Il poema di Gilgamesh

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Il poema racconta le avventure di Gilgamesh (pronuncia Ghilgamesc), un re di Uruk,
vissuto probabilmente intorno al 2600 a.C. Antiche tavolette ritrovate a Ninive, nella
biblioteca del re assiro Assurbanipal, indicano come autore del poema Sinleqiunnini,
uno scriba consigliere dello stesso Gilgamesh.
Il poema inizia con questi versi:
Di colui che vide tutto io voglio narrare al mondo.
Di colui che conobbe ogni cosa, tutto io voglio
raccontare.
Egli andò alla ricerca dei Paesi più lontani e
raggiunse la completa saggezza.
Egli vide cose segrete, scoprì cose nascoste,
riferì storie dei tempi precedenti il Diluvio.
Egli percorse vie lontane, finché stanco e abbattuto
si fermò.
E fece incidere tutte le sue fatiche su una stele di
pietra.
Gilgamesh era stato creato mezzo uomo e mezzo
Una tavoletta del Poema di
Gilgamesh.
dio: era bellissimo e coraggioso, ma anche
arrogante e prepotente.
Gli abitanti di Uruk, stanchi dei suoi continui soprusi, si lamentavano nel segreto
delle loro case. Ma An, il dio del cielo, che era anche il patrono della città, udì i loro
lamenti, e chiese alla dea Aruru di creare un altro eroe simile a Gilgamesh, in modo
che lottassero tra loro e lasciassero in pace Uruk.
Così la dea plasmò con l'argilla Enkidu.
Enkidu visse per molti anni solo nelle foreste in compagnia degli animali selvaggi,
ma un giorno un cacciatore lo vide nella boscaglia, coperto di peli e con lunghi
capelli, e rimase terrorizzato. Allora andò a Uruk e raccontò a Gilgamesh dello strano
essere che vagava sulle colline. Gilgamesh mandò a chiamare la bellissima Šamhat,
sacerdotessa del tempio di Inanna, e le chiese di appostarsi presso la pozza d'acqua
alla quale Enkidu andava a dissetarsi. Appena Enkidu vide Šamhat se ne innamorò e
lei lo convinse a seguirla in città.
Quando venne il tempo delle feste di capodanno, Gilgamesh uscì dal palazzo reale
per recarsi al tempio di Inanna, ma quando giunse alle porte della città, Enkidu uscì
dalla folla e gli sbarrò la strada.
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I due uomini cominciarono a lottare con pari forza fino a quando Gilgamesh con un
colpo riuscì a rovesciare a terra Enkidu. Allora Enkidu disse: - Al mondo non c'è un
altro come te, Gilgamesh. Il dio Enlil ti ha dato la sovranità perché la tua forza supera
la forza di tutti.
Gilgamesh ed Enkidu allora si abbracciarono e da quel momento diventarono amici
inseparabili.
Un giorno Gilgamesh propose al suo compagno di partire per una grande impresa:
sarebbero andati nel Paese delle Montagne, dove si trovava la Foresta dei Cedri, e lì
avrebbero raccolto il legname necessario per costruire nuovi palazzi che avrebbero
abbellito la città di Uruk. Per ottenere il legno Gilgamesh ed Enkidu dovettero però
lottare duramente contro il mostro Khubaba che venne ucciso. La sua morte offese
molto Enlil, il dio del vento, che si infuriò e maledì i due eroi.
Quando Gilgamesh fece ritorno ad Uruk, si lavò la lunga chioma, gettò via gli abiti
impolverati dal lungo viaggio, li sostituì con le vesti regali e indossò la corona. Allora
la dea Inanna lo vide, se ne innamorò e si offri come sua sposa. Ma Gilgamesh si
rifiutò di sposare la dea.
Allora Inanna, per vendicarsi dell’affronto subito, si recò da An e ottenne che il Toro
Celeste Gugulanna entrasse nella città di Uruk e la distruggesse.
Appena il Toro comparve tra le mura della città, Gilgamesh ed Enkidu corsero ad
affrontarlo. Enkidu balzò addosso al Toro e
lo afferrò per le corna mentre Gilgamesh lo
infilzava con la spada. Il Toro crollò al
suolo senza vita.
Inanna allora maledì i due eroi: - Guai a
voi! Avete osato uccidere il Toro del Cielo
e pagherete il vostro affronto!
Pochi giorni dopo, Enkidu si ammalò.
Giacque in agonia per molti giorni e infine
morì.
Gilgamesh venne travolto dalla
disperazione. Per sette giorni e sette notti
pianse l'amico. Poi cominciò a pensare che
Enkidu e Gilgamesh in un'immagine scolpita su
un giorno anche lui avrebbe dovuto morire
pietra.
e provò una grande paura.
I sapienti di Uruk raccontavano che c'era un solo uomo immortale sulla Terra: era
Utanapištim, colui che gli dèi avevano salvato dal Diluvio. Fu così che Gilgamesh
decise che lo avrebbe trovato e si sarebbe fatto rivelare il segreto della vita eterna.
Dopo lunghe settimane di viaggio, Gilgamesh giunse al monte Mašu. Tra le due vette
gemelle si trovavano le porte da cui il sole usciva ogni giorno per attraversare il cielo.
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A guardia del monte vi erano due uomini-scorpione che, saputo il motivo del suo
viaggio, lo lasciarono passare.
Gilgamesh attraversò con fatica una lunghissima galleria buia come la notte senza
luna. Quando uscì di nuovo alla luce del sole, si trovò nel giardino degli dèi: intorno a
lui crescevano cespugli carichi di gemme, frutti di corniola e foglie di lapislazzuli;
invece dei rovi vi erano ematiti e agata e perle del mare.
Passeggiando per quel giardino incantato, Gilgamesh giunse sulla riva del mare, dove
trovò la casa di Siduri, una donna che produceva il vino degli dei e le chiese: Fanciulla, dimmi, qual è la via per raggiungere Utanapištim?
Siduri rispose: - L'isola felice dove vive Utanapištim si trova al di là dell'Oceano che
nessun mortale ha mai attraversato. Al centro dell'Oceano scorrono le acque delle
morte, come potrai tu superarle? Tuttavia, Gilgamesh, giù nel bosco troverai il
barcaiolo Uršanabi. Lui conosce la strada, e forse potrà aiutarti.
Gilgamesh trovò Uršanabi, e lo convinse a trasportarlo oltre l’Oceano.
Quando la barca approdò, Gilgamesh chiese a Utanapištim di rivelargli il segreto che
lo rendeva immortale. Allora Utanapištim cominciò a narrare.
- Tanto tempo prima l'umanità era così numerosa che sollevava un tale baccano da
disturbare il sonno degli dèi. Così Enlil, il signore del vento, disse: - Lo strepitio
dell'umanità è intollerabile! Così non si può più andare avanti! Scatenerò il Diluvio e
distruggerò il genere umano!
Il saggio Enki, il signore dell'abisso, che da sempre era l'amico degli uomini, scese
nella città di Šuruppak, comparve in sogno al giovane Utanapištim, che era suo
sacerdote, e gli disse: - Utanapištim, ascolta! Abbatti la tua casa e costruisci una nave.
Ci entrerai insieme ai tuoi famigliari e dopo avervi portato dentro da mangiare e da
bere, farai entrare tutti gli animali, volatili e quadrupedi. Se qualcuno ti chiederà
qualcosa, rispondigli che ti rechi dagli dèi per pregare per la buona sorte degli
uomini!
Alle prime luci dell'alba comparve in cielo una nube nera, mostruosa e cominciò a
piovere. Per sei giorni e sei notti il paese di Sumer venne travolto dalla furia delle
acque. Quando venne l'alba del settimo giorno, la tempesta diminuì e il mare divenne
calmo. Utanapištim si affacciò dall'arca e guardò il mondo. Silenzio. Dovunque si
stendeva il mare e tutta l'umanità era stata sterminata. Allora Utanapištim s'inchinò e
pianse.
A lungo la nave cercò la terra, finché comparve una montagna, e lì s'incagliò.
Utanapištim mandò fuori alcuni uccelli, i quali, non trovando nulla da mangiare né
luogo dove posarsi, tornarono sulla nave. Alcuni giorni dopo ripeté l'operazione, e gli
uccelli tornarono con le zampe infangate. Quando mandò fuori per la terza volta gli
uccelli, questi non tornarono e Utanapištim capì che la terra era di nuovo emersa, aprì
le porte della nave e tutte le creature uscirono fuori. Quindi fece dei sacrifici agli dèi.
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Allora Enlil prese per mano Utanapištim e sua moglie, li benedisse e dichiarò: - D'ora
innanzi, Utanapištim non sarà più un uomo mortale, ma un dio, e vivrà lontano dagli
altri uomini sull’isola di Dilmun.
Alla fine del racconto, Utanapištim disse: - Gilgamesh, ti rivelerò una cosa segreta.
C'è una pianta che cresce sotto l'acqua, la Pianta dell'Irrequietezza, detta Vecchiotorna-giovane. Ha spine come il rovo. Ferirà le tue mani, ma se riuscirai a prenderla
sarà la tua salvezza, perché ha la virtù di ridare agli uomini la gioventù perduta. Non
è proprio la vita eterna che cerchi, ma può comunque aiutarti a tenere lontana la
vecchiaia e la morte.
Gilgamesh ripartì con Uršanabi. Arrivato nel punto che Utanapištim gli aveva
indicato, si legò ai piedi pietre pesanti e si tuffò dalla barca. Trascinato dalle pietre
sul fondo del mare, Gilgamesh trovò la pianta che cercava. La afferrò e le spine gli
ferirono le mani, ma l'eroe, incurante del dolore, riuscì a strapparla e tornò in
superficie. Mostrò la pianta a Uršanabi e disse: - Porterò questa pianta a Uruk, la darò
da mangiare ai vecchi, i quali torneranno giovani e forti. Infine ne mangerò io stesso
e riavrò tutta la gioventù perduta.
Durante il viaggio di ritorno, una notte si fermarono presso un pozzo di acqua fresca.
Mentre Gilgamesh si bagnava nel pozzo, un serpente vide la pianta, si avvicinò e la
mangiò. Subito, l'animale perse la pelle, tornando giovane, e fuggì via. Quando
Gilgamesh si accorse del fatto, pianse a lungo, sconsolato, ma non ci fu nulla da fare.
Fu così fu che Gilgamesh perse l'immortalità.
Alla fine, Gilgamesh ritornò a Uruk e riprese il suo posto sul trono. E dopo
centoventisei anni di regno, ebbe la sorte che accomuna tutta l’umanità: il riposo
eterno.
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