Qui - Renato Job

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Qui - Renato Job
IL PASSERO
di
RENATO JOB
Frugando nella cassa che conteneva la corrispondenza delle prozie
trovai due buste i cui francobolli avevano in soprastampa un nuovo prezzo,
e per questo motivo immaginai che potessero essere rari e avere qualche
valore.
Incoraggiato da questa scoperta ripresi a esaminare le lettere e le
cartoline ammucchiate nella cassa insieme ad altri documenti, quando dalla
parte del frutteto Olga mi chiamò. E poiché non rispondevo continuò per un
pezzo a chiamare e a raccontare chissà che. Non la finiva più. Un tormento
pari solo a quello delle mosche. Con quella voce stridula, poi, da bisbetica.
Adocchiai varie cose che avrei potuto usare come proiettile per farla
tacere. Per sempre. A qualcuno potrà sembrare eccessivo, si capisce, ma
tanto quelle pupattole lì si sa che vanno diritto in paradiso.
- Mar-cel-lo-mar-cel-lo…- adesso aveva cominciato a scandire
ritmicamentre - mar- cel-lo-mar-cel-lo-mar-cel-lo…
Centrarla con lo schioppo del „700? Una palla di piombo barocca.
Quasi una palla da cannone.
- Marcello-marcello-marcello…
Mi affacciai al finestrino del solaio e con quanta voce avevo la
insultai.
Era una oscenità, e Olga replicò come al solito:
- Lo dico a papà.
- E diglielo, và, diglielo.
- Crepa.
- Insomma cosa vuoi?
Per ripicca non disse niente, mi fece una smorfia e aperte le braccia
tornò indietro saltellando ritmicamente sul prato col vestito svolazzante da
quella oca che era, mentre io miagolavo “Ooooh, divina… una libellula…
mi nutro di fiori,” e scomparve all‟angolo, sotto la pergola, mentre io
gridavo in romanesco: Aaa faaata! Per gli insulti non c‟è niente che
equivalga il romanesco…
Tirai un sospiro di sollievo e ripresi la mia esplorazione postale. Ma
sapevo che stavo cercando un ago in un pagliaio. Era evidente che non avrei
potuto trovare qualcosa che non fosse compresa tra le più banali in mezzo a
quel genere di corrispondenza.
Dopo un po‟ sentii aprire la porta del solaio e qualcuno che saliva.
Non gliel‟avrà mica detto sul serio a papà? Capacissima. Questo però non è
il suo passo. Mi voltai e vidi la faccia di Sandro ai piedi della ringhiera di
legno.
- C‟è un uccello nel tubo della stufa, - annunciò.
- E allora?
- E allora niente. The simple News that Nature told….
- Uuuuuh, anche tu col tuo inglese… Come si dice a Oxford
vaffan…? - Gli mostrai le buste. - Guarda.
- Altri vaffrancobolli? - Salì gli ultimi scalini e venne a esaminare le
buste.
- Un uccello? - indagai.
- Si, - disse, - nel tubo della stufa.
- Come fai a sapere che non è un topo?
- E‟ un uccello. Si sente che sbatte le ali. - Mi restituì le due buste. I disegni sono belli. Sono liberty.
La definizione liberty l‟avevo già sentita ma non sapevo cosa
significasse esattamente
- E vero, sono belli, - dissi, ed era quello che pensavo.
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- Vieni giù? – disse Sandro.
- Si, un momento …
- Papà insiste che bisogna smontare la stufa.
A pianterreno trovai l‟aria profumata e tutte le femmine eleganti e
ben pettinate attorno alla stufa. Mia madre era meno elegante e aveva tra le
mani una scopa, tuttavia teneva la scopa come la terrebbe una donna molto
elegante e molto ben pettinata. Mio padre era in piedi su una sedia.
- Mario, scendi, - diceva mia madre.
Mio padre non si mosse.
- Vuoi farlo morire? Lo spaventi con quei colpi. Guarda cos‟hai
combinato, - disse mia madre indicando con la scopa la fuliggine sparsa sul
pavimento.
- Ma, mamma…! - protestò Giuliana.
Ottavia, sdraiata sul divano in una posizione da pantera del circo
con la pancia piena, rincarò la dose lanciando un “Poverino!”
- Di quale vaso da notte parlavi, prima? - dissi a bassa voce a Olga.
Gli occhi sbarrati, Olga deglutì e sporse le labbra carnose cosparse
di briciole:
- Ssst! Piano, ché ti sente.
- Chi?
- Ottaaavia, - sussurrò Olga
- Cosa c‟entra Ottavia?
- C‟entra.
- E‟ così complicato da spiegare?
Misteriosa, Olga si riempì la bocca di pane e formaggio.
- Dopo te lo dico, - masticò sparando briciole in tutte le direzioni.
Un imprecisato numero di proiettili raggiunse anche me. Come dicono i
poliziotti, fui attinto.
Disgusto.
- Dov‟è? - chiesi a mio padre.
- Qui davanti.
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- Lo senti?
- Mario, scendi, - ripeté mia madre.
Come se nessuno avesse parlato mio padre prese il tubo da sotto con
una mano, e con l‟altra, mentre Giuliana e mia madre di scatto si tiravano
indietro, assestò al tubo un colpo che fece tremare anche i vetri della
finestra.
Una nuvoletta di cenere investì la faccia di Olga che a testa in giù
curiosava nel fornello.
Pane, formaggio e “ben ti sta” grattugiato.
Dall‟espressione di Sandro compresi che lui approvava pienamente
nostro padre. Io di positivo in tutta la faccenda vedevo soltanto la sbruffata
di cenere sul muso di Olga. Il tubo infatti non si era staccato ed era nata la
solita confusione.
Per un minuto le femmine parlarono tutte insieme. Mio padre venne
fatto scendere a viva forza da mia madre, incoraggiata dalla voce di Olga
che gorgogliava sotto il rubinetto del lavandino, e venne costretto a risalirvi
da Giuliana moralmente spalleggiata dalla pantera che digeriva sul divano.
Sandro assisteva in silenzio, però era chiaro che parteggiava per le
ultime due.
Finì che mio padre si ritrovò con le braccia aperte davanti alla
finestra.
- Dovresti cambiare anche la cravatta, - diceva mia madre,
sfilandogli la giacca.
- Perché, cos‟ha che non va bene?
- Marcello, non cominciare anche tu.
Stavo salendo sulla sedia.
Giuliana si avvicinò, poi Sandro, e guardavano su, ora il tubo e ora
me.
- Marcello! - disse mia madre.
- Marcello, ubbidisci! - fece subito eco mio padre.
- Ci vorrebbe blu.
- Si muove? - chiese Giuliana.
- Eh, che ne so! - dissi.
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- Non c‟è la cravatta blu, mamma, - disse Ottavia.
- Dov‟è?
- Di sopra, ma è da stirare.
- Chi vuoi che guardi la mia cravatta.
- Scrolla il tubo!
- Brava. Diglielo, anche.
- Vado a mettermi quella a righe.
- Aspetta!
- Prova se riesci a farlo andare avanti.
- Come? Gli telefono?
- Aspetta!
- Cosa c‟è, adesso?
- Aspetta, ché ti spazzolo i pantaloni!
- Picchia sul tubo, no!?!
- Marcello!
- E‟ qui, - annunciò la voce di Olga, trionfante.
- Qui, dove?
- Qui all‟imboccatura.
Saltai giù e poiché tutti si affollarono e ognuno avrebbe voluto
verificare per primo la presenza dell‟uccellino, o dell’usignolo delle favole
come molto probabilmente immaginava qualcuna delle silfidi che avevo
intorno, quella presenza rimase per me ipotetica.
Poi giunse dal divano il vellutato ruggito di Ottavia.
- Si sarà posato sulla valvola, - disse Ottavia.
Perspicace congettura, ma io non ero ancora convinto che avevamo
un ospite involontario intrappolato nella monumentale stufa di terracotta.
- Zitti! - sottovoce disse Olga.
In tre accostammo l‟orecchio al tubo. Gli altri guardavano e noi
trattenevamo il respiro. Ma era tempo perso, secondo me. Ovviamente,
ammesso che ci fosse, il prigioniero là dentro stava facendo qualcosa di
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simile; mi sembrava di vederlo, tanto era evidente che in una situazione
come quella sarebbe stato più all‟erta lui di noi. Allora, senza chiedere
pareri a nessuno, girai bruscamente la maniglietta della valvola e l‟uccello si
vece vivo, c‟era proprio, si agitò spaventato e sbattendo le ali cadde nel
sottostante labirinto.
In quell‟attimo stesso la stufa, io e Sandro ricevemmo uno scossone.
Olga era esplosa.
- E‟ nella stufa, è nella stufa, è nella stufa …!
L‟eventualità che a questo punto qualcuno proponesse di smontare la
stufa avrebbe certamente indotto a tornare in casa nostra madre che stava
portando in giardino il vassoio con le paste. Invece si fermò all‟improvviso
nella luce viva del portico, a qualche passo dalla soglia, il vassoio tra le
mani, e udimmo che parlava con qualcuno, e Ottavia, che aveva sentito le
altre voci fuori, saltò su come se fosse sbucata una molla dall‟imbottitura.
- Ma sono già qui? Ma se avevano detto dopo le quattro, - disse
spaventata, ravviandosi i capelli
Mentre andavamo verso la porta, quattro facce da funerale su sei,
accodati alla lunga sagoma di nostro padre, la pantera disse, calma, con una
risatina blanda d‟introduzione:
- Ah, ah, sarebbe da ridere se fosse un pipistrello.
- Ma è vero, - chiese Olga, - che se ti fanno la pipì sulla testa ti
cadono i capelli?
- Olga! - senza voltarsi disse mio padre severo a mezza voce.
- Se non la pianti, te la faccio io sulla testa,- dissi a Olga..
- Cra cra cra, tu non sei un pipistrello, tu sei una cornacchia.
- Olga! Marcello!… - disse mio padre in un soffio; e tutto di seguito
a voce alta mentre usciva: - Oooh, finalmente di ritorno il nostro
Namaziano. Lasciare Roma non è facile, vero, professore?
Namaziano? E chi è?… Boh?… E i due francobolli?… Adesso non
montarti la testa… Sì però vorrei sapere quanto valgono. Tu quanto pensi
che valgano? Io penso che potrebbero valere, diciamo … Esagerato! Cosa
predica, quello lì? Dice a me? State a vedere che divento rosso. Adesso mi
guardano tutti. Ecco divento rosso. Ti venga un… Non mi guardano più.
Sollievo. Il pipipassero cosa starà combinando? Che facce! Ma perché fanno
quelle facce? Posso capire la pantera che si sta lavorando il dottorino.
Quando vede un paio di pantaloni … Ma Sandro e Giuliana, quei due cocchi
di papà, beh, sarebbero da fotografare. Fotografia di un cocco. Francobollo
da un cocco. Due cocchi con soprastampa.
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Devono essere rari. No, non i cocchi… Li vendo e compero quella
macchina fotografica che... Sì, e poi un idrovolante, e poi un transatlantico.
E mica mi è venuto in mente di portare mecum il catalogo. Mecum, tecum,
secum. Secum, tecum, mecum. Come si dice catalogo in latino? Genitivo
plurale catalogorum. Potresti chiederlo a Namaziano. Perché l‟ho lasciato in
città? Risposta. Perché sono una testa di. E dagli quella con la ciliegia.
Sempre a me quella con la ciliegia. Sono le paste più fetenti che. Marcello,
sparisci. Mi alzo. Strategia, Marcello. Mi sono alzato.
Dietro l‟angolo trovai Olga piegata in due che si teneva la pancia dal
ridere.
Le sbolognai la pasta con la ciliegia, e feci tutto un giro complicato
per tornare in solaio, lasciandola che non poteva parlare tanto rideva, con la
ciliegia candita in mano.
Salivo seguito a brevi balzi leggeri da Valentino Duca, ero già quasi
in cima alla seconda rampa di scale, quando riudii la voce di Olga. Era giù.
Ancora là dove l‟avevo lasciata. Non mi affacciai e per un po‟ finsi di non
sentire.
- Si può sapere cos‟hai?- gridai infine.
- Sto parlando con te, - gridò mia sorella.
- Ho sentito.
- L‟hai visto il vaso?
Misi fuori la testa dall‟oblò del solaio, subito imitato dal gatto.
- Di cosa cavolo stai parlando, si può sapere?
- Il vaso nella comoda, l‟hai visto? - Gridò Olga, questa volta
sparando le briciole della pasta. Meno male che ero troppo lontano per
venire “attinto”.
- No, perché? Quale comoda? – risposi, ma avevo già capito di quale
mobile si trattava, infatti avevamo in casa due piccole poltrone
perfettamente uguali, una delle quali era in realtà una comoda.
- Miao, - disse Valentino Duca, la testa nella stessa posizione della
mia, che guardava in basso.
- Come, perché? - disse Olga, - C‟eri seduto sopra tu.
- Miao, - disse il gatto. - Miao.
- E chi l‟ha messa fuori la comoda? - domandai sbavando per la
rabbia e farfugliando nella pelliccia di Valentino Duca che mi stava
passando davanti.
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- Io, - disse Olga. - Chi vuoi che l‟abbia messa?
- Bello scherzo da prete! Brava. Proprio un gran bello scherzo. Ma
sei scema?
- Ma io non l‟avevo messa per te. L‟avevo messa per Ottavia.
- Ah, beh, allora…! Sei proprio una povera pazza. Intanto se si
accorgono vedi cosa succede… Vuoi che ti dica anche cosa sarebbe andata a
finire se malauguratamente, come speravi tu, ci si fosse seduta Ottavia? Con
una danza selvaggia della tua sorellona e delle sue amiche, tutte
rigorosamente nude, intorno a una pentola. E chi c‟è nella pentola, cicci?
- Uffah, sei antipatico.
- Sai che, mannaggia, adesso che ci ripenso a quella danza
selvaggia… Vai. Su. Cosa aspetti? Valla a togliere. E di corsa. Muoviti, oca.
Ti ammazzano se si accorgono
- Si, capirai, mi metto a offrire il tè col vaso da notte.
- Ma non il vaso! Tutto, scema! La poltrona. La prendi e la porti
dentro.
- E se poi si accorgono?
- Perché? Se invece la lasci fuori, non si accorgono? Corri, cretina.
Esplorai la soffitta per trovare un buon posto dal quale assistere. Mi
sistemai, attesi, ma mio padre, Ottavia e gli ospiti parlavano fitto tra di loro
e non vedevano. Ci fu soltanto la mossa decisa di Olga che sollevava la
poltrona, poi gli occhi stupefatti di Sandro e Giuliana e la mamma che
diceva qualcosa e Olga che andava da lei, poi Olga che dopo essersi
assicurata che nessuno la guardasse riafferrava la poltrona e la poltrona che
tornava in casa e che sembrava viaggiasse per proprio conto perché Olga era
coperta dallo schienale.
E pensare che, stando a quel poco che mi sembrava di aver capito,
per la mamma e per Ottavia quel tè era importante quasi come la
discussione di un trattato politico tra due nazioni.
Trasferito il corpo del reato, mia sorella si precipitò in solaio a
raccontarmi tutta contenta il come, il quando e il dove. Santa innocenza. E
pensare che, stando a quel poco che mi sembrava di aver capito, per la
mamma e per Ottavia quel tè era importante quasi come la discussione di un
trattato politico tra due nazioni.
Impassibile, io rigiravo tra le dita l‟infernale caleidoscopio di
francobolli. Di bel nuovo nel suo segreto speco. Egli. Mago e scienziato.
Mondo impenetrabile.
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Ma Olga improvvisamente cambiò discorso. Si calmò, si sedette, si
rabbuiò e mi disse che, secondo lei, l‟uccellino era morto.
L‟infernale caleidoscopio ebbe un‟esitazione.
- Perché? - dissi
- Così …
Pausa.
- Ma va. Semmai sarà volato via,- dissi.
Seguì una pausa. Olga prese a far dondolare il divanetto zoppo sul
quale si trovava.
- Secondo te, - disse, - io sono un tipo che piace agli uomini?
- Ma se a tavola ti mettono ancora il bavaglino.
- No, dìco sul serio … - insistette Olga.
- Che ne so? Quali uomini? - chiesi interdetto.
Ci fu un silenzio. Poi disse:
- Gli uomini.
Il divanetto che dondolava si fermò. Passarono un paio di minuti, e
riattaccò con un‟altra domanda:
- Secondo te, chi è la più bella?
- La più bella del reame?
- Non fare lo stupido
- Tu.
- Ottavia non ti piace?
- Neanche un po‟.
- Nooo. Dài. Davvero … Chi?
- Tu.
- Perché? - disse Olga.
- Perché le altre sono brutte.
- Bugiardo!
- Allora, no.
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Toc … toc … toc … Il divanetto dondolava e Olga aveva le gambe
scoperte, rotonde, belle sode, da donnina.
- Tu mi sposeresti? - domandò
- Siamo fratelli, stupida!
- Se no?
- Neanche dipinto.
- Ma se una volta mi hai baciata!
Cribbio! Mi uscì dalla gola qualcosa come una vocale inglese
strozzata.
- Eoaeh?!
Olga balzò in piedi e il divanetto cadde in avanti.
- Forse non è morto, - disse Olga. - Vado a vedere, - gridò correndo
per le scale.
Porca miseria. Maledetto il giorno. Se la ricorda ancora. Se la va a
raccontare, sono fregato.
Ripresi l‟occupazione interrotta, feci un mucchietto dei francobolli
selezionati e scesi a prendere la bacinella con l‟acqua, preceduto da
Valentino Duca che, da quando avevo diviso con lui l‟ultimo boccone di
dolce, viveva nella mia ombra.
Dal pianerottolo, appena svoltato, neanche fatto il primo gradino, il
gatto vide il passero. Il passero era proprio un passero, e lo vide prima di
me, ma riuscii a fermarlo in tempo.
Presi Valentino Duca in braccio e senza far rumore mi sedetti vicino
alla ringhiera.
- Cip, -fece il passero.
Valentino si tese, io tenni duro e allora Valentino ci ripensò, e
morbido, rilassato cercò di fare il furbo scivolando tra le mani con l‟aria di
niente. Poi, visto che la tattica non funzionava, ritentò a un tratto la maniera
forte col risultato che gli tirai una sberla.
Nella stanza, oltre all‟uccellino, c‟era Olga. La scorsi dopo perché
era sotto l‟immenso tavolo antico, dalla parte opposta a quella in cui si
trovava l‟uccellino. La vidi quando quest‟ultimo venne avanti e lei lo seguì.
Erano soli nella stanza, e nel silenzio si poteva udire il brusio della
conversazione che proveniva dal prato.
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Quello che vedevo era proprio un passero, e più precisamente un
piccolo, un esserino inesperto, che senza dubbio aveva lasciato il nido da
poco. Per questo era caduto nella stufa, e ora si trovava laggiù sul
pavimento, e ci restava non riuscendo a fare altro che un piccolo salto di
tanto in tanto. Le zampette divaricate, instabile, si guardava intorno,
lanciava un “cip”, uno soltanto, chiaro, forte, “cip” e saltava un palmo più il
là.
Come se fosse stata lei a partorirlo e non la stufa, Olga lo guardava
incantata, se lo coccolava con gli occhi. Tendendogli qualche briciola di non
so cosa, graziosamente piegata sulle ginocchia, lo seguiva stando china con
un passettino quando si allontanava troppo.
- Ci, ci, ci, bellino, ci, ci, ci…Dove vai, tesorino? Qui. Vieni qui… diceva Olga con una voce carina che non avevo mai sentito.
In alto sulla scala io e il gatto eravamo come ipnotizzati.
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