Il ruolo della cooperazione internazionale nella

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Il ruolo della cooperazione internazionale nella
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE SOCIALI PER LO
SVILUPPO
Classe 40
Facoltà di Scienze Politiche
Università di Cagliari
TITOLO
Il ruolo della cooperazione internazionale nella promozione
dell’empowerment femminile in alcuni Paesi del Sud del mondo
Analisi di alcuni Progetti socio-educativo-sanitari in Cameroun, Guinea
Equatoriale, Marocco
RELAZIONE FINALE
di
Simonetta Murtas
Docente Relatore
Prof.ssa Anna Maria Oppo
Anno Accademico 2005-2006
Ringraziamenti
Desidero ringraziare anzitutto la Prof.ssa Oppo, Docente Relatore, per l’entusiasmo
con cui ha accolto la proposta della mia tesi di laurea, per avermi seguito con
dedizione durante tutta la preparazione e stesura della stessa, e per i consigli
elargitimi sulla bibliografia.
Desidero altresì ringraziare tutto il personale dell’Organismo Sardo di Volontariato
Internazionale Cristiano(Osvic), per avermi accolto nella propria Organizzazione in
occasione del tirocinio formativo, per tutte le esperienze formative che ho potuto
svolgere da quando sono in contatto con essa, per la disponibilità inerente al copioso
materiale di ricerca che mi è stato dato in consultazione, indispensabile per la
realizzazione della suddetta tesi. In particolare vanno i miei più caldi ringraziamenti
alla Presidente dell’Osvic, la dott.ssa Maria Colomba Cabras, che mi ha
particolarmente sostenuto durante la stesura del quarto capitolo della tesi, dandomi
rilevanti informazioni in merito all’ Osvic e ai Progetti da questo realizzati.
Un ringraziamento è doveroso anche nei confronti dell’Ersu, che in collaborazione con
la Regione Autonoma della Sardegna, mi ha dato l’opportunità di realizzare la
suddetta tesi, grazie alla Borsa di Studio conferitami tramite vincita del “Bando di
Concorso per il conferimento di Borse di studio in favore di giovani che svolgano tesi
di laurea sui problemi della cooperazione allo sviluppo e della collaborazione
internazionale, A.A. 2005/2006”, senza la quale non avrei mai potuto svolgere un
lavoro e una ricerca così approfonditi in merito agli argomenti che verranno ora
discussi in questo elaborato.
Simonetta Murtas
2
INDICE
•
Introduzione
•
CAP. 1: La cooperazione allo sviluppo
1.1.
1.2.
1.3.
1.4.
1.5.
1.6.
1.7.
1.8.
•
CAP. 2: Gli obiettivi internazionali per l’ empowerment femminile
2.1.
2.2.
2.3.
2.4.
•
La cooperazione internazionale e il ruolo dell’ educazione allo
sviluppo;
La cooperazione allo sviluppo: definizione, origine e motivazioni;
Gli attori della cooperazione internazionale allo sviluppo;
La cooperazione della Commissione Europea;
La Dichiarazione del Millennio;
Le sfide per il raggiungimento degli MDG;
La cooperazione italiana;
Gli attori della cooperazione italiana;
Il significato del termine empowerment;
Il Terzo Obiettivo del Millennio;
Le Conferenze;
La Conferenza di Monterrey;
CAP. 3: Situazione socioeconomica e politica dei Paesi oggetto di
studio e principali parametri dei rapporti di genere in Marocco,
Camerun e Guinea Equatoriale
3.1.
3.2.
Marocco, Camerun, Guinea Equatoriale: aspetti storico politici,
socioeconomici, demografici;
Analisi dei principali parametri dei rapporti di genere in Marocco,
Camerun, Guinea Equatoriale;
•
CAP. 4: L’ empowerment nei Progetti di sviluppo dell’ O.S.V.I.C.
(Organismo Sardo di Volontariato Internazionale Cristiano)
•
Conclusioni
•
Bibliografia
3
Introduzione
Il seguente scritto ha ad oggetto lo studio di alcune tematiche inerenti la
cooperazione internazionale. In particolare si sofferma sull’analisi del come la
cooperazione internazionale operi nel favorire la promozione dell’empowerment
femminile in alcuni Paesi del sud del mondo. Più precisamente, saranno principale
argomento di discussione di questa tesi, Paesi quali il Marocco, il Camerun e la Guinea
Equatoriale, e i Progetti realizzati per favorire il loro sviluppo, sebbene nella parte
finale verrà citato molto brevemente anche il Kenia.
Il cap. 1 verterà fondamentalmente sulla cooperazione allo sviluppo e le
problematiche ad essa connesse. Verrà analizzata in particolare l’importanza
dell’educazione allo sviluppo nell’ambito della cooperazione internazionale, verrà data
una definizione completa di cooperazione allo sviluppo e si discuterà delle origini e
motivazioni che stanno alla base della sua attuazione, per poi inquadrare gli attori della
cooperazione internazionale allo sviluppo e il loro operato.
Inoltre verrà data particolare importanza alla Dichiarazione del Millennio e al
Vertice del Millennio realizzatosi a New York nel Settembre 2000, sotto l’ egida dell’
ONU, nel quale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, adottando proprio la sopra
citata Dichiarazione, ha stabilito alcuni obiettivi considerati prioritari nella lotta alla
povertà, verso il perseguimento dei quali dovranno orientarsi gli sforzi di tutti i
Governi e di tutte le principali Istituzioni internazionali per il Nuovo Millennio. Brevi
cenni verranno fatti anche in merito alle principali sfide che si trovano a fronteggiare
Pvs e paesi donatori, e cercheremo di capire quali sono le condizioni necessarie
affinché la cooperazione allo sviluppo possa contribuire al raggiungimento degli MDG.
Infine si parlerà della Cooperazione italiana e degli attori della cooperazione
italiana, avendo un occhio di riguardo per la legge nazionale attualmente in vigore , la
Nuova disciplina della cooperazione dell’ Italia con i paesi in via di sviluppo (legge
49/1987), che tutt’ oggi costituisce l’impianto normativo della cooperazione italiana.
Verrà poi presa in esame la normativa sarda per quanto riguarda tale materia, che si
esplica con una legge ad hoc: la legge Regionale 11 aprile 1996, n° 19, su Norme in
materia di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e di collaborazione
internazionale. Tale legge ha la finalità, come è chiaramente definito dall’Art 1,
comma 1, “….di promuovere la cultura della pace e della solidarietà tra i popoli, specie
nell’ ambito della regione mediterranea…”, e a questo scopo, la Regione Sardegna,
“partecipa alle attività di cooperazione allo sviluppo ed ai progetti di collaborazione
internazionale, in conformità ai principi contenuti nella legislazione statale, nonché
negli atti internazionali e comunitari in materia”.
Nel cap. 2 si approfondirà invece il significato del termine empowerment, in
particolare dell’empowerment femminile, e verranno discussi gli obiettivi
internazionali per l’empowerment femminile; in particolare si parlerà del Terzo
Obiettivo del Millennio che si interessa di promuovere l’Eguaglianza tra i sessi e
l’empowerment delle donne. Verranno inoltre citate anche le varie Conferenze che
hanno avuto origine a partire dalla seconda metà del 1900 e hanno avuto ad oggetto il
rispetto dei diritti umani e l’importanza dello sviluppo umano. In particolare si
accennerà alla Conferenza sulla popolazione di Bucarest del 1974, alla Conferenza del
Messico del 1984, alla Conferenza mondiale sui diritti umani (Vienna, 1993), mentre
trattazione più approfondita avranno la Conferenza internazionale su popolazione e
sviluppo (Cairo, 1994) e la quarta Conferenza mondiale sulle donne (Pechino, 1995),
che hanno svolto un ruolo centrale nella modifica dei paradigmi che regolano le
politiche sulla popolazione. Inoltre si parlerà in modo abbastanza approfondito della
Conferenza delle Nazioni Unite sul finanziamento dello sviluppo, svoltasi a Monterrey,
4
Messico, nel marzo 2002, con la partecipazione di Capi di Stato e di Governo dei paesi
membri, conclusasi con l’ adozione di una risoluzione, definita il “Consenso di
Monterrey”, che contiene l’ insieme degli impegni per i diversi soggetti coinvolti nelle
politiche per lo sviluppo (governi dei paesi sviluppati, governi dei Pvs, organizzazioni
internazionali, organizzazioni della società civile, settore privato).
Nel cap. 3, verrà brevemente esposta la situazione socio economica e politica nei
quali si trovano i principali Paesi oggetto di studio, con particolare attenzione anche
all’ aspetto storico. Una volta elaborato un breve quadro generale della situazione di
questi paesi, si andranno ad analizzare i principali parametri dei rapporti di genere
esistenti al loro interno, e ciò verrà fatto tramite l’utilizzo di svariati e importanti
indicatori. Verranno presi in esame: gli INDICATORI DI MORTALITA’, in particolare
mortalità infantile, l’aspettativa di vita maschile e femminile alla nascita e il tasso di
mortalità materna, gli INDICATORI DI ISTRUZIONE, e tra questi prenderemo in esame i
tassi complessivi di iscrizione maschile e femminile alla scuola elementare, i tassi
complessivi di iscrizione maschile e femminile alla scuola secondaria e analizzeremo l’
analfabetismo tra adulti, maschi e femmine, e gli INDICATORI DELLA SALUTE
RIPRODUTTIVA. Tra questi prenderemo in esame innanzitutto le nascite per 1000 donne
di età compresa fra i 15 e i 19 anni, il tasso totale di fecondità (2005) e la percentuale di
nascite con assistenza qualificata, il tasso di prevalenza dell’ HIV, M/F, 15-49 anni e la
diffusione dei contraccettivi, facendo una distinzione tra l’ utilizzo di qualsiasi metodo
e dei metodi più moderni.
Nel cap. 4, infine, verrà analizzato l’ operato di una importante ONG sarda:
l’Organismo Sardo di Volontariato Internazionale Cristiano (OSVIC), che si occupa e
si è occupata, nei diversi Progetti realizzati nel corso degli anni, della promozione della
donna, e da sempre mette in atto Progetti di carattere socio-educativo-sanitario. In
particolare vedremo i diversi Progetti che l’ Organismo ha realizzato in Marocco,
Camerun e Guinea Equatoriale, e citeremo brevemente un Progetto realizzato in Kenia,
che pur non avendo come finalità principale il favorire il processo di empowerment
femminile, tuttavia incide in maniera molto forte su esso.
5
Capitolo 1
La cooperazione allo sviluppo
1.1 La cooperazione internazionale e il ruolo dell’ educazione allo
sviluppo
Quando si parla di cooperazione internazionale, è necessario specificare come
questa attività sia strettamente connessa allo sviluppo e alle problematiche che ruotano
intorno ad esso. Infatti, affinché si possa meglio comprendere l’operato di coloro che si
occupano di cooperazione internazionale, è necessario attribuire una notevole
importanza ad una mirata "educazione allo sviluppo” della società civile, in modo
anche da sensibilizzare in maniera efficace l’opinione pubblica in merito agli ambiti di
intervento che la cooperazione stessa comporta a livello globale, ma anche locale, alle
loro modalità e al contributo che la società civile stessa può donare.
La società infatti dovrebbe essere educata ad una maggiore conoscenza dell’operato
della cooperazione internazionale, poiché, sebbene il supporto dell’opinione pubblica
nei confronti di essa sia stato costantemente elevato negli ultimi venti anni, i cittadini
hanno spesso una consapevolezza limitata delle problematiche dello sviluppo, tendendo
a identificare la cooperazione con l’assistenza umanitaria in caso di crisi, e hanno solo
una vaga idea circa la politica di cooperazione attuata dal proprio governo. Il rischio
più grande è infatti quello che, finiti i grandi meeting internazionali e i concerti di
solidarietà, i problemi allo sviluppo vengano relegati in un secondo piano.
Occorrerebbe quindi, che venisse attuato un concreto supporto e controllo democratico
da parte dell’opinione pubblica sull’operato del governo in materia di cooperazione,
coerenza e mantenimento degli impegni presi, in modo che l’attenzione ai problemi
dello sviluppo non sia unicamente una moda passeggera.
Tuttavia, sfortunatamente, temi quali la liberalizzazione commerciale e la
promozione del settore privato, la lotta alla corruzione, il rafforzamento delle capacità
umane e istituzionali nei Pvs, ricevono poca attenzione da parte del cittadino medio. E,
secondo un sondaggio, gran parte dei cittadini intervistati sovrastima l’apporto
finanziario del proprio governo alla Politica di cooperazione allo sviluppo1. Da questo,
possiamo dedurre come la capacità della società civile di fungere da stimolo e controllo
dell’azione pubblica sia fortemente limitata, riducendo così drasticamente la
trasparenza, la legittimità e l’efficacia di tale azione. Un’opinione pubblica più
consapevole garantirebbe infatti una maggiore attenzione dei governi ai problemi dello
sviluppo, e un maggior sostegno alle agenzie di cooperazione nell’ affermare la propria
agenda politica in tal senso al proprio governo.
Da parte loro, le agenzie di cooperazione hanno oggettive difficoltà a comunicare ed
educare l’opinione pubblica in merito a queste tematiche. C’è poco dibattito pubblico,
mentre l’educazione allo sviluppo in ambito scolastico stenta ad affermarsi e spesso è
affidata ad interventi estemporanei di volontari. Per migliorare la consapevolezza sulle
problematiche dello sviluppo e rafforzare il supporto dell’opinione pubblica, sarebbe
necessario aumentare i fondi destinati alle campagne di sensibilizzazione ed
educazione allo sviluppo, ma non solo. Occorrerebbe anche migliorare la qualità degli
interventi e, soprattutto, inserire in maniera più organica l’educazione allo sviluppo nei
programmi scolastici. La scuola dovrebbe offrire agli studenti la possibilità di
approfondire questi temi e di sviluppare un’opinione critica. Maggiore attenzione,
inoltre, dovrebbe essere dedicata alla conoscenza, rispetto e valorizzazione delle
1
: Dei due terzi degli intervistati, che affermano di avere un’ idea della spesa in cooperazione, la metà colloca questa cifra fra l’ 1
e il 10% del reddito nazionale, l’altra metà, più realisticamente, al di sotto dell’ 1%.
6
differenze, alla difesa dei diritti umani, all’analisi dell’interdipendenza globale e al
rispetto dell’ambiente.2
1.2 La cooperazione allo sviluppo: definizione, origine e motivazioni
Possiamo definire la politica di cooperazione allo sviluppo (Pcs) come l’insieme di
politiche attuate dal governo, o da un’istituzione multilaterale, che mirano a creare le
condizioni necessarie per lo sviluppo economico e sociale duraturo e sostenibile in un
altro paese. Tali politiche, possono essere messe in pratica da organizzazioni
governative, nazionali o internazionali, o da organizzazioni non governative (ONG).
Elemento fondamentale della Politica di cooperazione allo sviluppo è il
trasferimento di risorse verso i paesi bisognosi, l’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps).
L’aiuto pubblico allo sviluppo è costituito da risorse finanziarie pubbliche, sotto forma
di doni o di prestiti a tasso agevolato, erogate con la finalità di sopportare lo sviluppo
economico del recettore, e da assistenza tecnica. Non rientrano nell’ Aps i prestiti o
l’assistenza a carattere militare. Per essere classificato come Aps, un trasferimento (in
moneta o in natura), deve soddisfare quattro requisiti: il donatore deve essere pubblico,
il destinatario deve essere un Pvs, la finalità principale del trasferimento deve essere la
promozione dello sviluppo, il finanziamento deve essere un dono o un prestito erogato
a condizioni privilegiate.
Occorre poi fare due precisazioni: innanzitutto la Pcs non è l’unico strumento
attraverso il quale i paesi industrializzati incidono sulle possibilità di sviluppo degli
altri paesi. Inoltre, l’Aps non è la sola fonte di risorse finanziarie per lo sviluppo. Ad
essa si accompagnano infatti, i mezzi propri dei paesi partner – in forma di risparmio
nazionale o di reddito da esportazioni –, le rimesse degli emigrati e i flussi di
investimento all’estero. Per quanto riguarda le origini della Pcs, si può affermare che la
necessità di sopperire alla scarsità di risorse finanziarie nei paesi meno sviluppati, è
stata ( e per molti versi lo è ancora), la principale giustificazione per la creazione della
Pcs. La nascita della Pcs viene generalmente fatta coincidere con i piani di
ricostruzione postbellica e la creazione del sistema delle Nazioni Unite. Infatti, gran
parte delle istituzioni e degli strumenti che caratterizzano il panorama odierno della
cooperazione allo sviluppo sono stati creati negli anni immediatamente successivi alla
Seconda guerra mondiale. In particolare:
La Banca per la ricostruzione e lo sviluppo (parte del gruppo della
Banca Mondiale);
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI);
L’Organizzazione per la cooperazione economica europea, responsabile
della gestione del Piano Marshall per la ricostruzione dell’ Europa.
Quest’ultima sarà trasformata nel 1961 nell’
Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), di
cui fa capo il DAC, organo di discussione e confronto dell’Ocse che
raggruppa i 22 principali paesi donatori e la Commissione Europea. Il
DAC è il forum, all’interno dell’OCSE, dove si discute di cooperazione
allo sviluppo. Creato nel 1961, il Comitato lavora per l’armonizzazione
delle politiche di cooperazione, la raccolta e disseminazione di dati, la
produzione di linee guida e raccomandazioni per i donatori. La Pcs di
ciascun paese membro viene periodicamente esaminata ad opera di altri
due paesi (peer review). Gli esaminatori valutano in che misura le
raccomandazioni prodotte dal DAC sono state attuate, come la Pcs del
2
Fonte: F. Bonaglia-V. de Luca “La cooperazione internazionale allo sviluppo”. Il Mulino
7
paese possa essere migliorata e quali esempi importanti per gli altri
membri possano esserne tratti.
Gli obiettivi prefissi dalla Pcs vanno ben oltre la ricostruzione fisica delle economie
europee e l’industrializzazione delle ex colonie. Il testo base della Commissione
Europea sulla politica di cooperazione statuisce che il suo obiettivo è di favorire lo
sviluppo economico e sradicare la povertà nei Pvs, nonché di aiutare questi stessi paesi
ad integrarsi nell’economia globale. Inoltre, la politica comunitaria di sviluppo opera
per il rafforzamento della democrazia e lo stato di diritto, promuovendo il rispetto dei
diritti umani e delle libertà fondamentali. E’ poi evidente anche come gli obiettivi della
Pcs non siano unicamente “umanitari”. La cooperazione allo sviluppo è parte integrante
della politica estera di un paese, e questo è dimostrato dal fatto che spesso, essa fa capo
al Ministero degli Affari esteri (MAE).
Cerchiamo allora di capire le motivazioni del fatto che i paesi industrializzati
abbiano creato un sistema il quale, nonostante rappresenti in termini di risorse solo una
minima parte dei loro redditi nazionali, costituisce per alcuni paesi beneficiari più del
10% dell’ intero reddito nazionale e dà lavoro a migliaia di persone al mondo. A
riguardo ci sono diverse e discordanti opinioni.
Secondo alcuni, infatti, esisterebbe una sorta di obbligo morale per i paesi ricchi di
aiutare i paesi poveri. Tale obbligazione scaturirebbe da considerazioni di “solidarietà
umana”, o dalla necessità di conseguire un più equo ordine mondiale, una giustizia
globale, ad esempio riparando ai torti fatti durante l’epoca coloniale.
Secondo altri, invece, non solo non esisterebbe un obbligo etico per l’Aps, ma
elargirlo sarebbe moralmente sbagliato, in quanto ciò contribuirebbe a rendere il paese
recettore sempre più dipendente dagli aiuti esterni.
Secondo altri ancora, la giustificazione all’Aps starebbe nella volontà del paese
donatore di promuovere unicamente i propri interessi nazionali, sia che si tratti di
interessi di tipo ideologico (un classico esempio è quello di favorire o contrastare il
diffondersi del comunismo durante gli anni della guerra fredda), interessi di politica
estera (come ad esempio sostenere le ex colonie o mantenere la stabilità in aree
geografiche vicine), o interessi di tipo commerciale (come ad esempio la promozione
delle esportazioni attraverso il c.d. “aiuto legato”).
Gli economisti tendenzialmente concordano sul fatto che sia economicamente
sensato trasferire risorse ai paesi meno sviluppati e promuoverne lo sviluppo. Sorge
invece disaccordo in merito al costo-opportunità relativo a questo tipo di attività,
ovvero al trasferimento di risorse, nel senso che, sorgono ragionevoli dubbi in merito
all’efficacia relativa di questo strumento nel perseguire gli obiettivi prefissati. Secondo
la teoria economica, in virtù della scarsità di capitale nei Pvs, ogni euro investito in
questi paesi avrebbe una produttività e un tasso di rendimento più elevati, rispetto allo
stesso euro investito nei paesi avanzati, dove il capitale abbonda. Lo sviluppo di questi
paesi contribuirebbe a far crescere la domanda mondiale, con effetti benefici non solo
dei paesi recettori ma anche per le economie dei paesi donatori. Sarebbe infatti
nell’interesse dei paesi donatori aiutare i paesi meno sviluppati a prevenire, o risolvere,
conflitti armati e crisi, siano esse di natura finanziaria, sanitaria o ambientale, che
potrebbero diffondersi e avere ripercussioni su scala globale.
Queste argomentazioni (ma non solo), giustificano spesso le scelte dei decisori
politici in materia di erogazione di aiuti. Talvolta capita di sentir dire che una delle
giustificazioni dell’ Aps è il sostegno alla cooperazione allo sviluppo da parte dell’
opinione pubblica, dei contribuenti. Se così fosse, ci sarebbe una relazione diretta tra
cambiamenti dell’ opinione pubblica e andamento dell’ APS. L’ opinione pubblica,
stando così le cose, potrebbe pertanto avere un significativo impatto sull’ azione dei
governi in materia di cooperazione allo sviluppo. Tuttavia, numerosi sondaggi
8
smentiscono quanto appena ipotizzato, suggerendo che l’ opinione pubblica esercita
un’influenza minima sulla politica di cooperazione, e che questa si limita ad eventi
fortemente mediatizzati e di grande impatto sulla società civile (quali le carestie e
inondazioni, o la campagna di cancellazione del debito). E’ molto probabile che questo
avvenga soprattutto a causa della scarsa consapevolezza e comprensione delle questioni
concernenti lo sviluppo da parte del grande pubblico, argomento questo già trattato nel
precedente paragrafo. La Pcs viene generalmente confusa con l’assistenza umanitaria,
che è una parte importante, ma pur sempre solo una parte degli aiuti. Mentre
l’assistenza umanitaria si prefigge di rispondere a situazioni di emergenza e di alleviare
le sofferenze di popolazioni colpite da catastrofi naturali o da guerre, lo scopo della Pcs
è di favorire lo sviluppo duraturo di un paese, e la fuoriuscita della popolazione dalle
condizioni di povertà. La scarsa conoscenza degli obiettivi si accompagna a una
generale inconsapevolezza circa la dimensione dell’ APS. Quando interrogati in
proposito, i cittadini tendono inoltre, come già abbiamo potuto osservare in merito, a
sovrastimare gli aiuti erogati dal proprio governo.3
1.3 Gli attori della cooperazione internazionale allo sviluppo
Per quanto riguarda i protagonisti attivi della cooperazione allo sviluppo, a grandi
linee, possiamo anzitutto distinguere tra attori pubblici e privati. I primi includono i
governi e le istituzioni internazionali. I secondi includono le imprese e il cosiddetto
settore no-profit.
Facendo una schematizzazione più precisa, possiamo distinguere gli attori della
cooperazione nel seguente modo:
• DONATORI BILATERALI: Rientrano in questa categoria tutti i governi dei
paesi sviluppati e un numero crescente di paesi emergenti, che attuano in qualche
misura una politica di cooperazione allo sviluppo. A seconda del paese, la
responsabilità dell’attuazione del Pcs può essere attribuita a un ministero della
Cooperazione, ad una agenzia specializzata, più o meno autonoma dal governo,
oppure a un dipartimento all’interno del MAE.
• DONATORI MULTILATERALI: Accanto ai governi, operano numerosi
organismi multilaterali nell’ambito della cooperazione allo sviluppo.
Vediamoli brevemente:
a) LE ISTITUZIONI FINANZIARIE INTERNAZIONALI
b) AGENZIE LE DELLE NAZIONI UNITE
c) LA COMMISSIONE EUROPEA
Schematizzando:
Principali donatori multilaterali
ISTITUZIONI FINANZIARIE INTERNAZIONALI
ISTITUZIONI DI BRETTON WOODS
Fondo Monetario Internazionale
Gruppo della Banca Mondiale, che include IBRD, IDA, IFC, MIGA
BANCHE REGIONALI DI SVILUPPO
Banca Africana di sviluppo
3
Fonte: F. Bonaglia-V. de Luca “La cooperazione internazionale allo sviluppo”. Il Mulino
9
Banca Asiatica di sviluppo
Banca interamericana di sviluppo
Banca di sviluppo caraibica
Banca islamica di sviluppo
Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo
FONDI SPECIFICI
Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo
Fondo nordico per lo sviluppo
Fondo arabo per lo sviluppo economico e sociale
AGENZIE DELLE NAZIONI UNITE
Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP)
Fondo delle Nazioni Unite per l’ infanzia
Programma alimentare mondiale
Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati
UNIONE EUROPEA
Commissione Europea: Dg Sviluppo, Dg Relex ed Echo
Banca Europea degli investimenti
Tra le istituzioni finanziarie internazionali, le Banche Regionali di Sviluppo e le
Istituzioni di Bretton Woods sono indubbiamente gli attori principali.
Tra i maggiori donatori rientrano in particolare la IBRD (Banca internazionale per la
ricostruzione e lo sviluppo) e l’IDA (Associazione internazionale per lo sviluppo),
entrambe facenti parte del gruppo della Banca Mondiale. L’IDA è un fondo che eroga
prestiti a interesse zero ai paesi più poveri, che non hanno la capacità finanziaria di
contrarre prestiti a termini di mercato; La IBRD estende invece prestiti ai governi dei
paesi con redditi pro capite relativamente elevati. Sempre del gruppo della Banca
Mondiale, la IFC (Società finanziaria internazionale), è un’agenzia che opera per
promuovere lo sviluppo dell’industria privata nei Pvs attraverso l’erogazione di
appositi prestiti direttamente al settore privato e la mediazione verso il mercato
internazionale del credito. L’UNDP (Programma per lo sviluppo), è tra le principali
agenzie ONU ed ha come missione la condivisione delle conoscenze e delle esperienze
e il rafforzamento delle capacità dei Pvs, per contribuire all’affermazione di governi
democratici, alla lotta contro la povertà e alla prevenzione e ricostruzione delle crisi
umanitarie. Per quanto riguarda invece l’Unione Europea, vedremo nel prossimo
paragrafo, in maniera più precisa, in che modo opera nell’ ambito della cooperazione
allo sviluppo, analizzando più dettagliatamente la relazione esistente tra la
cooperazione e la Commissione Europea.
• ATTORI NON GOVERNATIVI (la società civile e il settore privato): Le Ong
rappresentano la realtà più importante e variegata fra gli attori della società civile
coinvolti nella cooperazione allo sviluppo. L’emergere delle ONG, quali attori
chiave della cooperazione internazionale, è uno dei tratti più innovativi e
caratterizzanti degli ultimi decenni. Benché siano sorte in concomitanza con le
emergenze umanitarie prodotte dalle due guerre mondiali, e in alcuni casi, come
quello della Croce rossa internazionale (CRI), addirittura alla fine del XIX secolo, è
soprattutto a partire dagli anni ’80 che le ONG hanno esteso il loro campo d’ azione,
quando, in occasione dell’ immobilismo statale causato dalla guerra fredda, alcune
10
ONG (quali CRI e MSF), hanno affermato il cosiddetto diritto d’ingerenza4 e sono
intervenute in situazioni di crisi umanitaria in Africa e altrove.
In Italia, il Coordinamento delle Ong per la cooperazione internazionale allo
sviluppo (COCIS), definisce le ONG come “associazioni private, senza fini di lucro,
che promuovono e realizzano azioni di cooperazione internazionale finalizzate allo
sviluppo dei paesi poveri. Operano sulla base dei principi di solidarietà tra i popoli,
per la promozione ed il rispetto dei diritti fondamentali dell’umanità”. La
legislazione italiana (d.lgs.460/1997) qualifica le ONG come un particolare tipo di
associazioni di volontariato, che svolgono attività senza scopo di lucro. In quanto
Organizzazioni non lucrative d’utilità sociale (ONLUS), le ONG svolgono
un’attività a beneficio di soggetti terzi rispetto ai soci; in particolare, esse perseguono
questa finalità operando nel campo della cooperazione internazionale allo sviluppo.
L’universo delle ONG è eterogeneo e complesso. Per semplificare, potremmo
distinguere due tipi di organizzazioni, le quali non si escludono comunque a vicenda:
- di opinione (advocacy), che promuovono a vari livelli una determinata causa o
movimento di opinione
- operative: il cui scopo primario è la progettazione ed esecuzione di progetti di
cooperazione.
A proposito di queste ultime, la legislazione italiana (legge 49/1987) prevede che
esse possano ricevere finanziamenti pubblici solo dopo aver ottenuto un
riconoscimento formale da parte del MAE, dopo un’istruttoria particolarmente
selettiva tesa a valutarne l’affidabilità. Grazie alla loro indipendenza, conoscenza
diretta del terreno e capacità di arrivare laddove i donatori tradizionali non possono o
non sono in grado di arrivare, le ONG sono state riconosciute dai governi e
dall’opinione pubblica quale strumento importante per attuare interventi umanitari e
di cooperazione.5
1.4 La cooperazione della Commissione europea
La Commissione Europea (CE) ha una propria Pcs, che coesiste con i programmi di
cooperazione bilaterali dei paesi membri dell’UE, ed è pertanto da considerarsi, come
già abbiamo visto, come un donatore multilaterale.
Con l’adozione del Trattato istitutivo dell’Unione Europea, la Pcs diviene parte
integrante della politica estera e di sicurezza comunitaria. Il Trattato consolidato ad
Amsterdam stabilisce, a titolo XX, art 177, che la cooperazione deve promuovere,
soprattutto nei paesi più poveri, lo sviluppo economico e sociale, l’integrazione
nell’economia mondiale, la lotta contro la povertà, il rispetto dei diritti umani e delle
libertà fondamentali, la promozione della democrazia e dello stato di diritto.
La PCS comunitaria si fonda su due strumenti principali, gestiti dalla Commissione:
l’erogazione di aiuti e la concessione di un accesso privilegiato al mercato comune per
le esportazioni dei Pvs. Il finanziamento dei programmi di cooperazione proviene, oltre
che dal bilancio proprio della Commissione, dal Fondo europeo di sviluppo (FES), un
fondo pluriennale cui ciascun paese membro è tenuto a contribuire in misura
proporzionale al suo reddito nazionale, e dalla Banca Europea degli investimenti (BEI).
L’inclusione del FES nel bilancio della Commissione Europea, che è stata più volte
proposta dalla Commissione stessa per garantire una gestione unitaria e omogenea della
cooperazione, potrebbe finalmente realizzarsi alla scadenza dell’attuale FES nel 2007.
4
Il diritto di ingerenza sarebbe giustificato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’ uomo, in base al quale tutti gli esseri
umani hanno diritto a ricevere assistenza umanitaria.
Fonte: F. Bonaglia-V. de Luca “La cooperazione internazionale allo sviluppo”. Il Mulino
5
11
Ora verranno forniti brevi cenni storici della PCS Europea, in modo da acquisire una
visione più completa e particolareggiata del suo modus agendi, e l’evoluzione che
questo ha avuto nel corso del tempo. La PCS comunitaria è nata nel 1957,
contestualmente al Trattato di Roma, che, agli artt. 131-136 stabiliva la creazione del
“sistema associativo” tra i sei paesi fondatori e le colonie o territori sui quali alcuni di
questi esercitano un mandato delle Nazioni Unite (come il caso dell’ Italia nei confronti
della Somalia). Questo sistema si prefiggeva di rafforzare le relazioni commerciali fra
la comunità e questi paesi per promuoverne lo sviluppo economico e sociale.
Una prima riforma del sistema si rese necessaria a seguito del processo di
decolonizzazione e della conseguente creazione di nuovi stati indipendenti. Questi
Stati, desideravano, nonostante la raggiunta indipendenza, poter continuare a
beneficiare degli aiuti europei e dell’ accesso privilegiato a questo mercato. Il nuovo
sistema, incentrato su assistenza finanziaria e accordi commerciali, venne creato nel
1963 con la Convenzione di Yaoundè, cui ciascun paese è libero di aderire su basi
negoziate. La Convenzione fu estesa a Lomè, nel 1974, per includere le ex colonie
britanniche, coprendo così 46 paesi di Africa, Carabi e Pacifico (ACP)6 . Grazie a
questa Convenzione, larga parte della PCS comunitari ha un fondamento contrattuale,
in virtù del quale le condizioni privilegiate garantite ai paesi ACP sono negoziate tra le
due parti e non possono essere modificate unilateralmente. Queste condizioni, inoltre, e
in particolare per quanto riguarda l’accesso preferenziale al mercato europeo, sono
stabili, valide cioè per periodi predeterminati, e non reciproche, in quanto i paesi ACP
non sono tenuti a garantire lo stesso trattamento preferenziale alle esportazioni dei
paesi europei. La Convenzione di Lomè è stata rinegoziata quattro volte fino al giugno
2000, quando è stata sostituta da un nuovo accordo di partenariato tra 79 paesi ACP, la
CE e i suoi Stati membri.
Il nuovo accordo, siglato a Cotonou, rappresenta un quadro di riferimento
ventennale per la cooperazione ed il dialogo politico tra UE e paesi ACP. L’accordo si
prefigge di sradicare la povertà nei paesi ACP, favorendo la loro progressiva
integrazione nell’economia mondiale e contribuendo al loro sviluppo duraturo e
sostenibile.
La PCS comunitaria non si esaurisce ai paesi ACP. Nel corso degli anni, la
Commissione ha ampliato notevolmente il suo raggio di azione e moltiplicato i
programmi di aiuto, anche per adeguarsi alle mutate condizioni geopolitiche nelle
regioni limitrofe. Infatti, fenomeni quali la caduta del Muro di Berlino e le prospettive
di allargamento dell’ UE a Est, hanno spinto alla creazione di programmi per il
rafforzamento istituzionale e il supporto alle riforme economiche in questi paesi.
D’altra parte, la dissoluzione della ex Jugoslavia e i conflitti nei Balcani hanno imposto
la necessità di finanziare interventi umanitari e di ricostruzione prima, e programmi di
supporto alla trasformazione economica, alla protezione dei diritti umani e al
rafforzamento istituzionale poi.
La PCS comunitaria è stata oggetto di numerose critiche, a causa dell’eccessiva
frammentazione dei programmi e della mancanza di coordinazione tra le diverse
istituzioni responsabili di progettazione, finanziamento, realizzazione e valutazione dei
programmi di cooperazione. Per ovviare a queste problematiche, e migliorare il sistema
stesso di funzionamento della PCS comunitaria, è stato lanciato un radicale processo di
razionalizzazione, che prevede un maggior trasferimento di responsabilità alle
delegazioni della CE nei paesi beneficiari, una riduzione e razionalizzazione dei
programmi di cooperazione e una ridistribuzione delle competenze tra le varie
istituzioni comunitarie. In particolare, con la creazione, nel gennaio 2001 dell’Ufficio
di cooperazione EuropAid, facente capo alla Direzione generale (DG) relazioni esterne,
6
Gruppo dei paesi dell’ Africa, Carabi e Pacifico aderenti alle Convenzioni di Lomè e Cotonou
12
sono state riunite sotto un’unica responsabilità tutte le varie fasi del ciclo del progetto,
ovvero:
- Individuazione e prima valutazione di progetti e programmi;
- Preparazione delle decisioni finanziarie;
- Attuazione, controllo e valutazioni intermedie e finali di progetti e programmi;
Le DG relazioni esterne e DG sviluppo, sottomettono alla Commissione i propri
programmi per ottenerne l’approvazione. EuropAid è poi responsabile per garantirne la
realizzazione degli obiettivi. I vari programmi di supporto ai paesi non membri della
UE sono stati organizzati in sei aree geografiche:
- Paesi ACP;
- Europa sudorientale;
- Europa orientale e Asia centrale;
- Paesi del Mediterraneo;
- Paesi del Vicino e del Medio Oriente;
- Asia e America Latina;
e sette aree tematiche:
- Democrazia e diritti umani;
- Aiuti Alimentari;
- Co-finanziamento con Ong;
- Questioni di genere;
- Ambiente;
- Sanità;
- Mine antiuomo;
EuropeAid non si occupa dei paesi interessati dal processo di allargamento dell’ UE.
La ripartizione geografica potrebbe presto essere ulteriormente razionalizzata a seguito
del processo di allargamento dell’UE e dell’adozione della nuova Politica europea di
vicinato (European neighbourhood policy).
La riforma ha fatto un ulteriore passo avanti con la decisione della CE, nel 2004, di
sostituire i molteplici strumenti di cooperazione esterna esistenti con solo sei strumenti:
Assistenza ai paesi in fase di accesso all’ UE;
Politica Europea di vicinato;
Politica di cooperazione economica e allo sviluppo;
Politica di stabilità;
Assistenza umanitaria;
Assistenza macroeconomica;
Nel dicembre 2005 è stato adottato un nuovo documento strategico di indirizzo.
1.5 La Dichiarazione del Millennio
Nell’affrontare il tema della cooperazione internazionale allo sviluppo, e dei
dibattiti che questa ha generato, appare indispensabile citare in questa sede la
Dichiarazione del Millennio. Nel Settembre 2000, si è svolto a New York il vertice
dell’ONU, vertice del Millennio nel quale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite,
adottando proprio la sopra citata Dichiarazione, ha stabilito alcuni obiettivi considerati
prioritari nella lotta alla povertà, verso il perseguimento dei quali dovranno orientarsi
gli sforzi di tutti i Governi e di tutte le principali Istituzioni internazionali per il Nuovo
Millennio.
13
Nel 2001, il segretario generale dell’ Onu ha presentato il “Piano di azione per
l’applicazione della Dichiarazione del Millennio”. I massimi responsabili delle Nazioni
Unite, della Banca mondiale del FMI e dell’OCSE (Organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico) hanno sottoscritto un documento che contiene
gli 8 Obiettivi di sviluppo del millennio ( Millennium Development Goals, MDG). Il
documento contiene anche 18 traguardi (targets) e 48 indicatori (in questa sede ne
verranno citati 18), per monitorare i progressi di ciascun paese verso il conseguimento
di questi obiettivi. Le Nazioni Unite e la Banca Mondiale producono ogni anno dei
rapporti sull’andamento dei vari paesi rispetto ai 48 indicatori. Gli Obiettivi del
Millennio possono essere schematizzati nel modo seguente7:
OBIETTIVO 1: SRADICARE LA POVERTA’ ESTREMA E LA FAME
Target 1: Dimezzare, tra il 1990 e il 2015, la proporzione di persone il cui reddito è
inferiore ad 1$ al giorno.
Target 2: Dimezzare, tra il 1990 e il 2015, la proporzione di persone che soffrono la
fame.
INDICATORI:
Prevalenza di bambini sottopeso con meno di cinque anni di età.
• Proporzione di popolazione al di sotto del livello minimo di consumo energetico.
•
OBIETTIVO 2: RAGGIUNGERE PER TUTTI LA SCOLARITA’ DI BASE
Target 3: Assicurare che, dal 2015, i bambini ovunque vivano, tanto i ragazzi che le
ragazze, possano completare un ciclo completo di istruzione primaria.
OBIETTIVO 3: PROMUOVERE L’EGUAGLIANZA TRA I SESSI E
FAVORIRE L’EMPOWERMENT DELLE DONNE
Target 4: Eliminare le disparità di sesso nell’accesso all’istruzione primaria e
secondaria, preferibilmente dal 2005, e non più tardi del 2015 per tutti i livelli di
istruzione.
OBIETTIVO 4: RIDURRE LA MORTALITA’ INFANTILE
Target 5: Ridurre di due terzi, tra il 1990 e il 2015, il tasso di mortalità sotto i cinque
anni.
INDICATORI:
Tasso di mortalità inferiore ai cinque anni di età.
• Tasso di mortalità infantile.
• Proporzione di bambini di un anno vaccinati contro il morbillo.
•
OBIETTIVO 5: MIGLIORARE LA SALUTE MATERNA
Target 6: Ridurre di tre quarti, tra il 1990 e il 2015, il tasso di mortalità materna
INDICATORI:
Tasso di mortalità materna.
• Proporzione di parti assistiti da personale sanitario specializzato.
•
OBIETTIVO 6: COMBATTERE L’HIV/AIDS, LA MALARIA E LE ALTRE
MALATTIE
7
Fonte: http://www.air-online.it
14
Target 7: Dimezzare, ed iniziare ad invertire la tendenza nella diffusione dell’
HIV/AIDS, entro il 2015.
Target 8: Dimezzare, ed iniziare ad invertire la tendenza nella diffusione della malaria
e delle altre maggiori malattie, entro il 2015.
INDICATORI:
Prevalenza dell’HIV tra le donne incinte di età compresa tra i 15 e i 24 anni.
• Tasso di uso del condom rispetto al tasso di uso di contraccettivi.
• Tasso di frequenza scolastica degli orfani sui non orfani di età compresa tra i 10 ed i
14 anni.
• Prevalenza e tassi di mortalità associati con la malaria.
• Proporzione di popolazione che vive in aree a rischio di malaria e che utilizza misure
e trattamenti preventivi efficaci.
• Prevalenza e tassi di mortalità associati con la tubercolosi.
• Proporzione di casi di tubercolosi identificati e curati sotto il programma DOTS
(Directly Observed Treatment Short-corse).
•
OBIETTIVO 7: ASSICURARE LA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE
Target 9: Integrare i principi dello sviluppo sostenibile nelle politiche e nei programmi
nazionali ed invertire la perdita di risorse ambientali.
Target 10: Dimezzare, a partire dal 2015, la proporzione di persone senza accesso
sostenibile all’acqua potabile e alla rete fognaria.
Target 11: Ottenere entro il 2020 un significativo miglioramento delle vite di almeno
100 milioni di abitanti negli slum.
INDICATORI:
Proporzione di popolazione che usa combustibili solidi.
• Proporzione di popolazione con accesso sostenibile a fonti migliorate di acqua nelle
aree urbane e rurali.
• Proporzione di popolazione con accesso sostenibile alla rete fognaria nelle aree
urbane e rurali.
•
OBIETTIVO 8: SVILUPPARE UNA PARTNERSHIP GLOBALE
Target 12: Sviluppare ulteriormente un sistema commerciale e finanziario aperto,
regolato, prevedibile e non-discriminatorio.
Target 13: Indirizzarsi ai bisogni speciali delle nazioni meno sviluppate.
Target 14: Indirizzarsi ai bisogni speciali di territori quali le piccole isole ed i paesi
senza litorale (landlocked) nei PVS.
Target 15: Affrontare complessivamente il problema del debito nei PVS attraverso
misure nazionali ed internazionali per rendere il debito sostenibile a lungo termine.
Target 16: In cooperazione con i PVS, sviluppare ed implementare strategie per lavori
decorosi e produttivi per i giovani.
Target 17: In cooperazione con le industrie farmaceutiche fare in modo che i PVS
possano permettersi l’accesso ai farmaci essenziali.
Target 18: in cooperazione con il settore privato rendere disponibili le nuove
tecnologie, in modo speciale di informazione e comunicazione.
INDICATORI:
•
Proporzioni di popolazione con accesso ai farmaci essenziali su una base sostenibile.
Fonte: Implementation of the United Nations Millennium Declaration, Report of the Secretary-General. World Healt
Organization, Department of MDGs, Health and Development Policy (HDP).
15
Di questi obiettivi, tutti profondamente condivisibili, il numero tre, si occupa
appunto di promuovere l’eguaglianza fra i sessi e favorire l’empowerment delle donne.
Occorre puntualizzare come questi obiettivi siano da considerarsi un tutt’uno
indivisibile, se si vuole che diventino uno strumento efficace per gestire la
globalizzazione a favore dei poveri. Il 2015 è la scadenza prevista per il
raggiungimento dei Millennium Development Goals, e per conseguirli, la
Dichiarazione del Millennio prevede che gli Stati del Nord del mondo si assumano
diversi impegni per aumentare gli aiuti ai paesi poveri del Sud. In particolare, i primi
sette obiettivi prevedono impegni da parte dei PVS, mentre l’ottavo prevede una serie
di impegni a carico dei paesi più ricchi:
I paesi poveri sono impegnati:
A promuovere riforme a livello nazionale;
Ad incanalare gli aiuti per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del
Millennio;
A migliorare la governance ed eliminare la corruzione;
I paesi ricchi sono impegnati a :
Incrementare l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS), sino a portare allo
0,7 la percentuale del prodotto interno lordo (PIL) destinata all’ APS;
Investire in servizi sociali di base;
Eliminare distorsioni quali l’aiuto legato, che favorisce le imprese del
paese donatore anziché aiutare a far crescere le strutture locali;
Promuovere la cancellazione del debito;
Adottare regole di scambi commerciali internazionali eque, fondate su
principi di giustizia;8
Inoltre è importante osservare come l’ottavo obiettivo, quello di elaborare uno
schema di cooperazione mondiale per lo sviluppo, e quindi relativo ai mezzi da
realizzare per perseguire concretamente i precedenti obiettivi, sia stato inserito tra gli
Obiettivi di sviluppo del Millennio solamente a seguito della Conferenza sul
Finanziamento dello Sviluppo del marzo 2002. E proprio a sottolineare l’importanza di
quest’ultimo obiettivo, è bene mettere in luce come il successo o il fallimento di questo
programma dipenderà essenzialmente dall’impegno assunto dai paesi ricchi ad
accrescere gli aiuti finanziari ai paesi poveri e di apportare correttivi alle regole del
sistema internazionale.
Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, che affrontano alcuni dei mali più gravi
dello sviluppo umano, non costituiscono di per sé una novità nel panorama
internazionale, essendo stati ripresi dalle diverse conferenze sullo sviluppo tenutesi
negli anni ’90, e sono il risultato di varie consultazioni a livello nazionale, regionale e
internazionale che hanno coinvolto milioni di cittadini di tutto il mondo rappresentando
numerose posizioni, dai governi, all’associazionismo, fino ad arrivare al settore privato.
Nella Dichiarazione del Millennio inoltre, come già abbiamo esposto, sono stati
individuati una serie di indicatori per monitorarne il livello di attuazione in ciascun
Paese ed, in base a questo, riorientare le politiche e i programmi nazionali.
Inoltre, le Nazioni Unite hanno costituito l’UNDG (United Nations Development
Group), un gruppo ad hoc presieduto dall’Agenzia ONU che si occupa dei programmi
di sviluppo (UNDP), con il compito di supervisionare tale processo.
L’Obiettivo 2015 per eccellenza mira a dimezzare la povertà nel mondo,
presupposto essenziale della pace. Ciò significa che a partire da quella data il numero
8
Fonte: http://millenniumcampaign.it;
16
di persone in condizioni di povertà estrema dovrà ridursi a circa 750.000.000, cifra che
rimane comunque molto alta.9
1.6 Le sfide per il raggiungimento degli MDG
A partire dalla Consenso di Monterry, di cui si parlerà meglio in seguito, donatori e
Pvs hanno sottoscritto, come già sottolineato precedentemente, un impegno reciproco
(mutual accountability) alla coerenza delle politiche per la riduzione della povertà.
Questo impegno implica per i donatori non solo l’aumento delle risorse destinate alla
cooperazione, ma anche un loro impiego più efficace, e il contemporaneo allineamento
delle altre politiche, come quelle commerciali, migratorie e agricole, agli obiettivi dello
sviluppo. Per quanto riguarda i paesi recettori, questi si impegnano a migliorare le
politiche che hanno un impatto decisivo sullo sviluppo e le proprie istituzioni, in
particolare a combattere la corruzione e a promuovere il buon governo.
Fatta questa premessa, esamineremo ora le principali sfide che si trovano a
fronteggiare Pvs e paesi donatori, e cercheremo di capire quali sono le condizioni
necessarie affinché la cooperazione allo sviluppo possa contribuire al raggiungimento
degli MDG. In particolare analizzeremo cinque sfide, legate fra loro, che sia donatori
che paesi in via di sviluppo dovranno fronteggiare:
I. FINANZIARE LO SVILUPPO
In un contesto di timido aumento degli aiuti, una delle maggiori preoccupazioni
presenti nella comunità internazionale, e in modo particolare nelle ONG, è
l’effettiva capacità di assicurare le risorse finanziarie necessarie per il
raggiungimento degli MDG. Si è quindi aperto un ampio dibattito sulla ricerca di
modalità innovative di finanziamento dello sviluppo. Sono state avanzate proposte,
soprattutto dalle ONG, di introdurre misure fiscali, quali tasse ambientali,
aeroportuali, sui movimenti di capitale (la c.d. Tobin Tax10), sull’esportazione delle
armi o dei beni di lusso che, tuttavia, hanno ricevuto un supporto limitato da parte
dei governi. Altri ancora hanno suggerito di istituire una lotteria internazionale per
finanziare il raggiungimento degli MDG.
Il governo italiano ha proposto l’adozione della “de-tax”, che si basa su delle
decisioni volontariamente assunte dai consumatori e dai circuiti della distribuzione
commerciale, di destinare l’1% del valore degli acquisti al dettaglio per un progetto
di cooperazione allo sviluppo, con un’esenzione su tale quota del pagamento di
imposte dirette e indirette.
Altri governi, come Francia e Regno Unito, hanno avanzato differenti proposte,
come quella di istituire un meccanismo di finanziamento internazionale
(International Financial Facility IFF), che prenderebbe a prestito, sui mercati
internazionali dei capitali, le risorse necessarie per finanziare il raggiungimento
degli MDG. Questo meccanismo è basato su un impegno vincolante di lungo
termine dei governi donatori (non inferiore ai 15 anni)a fornire maggiori aiuti ai Pvs.
La fattibilità delle proposte deve essere valutata non solo in termini tecnico
economici, ma anche, e soprattutto, politici. E’ fondamentale un ampio supporto
9
Fonti: Guida del mondo: il mondo visto dal sud 2005/2006,EMI Editore; Per le informazioni relative al resto del paragrafo: “La
cooperazione internazionale allo sviluppo”, Bonaglia, De Luca.
10
Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki: La Tobin Tax, dal nome del premio Nobel per l'economia James Tobin, che la propose nel
1972, è una tassa che prevede di colpire, in maniera modica, tutte le transazioni sui mercati valutari per stabilizzarli (penalizzando
le speculazioni valutarie a breve termine), e contemporaneamente per procurare delle entrate da destinare alla comunità
internazionale.
17
della comunità internazionale, poiché si agisca rapidamente e si mobiliti una
quantità di risorse sufficienti. La scelta deve farsi in base alla capacità dell’iniziativa
di generare risorse addizionali (che non sostituiscono i flussi di aiuti esistenti) e
disponibili rapidamente. E’ necessario poi che la proposta sia credibile e garantisca
un flusso di finanziamento stabile. Solo a queste condizioni, i governi dei paesi
beneficiari avranno un incentivo ad attuare necessarie riforme e investimenti. Infine,
è fondamentale che i fondi addizionali raccolti siano utilizzati in modo tale da
massimizzare l’impatto sul raggiungimento degli MDG, vale a dire per migliorare le
condizioni sanitarie, lottare contro le epidemie di AIDS, tubercolosi e malaria, e
migliorare l’accesso e la qualità dell’istruzione.
II. MIGLIORARE L’EFFICACIA DEGLI AIUTI
Maggiori aiuti sono inutili se erogati in maniera inefficiente e se inseriti in un
ambiente non “fertile”. Si è sviluppato, in particolar modo in questi ultimi anni, un
intenso dialogo tra donatori e partner, per definire un nuovo modo di concepire,
realizzare e valutare la cooperazione. E’ accertato che l’efficacia degli aiuti debba, e
possa, essere aumentato. Già nel 1992, il DAC, nel documento “Principi per la
valutazione degli aiuti allo sviluppo”, definì le linee guida per assicurare una
maggiore efficacia degli aiuti. L’assistenza allo sviluppo è ivi definita come un
esercizio di partenariato tra i donatori e i recipienti. Gli aiuti devono sostenere
attività per le quali la responsabilità ultima è dei paesi beneficiari, e il successo dei
progetti di cooperazione dipende dalle azioni sia del donatore che del paese
beneficiario. Vi deve essere un interesse comune a identificare le priorità e a
sviluppare valutazioni obiettive dei risultati, attraverso procedure trasparenti e
aperte, che dovrebbero coinvolgere tanto il donatore quanto il beneficiario. Da un
lato, ciascun donatore può aumentare l’efficienza degli aiuti, riducendo gli sprechi e
i costi amministrativi legati alla gestione degli stessi. Questo significa allineare i
propri interventi alle priorità identificate dal paese beneficiario, migliorare il
coordinamento con gli altri donatori operanti nel paese, ridurre il ricorso agli aiuti
legati e semplificare le proprie pratiche amministrative, così da ridurre gli oneri che
gravano sulle amministrazioni dei paesi partner. Da parte loro, i paesi recettori,
devono identificare chiaramente le priorità che gli aiuti sono chiamati a finanziare,
migliorare la gestione e la trasparenza dei propri conti pubblici,e permettere così il
monitoraggio dell’impiego delle risorse. Data la debolezza di molte amministrazioni
nei Pvs, i donatori devono anche prestare una maggiore attenzione al rafforzamento
delle capacità umane e istituzionali di questi paesi.
III.AUMENTARE LA COERENZA DELLE POLITICHE
Il raggiungimento degli MDG richiede tanto la mobilitazione di risorse
importanti, quanto l’attuazione di un insieme di politiche adeguate, coerenti con
l’obiettivo dello sviluppo, da parte sia dei Pvs che dei paesi industrializzati. Gli
sforzi tesi ad aumentare gli aiuti e rendere la cooperazione più efficiente sono vani,
se le politiche attuate dai governi donatori in altri settori non contribuiscono a
determinare un quadro economico, politico e istituzionale favorevole allo sviluppo.
Al contempo, quegli stessi sforzi sono utili solo se i paesi beneficiari si impegnano a
creare le condizioni necessarie perché gli aiuti funzionino. I Pvs stanno avendo
enormi margini di miglioramento in diverse e importanti aree di tipo economico e
finanziario, in particolare grazie ai flussi di investimenti privati, che negli anni
recenti sono stati dello stesso ordine di grandezza dell’APS, grazie alle rimesse degli
emigrati e grazie ai frutti del commercio estero. I flussi di risorse addizionali così
generati, contribuirebbero a finanziare il raggiungimento degli MDG. La possibilità
di concretizzare queste opportunità dipende in gran parte dai Pvs stessi, dalla
volontà dei loro governi di adottare politiche propizie alla crescita e alla capacità
delle loro imprese di operare efficientemente.
18
Quella della coerenza è una delle sfide più importanti e difficili per i donatori,
non da ultimo per l’oggettiva difficoltà a ricomporre interessi, talvolta divergenti,
caratterizzanti le diverse aree d’azione del governo. Per questo motivo, alcuni paesi
si sono dotati di linee di indirizzo, o addirittura quadri legislativi, per garantire la
coerenza tra politiche di cooperazione, commerciali, industriali e migratorie.
IV. RIDURRE LA VULNERABILITA’ DEI PVS
La grande vulnerabilità ai disastri naturali, alle oscillazioni dei prezzi delle
materie prime e allo scoppio di conflitti armati contribuisce a diminuire l’efficacia
degli aiuti e di altre politiche nel sostenere la crescita e la riduzione della povertà. Le
catastrofi e i conflitti colpiscono indistintamente la popolazione, ma tendono ad
avere conseguenze più gravi e durature per le fasce più deboli.
All’origine di questa vulnerabilità stanno spesso cause che i governi locali
possono tentare di alleviare se non rimuovere, anche con l’aiuto dei donatori. La
maggioranza dei paesi a basso reddito è ancora caratterizzata da una struttura
produttiva estremamente fragile e concentrata, dipendente dall’esportazione di pochi
prodotti, generalmente materie prime soggette a frequenti fluttuazioni di prezzo. In
un simile contesto, la diversificazione dell’ economia è una priorità, che tra l’altro
figura in maniera protuberante nelle strategie di sviluppo di molti Pvs e nei
programmi di cooperazione dei donatori. Per quanto riguarda i primi, risulta
indispensabile una buona capacità del governo di vincere la resistenza al
cambiamento degli interessi costituiti e coordinare i diversi attori economici attorno
ad una strategia comune per lo sviluppo di nuovi settori di attività. Essenziale appare
inoltre un uso sapiente dei guadagni associati agli accordi commerciali preferenziali
e agli eventuali boom dei prezzi dei prodotti esportati, per investire in educazione,
infrastrutture e sostegno all’imprenditoria. Da parte loro, i paesi industrializzati,
hanno sottoscritto, con la Dichiarazione di Doha, un impegno preciso a favorire la
diversificazione delle esportazioni dei paesi meno avanzati, sia garantendo loro un
migliore accesso ai propri mercati, sia attraverso interventi mirati di cooperazione
tecnica.
Una seconda vulnerabilità riguarda i disastri associati a calamità naturali, quali
siccità, inondazioni e terremoti, le cui ripercussioni possono annientare anni di
progressi. I Pvs sono particolarmente vulnerabili a disastri naturali, perché
combinano un’elevata esposizione al rischio di calamità, dovuta al concentrarsi della
maggior parte dei rischi naturali in certe zone climatiche, dove sono localizzati la
maggior parte dei Pvs, con un’inadeguata capacità di prevenzione, di mitigazione
delle conseguenze e di reazione. In altre parole, nei Pvs è più probabile che una certa
calamità naturale si trasformi in un disastro, comportando elevati costi umani e
monetari. Gli aiuti della comunità internazionale, orientati a ridurre la vulnerabilità
di questi paesi e mitigare le conseguenze disastrose delle calamità naturali, possono
contribuire sia alla prevenzione dei disastri, sia alla risposta, finanziando fondi per
fronteggiare le situazioni di emergenza e favorire la ricostruzione. I paesi vulnerabili
hanno invece la responsabilità di adottare politiche che minimizzino le conseguenze
dei disastri, ad esempio in termini di pianificazione urbana e di politica territoriale,
ma anche di libera circolazione dell’informazione. Infine, questi paesi sono
particolarmente predisposti allo scoppio di conflitti armati, soprattutto interni. Tali
conflitti, spesso sono causati dal perdurare di squilibri nelle opportunità di sviluppo
per vari gruppi sociali, etnici o religiosi. Attorno a queste differenze si inaspriscono
e radicalizzano contrasti latenti, relativi all’accesso alle risorse economiche.
La tutela dei diritti e la promozione di un accesso più equo alle risorse è una
condizione che tutti i Pvs dovranno necessariamente affrontare, per garantire la
sostenibilità del proprio sviluppo.
19
Per quanto riguarda il ruolo che può giocare la comunità internazionale nella
prevenzione dei conflitti, nella mitigazione delle loro conseguenze e nella
restaurazione della pace, si può affermare che la prevenzione dei conflitti e la
sicurezza diventano una delle priorità nelle strategie di riduzione della povertà. Le
agenzie dei donatori sono chiamate a rafforzare il proprio impegno per la
prevenzione dei conflitti, per la pacificazione (peace building) e il mantenimento
della pace (peace keeping) nei paesi che fuoriescono da situazioni di conflitti
violenti. Le agenzie di cooperazione devono costruire, assieme ai paesi partner,
programmi di prevenzione sia a livello nazionale che regionale, a seconda della
dimensione dei rischi. Insieme a programmi di rafforzamento delle istituzioni, di
sostegno a processi di democratizzazione, di riconciliazione, di maggiore
integrazione delle diverse comunità, oltre a quelli di carattere economico e sociale
nelle aree più povere o vulnerabile, l’assistenza alla riforma dei sistemi di sicurezza
dei Pvs è una delle priorità della comunità internazionale.
V. SENSIBILIZZARE L’OPINIONE PUBBLICA E INVESTIRE NELL’EDUCAZIONE
ALLO SVILUPPO
Di questo aspetto abbiamo già parlato ampiamente nel primo paragrafo di questo
capitolo. Una maggiore consapevolezza dell’opinione pubblica circa i problemi
dello sviluppo e le priorità della cooperazione, è fondamentale, e non solo per
accrescere le donazioni private, ma soprattutto per aumentare e migliorare la qualità
del controllo dell’opinione pubblica sulle PCS dei paesi donatori.
In tal senso, le agenzie di cooperazione sono chiamate a campagne di
sensibilizzazione più efficaci, e a investire in maniera più decisa nell’educazione
allo sviluppo nelle scuole.11
1.7 La cooperazione italiana
L’Italia ha una lunga tradizione di cooperazione allo sviluppo, attraverso le sue
numerose organizzazioni di volontariato. Nel 1933, con la creazione dell’Unione
medico-missionaria italiana, nasce il primo organismo di volontariato internazionale
italiano. Per quanto riguarda invece l’APS, questo è invece un fenomeno relativamente
recente, che arriva a piena maturazione solo negli anni Ottanta.
A partire dal 1980, infatti, si è assistito a una forte accelerazione della crescita dell’
APS italiano. Si possono individuare quattro fasi principali nell’ evoluzione, avvenuta
negli ultimi cinquant’anni, della PCS.
La prima fase, coincide grosso modo con gli anni Cinquanta e Sessanta ed è
caratterizzata prevalentemente dall’estemporaneità di concrete azioni di cooperazione e
dall’assenza di un disegno politico e normativo di fondo.
La seconda fase, ha orientativamente inizio a partire dagli anni Settanta, con
l’attribuzione al Ministero degli Affari Esteri (MAE) della responsabilità della
cooperazione allo sviluppo (legge 1222 /1971, Cooperazione tecnica con i paesi in via
di sviluppo). Questo nuovo slancio riflette, da un lato, le crescenti pressioni
internazionali ad aumentare e migliorare l’impiego dei paesi industrializzati verso i
Pvs, dall’altro, la pressione e le critiche delle organizzazioni del volontariato. In questi
anni, l’azione italiana passa prevalentemente attraverso il canale multilaterale e si
concentra sulla fornitura di assistenza tecnica, sul sostegno al bilancio dei Pvs e sui
programmi di cooperazione con alcune università africane. Tuttavia, manca una
visione e una gestione unitaria dei vari provvedimenti.
11
Fonte: F. Bonaglia-V. de Luca “La cooperazione internazionale allo sviluppo”. Il Mulino.
20
Con la legge 38/1979 si apre la terza fase, caratterizzata da una maggiore presa di
coscienza da parte della classe politica e dell’opinione pubblica circa i problemi del
sottosviluppo. A livello istituzionale si assiste alla razionalizzazione delle strutture
operative, con la creazione del Dipartimento per la cooperazione in seno al MAE, e
l’esplicita connessione della politica di cooperazione alla politica estera. In termini di
strumenti, la cooperazione italiana si estende al di la della mera assistenza tecnica. Per
la prima volta, si parla di cooperazione allo sviluppo definita come l’insieme delle
iniziative pubbliche e private, tese a favorire il progresso economico, sociale, tecnico e
culturale dei Pvs. Al contempo, il ruolo del volontariato viene stabilmente riconosciuto
e valorizzato. Tuttavia, le risorse stanziate per la cooperazione restano inadeguate,
causando ritardi di attuazione e problemi di funzionamento propri del nuovo impianto
legislativo. Nella prima metà degli anni Ottanta ha inizio la quarta fase. Varie proposte
di legge vengono dibattute in Parlamento con l’obiettivo di aumentare gli stanziamenti,
rispettare i vari impegni presi dall’Italia e riformare i meccanismi per l’esborso dei
fondi. Queste proposte porteranno alla legge 73/1985, che attribuisce poteri
straordinari a un sottosegretario per gli Affari Esteri, cui fa capo il Fondo Aiuti Italiani
(FAI). Il FAI è dotato di risorse importanti, e ha l’obiettivo di spenderle in un periodo
limitato e su un nucleo di paesi caratterizzati da emergenza endemica.
Nel 1987, alla scadenza della legge 73/1985, il Parlamento approva quasi
all’unanimità la Nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i paesi in via di
sviluppo (legge 49/1987), che tutt’oggi costituisce l’impianto normativo della
cooperazione italiana.
Come statuito nella legge 49, e ribadito nella Relazione previsionale e
programmatica sull’attività di cooperazione di sviluppo resa al Parlamento, la
cooperazione allo sviluppo dell’Italia è una componente della sua politica estera, che si
realizza sia sul piano bilaterale che su quello multilaterale. Le finalità che il governo
intende perseguire sono di diversa natura:
⇒
POLITICA: “gli aiuti mirano a rafforzare la stabilità dei Pvs, la cui
situazione incide più direttamente sulla sicurezza dell’Italia”.
⇒
ECONOMICA: “Gli aiuti mirano a sostenere le riforme economiche e
istituzionali che i governi dei Pvs adottano per risanare le loro economie. Obiettivo
centrale della cooperazione italiana è la lotta alla povertà.
⇒
UMANITARIA: “L’Italia partecipa alle azioni di aiuto umanitario
organizzate dalla comunità internazionale di fronte alle grandi emergenze causate
da conflitti civili e interetnici, nonché dalle catastrofi naturali”
Per quanto riguarda l’aspetto dell’erogazione degli aiuti, il nostro paese eroga aiuti
prevalentemente attraverso il canale multilaterale. La preferenza per il multilaterale, da
un lato, riflette la necessità di rispettare impegni presi in sede internazionale di
sostegno al multilateralismo; dall’ altro consente minori costi di gestione.
L’Italia è inoltre uno dei donatori che ha imboccato con maggiore decisione la strada
della cancellazione del debito. Nel 2002 sono stati cancellati 985 milioni di dollari di
debito a Pvs classificati come paesi meno avanzati, cui si devono aggiungere 548
milioni di debito convertito in progetti di cooperazione. Tuttavia, la cancellazione del
debito, per quanto importante, non può essere una strategia di cooperazione duratura,
poiché, per sua stessa natura, essa è destinata ad estinguersi nel corso di qualche anno.
La sfida nei prossimi anni sarà, quindi, quella di aumentare considerevolmente l’APS
con risorse finanziarie aggiuntive, sostanzialmente raddoppiando il livello attuale.12
12
Fonte: F. Bonaglia-V. de Luca “La cooperazione internazionale allo sviluppo”. Il Mulino
21
1.8 Gli attori della cooperazione italiana
Una peculiarità italiana è la presenza significativa di regioni, province e comuni
nella promozione e realizzazione di iniziative e progetti di cooperazione allo sviluppo.
Un numero elevato di regioni ha adottato regolamentazioni proprie relative alla
cooperazione allo sviluppo.
Anche la Sardegna, ha emanato una legge ad hoc: la legge Regionale 11 aprile
1996, n° 1913, su Norme in materia di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e di
collaborazione internazionale. Tale legge ha la finalità, come è chiaramente definito
dall’Art 1, comma 1, “….di promuovere la cultura della pace e della solidarietà tra i
popoli, specie nell’ambito della regione mediterranea…”, e a questo scopo, la Regione,
“partecipa alle attività di cooperazione allo sviluppo ed ai progetti di collaborazione
internazionale, in conformità ai principi contenuti nella legislazione statale nonché
negli atti internazionali e comunitari in materia”. Secondo l’Art 3, intitolato
Coordinamento e sostegno delle iniziative a livello regionale, al comma 1, “ La
Regione cura la promozione, l’armonizzazione ed il coordinamento, a livello regionale,
delle proposte di iniziativa avanzate dagli enti locali e da soggetti pubblici e privati,
operanti sul territorio regionale nelle attività di cooperazione con i Paesi in via di
sviluppo, assicurando nei rapporti con il Ministero degli Affari esteri il necessario
raccordo amministrativo e informativo. La Regione partecipa altresì al cofinanziamento
dei programmi comunitari con i Paesi in via di sviluppo”. Inoltre, la Regione Sardegna
ogni anno bandisce diverse borse di studio, proprio per la realizzazione di tesi di laurea
che approfondiscano questo tema, cercando di sensibilizzare in questo modo anche il
mondo dell’Università sulle problematiche della cooperazione, e incoraggiando le
ricerche in questo importante campo. A riguardo appare molto significativo l’Art.9
della suddetta legge, intitolato Borse di Studio, che al primo comma recita: "La
Regione istituisce borse di studio in favore di giovani residenti nell’isola, o figli di
emigrati sardi all’estero ovvero giovani provenienti da Paesi in via di sviluppo, iscritti
in Università aventi sede nella Regione, che svolgano tesi di laurea finalizzate alla
migliore conoscenza dei problemi della cooperazione allo sviluppo e della
collaborazione internazionale o all’individuazione di possibili iniziative da attuarsi ai
sensi della presente legge”.
Occorre puntualizzare come il coinvolgimento degli enti locali, vada al di là del
mero contributo finanziario, poiché si concretizza in un impegno nella promozione dei
processi di sviluppo locale, di democratizzazione e di rafforzamento istituzionale nei
Pvs attraverso, ad esempio, partenariati fra città o regioni. La cooperazione decentrata
si pone ad un livello intermedio fra la cooperazione tra governi e quella non
governativa, caratteristica che le conferisce un particolare valore aggiunto.
Così come la cooperazione non governativa, la cooperazione decentrata interviene
direttamente a livello delle comunità locali nei Pvs; inoltre è legittimata dal sostegno
della cittadinanza che rappresenta e porta con sé un patrimonio unico di esperienza
nella gestione dell’ amministrazione pubblica, che le consente di contribuire
concretamente alla buona realizzazione dei processi di decentramento amministrativo e
politico nei Pvs.
Per quanto riguarda le ONG italiane, e la loro attività, la legge 49/1987 stabilisce
che le ONG italiane, attive nella cooperazione internazionale allo sviluppo, possano
ottenere un riconoscimento di idoneità, che consente loro di ottenere contributi per lo
svolgimento di attività di cooperazione da loro promosse, in misura non superiore al
70% dell’ importo delle iniziative programmate. Nel 2004, le ONG riconosciute come
idonee sono state 174. La legge prevede inoltre che queste ONG possano realizzare
13
Fonte: 20-4-1996
13– 613.
- BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA – Parti I e II – N
22
programmi di cooperazione finanziati integralmente dalla DGCS (Direzione Generale
per la Cooperazione allo Sviluppo). Le ONG idonee possono anche realizzare attività
di informazione sulle problematiche dello sviluppo e della cooperazione, o di
educazione allo sviluppo. Queste ultime consistono in programmi in ambito scolastico
ed extrascolastico, tesi alla sensibilizzazione e alla formazione ed aggiornamento di
formatori nel settore della cooperazione.14
Per quanto riguarda la Sardegna, sembra opportuno citare una importante ONG
attiva nell’isola: l’Organismo Sardo di Volontariato Internazionale Cristiano
(O.S.V.I.C.). L’Osvic è nato in Sardegna nel 1981. E’ una Organizzazione Non
Governativa di ispirazione cristiana, non persegue scopi di lucro, fa parte della
federazione nazionale “Volontari nel mondo Focsiv (Federazione Organismi Cristiani
di Servizio Internazionale Volontario)”, e dal 1986 è riconosciuta idonea, dal Ministero
degli Affari Esteri, a svolgere attività di informazione in Sardegna e a realizzare
progetti di cooperazione, di volontariato internazionale e di promozione umana nei
Paesi in via di sviluppo. Ha come finalità la sensibilizzazione dell’opinione pubblica ai
problemi del sottosviluppo e la solidarietà tra i popoli tramite progetti di cooperazione.
Su tutto il territorio sardo e in particolare nella provincia di Oristano, l’Osvic svolge
una serie di attività:
- giornate di formazione e informazione;
- corsi di aggiornamento per docenti;
- incontri con i giovani;
-eventi, convegni e seminari internazionali;
-corsi di lingua e cultura straniera;
L’Organismo opera inoltre nei vari Sud del mondo essendo, infatti, un organismo di
volontariato internazionale, unico per le sue caratteristiche in Sardegna. I progetti
intrapresi nei Paesi in via di sviluppo, sulla base dei reali bisogni della popolazione,
riguardano principalmente il settore della sanità, scolarizzazione dei bambini,
alfabetizzazione degli adulti, risanamento ambientale, rifornimento idrico, agricoltura e
allevamento, formazione professionale e animazione socio culturale. Ciascun progetto
ha tra gli obiettivi principali la formazione del personale locale, al fine di acquisire le
competenze adatte a raggiungere la piena indipendenza e la capacità di gestire
l’intervento stesso15.
Capitolo 2
Gli obiettivi internazionali per l’empowerment femminile
2.1 Il significato del termine empowerment
La parola inglese empowerment deriva dal verbo to empower è viene generalmente
tradotta in italiano con i seguenti significati: “conferire o attribuire poteri”, “mettere in
grado di”, “dare autorità a”, “accrescere in potere”.
“Empowerment” è un termine che coniuga in sé diverse connotazioni, reazioni e
immagini. Da un lato, vengono in mente massicce dimostrazioni di partecipazione
popolare che, nelle strade, esprimono un desiderio di cambiamento da parte di vasti
strati della popolazione. Dall’altro, emerge una diffusa crescita dei fenomeni di
risveglio di persone che cominciano a prendere decisioni e a compiere azioni, ad
assumersi responsabilità, a prendere il controllo delle loro vite, a passare da uno stato
di rassegnazione e sottomissione ad uno di partecipazione attiva. Non esiste in italiano
14
15
Fonte: F. Bonaglia-V. de Luca “La cooperazione internazionale allo sviluppo”. Il Mulino
Fonte: www.osvic.it
23
una unica parola che possa tradurre questo termine inglese, anche per la complessità
semantica che il concetto stesso intende esprimere. Pertanto i diversi dizionari italiani
forniscono anche traduzioni non sempre sovrapponibili, privilegiando di volta in volta
ora uno e ora un altro aspetto di questa complessità semantica.
Tale concetto proviene dagli studi di politologia rivolti all’analisi di quei gruppi e
movimenti statunitensi impegnati, tra gli anni ’50 e ’60, in azioni rivolte a tutelare i
diritti civili e sociali delle minoranze e a garantire un equilibrio nella rappresentanza
dei diversi gruppi sociali portatori di specifici interessi. Il termine “empowerment”, è
infatti una parola che ha forti connotazioni politiche, derivanti proprio dalla sua radice,
il termine “potere”. D’altra parte, il suo uso attuale comprende anche aspetti economici,
sociali e culturali. Si parla non soltanto di assunzione di potere politico, ma anche di
assunzione di potere in campo economico e socioculturale. Fin dagli anni ’70, il lavoro
di molte organizzazioni popolari (OP) e non governative (ONG), si è sempre più
caratterizzato per un numero crescente di obiettivi relativi all’assunzione di qualche
potere, anche se, come già enunciato, di tale termine potevano essere date definizioni
molto ampie. La parola in sé, inoltre, poteva anche essere trovata nel vocabolario
utilizzato da organizzazioni governative e multilaterali, che avevano “cooptato” il
termine non solo nei loro programmi e progetti, ma anche nei loro scopi e obiettivi.
La parola empowerment presenta un duplice significato;
• Da un lato, si riferisce al percorso compiuto da un soggetto per raggiungere un
determinato risultato e, quindi, per avere certi poteri o essere messo in grado di
svolgere determinati compiti e di superare determinate condizioni di impotenza e di
passività.
• Dall’altro, ha attinenze con lo stato empowered raggiunto dal soggetto e,
pertanto, col risultato ottenuto, che è quello di essere maggiormente assertivo, più
fiducioso in sé stesso e sulle proprie capacità, in grado di godere di una dignità
personale così come di spazi di autonomia e di libertà e del riconoscimento del
rispetto per sé e per gli altri.
Complessivamente il concetto espresso dal termine empowerment può essere riferito
alla possibilità che i singoli o i gruppi accrescano il proprio potenziale e, quindi, la
possibilità di controllare attivamente e responsabilmente la propria vita.
Nell’insieme, le azioni e gli interventi centrati sull’empowerment mirano a
rafforzare il potere di scegliere dei singoli, migliorandone le competenze e le
conoscenze in un’ottica sia di carattere terapeutico - riparativo sia di carattere politico emancipatorio.
Due sono, pertanto, le caratteristiche essenziali legate ad un approccio fondato
sull’empowerment:
-consentire una crescita costante, progressiva e consapevole delle potenzialità
degli esseri umani, accompagnata da una corrispondente crescita di autonomia ed
assunzione di responsabilità;
-tendere ad aumentare il senso del potere personale del soggetto, la sua capacità
di leggere la realtà che lo circonda, di cogliere occasioni favorevoli ed opportunità.
Diversi sono gli ambiti in cui si può sviluppare un approccio o un intervento
improntato all’empowerment. La parola,così come viene usata dai teorici dello sviluppo
e del personale operativo, in particolare da quelli impegnati nelle organizzazioni non
governative e popolari, viene definita come “un processo attraverso il quale gruppi di
persone diventano coscienti delle cause della loro povertà o del loro sfruttamento e
quindi si organizzano per usare le loro capacità, energie e risorse collettive per
modificare la loro situazione. E’ quindi una dinamica interna al gruppo che emerge
come risultato della coscienza che il gruppo acquisisce di sè stesso e delle esperienze
24
fatte nell’affrontare i problemi”16 . Secondo Thomas-Slayter (1995), “l’empowerment
designerebbe quel fenomeno secondo il quale le persone sono in grado di organizzare e
di influire sul cambiamento, in base alle loro possibilità di accedere alle conoscenze, ai
processi politici e finanziari, alle risorse sociali e naturali. Avviare una “assunzione di
potere” da parte delle persone significa quindi trovare i modi di mobilitare le risorse
locali, di impegnare diversi gruppi sociali in processi decisionali, individuare delle
strategie volte ad eliminare la povertà e costruire consenso e credibilità”.
Le organizzazioni popolari e quelle di base danno alla parola “empowerment” una
forte connotazione politica. Essa significa spesso, per le organizzazioni popolari,
cambiamento sociale, modifica delle strutture che costituiscono degli ostacoli al
cambiamento. Anche quando le organizzazioni popolari lavorano per un’assunzione di
potere in termini economici, esse mirano alla trasformazione e non alla pura e semplice
accettazione delle strutture e dei sistemi, ostacoli che impediscono loro di ottenere un
potere economico e politico. Le organizzazioni non governative, in particolare quelle
che operano per lo sviluppo e che sostengono realmente le iniziative delle
organizzazioni popolari, hanno anch’esse un’ analoga definizione di “empowerment”.
Questa parola può inoltre essere percepita sia come mezzo che come fine.
L’assunzione di potere da parte delle popolazioni è essenziale per sostenere le
istituzioni democratiche e la stessa democrazia. A sua volta, una democrazia
rappresenta l’ambiente adatto a rendere possibile e permettere l’emergere e la
continuazione dei processi di acquisizione dei poteri17.
Vista queste premesse, possiamo quindi, considerare l’empowerment un processo
destinato a modificare le relazioni di potere nei diversi contesti del vivere sociale e
personale; Questo processo, infatti, può essere sviluppato sulle persone, sui gruppi,
sulle associazioni, sulle comunità. Esso comporta un cambiamento bidirezionale
chiamando in causa sia le persone che posseggono poco o non posseggono nessuna
forma di potere, sia le persone che posseggono potere e autorità nei sistemi sociali,
culturali, politici, economici, istituzionali.
L’empowerment esige che le persone senza o con scarso potere vengano ascoltate, che le
loro conoscenze ed esperienze vengano riconosciute; che le loro aspirazioni, i loro bisogni, le
loro opinioni e i loro obiettivi siano presi in considerazione; che possano partecipare ad un
processo di presa di decisione.18
2.2 Il terzo obiettivo del Millennio
Il terzo Obiettivo del Millennio si interessa di promuovere l’Eguaglianza tra i sessi e
l’empowerment delle donne. E’ importante osservare come le donne abbiano
un’influenza enorme sul benessere delle famiglie e delle società. Tuttavia, il loro
potenziale non si realizza pienamente a causa di norme sociali ed economiche che le
discriminano, e di ostacoli giuridici. La tutela della parità di genere e la promozione
della donna è un obiettivo chiave della Dichiarazione del Millennio, in quanto le donne
sono attori fondamentali dello sviluppo e moltiplicatori della produttività.
In quasi tutte le società, la donna è la prima o l’unica ad assistere familiari e parenti
in difficoltà e l’istruzione della donna contribuisce in misura maggiore rispetto a quella
dell’uomo alla salute e all’educazione delle generazioni successive, specialmente se ad
esse è affidato un ruolo significativo nei processi decisionali della famiglia. Una donna
più istruita e che gode di migliori condizioni di salute contribuisce maggiormente
all’aumento della produttività e del reddito familiare. Statisticamente, le donne più
16
17
18
Fonte: IRED, 1992
Fonte: “Il potere delle escluse”, Christina Liamzon, Annette Krauss e Karl Osner – PRIA, EMI.
Fonte: www.pariopportunità.gov.it
25
istruite hanno un numero minore di figli, contribuendo, quindi, ad accelerare il
processo di diminuzione dei tassi di natalità, e la loro prole è più sana. Anche se lo
status delle donne è migliorato negli ultimi decenni, le disuguaglianze di genere sono
ancora diffuse: con i ritmi correnti, l’uguaglianza di genere nell’ istruzione non sarà
ottenuta fino al 2025, vent’anni dopo l’obiettivo fissato dagli Obiettivi di Sviluppo del
Millennio. Tra le donne (15-24 anni) nei paesi in via di sviluppo, il tasso di
alfabetizzazione è del 60%; per gli uomini (15-24 anni) è invece dell’80%. Più donne
che uomini sono afflitte dal virus HIV/AIDS.
Appare poi importante aprire una parentesi e approfondire la problematica sociale
delle c.d. “donne perdute”.
Molti paesi in via di sviluppo hanno milioni di donne “perdute”, morte a causa di
infanticidi e discriminazioni sistematiche. Per quanto riguarda la Cina, il fenomeno
della selezione sessuale prenatale è abbastanza noto e diffuso, e ha avuto origine in
particolare con la scoperta e l’introduzione dell’ ecografia, che ha provocato un elevato
incremento dell’aborto selettivo sessuale.
Un gruppo di Ricercatori cinesi, mostrano in un loro articolo, come il rapporto tra i
sessi alla nascita in Cina crebbe sostanzialmente negli anni ’80. Secondo le statistiche
dei paesi sviluppati, che comprendono dati perfettamente attendibili che ricoprono gli
ultimi 200 anni, infatti, un veritiero rapporto di sessi alla nascita è biologicamente
stabile intorno ai 106 nati maschi per 100 nate femmine, in assenza di interferenze
sociali e comportamentali19, quali selezione sessuale indotta tramite l’aborto selettivo e
l’infanticidio selettivo. L’articolo di questi studiosi analizza dunque il recente
incremento del rapporto tra i sessi alla nascita in Cina.
Il rapporto tra i sessi alla nascita in Cina, per 100 nati, è stato molto vicino a quello
stimato dalle statistiche dei paesi sviluppati (100 nate femmine per 106 nati maschi) per
tutti gli anni ’60 e ’70 del 1900. Questo equilibrio è andato via via dissolvendosi
intorno agli anni Ottanta, ed è andato sempre peggiorando, probabilmente a causa della
Pianificazione familiare messa in atto dallo Stato cinese in quel periodo, che ha fatto si
che, per diverse ragioni - culturali, religiose e non solo- , le famiglie accogliessero con
entusiasmo la nascita di un maschio e cercassero di evitare la nascita o sopravvivenza
delle femmine. Questo avveniva inizialmente con l’infanticidio selettivo, e dopo la
scoperta dell’ecografia, che permette di individuare il sesso del futuro nascituro,
tramite l’aborto selettivo: secondo il censimento del 1982, i nati maschi erano 108.5
contro 100 nate femmine, secondo un sondaggio del 1987, era di 110.9 nati maschi su
100 nate femmine, mentre nel 1989 era di 111 nati maschi su 100 nate femmine.
Questo disastroso fenomeno è stato ripreso anche in una ricerca svolta nel 2000
nella Cina rurale, da Chu Junhong, Professore Associato dell’Istituto di Ricerca sulla
popolazione dell’Università di Pechino, sulla base di dati raccolti in seguito ad una
indagine su 820 donne coniugate, tra i 20 e i 24 anni,e una approfondita intervista con
donne e uomini appartenenti al mondo contadino, capi villaggio, responsabili di
pianificazioni familiari e operatori sanitari, secondo la quale la determinazione
prenatale del sesso sarebbe una pratica molto diffusa, sia per le prime che per le
successive gravidanze, in particolare se nello stesso nucleo familiare ci sono gia state
nascite di bambine20.
19
Il rapporto di sessi alla nascita è il numero di nati maschi per 100 nate femmine conteggiato in un sondaggio, un censimento o
una registrazione civile. In assenza di selezione sessuale, aborto selettivo e infanticidio selettivo, questo rapporto dovrebbe essere
uguale a 100 nate femmine su 106 nati maschi.
20
Fonti: Chu Junhong, Prenatal Sex Determination and Sex-Selective Abortion in Rural Cental China, Population and
Development Review 27 (2), 259-281, 2001; Zeng Yi, Tu Ping, Gu Baochang, Xu Yi, Li Bohua, Li Yongpiing, Population and
Development Review, Vol. 19, N°2, pp. 283-302, Jun 1993;
26
Chiusa questa parentesi, per quanto riguarda poi il mondo politico, nel mondo, le
donne occupano solo il 14% dei seggi parlamentari (raggiungono il 30% solo in sette
paesi).
Il traguardo:
ELIMINARE LA DISUGUAGLIANZA DI GENERE NELL’ISTRUZIONE PRIMARIA E
SECONDARIA PREFERIBILMENTE ENTRO IL 2005 E A TUTTI I LIVELLI DI
ISTRUZIONE ENTRO IL 2015.
Come intervenire?
Promuovere pari opportunità e maggiore influenza per le donne in tutti i diversi
aspetti è un obiettivo fondamentale della Dichiarazione del Millennio, anche se
l’eliminazione delle disuguaglianze nelle scuole elementari è l’unica meta esplicitata.
Intervenire tramite l’educazione e l’istruzione femminile. L’educazione
contribuisce infatti a migliorare le condizioni di salute. Migliori condizioni di
educazione e salute contribuiscono ad aumentare la produttività e la crescita
economica. Ed è questa crescita che genera le risorse per poter finanziare l’istruzione e
la sanità, che a loro volta contribuiranno ad incrementare la produttività.
Donne maggiormente istruite e sane hanno una più alta produttività – per esempio
adottando innovazioni nelle pratiche agricole – e quindi aumentano il reddito familiare.
Come accennato sopra, i dati mostrano che le ragazze che ricevono un’istruzione, nel
tempo, hanno meno figli, e che questi sono più sani, accelerando quindi la transizione
verso tassi di natalità più contenuti. Inoltre, sono le donne a svolgere le funzioni
fondamentali di assistenza nella maggior parte della società. La loro educazione
contribuisce quindi alla salute e all’educazione delle generazioni future più di quella
degli uomini, e questo è tanto più vero quando l’opinione delle donne conta nel
prendere le decisioni familiari. Questi processi positivi, infatti, hanno tanta più forza
quanto più le donne sono in grado di agire collettivamente e reclamare maggiori diritti
(all’istruzione, alle cure sanitarie, a pari opportunità lavorative), rendendo quindi più
probabili queste sinergie virtuose. Oltre all’istruzione, è inoltre necessario promuovere
azioni volte a creare più opportunità lavorative per le donne e ad aumentare il numero
delle donne nei parlamenti, oltre che ad incrementare la loro visibilità in posizione di
autorità decisionali21. Gli obbiettivi del Millennio sono, dal punto di vista della
promozione dell’empowerment femminile, l’esito di un lungo processo di riflessione e
mobilitazione scandito da una serie di importanti conferenze internazionali che, a
partire dagli anni Settanta si sono svolte in diverse parti del mondo, con importanti
accelerazioni negli anni Novanta.
2.3 Le Conferenze
“Le nazioni devono prendere misure per rendere le donne più consapevoli della loro forza e
potenzialità e per eliminare le disuguaglianze fra uomini e donne…in particolare:…abolendo
tutte le pratiche di discriminazione contro le donne; aiutando le donne ad affermare e
realizzare i propri diritti, compresi quelli relativi alla salute sessuale e
riproduttiva;…eliminando la violenza contro le donne; eliminando le pratiche discriminatorie
contro le donne messe in atto dai datori di lavoro, ad esempio quelle basate sulla richiesta di
fornire documentazione sul proprio uso di anticoncezionali o sulla propria condizione di
gravidanza;…rendendo possibile, tramite leggi, regolamenti e altre misure adeguate, la
conciliazione tra il ruolo materno – gravidanza, allattamento e allevamento dei figli – e la
partecipazione al mondo del lavoro.
-Programma di azione del Cairo, par. 4.4
21
Fonti: “Un mondo possibile”, rivista n° 7, settembre 2005, VIS; http://millenniumcampaign.it; Guida del mondo: il mondo visto
dal sud 2005/2006, EMI
27
Quello degli anni ’90 è stato un decennio che ha rivestito una particolare importanza
per questo importante tema, poiché sono state poste al centro del dibattito nazionale ed
internazionale sui diritti umani e lo sviluppo umano, le questioni della salute e dei
diritti riproduttivi, della violenza contro le donne e della responsabilità maschile nei
rapporti di potere fra i sessi.
Le grandi conferenze sulla popolazione organizzate dalle Nazioni Unite nel corso
della seconda metà del 1900, anche se con uno spirito differente, si sono tutte
preoccupate della condizione delle donne.
La conferenza sulla popolazione di Bucarest del 1974, aveva stabilito una
correlazione fra il miglioramento della condizione femminile e le strategie di controllo
della fecondità. Dieci anni dopo, nel 1984, quella del Messico fece del miglioramento
della condizione delle donne un fine in sé. In seguito poi, la Conferenza mondiale sui
diritti umani (Vienna, 1993), la Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo
(Cairo, 1994) e la quarta Conferenza mondiale sulle donne (Pechino, 1995), hanno
svolto un ruolo centrale nella modifica dei paradigmi che regolano le politiche sulla
popolazione.
Per quanto concerne la Conferenza del Cairo, proprio in questa occasione i governi
del mondo hanno raggiunto un accordo in cui si afferma il comune impegno a
promuovere e tutelare il pieno esercizio dei diritti umani da parte di tutte le donne e in
tutte le fasi del loro ciclo di vita. Si è inoltre concordato di intervenire per dare
maggiore potere decisionale alle donne e rendere paritario il lavoro con l’ altro sesso
sul piano giuridico, economico e nella vita familiare. Nel Programma d’Azione
adottato dal Cairo, le due dimensioni della relazione tra la condizione delle donne e
sviluppo – benessere generale ed immediato e condizione del cambiamento
demografico – sono state giudicate complementari. L’uguale partecipazione alla vita
politica, la promozione dell’educazione, la formazione e l’ impiego, l’alleggerimento
dei carichi di vita quotidiana, sono dunque considerati come altrettanti obiettivi
importanti. Inoltre, il Programma d’Azione del Cairo contiene, per la prima volta in un
importante documento internazionale sulle politiche della popolazione, un intero
capitolo dettagliato (il Capitolo IV) sull’empowerment delle donne e l’uguaglianza fra i
sessi. Esso afferma che: “…migliorare la condizione delle donne porta anche ad un
innalzamento della loro capacità decisionale a tutti i livelli, in tutte le sfere della vita, in
particolare in materia di sessualità e riproduzione”. L’eguaglianza fra i sessi e
l’empowerment delle donne sono temi centrali nella visione elaborata alla Conferenza
del Cairo. Gli obiettivi del Programma d’Azione in materia di salute sessuale e
riproduttiva, nonché di diritti riproduttivi, sono strettamente legati agli obiettivi in
materia di empowerment delle donne ed eguaglianza fra i sessi: gli uni danno maggiore
forza agli altri e viceversa. La Conferenza del Cairo ha stabilito un nuovo importante
impegno nel formulare l’obiettivo di “…promuovere l’uguaglianza fra i sessi in tutti i
campi, compresa la vita familiare e della comunità, e incentivare e rendere possibile
agli uomini un’assunzione di responsabilità per i propri comportamenti nella vita
sessuale e riproduttiva, nonché per il proprio ruolo sociale e familiare” (par. 4.25). Il
Programma d’Azione del Cairo chiede anche a tutti i paesi di “assumere tutte le
iniziative necessarie” per eliminare lo sfruttamento, gli abusi, le molestie e la violenza
contro le donne, gli/le adolescenti, l’infanzia (par. 4.9); chiede agli uomini di
condividere le responsabilità legate al ruolo di genitori, valorizzando allo stesso modo i
figli di entrambi i sessi, provvedendo alla loro formazione e alla prevenzione di ogni
violenza nei loro confronti; e sollecita azioni che garantiscano che anche gli uomini,
così come le donne, assumano comportamenti responsabili in materia di sessualità e
riproduzione (par 4.27). Nel 1999 la Sessione speciale dell’Assemblea Generale
dell’ONU che ha verificato l’attuazione del Programma d’Azione del Cairo, ha ribadito
28
l’esigenza di raddoppiare gli sforzi per superare le disuguaglianze tra i sessi, anche
tramite l’eliminazione delle pratiche tradizionali nocive, e di tutti gli atteggiamenti e
pratiche discriminatorie nei confronti di donne e bambine. L’Assemblea generale ha
chiesto all’opinione pubblica mondiale di praticare la “tolleranza zero” verso fenomeni
molto diffusi nei paesi in via di sviluppo, quali la preferenza per i figli maschi, le
disuguaglianze fra figli maschi e femmine in termini di valore loro attribuito e di
attenzioni loro dedicate, e tutte le forme di violenza nei confronti delle donne –
comprese le mutilazioni dei genitali femminili, lo stupro, l’incesto, la violenza sessuale
e la tratta. L’Assemblea ha chiesto ai governi di adottare modifiche legislative, e di
incentivare il cambiamento a livello sociale, culturale ed economico.
Per quanto riguarda invece la Piattaforma di Pechino, del 1995, in questa
Conferenza il concetto e il processo di empowerment hanno assunto un ruolo
particolarmente significativo. Da quel momento empowerment, insieme ad altre, è
diventata una parola d’ordine attraverso la quale promuovere ed implementare le
politiche di parità e di pari opportunità tra donne e uomini. In particolare, per le donne,
si tratta di intervenire in favore :
- dell’accrescimento della propria autostima;
- della valorizzazione delle proprie conoscenze, competenze ed abilità;
- dello sviluppo delle capacità e delle possibilità di decidere, di essere autonome,
di avere voce in capitolo nella famiglia, nella società, nella politica;
- della possibilità di accedere e di permanere nei centri decisionali della società,
della politica, dell’economia.
Tutto questo, inevitabilmente, è uno strumento per realizzare uno sviluppo più equo,
una politica più democratica, una società più libera e solidale, se pensiamo, in
particolare, che “la maggiore attribuzione di poteri e di responsabilità” alle donne deve
avvenire non dall’alto, ma attraverso la valorizzazione delle esperienze e delle
competenze che le donne stesse costruiscono22.
Queste idee, che trovano fondamento nel concetto di parità tra i generi e nella
necessità della promozione della pianificazione familiare, sono tuttavia relativamente
recenti. Infatti, come abbiamo gia visto è stato necessario attendere il 1994 e la
Conferenza Internazionale della popolazione del Cairo, perché la maggior parte dei
paesi in via di sviluppo, dopo avere accettato la tesi che lo sviluppo economico non
sarebbe stato possibile di fronte al rapido accrescimento della popolazione, fosse
concorde con il Piano di Intervento. Solo da allora, le problematiche della popolazione,
della fecondità e dello sviluppo umano sono state poste nei termini di diritti umani.
Tuttavia, ciò che più è importante non è tanto l’affermazione a “parole” di tale
concetto, bensì il suo accoglimento nella legislazione di ogni stato, nonché la sua
applicazione. Consideriamo ora il contesto dell’Africa Sub-Sahariana in generale dove
donne adulte e adolescenti non differiscono di molto in quanto a mancanza di controllo
nella sfera sessuale e riproduttiva a causa del perdurare di tradizioni che vedono il
maschio (marito, padre, fratello che sia), prendere le decisioni anziché la donna.
Osservando poi in particolare il periodo dell’adolescenza il discorso si ricollega al
ruolo svolto dell’istruzione e dai programmi governativi di pianificazione familiare, a
cui dobbiamo aggiungere quello delle Organizzazioni Non Governative (ONG), la cui
funzione è fondamentale, non solo perché la diffusione dell’istruzione è ancora, nel
complesso, limitata ma, soprattutto perché sono presenti sul campo, a stretto contatto
con la popolazione. È evidente che senza politiche di appoggio e leggi specifiche, ogni
iniziativa sia destinata ad avere scarso successo. Per questo motivo è necessario che la
leadership politica intervenga con programmi che consentano alla popolazione
22
Fonte: www.pariopportunità.gov.it
29
l’esercizio dei propri diritti e che questi, per le più giovani, si esplichino nel diritto
all’istruzione e alla salute23.
Oggi, vari studi, sostengono che la promozione dell’uguaglianza di genere e
l’empowerment delle donne siano strettamente connesse al tema dello sviluppo, e
costituiscano la chiave per il miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie in
tutte le società. La Banca Mondiale, nella relazione del 2005 in merito a questo tema,
ha affermato che il livellamento della disparità di genere aumenterebbe il reddito
nazionale pro capite. Quanto più accelerato il raggiungimento dell’uguaglianza di
genere, tanto più rapida potrebbe essere la crescita economica. Tale correlazione a
livello economico è largamente ampliata nel messaggio di Kofi Annan per la Giornata
Internazionale della Donna 2005: “Studio dopo studio”, scrive l’ex Segretario Generale
delle Nazioni Unite, “si è comprovato che non c’è altro strumento per rendere lo
sviluppo più effettivo al di fuori del potenziamento delle donne. Nessun’altra politica
ha maggiore probabilità di innalzare la produttività economica o di ridurre la
mortalità infantile e materna. Nessun’altra politica è così sicura di migliorare
l’alimentazione e promuovere la salute, inclusa la prevenzione dell’HIV/AIDS.
Nessun’altra politica è così potente per incrementare le opportunità per l’educazione
della prossima generazione. E oserei dire che nessuna politica è più importante nella
prevenzione del conflitto o nel perseguimento della riconciliazione dopo la cessazione
del conflitto”.
E’ importante dunque lavorare per un’effettivo potenziamento del ruolo delle donne,
affinché queste indicazioni non rimangano solo a livello di enunciati, ma siano
socialmente promosse ed accettate. Lo stato delle donne nel mondo, infatti, dimostra
che l’uguaglianza di genere rimane tuttora un ideale molto lontano. Questo si manifesta
nelle multiformi discriminazioni della donna oggi diffuse in tutte le società. E’
essenziale chiarire come la “promozione dell’uguaglianza di genere e l’empowerment
delle donne” non possa rimanere un obiettivo a sé stante. Attivisti e organizzazioni
femminili in quasi tutti i paesi ritengono che questo obiettivo, sebbene di per sé valido,
dovrebbe essere incluso nella fase di definizione delle strategie di policy anche per tutti
gli altri obiettivi. La sua natura strategica richiede che esso venga assunto come una
prospettiva che interessa trasversalmente tutti gli obiettivi. Tale necessità deriva non
solo dal fatto che tutti gli obiettivi sono fortemente legati a situazioni che colpiscono
principalmente le donne, ma anche e soprattutto perché al fine del loro effettivo
raggiungimento, le donne si presentano come le migliori risorse su cui far leva. Per
esempio, per sradicare la povertà estrema,non è sufficiente contare il numero di
persone che ne sono colpite, ma si dovrebbe analizzare la grande vulnerabilità delle
donne in quel determinato gruppo di popolazione, così come il loro accesso
differenziato a servizi fondamentali, tra cui alloggio, sanità o istruzione. Riguardo al
lavoro invece, non è sufficiente prendere in considerazione solo l’ impatto della
disoccupazione su uomini e donne, ma anche le cause alla radice che chiariscono la
disparità nelle opportunità di lavoro, come il gravoso onere delle responsabilità
domestiche o le discriminazioni che impediscono alle donne di essere promosse a
posizioni più elevate e meglio retribuite24. Quali sono stati i risultati finora raggiunti in
seguito a queste iniziative internazionali?
Sono stati compiuti molti passi avanti nella realizzazione di questi obiettivi, ma
l’andamento è stato disuguale e le sfide aperte sono ancora molte. Dal Global Survey
2003 dell’UNFPA sui passi avanti compiuti da ciascun paese emerge un quadro molto
disomogeneo. Alcuni paesi hanno adottato leggi e politiche nuove, ma molto di meno è
stato fatto in termini di loro traduzione in programmi concreti, realizzazione e verifica.
23
24
Fonte: http://gsp.stat.unipd.it
Fonte: Un mondo possibile”, rivista n° 7, settembre 2005, VIS
30
Nonostante ciò, si registrano comunque alcuni passi importanti, ad esempio:
•
In Messico, il Programma per la salute delle donne gestito dal Ministero
della sanità prevede la formazione degli operatori sanitari sulla promozione
dell’eguaglianza fra i sessi, ciascuno nel proprio specifico ambito;
•
In Indonesia vengono applicate le linee guida del Presidente
sull’integrazione delle tematiche di genere nelle politiche nazionali per lo
sviluppo, tramite gruppi di intervento regionali e provinciali composti da
personale pubblico, ricercatori e ONG locali;
•
L’Iran ha istituito centri specifici tramite i quali il personale femminile
di pubblica sicurezza fornisce assistenza alle donne vittime di violenza, nonché
servizi di prevenzione e sostegno psicologico, comprese le linee telefoniche di
emergenza;
•
In India, nonostante il persistere della disuguaglianza fra i sessi in
materia di istruzione, dai dati del Censimento 2001, risulta ridotto il divario fra
il tasso di alfabetizzazione dei maschi e delle femmine proprio in alcuni degli
stati dove tradizionalmente il gap era maggiore. Sono inoltre in corso tentativi
innovativi per incentivare la frequenza scolastica delle femmine: nello stato di
Haryana, ad esempio, è stato istituito un servizio di accompagnamento lungo il
tragitto, per ridurre le preoccupazioni della famiglia su possibili rischi per la
sicurezza delle ragazze. Il Global Survey 2003 dell’UNFPA fornisce un utile
quadro di valutazione su quanto è stato fatto in materia di eguaglianza fra i sessi
e empowerment delle donne.
Lo studio analizza cinque gruppi di misure, in materia di:
- Tutela dei diritti e empowerment di donne e bambine;
- Lotta alla violenza di genere, in particolare contro donne e bambine;
- Miglioramento dell’accesso all’istruzione primaria e secondaria, e lotta contro la
disuguaglianza fra i sessi nella formazione;
- Lavoro con ragazzi e uomini per promuovere atteggiamenti favorevoli
all’eguaglianza fra i sessi, all’empowerment e ai diritti delle donne;
- Promozione di un’assunzione di responsabilità da parte dei maschi nei confronti
della propria salute riproduttiva e di quella della loro partner;
Già a partire dalla Conferenza del Cairo, molti paesi hanno adottato nuove leggi o
emendato la legislazione in vigore per promuovere l’eguaglianza fra i sessi, eliminare
tutte le forme di discriminazione in base al sesso, prevenire la violenza di genere e
punire più severamente coloro che la esercitano. Fra i paesi che hanno adottato leggi
che vietano la discriminazione in base al sesso troviamo Malta, il Messico e le
Mauritius (queste ultime con una legge che garantisce alle donne la parità di diritti in
tutti i casi, indipendentemente da condizioni quali la gravidanza o lo status coniugale).
La Colombia e la Slovenia hanno adottato leggi per promuovere le pari opportunità fra
uomini e donne, mentre in Costa Rica è stato approvato un decreto che mira a
migliorare le condizioni di vita e le opportunità per le donne povere.
Alcuni testi costituzionali adottati o emendati negli ultimi anni contengono norme
rilevanti in materia di eguaglianza fra i sessi.
La Costituzione varata dal Bahrein nel 2002, ad esempio, pur prendendo atto che la
Shari’a rappresenta la principale fonte del diritto, afferma il principio dell’eguaglianza
fra donne e uomini sia in politica che nella sfera economica, sociale e culturale. La
Costituzione cubana del 2002 afferma che i coniugi hanno pari diritti e doveri, mentre
la costituzione post-indipendenza di Timor Est afferma che uomini e donne hanno pari
diritti nel matrimonio, nella famiglia e nella vita sociale, politica ed economica.
31
Anche la Costituzione ruandese del 2003 garantisce eguali diritti dei coniugi nel
matrimonio e nel divorzio, vieta la discriminazione in base al sesso e istituisce una
Commissione nazionale sui diritti umani e un Consiglio nazionale delle donne. Sono
inoltre costituzionalmente garantiti il diritto di donne e uomini all’elettorato attivo e
passivo, il diritto all’istruzione ed il principio che ad eguale lavoro deve corrispondere
un eguale salario. Nel 2002, inoltre, è stata emendata la Costituzione del Togo
introducendo la garanzia dell’eguaglianza fra i sessi di fronte alla legge e nei rapporti
di lavoro. In Azerbaigian nel 2000 un decreto presidenziale ha invitato il governo a
garantire che le riforme in corso prevedano pari opportunità per donne e uomini e una
eguale rappresentanza all’interno della Pubblica Amministrazione, invitando inoltre a
nominare un/a responsabile delle politiche di genere in ogni distretto.
E’ comunque importante sottolineare anche che, se la maggior parte dei governi
afferma di riconoscere quanto sia importante l’equità di genere e l’empowerment delle
donne, molti trovano difficile lavorare con le donne a livello territoriale. Spesso è
dunque l’associazionismo femminile il soggetto che realizza concretamente i
programmi in paesi come la Giamaica, la Malesia e il Mozambico. Le ONG si
dimostrano spesso più efficaci nel lavoro con le vittime della violenza di genere, perché
vengono vissute come più capaci di empatia e di loro ci si fida più facilmente. E’
affidata alle ONG anche la formazione del personale di polizia, dei giudici e di altri
soggetti sulla gestione del rapporto con le vittime della violenza di genere quando
chiedono aiuto. Nel 2003 il Dipartimento sulle tematiche di genere e la salute delle
donne dell’OMS ha diffuso un’analisi del modo in cui un approccio di genere può
incrementare l’efficacia dell’impegno per realizzare gli Obiettivi del Millennio in
materia di salute, in particolare l’ Obiettivo 3.
Le raccomandazioni dell’OMS propongono, tra l’altro, di analizzare attentamente
l’impatto della preferenza per i figli maschi piuttosto che per le bambine e le donne
sull’accesso all’assistenza sanitaria e sulla quantità di sostanze nutritive assunte; ridurre
i carichi di lavoro delle donne e delle bambine; affrontare la crescente
femminilizzazione della pandemia di HIV/AIDS, dovuta a pratiche tradizionali sessiste
ed agli errori di impostazione dei programmi di intervento; occuparsi dell’impatto che
ha la differenza di genere sull’incidenza della malaria e della tubercolosi. Per ridurre
l’inquinamento atmosferico degli ambienti interni, che colpisce in modo particolare le
donne e le bambine, l’OMS considera prioritario fornire combustibili più puliti per
l’illuminazione e la cottura dei cibi.
L’Obiettivo del Millennio, quello di “Promuovere l’eguaglianza fra i sessi e
l’empowerment delle donne”, riflette gli obiettivi della Conferenza del Cairo. Il
principale indicatore utilizzato per misurare i progressi compiuti è però piuttosto
limitato: eliminare la disuguaglianza fra i sessi nell’istruzione primaria e secondaria
entro il 2005, e in tutti i gradi dell’istruzione entro il 2015. La Task Force 3 dell’UN
Millennium Project (Progetto ONU del Millennio), che si occupa di istruzione primaria
ed eguaglianza fra i sessi, ha adottato un quadro operativo di più ampio respiro, che
valuta l’eguaglianza fra i sessi e l’empowerment delle donne da tre punti di vista:
I) Capacità umane, misurate in base ai livelli di istruzione, salute e nutrizione;
II) Accesso alle risorse e alle opportunità, con riferimento alle risorse economiche e
alla partecipazione politica;
III) Sicurezza, valutata in termini di vulnerabilità alla violenza;
A partire dai dati raccolti in numerosi paesi, la task force ha individuato le priorità
strategiche di intervento nazionale ed internazionale; la sinergia fra queste priorità e la
linea della Conferenza del Cairo è molto significativa.
o
Gli elementi centrali per potenziare le capacità delle donne individuati dalla task
force sono: superamento del divario fra maschi e femmine nell’istruzione secondaria e
32
maggiore accesso delle donne e delle adolescenti alle informazioni e ai servizi per la
salute sessuale e riproduttiva;
o
Le priorità individuate per migliorare le opportunità economiche e politiche
sono: investimenti in infrastrutture a misura di donna, che consentano una riduzione del
tempo di lavoro e dei livelli di fatica delle donne; riduzione delle discriminazioni
contro le donne nel lavoro e nelle retribuzioni; riduzione delle disuguaglianze fra i sessi
in materia di proprietà ed eredità; aumento della rappresentanza femminile negli
organismi di governo nazionali e locali;
Le iniziative chiave per migliorare il grado di sicurezza delle donne: sono quelle
o
iniziative mirate ad una riduzione significativa dei casi di violenza contro donne e
bambine.25
2.4. La Conferenza di Monterrey
Una volta fissati gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, la comunità internazionale
si è interrogata su come definire e mobilitare le risorse necessarie per finanziarie i
programmi di sviluppo, finalizzati a creare le condizioni economiche e sociali per il
conseguimento degli MDG. La Conferenza delle Nazioni Unite sul finanziamento dello
sviluppo, svoltasi a Monterrey, Messico, nel marzo 2002, con la partecipazione di capi
di stato e di governo dei paesi membri, ha cercato di trovare una risposta comune. La
Conferenza si è conclusa con l’adozione di una risoluzione, definita “Consenso di
Monterrey”, che contiene l’insieme degli impegni per i diversi soggetti coinvolti nelle
politiche per lo sviluppo (governi dei paesi sviluppati, governi dei Pvs, organizzazioni
internazionali, organizzazioni della società civile, settore privato).
Nel Consenso di Monterrey si afferma anzitutto l’esigenza di un nuovo partenariato
tra paesi industrializzati e Pvs, basato su una reciproca assunzione di responsabilità.
Ciascun paese ha una responsabilità primaria per il proprio sviluppo, anche se in un
mondo sempre più interdipendente gli sforzi nazionali devono essere accompagnati da
un ambiente economico internazionale favorevole, che offra opportunità di commercio
e di investimento a tutti i paesi. I capi di stato riconoscono il ruolo chiave che la
globalizzazione può giocare per lo sviluppo e l’eliminazione della povertà, soprattutto
in termini di maggiore partecipazione al commercio e agli investimenti internazionali.
La globalizzazione “offre opportunità e rischi”, e i Pvs hanno difficoltà specifiche ad
approfittare di queste opportunità e a rispondere a queste sfide. Per trarre vantaggio
dalle opportunità, occorre assicurare condizioni interne capaci di promuovere gli
investimenti produttivi, realizzando le infrastrutture di base e qualificando le risorse
umane. I governi sono chiamati ad adottare politiche macroeconomiche virtuose, che
favoriscano allo stesso tempo la crescita e la riduzione della povertà, e a favorire la
mobilitazione di tutte le risorse finanziarie disponibili, domestiche e internazionali, per
promuovere lo sviluppo del settore privato. Appaiono essenziali un buon governo e un
corretto funzionamento delle istituzioni pubbliche. E’ inoltre considerata prioritaria la
lotta alla corruzione.
Per favorire lo sviluppo del settore privato e l’aumento degli investimenti, si
sottolinea l’importanza di sviluppare il sistema finanziario e i mercati dei capitali,
prestando particolare attenzione alle piccole e medie imprese, che spesso non hanno
accesso a queste risorse vitali. Allo stesso tempo, si incoraggiano schemi innovativi di
finanziamento, che includono anche il microcredito. E proprio il microcredito
rappresenta un importante strumento di riduzione di povertà e di emancipazione, dal
25
Fonti: “Lo stato della popolazione del mondo 2004”, UNFPA e “Guardando il mondo con occhi di donna”, Anna Maria
Donnarumma, EMI;
33
momento che permette ai più poveri ed emarginati, soprattutto le donne, di avere
accesso a servizi finanziari, e di avviare e sviluppare progetti di autoimpiego e
generazione del reddito. Esclusi dal sistema di credito bancario, a causa
dell’inadeguatezza o assenza di garanzie reali e della natura delle loro attività, ritenuta
troppo ridotta e rischiosa dalle banche tradizionali, molti piccoli produttori, in aree
urbane o rurali, sono vincolati all’ usura per far fronte alle proprie necessità
economiche. I programmi di microcredito offrono una valida alternativa, dal momento
che erogano piccoli prestiti a comunità, generalmente di donne, che necessitano di
risorse finanziarie per lo sviluppo di microattività economiche nell’agricoltura,
allevamento e piccolo commercio.
Un numero sempre crescente di ONG, banche commerciali e organismi
internazionali offrono programmi di microcredito in vari Pvs. Una delle principali
caratteristiche del credito è il meccanismo di responsabilità solidale: il credito viene
concesso ad un gruppo, in cui ogni partecipante risponde del credito degli altri membri
in proporzione alla quota del proprio prestito. Il credito si basa, dunque, su un rapporto
di fiducia tra i contraenti e non richiede garanzie reali che spesso sono tra le cause
principali della non bancabilità.
Il successo di questi programmi si manifesta sicuramente anche nell’elevatissimo
tasso di ripagamento, che generalmente ruota intorno al 98%. Ciò consente l’
incremento dei crediti successivi. Occorre tuttavia puntualizzare che l’accesso al
credito non è l’unica risposta alle necessità delle comunità svantaggiate e delle
microimprese. Il microcredito si è evoluto nel corso degli ultimi anni per offrire una
serie di servizi collaterali quali l’assicurazione, la gestione del risparmio e l’assistenza
tecnica alle microimprese, che sono cruciali per la sostenibilità delle attività
economiche. Oggi si parla dunque più in generale di programmi di microfinanza. Il
riconoscimento del suo importante contributo alla riduzione della povertà ha portato ad
una crescente attenzione al fenomeno, fino alla proclamazione del 2005 come Anno
internazionale del microcredito da parte delle Nazioni Unite.26
Capitolo 3
Situazione socioeconomica e politica dei paesi oggetto di studio e
principali parametri dei rapporti di genere in Marocco, Cameroun
e Guinea Equatoriale
3.1 Marocco, Camerun, Guinea Equatoriale: aspetti storico politici, socioeconomici, demografici
Poiché si analizzerà nel prossimo capitolo l’azione di una ONG sarda in diversi
paesi del mondo povero, abbiamo ritenuto opportuno dare alcune indicazioni generali
di alcuni paesi in cui si sviluppa l’azione della cooperazione allo sviluppo. I paesi che
si è scelto di presentare sono il Marocco, il Camerun e la Guinea Equatoriale.
Dedicheremo particolare attenzione ai principali parametri che cercano di illustrare i
rapporti di genere in questi paesi. Per questi paesi vedremo quindi alcuni elementi del
loro profilo storico–politico, per passare poi all’analisi degli aspetti socioeconomici
(Indice di Sviluppo Umano, Indice di Povertà Umana ecc..) e demografici. Dopo ciò
prenderemo in considerazione i principali parametri dei rapporti di genere esistenti al
loro interno, attraverso l’utilizzo di svariati indici, e porremo così a confronto le diverse
realtà che si trovano a fronteggiare i paesi in merito a tali misure.
26
Fonte: “La cooperazione internazionale allo sviluppo”, Bonaglia, De Luca, pag 95, 96, contributo fornito da Lucia Wegner
34
IL MAROCCO
Il Marocco,la cui capitale è Rabat, presenta una popolazione di 29.475.763 abitanti
(censimento 2004), e una densità di 65ab.Kmq. La popolazione è composta da diversi
gruppi etnici, dei quali gli Arabi costituiscono il 65%, i Berberi il 33% ed altri gruppi
non specificati il rimanente 2%. La lingua ufficiale è l’arabo, ma vengono parlati anche
dialetti berberi, il francese e lo spagnolo. La forma di governo è la Monarchia
Costituzionale, e dal 24 Luglio 1999 è salito al governo il Sovrano Sidi Mohammed
(Maometto VI). Per quanto riguarda la religione, la maggior parte dei marocchini è
musulmana, principalmente sunnita (98,7%), i cristiani sono l’1,1% e gli ebrei lo 0,2%.
Protettorato francese dal 1912 (salvo alcuni territori occupati dalla Spagna), il paese
è indipendente dal 1956. Nel 2002 il Marocco ha rivendicato davanti all’Assemblea
Generale dell’ONU la rivendicazione di Ceuta e Melilla, enclaves spagnole sulla costa
marocchina del Mar Mediterraneo. Secondo la Costituzione del 1992, modificata nel
1996, il re nomina il Primo ministro e i responsabili dei principali dicasteri. Il Governo
è censurabile sia dalla Camera dei Rappresentanti (325 membri eletti a suffragio diretto
per cinque anni), sia dalla Camera dei consiglieri (270 membri per 3/5 eletti dagli
organismi locali, per il resto dalle categorie professionali). Per quanto riguarda le
notizie più recenti si può accennare al fatto che negli ultimi mesi del 2005, d’accordo
con il Governo spagnolo sono state rafforzate le misure di sicurezza alle frontiere con
Ceuta e Melilla per contrastare l’enorme flusso di migranti clandestini che cercano di
entrare in Europa attraverso le due enclaves spagnole in territorio marocchino. Questo,
35
nonostante nel novembre 2004, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni
(OIM), in collaborazione con il governo del Marocco,il Centro dei diritti dei Migranti
di Rabat, e diverse ONG, avesse lanciato una campagna di informazione per far
conoscere ai potenziali migranti i problemi dell’immigrazione irregolare e i loro diritti.
Il 25 Marzo.2006 a Laayoune,il re Mohammed VI ha affermato la disponibilità del
Marocco a concedere ampia autonomia alla regione, e inoltre ha annunciato la grazia a
oltre 200 ribelli del Polisario detenuti in Marocco, ribadendo però l’assoluta contrarietà
del governo al riconoscimento della Repubblica Saharawi. In Marocco è attualmente in
vigore la pena di morte, anche se, secondo le ultime notizie in merito, risalenti al 1
febbraio 2007, il Marocco abolirà la pena di morte prima del termine dell'attuale
mandato parlamentare, ossia entro la fine di aprile: lo ha annunciato Idris Ben Dhikri,
presidente del Consiglio Consultivo per i Diritti Umani, voluto da Muhammad VI. Ben
Dhikri ha dichiarato che sulla base di una prima serie di consultazioni con i deputati,
esiste un consenso generale sull'argomento. Elogiando re Muhammad VI per la sua
posizione di opposizione alla pena capitale, spiega che è già stata formata una
commissione giuridica incaricata di modificare il codice penale in vista dell'abolizione
di questa sanzione. Il presidente del Consiglio Consultivo per i Diritti Umani assicura
che non esiste una vera opposizione a questa iniziativa, ma solo una certa
preoccupazione
per
l'escalation
del
fenomeno
del
terrorismo.
Ben Dhikri, che rappresenta il suo paese alla terza Conferenza contro la pena di morte
in corso a Parigi, sottolinea la necessità di mettere in luce gli aspetti positivi dell'Islam,
che non incita all'omicidio, né alla vendetta, né impone la pena di morte. A proposito
dell'iniziativa del governo italiano, che ha chiesto una moratoria della pena di morte a
livello di Nazioni Unite, il presidente del Consiglio per i Diritti Umani si dice convinto
che se l'Italia riuscirà a far sì che sia presa una decisione di portata internazionale, sarà
un grande successo, anche se si trattasse di un gesto di semplice incoraggiamento. E'
dal 1993 che in Marocco non vengono più emesse sentenze di condanne a morte27.
Dopo questi cenni storici, attraverso i quali abbiamo esaminato anche alcuni sviluppi
recenti della situazione politica e giudiziaria del Paese, passiamo ad analizzare alcuni
indici socioeconomici che ci diano un’idea della situazione attuale del Marocco. Tra
questi, senza dubbio, rientra l’indice di sviluppo umano (ISU),che viene pubblicato
annualmente dallo Human Development Report per conto dello United Nations
Development Programme (UNDP), ed è costituito dalla media ponderata di alcuni
fattori di sviluppo attinenti la durata della vita (speranza di vita), il livello culturale
(tasso di alfabetizzazione degli adulti e accesso ai livelli di istruzione) e la quantità di
ricchezza disponibile (Prodotto Interno Lordo – PIL reale per abitante). E’ espresso
tramite un valore in millesimi e la posizione di un paese nella graduatoria mondiale).
L’indice di sviluppo umano del Marocco è pari a 0,631, e si pone nella graduatoria
mondiale al 162° posto. (Il nostro paese si colloca al 18° posto). Un altro indicatore
sociale significativo è sicuramente l’indice di povertà umana, anch’esso pubblicato
annualmente dallo Human Development Report per conto dello United Nations
Development Programme (UNDP). Questo indice misura le privazioni secondo la
media ponderata di tre parametri base: longevità,conoscenza e standard di vita (IPU-1,
per i paesi in via di sviluppo) ed esclusione sociale (IPU-2, per alcuni paesi
dell’OCSE). Il Marocco presenta un Indice di povertà umana (IPU-1) del 34,5%,
collocandosi così al 61°posto nella graduatoria mondiale (L’Italia si colloca al
18°posto).
Possiamo citare in questa sede anche un altro importante indicatore, ovvero
l’accesso all’acqua potabile sicura:28 questo indicatore misura la percentuale di
popolazione che ha accesso ad una fonte migliorata di acqua potabile, che fornisca una
27
28
Fonti: http://www.nessunotocchicaino.it;
Fonte: UNICEF, State of the World’s Children 2005: Childhood Under Threat, UNICEF, New York, 2005.
36
quantità adeguata di acqua sicura ubicata a ragionevole distanza dall’ abitazione. La
misura è collegata all’esposizione ai rischi per la salute, compresi quelli derivanti da
servizi igienici inadeguati. Per il Marocco questo valore è relativamente alto: è infatti
stimato all’80%, quindi larghissima parte della popolazione può usufruire dell’ acqua
potabile tramite fonte sicura.
Tra gli indici demografici che possono rilevare in questa sede, rientra sicuramente la
mortalità, che indica il rapporto fra i decessi avvenuti in un determinato anno e l’
ammontare medio della popolazione di uno stato (per 1000 abitanti) e corrisponde al
5,5‰ (2004), e la speranza di vita alla nascita, che analizzeremo in seguito effettuando
un raffronto tra quella maschile e quella femminile.
Per quanto riguarda l’economia, il Marocco presenta un PNL29 di 49.278 ml $ USA,
un PIL30 di 51.986 ml $ USA e un PIL/ab31 di 1.752 $ USA. Dopo un arresto nel 2005,
la crescita del PNL è ripartita all’inizio del 2006 grazie alla ripresa degli investimenti
esteri. L’ inflazione32è bassa (1,8%, dati 2005), ma la disoccupazione è rimasta elevata
(11,2%), soprattutto quella femminile (28,4%), ed in particolare tra i giovani.
Il Marocco riceve inoltre aiuti dall’estero pari a 706 ml $ USA, corrispondenti all’
1,4% del PIL (dati 2004).
Tra gli indicatori economici che ci interessano in questo contesto è infine senza
dubbio rilevante il debito estero, che è pari, per questo paese, a 15.600 ml $ USA (dati
2005).33
29
Il Prodotto Nazionale Lordo (PNL)è il valore che esprime i risultati economici conseguiti dai fattori produttivi di uno stato per un
dato anno, più gli introiti degli investimenti all’estero. Il dato è espresso in questo contesto in milioni di $ USA.
30
Il Prodotto Interno Lordo (PIL) è definito come il valore totale dei beni e servizi finali prodotti da un paese in un anno mediante i
fattori produttivi (attività economiche,esercizio di professioni e mestieri,investimenti di capitale ecc..) impiegati all’interno del
paese stesso. E’ espresso in questo contesto in milioni di dollari USA.
31
Il Prodotto Interno Lordo per abitante (PIL/ab) è il valore del Prodotto Interno Lordo diviso per la popolazione totale di un paese,
espresso in $ USA.
32
L’inflazione è l’aumento dell’indice generale dei prezzi delle merci e dei fattori di produzione e la conseguente diminuzione del
potere d’acquisto della moneta.
33
Tutte le informazioni relative al Marocco che si trovano in questo paragrafo, a parte l’ indice di accesso all’ acqua potabile
sicura, e i dati sulla pena di morte, sono basate sulla Fonte: Calendario Atlante De Agostani 2007, Istituto Geografico De Agostani
Novara, anno 103°.
37
IL CAMERUN
Il Camerun, la cui capitale è Yaoundè, ha una popolazione stimata al 2005 di
16.667.000 abitanti, con una densità di 35 ab./kmq. I maggiori insediamenti si trovano
nelle zone meridionali e centrali del paese. Le aree settentrionali sono popolate da
allevatori seminomadi, mentre nelle foreste pluviali si trovano ancora alcune comunità
di pigmei. Nel paese sono presenti circa 200 diversi gruppi etnici: il 20% di questi è
costituito dai Fang, il 18% dai Bamileke, il 15% dai Duala, il 10% dai Fulbe, l’ 1,2%
dagli Hausa e il 35,8% da altre etnie. Nel sud predominano quelli di origine Bantu,
come Duala, Bamilekè, Tikar e Bamauna. Gli Ewondo e i Fulbè prevalgono nell’ovest,
i Fulano nel nord. Nel sud – est si trovano i Pigmei Baka che vivono di caccia e di
pesca.
Per quanto riguarda la lingua, quelle ufficiali sono il francese (prevalente), l’inglese
e il tedesco. Esistono però circa duecento lingue locali: in linea generale, a sud si
parlano le lingue bantu e semibantu, mentre a nord sono più diffuse quelle di ceppo
sudanese.
Per quanto riguarda invece la religione, i dati appaiono discordanti. Secondo le
diverse fonti sembrerebbe comunque che gran parte degli abitanti pratichi culti africani
tradizionali (per alcune circa il 40%), anche se nel sud predominano i cristiani (circa il
36%, di cui il 21% cattolici e il 15% protestanti) e nel nord i musulmani (circa il 22%).
38
La forma di governo è la Repubblica Parlamentare. Il Presidente, Paul Biya,
(RDPC)34 è stato eletto nel 1982, e poi rieletto nel 1992, nel 1997 e nel 2004. Il Primo
Ministro è Ephraïm Inoni (RDPC) dall’ 8 dicembre 2004. Il paese è governato in base
ad una Costituzione promulgata nel 1972. Il Presidente della Repubblica, che espleta le
funzioni di Capo dello Stato e di Comandante delle forze armate, viene eletto ogni
cinque anni tramite suffragio universale diretto. Sino al 1992 i ministri, incluso il
premier, venivano nominati dal Presidente e, per statuto, non era loro concesso di
esplicare funzioni legislative. Il Capo dello Stato nomina anche i governatori delle dieci
province. L'esercizio del potere legislativo spetta all'Assemblea nazionale
monocamerale che consiste di 180 membri eletti ogni 5 anni. Il Raggruppamento
democratico del popolo (RDPC) rimase l'unico partito legale dal 1966 al 1990, quando
il paese si aprì al multipartitismo. Il sistema giudiziario del Camerun si basa
essenzialmente sul modello francese con qualche elemento di quello inglese. L'organo
di grado più elevato è la Corte suprema.
Per quanto riguarda alcuni cenni storici, possiamo dire che poco si conosce circa i
primi insediamenti nella regione dell'attuale Camerun; i primi abitatori, probabilmente,
si spinsero dai propri insediamenti dell'interno verso le zone costiere in successive
ondate migratorie fino al XIII secolo. È certo che all'epoca dei primi contatti con gli
europei, numerosi gruppi erano già ben stabili sulla costa, che venne esplorata fin dal
tardo XV secolo dai portoghesi. Nel XVII secolo gli europei si stabilirono nella regione
per acquistare avorio, caucciù e schiavi. Dopo il 1845 divennero particolarmente attivi i
missionari e i commercianti inglesi, che successivamente, insieme con i tedeschi,
diedero avvio all'esplorazione delle regioni interne (1860); nel 1884 la Germania stabilì
nell'area di Douala un protettorato, che nel trentennio successivo, a seguito di ripetuti
accordi con la Gran Bretagna (1886, 1893) e la Francia (1894, 1911), si ampliò fino ai
confini dell'attuale Ciad. Le difficoltà nel campo dei trasporti e la resistenza della
popolazione locale impedirono ai tedeschi il pieno sfruttamento dell'area, nella quale
essi crearono tuttavia vaste piantagioni di cacao, palma e caucciù, costruirono strade e
avviarono i lavori di costruzione di una ferrovia e del porto di Douala. Nel 1916 le
forze anglo-francesi invasero la colonia; dopo la prima guerra mondiale, con il trattato
di Versailles (1919), un quinto del territorio (la parte contigua alla Nigeria) venne
assegnato alla Gran Bretagna, e i rimanenti quattro quinti alla Francia, in qualità di
mandati, dalla Società delle Nazioni. Nel secondo dopoguerra crebbe il fermento
politico nei territori francesi, dove si sviluppò una campagna per l'indipendenza che nel
1958 sfociò nell'ottenimento della piena autonomia e, nel 1960, nella creazione di uno
stato indipendente. Ammesso all'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel
settembre del 1960, il paese prese il nome di Camerun Orientale e Ahmadou Ahidjo,
premier dal 1959, ne divenne il primo presidente. Nel 1961 l'ONU indisse un
referendum nel Camerun britannico, da cui risultò l'annessione della zona meridionale
al territorio francese, che si denominò Repubblica federale del Camerun, mentre il
territorio settentrionale si unì alla Nigeria. Subito dopo l'indipendenza il governo
dovette far fronte a una ribellione delle popolazioni del sud del paese, cristiane, contro i
gruppi di potere, di fede musulmana, e alle agitazioni (comuniste) sedate nel 1963. Nel
1966 i sei partiti di maggioranza si unirono nell'Unione nazionale camerunese (UNC),
rinominata nel 1984 Raggruppamento democratico del popolo del Camerun (RDPC),
unico partito legale fino al 1990; nel 1972 Ahidjo promosse un referendum popolare
che trasformò il Camerun da stato federale a stato unitario, denominato Repubblica
unita del Camerun. Rieletto nel 1975 e nuovamente nel 1980, Ahidjo si dimise nel
novembre del 1982 e fu sostituito da Paul Biya, già primo ministro, un cristiano del
sud. Poco tempo dopo, ci fu un deterioramento dei rapporti tra Biya e Ahidjo e
34
Raggruppamento democratico del popolo
39
quest’ultimo nel 1983 andò esule in Francia. Biya vinse le elezioni presidenziali nel
1982 e cambiò il nome del paese in Repubblica del Camerun. Nel dicembre del 1990 è
stato abolito il monopartitismo. Da allora Biya è stato confermato per tre volte alla
presidenza della repubblica, l’ultima nel 2004;
Il Camerun è inoltre membro del Commonwealth35, dell’OCI (Organizzazione della
Conferenza Islamica, istituita nel 1971 per promuovere la solidarietà e la cooperazione
tra i paesi islamici), dell’ ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite, che costituiscono
un’organizzazione di carattere universale creata per mantenere la pace e la sicurezza,
realizzare la cooperazione internazionale nei settori economico, sociale, culturale e
umanitario e promuovere il rispetto dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali),
dell’UA (Unione Africana, che ha sostituito nel 2002 l’ Organizzazione dell’Unità
Africana, sorta nel 1963 per rafforzare l’ unità politica e la cooperazione fra i paesi
membri e per affrancare il continente dalla dominazione coloniale. Comprende tutti gli
Stati del continente, (tranne il Marocco, che ne è uscito nel 1984) e WTO (World Trade
Organization, persegue la liberalizzazione degli scambi e l’abbassamento delle barriere
tariffarie) ed è associato all’Unione Europea.
Per quanto riguarda la posizione del paese assunta in merito alla pena di morte, il
Paese risulterebbe abolizionista di fatto e la data dell’ultima esecuzione risale al 1988,
anche se il Camerun applica la pena capitale per tradimento. Il Codice Penale prevede
inoltre la pena di morte per alcuni crimini, tra cui l’omicidio premeditato, atti di
violenza contro pubblici impiegati con l’intento di ucciderli e furto aggravato. La legge
n. 90/061 del 19 dicembre 1990 ha emendato il Codice Penale, in particolare rispetto al
furto aggravato, stabilendo che solo il furto che causa la morte o gravi lesioni è
passibile di pena di morte. Il traffico di rifiuti tossici o pericolosi è diventato un reato
capitale con la legge N. 89/027 del 29 dicembre 1989. La condanna a morte definitiva è
automaticamente sottoposta al Presidente della Repubblica per la grazia. Prima di un
suo esplicito rigetto dell’istanza, la sentenza non può essere eseguita. Alla fine del 2005
le autorità non hanno reso noto quanti dei detenuti nel braccio della morte hanno
usufruito del decreto presidenziale del dicembre 2004, che commutava le condanne
capitali in ergastolo, ad eccezione di alcuni casi specifici come l’assassinio di un
bambino. Il numero dei detenuti in attesa di esecuzione resta sconosciuto36.
Dopo aver quindi analizzato gli aspetti storico politici del Camerun, passiamo ora ad
esaminarne alcuni aspetti socio-economici e demografici, attraverso gli stessi indici
analizzati nel caso del Marocco, dei quali è stata già data ampia definizione.
Tra gli indici socio-economici possiamo riscontrare che l’Indice di Sviluppo Umano
è pari a 0,497, e in base a questo valore il Camerun si pone al 148° posto nella
gerarchia mondiale. Per quanto riguarda l’Indice di Povertà umana, in questo paese
riscontriamo che IPU-1 equivale al 36,2%, ed in base a questo valore il Camerun si
colloca al 67° posto nella graduatoria mondiale.
Per quanto riguarda l’indice che misura l’accesso all’acqua potabile sicura, la
percentuale di popolazione che ha accesso ad una fonte migliorata di acqua potabile,
per quanto riguarda il Camerun, corrisponde al 63%37.
Tra gli indici demografici, è importante citare la mortalità, che corrisponde al 13,8‰
(2004) e la speranza di vita alla nascita, che, come abbiamo detto già relativamente al
35
Il Commonwealth è una libera associazione di Stati sovrani, è stata istituita l’ 11 dicembre 1931 dal Regno Unito, dalle sue
dipendenze e da una serie di Stati già colonie britanniche. Il suo scopo è quello di promuovere la cooperazione tra i membri in
campo politico, sociale, economico, e finanziario. Non si fonda su un documento scritto e si articola su un complesso sistema di
consultazioni: di particolare importanza sono le Conferenze dei primi ministri dei paesi membri. Il 21 ottobre 1997 il primo
ministro inglese ha privatizzato la Commonwealth Development Corporation, l’agenzia che si occupa dell’ assistenza allo sviluppo
dei paesi associati più poveri. Il Capo dell’ organizzazione è la Regina Elisabetta II.
36
Fonte: http://www.nessunotocchicaino.it
37
Fonte: UNICEF, State of the World’s Children 2005: Childhood Under Threat, UNICEF, New York, 2005.
40
Marocco, verrà analizzata in un’ altra sede, quando parleremo dei parametri dei
rapporti di genere.
Per quanto riguarda infine l’economia, il Camerun possiede un PNL pari a 14.359
ml $ USA (2004), un PIL pari a 16.991 ml $ USA e un PIL/ab. pari a 952 $ USA.
L’inflazione è relativamente bassa, e corrisponde al 2%. La forza lavoro è spartita per il
49% nel settore primario, per il 15% nel settore secondario, e per il 36% nel settore
terziario (2004). Il Camerun riceve aiuti dall’ estero per un valore pari a 762 ml $ USA,
pari al 5,3% del PIL (2004); e ha contratto un debito estero pari a 5.800 ml $ USA
(2005)38.
LA GUINEA EQUATORIALE
La Guinea Equatoriale, la cui capitale è Malabo, ha una popolazione di circa
1.014.999 abitanti (cens. 2001), ed una densità di 40 ab./kmq39. Tuttavia, questi dati
appaiono discordanti con altre fonti40, probabilmente anche a causa dell’ enorme
difficoltà che si ha nel riscontrare in paesi così sottosviluppati dei dati precisi e
affidabili. Secondo altre fonti, infatti, il paese avrebbe una popolazione di 540.109
abitanti (2006); circa 110.000 guineani vivono all'estero, molti dei quali in esilio
politico. Inoltre varia anche la densità, che sarebbe di 19 unità per km².
La popolazione della Guinea Equatoriale è quasi interamente di stirpe bantu: i bubi
parlano la lingua omonima e vivono prevalentemente sull'isola di Bioko, mentre i fang
(che possiedono un proprio idioma) popolano la regione continentale. Gli abitanti di
Pagalu discendono dagli schiavi portoghesi e parlano ancora oggi il creolo-portoghese,
un idioma misto, mentre a Bioko si utilizza anche il pidgin inglese. Sono presenti
38
Per il Camerun sono state utilizzate, tranne che per l’ indice d’ accesso all’ acqua potabile e i dati relativi la pena di morte, le
seguenti fonti: Microsoft ® Encarta ® Enciclopedia Plus 2002. © 1993 – 2001 Microsoft Corporation, Calendario Atlante De
Agostini 2007; Istituto Geografico De Agostini Novara; anno 103°; Guida del Mondo; Il mondo visto dal sud 2005/2006, EMI
Editore;
39
Fonti: Calendario Atlante De Agostini 2007; Istituto Geografico De Agostini Novara; anno 103° e www.dgecnstat-ge.org
40
Fonte: "Guinea Equatoriale." Microsoft® Encarta® 2007 [DVD]. Microsoft Corporation, 2006.
41
minoranze di discendenza europea. Lo spagnolo è la lingua ufficiale, insieme al
francese. La Forma di governo è la Repubblica, il Presidente è Tèodoro Obiang
Nguema Mbasogo, dal 3 agosto 1979, rieletto da ultimo il 15 dicembre 2002. Il Primo
Ministro è Miguel Abia Biteo Borico, dal 14 giugno 2004. Per quanto riguarda la
religione, quella cattolica è la predominante (93,6%).
Per quanto concerne invece l’Ordinamento dello Stato, si possono accennare gli
avvenimenti più significativi: ex colonia spagnola, la Guinea Equatoriale ha ottenuto l’
indipendenza il 12 ottobre 1968. Il colonnello Tèodoro Nguema Mbasogo, conquistò il
potere e la presidenza con un colpo di stato nel 1979. Dal 1979, al 1987, la Guinea
Equatoriale è stata governata da un Consiglio supremo militare, nel quale, dal 1981,
sono stati ammessi anche dei civili. La Costituzione promulgata nel 1982 prevedeva
l'elezione diretta di un presidente con mandato settennale, cui si sarebbe dovuto
affiancare un governo in carica per cinque anni. Tutti i partiti politici furono, tuttavia,
banditi sino al 1987, quando venne costituito un unico partito di governo, il Partito
democratico (PDGE). Nel 1991 venne approvata una nuova Costituzione che
introduceva il pluripartitismo, separava i poteri del Presidente da quelli del Primo
Ministro e garantiva al Capo dello Stato l'immunità giudiziaria. Il regime autoritario del
colonnello Tèodoro Nguema Mbasogo è rimasto inalterato anche dopo la Costituzione
del 1991, nonostante questa abbia aperto il Paese al multipartitismo, così nel novembre
1993 sono state indette le elezioni multipartitiche che, sebbene boicottate dalle
opposizioni, hanno portato alla vittoria del PDGE. Il Partito democratico (PDGE), che
rappresenta l’etnia fang, ha mantenuto il controllo del Parlamento anche dopo le
elezioni del 2004. Eletto a suffragio diretto per sette anni, il Presidente nomina il Primo
Ministro; Il Parlamento è composto da cento membri eletti per cinque anni. La Guinea
Equatoriale è membro ONU e dell’ Unione Africana. E’ inoltre associato all’Unione
Europea. In Guinea Equatoriale è in vigore la pena di morte. Il Paese si dichiara
mantenitore della pena capitale, che avviene tramite fucilazione ed impiccagione. Sono
considerati reati capitali l’omicidio aggravato, lo spionaggio e la rapina a mano armata.
La data dell’ultima esecuzione risale al 28-04-2006: una fonte giudiziaria rese noto che
le autorità della Guinea Equatoriale avevano fucilato in tale data un uomo condannato a
morte per omicidio dalla Corte d’Appello di Malabo. Secondo Amnetsy International
nel dicembre 2004, un soldato, sarebbe stato condannato a morte da un tribunale
militare a Bata per aver ucciso un commilitone pochi mesi prima mentre montavano di
guardia. Non vi è diritto d’appello nei confronti delle sentenze pronunciate dalle corti
militari. Non è chiaro se la sentenza sia stata eseguita o meno.41
Dopo questo breve quadro della situazione storico – politica e amministrativo –
giudiziaria della Guinea Equatoriale, passiamo ora ad analizzare alcuni indici
socioeconomici, che abbiamo utilizzato anche per esaminare gli altri paesi oggetto di
studio: Questi sono innanzitutto l’indice di sviluppo umano, che in questo Paese
corrisponde a 0,655. In merito a questo indicatore il paese ci colloca al 121° posto nella
graduatoria mondiale; l’indice di povertà umana, che corrisponde a (IPU-1) 38,1%,
riportato nella graduatoria mondiale, corrisponde al 71° posto. Per quanto riguarda
l’indice relativo all’accesso all’acqua potabile invece, secondo i dati del 2003, sembra
che solamente il 44% della popolazione abbia accesso all’acqua potabile. Tra i dati
demografici, importante la mortalità, che sarebbe del 15‰ (2004).
Per quanto riguarda l’economia, lo sfruttamento dei ricchi giacimenti di petrolio (di
Alba e Ceiba) ha favorito negli ultimi anni una forte crescita del PNL (641 ml $ USA,
dati 2003), anche se è importante osservare che solo una ristretta fascia di popolazione
si è potuta avvantaggiare di questo aumento di benessere. E’ ancora diffusa
l’agricoltura di sussistenza (patate dolci, manioca), mentre è in calo quella commerciale
41
Fonte: http://www.nessunotocchicaino.it
42
(cacao, caffè, banane); destinati all’esportazione i legnami pregiati (palissandro, ebano,
okoumè); attiva la pesca. L’industria è limitata alle lavorazioni del petrolio e dei
prodotti agricoli.
Il PIL è di 6.752 ml $ USA e il PIL/ab. è di 5.934 $ USA (2005). Il Paese ha
un’inflazione del 6,8% (2005), quindi abbastanza elevata, riceve aiuti dall’estero per
30 ml $ USA (2004) e ha un debito estero pari a 300 ml $ USA (2005).42
3.2 Analisi dei principali parametri dei rapporti di genere in Marocco,
Camerun, Guinea Equatoriale
Dopo aver visto i diversi aspetti storico politici, socioeconomici, demografici (in
parte) ed economici dei Paesi oggetto di studio, passiamo ora ad approfondire i
principali parametri dei rapporti di genere , attraverso l’utilizzo di svariati e importanti
indicatori.
Innanzitutto prenderemo in considerazione gli INDICATORI DI MORTALITA’.
Tra questi rientrano la mortalità infantile, l’aspettativa di vita maschile e femminile
alla nascita43 - questi indici misurano rispettivamente, il primo, i tassi di mortalità,
rispettivamente nel 1° anno di vita , (quello che più risente dei livelli di sviluppo, e
nell’intero arco della vita), ed è calcolato per 1000 nati vivi, il secondo il numero di
anni che un neonato potrebbe aspettarsi di vivere, se i tassi prevalenti di mortalità al
momento della nascita si mantenessero costanti nel corso di tutta la sua vita - e il tasso
di mortalità materna44: Questo indicatore misura invece il numero di donne decedute –
per cause legate alla gravidanza, al parto e alle relative complicanze – su 100 mila nati
vivi. Sebbene sia difficile ottenere dati esatti, gli ordini di grandezza sono molto
indicativi. Le stime al di sotto di 50 non sono state arrotondate, quelle fra 50 e 100 sono
state arrotondate alla cinquantina superiore, quelle fra 100 e 1000 alla decina superiore,
quelle al di sopra di 1000 al centinaio superiore. Parecchie stime differiscono dai dati
ufficiali forniti dai governi. Ove possibile, le stime si basano su dati pubblicati, e sono
stati usati vari metodi per aumentare la comparabilità dei dati provenienti da fonti
diverse. Stime e metodologie vengono regolarmente riesaminate da OMS, UNICEF,
UNFPA, istituzioni accademiche e altre agenzie, e ove necessario vengono riviste nel
quadro del continuo processo di perfezionamento dei dati sulla mortalità materna.
Esaminiamo dunque il valore di questi indici nei Paesi che stiamo analizzando,
facendo un confronto con quelli calcolati a livello mondiale, e quelli calcolati nei paesi
sviluppati, per renderci meglio conto in che situazione si trovino questi stati in
un’ottica più globale ma allo stesso tempo più precisa. Secondo un monitoraggio degli
obiettivi della Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo, tutti gli indicatori che
utilizzeremo per approfondire i principali parametri dei rapporti di genere (indicatori di
mortalità, indicatori di istruzione, indicatori della salute riproduttiva), sono stati
calcolati, a livello planetario, rifacendosi a una media di quelli stimati tra le Regioni
sviluppate (Nord America, Giappone, Europa, Australia e Nuova Zelanda) le Regioni
in via di sviluppo (tutte le regioni dell’ Africa, dell’ America Latina e dei Carabi,
dell’Asia (escluso il Giappone) della Melanesia, Micronesia e Polinesia e dei Paesi
meno avanzati di tutti (secondo la classificazione standard delle Nazioni Unite).
42
Fonte: Calendario Atlante De Agostini 2007; Istituto Geografico De Agostini Novara; anno 103°;
43
Fonte: Tabulati forniti dalla Divisione per la popolazione delle Nazioni Unite. Sono stati calcolati eseguendo la media tra le
stime per i periodi 2000-2005 e 2005-2010 per ottenere la stima esatta per l’ anno 2005.
44
Fonte: WHO, UNICEF e UNFPA, Maternal Mortality in 2000: Estimates Developed by WHO, UNICEF e UNFPA, Ginevra,
WHO, 2003.
43
Costruiremo ora uno specchietto dove porremo a confronto i dati inerenti gli
indicatori di mortalità dei singoli paesi analizzati, con quelli calcolati a livello globale e
con quelli calcolati nelle regioni sviluppate:
INDICATORI DI MORTALITA’
MORTALITA’
INFANTILE
(calcolata per
1000 nati vivi)
SPERANZA DI VITA
MASCHI
FEMMINE
INDICE DI
MORTALITA’
MATERNA (su
100.000 nati
vivi)
TOTALE MONDIALE
55‰
63.7 anni
68.2 anni
-------------
REGIONI SVILUP.
8‰
72.2 anni
79.6 anni
-------------
MAROCCO
35‰
68.1 anni
72.5 anni
220
CAMERUN
93‰
45.4 anni
46.6 anni
730
GUINEA EQUATOR.
98‰
42.1 anni
42.9 anni
880
Come emerge dai seguenti dati, la Guinea Equatoriale, seguita subito dopo dal
Camerun, è il paese che si trova nelle condizioni peggiori per quanto riguarda tutti i
parametri presi in considerazione, mentre il Marocco è lo Stato con gli indici dai valori
più vicini a quelli riscontrabili a livello mondiale, con una mortalità infantile ben al di
sotto del 55‰ e molto al di sopra di quella di Camerun e Guinea Equatoriale, una
speranza di vita sempre molto al di sopra di quella prevista in questi due paesi e
abbastanza vicina a quella calcolata sia livello mondiale che nelle regioni sviluppate, e
con una mortalità materna neanche lontanamente paragonabile a quella calcolata per gli
altri due paesi oggetto di studio.
La situazione diviene comunque drammatica anche per il Marocco se si prende in
considerazione la mortalità infantile e la si paragona ai dati relativi alle regioni
sviluppate (35‰ contro 8‰). In ogni caso, questa regione appare comunque la più
sviluppata per quanto riguarda tutti i parametri oggetto d’ analisi.
Prendiamo ora in esame altri importanti indicatori, per continuare la nostra indagine
sui principali parametri di genere. Decisamente rilevanti appaiono gli INDICATORI DI
ISTRUZIONE. Tra questi prenderemo in esame i tassi complessivi di iscrizione maschile e
femminile alla scuola elementare, i tassi complessivi di iscrizione maschile e femminile
alla scuola secondaria45, analizzeremo l’ analfabetismo tra adulti, maschi e femmine46,
intendendo con questa locuzione gli individui che non sono in grado di leggere e
scrivere una semplice frase sulla vita quotidiana, comprendendone il significato. Inoltre
prenderemo in esame anche la percentuale di alunni che raggiungono la quinta classe
della scuola elementare.47
Costruiremo anche in questo caso una tavola riassuntiva in modo da schematizzare
al meglio i dati e poterli confrontare in maniera più immediata:
45
Fonte: tabulati forniti dall’ Istituto di Statistica dell’ UNESCO, aprile 2005. I dati sulla popolazione si basano su: United Nations
Population Division, World Population Prospects: the 2002 Revision, United Nations, New York, 2003. I tassi complessivi
d’iscrizione indicano il numero di studenti iscritti ad un determinato livello del sistema scolastico su 100 individui del relativo
gruppo d’ età.
46
Fonte: si vedano i tassi complessivi d’ iscrizione sopra citati; i dati per l’ analfabetismo sono rettificati da quelli per l’
alfabetismo.
47
Fonte: si vedano i tassi complessivi d’ iscrizione sopra citati.
44
INDICATORI DI ISTRUZIONE
ISCRITTI
SCUOLE
ELEMENTAR
I (LORDO)
STUDENTI
CHE
COMPLETANO
LE
ELEMENTARI
F
M
% TASSO DI
ANALFABETISMO
(> 15 ANNI)
M
F
TOTALE MONDIALE
----
-----
----- -------
----
----
-------
------
REGIONI SVILUP.
----
-----
---- -------
----
----
-------
------
MAROCCO
115
104 82
80 49
41
37
62
CAMERUN
116
99
64
64 34
29
23
40
132
120
------
GUINEA EQUATOR.
M
ISCRITTI
SCUOLE
SUPERIORI
(LORDO)
----- 38
F
22
M
-------
F
-------
Per quanto riguarda questo indice, vengono a mancare i dati relativi al totale
mondiale, alle regioni sviluppate e alcuni dati relativi alla Guinea Equatoriale.
Dovremo quindi accontentarci di operare un raffronto unicamente tra i Paesi interessati
dall’ indagine.
Da questo schema emergono dati molto importanti. Per quanto riguarda il Marocco,
nelle voci “Iscritti scuole elementari” e “Studenti che completano le elementari”, non ci
sono apparentemente grandi divergenze tra maschi e femmine. Se invece si va a
guardare nel dettaglio la percentuale di analfabetismo esistente all’interno della
popolazione, si osserva immediatamente che il tasso di analfabetismo femminile è
quasi il doppio di quello maschile.
Per quanto riguarda il Camerun, si può osservare come ci sia una percentuale di
iscritti alle scuole elementari più alta tra i maschi che tra le femmine. Tuttavia solo
circa la metà di questi riescono a completare il ciclo di studi delle scuole elementari, e
coloro che si iscrivono alle superiori sono praticamente solo un terzo rispetto al valore
di partenza. Il tasso di analfabetismo delle femmine è quasi il doppio rispetto a quello
dei maschi.
Per quanto riguarda invece la Guinea Equatoriale, dai pochi dati che si è riusciti a
reperire, possiamo affermare che partendo dalla percentuale di partenza di iscritti alle
elementari, più elevata per i maschi che le femmine, possiamo confrontare i dati relativi
agli iscritti delle scuole superiori, e dedurne che il valore percentuale è circa un terzo
rispetto a quello di partenza.
L’istruzione, sia quella elementare, sia quella superiore, secondaria e universitaria ,
è per le donne, una questione cruciale. Secondo il Progetto delle Nazioni Unite per il
Millennio, si tratta dell’elemento che offre “il maggior rendimento in termini di
empowerment femminile”48. L’istruzione secondaria garantisce maggiori vantaggi per le
donne rispetto agli uomini, poiché comporta un maggior uso dei servizi per la salute
materna e la pianificazione familiare, nonché un diverso atteggiamento nei confronti di
pratiche nocive per la salute49. Le donne che hanno ricevuto un’istruzione secondaria
hanno maggiore probabilità, rispetto alle analfabete, di capire il pericolo rappresentato
dall’HIV e i metodi per prevenirne la diffusione. Le donne fornite di istruzione
superiore hanno inoltre maggiori probabilità di opporsi alle mutilazioni/taglio genitali
delle loro figlie, rispetto alle donne che non hanno completato nemmeno il grado
primario dell’istruzione50. L’istruzione secondaria gioca inoltre un ruolo più
48
Fonte: UN Millennium Project, 2005b, pag 5
Fonte: Schultz, T .P., “Return sto Women’s Schooling”, Cap 2 in Women’s Education in Developing Countries: Barriers,
Benefits, and Policy, a cura di E. King e M. A. Hill. A World Bank Book, Johns Hopkins University Press, Baltimora, Maryland,
1993; e UN Millennium Project, 2005b, pag 38.
50
Fonte: UN Millennium Project, 2005b, pag 39, 40, 41.
49
45
significativo di quella primaria nella riduzione della violenza contro le donne, in quanto
rende le donne più forti e capaci di abbandonare una relazione improntata alla
violenza51. I benefici sociali ed economici dell’istruzione femminile vengono
sintetizzati di seguito:
- L’ ISTRUZIONE FEMMINILE FAVORISCE LA CRESCITA ECONOMICA: Investire
nell’istruzione delle ragazze è uno dei metodi più efficaci per ridurre la povertà. E’
stato stimati che tra i paesi che non raggiungono l’MDG (Millennium Development
Goal) della parità di genere nel settore dell’istruzione rischiano di perdere tra 0,1 e 0,3
punti percentuale nella crescita economica pro capite52.
- LE MADRI ISTRUITE INCREMENTANO IL CAPITALE UMANO PERCHE’ MIGLIORANO
LE CONDIZIONI DI SALUTE, ISTRUZIONE E ALIMENTAZIONE DEI FIGLI: Le figlie di madri
istruite hanno maggiori possibilità di frequentare la scuola. L’istruzione della madre si
traduce inoltre in maggiori difese immunitarie e migliore alimentazione dei figli, due
elementi che portano ad un aumento dell’occupazione e a un miglioramento del
rendimento scolastico. Ogni anno di istruzione ricevuta dalla madre corrisponde per i
suoi figli ad un abbassamento tra il 5 ed il 10% del tasso di mortalità sotto i cinque
anni53.
- L’ISTRUZIONE, RAFFORZANDO LE QUALIFICHE E CAPACITA’ PROFESSIONALI DELLE
DONNE, MIGLIORA LE PROSPETTIVE ECONOMICHE DELLA FAMIGLIA: Le donne meglio
istruite accedono a lavori retribuiti, e questo si traduce in un reddito superiore a
disposizione della famiglia e in un aumento della produttività globale. Nelle economie
rurali l’istruzione di donne e bambine spesso comporta una maggiore produzione
agricola54.
- L’ISTRUZIONE MIGLIORA LA SALUTE RIPRODUTTIVA: Le donne istruite hanno
maggiori probabilità di chiedere adeguata assistenza prenatale e assistenza
professionale al parto, come pure di fare ricorso alla contraccezione. Tendono a
posporre l’ inizio dell’attività sessuale, l’età del matrimonio e quella del primo parto
rispetto alle donne non istruite. Hanno un minor numero di figli: ogni triennio di
istruzione scolastica corrisponde ad un figlio in meno per donna55. E quando le donne
hanno meno figli, il benessere e le prospettive di sviluppo di ciascun figlio tendono a
potenziarsi56.
Dopo questi brevi cenni sugli stretti legami esistenti tra istruzione femminile ed
sviluppo del processo di empowerment femminile, passiamo ore ad analizzare alcuni
INDICATORI DELLA SALUTE RIPRODUTTIVA.
Tra questi prenderemo in esame innanzitutto le nascite per 1000 donne di età
compresa fra i 15 e i 19 anni57: questo è un indicatore del carico di fecondità che grava
sulle donne giovani. Dal momento che si tratta di un livello annuale che si calcola su
tutte le donne appartenenti alla stessa coorte di età, non rispecchia appieno il livello di
fecondità delle donne durante la giovinezza. Poiché indica il numero annuo medio di
nascite per donna, si potrebbe moltiplicare questo indice per cinque per approssimare il
numero di nascite ogni 1000 giovani donne durante gli anni della tarda adolescenza.
51
Fonte: Grown, C., R. Gupta, e R. Pande, “Taking Action to Improbe Women’s Healt through Gender Equality and Women’s
Empowerment” in The Lancet, 2005.
52
Fonte: Abu-Ghaida, D., e S. Klasen, “The cost of Missing the Millennium Development Goal on Gender equità” in World
Development, 2004.
53
Fonte: The World Bank, 2001; Smith, L. C., e L. Haddad., Explaining Child Malnutrition in Developing Countries: A Cross
Country Analysis, Research Report, n 11, International Food Policy Research Institute, Washington, D.C.,2000; e Schultz 1993.
54
Fonte: Quisumbing, A., “Male- female Differences in Agricultural Productivity: Methodological Issues e Empirical Evidence” in
World Development, 1996.
55
Fonte: The World Bank 2001, pag 83.
56
Fonte: Toure, Aminata, “Strengthening Families Through the Implementation of ICPD Programme of Action: UNFPA’s
Perspective”, e Seligman, B., et al., Reproductive Health e Human Capital: A Framework for Expanding Policy Dialogue, POLICY
Occasional Paper Series, n.1. POLICY Project, The Futures Group International, Washington, DC., 1997.
57
Fonte: Tabulati forniti dalla Divisione per la popolazione delle Nazioni Unite. Per ricavare questi dati è stata fatta la media tra le
stime per i periodi 2000-2005 e 2005-2010, in modo da ottenere la stime esatta per l’ anno 2005.
46
Questo indice, tuttavia, non rispecchia appieno le dimensioni del fenomeno delle
gravidanze adolescenziali poiché comprende solo i nati vivi, ma non i nati morti né gli
aborti, spontanei o procurati. Prenderemo poi in esame la diffusione dei contraccettivi,
facendo una distinzione tra l’utilizzo di qualsiasi metodo e dei metodi più moderni58:
questi dati sono tratti da rapporti su indagini a campione e stimano la percentuale di
donne sposate (comprese le donne nelle coppie di fatto) che attualmente usano,
rispettivamente, qualsiasi metodo contraccettivo o i metodi moderni. I metodi moderni,
ossia prescritti o impiantati dai medici e acquistabili in farmacia, comprendono la
sterilizzazione maschile e femminile, la spirale, la pillola, le sostanze iniettabili, gli
impianti ormonali, i preservativi e i metodi di barriera femminili. I dati dei vari paesi
sono approssimativamente comparabili, ma non appieno, a causa delle differenze nei
tempi delle ricerche e nei dettagli delle domande poste. Tutti i dati nazionali e regionali
si riferiscono a donne tra i 15 e i 49 anni. I dati usati sono quelli delle indagini più
recenti disponibili e vengono citati. Essi spaziano dal 1980 al 2002.
Altro rilevante indicatore che verrà analizzato sarà il tasso di prevalenza dell’ HIV,
M/F, 15-49 anni59: questi dati provengono da rapporti di sistemi di monitoraggio e da
stime elaborate sulla base di diversi modelli. I dati forniti per donne e uomini tra i 15 e
i 49 anni esprimono, rispettivamente, i valori medi della stima superiore e inferiore per
ciascun paese. L’anno di riferimento è il 2003. Le differenze tra maschi e femmine
riflettono la vulnerabilità psicologica e sociale nei confronti della malattia e sono
influenzate dalle differenze di età tra partner sessuali.
Verranno infine analizzati il tasso totale di fecondità (2005)60 e la percentuale di
nascite con assistenza qualificata61. La prima misura indica il numero di figli che una
donna avrebbe nel corso degli anni riproduttivi se avesse figli al tasso stimato per i vari
gruppi di età nel periodo specificato. I vari paesi possono raggiungere il livello indicato
in momenti diversi all’interno del periodo di riferimento. Come per gli altri indicatori,
anche per questi ultimi che analizzeremo e che ci danno, come già detto, importanti
informazioni sulla salute riproduttiva, costruiremo una tavola e metteremo a confronto i
valori relativi ai tre Paesi oggetto di studio, i dati calcolati a livello globale e i dati
relativi ai paesi più sviluppati:
INDICATORI DELLA SALUTE RIPRODUTTIVA
NASCI
TE PER
1000
DONNE
ETA’
15-19
DIFFUSIONE DEI
CONTRACCETTIVI
QUALSIASI
METODO
METODI
MODERNI
DIFFUSION
E AIDS (%) 1549
M
F
N. MEDIO
DI FIGLI
PER
DONNA
(2005)
% NASCITE
CON
PERSONALE
QUALIFIC.
TOTALE MOND.
56
61
54
------
------
2.60
62
REGIONI SVILUP.
26
69
55
------
-----
1.57
---------
MAROCCO
24
50
42
------
-----
2.67
40
CAMERUN
112
19
7
6.0
7.9
4.36
60
58
Fonte: Tabulati forniti dalla Divisione delle Nazioni Unite er la Popolazione, tratti da World Contraceptive Use 2005, database
aggiornato dalla Divisione delle Nazioni Unite per la popolazione del Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni
Unite.
59
Fonte: Tabulato “Stima della prevalenza del virus HIV tra uomini e donne adulti (15-49 anni) nel 2003” UNAIDS, Ginevra,
2004.
60
Fonte: Tabulati forniti dalla Divisione per la popolazione delle Nazioni Unite. Per ottenere questo tasso è stata fatta la media tra
le stime per i periodi 2000-2005e 2005-2010, in modo da ottenere la stima esatta per l’ anno 2010.
61
Fonte: UNICEF, State of the World’s Children 2005: Childhood Under Threat, UNICEF, New York 2005.
47
GUINEA EQUAT.
187
---------
---------
------
-----
5.89
65
Come possiamo osservare, diversi dati mancano, probabilmente ancora una volta a
causa delle difficoltà che si riscontrano quando si analizzano paesi come questi, dove è
piuttosto difficile operare tramite indagini statistiche e sociali, a causa dell’elevato stato
di arretratezza in cui vengono a trovarsi molti di essi, ed è chiaro come le difficoltà
aumentino qualora si voglia essere ancora più precisi e fare distinzioni quali quelle che
vengono fatte per alcuni dati tra maschi e femmine. Ci limiteremo quindi, per cause di
forza maggiore, a fare qualche commento sui dati che si hanno a disposizione, ed
eventualmente ricorreremo ad altre fonti qualora posseggano i dati a noi mancanti,
anche se non avranno le differenziazioni presenti in questa tabella.
Dalla tabella si evince innanzitutto che ancora una volta il Marocco è il paese che
più di tutti si avvicina ai valori dei Paesi sviluppati, con una natalità tra le donne nella
fascia d’ età 15-19 anni abbastanza bassa (24‰), addirittura più bassa di quella
riscontrata nei paesi più sviluppati. Ciò fa pensare che probabilmente la nascita del
primo figlio avvenga per le donne anche in questo paese oltre i 19 anni. C’è una buona
diffusione dei metodi contraccettivi e un numero medio di figli per donna abbastanza
modesto. Da altre fonti62 ricaviamo che la diffusione dell’ AIDS è dello 0.1%, ma non
abbiamo dati distinti per maschi e femmine.
Per quanto riguarda il Camerun invece, possiamo osservare un’elevato tasso di
nascite per le donne di età compresa tra i 15 e i 19 anni, dal quale deduciamo un tasso
elevato di gravidanze tra le adolescenti. Lo stesso vale per la Guinea Equatoriale, dove
anzi questo tasso è ancora più elevato.
La diffusione dei contraccettivi in Camerun è quasi inesistente, soprattutto dei
metodi moderni, la diffusione dell’AIDS abbastanza elevata così come il numero
medio di figli per donna, elevatissimo anche in Guinea Equatoriale. Paradossalmente si
può invece osservare che la percentuale di nascite con personale qualificato è molto più
elevata in Guinea Equatoriale e in Camerun, accostandosi addirittura alla media
mondiale, che in Marocco.
La salute riproduttiva è un diritto umano, una struttura portante del capitale umano e
un aspetto fondamentale della parità tra i sessi. E’ parte integrante del benessere delle
donne e delle loro famiglie.63 Le donne più povere hanno in questo senso le necessità
più pressanti e, loro, le loro famiglie, e la società in generale hanno tutto da guadagnare
dai miglioramenti apportati alla loro salute riproduttiva. I problemi correlati con la sua
mancanza spingono spesso intere famiglie ancora più in basso nella soglia di povertà64.
Le donne veramente povere, che hanno di norma minor accesso alla contraccezione,
trovano spesso difficile riuscire a determinare quanti figli avere, e con quale intervallo
tra una nascita e l’altra. Tale difficoltà limita le loro prospettive di salute e di
occupazione stabile, nonché quelle di perseguire migliori opportunità economiche in
grado di elevare il loro tenore di vita65. La condizione di salute riproduttiva di una
donna si riflette pesantemente anche sui suoi figli – il futuro capitale umano di ogni
nazione – e pertanto ha implicazioni socio-economiche sia a breve che a lungo termine.
I servizi per la salute riproduttiva, attraverso gli strumenti per la pianificazione delle
nascite, consentono alle donne di aspettare qualche anno prima di avere figli, in modo
da poter completare la propria formazione, inserirsi nel mondo del lavoro e acquistare
62
Fonte: Calendario Atlante De Agostini 2007; Istituto Geografico De Agostini Novara; anno 103°;
Fonte: UNFPA, Achieving the Millennium Development Goals: Population and Reproductive Health as Critical Determinants,
Population and Development Strategies Series, n.10, UNFPA, New York, 2003b
64
Fonte:Narayan, D., et al., Can Anyone Hear Us? Voices From 47 Countries. Voices of the Poor: Volume 1, Oxford University
Press for the World Bank, New York, 1999.
65
Fonte: McCauley, A. P., et al., "Opportunities for Women Through Reproductive Choice”, in Population Reports, Serie M. n. 12.
Population Information Program, Johns Hopkins School of Public Health, Baltimore, Maryland, 1994.
63
48
capacità ed esperienza. Laddove c’è ampia disponibilità di contraccettivi, le donne
tendono a rimandare la nascita del primo figlio, ad avere meno gravidanze e ad
abbreviare il periodo dell’ attività riproduttiva. Per le adolescenti sessualmente attive
(sposate o meno), la pianificazione familiare può costituire la differenza tra una
gravidanza precoce e l’istruzione. I problemi di salute riproduttiva minano gli sforzi per
ridurre la povertà perché fanno calare la produttività: i problemi di salute riproduttiva,
infatti, sono una delle principali cause di malattia e affliggono in modo sproporzionato
donne e adolescenti. Riducono la produttività femminile nel mondo del lavoro (in
alcuni casi anche del 20%) e costano complessivamente nel mondo, ogni anno, 250
milioni di vita riproduttiva66. E’ stato accertato che dare la libertà e i mezzi per avere il
numero di figli che si desidera, porta ad avere famiglie meno numerose, un tasso di
crescita demografica più ridotto e minore pressione sulle risorse naturali. Secondo le
previsioni, la popolazione mondiale è destinata ad aumentare – presumendo che la
contraccezione continui a diffondersi con il medesimo andamento storico – dai 6,5
miliardi di persone attuali fino a 9,1 miliardi entro il 205067. La maggior parte di questa
crescita si verificherà nei paesi che lottano contro la povertà. Rispondere alla domanda
ancora insoddisfatta di contraccettivi da parte di singoli e di coppie è necessario dal
punto di vista dei diritti umani. La riduzione della fecondità non desiderata comporta
anche importanti implicazioni a livello macro-economico. La salute riproduttiva,
inoltre, può apportare importanti benefici economici, grazie al cosiddetto “dividendo
demografico”. Nei paesi che hanno affrontato una transizione demografica, che si
traduce in una riduzione dei tassi di mortalità e fecondità, le strutture della popolazione
subiscono dei cambiamenti. Le famiglie diventano meno numerose, con una maggiore
percentuale di adulti giovani che entrano nella vita riproduttiva, ma con meno figli e
parenti anziani a loro carico. Una volta avviate le politiche sociali ed economiche
appropriate, tutto questo può avere come esito un incremento dei risparmi e una
quantità maggiore di risorse disponibili da investire per ciascun figlio. A livello
nazionale, ciò si traduce in maggiori investimenti per generare una nuova produttività e
crescita economica68. E’ importante osservare come i ricercatori calcolino che tra il
2000 e il 2015 i paesi in via di sviluppo potrebbero utilizzare i loro dividendi
demografici per ridurre la povertà di circa il 14 per cento69. Accesso ai servizi di salute
riproduttiva significa infine grande risparmio per la sanità pubblica e per altri servizi
sociali: i problemi legati alla salute riproduttiva si possono in gran parte prevenire.
Pertanto, sistemi sanitari potenziati e miglior accesso ai servizi possono evitare molti di
questi problemi e le loro dispendiose conseguenze.
Cap. 4
L’empowerment nei Progetti di Sviluppo dell’O.S.V.I.C.
Ora verranno presi in esame alcuni progetti dell’ OSVIC che hanno come oggetto la
promozione del processo di empowerment femminile, nei Paesi in cui questo
Organismo opera. Prima di fare ciò è opportuno riportare alcune notizie storiche
sull’Organismo, per focalizzare meglio i suoi ambiti di intervento e le modalità
operative.
66
Fonte: The Alan Guttmacher Institute, “The Benefits of Investing in Sexual and Reproductive Healt”, in Issues in Brief, Serie
No.4, The Alan Guttmacher Institute, New York, 2004.
67
Fonte: United Nations, World Population Prospects: The 2004 Revision: Highlights (ESA/P/WP.193), Population Division,
Department of Economic and Social Affairs, United Nations, New York, 2005b.
68
Fonte: Bloom, D. E., et al., A New Perspective on the Economic Consequences of Population Change, RAND, Santa Monica,
California, 2002.; e Birdsall, N., et al. (a cura di), Population Matters: Demographic Change, Economic Growth, and Poverty in the
Developing World, Oxford University Press, New York, 2001; e Singh, S., et al., Adding It Up: The Benefits of Investing in
Sexual and Reproductive Health Care, The Alan Guttmacher Institute e UNFPA, New York, 2004.
69
Fonte: Bloom, D., e D. Canning, “Population, Mason, A., e S. H. Lee, “The Demographic Dividend and Poverty Reduction”.
49
L’Organismo è impegnato a livello internazionale, non ha scopo di lucro e si pone al
servizio di ogni uomo e di tutto l’uomo, con particolare attenzione alle popolazioni più
disagiate. L’OSVIC nasce nel 1981 ad Oristano, come associazione regionale
impegnata nelle attività di cooperazione internazionale. E’ una Organizzazione non
Governativa, riconosciuta idonea dal Ministero degli Affari Esteri, con decreto n° 1193
del 27/05/1986 (ai sensi della legge n° 38/79) e riconfermato con decreto n°
1988/128/004187/2D del 14/09/1988 ai sensi della legge n. 49/1987. Ha Sede legale ad
Oristano, in via Goito n° 25, e aderisce alla Federazione Nazionale Volontari nel
Mondo – FOCSIV, dal 1983. Le finalità principali dell’ organismo sono: sensibilizzare
e informare l’opinione pubblica in merito alle tematiche dello sviluppo integrale, della
giustizia e della solidarietà tra popoli; organizzare programmi di intervento, preparando
e inviando volontari che si impegnano con la loro opera alla crescita integrale
dell’uomo, in Africa, Asia e America Latina. Numerose sono le attività dirette alla
promozione di una effettiva partecipazione della comunità di base dei Pvs
all’autosviluppo, con progressiva assunzione di responsabilità nei vari settori. Le
persone che lavorano con l’OSVIC, inoltre, favoriscono lo scambio tra culture diverse,
per un arricchimento reciproco.
Gli interventi dell’associazione si svolgono principalmente in due aree diverse:
• Sul territorio nazionale è importante il coinvolgimento di scuole, gruppi
giovanili, operatori educativi e associazioni di volontariato locale, nella
convinzione che il primo cambiamento vada rivolto al proprio ambiente, suscitando
atteggiamenti e stili di vita che generano sentimenti di pace e convivialità, di
responsabilità e condivisione.
•
Il ruolo nei Pvs, invece, si realizza con programmi multisettoriali che agiscano
soprattutto al livello sociale, sanitario e di risanamento ambientale.
Una attenzione più specifica è rivolta alla promozione della donna sotto tutti gli
aspetti: alfabetizzazione, protezione della maternità, avviamento professionale e
vendita dei prodotti agricoli e artigianali.
Il lavoro dei volontari si realizza con la volontà e la cultura di agire per una nuova
coscienza internazionale di pace e cooperazione allo sviluppo, perché tutti abbiano le
stesse possibilità di vivere la propria realtà nelle migliori condizioni. I Paesi di
intervento dell’ OSVIC sono Guinea Equatoriale, Cameroun, Marocco, Kenya,
Sudafrica, Argentina e India70. Alcuni progetti di questi paesi verranno ora analizzati:
PROGETTO MAROCCO (in due fasi)71: INTERVENTI DI SOSTEGNO ALLA
PROMOZIONE DELLA DONNA NEL CIRCOLO DI RHAFSAI, realizzato con il
contributo della Regione Autonoma della Sardegna (L.R. 19/96)72.
L’Osvic, che già ha promosso degli interventi sul territorio marocchino in anni
precedenti, si trova oggi ad agire nella provincia di Taounate, nel Municipio di Rhafsai,
un territorio nelle zone rurali, privo di infrastrutture, di corrente elettrica, di acqua
potabile e di qualsiasi servizio socio- sanitario di base. Molti villaggi del territorio
risultano inoltre privi di scuole elementari e centri ambulatoriali di base. La provincia
di Taounate, ubicata nella regione settentrionale di Taza-Al Houceima-Taounate, si
estende su una superficie pari al 3,3% della superficie totale del Paese, ed è abitata dal
6,5% della popolazione marocchina. La densità media per Kmq si aggira intorno ai 38
70
Fonte: “Il cammino della solidarietà”, Volontari nel mondo Focsiv, sett. 1998, Comas Grafica s.r.l.
Fonte: Progetto OSVIC co-finanziato dalla Regione Autonoma della Sardegna: “Interventi di sostegno alla promozione della
donna nel Circolo di Rhafsai, Provincia di Taounate, Marocco”, L.R. 19/96 (Seconda annualità), Oristano, novembre 2004.
71
50
abitanti per Kmq. Taounate ha una popolazione totale di 638.000 abitanti, il 42% al di
sotto dei 15 anni. La popolazione è segnata da una predominanza femminile. La
Provincia di Taounate è una delle meno servite del Marocco; soprattutto nelle aree
rurali, le condizioni igienico sanitarie sono molto difficili, con abitazioni costruite in
mattoni crudi, alcune in muratura, spesso fatiscenti, prive di servizi igienici e acqua
corrente. Tale è la situazione dei villaggi nel Circolo di Rhafsai. I dati sociodemografici relativi alla provincia, indicano un divario oggettivo per genere, per ciò
che concerne l’ istruzione. Il tasso di alfabetizzazione della popolazione di età
superiore ai 10 anni, è del 46,2% per i maschi e dei 11,9% per le donne, e scende all’
8,3% se riferito alle donne delle zone rurali di età compresa fra i 15 e i 49 anni. Tale
rapida panoramica sarà utile a evidenziare la situazione in cui vive la popolazione della
zona oggetto d’esame e le esigenze delle stessa. In parternariato con l’Associazione
marocchina Andea (Association Nour pour l’Environnement, le Développement et l’
Alphabétisation), il Progetto vuole offrire opportunità alle donne dell’Associazione in
campo socio-sanitario e organizzativo. Esso è finalizzato a promuovere iniziative
mirate allo sviluppo integrale della donna e sostenere forme di aggregazione sociale
femminile nel Circolo di Rhafsai. L’intervento vuole migliorare le condizioni di vita
delle donne e delle famiglie, sia dal punto di vista della salute e dell’habitat, sia dal
punto di vista sociale, e favorire la loro integrazione nei processi di sviluppo. Il
Progetto propone la realizzazione di un intervento di sostegno alla promozione della
donna e dei bambini, nel settore educativo, socio-sanitario ed economico. L’azione è
volta a contribuire alla riduzione della povertà, e migliorare le condizioni di vita della
popolazione rurale, soprattutto, come già ribadito, delle donne nel Circolo di Rhafsai.
Finalità generale del Progetto è, dunque, quello di migliorare le condizioni di vita delle
donne, dei bambini e delle famiglie, sia dal punto di vista della salute, sia dal punto di
vista sociale, favorire la loro integrazione nei processi di sviluppo e la riduzione delle
disparità fra i sessi. Il Progetto è strutturato in un modulo A (settore sanitario), che
prevede la cura dell’igiene, dell’alimentazione e il risanamento ambientale e in un
modulo B (settore socio-educativo), che prevede la promozione della donna,
l’educazione di base, in particolare la scolarizzazione delle bambine, l’alfabetizzazione
dei giovani adulti e la formazione professionale, anche in vista di uno sviluppo
economico, e la sensibilizzazione degli alunni delle scuole locali.
Vediamo nel dettaglio i due moduli:
MODULO A
Gli obiettivi specifici del modulo A riguardano:
- L’organizzazione di seminari per l’educazione sanitaria delle donne, per la
prevenzione delle malattie più diffuse, la protezione materno-infantile, la pianificazione
familiare e la diffusione di nozioni di educazione sanitaria, igiene e medicina
preventiva tra i giovani e nelle scuole;
- La realizzazione di seminari e di interventi nelle scuole per la prevenzione delle
piaghe del tabagismo e della droga;
- L’avvio della campagna di sensibilizzazione “Città pulita” nelle città, presso i
gruppi sociali, i gruppi di donne e all’interno delle scuole, sull’importanza della
salubrità dell’ambiente, dell’igiene e dell’acqua potabile;
- Il risanamento ambientale tramite il riassestamento di punti d’ acqua, sorgenti,
pozzi, sia in ambito familiare sia nei villaggi;
- L’incremento della costruzione di latrine domestiche;
I risultati attesi e i benefici previsti in questo primo modulo del Progetto, riguardano
prevalentemente l’educazione sanitaria, la responsabilizzazione e la partecipazione
attiva della popolazione alla tutela della salute, e di conseguenza il potenziamento della
qualità di vita per tutta la popolazione. La disponibilità di acqua e il risanamento
51
dell’habitat nei vari villaggi sarà un risultato di grande vantaggio per tutta la comunità
in questione.
Per ottenere il raggiungimento dei risultati previsti dal Progetto nel modulo A, è
prevista la realizzazione dei seguenti gruppi di attività:
1) Realizzazione di incontri con i responsabili delle comunità locali (sindaci, capi
villaggio, notabili), per avere una visione globale della situazione socio-sanitaria delle
donne.
2) Realizzazione di iniziative per l’animazione, la sensibilizzazione e l’educazione
socio-sanitaria presso i gruppi di donne, nelle scuole nel Comune di Rhafsai e nei
villaggi del circolo situati in zone rurali.
3) Attività di sensibilizzazione e di informazione della popolazione relativa
all’importanza dell’acqua potabile, al risanamento dell’habitat e all’igiene della
persona, di educazione alimentare e nutrizionale;
4) Risanamento punti d’acqua (sorgenti, pozzi), per ottenere acqua potabile;
5) Campagne di sensibilizzazione della popolazione per la costruzione di latrine
domestiche;
MODULO B
Gli obiettivi specifici del modulo B riguardano:
- Il sostegno al Centro sociale femminile per l’aggregazione delle donne e la
collaborazione con le realtà aggregative femminili sul territorio;
- Lo svolgimento di seminari per presentare agli studenti e alle donne il nuovo
Codice della famiglia marocchino, uno strumento legale che i più deboli possono
utilizzare per difendere i propri diritti. Tramite i seminari inoltre si potrebbe
sensibilizzare la società sull’importanza della scolarizzazione delle bambine e
dell’alfabetizzazione delle donne adulte;
- La realizzazione di corsi e di iniziative di formazione e avviamento professionale
per le donne nel campo tessile, del ricamo e del piccolo allevamento;
- L’attivazione del micro-credito per agevolare le donne nell’avvio delle iniziative
economiche proposte;
I risultati attesi del modulo B si concretizzano in una maggiore comprensione
dell’importanza della scuola da parte dei genitori e una maggiore frequenza alla scuola
da parte delle bambine. Si prevede inoltre di offrire una formazione professionale alle
donne per incrementare l’economia familiare. L’incremento dell’alfabetizzazione delle
donne del Circolo di Rhafsai e l’avviamento di alcune attività economiche gestite dalle
donne (tessile, allevamento) sono altri benefici prodotti dal Progetto. La donna
acquisterà una creatività nuova che l’aiuti ad essere più partecipe delle attività sociali
ed economiche. In tal modo potrà esprimere non solo le proprie potenzialità, ma
riuscirà anche ad acquisire una certa autonomia economica.
Per ottenere il raggiungimento dei risultati previsti dal Progetto nel modulo B, è
prevista la realizzazione dei seguenti gruppi di attività:
1) Azioni di collaborazione con le realtà aggregative femminili esistenti in loco:
gruppi di donne, associazioni per valutare la possibilità di instaurare un rapporto di
collaborazione nello svolgimento delle attività previste dal progetto;
2) Realizzazione di seminari per presentare agli studenti delle scuole superiori e ai
gruppi delle donne il nuovo Codice della famiglia marocchino, perché siano in grado di
conoscere e difendere i propri diritti;
3) Programmazione di seminari per la promozione e formazione della donna e per
favorire la scolarizzazione delle bambine e l’alfabetizzazione delle donne giovani e
adulte;
52
4) Avvio di iniziative per la formazione professionale delle donne (tessile, ricamo,
cucito, e allevamento di animali domestici);
5) Realizzazione di seminari e interventi nelle scuole per la prevenzione delle piaghe
del tabagismo e della droga;
6) Attivazione di azioni per l’aggregazione sociale femminile sia ex novo, sia
sostenendo quelle già esistenti;
7) Attivazione di microcredito per 10 donne;
Questo Progetto appare di grande rilevanza nel favorire e accelerare il processo di
empowerment femminile in questa zona del Marocco, facendo si che le donne di ogni
età riescano a raggiungere un sufficiente grado di autonomia e realizzazione personale,
sotto diversi punti di vista, che vanno da quello economico a quello sociale a quello
della tutela della salute, grazie a mezzi quali l’istruzione, corsi di avviamento
professionale (cucito, allevamento…) nonché la circolazione di informazioni atte a
fornire adeguate conoscenze anche nel campo dei diritti dei quali esse sono portatrici.
PROGRAMMA DI ANIMAZIONE SOCIO – SANITARIA NELLA ZONA DI
ATEGA, CAMEROUN
Questo progetto dell’OSVIC si inserisce all’interno del Piano quinquennale di
sviluppo nazionale della Repubblica Cameroun, relativo al 1986-1991. Il presente
progetto è multisettoriale, comprende il settore sanitario e sociale e in particolare
prevede la promozione della donna.
- Nel settore sanitario è auspicata la copertura sanitaria di tutta la popolazione negli
aspetti della prevenzione, cura, educazione sanitaria allo scopo di: sradicare le
endemie più diffuse, in particolare le malattie infettive dovute soprattutto all’acqua
non potabile e migliorare il livello di salute della popolazione e innalzare l’età
media della vita. Il Piano di sviluppo sanitario, previsto nel centro di Atega,
presume la costruzione di un Ambulatorio di base e di un reparto maternità, e
presuppone: la priorità della medicina preventiva, la creazione di centri di sanità
nelle zone rurali e la mobilitazione della popolazione, perché sia coinvolta
nell’impegno di sviluppo autocentrato, rendendo partecipi in modo particolare le
donne.
- Nel settore sociale gli obiettivi del piano sono: l’ innalzamento del livello di vita
della
popolazione
rurale,
l’incremento
della
produzione
agricola,
l’ammodernamento delle strutture e il freno all’ esodo rurale.
La zona del progetto di Atega si trova nel dipartimento di Niong et So (capoluogo
Mbalmayo) e nella sottoprefettura di Dzeng. La sua popolazione è di circa 10.000
abitanti73, raggruppati in quattro settori (Atega, Komassi, Biyebe, Mbanga), che
comprendono una quarantina di villaggi, disposti, la maggior parte, lungo la strada che
collega i diversi settori. La strada che collega Atega con Dzeng e Yaoundè è in discrete
condizioni, ma le piste che conducono ai villaggi spesso sono accessibili solo nella
stagione secca. L’isolamento a cui sono costretti diversi villaggi, durante la stagione
delle piogge, crea situazioni di grave disagio nel campo sanitario e sociale. Le terre
situate nella zona del progetto appartengono generalmente a tutta la comunità, ma le
famiglie ne hanno l’usufrutto per quello che vi coltivano. Nonostante vi sia abbondanza
di terre coltivabili, le più accessibili sono già state occupate. La zona produce
soprattutto cacao, fra le colture alimentari le principali sono soprattutto le banane
plantain, l’arachide, la manioca, il mais e il macabò.Il rendimento medio è assai scarso.
Il dissodamento del terreno viene fatto con l’aiuto del macete e la preparazione e la
73
Dati risalenti alla realizzazione del Progetto.
53
coltura viene fatta con l’ aiuto della zappa. Il ciclo di coltivazione, che fino a pochi
anni fa era di otto anni circa, tende ad essere accorciato. Ciò dimostra un certo
incoraggiamento e maggior produzione, dovuto a un miglioramento dei servizi di
commercializzazione. La popolazione appartiene al gruppo Bëti (razza Bantù) e parla
ewondo, mentre la lingua ufficiale della zona è il francese. La vita comunitaria nei
villaggi è di tipo patriarcale. Sono gli uomini a prendere decisioni, i diritti fondiari e l’
usufrutto delle terre, e a decidere sulla destinazione delle entrate finanziare.
Generalmente gli uomini si occupano delle colture commerciali (cacao, caffè) e di tutte
le attività di guadagno, per esempio costruzioni e coltivazioni. e donne, invece, devono
accudire i figli e badare ai lavori domestici, occupandosi anche degli
approvvigionamenti essenziali. Le risorse finanziarie della donna provengono dalla
vendita delle colture alimentari coltivate nei campi, spesso molto distanti dai villaggi. Il
programma di intervento si estende nella zona Nord-est di Mbalmayo, nel centro del
Cameroun.
Le finalità generali che l’ intervento si propone di conseguire sono:
- Miglioramento delle condizioni di vita;
- Formazione del personale locale affinché sia promotore di autosviluppo;
- Promozione della emancipazione della donna sia da un punto di vista culturale che
economico-gestionale;
L’intervento pertanto valorizzerà al massimo le forze e le capacità umane esistenti
nella comunità di Atega.
Gli obiettivi specifici del Programma, realizzati con il giusto coinvolgimento delle
forze sociali operanti nel territorio (amministrazione civile, Chiesa locale), sono:
- L’ animazione socio-sanitaria sul territorio;
- La formazione del personale locale (quadri locali), con la preparazione degli
operatori e operatrici sanitari e delle animatrici rurali;
La figura delle animatrici rurali in particolare merita qualche nota di
approfondimento: esse sono donne, anche giovani, che ricevono preparazione
attraverso corsi di aggiornamento e di formazione professionale (es: taglio-cucito,
piccolo allevamento, alimentazione e igiene) promossi dall’OSVIC, per essere poi in
grado di promuovere all’ interno delle loro comunità attività inerenti l’educazione,
l’alfabetizzazione, la sanità, l’allevamento e il commercio. Per la formazione di
animatrici rurali si terrà «Un projet de formation animatrices sociales et des
responsables de Comités villageois de Santé aux tecniques d’animation» che verrà
tenuto dal sociologo camerounese Augustin Touani, responsabile del CERFAP di
Mbalmayo, che opera nel settore dell’autopromozione e all’INADES-FORMATION-CAM
sotto la tutela del Ministero dell’Agricoltura del Cameroun. Il corso sarà articolato in
sessioni e si svolgerà in diversi villaggi. Le partecipanti infine sosterranno un esame e
otterranno il diploma di animatrici rurali. Per la formazione professionale di un gruppo
di donne verrà avviata una Scuola per “Tailleurs”, in vista di una eventuale
cooperativa, poi realizzata.
- Il miglioramento delle condizioni di igiene individuale e dell’habitat;
- Il miglioramento di vita generale delle famiglie e di ciascuno dei suoi membri;
Per quanto riguarda il settore sanitario, l’obiettivo è di aiutare la popolazione nella
ricerca e nella soluzione dei problemi di salute del villaggio mediante: la conduzione
del Dispensario e dei Centri per la protezione Maternità e Infanzia (P.M.I.); il
risanamento dei punti d’acqua; la costruzione di latrine; il miglioramento dell’habitat;
l’educazione alimentare e nutrizionale; la prevenzione delle malattie; la formazione di
operatori e operatrici sanitari locali; Per quanto riguarda il settore sociale, gli obiettivi
sono: l’animazione sociale sul territorio da parte dei Volontari OSVIC, in
collaborazione con le animatrici sociali locali formate dagli stessi Volontari; la
54
formazione professionale dei giovani e delle donne; la formazione del personale locale
(quadri locali) nel campo dell’ animazione rurale. Verrà curata l’ educazione
alimentare e nutrizionale, le coltivazioni, la produzione artigianale con materiali
reperiti sul luogo, la conservazione dei prodotti e il loro smercio. Tutto ciò mirerà alla
promozione della donna, per le quali si terranno oltretutto corsi di economia familiare,
puericultura, igiene, pedagogia e corsi di taglio e cucito. Per incrementare il reddito
delle donne, e il loro potere gestionale, sono stati creati dei campi comunitari, gestiti da
esse stesse, per la produzione di prodotti alimentari, per il fabbisogno della famiglia e
per il commercio. Per venire incontro alla forte esigenza culturale, soprattutto da parte
dei giovani che non possono proseguire gli studi, si allestirà una piccola biblioteca,
aperta a tutti gli abitanti dei villaggi. L’iniziativa offrirà anche un servizio per la
formazione delle comunità con incontri, dibattiti cineforum e altro. La gestione verrà
affidata ad una volontaria con la collaborazione dei giovani del posto.
Nel biennio 1989/90, l’intervento nel settore sanitario e sociale si è riferito,
soprattutto, all’animazione e alla sensibilizzazione della popolazione, perché diventasse
essa stessa animatrice dell’ ambiente, coinvolgendo tutti al problema dello sviluppo
autocentrato. Si è provveduto a ciò mediante riunioni e incontri periodici con i Comité
de Santé74 dei vari villaggi, i cui membri dopo un’ adeguata formazione hanno
continuato a gestire le attività del programma. Ogni fase del programma è stata
verificata con la controparte e con la popolazione locale, e insieme si sono elaborate le
fasi successive, procedendo gradualmente al passaggio delle attività al personale locale,
secondo il grado di preparazione e di responsabilità raggiunto da questi.
Mediante missioni di valutazione i responsabili dell’ Organismo hanno proceduto
annualmente alla verifica del programma, recandosi sul luogo e prendendo contatti con
le controparti, e riservandosi di modificare il programma stesso qualora se ne sia
riscontrata la necessità75.
PROGETTO PER LA GUINEA EQUATORIALE: PROGRAMMA DI
COOPERAZIONE SANITARIA E SOCIALE IN NKUEFULAN
(PROVINCIA DI KIE’ – NTEM)
La richiesta di intervento nella Guinea Equatoriale, per la realizzazione di un
Progetto sanitario e sociale nella zona di Nkué è stata inoltrata all’OSVIC nel gennaio
1987 da Mons. Ildefonso Obama, Vescovo di Ebebiyin – diocesi alla quale appartiene
il Comune di Nkué.
A tale necessità d’ aiuto, l’OSVIC ha risposto affermativamente, e ha cominciato a
prendere i primi contatti con la controparte locale. Il Vescovo, facendosi carico dei
bisogni della popolazione locale, ha richiesto un Programma mirato alla creazione di un
Centro di salute, all’animazione sociale sul territorio, e alla formazione del personale
locale. Tale richiesta fu dovuta al fatto che il Comune di Nkué (duemila abitanti), e
tutta la zona circostante (diecimila abitanti circa)76 fossero privi di strutture e servizi
sociali di base, adeguati alle necessità della popolazione. Inoltre Nkué era, una volta,
un centro culturale, sociale e religioso importante ed ora desideroso di creare centri di
promozione umana. Nel Comune di Nkué, si trovavano ancora molti edifici, scuole e
collegi. Negli anni ’60 esisteva anche un piccolo ospedale, abbastanza attrezzato, che si
ritrovava però ad essere in completo stato di abbandono e totalmente privo di
personale.
74
Gruppi di individui appartenenti ad una comunità, che si fanno carico dei suoi problemi e cercano di risolverli con essa.
Fonte: Progetto OSVIC co-finanziato dal MAE: “Programma di animazione socio-sanitaria nella zona di Atega, Cameroun”,
Riconduzione 1989/1990, OSVIC.
76
Dati risalenti al periodo di richiesta del Progetto sanitario e sociale all’ OSVIC da parte del Vescovo di Ebebiyin.
75
55
Vista quindi l’importanza della regione, la carenza di strutture e la disponibilità di
edifici di cui era possibile il recupero, la proposta che venne fatta all’OSVIC fu quella
di creare un Centro sanitario di secondo livello (un dispensario), che servisse il
territorio municipale, coordinando la propria attività con le iniziative già presenti.
L’area interessata dal presente Progetto corrispondeva al territorio del Municipio di
Nkué, situato nella regione continentale della Guinea Equatoriale o Rio Muni,
provincia di Kié-Ntem, distretto di Micomeseng. La superficie era di circa 1000 Kmq,
con una popolazione complessiva di ottomila abitanti, appartenenti prevalentemente
all’etnia degli Ntumu-Fang. Di questi circa duemila erano concentrati nel centro abitato
di Nkué, mentre la maggior parte vivevano nei 27 villaggi dispersi nella foresta che
ricopre completamente il territorio77.
Il centro di Nkué dista 130 Km da Ebebiyin, che è il capoluogo della Provincia di
Kié-Ntem e sede della Diocesi omonima, 103 Km da Bata, che è il capoluogo della
regione (strada parzialmente asfaltata), 28 Km da Micomeseng, che è il capoluogo di
distretto, e rispettivamente 33 e 44 Km dagli importanti centri di Niefang e Anisoc.
Tra i bisogni espressi dalla popolazione risultavano prioritari quello a carattere
sanitario e sociale. Dal punto di vista igienico-sanitario le condizioni erano
particolarmente critiche, innanzitutto per la mancanza di acqua potabile e quindi per la
diffusione di diverse patologie. Tra queste citiamo la malaria (con forme resistenti), le
parassitosi in generale (verminosi, tripanosmiasi, ecc..), infezioni dell’apparato urogenitale (con numerose malattie veneree), malattie e disturbi della gravidanza (è molto
alta la mortalità per parto), infezioni di diverso tipo (epatiti), ernie ombelicali e
inguinali e malattie infantili (morbillo, diarree, malnutrizione e denutrizione). La
lebbra, dopo un periodo di recrudescenza, si trovava sotto controllo, grazie all’azione
del lebbrosario di Micomeseng.
Le strutture di assistenza cui poteva rivolgersi la popolazione erano:
- Il centro di Micomeseng a 28 Km di distanza, che sarebbe dovuto essere un
piccolo ospedale (peraltro in pessime condizioni), per la presenza di un medico, ma
che in pratica era un dispensario in cui, oltre al medico locale operavano delle
infermiere cooperati spagnole;
- Il dispensario di Niefang a 33 Km di distanza;
- Il dispensario di Anisoc a 44 Km di distanza;
- L’ospedale di Bata a 103 Km;
Se si considera la povertà di mezzi economici e la scarsità di veicoli nel Paese, si
comprende bene come potesse essere difficile per la popolazione usufruire di un
servizio sanitario di base.
Dal punto di vista sociale i bisogni prioritari risultavano quelli riguardanti: il
raggiungimento dell’autosufficienza alimentare, l’accrescimento delle attività rurali,
anche tramite iniziative di nuove coltivazioni o di piccoli allevamenti,
l’alfabetizzazione e l’educazione di base, la formazione professionale dei giovani, la
promozione della donna e della famiglia, la potabilizzazione delle acque, il
miglioramento delle vie di comunicazione.
77
Dati risalenti al periodo di richiesta del Progetto sanitario e sociale all’ OSVIC da parte del Vescovo di Ebebiyin.
56
Il Programma intendeva rispondere ad una richiesta concreta, pervenuta dalla
popolazione locale, e pertanto si proponeva di valorizzare al massimo le forze e le
capacità umane esistenti nella comunità municipale di Nkué, privilegiando con il loro
intervento il settore sanitario e sociale. Esso, aveva come finalità generale il
miglioramento delle condizioni di salute della popolazione locale, la promozione dei
processi di sviluppo tendenti al raggiungimento di migliori condizioni di vita e la
promozione del processo di autonomia e delle capacità di autogestione della donna.
Lo studio delle realtà ambientali e culturali della Guinea Equatoriale, e in particolare
della zona in cui l’OSVIC è stato invitato ad operare, e l’analisi dei bisogni più
immediati della popolazione, ha orientato le linee d’azione e la scelta di intervenire in
più settori con la seguente metodologia: Inizialmente si è data rilevanza all’animazione
e alla sensibilizzazione della popolazione, in modo che, affiancata dal lavoro dei
volontari, si senta attivamente partecipe e responsabile di uno sviluppo autocentrato. Il
Programma intendeva raggiungere gli obiettivi, facendo sperimentare alla gente la
possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita. Venne data priorità
all’organizzazione del settore sanitario, come abbiamo visto molto carente nella zona,
perseguendo la strategia delle SSP Soins de Santé Primaire) o PHC (Primari Health
Care) lanciate dall’OMS fin dal 1978, e rilanciate e ribadite dalle Conferenze di
Bamako (Mali) nel 1983 e 1989. Per garantire a tutti una buona tutela della salute, si è
intervenuti contemporaneamente nello sviluppo sociale (istruzione, alimentazione,
attività produttive, ecc..).
Cura particolare è stata data al campo dell’educazione e della formazione, intese a
dare una coscienza della necessità di partecipare attivamente al miglioramento della
propria vita e a quella del Paese. Mediante riunioni, incontri periodici e stages, si è
cercato di formare la popolazione dell’ambiente rurale, cercando di individuare,
promuovere e seguire le persone più adatte a continuare le attività previste dal
Programma. La metodologia che è stata seguita, ha mirato anche alla prassi
dell’autogestione e dell’autofinanziamento, compatibilmente con la situazione locale.
Ogni fase del Programma è stata verificata con la controparte e la popolazione
locale. Insieme queste, hanno elaborato le fasi successive, procedendo gradualmente al
passaggio delle attività agli operatori locali, secondo il grado di preparazione e di
responsabilità raggiunto da questi. La realizzazione del presente Progetto prevedeva
una durata di sei anni; questo arco di tempo era il minimo prevedibile, tenuto conto che
il processo formativo era abbastanza lungo.
Mediante missioni di valutazione, i responsabili dell’Organismo hanno proceduto
annualmente alla verifica del Programma, recandosi sul luogo e prendendo contatti con
le controparti, e si sono riservate il diritto di modificare il Programma stesso ogni qual
volta se ne sia riscontrata la necessità78.
Tra i progetti in fase di realizzazione dall’Organismo, è opportuno infine metterne in
rilievo uno che, pur non avendo come finalità principale il favorire il processo di
empowerment femminile, tuttavia incide in maniera molto forte su esso:
PROGETTO KENYA: SOSTEGNO ALLA CASA TUMAINI PER BAMBINI
ORFANI E SIEROPOSITIVI
La casa Tumaini è un’iniziativa finalizzata a promuovere il recupero dei bambini e
dei ragazzi orfani e abbandonati, Hiv positivi, del distretto di Nanyuki, in Kenia. In
questo Paese, il 50 % della popolazione vive al di sotto della linea di povertà. C'è una
speranza di vita media di 52 anni; attualmente il paese è uno tra i più colpiti dalla
78
Fonte: Progetto OSVIC: “Programma di cooperazione sanitaria e sociale Nkuefulan (Provincia di KIE’-NTEM) - Guinea
Equatoriale”, OSVIC – Oristano, Marzo 1990.
57
rapida diffusione del virus dell'Hiv. Stime ufficiali parlano di 2.000.000 di persone
infette. E' in tale contesto che l'Arcivescovo della diocesi di Nyeri ha presentato
all'Osvic una richiesta di aiuto e di invio di personale qualificato per realizzare il
Centro Orfani e gestirne le attività. Così è nato il progetto "Sostegno al Centro Tumaini
per orfani HIV”, a Nanyuky, sostenuto e promosso attualmente dall'Osvic. La casa
della speranza, “Tumaini Children’s Home”, è un’iniziativa finalizzata ad accogliere
bambini e ragazzi, orfani e abbandonati, HIV positivi, del distretto di Nanyuki in
Kenia, nel centro Tumaini, educandoli anche in vista di un futuro inserimento nella
società. Il Progetto vuole anche ridurre l’impatto dell’AIDS nella zona, tramite
campagne di prevenzione del virus, e formare il personale locale in materia sociosanitaria. Inoltre ha la finalità di accogliere, aiutare e curare i bambini sieropositivi;
Tuttavia, rivolge un’attenzione particolare anche alla situazione della donne indigene:
infatti, alla Tumaini operano venti persone locali, di cui il 70% sono donne. In questo
modo, le donne coinvolte ricevono formazione sanitaria e sociale specifica, e un’equa
remunerazione; ciò permette loro di acquisire più autonomia, di migliorare o addirittura
creare un reddito familiare e così sostenere o contribuire all’educazione scolastica dei
figli. Sempre in merito alla promozione dell’empowerment delle donne, inoltre, è stata
creata una cooperativa di tipo agricolo, gestita dalle familiari dei bambini orfani. Le
protagoniste della cooperativa sono, infatti, le nonne, le zie, le sorelle dei ragazzi
residenti nella casa Tumaini o sostenuti tramite borse di studio presso le famiglie
residue79.
79
Fonte: www.osvic.it
58
Conclusioni
In questo lavoro abbiamo voluto mettere in risalto i grandi obbiettivi internazionali
per l’empowerment femminile, che a partire dal 1970 la comunità internazionale si è
data attraverso importanti Conferenze e Documenti promossi da Enti e Organizzazioni
di rilievo mondiale. Abbiamo dunque analizzato le più importanti Conferenze che,
anche se con uno spirito differente, si sono tutte preoccupate della condizione delle
donne.
Nella nostra analisi, abbiamo inizialmente parlato della Conferenza sulla
popolazione di Bucarest del 1974, che aveva stabilito una correlazione fra il
miglioramento della condizione femminile e le strategie di controllo della fecondità,
per poi passare a quella che dieci anni dopo, svoltasi in Messico, fece del
miglioramento della condizione delle donne un fine in sé. In seguito, abbiamo visto la
Conferenza mondiale sui diritti umani (Vienna, 1993), e siamo scesi poi in un’analisi
più particolareggiata per quanto riguarda la Conferenza internazionale su popolazione e
sviluppo (Cairo, 1994) e la quarta Conferenza mondiale sulle donne (Pechino, 1995),
visto il ruolo centrale che hanno avuto nella modifica dei paradigmi che regolano le
politiche sulla popolazione.
Abbiamo poi analizzato la Dichiarazione del Millennio e i Millennium Development
Goals. La Dichiarazione, si è svolta nel 2000 a New York in occasione del Vertice
dell’Onu, nel quale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, adottando proprio la
sopra citata Dichiarazione, ha stabilito alcuni obiettivi considerati prioritari nella lotta
alla povertà, verso il perseguimento dei quali dovranno orientarsi gli sforzi di tutti i
Governi e di tutte le principali Istituzioni internazionali per il Nuovo Millennio.
Per il raggiungimento di questi obbiettivi appare importante il ruolo della
cooperazione internazionale di cui abbiamo delineato le principali caratteristiche,
soffermandoci in particolare sul ruolo che essa svolge anche nelle politiche di
educazione allo sviluppo, dandone una definizione precisa, delineando le sue origini e
le motivazioni che spingono i vari Stati e Organismi a metterla in atto, definendo gli
attori che operano in questo importante campo, in particolare i donatori bilaterali, i
donatori multilaterali e gli attori non governativi, ovvero la società civile e il settore
privato.
In particolare, importanti nel panorama della cooperazione internazionale sono le
ONG.
Abbiamo perciò analizzato l’azione dell’Osvic, Organismo Sardo di Volontariato
Internazionale Cristiano, in alcuni paesi africani, di cui abbiamo descritto i principali
interventi dopo aver dato una breve descrizione di questi paesi.
Non è possibile valutare l’incidenza dell’azione delle Ong per la soluzione dei gravi
problemi di molti dei paesi più poveri del mondo, ma certamente si può dire che la loro
azione risulta di grande importanza per tenere vivi in Occidente e nei paesi ricchi i
problemi che sorgono dalla forte disuguaglianza sociale fra primo, secondo e terzo
mondo. Il ruolo delle ONG è anche un ruolo educativo e i suoi primi interventi si
attuano proprio in Occidente, poiché consistono nel sensibilizzare e informare
l’opinione pubblica (cittadini, studenti e giovani, insegnanti, ecc..) sulle tematiche dello
sviluppo integrale dei popoli.
In particolare l’Osvic, su tutto il territorio sardo, soprattutto nella Provincia di
Oristano, svolge una serie di attività, aiutato da diversi sostenitori. Tali attività
riguardano:
- Giornate di formazione e informazione, gratuite e aperte a tutti;
59
-
L’organizzazione di incontri con i giovani, gruppi parrocchiali e classi
scolastiche, per educare e sensibilizzare i ragazzi ai problemi del
sottosviluppo e per promuovere la pace tra i popoli;
- L’organizzazione di eventi, convegni e seminari internazionali, con la
partecipazione di ospiti estranei;
- La realizzazione di corsi di lingua e cultura straniera;
- La raccolta di medicinali da inviare in Africa;
- La realizzazione di attività alternative quali la raccolta della carta
(giornali, libri e riviste) destinata al macero, il cui ricavato viene
impiegato per promuovere la scolarizzazione dei bambini dei paesi in
via di sviluppo;
Naturalmente poi, l’azione delle Ong, oltre ad avere un importante ruolo nei paesi in
cui esse sorgono, incide fortemente anche nei paesi che stanno al di fuori
dell’Occidente, con diversi programmi e progetti di aiuto e sostenimento nei loro
confronti, essendo “associazioni private, senza fini di lucro, che promuovono e
realizzano azioni di cooperazione internazionale finalizzate allo sviluppo dei paesi
poveri”.
Esse operano dunque sulla base dei principi di solidarietà tra i popoli, per la
promozione ed il rispetto dei diritti fondamentali dell’umanità.
60
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