PARERE DI DIRITTO CIVILE Traccia n. 1 Tizio coniugato e con due

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PARERE DI DIRITTO CIVILE Traccia n. 1 Tizio coniugato e con due
PARERE DI DIRITTO CIVILE
Traccia n. 1
Tizio coniugato e con due figli è deceduto ab intestato il 12.1.2015
lasciando un patrimonio costituito esclusivamente da un
appartamento del valore di 90 mila euro situato in una località di
montagna in cui con la famiglia era solito trascorrere vacanze
estive.
Poco prima di morire Tizio aveva però effettuato due valide
donazioni in denaro: la prima di 250 mila euro in favore del figlio
caio in data 5.1.2015 (con dispensa dalla collazione), la seconda di
60 mila euro in favore dell'amico sempronio in data 10.1.2015.
L'altro figlio Mevio che subito dopo l'apertura della successione si è
trasferito nel predetto appartamento avendo trovato lavoro nelle
vicinanze, in data 10.3.2015 si reca da un legale per un consulto
ritenendo che i propri diritti siano stati lesi dalle donazioni di cui
sopra.
assunte le vesti del legale di Mevio, il candidato illustri le questioni
sottese al caso in esame ed individui le iniziative da assumere e gli
strumenti di tutela esperibili.
Sentenza di riferimento:
Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2013, n. 16635
[...]
Svolgimento del processo
O.A., F.L. e F.G., con atto di citazione del 30 giugno 1997
convenivano in giudizio davanti al Tribunale di R., C.G. ed O.E.
(madre di C.G.) per ivi sentire:
1) dichiarare la simulazione del contratto di compravenduta del 18
gennaio 1997 con il quale il de cuius Or.Ab. aveva venduto alla
nipote C.G. tutti i propri beni,
2) accertare la lesione della legittima,
3) condannare la convenuta C.G. alla rifusione in favore degli attori
dei frutti percepiti dal rogito fino all’assegnazione delle quote,
4) dichiarare sciolta la comunione ereditaria mediante la formazione
delle relative quote.
A sostegno di questa domanda, gli attori premettevano che in data
(OMISSIS) era deceduto Or.Ab. senza lasciare testamento e,
pertanto, le sue eredi legittime erano le figlie A.E. e G.; che G. era
premorta, lasciando eredi legittimi la figlia F.L. e il marito Gi.; che il
de cuius si era spogliato dei suoi beni alienandoli tutti alla nipote
C.G. figlia di E. con atto pubblico di compravendita, che detto
contratto di compravendita era apparente e dissimulante una
donazione, attesa la irrisorietà del prezzo di acquisto rispetto al
valore reale, lo stretto legame di parentela che legava nonno
(donante) e nipote (donataria); che il de cuius al momento della
stipula del contratto di cui si dice conviveva con la nipote, il de cuius
al momento della stipula del contratto di compravendita già indicato
aveva l’età di novantadue anni e non aveva alcun interesse ad
alienare l’immobile considerato che non avrebbe avuto la possibilità
di godersi il denaro ricavato, invalido e impossibilitato ad uscire di
casa; che dal contratto emergeva che i tre assegni di pagamento
del corrispettivo, solo apparentemente, erano stati percepiti dal
vegliardo, ma, in realtà, la somma non fosse uscita dalla sfera di
disponibilità dell’acquirente.
Si costituivano C.G. e O.E. eccependo, preliminarmente, il difetto di
legittimazione attiva di F. G. e nel merito, contestando la fondatezza
della domanda attrice. Dopo ampia istruttoria, assunto
interrogatorio formale delle parti, il Tribunale di R. con sentenza n.
386 del 2002 dichiarava il difetto di legittimazione attiva di F.G. e
respingeva la domanda degli attori. Osservava il Tribunale che le
attrici chiamate all’eredità ex lege avrebbero dovuto
preventivamente accettare l’eredità con beneficio di inventario,
prima di esperire l’azione di riduzione di cui all’art. 564 c.c.;
chiariva che l’accettazione non era necessaria solo quando l’erede
fosse pretermesso totalmente, ipotesi non configurabile nel caso
concreto poichè le attrici erano eredi legittime.
Avverso tale sentenza proponevano appello O.A. e F.L. lamentando
che il Tribunale non avesse tenuto conto dell’orientamento del
Supremo Collegio espresso con sentenza 6 agosto 1990, n. 7899
secondo cui il legittimario pretermesso dell’eredità non è tenuto alla
previa accettazione con beneficio di inventario per esperire l’azione
di riduzione delle donazioni e legati, derivando l’acquisto della
qualità di erede soltanto dal positivo esercizio di detta azione.
Si costituivano: a) C.G. che chiedeva di respingere il gravame ed, in
subordine, nel caso di accoglimento del primo motivo di appello di
respingere tutte le domande proposte dalle appellanti e, in via
ulteriormente subordinata, nell’ipotesi di accoglimento della
domanda di simulazione e di quella conseguente di riduzione di
rimettere la causa sul ruolo per determinare al porzione di
disponibile, b) O.E. si rimetteva alla giustizia relativamente al
motivo di appello e in merito alle domande formulate in primo grado
dalle appellanti si riportava alle conclusioni rassegnate in quella
sede.
La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 3853 del 2006
respingeva l’appello. Secondo la Corte romana, richiamando
l’orientamento della Corte Suprema di Cassazione di cui alla
sentenza n. 10262 del 2003 nel caso in esame mancava la
condizione prevista dall’art. 564 cc per l’esercizio dell’azione di
simulazione di cui si dice, atteso che gli appellanti non avevano
accettato l’eredità con beneficio di inventario. Per altro, non
potevano ritenersi fondate le questioni riproposte con l’atto di
gravame da parte degli appellanti in ordine alla loro totale
pretermissione.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da O. A. e F.L.
per due motivi, illustrati con memoria. C.G. ha resistito con
controricorso, illustrato con memoria. O.E. in questa fase non ha
svolto alcuna attività giudiziale.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo O.A. e F.L. lamentano la violazione ed errata
applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 564 c.c.. Il
motivo è articolato su due profili che si concludono con la
proposizione di due quesiti di diritto:
a) Intanto, secondo la ricorrente, la Corte romana avrebbe errato
nel ritenere che l’azione di riduzione fosse condizionata
all’accettazione con beneficio di inventano dell’eredità, in quanto
avrebbe disatteso il principio di diritto enunciato da questa Corte
Suprema con la sentenza n. 19527 del 2005 secondo cui “Qualora
il de cuius abbia integralmente esaurito in vita il suo patrimonio
mediante atti di donazione, sacrificando totalmente un erede
necessario, il legittimario che intenda conseguire la quota di eredità
a lui riservata dalla legge non ha altra via che quella di agire per la
riduzione delle donazioni lesive dei suoi diritti, giacchè, non
sorgendo alcuna comunione ereditaria se non vi sia nulla da
dividere, solo dopo l’esperimento vittorioso di tale azione egli è
legittimato a promuovere od a partecipare alle azioni nei confronti
degli altri eredi per ottenere la porzione in natura a lui spettante
dell’asse ereditario”. Pertanto, sostengono le ricorrenti essendo in
concreto accaduto che il de cuius si era effettivamente spogliato in
vita dell’intero suo patrimonio attraverso l’atto di donazione oggetto
della controversia, andava conseguentemente escluso l’onere
dell’accettazione con beneficio d’inventario. Concludono le
ricorrenti: Dica codesta Corte Suprema tenuto conto che O. A. si è
completamente spogliato in vita del suo patrimonio con il rogito del
notaio R. C. del 18 gennaio 1997, se le ricorrenti avessero l’onere
dell’accettazione beneficiata di cu all’art. 564 cc. per incardinare
l’azione di simulazione del rogito e di riduzione delle disposizioni
testamentarie lesive delle loro quote legittime.
b) Assumono, ancora, le ricorrenti che la Corte di merito avrebbe
errato nel ritenere che l’azione di riduzione fosse condizionata
all’accettazione con beneficio di inventario dell’eredità perchè non
avrebbe dato rilievo alla domanda proposta con l’atto introduttivo di
simulazione dell’atto di fa compravendita dissimulante un atto mulo
in quanto posto in essere in frode alle ragioni delle stesse attrici.
Nel caso in esame, specificano le ricorrenti, la sentenza impugnata
non avrebbe tenuto conto neppure del principio di diritto espresso
da questa Suprema Corte con la sentenza n. 10262 del 2003
secondo cui non necessita l’accettazione beneficiata, allorchè
venga dedotta la simulazione relativa ed il negozio dissimulato sia
nullo per vizio di forma, per incapacità di uno dei soggetti o per altra
causa, considerato che nel caso in esame, sempre secondo le
ricorrenti, l’”altra causa” era oggettivamente costituita dal
fraudolento intento dei contraenti de cuius e nipote di frodare le
ragioni delle due appellanti. Pertanto, le ricorrenti concludono
formulando l’ulteriore quesito di diritto:
Dica codesta Suprema Corte se, l’aver posto in essere il negozio di
compravendita tra il de cuius e la nipote C.G. al fine di frodare le
ragioni delle eredi, costituisca causa idonea ad escludere
l’accettazione beneficiata.
1.1. Il motivo è fondato sotto il primo profilo, nel quale rimane
assorbito il secondo.
Come questa Corte ha già avuto occasione di precisare, condizione
fondamentale per chiedere la riduzione delle donazioni o delle
disposizioni lesive della porzione di legittima, è soltanto quella di
essere tra le persone indicate nell’art. 557 c.c., e, cioè, di rivestire la
qualità di legittimario, mentre la condizione stabilita dall’art. 564,
comma 1, della preventiva accettazione dell’eredità con beneficio
d’inventario, vale soltanto per il legittimario che rivesta in pari tempo
la qualità di erede (v. sent. 5 ottobre 1974 n. 2621). Ora, il
legittimario totalmente pretermesso, proprio perchè pretermesso
dalla successione, non acquista per il solo fatto dell’apertura della
successione, ovvero per il solo fatto della morte del de cuius, nè la
qualità di erede, nè la titolarità dei beni ad altri attribuiti: potendo
acquistare i suoi diritti solo dopo l’esperimento delle azioni di
riduzione o di annullamento del testamento, ovvero dopo il
riconoscimento dei suoi diritti di legittimario. Come opportunamente
ha evidenziato la dottrina e la giurisprudenza anche di questa
Corte, una totale pretermissione del legittimario può aversi sia nella
successione testamentaria, che nella successione ab intestato, il
legittimario sarà pretermesso: a) nella successione testamentaria
se il testatore ha disposto a titolo universale dell’intero asse a
favore di altri, in base alla considerazione che, a norma dell’art. 457
c.c., comma 2, questi non è chiamato all’eredità fino a quando
l’istituzione testamentaria di erede non venga ridotta nei suoi
confronti, e b) nella successione ab intestato, qualora il de cuius si
sia spogliato in vita dell’intero suo patrimonio con atti di donazione,
considerato che per l’assenza di beni relitti, il legittimario viene a
trovarsi nella necessità di esperire l’azione di riduzione a tutela
della situazione di diritto sostanziale che la legge gli riconosce (in
tal senso da ultimo Cass. n. 19527 del 2005). Di qui, l’ulteriore
conseguenza che il legittimario pretermesso, sia nella successione
testamentaria, che in quella ab intestato, che impugna per
simulazione un atto compiuto dal “de cuius” a tutela del proprio
diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce in qualità di
terzo e non in veste di erede, condizione che acquista, solo in
conseguenza del positivo esercizio dell’azione di riduzione, e come
tale non è tenuto alla preventiva accettazione dell’eredità con
beneficio di inventario.
1.1.a). Pertanto, posto che nel caso in esame non vi era dubbio per essere la circostanza emersa già in primo grado e non
contestata dai convenuti,- che il de cuius, Or.Ab., avesse disposto
in vita del suo intero patrimonio con atto di compravendita
asseritamente simulato per notaio R. C. del 18 gennaio 1997, la
Corte di merito avrebbe dovuto - e non lo ha fatto - considerare che
O.A., quale figlia del de cuius, e F.L., in rappresentazione della
madre G. figlia del de cuius, risultavano essere legittimari
pretermessi dalla successione ab intestato di Or.Ab. e avrebbe
dovuto, pertanto, escludere che per l’esperimento dell’azione di
simulazione relativamente al contratto di compravendita del 18
gennaio 1987 preordinato al successivo eventuale esercizio
dell’azione di riduzione, la necessità dell’accettazione dell’eredità di
che trattasi, con beneficio di inventario.
1.1.a). Sotto altro profilo è contraria a diritto, per le ragioni di cui si è
appena detto, l’affermazione della sentenza secondo la quale gli
eredi necessari non possono essere pretermessi in mancanza di
una volontà espressa da parte del de cuius, nè possono ritenersi
pretermessi per la conseguenza di atti di disposizioni posti in vita
dal de cuius considerato, come già si è detto, che la qualità di erede
legittimo non si acquista per il solo fatto dell’apertura della
successione, ovvero, per il solo fatto della morte del de cuius,
almeno nelle ipotesi in cui possa identificarsi una volontà del de
cuius a pretermettere i legittimari dalla successione sia essa
espressa con il testamento o con atto di disposizione inter vivos con
il quale, il de cuius, abbia disposto dell’intero patrimonio a favore di
altri soggetti diversi dai legittimari.
2. La fondatezza del primo motivo e la conseguente cassazione in
relazione ad esso della decisione di secondo grado comporta
l’assorbimento dell’esame del secondo motivo, con il quale le
ricorrenti, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art.
360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 564 c.c., censurano la sentenza
impugnata nella parte in cui ha escluso che le appellanti (odierne
ricorrenti) non fossero state totalmente pretermesse da Or.Ab. in
quanto: a) come eredi legittimali la legge riservava loro una quota
del patrimonio del defunto; b) e quali eredi necessarie perchè
mancava una disposizione testamentaria che le escludeva essendo
il de cuius deceduto senza testamento.
In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso e dichiarato
assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata in relazione
al motivo accolto e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di
Appello di Roma la quale provvederà anche per il regolamento delle
spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso nei sensi di cui in
motivazione, dichiara assorbito il secondo motivo. Cassa la
sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di
Appello di Roma, anche per il regolamento delle spese del presente
giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione
Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 aprile
2013.
Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2013
Traccia n. 2
2- Tizio di professione commercialista viene contattato da un
agente assicurativo della compagnia alfa che gli propone di
stipulare una polizza assicurativa x la responsabilità professionale
contenente la clausola di copertura di tutte le richieste di
risarcimento dei danni presentate per la prima volta all'assicurato
nel periodo di assicurazione, anche per fatti anteriori alla stipula.
In epoca successiva alla stipula del contratto tizio riceve da Caio
una domanda giudiziale di risarcimento dei danni derivanti da un
presunto illecito professionale risalente ad epoca anteriore alla
stipula stessa. Tizio si costituisce in giudizio E dopo aver contestato
la fondatezza dell'avversa pretesa chiede ed ottiene
l'autorizzazione alla chiamata in causa della compagnia Alfa. Il
giudice di primo grado ritenuta la sussistenza dell'illecito
professionale condanna tizio al risarcimento del relativo danno e
respinge la domanda di garanzia spiegata nei confronti di Alfa
affermando la nullità della clausola sopra richiamata in quanto
contrastante con il principio generale secondo cui l'alea coperta
dalla garanzia Deve riguardare un evento futuro ed incerto. Tizio si
reca dunque da un legale e dopo aver esposto i fatti come sopra
detti precisa che al momento della stipula del contratto di
assicurazione non era a conoscenza né del presunto illecito
contestatogli e dei relativi effetti dannosi né dell'intenzione del
danneggiato di richiederne il risarcimento.
Il candidato assunte le vesti del difensore di Tizio, rediga un
motivato parere nel quale premessi brevi cenni sulle caratteristiche
dei contratti aleatori,illustri le questioni sottese al caso in esame.
Sentenza di riferimento:
Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2014, n. 3622
[...]
Motivi della decisione
1. La Corte di appello ha motivato la sua decisione in base al rilievo
che l’illecito addebitato all’assicurato risale agli anni 1990 e 1991,
cioè a data anteriore a quella del 30 dicembre 1994, da cui decorre
l’efficacia della polizza di assicurazione. Ha ritenuto irrilevante la
clausola n. 4 del contratto medesimo, secondo cui ‘La garanzia vale
per le
richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’assicurato
nel periodo di assicurazione’ e la circostanza che la domanda
risarcitoria sia stata inoltrata il 19.4 1999, nel corso del periodo
assicurativo 15.10.1996 - 15.10.1999, con la motivazione che l’alea
coperta dalla garanzia deve riguardare un evento futuro ed incerto;
non un evento già verificatosi prima della conclusione del contratto,
e che nella specie non risulta essere stata pattuita alcuna deroga al
principio di cui all’art. 1917 c.c..
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli art.
1362 e 1322 c.c., e con il secondo motivo contraddittorietà ed
insufficienza della motivazione, sul rilievo che la Corte di appello ha
illegittimamente disatteso l’efficacia della clausola n. 4 – c.d.
clausola claim made, largamente praticata nei contratti di
assicurazione della responsabilità professionale - la quale
garantisce all’assicurato la copertura assicurativa in tutti i casi in cui
la domanda di risarcimento dei danni sia proposta contro
l’assicurato nel periodo di validità-efficacia della polizza, pur se il
comportamento illecito da cui deriva la responsabilità si sia
verificato prima della stipulazione del contratto. Assume che la
Corte di appello ha interpretato la clausola contro il suo testo
letterale; ha disatteso il principio per cui le parti, nell’esercizio della
loro autonomia contrattuale, possono derogare alle caratteristiche
del tipo negoziale e richiama la giurisprudenza di questa Corte, che
ha ritenuto valide le clausole claim made, enunciando il principio
per cui i contratti di assicurazione che le contengono non rientrano
nella fattispecie tipica di cui all’art. 1917 c.c., ma configurano
contratti atipici, meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c. (Cass.
civ., Sez. III, 25 marzo 2005 n. 5624).
Soggiunge che la compagnia assicuratrice è tanto consapevole di
quanto sopra che neppure ha eccepito, nel giudizio di primo grado,
l’inoperatività della garanzia, affidando la sua difesa a diverse
eccezioni ed argomentazioni.
3. I due motivi, che vanno congiuntamente esaminati perché
connessi, sono fondati.
La clausola claim made prevede il possibile sfasamento fra
prestazione dell’assicuratore (obbligo di indennizzo in relazione
all’alea del verificarsi di determinati eventi) e controprestazione
dell’assicurato (pagamento del premio), nel senso che possono
risultare coperti da assicurazione comportamenti dell’assicurato
anteriori alla data della conclusione del contratto, qualora la
domanda di risarcimento del danno sia per la prima volta proposta
dopo tale data, come nel caso in esame; e possono risultare
viceversa sforniti di garanzia comportamenti tenuti dall’assicurato
nel corso della piena validità ed efficacia della polizza, qualora la
domanda di risarcimento dei danni sia proposta successivamente
alla cessazione degli effetti del contratto.
Va premesso che il problema dell’efficacia della clausola claim
made viene qui esaminato e deciso con esclusivo riferimento al
caso oggetto di esame, cioè al caso in cui la copertura assicurativa
sia estesa ai comportamenti anteriori alla stipulazione del contratto.
La Corte di appello ha ritenuto inefficace la clausola sulla base del
presupposto (non chiaramente espresso, ma intuibile dalla
motivazione) che l’alea è elemento essenziale del contratto di
assicurazione, la cui mancanza determina la nullità del contratto
medesimo (cfr. art. 1895, 1904 c.c., nonché le varie disposizioni che
prevedono la modifica degli effetti del contratto nei casi di
variazione dei rischi: artt. 1892, 1893, 1896, 1897, 1898 ed altri,
c.c., fra cui lo stesso art. 1917 c.c., là dove esclude la
responsabilità dell’assicuratore per fatti dolosi dell’assicurato, in
quanto il dolo altera in base a fattori del tutto irrazionali le possibilità
di previsione e preventiva valutazione del rischio assicurato).
La sentenza impugnata ha però ingiustificatamente equiparato il
caso in esame a quello di inesistenza del rischio, mentre in realtà
nel caso in esame un’alea esiste, pur se di natura e consistenza
diverse da quella avente ad oggetto i comportamenti colposi del
professionista.
Ha poi trascurato di considerare che l’estensione della copertura ai
comportamenti anteriori alla stipulazione della polizza è frutto di una
precisa scelta dell’assicuratore, che di sua iniziativa inserisce la
clausola fra le condizioni generali di contratto (presumibilmente a
fini promozionali), sulla base di una consapevole valutazione dei
rischi, che peraltro vengono sapientemente circoscritti tramite altre
disposizioni.
Quanto all’alea, essa concerne non la possibilità che l’assicurato
tenga comportamenti colposi, ma che li abbia commessi in passato,
pur non essendo ancora a conoscenza della loro illiceità o idoneità
a produrre danno. È incongrua quindi la motivazione della Corte di
appello, là dove ha ritenuto di dover escludere la sussistenza
dell’alea con riferimento ad eventi già verificatisi.
L’alea non concerne i comportamenti passati nella loro materialità,
ma la consapevolezza da parte dell’assicurato del loro carattere
colposo e della loro idoneità ad arrecare danno a terzi.
In secondo luogo, non è detto che qualunque comportamento
colposo induca il danneggiato a proporre domanda di risarcimento
dei danni.
Sotto entrambi i profili l’assicurazione copre eventi incerti e peculiari
tipi di rischi, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di
appello.
In secondo luogo, i contratti contenenti la clausola claim made
normalmente delimitano la garanzia a non più di due o tre anni
prima della sottoscrizione della polizza, nonché ai casi in cui
l’assicurato non sia a conoscenza dell’illecito pregresso, dei relativi
effetti dannosi e dell’intenzione del danneggiato di agire in
risarcimento, serbando intatta, in mancanza, la possibilità di
opporre all’assicurato la responsabilità e gli effetti delle dichiarazioni
inesatte o reticenti, ai sensi degli art. 1892 e 1893 c.c. (cfr., proprio
con riferimento ad una clausola claim made, Cass. civ. Sez. III, 22
marzo 2013 n. 7273). Sotto alcun aspetto pertanto appare
giustificato, nel caso in esame, il diniego di efficacia alla clausola
claim made, poiché la domanda risarcitoria è stata proposta contro
l’assicurato in corso di validità della polizza; non risulta che questi
fosse consapevole degli illeciti commessi, né dell’intenzione del
cliente di agire in responsabilità nei suoi confronti, alla data della
sottoscrizione della polizza. Va soggiunto che le clausole claim
made sono predisposte dallo stesso assicuratore, nelle condizioni
generali di contratto; che pertanto è da ritenere che, nella parte in
cui prevedono effetti vantaggiosi per l’assicurato, siano frutto di
scelte meditate e consapevoli, nonché di un’attenta valutazione dei
rischi e della remuneratività del corrispettivo convenuto come
premio, pur in relazione ai sinistri verificatisi in data anteriore.
Trattasi poi di clausole che, nei casi simili a quello in esame, sono
favorevoli per l’assicurato, sicché non viene in considerazione il
divieto di deroghe alla disciplina ordinaria di cui all’art. 1932 c.c..
Non è rilevante né significativa, invece, la giurisprudenza citata dal
ricorrente a supporto delle sue argomentazioni, perché relativa a
fattispecie del tutto diverse da quella in oggetto, in cui la clausola
claim made è stata invocata per escludere la copertura
assicurativa, pur essendosi il sinistro realizzato nel pieno vigore del
contratto di assicurazione, in quanto la domanda risarcitoria è stata
per la prima volta proposta dopo lo scioglimento del contratto
medesimo (cfr. Cass. civ. Sez. III, 15 marzo 2005 n. 5624).
In questo secondo caso la clausola potrebbe effettivamente porre
problemi di validità, venendo a mancare, in danno dell’assicurato, il
rapporto di corrispettività fra il pagamento del premio e il diritto
all’indennizzo, per il solo fatto che la domanda risarcitoria viene
proposta dopo lo scioglimento del contratto (come frequentemente
avviene - ben più che nel caso opposto e qui considerato - in tema
di responsabilità professionale).
Ma trattasi di questione che qui non si pone, sulla quale quindi non
vi è luogo a pronunciare.
4. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere
annullata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Roma, in
diversa
composizione,
affinché
decida
la
controversia
uniformandosi ai principi sopra indicati, con congrua e logica
motivazione.
5. La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente
giudizio.
P.Q.M.
La Corte di cassazione accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello
di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese
del giudizio di cassazione.