partecipi, fa' che la possiamo condividere.
Liberaci dalla paura di contaminarci
con i problemi o la debolezza degli ultimi, nostri fratelli.
Liberaci dalla tentazione di discriminarli
in base alle idee politiche, o alle appartenenze culturali, religiose, razziali.
Liberaci anche dalla pretesa di programmare forme e
modi di intervento in base ai nostri criteri,
condizionati dalle nostre visuali, o dal nostro interesse.
La necessità di coloro che incontriamo
sia l'unica carta di credito alla nostra compassione.
Insegnaci ad essere "prossimo", o Signore. Amen
… dal Vangelo di Luca 10,25-37
Meditazione di don Bernardino Giordano,
Uff. Nazione Past. della Famiglia
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don Bernardino Giordano
Una Pastorale per le famiglie in difficoltà relazionale
(Sintesi)
Introduzione
Ampio diffondersi del fenomeno - aumento dei fallimenti coniugali. Urgente una risposta pastorale.
Nel passato c’era la convinzione che queste situazioni appartenessero alla sfera dei Consultori e
delle Istituzioni; si pensava efficace soltanto l’intervento dell’esperto (psicologo, mediatore
familiare, assistente sociale…).
Il problema della crisi va posto in termini pastorali, anche perché i fallimenti coniugali non
riguardano più solo coppie che fin dall’inizio si presentavano “a rischio” ma coinvolge ormai
coppie di ogni età che si ritenevano solide contro ogni difficoltà.
Si constata che la crisi della coppia si svolge generalmente nella solitudine, in una solitudine
crescente – la solitudine è spesso una causa ma ne è anche l’effetto - e si consuma nel fallimento
con meraviglia di tutti, spesso accompagnata dal pettegolezzo.
Una persona separata ha detto: “Quando mi sono sposato c’erano tre preti e tanta gente; quando mi
sono separato non ho visto nessuno”. Non è più ammissibile che la comunità cristiana sia presente
nel momento della festa e che poi sia totalmente assente nel momento della prova e della fatica.
Importante e piena di significato sarà la continuità nei primi anni di matrimonio e formulare varie
ipotesi di accompagnamento dei giovani sposi. Ora è venuto il momento di esaminare più in
profondità il fenomeno della crisi della coppia e leggerlo in chiave pastorale, chiedendoci:
Come le comunità cristiane possono prevenire per quanto possibile queste situazioni? Come
possono riconoscere che una coppia di sposi o una famiglia vive una condizione di disagio?
Come è possibile intervenire con discrezione per togliere la coppia dall’isolamento e fargli sentire
che qualcuno è vicino, comprende, offre una mano o indirizza a chi può dare un aiuto efficace?
Quali iniziative pastorali assumere, quali strutture predisporre (consultori, punti di ascolto, ecc.),
come formare persone anche professionalmente competenti per incontrare in modo efficace le
persone in questa situazione?
Rischio di fare pastorale familiare è quello di partire dai problemi. Occorre partire dalla verità
teologica del sacramento perché guarisce ed è medicina.
Imparare a guardare avanti con speranza.
È esperienza comune di persone e istituzioni che si occupano di coppie in difficoltà relazionale
constatare che quando la crisi è riconosciuta per tempo e accompagnata e sostenuta da persone
competenti e sensibili, essa può essere felicemente superata e avviare una stagione nuova della
coppia, una relazione più solida, serena e gratificante.
Questo fa intravedere nella crisi addirittura una opportunità: è possibile interpretarla non più come
l’anticamera del fallimento ma come una opportunità per un significativo salto di qualità nella
relazione. Diventa un evento “pasquale” dove la sofferenza non è inutile ma prepara il mattino di
Pasqua.
Occorre guardare alla crisi con altri occhi per diffondere una cultura diversa e un pensiero diverso
oltre l’ambito pastorale: vogliamo contribuire a un cambiamento di mentalità nei confronti della
crisi.
La crisi non è il capolinea della relazione ma la capacità di fare un salto di qualità della nostra
relazione (Es. si è al gradino)
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Come emerge il disagio relazionale
Sono in aumento le persone e le coppie che in una situazione di “crisi” di relazione chiedono aiuto.
Come arrivano ad esprimere questa richiesta?
A volte la richiesta di aiuto emerge spontaneamente, dopo un lungo percorso di sofferenza di
coppia e in un momento di esasperazione: “ho bisogno di sfogarmi con qualcuno perché non ce la
faccio più” è il primo approccio, cercato più spesso dalla donna, rivolto generalmente a una persona
amica o a un sacerdote.
Più spesso invece la coppia in crisi non chiede aiuto perché non ha motivazioni e fiducia sufficiente
o relazioni confidenziali per farlo. Allora diventa importante maturare nella comunità e negli
operatori pastorali una particolare sensibilità e attenzione che consentano di scoprire e riconoscere il
disagio.
Ma cosa può fare un operatore, un membro della pastorale familiare che ha cuore la famiglia?
Immagine biblica
Partiamo da una immagine biblica: quella del Buon Samaritano (Lc. 10, 25-37). Il contesto di
riferimento della parabola sta nella domanda posta a Gesù su chi è il mio prossimo e Gesù risponde
attraverso questo racconto.
"Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti,
che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo
mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e,
quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò
oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne
ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino;
poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui.
35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo:
“Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”.
A noi interessa l’atteggiamento del Samaritano nel curare le ferite.
Innanzi tutto per accostarsi alle ferite di altri è indispensabile che Qualcun’altro si sia chinato sulle
nostre (ciò implica che abbiamo dato un nome alle nostre ferite e che abbiamo deciso di
consegnarle); Testimoniare la misericordia da “ferito a ferito”, ci toglie da un atto di superiorità e ci
mette, in un primo tempo, in un cammino di purificazione della relazione ferita con il “più vicino a
me”.
Tre potrebbero i passaggi:
1) Lasciarsi guardare da Gesù “mezzi morti” è il primo passo per poter “vedere” e dunque
farsi vicino ai “mezzi morti” dell’umanità, in particolare lasciarci guardare nelle nostre ferite di
tradimento, di giochi di potere, di prese di posizione e di possesso sull’altro ci rende più attenti a
chiamare per nome le ferite che attraversano coniugi in difficoltà.
Quanto più impariamo a guardare la ferita che ci abita, tanto più saremo disposti e capaci di
guardare con occhio compassionevole l’altro che sta di fronte nella sua ferita e nella sua totalità.
Quali ferite? La ferita della paura…, della solitudine…, del passato…, degli insuccessi…,
dell’impotenza di non poter risanare le proprie ferite.
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Di fronte all’uomo ferito ciascuno può assumere diversi atteggiamenti. La parabola del samaritano
ne indica fondamentalmente due: il comportamento del sacerdote e del levita, che passano oltre
(prendono distanza dalle ferite) e quello del samaritano, che mostra compassione (accoglienza delle
ferite).
Anche noi possiamo avere lo stesso atteggiamento del sacerdote e del levita: sperimentiamo la
ferita, ma passiamo oltre. Per paura di affrontarle a viso aperto, tendiamo di nasconderle
minimizzandole, tendiamo ad emarginarle o addirittura, a negarle. Così affrontiamo la sofferenza un
fenomeno a lato dell’esistenza, o maturare la presunzione di essere invulnerabili, o idealizzare la
ferita. Infine, possiamo affondare in esse, rimanendone schiavi col lamento.
2) Lasciarsi amare da Gesù è lasciarsi avvolgere da quell’atteggiamento di partecipazione
affettiva, un atteggiamento colmo di attenzione e premura, è lasciarsi avvicinare, toccare, curare e
sanare (lasciarsi versare olio e vino). Il termine compassione corrisponde e richiama un
coinvolgimento interiore compreso come un “sentire con le viscere” o un “stringersi del cuore” e
“un piegarsi verso”, e indica quindi un sentire intenso, un pathos, un partecipare, che conduce ad
amare colui a cui è rivolto, in un’empatia e una solidarietà non limitate a lamentazioni verbali o
esteriori, ma che si trasformano in un soffrire-con, in com-passione.
Non passare oltre è l’atteggiamento di chi è disposto a considerare le ferite come parte di sé stesso,
di chi è aperto a fare spazio al dolore. Abitare la propria ferita in questo modo abilita ad ospitare le
ferite di altri. La ferita apre all’alterità e alla differenza.
3) «Va, e anche tu fa così»: siamo chiamati a vivere in modo esplicito la medesima
attitudine di compassione di Gesù che si fa volto di misericordia attraverso gesti, sguardi, modi di
fare, toni di voce e anche parole.
Piste di accompagnamento
Ascoltare con il cuore: è l’abilità di avere il cuore vicinissimo all’orecchio, nell’ascoltare
con il cuore ciò che l’altro vorrebbe dire e ha paura di manifestare.
- Accompagnare ad abitare le ferite, ad accettarsi nella propria fragilità, a riconciliarsi con il
proprio passato e con le proprie miserie. Aiutare la coppia a scoprire il volto della crisi
come possibilità di crescita
- Prestarsi per le cose concrete: disponibili ad aiutare nella gestione concreta del quotidiano.
Trabocchetti
- Cadere nella discussione competitiva: la coppia in crisi vive un’alta conflittualità e tende
a coinvolgere l’ascoltatore nella discussione portandolo verso le proprie ragioni.
Lasciarsi coinvolgere eccessivamente: ci si pone in guardia dal trasformare il buon
rapporto con chi parla, l’essere emotivamente partecipe ai suoi problemi, in uno schierarsi
con lui
- Monologare con l’altro: è quello di parlare al posto della persona o della coppia che sta
davanti.
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Preghiera finale
Ti preghiamo, Signore,
per la nostra famiglia perché ci conosciamo
sempre meglio e ci comprendiamo
nei nostri desideri e nei nostri limiti.
Fa’ che ciascuno di noi senta
e viva i bisogni degli altri e
a nessuno sfuggano i momenti di stanchezza,
di disagio, di preoccupazione dell’altro.
Che le nostre discussioni non ci dividano,
ma ci uniscano nella ricerca del vero
e del bene e ciascuno di noi
nel costruire la propria vita
non impedisca all’altro di vivere la propria.
Fa’, o Signore, che viviamo insieme
i momenti di gioia e soprattutto,
conosciamo Te e Colui che ci hai mandato,
Gesù Cristo in modo che la nostra famiglia
non si chiuda in sé stessa,
ma sia disponibile ai parenti,
aperta agli amici,
sensibile ai bisogni dei fratelli.
Fa', o Signore, che ci sentiamo
sempre parte viva della Chiesa in cammino
e possiamo continuare insieme in Cielo
il cammino che insieme abbiamo
iniziato sulla terra.
Amen
Un sussidio…
Parabola del buon samaritano riletta in una chiave di pastorale familiare che riguarda da
vicino il nostro servizio ai coniugi in difficoltà .
Uno studioso della legge, un esperto in questioni giuridiche, si alzò di mezzo alla folla, e interrogò
Gesù: “Maestro come sostenere la famiglia, oggi, in una situazione nella quale così tante coppie sono
in crisi e si separano?
Gesù fissò negli occhi l’esperto e rispose raccontando una breve storia.
Una famiglia scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che la spogliarono dei suoi
beni più preziosi (l’unità, la fedeltà, l’amore, la fecondità, la gioia di stare insieme), portando via uno
dei due coniugi e lasciando l’altro ferito in mezzo alla strada, con i bambini imploranti aiuto.
Scendeva, per caso, per quel punto un uomo di culto; vide la scena, ma immediatamente si irrigidì,
affrettando il passo e ragionando tra sé e sé: “Chissà che razza di gente è questa? Non si è mai visto
che una coppia onesta, religiosa, possa trovarsi in una situazione di questo genere. E poi mi domando
perché si avventurano in percorsi tanto pericolosi! E anche se volessi fermarmi la mia legge mi impone
di non toccare il sangue. Meglio stare lontano, dunque: non vorrei mettere a repentaglio la mia
buona fama. Tutto quello che posso fare, una volta arrivato a Gerico, sarà di parlarne alle autorità
perché organizzino un soccorso. Mi dispiace, ma non posso fare altro!”. E proseguì oltre.
Qualche tempo dopo, passò per lo stesso punto, uno studioso, un intellettuale; vide quel che restava
di quella coppia, e sentenziò: “La famiglia è ormai moribonda; non merita fermarsi a perdere tempo
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per questi poveracci. Io l’ho sempre detto: l’istituzione familiare è oppressiva, meglio lasciarla finire di
morte naturale! E poi il problema va affrontato a livello globale: è una questione strutturale,
sistemica; bisogna andare alla radice dei problemi, non fermarsi ai casi singoli!”. E così ragionando,
passò oltre. “Tutto quello che posso fare – soggiunse per scrupolo di coscienza - è di andare in città a
presentare un’interpellanza al sindaco, perché istituisca un’apposita commissione, la quale studi il
problema ed elabori progetti di risanamento globale, da sottoporre agli assessorati competenti!”. Il
coniuge ferito e i suoi figli intanto rimasero in mezzo alla strada, agonizzando.
Qualche ora più tardi giunse un samaritano, uno straniero, un uomo che aveva sempre sofferto per
l’indifferenza e l’odio di cui era stato circondato. Quando vide quel coniuge sofferente e il terrore
negli occhi dei suoi bambini si commosse profondamente, avvertendo male nel petto e sentendo un
groppo di pianto salirgli alla gola. Senza tanti ragionamenti, scese da cavallo e si fermò, chinandosi
con immenso amore su di loro, curò le ferite di ciascuno, versandovi sopra l’olio della tenerezza e il
vino della speranza. Caricata poi quella famiglia sul suo giumento, la condusse alla locanda più vicina,
dove impegnò tutti i suoi risparmi perché fosse curata e assistita fino alla completa guarigione.
Partendo, il giorno dopo, disse all’albergatore: “Abbì cura di loro e quanto spenderai di più te lo
rifonderò al mio ritorno”.
Dopo aver raccontato questa breve storia, Gesù interrogò l’esperto della legge: “Chi dei tre
viaggiatori ha posto in atto un autentico accompagnamento spirituale, facendosi compagno di viaggio
della famiglia incappata nei brigantii?“
Quegli risposte prontamente: “Colui che ha avuto compassione di quella famiglia.”
Gesù gli disse:“Hai risposto bene; va’, e anche tu fa’ lo stesso”1.
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Il testo è stato pubblicato in C. ROCCHETTA, Cristo medico degli sposi, Bologna 2008 (3° ristampa) , 301-303.
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