Appunti di relativit`a speciale
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Appunti di relativit`a speciale
Appunti di relatività speciale di Fabio Maria Antoniali – versione del 21 maggio 2014 – 1 1.1 Cenni di Cinematica Relativistica Principio di Relatività Galileiana Nel Discorso sui Massimi Sistemi (1632), Galileo illustra un celebre principio che viene ricordato ora come Principio di Relatività Galileiana (PRG) e può affermarsi nel seguente modo: i moti relativi dei corpi inclusi in un dato spazio sono identici sia che questo spazio sia in quiete, sia che il medesimo si muova in linea retta senza moto circolare. o, in altre parole, dall’osservazione dei moti dei corpi condotta in un dato riferimento non è possibile distinguere se tale riferimento sia in quiete o in moto rettilineo uniforme. o ancora qualunque esperimento di meccanica vanga ideato, i suoi risultati non permettono di distinguere se il sistema in cui gli esperimenti sono stati condotti è in quiete o in moto rettilineo uniforme. Il PRG viene derivato in seguito da Isaac Newton, nei Philosophiae Nauralis Principia Matematica (1687), come corollario delle sue leggi della meccanica. Newton dimostra che se consideriamo due riferimenti in moto traslatorio uniforme l’uno rispetto all’altro, riferimenti che avendo questa proprietà sono detti galileani, le leggi della meccanica per il primo hanno identica forma anche nel secondo. Un altro modo per dire questa cosa è che le leggi della meccanica sono invarianti rispetto alla trasformazione delle grandezze cinematiche dall’uno all’altro riferimento. Si dimostrerà ora questa proprietà. Si indichi con R : Oxyzt e R0 : O0 x0 y 0 z 0 t0 i due riferimenti spazio-temporali galileani, e si supponga che il primo sia in quiete e il secondo in moto traslatorio uniforme con velocità u nel verso dell’asse x. Per semplicità si suppone che all’istante t = 0 i due riferimenti coincidano, ovvero l’origine O0 sia sovrapposto ad O e sia t0 = 0. Dato che il centro O0 del riferimento mobile all’istante t si sarà spostato di 2 una quantità ut lungo l’asse x, le equazioni che legano le grandezze cinematiche dei due sistemi, dette Trasformazioni di Galilei, sono 0 x = x − ut, y 0 = y, z 0 = z, 0 t = t. Si consideri ora un corpo che si muove lungo l’asse delle ascisse e si indichino con u e u0 le sue velocità misurate nei due diversi riferimenti. Derivando rispetto al tempo le trasformazioni della posizione si ottiene la ben nota legge dei moti relativi v0 = d dx dx0 = (x − ut) = − u = v − u. 0 dt dt dt Derivando ancora, si ottiene la relazione tra le accelerazioni a e a0 , misurate nei due riferimenti, che si scoprono coincidenti a0 = dv 0 d dv = (v − u) = = a. 0 dt dt dt Ne consegue che anche la forza risultante a cui è soggetto il corpo è la medesima nell’uno o nell’altro riferimento, cosı̀ pure identica risulta l’espressione della seconda legge di Newton del corpo. Per superare il problema dell’individuazione empirica di un riferimento inerziale, Newton postulò nei Principia l’esistenza di uno spazio e di un tempo assoluti per i quali valgono le leggi della meccanica. Precisamente, egli affermava che: 1. Il tempo assoluto, vero e matematico di per sé, per la sua stessa natura, fluisce uniformemente senza relazione con nulla di esterno, ed è anche chiamato durata; il tempo relativo, apparente e comune è una misura sensibile ed esterna della durata, fatta per mezzo di un moto, che è comunemente usata al posto del tempo vero. 2. Lo spazio assoluto, nella sua stessa natura, senza relazione con nulla di esterno, rimane sempre uguale ed immobile. Tuttavia, proprio in ragione dell’equivalenza tra riferimenti inerziali di cui si è parlato sopra, Newton doveva anche ammettere che tale spazio assoluto fosse indistinguibile da ogni altro riferimento in moto traslatorio rispetto ad esso. 3 1.2 Elettrodinamica di Maxwell ed Esperimento di MichelsonMorley Verso la fine dell’800, in seguito allo sviluppo dell’elettrodinamica di J.C. Maxwell e agli studi di H.A. Lorentz, l’ipotesi dell’esistenza di uno spazio assoluto trovò nuovi sostenitori. L’elettrodinamica di Maxwell si rivelò una teoria formidabile perché fu capace di dare una descrizione perfettamente coerente e unitaria dei fenomeni elettrici, magnetici e luminosi, sino ad allora pensati come entità differenti. In particolare, Lorentz mostrò che dalle leggi di Maxwell di può dedurre che la luce, in accordo col modello ondulatorio, si propaga nel vuoto con velocità c indipendentemente dalla velocità della sorgente che l’ha generata. E’ un fenomeno simile a quello che accade per le onde sonore che si propagano nell’aria. In analogia alle onde sonore, si ipotizzava allora che la luce si propagasse con velocità costante entro un mezzo sottilissimo che veniva chiamato etere luminifero. I risultati di molti fenomeni dell’ottica, come l’aberrazione e l’effetto Doppler, furono spiegati da Lorentz in base all’ipotesi che l’etere luminifero non partecipi al moto dei corpi ponderabili e sia in uno stato di quiete assoluta, prestandosi cosı̀ ad essere il candidato ideale di spazio assoluto anche per la meccanica. Nel 1887, sulla base delle congetture di Lorentz, Michelson e Morley, utilizzando complessi apparati di ottica interferometrica, condussero dei celebri esperimenti allo scopo di determinare la velocità assoluta della terra rispetto all’etere. L’idea dell’esperimento può essere cosı̀ semplificata: se u è la velocità periferica rispetto all’etere di un rivelatore posto sull’equatore nel punto A e −u quella del rivelatore posto nel punto B diametralmente opposto ad A, in accordo con la legge del moto relativo, la velocità della luce misurata in A dovrebbe essere vA = c − u, mentre quella misurata in B dovrebbe risultare vB = c + u. Dalla differenza di queste due velocità si dovrebbe ottenere la velocità della terra rispetto all’etere in accordo alla relazione u = (vB − vA )/2. Sorprendentemente i risultati di questi esperimenti furono nulli, ovvero le velocità vA e vB coincisero con una tal precisione da non poter essere distinte. Un risultato la cui spiegazione non potè essere ricondotta alla scarsa sensibilità degli strumenti o a errate procedure sperimentali. Negli anni successivi, per far quadrare i risultati degli esperimenti di Michelson e Morley con la teoria dell’etere in quiete, Lorentz suggerı̀ l’ipotesi che lo strumento d’interferometria utilizzato p subisse una contrazione della propria lunghezza nella direzione del moto di un fattore 1 − u2 /c2 , a causa della suo moto rispetto all’etere. Questa suggestiva ipotesi venne considerata allora, anche dallo stesso Lorentz, solo un artificio matematico poiché, pur ristabilendo l’accordo tra teoria ed esperimento, era priva di una qualche ragionevole interpretazione fisica. Si osservi chese l’esperimento di Michelson e Morley avesse avuto successo, mediante esperimenti di ottica ed elettrodinamica si saprebbe distinguere due riferimenti inerziali, in base al loro moto rispetto l’etere. Ciò è chiaramente in contrasto con il PRG, qualora questo venga esteso alla generalità dei fenomeni fisici. 4 1.3 La Relatività Speciale di A. Einstein Nel 1905 in Annalen der Physick viene pubblicato un celebre articolo dal titolo Zur Elektrodynamik bewegter Körper (Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento), scritto da un giovane fisico allora poco noto, Albert Einstein. Questi, per risolvere alcune delle difficoltà in cui incorreva l’elettrodinamica di Maxwell quando veniva applicata ai corpi in movimento, propose una nuova teoria della cinematica ottenuta sulla base dei seguenti due postulati: Principio di Relatività Einsteiniana (PR) Le leggi ripetto alle quali evolve lo stato di un sistema fisico sono le stesse in qualunque riferimento inerziale. Principio di Invarianza della Velocità della Luce (PI ) La luce si propaga nel vuoto ad una velocità definita c, che è la stessa se misurata in un qualunque riferimento inerziale ed è indipendente dallo stato di moto o quiete del corpo che l’ha emessa. L’aspetto rivoluzionario della teoria di Einstein deriva proprio dall’eliminazione del concetto di etere, assumendo come principio il risultato dell’esperimento di Michelson-Morley, cioè la invarianza della velocità di propagazione della luce. Attraverso questi postulati Einstein riesce a formulare una teoria dell’elettrodinamica in modo da risolvere le contraddizioni in cui era incorsa la teoria di Maxwell applicata ai corpi in movimento. Ma, come si preciserà meglio in seguito, accettare i postulati della TRS comporta anche lo scardinamento del concetto di tempo assoluto e, conseguentemente, la caduta delle leggi della meccanica che, dopo esser state per oltre duecento anni un caposaldo nella descrizione del moto, continuano a valre sono nell’approssimazione di piccole velocità. Nei prossimi paragrafi verranno presentati innanzitutto alcuni aspetti della cinematica della TRS, per concludere infine con alcuni cenni di dinamica relativistica. 5 1.4 Misura di Posizione e Tempo Si consideri un sistema di riferimento inerziale, cioè in cui valgono le leggi della meccanica di Newton. Nel seguito, per comodità, ci si riferirà a questo sistema come al sistema in quiete. Se un corpo è in quiete in un riferimento, la misura della sua posizione può essere fatta giustapponendo dei regoli rigidi in modo da determinare le coordinate cartesiane (x, y, z) del punto occupato dal corpo nel riferimento. Per descrivere il moto di un punto materiale non in quiete si è soliti dare le coordinate della posizione del corpo in relazione al tempo, cioè fornire la cosı̀ detta legge oraria del moto. Ma da un punto di vista operativo cosa significa affermare, ad esempio, che all’istante t il corpo si trova nella posizione P ? A ben guardare, una tale affermazione richiede che venga determinata, simultaneamente al passaggio del corpo per il punto considerato, la posizione delle lancette dell’orologio con cui si misura lo scorrere del tempo. Se l’orologio si trova spazialmente vicino alla posizione P , la determinazione dell’istante tempo dell’evento è inequivocabile, perché non vi sono ambiguità nel giudizio sulla simultaneità di una data posizione delle lancette dell’orologio con l’accadere dell’evento. Invece, se l’orologio si trova distante dall’evento le cose si fanno più complicate. Per comprendere meglio il problema si immagini un osservatore in mezzo ad un temporale intento a misurare l’istante in cui i fulmini cadono a terra. Ad un certo istante, l’osservatore vede due fulmini che gli appaiono cadere a terra e colpire nello stesso istante due punti A e B. Se l’osservatore è situato a metà strada tra A e B giudicherà senz’altro simultanei i due fulmini, ma l’esperienza sui fenomeni di propagazione della luce insegna che questo giudizio potrebbe non essere condiviso da un osservatore che si trovasse più vicino ad A o da un altro posizionato più vicino a B: il primo vedrebbe cadere prima il fulmine in A e poi quello in B, un giudizio opposto darebbe invece il secondo osservatore. Per poter definire senza ambiguità una misura del tempo di un dato evento, senza vincolarsi con specifiche assunzioni sulle leggi di propagazione della luce, è occorre supporre che l’orologio sia posizionato spazialmente vicino all’evento. Seguendo questo approccio, per determinare la legge oraria di un corpo è quindi necessario, in linea teorica, disporre di un infinità di orologi dislocati nelle differenti posizioni assunte dal corpo nel suo moto. Dato che bisogna adoperare orologi che possono essere anche molto distanti l’uno dall’altro, si deve accertare che questi orologi misurino tutti uno stesso tempo, nel senso che essi siano perfettamente sincronizzati tra loro. Ma cosa s’intende precisamente per sincronia? Si potrebbe assumere, ad esempio, che due orologi perfettamente identici che inizialmente vengano sincronizzati in un medesimo luogo e poi siano trasportati in due posizioni qualunque rimangano sincroni anche a distanza. Ma se uno dei due orologi incominciasse a funzionare male, come ci si accorgerebbe della perdita di sincronia? E’ evidente che si pone la necessità di dare una definizione operativa di cosa s’intenda per sincronia “a distanza”, e questo indipendentemente dalla particolare natura degli orologi e dalle modalità con cui sono stati dislocati. Questa è la 6 definizione che propose Einstein per risolvere la questione: Definizione 1 (Definizione di sincronia) Dati due orologi in quiete in due punti A e B del sistema di riferimento, supponiamo che da A venga lanciato un impulso luminoso che viaggiando in linea retta raggiunga B e quindi venga riflesso fino ad A. Indichiamo con tA e t0A gli istanti di tempo misurati dall’orologio in A quando l’impulso luminoso è partito da A e rispettivamente quando è ritornato ad A, e con tB l’istante misurato dall’orologio in B quando riceve/riflette l’impulso. Diremo che i due orologi sono sincronizzati se t0A − tB = tB − tA ovvero tA + t0A = tB , 2 cioè se gli intervalli di tempo nel cammino di andata dell’impulso luminoso e in quello di ritorno ottenuti dalla differenza delle misure di tempo dei due orologi coincidono. Si assume inoltre che tale relazione di sincronia debba essere simmetrica e transitiva. Nelle determinazioni di tempo in un riferimento a riposo si supporrà di avere fissato nell’origine O del riferimento un determinato orologio campione e ogni qualvolta ci occorre misurare il tempo di un evento che accade in un altra posizione del riferimento, ci sia in prossimità di tale posizione un orologio in quiete, sincrono con quello campione, che effettua la misura. In questo modo è definito il cosı̀ detto tempo del sistema in quiete 1 . 1.5 Dilatazione dei Tempi Per mettere in luce il fenomento della dilatazione dei tempi a cui si era accennato precedentemente, si considera un particolare orologio, detto orologio luce. h clic Figura 1: orologio luce Questo orologio consiste di una sorgente L che manda un segnale luminoso verso l’alto, dove a distanza h c’è uno specchio S, che riflette la luce verso il basso, come mostrato in fig. 1. Proprio accanto a L c’è un rivelatore R che ricevendo il segnale riflesso emette un clic che va ad incrementare un contatore e trasmette istantaneamente ad L il comando di emettere un nuovo segnale luminoso. 1 Si osservi, inoltre, che tale definizione di simultaneità ha una sua coerenza interna che è indipendente dalle leggi della propagazione della luce. 7 Naturalmente l’intervallo di tempo tra due clic successivi, che chiameremo periodo proprio dell’orologio luce, sarà il tempo ∆τ impiegato dalla luce ad andare e tornare lungo il tratto rettilineo, cioè ∆τ = 2h/c. Si osservi che tale durata dipende esclusivamente dalla distanza h tra specchio e ricevitoreemettitore, oltre che dalla velocità della luce c. Si costruiscano due orologi luce perfettamente identici e li si sincronizzi. Dato che la velocità di propagazione della luce è costante e gli orologi hanno la stessa lunghezza h questi rimarranno sempre sincroni. Uno di questi viene posizionato nell’origine del sistema in quiete, l’altro nell’origine di un sistema che trasla uniformemente rispetto al primo, ed entrambi disposti perpendicolarmente alla direzione di traslazione. Per fissare le idee si immagini che il riferimento in quiete sia una banchina di una stazione e quello mobile sia un treno che che si muove parallelamente alla banchina con velocità v. In accordo al PR, l’orologio a bordo del treno non manifesterà alcun comportamento anomalo che possa indicare ai passeggeri che il treno è in movimento e non in quiete. Per l’osservatore sul treno tra un clic e il successivo dell’orologio trascorrerà il tempo proprio ∆τ = 2h/c. Per l’osservatore sulla banchina, invece, come mostrato in fig. 2, la luce dell’orologio a bordo del treno compie un percorso a zig-zag la cui lunghezza risulta senz’altro maggiore di 2h. Dato che i due osservatori si trovano in accordo sulla velocità clic clic ∆x Figura 2: orologio luce sul treno visto dalla banchina della luce, ma evidentemente non sulla lunghezza del percorso della luce, che appare maggiore per l’osservatore sulla banchina rispetto a quello sul treno, sorprendentemente risulta che l’intervallo ∆t tra un clic e il successivo misurato dall’osservatore sulla banchina deve essere maggiore dell’intervallo ∆τ misurato dall’osservatore sul treno. Per determinare la relazione tra ∆τ e ∆t, si osservi innanzitutto che il percorso a zig-zag ha lunghezza √ ∆` = 4h2 + ∆x2 , e, in virtù dell’invarianza della velocità della luce, nel riferimento della banchina deve aversi ∆` = c∆t. 8 Elevando al quadrato la precedente equazione si ottiene 4h2 + ∆x2 = c2 ∆t2 , (1) ove ∆x = v∆t è lo spazio percorso dall’orologio nel riferimento della banchina nell’intervallo ∆t. Dalla definzione di tempo prorio ∆τ , si ottiene 2h = c∆τ , quini, sostituendolo h, nella eq. 1, si giunge alla importante relazione c2 ∆τ 2 = c2 ∆t2 − ∆x2 . (2) Il primo membro dell’equazione precedente è un invariante, pertanto si può capire che la durata intercorsa tra due clic successivi dipende dal particolare riferimento in cui viene misurata. Sostituendo ∆x = v∆t in eq. 2, dividendo per c2 ed estraendo la radice dei due membri si ottiene infine la relazione tra i due intervalli di tempo ∆τ = ∆τ γ. ∆t = p 1 − v 2 /c2 (3) ove il fattore di proporzionalità γ soddisfa 1 γ=p > 1, 1 − v 2 /c2 pertanto l’osservatore solidale alla banchina, misurando il periodo dell’orologio sul treno, ottiene una quantità ∆t che è maggiore del periodo ∆τ misurato dall’osservatore sul treno. In questo senso, tale relazione, chiamata anche legge di dilatazione dei tempi, stabilisce che lo scorrere del tempo nei due riferimenti è differente: un osservatore in quiete vede scorrere più lentamente un orologio luce in movimento rispetto al proprio orologio luce. Si potrebbe obiettare che il fenomeno osservato valga solo per gli speciali orologi luce che si sono adoperati nell’esperimento. Si supponga, ad esempio, che sul treno vi sia un altro orologio, meccanico, al quarzo o realizzato con una qualunque tecnologia ci possa venire in mente, che si sottragga al fenomeno della dilatazione dei tempi. Se cosı̀ fosse, un osservatore sul treno potrebbe notare la discrepanza tra quest’orologio e quello luce, e, fidandosi del funzionamento di entrambi gli orologi, ne dedurrebbe necessariamente che il treno è in movimento, in contraddizione con il PR. Pertanto tale dilatazione temporale non dipende quindi dalla natura dell’orologio, e suggerisce che sia il tempo stesso a rallentare all’interno del treno. Tutti i fenomeni che avvengono nel treno, siano essi meccanici, elettromagnetici, biologici, eccetera, devono rallentare in proporzione al fattore γ. Si sottolinea che questo rallentamento esiste solo dal punto di vista dell’osservatore sulla banchina, ma, sempre per il PR, non è percepito in alcun modo dai passeggeri nel treno. Nell’ambito di velocità non relativistiche, il fattore di dilatazione risulta praticamente trascurabile, cosı̀ che s’è dovuto attendere oltre mezzo secolo per disporre di orologi sufficientemente sensibili e precisi con cui tentare esperimenti capaci di misurare la dilatazione 9 dei tempi. Una prima conferma della legge di dilatazione dei tempi venne da un celebre esperimento del 1972 ideato da Hafele e Keating, in cui sono stati confrontati i tempi di quattro orologi atomici montati a bordo di aerei commerciali che hanno circumnavigato la terra due volte (una volta volando verso est, una seconda verso ovest), con il tempo di orologi di riferimento fermi a terra. Per un tempo di rivoluzione di circa tre giorni (rotta equatoriale) gli orologi che hanno viaggiato verso est sono risultati in ritardo di circa 60 nanosecondi, mentre quelli che si sono diretto verso ovest hanno evidenziato un anticipo di circa 270 nanosecondi. L’interpretazione di questi risultati non è elementare ed ha suscitato controversie negli ambienti accademici, ma in definitiva è in ottimo accordo con la teoria della relatività di Einstein ed è stata avvalorata più recentemente dalla tecnologia GPS (Global Positioning System). Quest’ultima permette una localizzazione estremamente precisa (fino alla risoluzione del metro) dal confronto dei segnali provenienti da 24 satelliti in orbita. Il punto cruciale è che affinché il sistema possa garantire, come di fatto avviene, la localizzazione di un ricevitore con la precisione del metro è necessaria una perfetta sincronizzazione degli orologi al Cesio montati sui satelliti, cosa che ha richiesto di tener conto della legge dilatazione dei tempi. In tempi più recenti si è trovata un’altra prova a sostegno della teoria dallo studio del decadimento dei mesoni µ, o muoni, particelle che sono state scoperte nei raggi cosmici. Gli esperimenti con muoni in quiete preparati in laboratorio hanno evidenziato la loro brevissima vita media, che è stata stimata attorno ai 2, 2 · 10−6 s. Anche ammettendo che i muoni dei raggi cosmici si propaghino alla velocità della luce, nell’arco della loro vita media i muoni non potrebbero percorrere distanze superiori ai 600 m; eppure, benché vengano prodotti nell’alta atmosfera ad una quota di circa 10000 metri, essi riescono a raggiungere e ad essere rilevati nei laboratori sulla terra. Questo fatto sorprendente, può essere spiegato con una dilatazione del tempo di vita del muone dovuta alla sua velocità relativistica. Anche se quest’interpretazione dei risultati non è accettata universalmente da tutti gli scienziati, bisogna ammettere che la teoria di Einstein, a differenza di altre teorie concorrenti, attualmente sembra quella in grado di dare una spiegazione coerente e unitaria alla maggior numero di fenomeni che avvengono a velocità relativistiche. 1.6 Contrazione delle Lunghezze Al fenomeno della dilatazione dei tempi si lega per simmetria il fenomeno di contrazione delle lunghezze che ora verrà descritto. Si prenda una sbarreta di lunghezza `0 e la si collochi vicino ai binari del treno. Si prendano inoltre tre orologi perfettamente sincronizzati e li si dispongano uno sul treno, i rimanenti su ciascuna delle estremità A e B della sbarretta. Quando il treno transiterà sopra la sbarretta i tre orologi faranno le seguenti misure di tempo: l’orologio sul treno misurerà gli istanti τA e τB in cui si trova a transitare, rispettivamente, sopra gli estremi A e B della sbarretta. Gli orologi posizionati in A e B nel riferimento in quiete misureranno invece gli istanti tA e, rispettivamente, tB in cui il punto M del treno transiterà sopra di essi. Diciamo ora ∆t = tB − tA l’intervallo di 10 tempo misurato nel sistema della banchina e ∆τ = τB − τA quello misurato dall’orologio sul treno. Detta v velocità del treno, per l’osservatore sulla banchina varrà ovviamente la relazione cinematica `0 v= , ∆t infatti per lui il treno percorre uno spazio `0 nell’intervallo ∆t. Per il Principio di Relatività, entrambi gli osservatori devono essere in accordo sulla velocità con cui si muovono l’uno rispetto all’altro, pertanto l’osservatore sul treno vedrà la sbarra venirgli incontro con velocità v e ne misurerà la lunghezza ` in accordo a ` = v∆τ. Si osservi l’asimmetria delle due situazioni: per l’osservatore sulla banchina la lunghezza della sbarra viene calcolata da una misura della stessa effettuata per esempio giustapponendole un regolo campione, il che equivale a registrare le coordinate degli estremi della sbarra e calcolarne la distanza. Per l’osservatore nel treno tale operazione non è più possibile, a causa dell’impossibilità di rendere simultanee le letture delle coordinate di un oggetto mobile. Tenuto conto della legge di dilatazione dei tempi, si avrà quindi ` = `0 `0 ∆τ = , ∆t γ ovvero `= p `0 = `0 1 − v 2 /c2 . γ (4) Quindi, per salvaguardare il principio di relatività, si deve ammettere che la sbarra appaia più corta per l’osservatore in moto relativo rispetto ad essa. Questo fenomeno è noto come contrazione delle lunghezze, e stabilisce la stessa relazione che Lorentz aveva ipotizzato per mettere d’accordo i risultati dell’esperimento Michelson-Morley con la teoria dell’etere luminifero in quiete. 1.7 Trasformate di Lorentz Sulla base dei postulati della relatività speciale è possibile dedurre2 le leggi cinematiche che legano le grandezze spazio-temporali di due sistemi di riferimento inerziali in moto 2 La dimostrazione può essere trovata in [2], [4] e [5]. 11 relativo traslazionale l’uno rispetto l’altro. Tali leggi sono note come trasformazioni di Lorentz e hanno la seguente forma: x − ut 0 p x = , y 0 = y, z 0 = z, 2 2 1 − u /c (5) 2 t − ux/c 0 . t = p 1 − u2 /c2 Vediamo ora quali solo le conseguenze della RS su due leggi già incontrate in ambito classico: la composizione delle velocità nei moti relativi e l’effetto Doppler per le onde elettromagnetiche. Differenziando le eq. 5 e mettendole a rapporto, si ottiene la legge di composizione delle velocità nei moti relativi. Lungo l’asse x la velocità soddisfa vx0 = vx − u , 1 − uvx /c2 (6) Per quanto riguarda le componenti trasversali della velocità, tenuto conto che dy 0 = dy, dz 0 = dz e dt0 = dt/γ, si ottengono vy0 = vy γ, vz0 = vz γ. (7) Naturalmente se uvx c2 , cioè nei limiti di velocità non-relativistiche, si ottiene la legge classica di composizione delle velocità: v 0 ≈ v − u. Nello studio dell’effetto Doppler per le onde elettromagnetiche a velocità relativistiche si deve tener conto della dilatazione dei tempi. Se u è la velocità relativa di un ricevitore rispetto ad una sorgente, la frequenza ricevuta fr e la frequenza emessa dalla sorgente fs sono legate dall’equazione3 s 1 + u/c fr = fs (1 + u/c)γ = fs . 1 − u/c Anche in questo caso, se u c vale come approssimazione la legge classica: fr ≈ fs (1 + u/c). 3 Per la dimostrazione si veda in [2], [4] e [5]. 12 2 Cenni di Dinamica Relativistica 2.1 Impulso Relativistico Nell’ambito della meccanica newtoniana, la quantità di moto di una particella p~cl è data dal vettore d~r (8) p~cl = m = m~v , dt ove m è la massa della particella, ~v la sua velocità rispetto ad un riferimento inerziale Oxyzt. La seconda legge di Newton, espressa attraverso la variazione della quantità di moto della particella, risulta d~pcl . (9) F~ = dt Un risultato di fondamentale importanza nella meccanica classica è il Principio di Conservazione della Quantità di Moto (PCQM ). Esso prevede in particolare che nella collisione di due particelle la quantità di moto totale deve conservarsi nell’urto4 . Non è difficile costatare che, nella relatività ristretta, la grandezza fisica definita nella meccanica classica dalla eq. 8 non soddisfa il PCQM. Tuttavia si può dimostrare che imponendo le seguenti due condizioni: 1) la quantità di moto totale deve conservarsi negli urti 2) la quantità soddisfa il Principio di Corrispondenza, ovvero nel limite di piccole velocità la quantità di moto deve ridursi alla forma newtoniana la grandezza fisica quantità di moto (relativistica) viene definita univocamente e può essere espressa da d~r (10) p~ = m , dτ ove ~r è il raggio vettore che identifica la particella m nel riferimento inerziale e τ è il tempo proprio misurato da un orologio che si muove solidalmente alla particella. Introducendo al solito il termine dt 1 γ= =p , dτ 1 − v 2 /c2 la quantità di moto relativistica può anche essere scritta come p~ = γm~v , (11) ove ~v è la velocità della particella. Si osservi che per v c si ha γ ≈ 1, pertanto, nel limite di piccole velocità, la quantità di moto relativistica si riduce di fatto a quella classica. Le 4 Questo principio vale anche per qualunque interazione, anche senza effettivo contatto tra le particelle. 13 prove sperimentali risultano in ottimo accordo con quanto esposto e permettono inoltre di estendere anche all’ambito relativistico la seconda legge di Newton, ovvero si ha che d~p F~ = . dt (12) Si sottolinea qui che per massa m s’intende ancora la massa inerziale newtoniana, misurata quindi in un riferimento inerziale nel limite di piccole velocità. 2.2 Energia di una particella Nel definire l’energia cinetica K associata ad una particella, si desidera invece che essa soddisfi il Teorema delle Forze Vive (TFV ), ovvero il lavoro W compiuto da una forza su una particella deve equivalere alla variazione dell’energia cinetica di quest’ultima, ovvero: ∆K = W. Analogamente a quanto osservato per la quantità di moto, anche in questo caso, nell’ambito della RR, l’energia cinetica classica definita per una particella di massa m da p2 1 , Kcl = mv 2 = 2 2m non soddisfa le proprietà della meccanica classica estese in ambito relativistico, e tra queste, in particolare, non vale il TFV. Imponendo invece che l’energia cinetica soddisfi in ambito relativistico il TFV, sia nulla per una particella in quiete e soddisfi il principio di corrispondenza, si dimostra che tale grandezza risulta definita univocamente da K = mc2 (γ − 1). (13) Si osservi che per velocità v non relativistiche si può scrivere γ ≈ 1 + 12 v 2 /c2 , pertanto l’espressione introdotta in eq. 13 soddisfa di fatto il Principio di Corrispondenza. Tenuto conto dell’espressione dell’energia cinetica K, la quantità E definita ponendo E = mc2 γ, (14) E = K + mc2 , (15) si può anche scrivere cosı̀ che essa risulta la somma dell’energia cinetica K della particella più una quantità, mc2 che risulta proporzionale alla massa ed è, in particolare, una quantità invariante. Si vedrà in seguito che la grandezza fisica E può essere interpretata come energia totale della particella, cosı̀ che, anticipando tale risultato, di qui innanzi ci si riferirà ad essa come energia della particella. S’indaga di seguito il legame tra energia E della particella e la quantità di moto p. Si osservi che è sempre possibile fissare in un dato istante il riferimento inerziale di modo 14 che la velocità della particella sia diretta lungo l’asse x; in tal caso dall’equazione eq. 10 si ottiene cp = cpx = mcvγ. Elevando al quadrato eq. 14 e sottraendo la precedente elevata al quadrato si ottiene E 2 − c2 p2 = m2 c2 c2 − v 2 , 1 − v 2 /c2 da cui si giunge all’importante relazione E 2 − c2 p2 = m2 c4 . (16) Si osservi che il secondo membro di eq. 16 è un invariante, mentre non lo sono l’energia e la quantità di moto: in riferimenti diversi la particella può avere energie e quantità di moto differenti. In particolare, l’energia della particella è minima solo nel riferimento in cui essa è in quiete, e in tal caso vale E = mc2 . Mettendo a rapporto le eq. 11-14 si ottiene agevolmente la relazione v p = 2, E c (17) da cui si deduce che se una particella viaggia alla velocità della luce allora e solo allora l’energia ad essa associata è E = pc. Ma in base alla relazione eq. 16 si deduce che ciò può avvenire se e solo se m = 0. Quindi non deve sorprendere che una particella di massa nulla, come il fotone, non possieda un riferimento rispetto al quale è in quiete ed essa viaggi alla velocità della luce c rispetto qualunque riferimento. 2.3 Inerzia ed Energia Consideriamo ora nel riferimento R due corpi di identica massa m che viaggiano uno contro l’altro in direzione orizzontale con velocità v e immaginiamo che urtino anelasticamente formando un nuovo corpo di massa M . Il principio di conservazione della quantità di moto ci dice che p~i = p~f = 0, pertanto il corpo alla fine sarà in quiete. La situazione è quindi quella rappresentata nella seguente figura: R y m1 ~v R −~v m2 y M x x 15 Consideriamo ora un riferimento R0 che trasla verticalmente con velocità u, cioè che vede il riferimento R traslare verso il basso. Rispetto a R0 i due corpi si muoveranno in diagonale con velocità di componenti ω1 = (v 0 , −u) e ω2 = (v 0 , −u), dopo l’urto, il corpo M si muoverà in verticale con velocità (0, −u), come rappresentato nella seguente figura: y0 R0 R0 m1 m2 ω ~1 ω ~2 y0 x0 x0 x M x −~u Si osservi che la velocità trasversale v 0 misurata in R0 non coincide più con v; infatti se da un lato non vi è dilatazione nella direzione trasversale al moto di R0 , occorre comunque tener conto della contrazione dei tempi tra i due riferimenti, pertanto risulta v0 = p dx dx dt dx0 = = = v/γ = v 1 − u2 /c2 . dt0 dt0 dt dt0 Pertanto, le velocità dei due corpi prima della collisione hanno uguale modulo ω = ω1 = ω2 soddisfacente: ω 2 = u2 + v 02 = u2 + v 2 (1 − u2 /c2 ) (18) Imponendo la conservazione delle componenti della quantità di moto lungo l’asse verticale, si avrà 1 1 = −M u p , p01, y + p02, y = p0y ←→ −2mu p 1 − ω 2 /c2 1 − u2 /c2 da cui si deriva la relazione p 1 − u2 /c2 M = 2p . m 1 − ω 2 /c2 Sostituendo nella precedente eq. 18, con facili conti si ottiene M 2 =p = 2γ ∗ > 2, m 1 − v 2 /c2 ove γ ∗ è il fattore che caratterizza energia e quantità di moto della particella nel riferimento R. La relazione M/m = 2γ ∗ , stabilisce quindi che nell’urto anelastico tra le due masse la conservazione della quantità di moto implica un aumento della massa del sistema di una quantità ∆M = M − 2m = 2m(γ ∗ − 1). 16 Questo fatto è una previsione teorica della relatività ristretta che ha trovato numerose conferme sperimentali.5 Tenuto conto dell’eq. 15 possiamo fare un bilancio energetico a cavallo dell’urto: l’energia iniziale del sistema è Ei = 2mc2 γ ∗ , mentre quella finale Ef = M c2 . La variazione di energia complessiva è quindi ∆E = M c2 − 2mc2 γ ∗ a = (M − 2mγ ∗ )c2 , = 2γ ∗ , si ottiene che l’energia totale nell’urto si è conservata. ma ricordata la relazione M m Questo fatto è sorprendente, poiché in ambito classico l’energia meccanica non si conserva negli urti anelastici, dato che, pur tralasciando l’energia eventualmente dispersa nell’ambiente, non si tiene in genere conto del lavoro compiuto dalle forze d’interazione nell’urto, lavoro che può corrispondere ad esempio ad un surriscaldamento del corpo o ad un aumento di eventuali energie potenziali, anche di natura meccanica. La conservazione dell’energia totale ci permette di interpretare l’esperimento sopra riportato nel seguente modo: l’energia cinetica delle particelle non scompare nel nulla, si manifesta dopo l’urto come inerzia del corpo M , la cui massa è maggiore rispetto alle somma delle masse delle due particelle. Questo fatto costituisce uno dei più grandi risultati di unificazione della teoria delle relatività. Questa proprietà dell’energia relativistica può essere estesa anche al di fuori delle esperienze della meccanica. Ad esempio, se un corpo fermo viene colpito da due fotoni identici, ma con quantità di moto opposte, esso non muterà il proprio stato di quiete, tuttavia, sempre applicando il principio di relatività e il PCQM, si otterrà che la massa del corpo dopo l’assorbimento dei fotoni dovrà essere cambiata di una quantità ∆M , a cui corrisponde un aumento ∆E dell’energia che corrisponde esattamente all’energia dei due fotoni che son ostati assorbiti dal corpo. Dato che quello che conta non è la modalità di assorbimento dell’energia ma lo stato finale del corpo, in tutta generalità si può affermare che se un corpo acquista energia mantenendo costante la propria velocità esso deve accresce necessariamente la propria massa. Bibliografia [1] Galileo, Opere, UTET; [2] R.P. Feynman, La Fisica di Feynman, Zanichelli; [3] R.P. Feynman, Sei pezzi meno facili, Adelphi; [4] A. Einstein, Relatività: esposizione divulgativa, Universale Bollati Boringhieri; [5] A. Einstein, Zur Elektrodynamik bewegter Körper, Annalen der Physik 17, (1905); 5 Ne è un esempio il processo di fissione nucleare in cui il difetto di massa dei prodotti di reazione corrisponde all’energia liberata nella scissione dell’atomo 17 [6] A.I. Miller, Albert Einstein’s special theory of relativity, Springer. [7] E. Fabri, Insegnare la Fisica nel XXI Secolo, LA FISICA NELLA SCUOLA, quad. 16. 18