Pdf Opera - Penne Matte

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Pdf Opera - Penne Matte
MOONSHINE
‹‹Bob, ehi Bob! Hai un grosso ragnaccio che ti cammina sulla schiena!››
‹‹Cosa? Dove?››
Bob si contorse, portando indietro le braccia, cercando di afferrare l’insetto ma senza
risultati. Si dimenava e cercava invano di acchiapparlo, ma il ragno scese ancora più
giù, poi si fermò proprio al centro della schiena.
‹‹Dove diavolo…Frank, aiutami dannazione! Non ci riesco da solo, caccialo via!››
‹‹Ah no, amico. Non ci penso nemmeno. Odio quelle bestiacce, ho la fobia. Com’è
che si dice? Aracno qualcosa. Io non lo tocco.››
‹‹Aracnofobia, idiota! Eccolo, l’ho preso.››
Il vecchio Bob lo lanciò dritto verso Frank, che fece un balzo indietro, terrorizzato.
‹‹Brutto stronzo, ti ho appena detto che li detesto e tu me lo lanci addosso? Vaffanculo
Bob!››
‹‹Sei proprio una ragazzina, Frank. Grande e grosso e hai paura di questi esserini così
piccoli. Non stare lì impalato, aiutami. C’è un sacco di lavoro da fare.››
Frank bofonchiò un’imprecazione, poi si chinò a prendere una delle assi di legno
marcio cosparse sul terreno. Foglie secche e terriccio si mescolavano alle macerie di
quello che un tempo era un’angusta cabina in legno di proprietà del defunto Barry
Turner. Turner era stato da sempre un moonshiner e aveva vissuto per quasi
quarant’anni in quella baracca nel bel mezzo di un bosco nel Tennessee. Non aveva
figli, ma un tempo era sposato. La malattia che colpì la moglie, allora appena trentenne,
non le lasciò scampo. Nel giro di pochi mesi peggiorò e morì. Non avevano mai avuto
figli, Jackeline e Barry e come se non bastasse l’uomo fu licenziato dal negozio di
ricambi per auto in cui lavorava perché andava al lavoro sempre ubriaco. Vendette la
casetta con giardino che con tanto sudore avevano comprato e lasciò High Point per
trasferirsi a ovest, nei boschi in Tennessee, dove si costruì con le sue mani la cabina di
cui adesso rimanevano solo macerie. Il laboratorio di distilleria si trovava sottoterra,
mentre il piano superiore fungeva da abitazione. Un tifone l’aveva buttata giù e tutto
era franato, lasciando una voragine piena di detriti e immondizia. Il vecchio e ormai
sdentato Bob era uno dei pochi amici di Turner e i due, come tutti i moonshiner,
facevano una sorta di cameratismo, spalleggiandosi l’un l’altro e aiutandosi nel
momenti di difficoltà. Barry però era per lo più un solitario e preferiva non avere
contatti con il resto del mondo anche se un paio di volte il codice d’onore di quelli
come lui, gli impose di andare in aiuto di altri moonshiner, il più delle volte per
avvisarli dell’arrivo delle autorità. Ma oltre a quei rari episodi, conduceva una vita
solitaria e misera. Certo, guadagnava un bel gruzzolo distillando il whiskey e
rivendendolo illegalmente, tuttavia conduceva un’esistenza alle soglie della povertà.
‹‹Bob, secondo te quello svitato di Turner teneva qui i suoi guadagni?››
‹‹E dove sennò. Ci viveva qui. E ci è morto, a quanto pare.››
Moonshiners di Federica Dentamaro
Rispose Bob, calandosi con prudenza nel varco che si era aperto tra le macerie. Con la
torcia illuminò la parete difronte a lui e quasi perse l’equilibrio per lo spavento: schizzi
densi di sangue ricoprivano sia il pavimento che il muro e un liquido chiaro e viscoso,
colava da una dei contenitori in rame usati per distillare.
‹‹Oh merda!››
Esclamò il vecchio Bob, portandosi una mano sulla fronte.
‹‹Frank, vieni giù, devi vedere cosa c’è qui. Gesù, che macello!››
Il ragazzo si calò nel varco, dicendo:
‹‹Sì sì, è un casino, questo lo sapevo già. Sarà un lavoraccio rimettere a nuovo questo
buco di culo. Ma io dico, ne vale davvero la pena? Insomma, non possiamo cercare e
portar via la grana di Turner e ritornarcene al nostro laboratorio? E invece no,
dobbiamo stare qui, a rischiare di romperci l’osso del c…››
Frank si zittì nell’istante in cui guardò nella direzione in cui il compare stava puntando
la torcia.
‹‹Già.››
Affermò Bob, laconico.
‹‹Allora è vero quello che dicono in giro, che Barry Turner è stato massacrato da una
bestia feroce. Dici che è stato un orso?››
‹‹Bè non ci sono molte alternative. Le volpi e gli opossum non farebbero una tale
carneficina, ti pare?››
Lo sguardo dell’uomo più giovane vagò nuovamente sulle pareti imbrattate di sangue
e un brivido gli percorse la schiena. Si sfregò i palmi delle mani sulle braccia e scosse
la testa, guardando in su, verso l’apertura.
‹‹È quasi il tramonto, andiamo via di qui. Torneremo domattina e ci occuperemo di
rimettere in sesto questo posto.››
Bob annuì e i due si arrampicarono verso l’uscita. L’aria si faceva più frizzante man
mano che le ombre si addensavano tra le fronde degli alberi. Il cielo era tinto d’arancio,
puntellato qua e là dalle prime stelle. I due moonshiner affrettarono il passo,
dirigendosi verso il furgone parcheggiato al limite sud del bosco. I versi degli animali
notturni si moltiplicarono: un gufo planò proprio sulle loro teste, atterrando sul ramo
di una grossa quercia nodosa, e nel sottobosco i piccoli mammiferi zampettavano e si
muovevano frenetici. Dopo qualche minuto di camminata i due arrivarono al furgone.
Frank si guardò intorno perplesso, poco prima di aprire l’abitacolo e prendere la giacca
abbandonata sul sedile posteriore.
‹‹Ehi amico, lo senti anche tu?››
La mano gli scivolò in un gesto meccanico sul fucile poggiato sul cruscotto.
‹‹Sentire cosa?››
Rispose brusco il vecchio Bob, poi aggiunse:
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‹‹Non sento un accidente di niente! Sali in macchina, svelto. Ho una fame da lupi e la
tavola calda più vicina è a trenta miglia da qui.››
‹‹Vecchio rincitrullito, ascolta! Non si sente più nessun rumore. C’è troppo silenzio.››
Alcuni cespugli si mossero proprio dove Frank stava guardando, e questa volta il
ragazzo non si limitò a poggiare la mano sul fucile, ma lo imbracciò, puntandolo in
quella direzione.
‹‹Vieni fuori, figlio di un cane, o ti faccio saltare le cervella!››
Bob fece il giro del furgone e lo raggiunse, poggiandogli una mano rugosa sul braccio.
‹‹Ti è andato di volta il cervello? Metti giù il fucile, per l’amor del cielo!››
Con i muscoli tirati e le orecchie ben tese il ragazzo, incurante dell’esortazione del
compare, continuò a puntare il fucile verso il bosco, ormai avvolto totalmente
dall’oscurità. Passarono alcuni istanti prima che abbassasse la canna, quando si rese
conto che tutto era immobile. Si convinse che forse era stato solo un cervo e si ficcò
nell’abitacolo. Poggiò nuovamente il fucile sul cruscotto e girò la chiave nella toppa,
dando gas. Una volta partito allungò il collo, guardando dallo specchietto retrovisore.
Il bosco era immobile e silenzioso. Pensò tra sé che forse doveva bere meno whiskey
e premette il piede sull’acceleratore, quando il suo stomaco ruggì per la fame.
Arrivati a destinazione i due uomini ordinarono ali di pollo, hamburger e patatine
fritte. Frank spazzolò il cibo alla velocità della luce e stava ancora ingozzandosi quando
lo sceriffo della cittadina entrò nella tavola calda. La donna robusta dietro il bancone
gli offrì subito una tazza di caffè che l’uomo accetto volentieri. I due moonshiner
abbassarono lo sguardo, dedicando apparentemente tutta la loro attenzione ai piatti
ormai vuoti, sperando di non attirare l’attenzione del poliziotto. Non erano mai stati
beccati ed era davvero un fatto eccezionale, soprattutto per il vecchio Bob, che ormai
distillava illegalmente il Moonshine da quasi quarant’anni.
Un uomo con una camicia di jeans infilata nei pantaloni tenuti su da una cintura di
cuoio scuro si avvicinò allo sceriffo, che si stava gustando il suo caffè seduto al
bancone.
‹‹Sceriffo Huston, come butta? Ha sentito degli attacchi agli allevamenti nell’aria
nord?››
L’uomo diede un sorso dalla sua bottiglia di birra poi, senza aspettare una risposta,
proseguì:
‹‹Brutta faccenda, uh? Spero che i suoi uomini si muovano presto e scovino quel
dannato orso. Sta mandando gli affari a rotoli. Sa, mio cugino George ha subìto un
attacco proprio due giorni fa.››
Tossì, scuotendo una mano in aria e sbottò in una breve risata amara.
‹‹Il suo bestiame intendo. Cinque bovini maciullati e tre pecore divorate. Per non
parlare di quelle disperse…››
‹‹Lucy, sii gentile, versami un altro po’ di caffè.››
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Disse lo sceriffo Huston, rivolgendosi alla donna in sovrappeso dietro il bancone che
annuì, abbozzando un sorriso, lisciandosi il grembiule bianco. Una volta che Lucy ebbe
riempito nuovamente la tazza di liquido scuro, allora Huston si voltò a tre quarti verso
l’uomo con la birra.
‹‹Mi dispiace per gli affari di suo cugino. I miei uomini si sono già mobilitati e
abbiamo aperto le indagini. Le posso solo dire che se fosse necessario e se avremo
prove a sufficienza, cattureremo quell’animale, può starne certo. Ora, perché non se ne
torna a casa?››
Concluse, facendo un lungo sorso e finendo il caffè. Lasciò i soldi sul bancone e
indossò il cappello, abbassandolo di poco in segno di saluto verso la cameriera. Voltò
le spalle al suo interlocutore e uscì dalla tavola calda, senza dire più nulla.
L’uomo in camicia di jeans borbottò una lamentela e ritornò alla sua birra.
I due moonshiner non poterono fare a meno di ascoltare la conversazione e una volta
andato via lo sceriffo, Frank disse:
‹‹Secondo te è lo stesso orso che ha fatto fuori Turner?››
Bob fece spallucce.
‹‹Probabile. Per fortuna gli orsi non bevono whiskey. Oltre ai soldi domani ci
prendiamo anche le scorte di quel poveraccio di Barry.››
‹‹Oh sì, sarebbe un peccato lasciarle lì a marcire. Ci possiamo fare un bel gruzzolo
vendendole, e senza alzare un dito. Almeno la faticaccia che faremo per rimettere in
sesto quel letamaio di cabina sarà ripagata.››
‹‹Frank, tu e il tuo culo pesante! Mi domando perché sono in affari con te. Su,
paghiamo e torniamocene a casa. Domattina voglio essere lì all’alba.››
I due si diressero al bancone per pagare. L’uomo che aveva parlato poco prima con lo
sceriffo si stava ancora lamentando con la cameriera per gli attacchi agli animali.
‹‹Almeno una decina di persone scomparse negli ultimi anni, nessuna di loro ritrovata.
Spero almeno che con questa faccenda degli attacchi dell’orso Huston riesca a cavare
il ragno dal buco. Mi domando perché abbia ancora il distintivo attaccato alla divisa.››
La cameriera non lo degnò nemmeno di uno sguardo, ma i due moonshiners si
scambiarono uno sguardo eloquente.
Il mattino successivo Bob e Frank si fermarono a fare rifornimento alla stazione di
servizio su West Road. Erano le sette e trenta e il sole era già alto nel cielo. Frank scese
dal furgone, dirigendosi verso la drogheria adiacente. Si fermò all’entrata dando una
pacca sulla spalla della statua a grandezza naturale di un cacciatore dallo sguardo
minaccioso, con una sigaretta che gli penzolava dalle labbra e un fucile imbracciato tra
le mani. Nel toccarlo, la vernice rossa della camicia si scrostò, e alcuni frammenti
caddero a terra.
‹‹Ops! Scusami tanto, amigo!›› disse ghignando ed entrò nel negozio.
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‹‹Buongiorno Joe!›› esclamò, rivolgendosi all’uomo dietro il bancone, intento a
lucidare un grosso coltello da caccia con gli occhi chiusi a fessura. Il fumo della
sigaretta che aveva tra le labbra gli fece lacrimare gli occhi, così si decise a prendere
la sigaretta dalle dita e a scrollarne la cenere sul pavimento. Joe gli fece un cenno di
saluto con la testa, poggiando la lama sotto il bancone e pulendosi le mani su uno
straccio sporco e logoro. Frank cominciò a girovagare tra gli scaffali, agguantando di
tanto in tanto un pacco di patatine e una lattina di birra. Alla fine andò alla cassa con
un paio di fette di torta chiuse in un contenitore di plastica, una confezione da sei di
birra e una grossa busta di patatine al formaggio.
‹‹Ehi Joe, anche due caffè da portar via!››
Mentre il negoziante era di spalle intento a riempire due bicchieroni di plastica di caffè
annacquato, Frank decise di fare due chiacchiere.
‹‹Amico, hai saputo di Turner? È scomparso senza lasciar tracce, o quasi. Ieri siamo
andati alla sua postazione segreta nei boschi. Era praticamente distrutta. Non crederai
mai a cosa c’era nel seminterrato: sangue ovunque, sangue e pezzi di materia informe!
Io e Bob crediamo che l’abbia fatto fuori un orso! Roba da matti!››
Joe si girò, poggiando i due bicchieri sul bancone.
‹‹Basta così?›› chiese brusco.
Il giovane annuì, poi proseguì.
‹‹Insomma che ne pensi? Non dici niente? ››
Domandò con una nota di fastidio nel tono di voce. Joe fece spallucce, accendendosi
un’altra sigaretta, poi esordì:
‹‹Mi dispiace per il vecchio Barry. Purtroppo sono cose che capitano, soprattutto da
queste parti. Maledetti orsi del cazzo! E dire che ne ho fatti fuori almeno sei in questi
ultimi anni.››
Accennò col capo al trofeo dietro di lui, la grande testa di un orso bruno con le fauci
spalancate.
‹‹Il corpo? Lo avete trovato?››
Frank scosse la testa, sollevando il berretto e passandosi una mano sui capelli corti.
‹‹E non lo troverete mai! Come non si troveranno mai le persone scomparse negli
ultimi anni. Lui le ha divorate, o le ha portate nella sua tana, come provviste per
l’inverno.››
‹‹Porca pu…e tu da dove diamine sbuchi?››
Colto dallo spavento Frank per poco non fece cadere i due bicchieri di caffè sul
pavimento. Il negoziante li agguantò in tempo con un’imprecazione molto colorita. A
parlare era stata un’anziana signora, bassa e smunta con una camicetta a fiori che
ricadeva sulle spalle sottili e strette. Portava al collo un crocifisso in legno che
sembrava enorme sul suo petto minuto e pieno di rughe.
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‹‹Non cominciare con le tue solite stronzate, Prudence! Non c’è nessun wendigo,
windigo o come diavolo chiami quel mostro di cui parli sempre! Cosa sei, una fottuta
pellerossa?››
‹‹Hai usato la parola giusta: diavolo. È un demone antico e potente che si ciba degli
esseri umani. È sorprendentemente veloce, forte e ha delle fauci enormi e un corpo
scheletrico ricoperto di ciuffi di pelo scuro. Io l’ho visto, molti anni orsono.››
‹‹Come no, e io sono Bigfoot! Piantala Prudence, paga la tua roba e torna a fare centrini
a casa.››
L’anziana donna si lamentò con un mugugno, ma non proseguì oltre. Pagò il cibo e
prima di uscire si accostò a Frank, posandogli una mano nodosa sul braccio.
‹‹Io l’ho visto. Era poco più di una bambina allora e lui ha portato via mio padre.
Wendigo, Wendigo!››
Ripeté con l’orrore dipinto negli occhi, mentre Frank tentava di scrollarsela di dosso.
Poi di sua spontanea volontà la donna mollò la presa e a testa bassa uscì dalla drogheria.
Frank rivolse uno sguardo interrogativo a Joe, che si portò un dito vicino alla fronte,
facendolo roteare.
‹‹È Prudence la pazza! Lo sappiamo tutti in città, non guardarmi in quel modo. Sembra
che tu creda alle parole di quella vecchia!››
Il negoziante sbottò in una breve risata mentre Frank scuoteva la testa, risentito. Pochi
istanti dopo impazzò il suono di un clacson.
‹‹Me ne vado prima che il vecchio Bob mi faccia il culo a strisce. Ciao Joe.››
Così dicendo tornò con la roba al furgone, pronto a sorbirsi le bestemmie del vecchio
moonshiner.
Dopo circa quindici minuti di imprecazioni, il vecchio Bob si decise a smettere. Finiti
il caffè e la sua fetta di torta, prese a masticare un po’ di tabacco e si zittì, pochi istanti
prima che Frank imboccasse la stradina stretta e accidentata che portava vicino alle
macerie della cabina di legno. Dovevano caricare gli strumenti e i contenitori di
whiskey rimasti tra le assi e nel seminterrato e percorrere a piedi il bosco era fuori
discussione.
‹‹Svelto zuccone, non battere la fiacca! Voglio finire entro mezzogiorno.››
Si lamentò il vecchio Bob, mentre tirava su la prima tanica di Moonshine dalle mani
del giovane che nel frattempo era sceso di sotto. D’improvviso però Frank avvertì un
urlo soffocato e dei rumori di rami spezzati provenire dall’alto. Salì la scaletta di legno
sgangherata per metà, tenendo la tanica poggiata su una spalla e guardò in su. Di Bob
nessuna traccia.
‹‹Ma dove diamine è andato?›› chiese tra sé e sé.
‹‹Bob! Bob! Ehi, Bobby! Mi fanno male le braccia perché non ti sbrighi? Bob,
dannazione!››
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Nessuna risposta, solo il cinguettìo ripetitivo degli uccelli che svolazzavano sui rami
degli alberi. Frank lasciò andare la tanica, asciugandosi col dorso della mano il sudore
che gli colava sulla fronte e continuò a guardare in alto perplesso, aspettandosi che
sbucasse la testa di Bob. Passarono lunghi istanti ma dell’anziano moonshiner nessuna
traccia.
‹‹E va bene, sto salendo, maledizione a te! Guarda che se ti becco a tracannare il
whiskey ti do un bel calcione in quel culo flaccido e rugoso che ti ritrovi.››
Cominciò la salita ma qualcosa precipitò nel buco e per la sorpresa Frank scivolò giù,
cadendo di schiena sul terreno duro con un tonfo sordo e picchiando la testa. Tramortito
dalla botta si massaggiò la testa, tentando di mettersi in piedi e una volta che gli si
schiarì la vista si ritrovò ad un palmo dal naso la testa mozzata del compare che lo
guardava con occhi vitrei e la bocca spalancata in un’espressione agghiacciante.
Disgustato e incredulo si trascinò carponi lontano, arrancando sul terreno, incapace di
parlare o di ragionare lucidamente. Il cuore gli batteva all’impazzata e riuscì soltanto a
rannicchiarsi, terrorizzato, in un angolo. Con la schiena toccò le pareti ancora
imbrattate del sangue di Turner e sussultò alla sensazione di bagnato e appiccicoso.
Lanciò uno sguardo in alto e vide una sagoma guizzare proprio davanti all’ingresso.
‹‹Chi diavolo sei? Eh? Fatti vedere, brutto figlio di puttana! Cosa hai fatto a Bobby?
Te la faccio pagare!››
La minaccia risultò poco convincente a causa della voce tremolante e spaventata.
Maledì se stesso per non essersi portato giù il suo fucile. Ricordava di averlo lasciato
proprio accanto all’entrata, perché gli avrebbe intralciato i movimenti nel passare le
taniche a Bob. Si guardò intorno in cerca di qualcosa con cui difendersi e con un tuffo
al cuore riuscì a scorgere un grosso coltello da caccia appeso ad una delle pareti che
non aveva notato sino a quel momento perché anch’esso era sporco di sangue e si
confondeva col resto del muro. Si precipitò a prenderlo e dopo averlo pulito
strofinandolo sul pantalone, se lo portò alla bocca e salì sulla scala. Una volta su, si
ritrovò solo. Non c’era nessuna traccia dell’assassino e nemmeno del corpo di Bob.
Istintivamente si mise a correre in direzione del furgone mentre un ringhio profondo
risuonò tra la vegetazione. Corse ancora più veloce, senza voltarsi nemmeno una volta
e finalmente riuscì a scorgere il fianco del furgone. Ancora pochi passi e lo avrebbe
raggiunto. Intanto sentiva qualcuno muoversi dietro di lui, o forse sopra, tra i rami. Non
lo riusciva a capire, perché la creatura si muoveva talmente veloce da confondere i suoi
sensi. Stava correndo così in fretta che non riuscì a rallentare e andò a sbattere contro
la portiera della macchina con la spalla. Non avvertì nessun dolore, con tutta
l’adrenalina che gli circolava in corpo. Cercò freneticamente le chiavi nelle tasche e
quando le trovò, per la foga gli scivolarono dalle mani, finendo sotto il furgone. Si
chinò svelto, strisciando e allungando un braccio. Dall’altro lato vide delle zampe
artigliate, enormi e deformi che raspavano sul terreno e sentì un suono gutturale, un
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raglio misto ad un ringhio, vicino, fin troppo vicino. In quel momento ricordò le parole
di Prudence la pazza: Wendigo.
Strinse gli occhi per un millesimo di secondo e quando li riaprì non vide più le zampe.
Si affrettò a recuperare le chiavi e si alzò di scatto, ma non fece in tempo a fiondarsi
nel furgone che un essere mostruoso, ricoperto di pelo e alto almeno due metri,
incombeva su di lui. Si appiattì d’istinto sulla portiera con le fauci dell’essere premute
sul suo collo. In un atto di disperazione sguainò il coltello e lo piantò nel fianco della
creatura che colta alla sprovvista emise un urlo stridulo e orripilante. Frank ne
approfittò per aprire lo sportello del furgone, riuscendo ad entrare nell’abitacolo. Con
le mani tremanti cercò la toppa ma una pioggia di vetri infranti lo colpì in pieno viso,
mentre una mano artigliata lo afferrava dal collo per trascinarlo fuori. Tentò invano di
raggiungere il fucile appoggiato sul cruscotto ma quello scivolò sotto il sedile. Frank
non si arrese e tentò di recuperarlo con un piede, riuscendo a spostarlo quel tanto che
bastava ad allungare una mano per afferrarlo. Serrò le dita intorno alla canna e ghignò
per il sollievo, lo sollevò e premette il grilletto. Il mostro però, veloce com’era, scattò
di lato, evitando la pallottola che si conficcò nel tettuccio del furgone. Per lo stupore
Frank si lasciò scivolare il fucile in grembo, proprio mentre la creatura spalancò le
fauci, pronta a colpire.
‹‹Wendigo…›› fu l’ultima cosa che disse. La creatura gli affondò le fauci nella
clavicola e gli spezzò il collo, scendendo poi a banchettare con le sue interiora. Un
rigagnolo trasparente colò da un barattolo rovesciato e il prezioso Moonshine si
mescolò con sangue e liquidi corporei, scomparendo nel rosso vermiglio della
carneficina.
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