PARERE DI DIRITTO CIVILE Traccia n. 1 Tizio coniugato e con due
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PARERE DI DIRITTO CIVILE Traccia n. 1 Tizio coniugato e con due
PARERE DI DIRITTO CIVILE Traccia n. 1 Tizio coniugato e con due figli è deceduto ab intestato il 12.1.2015 lasciando un patrimonio costituito esclusivamente da un appartamento del valore di 90 mila euro situato in una località di montagna in cui con la famiglia era solito trascorrere vacanze estive. Poco prima di morire Tizio aveva però effettuato due valide donazioni in denaro: la prima di 250 mila euro in favore del figlio caio in data 5.1.2015 (con dispensa dalla collazione), la seconda di 60 mila euro in favore dell'amico sempronio in data 10.1.2015. L'altro figlio Mevio che subito dopo l'apertura della successione si è trasferito nel predetto appartamento avendo trovato lavoro nelle vicinanze, in data 10.3.2015 si reca da un legale per un consulto ritenendo che i propri diritti siano stati lesi dalle donazioni di cui sopra. assunte le vesti del legale di Mevio, il candidato illustri le questioni sottese al caso in esame ed individui le iniziative da assumere e gli strumenti di tutela esperibili. Sentenza di riferimento: Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2013, n. 16635 [...] Svolgimento del processo O.A., F.L. e F.G., con atto di citazione del 30 giugno 1997 convenivano in giudizio davanti al Tribunale di R., C.G. ed O.E. (madre di C.G.) per ivi sentire: 1) dichiarare la simulazione del contratto di compravenduta del 18 gennaio 1997 con il quale il de cuius Or.Ab. aveva venduto alla nipote C.G. tutti i propri beni, 2) accertare la lesione della legittima, 3) condannare la convenuta C.G. alla rifusione in favore degli attori dei frutti percepiti dal rogito fino all’assegnazione delle quote, 4) dichiarare sciolta la comunione ereditaria mediante la formazione delle relative quote. A sostegno di questa domanda, gli attori premettevano che in data (OMISSIS) era deceduto Or.Ab. senza lasciare testamento e, pertanto, le sue eredi legittime erano le figlie A.E. e G.; che G. era premorta, lasciando eredi legittimi la figlia F.L. e il marito Gi.; che il de cuius si era spogliato dei suoi beni alienandoli tutti alla nipote C.G. figlia di E. con atto pubblico di compravendita, che detto contratto di compravendita era apparente e dissimulante una donazione, attesa la irrisorietà del prezzo di acquisto rispetto al valore reale, lo stretto legame di parentela che legava nonno (donante) e nipote (donataria); che il de cuius al momento della stipula del contratto di cui si dice conviveva con la nipote, il de cuius al momento della stipula del contratto di compravendita già indicato aveva l’età di novantadue anni e non aveva alcun interesse ad alienare l’immobile considerato che non avrebbe avuto la possibilità di godersi il denaro ricavato, invalido e impossibilitato ad uscire di casa; che dal contratto emergeva che i tre assegni di pagamento del corrispettivo, solo apparentemente, erano stati percepiti dal vegliardo, ma, in realtà, la somma non fosse uscita dalla sfera di disponibilità dell’acquirente. Si costituivano C.G. e O.E. eccependo, preliminarmente, il difetto di legittimazione attiva di F. G. e nel merito, contestando la fondatezza della domanda attrice. Dopo ampia istruttoria, assunto interrogatorio formale delle parti, il Tribunale di R. con sentenza n. 386 del 2002 dichiarava il difetto di legittimazione attiva di F.G. e respingeva la domanda degli attori. Osservava il Tribunale che le attrici chiamate all’eredità ex lege avrebbero dovuto preventivamente accettare l’eredità con beneficio di inventario, prima di esperire l’azione di riduzione di cui all’art. 564 c.c.; chiariva che l’accettazione non era necessaria solo quando l’erede fosse pretermesso totalmente, ipotesi non configurabile nel caso concreto poichè le attrici erano eredi legittime. Avverso tale sentenza proponevano appello O.A. e F.L. lamentando che il Tribunale non avesse tenuto conto dell’orientamento del Supremo Collegio espresso con sentenza 6 agosto 1990, n. 7899 secondo cui il legittimario pretermesso dell’eredità non è tenuto alla previa accettazione con beneficio di inventario per esperire l’azione di riduzione delle donazioni e legati, derivando l’acquisto della qualità di erede soltanto dal positivo esercizio di detta azione. Si costituivano: a) C.G. che chiedeva di respingere il gravame ed, in subordine, nel caso di accoglimento del primo motivo di appello di respingere tutte le domande proposte dalle appellanti e, in via ulteriormente subordinata, nell’ipotesi di accoglimento della domanda di simulazione e di quella conseguente di riduzione di rimettere la causa sul ruolo per determinare al porzione di disponibile, b) O.E. si rimetteva alla giustizia relativamente al motivo di appello e in merito alle domande formulate in primo grado dalle appellanti si riportava alle conclusioni rassegnate in quella sede. La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 3853 del 2006 respingeva l’appello. Secondo la Corte romana, richiamando l’orientamento della Corte Suprema di Cassazione di cui alla sentenza n. 10262 del 2003 nel caso in esame mancava la condizione prevista dall’art. 564 cc per l’esercizio dell’azione di simulazione di cui si dice, atteso che gli appellanti non avevano accettato l’eredità con beneficio di inventario. Per altro, non potevano ritenersi fondate le questioni riproposte con l’atto di gravame da parte degli appellanti in ordine alla loro totale pretermissione. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da O. A. e F.L. per due motivi, illustrati con memoria. C.G. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria. O.E. in questa fase non ha svolto alcuna attività giudiziale. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo O.A. e F.L. lamentano la violazione ed errata applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 564 c.c.. Il motivo è articolato su due profili che si concludono con la proposizione di due quesiti di diritto: a) Intanto, secondo la ricorrente, la Corte romana avrebbe errato nel ritenere che l’azione di riduzione fosse condizionata all’accettazione con beneficio di inventano dell’eredità, in quanto avrebbe disatteso il principio di diritto enunciato da questa Corte Suprema con la sentenza n. 19527 del 2005 secondo cui “Qualora il de cuius abbia integralmente esaurito in vita il suo patrimonio mediante atti di donazione, sacrificando totalmente un erede necessario, il legittimario che intenda conseguire la quota di eredità a lui riservata dalla legge non ha altra via che quella di agire per la riduzione delle donazioni lesive dei suoi diritti, giacchè, non sorgendo alcuna comunione ereditaria se non vi sia nulla da dividere, solo dopo l’esperimento vittorioso di tale azione egli è legittimato a promuovere od a partecipare alle azioni nei confronti degli altri eredi per ottenere la porzione in natura a lui spettante dell’asse ereditario”. Pertanto, sostengono le ricorrenti essendo in concreto accaduto che il de cuius si era effettivamente spogliato in vita dell’intero suo patrimonio attraverso l’atto di donazione oggetto della controversia, andava conseguentemente escluso l’onere dell’accettazione con beneficio d’inventario. Concludono le ricorrenti: Dica codesta Corte Suprema tenuto conto che O. A. si è completamente spogliato in vita del suo patrimonio con il rogito del notaio R. C. del 18 gennaio 1997, se le ricorrenti avessero l’onere dell’accettazione beneficiata di cu all’art. 564 cc. per incardinare l’azione di simulazione del rogito e di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive delle loro quote legittime. b) Assumono, ancora, le ricorrenti che la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere che l’azione di riduzione fosse condizionata all’accettazione con beneficio di inventario dell’eredità perchè non avrebbe dato rilievo alla domanda proposta con l’atto introduttivo di simulazione dell’atto di fa compravendita dissimulante un atto mulo in quanto posto in essere in frode alle ragioni delle stesse attrici. Nel caso in esame, specificano le ricorrenti, la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto neppure del principio di diritto espresso da questa Suprema Corte con la sentenza n. 10262 del 2003 secondo cui non necessita l’accettazione beneficiata, allorchè venga dedotta la simulazione relativa ed il negozio dissimulato sia nullo per vizio di forma, per incapacità di uno dei soggetti o per altra causa, considerato che nel caso in esame, sempre secondo le ricorrenti, l’”altra causa” era oggettivamente costituita dal fraudolento intento dei contraenti de cuius e nipote di frodare le ragioni delle due appellanti. Pertanto, le ricorrenti concludono formulando l’ulteriore quesito di diritto: Dica codesta Suprema Corte se, l’aver posto in essere il negozio di compravendita tra il de cuius e la nipote C.G. al fine di frodare le ragioni delle eredi, costituisca causa idonea ad escludere l’accettazione beneficiata. 1.1. Il motivo è fondato sotto il primo profilo, nel quale rimane assorbito il secondo. Come questa Corte ha già avuto occasione di precisare, condizione fondamentale per chiedere la riduzione delle donazioni o delle disposizioni lesive della porzione di legittima, è soltanto quella di essere tra le persone indicate nell’art. 557 c.c., e, cioè, di rivestire la qualità di legittimario, mentre la condizione stabilita dall’art. 564, comma 1, della preventiva accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, vale soltanto per il legittimario che rivesta in pari tempo la qualità di erede (v. sent. 5 ottobre 1974 n. 2621). Ora, il legittimario totalmente pretermesso, proprio perchè pretermesso dalla successione, non acquista per il solo fatto dell’apertura della successione, ovvero per il solo fatto della morte del de cuius, nè la qualità di erede, nè la titolarità dei beni ad altri attribuiti: potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l’esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento, ovvero dopo il riconoscimento dei suoi diritti di legittimario. Come opportunamente ha evidenziato la dottrina e la giurisprudenza anche di questa Corte, una totale pretermissione del legittimario può aversi sia nella successione testamentaria, che nella successione ab intestato, il legittimario sarà pretermesso: a) nella successione testamentaria se il testatore ha disposto a titolo universale dell’intero asse a favore di altri, in base alla considerazione che, a norma dell’art. 457 c.c., comma 2, questi non è chiamato all’eredità fino a quando l’istituzione testamentaria di erede non venga ridotta nei suoi confronti, e b) nella successione ab intestato, qualora il de cuius si sia spogliato in vita dell’intero suo patrimonio con atti di donazione, considerato che per l’assenza di beni relitti, il legittimario viene a trovarsi nella necessità di esperire l’azione di riduzione a tutela della situazione di diritto sostanziale che la legge gli riconosce (in tal senso da ultimo Cass. n. 19527 del 2005). Di qui, l’ulteriore conseguenza che il legittimario pretermesso, sia nella successione testamentaria, che in quella ab intestato, che impugna per simulazione un atto compiuto dal “de cuius” a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce in qualità di terzo e non in veste di erede, condizione che acquista, solo in conseguenza del positivo esercizio dell’azione di riduzione, e come tale non è tenuto alla preventiva accettazione dell’eredità con beneficio di inventario. 1.1.a). Pertanto, posto che nel caso in esame non vi era dubbio per essere la circostanza emersa già in primo grado e non contestata dai convenuti,- che il de cuius, Or.Ab., avesse disposto in vita del suo intero patrimonio con atto di compravendita asseritamente simulato per notaio R. C. del 18 gennaio 1997, la Corte di merito avrebbe dovuto - e non lo ha fatto - considerare che O.A., quale figlia del de cuius, e F.L., in rappresentazione della madre G. figlia del de cuius, risultavano essere legittimari pretermessi dalla successione ab intestato di Or.Ab. e avrebbe dovuto, pertanto, escludere che per l’esperimento dell’azione di simulazione relativamente al contratto di compravendita del 18 gennaio 1987 preordinato al successivo eventuale esercizio dell’azione di riduzione, la necessità dell’accettazione dell’eredità di che trattasi, con beneficio di inventario. 1.1.a). Sotto altro profilo è contraria a diritto, per le ragioni di cui si è appena detto, l’affermazione della sentenza secondo la quale gli eredi necessari non possono essere pretermessi in mancanza di una volontà espressa da parte del de cuius, nè possono ritenersi pretermessi per la conseguenza di atti di disposizioni posti in vita dal de cuius considerato, come già si è detto, che la qualità di erede legittimo non si acquista per il solo fatto dell’apertura della successione, ovvero, per il solo fatto della morte del de cuius, almeno nelle ipotesi in cui possa identificarsi una volontà del de cuius a pretermettere i legittimari dalla successione sia essa espressa con il testamento o con atto di disposizione inter vivos con il quale, il de cuius, abbia disposto dell’intero patrimonio a favore di altri soggetti diversi dai legittimari. 2. La fondatezza del primo motivo e la conseguente cassazione in relazione ad esso della decisione di secondo grado comporta l’assorbimento dell’esame del secondo motivo, con il quale le ricorrenti, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 564 c.c., censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che le appellanti (odierne ricorrenti) non fossero state totalmente pretermesse da Or.Ab. in quanto: a) come eredi legittimali la legge riservava loro una quota del patrimonio del defunto; b) e quali eredi necessarie perchè mancava una disposizione testamentaria che le escludeva essendo il de cuius deceduto senza testamento. In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso e dichiarato assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Roma la quale provvederà anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso nei sensi di cui in motivazione, dichiara assorbito il secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 aprile 2013. Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2013 Traccia n. 2 2- Tizio di professione commercialista viene contattato da un agente assicurativo della compagnia alfa che gli propone di stipulare una polizza assicurativa x la responsabilità professionale contenente la clausola di copertura di tutte le richieste di risarcimento dei danni presentate per la prima volta all'assicurato nel periodo di assicurazione, anche per fatti anteriori alla stipula. In epoca successiva alla stipula del contratto tizio riceve da Caio una domanda giudiziale di risarcimento dei danni derivanti da un presunto illecito professionale risalente ad epoca anteriore alla stipula stessa. Tizio si costituisce in giudizio E dopo aver contestato la fondatezza dell'avversa pretesa chiede ed ottiene l'autorizzazione alla chiamata in causa della compagnia Alfa. Il giudice di primo grado ritenuta la sussistenza dell'illecito professionale condanna tizio al risarcimento del relativo danno e respinge la domanda di garanzia spiegata nei confronti di Alfa affermando la nullità della clausola sopra richiamata in quanto contrastante con il principio generale secondo cui l'alea coperta dalla garanzia Deve riguardare un evento futuro ed incerto. Tizio si reca dunque da un legale e dopo aver esposto i fatti come sopra detti precisa che al momento della stipula del contratto di assicurazione non era a conoscenza né del presunto illecito contestatogli e dei relativi effetti dannosi né dell'intenzione del danneggiato di richiederne il risarcimento. Il candidato assunte le vesti del difensore di Tizio, rediga un motivato parere nel quale premessi brevi cenni sulle caratteristiche dei contratti aleatori,illustri le questioni sottese al caso in esame. Sentenza di riferimento: Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2014, n. 3622 [...] Motivi della decisione 1. La Corte di appello ha motivato la sua decisione in base al rilievo che l’illecito addebitato all’assicurato risale agli anni 1990 e 1991, cioè a data anteriore a quella del 30 dicembre 1994, da cui decorre l’efficacia della polizza di assicurazione. Ha ritenuto irrilevante la clausola n. 4 del contratto medesimo, secondo cui ‘La garanzia vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’assicurato nel periodo di assicurazione’ e la circostanza che la domanda risarcitoria sia stata inoltrata il 19.4 1999, nel corso del periodo assicurativo 15.10.1996 - 15.10.1999, con la motivazione che l’alea coperta dalla garanzia deve riguardare un evento futuro ed incerto; non un evento già verificatosi prima della conclusione del contratto, e che nella specie non risulta essere stata pattuita alcuna deroga al principio di cui all’art. 1917 c.c.. 2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli art. 1362 e 1322 c.c., e con il secondo motivo contraddittorietà ed insufficienza della motivazione, sul rilievo che la Corte di appello ha illegittimamente disatteso l’efficacia della clausola n. 4 – c.d. clausola claim made, largamente praticata nei contratti di assicurazione della responsabilità professionale - la quale garantisce all’assicurato la copertura assicurativa in tutti i casi in cui la domanda di risarcimento dei danni sia proposta contro l’assicurato nel periodo di validità-efficacia della polizza, pur se il comportamento illecito da cui deriva la responsabilità si sia verificato prima della stipulazione del contratto. Assume che la Corte di appello ha interpretato la clausola contro il suo testo letterale; ha disatteso il principio per cui le parti, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, possono derogare alle caratteristiche del tipo negoziale e richiama la giurisprudenza di questa Corte, che ha ritenuto valide le clausole claim made, enunciando il principio per cui i contratti di assicurazione che le contengono non rientrano nella fattispecie tipica di cui all’art. 1917 c.c., ma configurano contratti atipici, meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c. (Cass. civ., Sez. III, 25 marzo 2005 n. 5624). Soggiunge che la compagnia assicuratrice è tanto consapevole di quanto sopra che neppure ha eccepito, nel giudizio di primo grado, l’inoperatività della garanzia, affidando la sua difesa a diverse eccezioni ed argomentazioni. 3. I due motivi, che vanno congiuntamente esaminati perché connessi, sono fondati. La clausola claim made prevede il possibile sfasamento fra prestazione dell’assicuratore (obbligo di indennizzo in relazione all’alea del verificarsi di determinati eventi) e controprestazione dell’assicurato (pagamento del premio), nel senso che possono risultare coperti da assicurazione comportamenti dell’assicurato anteriori alla data della conclusione del contratto, qualora la domanda di risarcimento del danno sia per la prima volta proposta dopo tale data, come nel caso in esame; e possono risultare viceversa sforniti di garanzia comportamenti tenuti dall’assicurato nel corso della piena validità ed efficacia della polizza, qualora la domanda di risarcimento dei danni sia proposta successivamente alla cessazione degli effetti del contratto. Va premesso che il problema dell’efficacia della clausola claim made viene qui esaminato e deciso con esclusivo riferimento al caso oggetto di esame, cioè al caso in cui la copertura assicurativa sia estesa ai comportamenti anteriori alla stipulazione del contratto. La Corte di appello ha ritenuto inefficace la clausola sulla base del presupposto (non chiaramente espresso, ma intuibile dalla motivazione) che l’alea è elemento essenziale del contratto di assicurazione, la cui mancanza determina la nullità del contratto medesimo (cfr. art. 1895, 1904 c.c., nonché le varie disposizioni che prevedono la modifica degli effetti del contratto nei casi di variazione dei rischi: artt. 1892, 1893, 1896, 1897, 1898 ed altri, c.c., fra cui lo stesso art. 1917 c.c., là dove esclude la responsabilità dell’assicuratore per fatti dolosi dell’assicurato, in quanto il dolo altera in base a fattori del tutto irrazionali le possibilità di previsione e preventiva valutazione del rischio assicurato). La sentenza impugnata ha però ingiustificatamente equiparato il caso in esame a quello di inesistenza del rischio, mentre in realtà nel caso in esame un’alea esiste, pur se di natura e consistenza diverse da quella avente ad oggetto i comportamenti colposi del professionista. Ha poi trascurato di considerare che l’estensione della copertura ai comportamenti anteriori alla stipulazione della polizza è frutto di una precisa scelta dell’assicuratore, che di sua iniziativa inserisce la clausola fra le condizioni generali di contratto (presumibilmente a fini promozionali), sulla base di una consapevole valutazione dei rischi, che peraltro vengono sapientemente circoscritti tramite altre disposizioni. Quanto all’alea, essa concerne non la possibilità che l’assicurato tenga comportamenti colposi, ma che li abbia commessi in passato, pur non essendo ancora a conoscenza della loro illiceità o idoneità a produrre danno. È incongrua quindi la motivazione della Corte di appello, là dove ha ritenuto di dover escludere la sussistenza dell’alea con riferimento ad eventi già verificatisi. L’alea non concerne i comportamenti passati nella loro materialità, ma la consapevolezza da parte dell’assicurato del loro carattere colposo e della loro idoneità ad arrecare danno a terzi. In secondo luogo, non è detto che qualunque comportamento colposo induca il danneggiato a proporre domanda di risarcimento dei danni. Sotto entrambi i profili l’assicurazione copre eventi incerti e peculiari tipi di rischi, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello. In secondo luogo, i contratti contenenti la clausola claim made normalmente delimitano la garanzia a non più di due o tre anni prima della sottoscrizione della polizza, nonché ai casi in cui l’assicurato non sia a conoscenza dell’illecito pregresso, dei relativi effetti dannosi e dell’intenzione del danneggiato di agire in risarcimento, serbando intatta, in mancanza, la possibilità di opporre all’assicurato la responsabilità e gli effetti delle dichiarazioni inesatte o reticenti, ai sensi degli art. 1892 e 1893 c.c. (cfr., proprio con riferimento ad una clausola claim made, Cass. civ. Sez. III, 22 marzo 2013 n. 7273). Sotto alcun aspetto pertanto appare giustificato, nel caso in esame, il diniego di efficacia alla clausola claim made, poiché la domanda risarcitoria è stata proposta contro l’assicurato in corso di validità della polizza; non risulta che questi fosse consapevole degli illeciti commessi, né dell’intenzione del cliente di agire in responsabilità nei suoi confronti, alla data della sottoscrizione della polizza. Va soggiunto che le clausole claim made sono predisposte dallo stesso assicuratore, nelle condizioni generali di contratto; che pertanto è da ritenere che, nella parte in cui prevedono effetti vantaggiosi per l’assicurato, siano frutto di scelte meditate e consapevoli, nonché di un’attenta valutazione dei rischi e della remuneratività del corrispettivo convenuto come premio, pur in relazione ai sinistri verificatisi in data anteriore. Trattasi poi di clausole che, nei casi simili a quello in esame, sono favorevoli per l’assicurato, sicché non viene in considerazione il divieto di deroghe alla disciplina ordinaria di cui all’art. 1932 c.c.. Non è rilevante né significativa, invece, la giurisprudenza citata dal ricorrente a supporto delle sue argomentazioni, perché relativa a fattispecie del tutto diverse da quella in oggetto, in cui la clausola claim made è stata invocata per escludere la copertura assicurativa, pur essendosi il sinistro realizzato nel pieno vigore del contratto di assicurazione, in quanto la domanda risarcitoria è stata per la prima volta proposta dopo lo scioglimento del contratto medesimo (cfr. Cass. civ. Sez. III, 15 marzo 2005 n. 5624). In questo secondo caso la clausola potrebbe effettivamente porre problemi di validità, venendo a mancare, in danno dell’assicurato, il rapporto di corrispettività fra il pagamento del premio e il diritto all’indennizzo, per il solo fatto che la domanda risarcitoria viene proposta dopo lo scioglimento del contratto (come frequentemente avviene - ben più che nel caso opposto e qui considerato - in tema di responsabilità professionale). Ma trattasi di questione che qui non si pone, sulla quale quindi non vi è luogo a pronunciare. 4. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, affinché decida la controversia uniformandosi ai principi sopra indicati, con congrua e logica motivazione. 5. La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte di cassazione accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.