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BILANCIO LETTERARIO 2006
CRONACHE
DI UN ANNO INSIPIDO
Un inarrestabile tsunami di 150 titoli al giorno
di qualità discutibile. Esplode il caso “Gomorra”.
La top ten dei più venduti da noi nel 2006 è dominata dagli italiani
ma in testa si piazzano due stranieri: Hosseini e la Rowling.
Ci si chiede se e quanto i romanzi riescano a rappresentare
o a testimoniare il mondo in cui viviamo.
In Italia polemiche a non finire e rimangono solo macerie.
di Massimo Vecchi
Si è concluso un altro anno, lo 06 abbreviando, un anno pari, chi sa se vuol dire qualcosa. È
tempo, dunque, di bilanci. Per fortuna non ci tocca parlare di storia. In questo campo l’anno si è
sfatto sotto il segno dall’atrocità. Quell’area mediorientale che contiene le terre dell’Iraq, della
Palestina e d’Israele è inzuppata di sangue. E non basta perché il sangue sprizza e scorre anche in
molte altre zone calde del mondo.
Parliamo di letteratura. I libri rappresentano o almeno testimoniano la realtà del tempo? Anche nel
2006, come da qualche tempo in qua, l’editoria italiana ha sfornato quasi 60.000 titoli, più di mille
alla settimana, 150 al giorno. Invece il numero dei lettori è sempre quello: metà degli italiani non
legge mai un libro e, quanto all’altra metà, una parte preponderante legge in tutto un libro all’anno.
Un disastro. Il solo dato consolante è l’aumento dei lettori forti, cioè è cresciuto il numero di coloro
che leggono più libri ogni mese ed è cresciuto il numero dei libri che essi leggono.
Fiumi di libri, dunque, che travolgono anche i critici, istituzionalmente votati a nuotare contro
corrente, controllando, consultando, analizzando per stabilire quali strappare al flusso e poggiare
sulla riva.
SCRIVERE E VIVERE
Si diceva della realtà e della sua interpretazione. Per quel che riguarda il Medio Oriente
insanguinato ci sono tre scrittori impegnati a capire il dramma di quella regione, a raccontarlo, a
cercare di risolverlo. Sono tre israeliani, tutti sostenitori della convivenza pacifica tra Israele e
Palestina: David Grossman, Amos Oz e Abraham Yehoshua. Il primo ha perso un figlio
nell’ultima guerra combattuta in quell’area, ma ha fatto del suo dolore un’arma per chiedere pace.
La sua orazione funebre per il ragazzo è una pagina indimenticabile. Alla vita martoriata degli
abitanti dei territori palestinesi occupati Grossman ha dedicato il suo primo romanzo Il sorriso
dell’agnello, pubblicato nel 1983, e quattro anni dopo il saggio Vento giallo. Il mondo dell’infanzia
è il tema di fondo delle opere di Grossman, i cui titoli più recenti sono Col corpo capisco pubblicato
da Mondadori, che alla fine del prossimo marzo ristamperà negli Oscar Vedi alla voce: amore che
vent’anni fa diede a Grossman fama internazionale, e Il miele del leone. Il mito di Sansone, edito da
Rizzoli nel 2005. Di Oz sappiamo che sta per pubblicare un nuovo romanzo Non dire notte (da noi
l’editore sarà Feltrinelli). Ne abbiamo dato notizia nel numero scorso di questa rivista. E’ un
romanzo minimalista in cui lo scrittore, che vive ai margini del deserto del Negev e va a
passeggiarvi ogni mattina perché, dice, «è un posto dove tutto è svelato», mette anche stavolta una
famiglia al centro della storia, uno strano rapporto di coppia che si intreccia con il rapporto di
collaborazione ma di estrema diffidenza tra un beduino che sa tutto del deserto e i soldati israeliani
a cui fa da guida. Quanto all’altro scrittore pacifista israeliano, Yehoshua, si è rivelato a livello
internazionale nel 1977 con il romanzo L’amante e da allora è sempre stato apprezzato da critica e
pubblico portando avanti la sua analisi dell’identità ebraica tra dubbi, lacerazioni e drammi.
Premiato con il Viareggio Internazionale l’anno scorso, le sue ultime opere, datate 2005, sono il
testo teatrale Una notte a maggio, il volume di racconti L’ultimo comandante e Un cagnolino per
Efrat, due racconti illustrati da Altan.
UNA TRAGEDIA AMERICANA
Se pensiamo a un’altra tragedia di dimensioni mondiali, l’attentato alle Torri Gemelle di
Manhattan e alla sede del Pentagono l’11 settembre 2001, rileviamo che l’influenza sugli scrittori è
stata fortissima. Ricordiamo Jay McInerney con The Good Life, in cui due coppie dell’alta società
newyorkese soltanto di fronte ai due grattacieli sbriciolati si rendono conto del vuoto morale della
loro vita mondana sfacciatamente fastosa. Jonathan Safran Foer, il celebrato autore di Ogni cosa è
illuminata, pubblicato in Italia nel 2002 da Guanda, nel successivo romanzo Molto forte,
incredibilmente vicino (edito sempre da Guanda), racconta la storia di un bambino che perde il
padre nell’attentato alle Torri Gemelle. L'atmosfera di paura che si respira a New York sottende la
storia di E adesso puoi andare, il romanzo uscito da Mondadori in cui Vendela Vida racconta di
una universitaria ventunenne che un pomeriggio al Riverside Park si vede puntare addosso una
pistola da un uomo che minaccia di ucciderla perché vuole suicidarsi ma non vuole morire da solo.
Anche Paul Auster ha ambientato il suo Follie di Brooklyn nell’America di oggi, un paese che non
è più lo stesso dopo la tragedia dell’11 settembre. E lo scenario di una New York apocalittica dopo
l’attacco al World Trade Center è stato scelto da Lynne Sharon Schwartz per il suo romanzo
Giochi d’infanzia. Sul tema ha scritto un pezzo anche David Foster Wallace, che l’ha pubblicato
tra i reportage e i pezzi di fantasia raccolti nel volume Considera l’aragosta, uscito da Einaudi
l’anno scorso.
Ma ci sono altri risvolti narrativi per affrontare tanta tragedia. John Updike si è messo dall’altra
parte scrivendo Terrorista (edito da Guanda), che ha creato scandalo in America poiché l’autore, al
fine di spiegare come nasce un terrorista islamico made in Usa, prende a protagonista Ahmad, un
liceale diciottenne, americano di padre egiziano. Un ragazzo che in qualche modo assomiglia a
Coniglio, il protagonista della sua serie di romanzi celebri, dato che, dice, «sono entrambi giovani,
soli, disperati e vagano per la città». Girovagando nella sua piccola città di provincia, imbevuto di
nichilismo, esaltato dall’idea del suicidio come tutti i giovani, Ahmad piano piano si trasforma in
kamikaze.
Updike ha dichiarato d’aver ricevuto una e-mail dallo scrittore algerino Yasmine Khadra, che
sottolineava l’impossibilità per un occidentale di penetrare l’animo degli attentatori suicidi. Ha
provato lui a farlo, parlando non delle Twin Towers, ma di Tel Aviv in Israele. In fondo non cambia
molto. Yasmine Khadra è il nome della moglie di Mohamed Moulessehoul, che lo usa come
pseudonimo e che ha appena pubblicato presso Mondadori il romanzo L'attentatrice, in cui un
chirurgo arabo-israeliano deve operare in gran fretta i feriti di un attentato e appena può telefona
alla moglie, che ama teneramente e da cui è riamato, senza trovarla, finché all’improvviso la
riconosce nel corpo della kamikaze devastato dall’esplosione. Di qui il chirurgo cerca di ricostruire
attraverso quale istanze, sentimenti, convinzioni la sua compagna abbia compiuto quel terribile
gesto.
L’inglese Martin Amis ha rivelato in un'intervista al Times che il romanzo che ha appena
cominciato a scrivere è permeato dei sentimenti di angoscia diffusi nella società occidentale dopo
l’attacco islamico dell'11 settembre alle Twin Towers. In un articolo pubblicato dal Guardian, Amis
ha usato parole durissime contro i militanti islamici dicendo di essere disgustato dall’atrocità dei
loro attentati e definendoli «affetti da insicurezza maschile. Sono insicuri sessualmente, e i loro atti
sono una forma di violenza tipicamente maschile».
Il romanzo Uno stato particolare di disordine di Ken Kalfus (Fandango) rilegge in modo soft la
tragedia dell’11 settembre raccontando gli opposti punti di vista di un marito e una moglie che
stanno per divorziare e assistono alla distruzione delle Torri Gemelle: lei, sapendo che lui lavora in
una delle Torri, crede che sia morto e tutto sommato pensa d’essersi tolta un peso; il marito invece è
salvo avendo deciso di non andare in ufficio quella mattina e, sapendo che la moglie doveva
prendere l’aereo che si è sfracellato, crede di essersi finalmente liberato di lei. Ma anche lui si
sbaglia.
Da citare infine, ma di certo altri libri di questo genere arriveranno, American vendetta di Nelson
Demille, appena uscito da Mondadori. Racconta di un “consiglio strategico segreto” che progetta i
tempi e i modi per realizzare la vendetta americana all’attentato alle Torri Gemelle. L’omicidio di
un importante personaggio della task force antiterrorismo Usa provoca l’intervento del detective
John Corey e di sua moglie Kate Mayfield, agente dell’FBI, che scoprono un pericoloso complotto
nucleare.
Ma c’è anche chi non soffre affatto lo shock dell’11 settembre, anzi nega che ci sia stato un
attentato terroristico di matrice islamica. Sono due francesi, Thierry Meyssan, che ha ottenuto un
grande successo con il libro L'incredibile menzogna, in cui sostiene che nessun aereo è caduto sul
Pentagono, e Eric Laurent, decano del giornalismo d'inchiesta, autore del libro La verità nascosta
sull'11 settembre, best seller in Francia e pubblicato in Italia da Baldini Castoldi Dalai. Laurent
contesta punto per punto le conclusioni della Commissione d'inchiesta del Congresso americano
sull'11 settembre e mette a confronto l’attentato alle Torri Gemelle con l’assassinio del Presidente
Kennedy, affermando che «l’assassinio di Kennedy è ancora un mistero circondato da menzogne;
l'11 settembre è ancora un insieme di menzogne circondate dal mistero».
IN ITALIA IL PRIMATO DEI MORTI AMMAZZATI
Veniamo in Italia dove non ci sono state tragedie così sconvolgenti come quelle appena
considerate o forse esistono tragedie altrettanto gravi ma meno esplosive, altrettanto sanguinose ma
più locali, altrettanto efferate ma più individuali, che ci portiamo dietro da anni e nessuno ne è
veramente scioccato.
A denunciarne una ci ha pensato Roberto Saviano con Gomorra, edito da Mondadori, vero caso
letterario dell’annata. Ricercatore dell’Osservatorio sulla camorra e l’illegalità, il giovane Saviano
(nato nel 1979 a Napoli), dopo aver raccolto una vasta e scrupolosa documentazione, ha riversato
nelle pagine del suo libro tutta una serie di notizie sugli affari della camorra, sui suoi traffici
criminali svolti secondo due linee: le merci “fresche” – abiti griffati, videogiochi, orologi – che
arrivano al porto di Napoli e vengono occultate all’interno di palazzi appositamente svuotati di
tutto, e le merci “morte” – scorie chimiche, morchie tossiche, fanghi, addirittura scheletri umani –
che arrivano da tutta Italia e da mezza Europa e avvelenano le campagne campane dove vengono
rovesciate e sepolte. E poi avanti senza titubanze e senza orpelli, con un linguaggio secco, preciso,
svelando fatti, retroscena, nomi e soprannomi dei camorristi.
Gomorra ha subito catturato l’attenzione dei giornali, si è meritato un mucchio di recensioni ed è
balzato in testa alle classifiche delle vendite. Il libro dell’anno, si dice. Vince il Premio Viareggio. E
Saviano non si tira indietro, rilascia dichiarazioni durissime. Tra l’altro: «Sono nato in terra di
camorra, nel luogo con più morti ammazzati d’Europa, dove la ferocia è annodata agli affari, dove
niente ha valore se non genera potere». Non tutti sono d’accordo, in verità. La camorra, soprattutto,
dissente. E minaccia, così Roberto Saviano è costretto a vivere una vita blindata, in un luogo
sconosciuto e con una scorta attorno.
Lui non si stupisce della cosa in sé dato che sa che tanti vengono minacciati, ma perché il
bersaglio è uno scrittore. E lo spiega dicendo che lo scrittore ha gli «strumenti necessari per
avvicinarsi ancora più al vero». Ma allora, si chiede, «vuol dire che quell’arma innocua, spuntata,
che è la letteratura, funziona ancora e ha funzionato anche contro la camorra?». Quello di cui si
stupisce è che le storie che lui racconta sono note, risapute, eppure soltanto ora se ne parla. «Dove
eravate?», chiede polemicamente Saviano, quando il procuratore antimafia Pierluigi Vigna
dichiarava che il profitto annuale della criminalità organizzata italiana era più di cento miliardi di
euro; quando si ammazzavano due persone al giorno; quando si concludeva il processo Spartacus al
Tribunale di Santa Maria di Capua Vetere con 21 ergastoli e 500 anni di reclusione, ignorati dalla
grande stampa; quando Tano Grasso attraversava in lungo e in largo la Campania cercando di
raccogliere adesioni alla lotta al racket; quando giornalisti della mia terra venivano
sistematicamente minacciati; quando qui crepavano innocenti; quando nel 2002 spararono in faccia
a un sindacalista e la notizia neanche giunse sulla stampa nazionale.
RANDELLATE A DESTRA E A MANCA
Quello di Alessandro Baricco non è un caso letterario, ma una polemica letteraria, lunga, rovente
e tutto sommato inutile (l’abbiamo raccontata per esteso nel numero di novembre di questa rivista).
E’ scoppiata il primo marzo dell’anno scorso quando Baricco pubblicava sulla Repubblica un
articolo in cui accusava gli autorevoli critici letterari Pietro Citati e Giulio Ferroni di aver
stroncato i suoi due ultimi libri, il romanzo Questa storia e la riscrittura dell’Iliade, non in una vera
recensione ma di sguincio, con piccole frasi velenose all’interno di altri argomenti. Parlate pure
male di me, diceva, ma in articoli critici non di traverso. Risposta fulminea di Ferroni che sull’Unità
del giorno dopo ripubblicava la sua recensione a Questa storia, apparsa nel numero di dicembre
della nuova rivista Il Giudizio universale e replicava: «Caro Alessandro, io ti ho recensito. Sei tu
che non mi hai letto».
Intanto intervenivano a valanga scrittori e critici, accademici e giornalisti, a favore o contro, o
così così. Tanto per fare qualche nome: Ranieri Polese, Alfonso Berardinelli, Maria Serena
Palieri, Alberto Asor Rosa, Edoardo Sanguineti, Nello Ajello, Carla Benedetti, Paolo Di
Stefano, Renato Barilli, Edmondo Berselli, Robert Silvers, Carlo Lucarelli, Pietrangelo
Buttafuoco, Antonio Scurati. Ma lo scontro non finiva lì. A settembre usciva da Donzelli un
volume dal titolo dichiaratamente polemico: Sul banco dei cattivi. A proposito di Baricco e di altri
scrittori alla moda. Lo firmavano quattro autorevoli critici militanti che mettevano in castigo
quattro scrittori famosi: Giulio Ferroni stroncava Alessandro Baricco, Massimo Onofri bocciava
Isabella Santacroce, Alfonso Berardinelli condannava Tiziano Scarpa, Filippo La Porta faceva
a pezzi Carlo Lucarelli.
Ma se la polemica intorno a Baricco è stato un terremoto che ha lasciato solo macerie, altri assalti
e stilettate e cannonate hanno movimentato l’anno appena concluso. Altre macerie.
Ne ricordiamo qualche episodio. Giampaolo Rugarli, divenuto scrittore di grande spessore dopo
trent’anni di lavoro in banca, ha rinunciato al Premio Mondello, che pure giudica «tra i migliori, più
decenti, più puliti», ritirando il suo romanzo I giardini incantati, edito da Marsilio, dalla rosa di tre
vincitori in cui figurava accanto a Le fiamme di Toledo di Giulio Angioni (ed.Sellerio) e Aiutami tu
di Paolo Di Stefano (ed.Feltrinelli). Il motivo va ricercato in una vicenda che dura «dai tempi del
mio romanzo Andromeda e la notte», ha detto Rugarli a Maria Serena Palieri dell’Unità, e a uno
strano verdetto della giuria popolare del Premio Campiello, tale da indurlo a non partecipare ai
premi letterari, che ritiene «siano elementi inquinanti, che fanno male ai libri». Ma, ha aggiunto, «la
goccia che ha fatto traboccare il vaso è arrivata nell’estate scorsa, quando ho saputo che Anna
Maria Rimoaldi, col pretesto che l’anno prima non avevo votato, mi aveva cacciato dalla giuria del
Premio Strega». Mazzata finale: «Provengo da un mondo, quello dell’economia, che credevo fosse
la feccia in assoluto. Mi sbagliavo, quello delle lettere è peggio ancora».
Rimanendo al Mondello, il Premio ha fatto un sondaggio per sapere da un gruppo di scrittori
italiani quali altri scrittori del Novecento riconoscono come maestri e poi ha organizzato un
convegno per dibattere lo stesso tema. Quindici gli autori invitati: Vanessa Ambrosecchio,Camilla
Baresani, Giosuè Calaciura, Mrario Desiati, Philippe Forest, Margherita Ganeri, Giuseppe
Genna, Pietro Grossi, Filippo La Porta, Raffaele Manica, Alessandro Piperno, Evelina
Santangelo, Domenico Scarpa, Antonio Scurati, Gonzalo M. Tavares. Le risposte hanno
assegnato la palma del preferito a Italo Svevo, seguito da una triade a pari merito composta da
Proust, Kafka e Joyce, ma ciascuno degli interpellati ha aggiunto qualche preferenza particolare.
La giovane Santangelo ha citato Faulkner, Hemingway e Pavese; Piperno ha votato in più i
“decadenti” Mann, Broch, Gadda, Nabokov e Bellow; Desiati: Hasek; Manica: Comisso,
Moravia, Parise, Soldati, Arbasino; La Porta: Céline; la Baresani: Parise, Nabokov, Philip Roth
e Clarice Lispector; il francese Forest: Eliot, Sollers, Kenzaburo Oe; Genna: Melville, Hugo,
Eliot, Celan, Stevens e Zanzotto; Scarpa: Calvino e Natalia Ginzburg; Grossi: Faulkner,
Hemingway, Roth, De Lillo, Vonnegut; Calaciura: Bulgakov, Elsa Morante, Márquez. La scelta
più divertente quella di Scurati che ha indicato come maestri i registi cinematografici Sam
Peckinpah e Sergio Leone.
SCURATI CONTRO PIPERNO
Nel dibattito successivo Scurati è entrato in rotta di collisione con Piperno. Il primo ha negato che
gli scrittori di oggi abbiano dei “padri”. «C’è una cesura netta – ha detto – tra la nostra generazione
e quelle che ci hanno preceduto. Il Novecento è un cadavere, dobbiamo fargli il funerale». Tra
l’altro «come ha sottolineato il critico Franco Cordelli, non c’è alcuna traccia tra l’indicato e chi
indica. Oggi non abbiamo più padri, solo genealogie immaginarie». Assai polemica la replica di
Piperno: «il continuo riconoscimento di discontinuità è diventato ormai una tradizione ben
compresa nel Novecento. L’analisi di Scurati prende atto del fatto che ci si congeda da tutto e che la
letteratura ignora modelli di tradizione storica. Io non sono un difensore della tradizione, ma non
amo qualsiasi dichiarazione apocalittica, che è una minestra riscaldata, aggiornata come se fosse
una novità». E, in conclusione, «credo che una geneaologia sia ancora possibile per noi autori, ma
che sia ricostruibile solo criticamente da un terzo».
Un altro fendente all’establishment letterario è stato assestato da Valerio Evangelisti, che ha
confessato di essere attratto sin da adolescente «dalla letteratura popolare avventurosa, dal
poliziesco, dalla fantascienza» compreso l’horror alla Lovecraft e perciò i suoi sono romanzi di
genere, paraletteratura, come lui la definisce, «che è libera, com’era libero il cinema di serie B che,
a differenza di quello di serie A, poteva permettersi di sperimentare». In Italia è durata a lungo la
pregiudiziale neorealistica e «il fantastico ha avuto molte difficoltà: la cultura accademica ha preso
sul serio solo il romanzo realistico, il che però non coincideva con il gusto del lettore popolare». In
effetti, nel dopoguerra la critica militante ha schiacciato la fantasia. Ed eguale cattiva sorte è toccata
ai romanzi di genere come il giallo, il noir, il poliziesco: «la letteratura di genere – ha detto
Evangelisti – veniva considerata spazzatura di destra».
LE BORDATE DI PISCHEDDA
Concludiamo questa pagina con l’attacco al vetriolo contro tutto e tutti sferrato da Bruno
Pischedda nel suo libro intitolato Mettere giudizio (ed.Diabasis), come evidenzia Paolo Di
Stefano sul Corriere della sera. Autore di romanzi da Come è grande la città a Carùga blues e di
opere di critica letteraria, Pischedda questa volta spara bordate a palle incatenate colpendo a morte
quasi tutti gli scrittori italiani famosi dal dopoguerra a oggi. E lo fa mettendosi dalla parte del lettore
e applicando quattro categorie di valutazione: il giudizio sommario, espresso in recensioni a caldo;
il giudizio di merito, dato dopo una maggiore riflessione; il giudizio d’intrattenimento, riservato alla
letteratura di genere; il giudizio a procedere, riguardante movimenti letterari storici, come il
postmoderno. Qualche esempio dei giudizi di Pischedda: Elio Vittorini «mentre idoleggia una
civiltà integralmente artificiale, denaturata, in quanto obiettivo di liberazione umana, rifiuta però di
misurarsi in modo costruttivo con la cultura interclassista di massa che inevitabilmente vi si
accompagna»; Pier Paolo Pasolini è diventato un mito «pervasivo e ideologicamente trasversale»
soltanto grazie all’educazione cinematografica e televisiva della nostra borghesia; quanto ad Aldo
Busi, «scrittore dal talentaccio egoico», in realtà è «un funereo neoromantico».
LE SCELTE DEL MERCATO
Fra tante migliaia di libri stampati pochi sopravvivono. Molti non arrivano nemmeno in libreria.
Al contrario, quelli che nascono best seller per il loro blasone (nome dell’autore e dell’editore) e per
il peso a piè di macchina (500 pagine e più) sono sistemati in pile alte fino al petto del visitatore, se
uomo, e fino al mento se donna. I valvassori riescono a guadagnarsi il bancone delle novità dove
restano in media due settimane per poi passare negli scaffali della seconda scelta. Quindi, dopo un
tempo che dipende dallo spazio della libreria in una equazione senza incognite, c’è il magazzino.
Finale, il macero. Addio.
Vediamo dunque le classifiche delle vendite registrate nel 2006. Secondo la graduatoria
pubblicata dal Corriere della Sera il 31 dicembre e realizzata dalla Demoskopea dal 26 dicembre
2005 al 17 dicembre 2006, la top ten vede il dominio degli scrittori italiani che occupano tutti i posti
tranne il primo. Il capolista infatti è Khaled Hosseini con Il cacciatore di aquiloni (ed. Piemme, pp.
394, € 17,50), in cui l’autore, un medico afgano, racconta il ritorno di Amir in una Kabul devastata
dalla violenza dove gli aquiloni della sua giovinezza non volano più. E’ il romanzo rivelazione
dell’anno, il best seller inaspettato, che grazie al “passaparola” ha scalato la classifica settimana
dopo settimana fino a conquistare la vetta. A seguire Federico Moccia con Ho voglia di te (ed.
Feltrinelli, pp. 415, € 16,00), che ripete il successo del precedente Tre metri sopra il cielo. Al terzo
posto Roberto Saviano con Gomorra (ed. Mondadori, pp. 331, € 15,50) e al quarto Tiziano
Terzani con il saggio La fine è il mio inizio (ed. Longanesi, pp. 466, € 18,60). Partecipazione
trionfale per Andrea Camilleri, che occupa tre posizioni con tre titoli, la quarta con La vampa
d’agosto (ed. Sellerio, pp.271, € 11,00), la nona con La pensione Eva (ed. Mondadori, pp.188, €
14,00) e la decima con Le ali della sfinge (ed. Sellerio, pp.265, € 12,00). A questo punto nella top
ten rimangono liberi tre posti: il sesto va a Giorgio Faletti con il suo terzo noir Fuori da un
evidente destino (ed. Baldini Castoldi Dalai, pp. 495, € 18,90), il settimo a Corrado Augias e
Mauro Pesce con Inchiesta su Gesù (ed. Mondadori, pp. 263, € 17,00) e l’ottavo a Fabio Volo
(pseudonimo di Bonetti) con Un posto nel mondo (ed. Mondadori, pp.246, € 15,00).
Molto simile la classifica realizzata da Eurisko e Informazioni editoriali per Almanacco dei libri,
il supplemento di Repubblica di sabato 30 dicembre. Unica differenza, non da poco, è l’inserimento
al primo posto del mega best seller mondiale di Joanne K. Rowling giunto al capitolo Harry Potter
e il Principe Mezzosangue (ed. Salani, pp.591, € 22,00), escluso invece dalle rilevazioni della
Demoskopea che probabilmente lo considera un libro per ragazzi. La classifica di Almanacco, mette
in fila poi Moccia, Hosseini, Terzani, Saviano, Camilleri, Faletti, gli altri due Camilleri e
Augias-Pesce. Penalizzato Volo.
Anche Tuttolibri, il supplemento letterario della Stampa, propone una sua classifica, ma aspetta
qualche settimana (esce il 13 gennaio 2007) per poter offrire la lista dei 100 libri più venduti nel
2006. Responsabile dell’elaborazione è la stessa Demoskopea del Corriere citata sopra, ma i
risultati divergono non poco. Al contrario di quella classifica qui è presa in considerazione la
Rowling con il suo Harry Potter e il Principe Mezzosangue e viene collocata al primo posto.
Seguono Hosseini, Moccia, Saviano, Terzani, il Camilleri della Vampa d’agosto, Faletti e
Augias-Pesce. Al nono posto si piazza Luciana Littizzetto con il suo spiritoso e controcorrente
Rivergination (ed. Mondadori, pp. 184, € 15,00). Chiude la top ten l’altro Camilleri, Le ali della
sfinge.
Interessante vedere chi sono gli altri 90 scrittori classificati dall’undicesima alla centesima
posizione. I primi due dell’elenco sono quelli che hanno dovuto far posto alla Rowling e alla
Littizzetto cioè Fabio Volo e il terzo Camilleri. A seguire romanzieri, saggisti, autori per ragazzi e
di varia. La pattuglia straniera è composta da 36 romanzieri contro 32 italiani. Oltre a Hosseini e
alla Rowling, le migliori performance sono di Brown con la tripletta Cripto arrivato 13°, Il codice
da Vinci 21° e La verità del ghiaccio 27°, del Premio Nobel Pamuk con Il mio nome è rosso 23°,
Allende con Inès dell’anima mia 24°, Grisham con Innocente 32°, Coelho con Sono come il fiume
38°, Grogan con Io & Marley 39°, staccati gli altri, ultimo Garcia Márquez con Memorie delle
mie puttane. Tra gli italiani, oltre ai già citati, molti hanno conquistato buone posizioni, come
Carofiglio con Ragionevoli dubbi 14° e Testimone inconsapevole 36°, Fruttero con Donne
informate sui fatti 18°, Rossanda con La ragazza del secolo scorso 19°, il primo Moccia di Tre
metri sopra il cielo 20°, Ammaniti con Come Dio comanda 22°, Veronesi con Caos calmo 25°, la
Tamaro con Ascolta la mia voce 29°, Niffoi con La vedova scalza 30°, Veltroni con La scoperta
dell’alba 31°. Tra i saggisti, oltre a Terzani e alla coppia Augias-Pesce, figurano Pansa con La
grande bugia 17° e Rampini con L’impero di Cindia 26°.
ANALISI DELLE TOP TEN
L’esame delle tre decine di campioni delle classifiche riportate fa rilevare alcuni particolari
interessanti.
Genere. Preferito dal pubblico è il poliziesco, il noir, vista la presenza di tre Camilleri, di un
Faletti e anche del Saviano che ha scritto un giallo vero. Si può aggiungere pure il libro di Augias e
Pesce che è un’inchiesta.
Prezzi. Il rapporto pagine/prezzo indica che Harry Potter ha 591 pagine e costa 22,00 euro,
distanziando il Faletti che per 495 pagine chiede 18,90 euro e il Terzani con 466 pagine e un prezzo
di 18,60 euro. Più staccato Moccia che offre 415 pagine al costo di 16,00 euro.
Donne. Uniche presenze femminili, quella della Rowling nella classifica Eurisko e in quella della
Demoskopea Tuttolibri, dove irrompe anche la Littizzetto. Nessuna donna nell’altra.
Età. Le graduatorie propongono tutti scrittori maturi e sperimentati. Esordiente in Italia Hosseini,
nessuno tra i nostri. Il decano è Camilleri, il più giovane Volo.
Nazionalità. Due stranieri soltanto, ma entrambi capolista, per il resto valanga italiana.
Editori. Il campione degli editori è Mondadori, che compare quattro volte nella classifica
Demoskopea del Corriere, tre in quella Eurisko e tre nella Demoskopea di Tuttolibri. Sellerio è
presente due volte e una Feltrinelli, Salani, Piemme, Baldini Castoldi Dalai, Longanesi. Se
guardiamo alla graduatoria dei cento autori, la lista degli editori si allunga ma in testa rimane il
Gruppo Mondadori, che si accaparra metà della torta.
QUANTO VENDONO I PIU’ VENDUTI
Ci si chiede spesso qual è il numero di copie che vengono realmente vendute dei best seller
indicati dalle classifiche. Ma sono dati che gli editori tengono segreti. Se ne servono solo per
qualche lancio pubblicitario, sparando frasi come: Grande successo del libro di tizio. Già vendute
150mila copie.
In effetti, l’attendibilità delle classifiche è sempre messa in dubbio per la discussa affidabilità dei
metodi di rilevazione. Si polemizza con l’Auditel, che stabilisce l’ascolto dei programmi televisivi
muovendo miliardi di pubblicità, figurarsi se non si mettono in discussione i dati di vendita dei libri.
Ne ha parlato Stefano Salis nella Domenica del Sole 24 Ore datata 7 gennaio 2007 con Alessandro
Dalai della casa editrice Baldini Castoldi Dalai, che ha pubblicato i libri di Giorgio Faletti. «Faletti
– ha dichiarato Dalai – ha venduto 770mila copie, è in rottura di stock e le richieste continuano.
Eppure risulta solo al settimo posto» dietro Gomorra che dovrebbe aver venduto circa 450mila
copie. Il fatto è che, spiega Dalai, «le classifiche non rilevano la grande distribuzione, dove Faletti
ha venduto quasi 400mila copie, più della metà del totale». Tra l’altro il tempo di vendita di Faletti
è molto inferiore a quello degli altri concorrenti essendo uscito soltanto ai primi dello scorso
ottobre.
LA PAROLA AI CRITICI
Tra i pochi critici letterari che si sono pronunciati finora sulle qualità dei libri di narrativa usciti
l’anno scorso, diamo la precedenza a Giovanni Pacchiano per l’entusiasmo con il quale esprime il
suo giudizio in un articolo del Sole 24 Ore del 10 dicembre che porta il titolo: I magnifici sette e il
sommario: Annata di grande qualità letteraria: finalmente c’è l’imbarazzo della scelta. I migliori?
Carofiglio, Grossi, Fois, Fruttero, de Mazzeri, Salvago Raggi, Ferrante. Bocciato Camilleri. Tanto
forte è la sua convinzione che il 2006 sia stato un anno d’oro per la nostra narrativa, che suggerisce
i suoi sette autori come il meglio per le letture del Natale in arrivo e spiega le ragioni della sua
scelta.
La proposta comincia con i nomi di due semi esordienti: Silvia Alberti de Mazzeri e Pietro
Grossi. La prima per aver scritto La regina veneziana, romanzo storico sulla vita della bella e
intelligente Caterina Cornaro, andata sposa nel 1472 al re di Cipro e salita al trono a sua volta dopo
la morte del marito, creando una corte che fu «esempio di raffinatezza e cultura». Grossi, 28 anni, è
definito la rivelazione dell’anno per essere l’autore dei tre racconti riuniti sotto il titolo Pugni, in cui
«presenta con trasognata appartenenza, mescolata ai toni epico-lirici, storie simboliche del
passaggio dall’adolescenza» alla maturità, vista «come crescita ma anche come perdita».
Poi, dai giovani, Pacchiano passa a un vecchio e glorioso autore, Carlo Fruttero, con il suo
Donne informate sui fatti, che apprezza per «la satira di costume, maliziosa e sottotono». Quindi
Gianrico Carofiglio con Ragionevoli dubbi, sapiente mix di legal thriller e febbrile storia d’amore,
che lo «conquista per la capacità di cogliere le sfumature dell’animo dei personaggi». Altrettanta
«attenzione al dettaglio psicologico» il critico rileva nel romanzo di Elena Ferrante La figlia
oscura. La scelta di Camilla Salvago Raggi per i racconti Un’estate ancora è motivata dal fatto
che «la provincia borghese del basso Piemonte è narrata con amore-odio, fatta a pezzi nei suoi tic,
nell’orrenda metamorfosi del paesaggio, nella imperante volgarità della gente». Ultimo del lotto dei
campioni è Memoria del vuoto di Marcello Fois, «potente romanzo epico-lirico» sul fatale destino
«del mitico bandito sardo Samuele Stochino». Dopo tante lodi Pacchiano stronca Le ali della sfinge
di Andrea Camilleri, giudicando questa ultima storia di Montalbano «sciatta, sfilacciata» in cui è
ormai insopportabile «il tormentone dei litigi a distanza, per telefono, fra il commissario siciliano e
la “nordica” Livia».
Un’altra critica letteraria, Maria Serena Palieri, ha espresso il suo parere sulla narrativa
dell’annata scorsa sull’Unità del 18 dicembre 2006, ma rifiuta di parlare soltanto delle strenne
natalizie o comunque delle novità da mettere sotto l’albero, per indicare invece tutte le belle storie
non messe in luce ma che non hanno data di scadenza e che bisognerebbe leggere. Tra i molti titoli
segnalati peschiamo qua e là, per esempio, Rosso del tedesco Uwe Timm, uscito alla fine del 2005
ma premiato nel 2006 con il Napoli e il Mondello, «un romanzo che, come di sbieco, sprezzando la
saga, racconta la Germania del secondo Novecento» e insieme la storia di un uomo che «era uno
studente comunista negli Anni Sessanta, poi ha visto i compagni trasformarsi in raffinatissimi e
facoltosi produttori di vino». Scritto su corpo, «un gioiellino di delicata spietatezza», dice la Palieri,
in cui il drammaturgo inglese Alan Bennett racconta «come scoprì di essere non solo timido, fine e
sensibile» come lo definiva la madre «ma di essere gay». Palazzo Vacoubian dell’egiziano ‘Ala AlAswani «narra la vicenda corale di un condominio, alloggiato in un celebre palazzo» del Cairo, che
rappresenta l’Egitto di oggi «tra classicismo perdurante e nuovo islamismo radicale». Il mosaico del
tempo grande di Carmine Abate si svolge nell’enclave albanese in Calabria, dove l’arrivo di
Laura, una misteriosa giovane bionda accolta dal neolaureato Michele, fa «fluire le storie inanellate
di anni, decenni, secoli di cultura arberesh». Allan Hollinghurst nella Linea della bellezza «ci
regala un ritratto da dentro» degli Anni Ottanta nell’Inghilterra governata dalla Thatcher, «anni
azzurrovestiti in omaggio ai celebri occhi della signora e imbiancati da quintali di coca», attraverso
la vicenda di un giovane gay ambiziosissimo che si fa invitare nella sontuosa residenza del suo
compagno di studi, figlio di un deputato conservatore, e partecipa a una gran festa dei tories
riuscendo a ballare con la Lady di ferro.
Pacchiano e la Palieri sono i primi due critici di cui abbiamo raccolto le preferenze. Speriamo che
ne arrivino altri.