Traduzione di Lewis per il modulo 3 - Dipartimento di Filosofia

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Traduzione di Lewis per il modulo 3 - Dipartimento di Filosofia
David Lewis
REALISMO MODALE
Il testo seguente è costituito quasi per intero da brani dei capitoli 1 e 4 di David
Lewis, On the Plurality of Worlds, Blackwell, Oxford 1986; il § 3 è tratto invece da
D. Lewis, “Counterpart Theory and Quantified Modal Logic”, in Journal of
Philosophy 68 (1971) (ristampato in D. Lewis, Philosophical Papers, vol. 1, Oxford
University Press, Oxford 1983). La traduzione è di Paolo Casalegno; le note
contrassegnate con N.d.T. sono del traduttore.
1. Un paradiso dei filosofi
Il mondo in cui viviamo è una cosa molto inclusiva. Ogni più piccola cosa che
avete mai visto ne è parte. E ne siamo parte voi e io. E ne sono parte la Terra, il
sistema solare, l’intera Via Lattea, le remote galassie che vediamo attraverso il
telescopio, nonché (se ci sono cose del genere) tutti i pezzi di spazio vuoto tra le
stelle e le galassie. Non c’è nulla così lontano da noi da non essere parte del nostro
mondo. Bisogna includere tutto, a qualsiasi distanza. Analogamente il mondo è
inclusivo nel tempo. Nessun antico romano da gran tempo scomparso, nessuno
pterodattilo da gran tempo scomparso, nessuna nube di gas primordiale da gran
tempo scomparsa sono troppo lontani nel passato, né le stelle morte e buie sono
troppo lontane nel futuro, per essere parte dello stesso mondo. Forse, come io credo,
il mondo è un grande oggetto fisico; o forse certe parti di esso sono entelechie o
spiriti o aure o divinità o altre cose sconosciute alla fisica. Ma nulla è di tipo così
alieno da non essere parte del nostro mondo, purché esista a una qualche distanza e in
una qualche direzione da qui, oppure in un qualche tempo precedente o successivo o
simultaneo ad adesso.
Il modo in cui le cose stanno, nel senso più inclusivo, è il modo in cui è fatto
l’intero mondo. Ma le cose avrebbero potuto stare diversamente, in tanti modi.
Questo mio libro avrebbe potuto essere finito entro la data stabilita. Oppure, se io non
fossi stato un individuo così pieno di buon senso, avrei potuto sostenere non solo una
pluralità di mondi possibili, ma anche una pluralità di mondi impossibili. Oppure
avrei potuto non esistere: né io né una mia controparte. Oppure avrebbe potuto non
esserci affatto gente. Oppure le costanti fisiche avrebbero potuto avere valori un po’
diversi, incompatibili con l’emergere della vita. Oppure avrebbero potuto esserci
leggi di natura del tutto diverse; e invece di elettroni e quark avrebbero potuto esserci
particelle aliene, senza carica o massa o spin, ma con proprietà fisiche aliene che
nulla possiede nel nostro mondo. Ci sono tanti modi in cui un mondo potrebbe essere
fatto, e ciascuno di questi tanti modi è un modo in cui un mondo è fatto.
Ci sono altri mondi che sono fatti in altri modi? Io affermo che ci sono.
Sostengo una tesi della pluralità dei mondi, o realismo modale, secondo la quale il
nostro mondo non è che un mondo tra molti. Ci sono innumerevoli altri mondi, altre
cose molto inclusive. Il nostro mondo è costituito da noi e da tutto ciò che ci
1
circonda, per quanto remoto nel tempo e nello spazio; proprio come esso è una grossa
cosa con cose più piccole come sue parti, così, analogamente, gli altri mondi hanno
cose più piccole, appartenenti a questi altri mondi, come loro parti. I mondi sono un
po’ come remoti pianeti; salvo che la maggior parte di essi sono molto più grossi di
meri pianeti e non sono remoti. E non sono neppure vicini. Non sono situati ad una
qualsiasi distanza spaziale da qui. Non sono lontani nel passato o nel futuro e neppure
prossimi; non sono situati ad una qualsiasi distanza temporale da adesso. Sono isolati:
non c’è assolutamente nessuna relazione spaziotemporale tra cose che appartengono a
mondi diversi. E ciò che accade ad un mondo non causa alcunché che accada ad un
altro. Non si sovrappongono: non hanno parti in comune, con l’eccezione, forse, di
universali immanenti che esercitano il loro caratteristico privilegio dell’occorrenza
ripetuta.
I mondi sono molti e vari. Sono in quantità sufficiente da annoverare mondi
dove (parlando approssimativamente) io finisco [il mio libro] entro la data stabilita, o
io scrivo in difesa degli impossibilia, o io non esisto, o non c’è proprio gente, o le
costanti fisiche non consentono la vita, o leggi totalmente diverse governano
particelle aliene con proprietà aliene. In realtà, gli altri mondi sono in quantità tale
che assolutamente ogni modo in cui un mondo avrebbe potuto essere fatto è un modo
in cui un mondo è fatto. E ciò che vale per i mondi vale per le parti di mondo. Ci
sono tanti modi in cui una parte di mondo potrebbe essere fatta; e gli altri mondi sono
così numerosi e vari che assolutamente ogni modo in cui una parte di mondo
potrebbe essere fatta è un modo in cui qualche parte di qualche mondo è fatta.
Gli altri mondi sono dello stesso tipo di questo nostro mondo. Certo, ci sono
differenze di tipo tra cose che sono parti di mondi diversi – un mondo ha elettroni e
un altro non ne ha, uno ha spiriti e un altro non ne ha -, ma queste differenze di tipo
non sono più di quelle che talvolta sorgono tra cose che sono parte di un singolo
mondo, ad esempio in un mondo dove gli elettroni coesistano con gli spiriti. La
differenza tra questo mondo e gli altri non è una differenza categoriale.
E questo mondo non differisce dagli altri neppure per il suo modo di esistere.
Non ho la minima idea di che cosa mai potrebbe essere una differenza nel modo di
esistere. Certe cose esistono qui sulla Terra, altre cose esistono al di fuori della Terra,
magari alcune esistono in nessun luogo in particolare; ma questa non è una differenza
nel modo di esistere, solo una differenza nella locazione o nella mancanza di
locazione tra cose che esistono. Analogamente, certe cose esistono qui al nostro
mondo, altre esistono ad altri mondi; anche in questo caso, io considero questa una
differenza tra cose che esistono, non una differenza nel loro esistere. Voi potreste dire
che, in senso stretto, solo le cose di questo mondo esistono realmente; e io sono
pronto a dichiararmi d’accordo; ma secondo me questo senso “stretto” è un senso
ristretto, come quando si dice che tutta la birra è nel frigorifero e si ignora la maggior
parte della birra che c’è. Quando quantifichiamo su meno di tutto ciò che c’è,
lasciamo fuori cose che (parlando in modo non ristretto) esistono simpliciter. Se ho
ragione, le cose degli altri mondi esistono simpliciter, anche se spesso è del tutto
ragionevole ignorarle e quantificare solo su quelle che appartengono al nostro mondo.
E, se ho torto, e cose degli altri mondi non esistono simpliciter. Esistono […] solo
2
secondo una teoria falsa. Questo non significa che esistono in un qualche senso
inferiore: ciò che esiste solo secondo una teoria falsa non esiste affatto.
I mondi non sono una nostra creazione. Può succedere che una parte di un
mondo crei altre parti, come facciamo noi, e come gli dei e i demiurghi di altri mondi
fanno su più vasta scala. Ma, se i mondi sono causalmente isolati, nulla che sia
esterno a un mondo crea mai un mondo; e nulla che sia interno crea il mondo nella
sua interezza, perché questo sarebbe una tipo impossibile di autocausazione. Noi
creiamo linguaggi e concetti e descrizioni e rappresentazioni immaginarie che si
applicano ai mondi. Facciamo stipulazioni che selezionano certi mondi piuttosto che
altri come oggetto della nostra attenzione. Ma nessuna delle cose che noi facciamo
sono i mondi stessi.
Perché credere in una pluralità di mondi? Perché l’ipotesi è utile, e questa è una
ragione per pensare che sia vera. La familiare analisi della necessità come verità in
tutti i mondi possibili non è stata che l’inizio. Negli ultimi due decenni, i filosofi
hanno proposto molte altre analisi che fanno riferimento ai mondi possibili o agli
individui possibili che abitano i mondi possibili. I risultati conseguiti mi sembrano
impressionanti. Credo sia chiaro che il parlare di possibilia ha chiarito questioni in
molte parti della filosofia della logica, della mente, del linguaggio e della scienza –
per non menzionare la stessa metafisica. Spesso anche coloro che ufficialmente
irridono non sanno resistere alla tentazione di servirsi, con imbarazzo, di questo utile
modo di parlare.
Hilbert1 definì l’universo insiemistico un paradiso per i matematici. E aveva
ragione […]. Basta che crediamo nella vasta gerarchia degli insiemi e lì troviamo
entità adatte alle esigenze di tutte le branche della matematica; e scopriamo che il
vocabolario primitivo, molto ridotto, della teoria degli insiemi, esteso per mezzo di
definizioni è sufficiente a soddisfare tutte le esigenze di predicati matematici; e
scopriamo che i pochi assiomi della teoria degli insiemi sono principi primi che
bastano a dare tutti i teoremi che costituiscono il contenuto della disciplina. La teoria
degli insiemi offre ai matematici una grande economia di concetti primitivi e di
premesse, in cambio dell’accettazione di un bel po’ di entità sconosciute all’Homo
javanensis. […] E’ un’offerta che non si può rifiutare. Il prezzo è equo: i benefici in
termini di unità ed economia teorica valgono certamente [l’accettazione
dell’esistenza di] quelle entità. Magari ai filosofi piacerebbe che la disciplina fosse
ricostruita o reinterpretata; ma i matematici di professione continuano a praticare la
loro disciplina in paradiso e non se ne lasceranno cacciare. La loro tesi della pluralità
degli insiemi è fruttuosa; ciò dà loro una buona ragione per credere che sia vera.
[…]
Come il regno degli insiemi lo è per il matematico, così lo spazio logico [dei
mondi possibili] è un paradiso per i filosofi. Basta che crediamo in un vasto regno di
possibilia, e lì troviamo ciò che ci serve per far progredire le nostre ricerche.
Troviamo l’occorrente per ridurre la varietà di nozioni che dobbiamo accettare come
1
[David Hilbert (1862-1943), insigne matematico tedesco. N.d.T.]
3
primitive e quindi per migliorare l’unità ed economicità della teoria [filosofica]. Qual
è il prezzo del paradiso? Se vogliamo i benefici teorici che arreca il parlare di
possibilia, il modo più diretto per acquisire un onesto diritto a goderne consiste
nell’accettare tale modo di parlare come verità letterale. E’ mia opinione che il prezzo
sia equo, anche se meno spettacolarmente che nel corrispondente caso matematico. I
benefici valgono il loro costo ontologico. Il realismo modale è fruttuoso: questo ci
fornisce una buona ragione per credere che sia vero.
[…]
[2.] Attualità2
Io dico che il nostro è uno tra molti mondi. Il nostro è il mondo attuale; gli altri
non sono attuali. Perché? Ritengo che sia una banale questione di significato. Io uso
la parola “attuale” con lo stesso significato di “di questo mondo”. Quando la uso io,
si applica al mio mondo e ai miei compagni di mondo: a questo mondo di cui noi
siamo parte e a tutte le parti di questo mondo. E se la usa qualcun altro, sia che si
tratti di un nostro compagno di mondo sia che si tratti di un individuo non attuale,
allora (purché la intenda come la intendiamo noi) si applica analogamente al suo
mondo e ai suoi compagni di mondo. Altrove ho chiamato questa l’”analisi indicale”
dell’attualità e l’ho formulata come segue:
Suggerisco che “attuale” e le parole imparentate a questa debbano essere analizzate come
termini indicali: termini il cui riferimento varia in dipendenza degli aspetti rilevanti del contesto di
proferimento. L’aspetto rilevante del contesto, per il termine “attuale”, è il mondo nel quale un dato
proferimento è effettuato. Secondo l’analisi indicale che propongo, “attuale” (nel suo senso
primario) si riferisce in qualsiasi mondo w al mondo w. “Attuale” è analogo a “presente”, un
termine indicale il cui riferimento varia in dipendenza di un diverso aspetto del contesto: “presente”
si riferisce in qualsiasi tempo t al tempo t. “Attuale” è analogo anche a “qui”, “io”, “tu”, “questo” e
“summenzionato”: termini indicali che dipendono per il loro riferimento rispettivamente dal luogo,
dal parlante, dall’interlocutore cui il parlante si rivolge, i gesti di indicazione del parlante e il
discorso che precede. (“Anselm on Actuality”, pp. 184-5).
Questo rende l’attualità una faccenda relativa: ciascun mondo è attuale
relativamente a se stesso, e quindi tutti i mondi sono sullo stesso piano. Questo non
vuole dire che tutti i mondi sono attuali: non c’è nessun mondo al quale ciò sia vero,
così come non c’è nessun tempo al quale tutti i tempi siano presenti. […]
Data la mia accettazione della pluralità dei mondi, la relatività è inevitabile. Non
conosco nessuna alternativa praticabile. Perché supponiamo invece che un unico
mondo sia assolutamente attuale. C’è una qualche prerogativa speciale che solo quel
mondo possiede, non relativamente ai suoi abitanti o a qualcos’altro ma simpliciter.
2
[“Actuality” e “actual” sono qui tradotti, rispettivamente, con “attualità” e “attuale”, che però
devono essere intesi non nel consueto senso temporale, bensì come sinonimi di “realtà” e di “reale”.
N.d.T.]
4
Non ho idea di come questa presunta prerogativa assoluta potrebbe essere compresa,
ma procediamo come se la comprendessimo. Formulo [un’obiezione].
[L’obiezione] riguarda il nostro sapere di essere attuali. [… U]n mondo solo è il
nostro, è questo, è quello di cui siamo parte. Che bel colpo di fortuna per noi se
proprio il mondo di cui siamo parte è l’unico che sia assolutamente attuale! Di tutta la
gente che c’è in tutti i mondi, la grande maggioranza è condannata a vivere in mondi
che sono privi di attualità assoluta, ma noi siamo i pochi privilegiati. Che ragione
potremmo mai avere per pensare che è così? Come potremmo saperlo? I dollari non
attuali comperano comunque pane non attuale, e così via. Eppure noi sappiamo con
sicurezza che il mondo di cui siamo parte è il mondo attuale: con la stessa sicurezza
con cui sappiamo che il mondo di cui siamo parte è il mondo di cui siamo parte.
Come potrebbe questa essere conoscenza del fatto che noi siamo i pochi eletti?
[3. La relazione di controparte]
La relazione di controparte è il nostro sostituto per l’identità tra cose in mondi
diversi. Mentre alcuni direbbero che tu sei in parecchi mondi, nei quali hai proprietà
in certa misura diverse e ti capitano cose in certa misura diverse, io preferisco dire
che tu sei nel mondo attuale e in nessun altro, ma che hai controparti in parecchi altri
mondi. Le tue controparti ti somigliano molto, per contenuto e contesto, sotto aspetti
importanti. Ti somigliano più di quanto ti somiglino le altre cose nei loro mondi. Ma
non sono davvero te. Perché ciascuna di loro è nel suo proprio mondo, e solo tu sei
qui nel mondo attuale. Potremmo anche dire, parlando in modo approssimativo, che
le tue controparti sono te in altri mondi, che loro e tu siete la stessa cosa; ma […]
sarebbe meglio dire che le tue controparti sono individui che tu saresti stato se il
mondo fosse stato fatto altrimenti.
[4. Controparti e modalità de re]
Partiamo da qualcosa che è parte di questo mondo: Hubert Humphrey,3 diciamo.
Costui avrebbe potuto conquistare la presidenza [degli Stati Uniti] ma non l’ha fatto:
quindi soddisfa la formula modale ‘possibilmente x vince’, ma non la formula ‘x
vince’. Interpretando il rombo come un quantificatore su mondi, questo significa che
c’è qualche mondo W tale che, a W, costui soddisfa ‘x vince’. Ma come fa, se non è
neanche parte di W?
Si potrebbe rispondere che è parte di W così com’è parte di questo mondo. [Ma,
come si è visto nel paragrafo precedente, io rifiuto questa idea.] Perciò […]
dobbiamo dire che Humphrey non ha bisogno di essere parte di un mondo per
3
[Uomo politico statunitense. Fu vicepresidente durante la presidenza di Lyndon Johnson.
Candidato democratico alle elezioni presidenziali del 1970, fu battuto dal repubblicano Richard
Nixon. N.d.T.]
5
soddisfare una formula lì; c’è un mondo dove in qualche modo soddisfa ‘x vince’ in
absentia.[…] Soddisfare in absentia vuole dire soddisfare tramite un sostituto:
Humphrey soddisfa ‘x vince’ tramite un sostituto ad ogni mondo in cui ha una
controparte che vince.
[5. Perché mondi diversi non contengono mai uno stesso individuo?]
Il modo più semplice in cui una parte di un altro mondo potrebbe rappresentare
Humphrey – il nostro Humphrey – è tramite identità. Lui potrebbe condurre una
doppia vita, in due mondi contemporaneamente. Proprio lui, che è parte del mondo
attuale, potrebbe essere parte anche dell’altro mondo. Potrebbe essere una parte in
comune di entrambi, allo stesso modo in cui una mano condivisa potrebbe essere una
parte in comune di due gemelli siamesi. […] Questo condurre doppie vite è ciò cui
meglio si attaglia il termine “identità transmondana” [trans-world identity].
[…] Tuttavia l’identità transmondana, nel senso di una sovrapposizione di
mondi, deve essere rifiutata [come già si è detto nei paragrafi precedenti]. […] Il mio
problema principale non riguarda la sovrapposizione in quanto tale. Data la
mereologia4 senza restrizioni che io prediligo, la condivisione di parti è una
situazione comunissima. In realtà, qualsiasi parte di qualsiasi mondo è parte di
innumerevoli somme mereologiche che si estendono al di là del mondo. Ma ciò che
trovo problematico – incoerente, per non usare mezze parole – è il modo in cui la
presunta parte in comune di due mondi dovrebbe avere proprietà diverse in un mondo
e nell’altro.
Hubert Humphrey ha una certa taglia e una certa forma, ed è composto di parti
sistemate in un certo modo. La sua taglia, la sua forma e la sua composizione gli sono
intrinseche. Dipendono semplicemente dal modo in cui è fatto. Non dipendono da
relazioni con altre cose che gli stanno intorno in questo mondo. Pertanto differiscono
da sue proprietà estrinseche come essere popolare, essere vicepresidente degli Stati
Uniti, indossare un copricapo di pelliccia, vivere su un pianeta con una luna, o abitare
un mondo in cui nulla viaggia più veloce della luce. Inoltre, la sua taglia, la sua forma
e la sua composizione sono sue proprietà accidentali, non essenziali. Avrebbe potuto
essere più alto, avrebbe potuto essere più magro, avrebbe potuto avere un numero
maggiore o minore di dita per mano.
4
[La mereologia è la teoria delle relazioni che intercorrono tra un oggetto e le parti che lo
compongono (il termine “mereologia” fu introdotto negli anni Venti dal filosofo e logico polacco
Stanislaw Lesniewski). Lewis dice di prediligere una mereologia “senza restrizioni” perché ritiene
che, data una qualsiasi collezione di oggetti (non importa se eterogenei, o lontani nello spazio e nel
tempo, o addirittura appartenenti a mondi diversi), sia legittimo dire che c’è un oggetto complesso
le cui parti sono gli oggetti di tale collezione. N.d.T.]
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Consideriamo quest’ultima possibilità. Avrebbe potuto avere sei dita nella mano
sinistra. C’è qualche altro mondo che lo rappresenta così. Stiamo assumendo che la
rappresentazione de re funzioni per identità transmondana. Quindi Humphrey, che è
parte di questo mondo e qui ha cinque dita nella mano sinistra, è anche parte di
qualche altro mondo e lì ha sei dita nella mano sinistra. In quanto parte di questo
mondo ha cinque dita, in quanto parte di quel mondo ne ha sei. Proprio lui – sempre
lo stesso, esattamente identico – ha cinque dita nella mano sinistra, e non ne ha
cinque bensì sei. Come è possibile ciò? Sarebbe come dire che la mano in comune dei
gemelli siamesi ha cinque dita in quanto mano di Leo, ma che ha sei dita in quanto
mano di Teo! E’ un modo di esprimersi ingannevole, una contraddizione. Ecco qua la
mano. Lasciamo perdere di che cos’altro è parte. Quante dita ha? Qual è la sua
forma?
[…]
Mi aspetto una protesta: anche se sarebbe contraddittorio dire, semplicemente,
che Humphrey ha cinque dita nella mano sinistra e inoltre che non ne ha cinque ma
sei, non è questo che si è detto. Ne ha cinque in questo mondo; ne ha sei in quel
mondo. – Ma come fanno a essere d’aiuto questi modificatori avverbiali [cioè “in
questo mondo” e “in quel mondo”]? Ci sono diversi modi, per i modificatori
avverbiali, di rimuovere una contraddizione. Ma nessuno di essi si applica al nostro
caso.
(1) Se una torre è quadrata al terzo piano e rotonda al quarto piano, nessun
problema: il fatto è, semplicemente, che un segmento differisce da un altro quanto a
forma della sezione orizzontale. I modificatori avverbiali [“al terzo piano”, “al quarto
piano”] ci inducono a considerare le forme dei segmenti, non della torre tutta intera.
Ma la tesi che stiamo considerando è che tutto Humphrey sia parte di vari mondi, con
proprietà diverse a mondi diversi. E’ proprio l’identità transmondana che rende
impraticabile questa via d’uscita.
(2) Se un uomo è onesto secondo il News e disonesto secondo il Times, nessun
problema: giornali diversi raccontano storie diverse su di lui, lo rappresentano
diversamente, e almeno uno di essi è in errore. Ma la tesi che stiamo considerando è
[…] che Humphrey ha una proprietà secondo un mondo per il fatto che Humphrey,
proprio lui, avendo quella proprietà è parte di quel mondo.
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(3) Se un uomo è padre di Leo e figlio di Meo, nessun problema; costui sta in
relazioni diverse con individui diversi, e le proprietà estrinseche che ha di
conseguenza – essere un padre, essere un figlio – sono compatibili. Analogamente se
l’uomo più saggio del villaggio non è l’uomo più saggio della nazione. Ma il nostro
problema non riguarda le relazioni di Humphrey con le cose che gli stano intorno
nell’uno o nell’altro mondo. Ci stiamo occupando piuttosto della sua natura
intrinseca, e le uniche relazioni rilevanti a questo fine sono quelle che intercorrono tra
le sue parti. (E se lui è parte di due mondi, anche le sue parti lo sono.) Se voi dite che
Humphrey ha cinque dita in questo mondo e sei in quell’altro, e se ritenete che i
modificatori [cioè “in questo mondo” e “in quell’altro mondo”] sanino la
contraddizione, probabilmente intendete suggerire che avere cinque dita oppure sei
non è dopo tutto una proprietà intrinseca, ma una relazione. […] Quindi, la cosa
giusta da dire sarebbe che Humphrey sta nella relazione cinque-dita con questo
mondo e nella relazione sei-dita con quell’altro. Lo si potrebbe dire anche inventando
dei verbi transitivi: [Humphrey] cinquediteggia questo mondo, ma seiditeggia
quell’altro. Ma che cosa sono queste relazioni? […] Se dite che una forma – la
sfericità, o l’avere cinque dita – è ciò che abbiamo sempre pensato che fosse, salvo
che è una relazione che qualcosa può avere con alcuni ma non con tutti i complessi di
cui è parte, non funziona. Che cosa vorrebbe mai dire cinquediteggiare una cosa
mentre se ne seiditeggia un’altra? Come possono queste presunte relazioni essere la
forma di qualcosa?
Non possono esserlo; e così non c’è soluzione. Se davvero Humphrey – proprio
lui, lui tutto intero – deve condurre una doppia vita come parte di due mondi diversi,
non c’è nessun modo intelligibile in cui le sue proprietà intrinseche possano differire
da un mondo all’altro. E non basta dichiarare, quando sappiamo bene che non è così,
che cose come la sua taglia, la sua forma e la sua composizione non sono dopo tutto
sue proprietà intrinseche.
Chiamiamo questo problema problema degli intrinseci accidentali. Esso non
sorgerebbe per le proprietà essenziali di Humphrey, per quanto intrinseche. Infatti, il
problema è come[Humphrey] possa avere proprietà diverse in quanto parte di mondi
diversi, e nel caso delle proprietà essenziali non c’è nessuna variazione di cui
preoccuparsi. […]
Il problema non sorgerebbe neppure per le proprietà estrinseche di Humphrey,
per quanto accidentali. [… Humphrey] è correlato a ciò che lo circonda, e noi non
stiamo assumendo che ciò che lo circonda resti lo stesso da mondo a mondo. Magari
possiede quattro cani che sono parti di questo mondo, e possiede solo tre cani che
sono parti di quell’altro mondo. E’ così che la proprietà estrinseca accidentale di
possedere quattro cani è una proprietà che lui ha in questo mondo, ma che non ha in
quell’altro mondo di cui è pure parte.
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