4 L`Europa sulla linea del fuoco

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4 L`Europa sulla linea del fuoco
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L’Europa sulla linea del fuoco
Operazione «Pandemonio»
Il Califfo vuole uno sbocco sul mare per lo Stato Islamico e ordina ai comandanti delle operazioni in Siria di
trovarlo a Tripoli, nel nord del Libano. A rivelare la scelta strategica del leader di Isis è Ahmed Mikati, uno dei
suoi «colonnelli» catturato nell’ottobre 2014 dall’esercito libanese. Mikati viene arrestato a Dinniyeh, l’intelligence di Beirut – libanesi e Hezbollah – lo considera uno degli uomini «più importanti di Isis» nel Paese
dei Cedri e il contenuto degli interrogatori affiora sulla
stampa locale.
Fra le informazioni che rivela c’è il legame fra l’offensiva di Isis nella provincia siriana di Homs e la richiesta del
Califfo di «penetrare nel nord del Libano» per «creare
un emirato nella città di Tripoli». L’offensiva di Qalamun,
lungo il confine orientale della Valle della Bekaa, punta
ad aprire il terreno a una penetrazione nelle aree settentrionali del Libano, a forte maggioranza sunnita, e dunque a Tripoli, divisa a metà fra sunniti e alawiti. Quando gli ufficiali della sicurezza chiedono al prigioniero
di spiegare il progetto dell’«emirato», la risposta è nella
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Jihad
«necessità di un porto sul Mediterraneo». Il primo e più
importante motivo, spiega Mikati, è «di natura economica» perché il Califfo vuole «trovare uno sbocco al Mediterraneo al fine di esportare il greggio estratto soprattutto
in Iraq ma anche in Siria». Isis pianifica un sistema di
trasporto del greggio con cisterne via terra lungo l’arteria
Mosul-Raqqa-Homs che termina a Tripoli, per consentire
al Califfato di non dipendere più dai trafficanti che operano in Turchia e altrove. Il secondo motivo dell’urgenza
del porto riguarda «il traffico di armi» per la possibilità
di far attraccare navi cargo capaci di portare a destinazione armi pesanti, come tank e blindati. È uno scenario
che lascia intendere quanto la struttura dirigenziale del
Califfato persegua un’economia su grande scala e anche
un conflitto di lunga durata. Ultimo, ma non per importanza, il terzo motivo illustrato dal «colonnello» è quello
di «usare il Mediterraneo per operazioni contro gli infedeli»: dai barchini kamikaze allo spostamento di terroristi fino alla pirateria.
Sono rivelazioni che fanno riconsiderare alla sicurezza
libanese quanto avvenuto nel 2012 con la barca Lutfallah II,
intercettata mentre portava armi ai ribelli siriani: è questo
tipo di operazioni che il Califfo considera necessarie per
aprire un fronte d’azione nel Mediterraneo. Il contenuto
degli interrogatori di Ahmed Mikati interessa anche l’antiterrorismo europeo in ragione delle implicazioni che può
avere sull’altro teatro di operazioni di Isis nel Mediterraneo: la Libia. I jihadisti si sono insediati nella città costiera di Derna prendendo il controllo del suo porto a Ras
al-Helal, che dista 306 chilometri dall’isola greca di Creta, ovvero appena otto chilometri in più della distanza da
Tripoli a Lampedusa. E quando lo perdono la contromossa è prendere Sirte confermando l’interesse per le aree
con strutture portuali, perché l’intento è trasformare il
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Mediterraneo in una trincea. A spiegarlo con lucidità
è Abu Arhim al-Libim, alto ufficiale di Isis a Sirte, che
descrive la Libia come un «immenso potenziale per il
Califfato» in ragione del fatto che «vi sono ingenti quantitativi di armi di Gheddafi a disposizione, dista meno di
cinquecento chilometri dal continente europeo e ha una
lunga costa da dove le nazioni meridionali dei crociati
possono essere raggiunte con facilità anche con imbarcazioni rudimentali». A tal riguardo al-Libim aggiunge che
«il grande numero di viaggi attraverso il Mediterraneo da
parte di immigrati illegali può essere sfruttato e sviluppato strategicamente al fine di scatenare il pandemonio
negli Stati europei, portando alla chiusura delle rotte
marittime e consentendo di attaccare navi e petroliere».1
Tale visione dell’assalto al Mediterraneo è contenuta in
un documento di Isis intitolato Libia, porta strategica per
lo Stato Islamico, nel quale si illustra come la «posizione strategica di questa regione» consente ai jihadisti di
«guardare al mare, al deserto, alle montagne e a sei Stati:
Egitto, Sudan, Ciad, Niger, Algeria e Tunisia». Si tratta di
una piattaforma territoriale da cui il Califfato può operare tanto per estendere il teatro di operazioni al Mediterraneo che per rafforzare la propria proiezione in Africa,
grazie ai legami con Boko Haram nel Sahel e alle cellule
salafite nel Sahara.2
A prendere sul serio quanto dice al-Libim sull’Operazione «Pandemonio» nel Mediterraneo è Elias Bou Saab,
ministro dell’Educazione a Beirut e fondatore dell’American University a Dubai, secondo il quale «almeno il 2 per
cento degli oltre 1,1 milioni di profughi siriani in Libano
è composto da jihadisti sanguinari che si propongono di
mischiarsi al flusso di chi vuole raggiungere l’Europa».
Ciò significa credere che almeno 20.000 persone che
hanno superato il confine terrestre dalla Siria al Libano
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Jihad
«fanno parte di un piano jihadista segreto per esportare il terrore in Libano, nel Mediterraneo e in Europa»
aggiunge il ministro, premurandosi di precisare che «c’è
anche il confine terrestre fra Turchia e Grecia».3 Ad avvalorare questi timori vi sono sermoni jihadisti come quello
che viene pronunciato l’11 settembre 2015 nella moschea
di al-Aqsa, a Gerusalemme, da un predicatore improvvisato che afferma: «L’Europa vuole i rifugiati musulmani
per sfruttarne il lavoro e noi andremo lì per conquistare
quelle nazioni, gli europei hanno perso la fertilità e noi
alleveremo i nostri figli fra loro, raccoglieremo i frutti dei
profughi nel futuro Califfato».4
Ma il flusso di migranti verso l’Europa è anche fonte di preoccupazione per i jihadisti. L’Operazione «Pandemonio» è il tassello di un evento assai più imponente
– per quantità di persone coinvolte e conseguenze politicosociali – che allarma lo Stato Islamico perché infonde il
timore di una fuga generalizzata dalle terre dell’Islam verso quelle degli infedeli capace di delegittimare le fondamenta stesse del Califfato. «Non andate nelle terre degli
infedeli» e «cadrete nelle trappole dei crociati» sono gli
slogan di una campagna di video postati online per tentare
di frenare la fuga di masse di musulmani dalle «terre del
nostro Califfato» verso l’Europa. Immagini e messaggi si
articolano in proclami letti da miliziani jihadisti – in abiti
tribali che evocano Siria, Iraq, Arabia Saudita e Yemen –
sull’invito a «restare nella Casa dell’Islam», sovrapposti a
frasi del Califfo al-Baghdadi sugli «inganni degli infedeli»,
il tutto arricchito da fotografie di profughi disperati sui
gommoni nel Mediterraneo e interviste ad abitanti di
Raqqa sulla «vita tranquilla e sicura» nella capitale dello
Stato Islamico. In un caso Isis sfrutta immagini scattate
dalla marina militare italiana in cui si vedono barconi di
migranti avvicinati da una nostra nave. Nel video diffuso
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dalla ÇProvincia di al-KhairÈ, una regione saudita, si vede
un jihadista spiegare che Ç• un dovere di tutti i musulmani
vivere nella Casa dell’Islam e abbandonare la terra degli
infedeliÈ contrapponendo i Çcampi dell’abbandonoÈ dove
i rifugiati Çvengono rinchiusiÈ alla Çvita con dignitˆÈ possibile nelle strade di Raqqa. Un altro miliziano jihadista
spiega che Çle Ong che aiutano i migranti a raggiungere
l’Europa sono parte di una campagna di inganni per la
cristianizzazione dei musulmaniÈ, sottolineando che Çchi
muore affogando mentre va dai crociati non diventa un
martire come coloro che cadono combattendo per lo Stato
IslamicoÈ. Nel video postato dalla ÇProvincia di HadramautÈ, nello Yemen del Sud, il jihadista di Isis approfondisce la motivazione religiosa della condanna dei migranti:
ÇSi rendono colpevoli di haramÈ, un’azione proibita, perchŽ Çil dovere dei musulmani • compiere l’hijra muovendosi dalla Casa della Guerra alla Casa dell’IslamÈ, come
fanno i volontari stranieri che scelgono di andare a combattere per il Califfo. ÇFinirete in Paesi dove • impossibile
coprirsi con il velo, nelle mani di trafficanti di uomini, non
avrete nŽ dignitˆ nŽ sicurezzaÈ aggiunge il video, concludendo che Ç• meglio restare nello Stato IslamicoÈ.
Avamposto sul Mediterraneo
I drappi neri sulla cittˆ libica di Sirte, il Çponte verso
l’EuropaÈ, come recitano i comunicati dei portavoce del
Califfo, a metˆ strada fra Tripoli e Bengasi, proiettano
verso il Mediterraneo tre pericoli: atti di pirateria, traffici
di armi e petrolio, masse di profughi. Il patto fra le cellule
dello Stato Islamico e Ansar al-Sharia, il gruppo che uccise a Bengasi l’ambasciatore Christopher Stevens l’11 settembre 2012, si sviluppa sul controllo della fascia costiera
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