Il ruolo della cooperazione internazionale nella
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Il ruolo della cooperazione internazionale nella
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE SOCIALI PER LO SVILUPPO Classe 40 Facoltà di Scienze Politiche Università di Cagliari TITOLO Il ruolo della cooperazione internazionale nella promozione dell’empowerment femminile in alcuni Paesi del Sud del mondo Analisi di alcuni Progetti socio-educativo-sanitari in Cameroun, Guinea Equatoriale, Marocco RELAZIONE FINALE di Simonetta Murtas Docente Relatore Prof.ssa Anna Maria Oppo Anno Accademico 2005-2006 Ringraziamenti Desidero ringraziare anzitutto la Prof.ssa Oppo, Docente Relatore, per l’entusiasmo con cui ha accolto la proposta della mia tesi di laurea, per avermi seguito con dedizione durante tutta la preparazione e stesura della stessa, e per i consigli elargitimi sulla bibliografia. Desidero altresì ringraziare tutto il personale dell’Organismo Sardo di Volontariato Internazionale Cristiano(Osvic), per avermi accolto nella propria Organizzazione in occasione del tirocinio formativo, per tutte le esperienze formative che ho potuto svolgere da quando sono in contatto con essa, per la disponibilità inerente al copioso materiale di ricerca che mi è stato dato in consultazione, indispensabile per la realizzazione della suddetta tesi. In particolare vanno i miei più caldi ringraziamenti alla Presidente dell’Osvic, la dott.ssa Maria Colomba Cabras, che mi ha particolarmente sostenuto durante la stesura del quarto capitolo della tesi, dandomi rilevanti informazioni in merito all’ Osvic e ai Progetti da questo realizzati. Un ringraziamento è doveroso anche nei confronti dell’Ersu, che in collaborazione con la Regione Autonoma della Sardegna, mi ha dato l’opportunità di realizzare la suddetta tesi, grazie alla Borsa di Studio conferitami tramite vincita del “Bando di Concorso per il conferimento di Borse di studio in favore di giovani che svolgano tesi di laurea sui problemi della cooperazione allo sviluppo e della collaborazione internazionale, A.A. 2005/2006”, senza la quale non avrei mai potuto svolgere un lavoro e una ricerca così approfonditi in merito agli argomenti che verranno ora discussi in questo elaborato. Simonetta Murtas 2 INDICE • Introduzione • CAP. 1: La cooperazione allo sviluppo 1.1. 1.2. 1.3. 1.4. 1.5. 1.6. 1.7. 1.8. • CAP. 2: Gli obiettivi internazionali per l’ empowerment femminile 2.1. 2.2. 2.3. 2.4. • La cooperazione internazionale e il ruolo dell’ educazione allo sviluppo; La cooperazione allo sviluppo: definizione, origine e motivazioni; Gli attori della cooperazione internazionale allo sviluppo; La cooperazione della Commissione Europea; La Dichiarazione del Millennio; Le sfide per il raggiungimento degli MDG; La cooperazione italiana; Gli attori della cooperazione italiana; Il significato del termine empowerment; Il Terzo Obiettivo del Millennio; Le Conferenze; La Conferenza di Monterrey; CAP. 3: Situazione socioeconomica e politica dei Paesi oggetto di studio e principali parametri dei rapporti di genere in Marocco, Camerun e Guinea Equatoriale 3.1. 3.2. Marocco, Camerun, Guinea Equatoriale: aspetti storico politici, socioeconomici, demografici; Analisi dei principali parametri dei rapporti di genere in Marocco, Camerun, Guinea Equatoriale; • CAP. 4: L’ empowerment nei Progetti di sviluppo dell’ O.S.V.I.C. (Organismo Sardo di Volontariato Internazionale Cristiano) • Conclusioni • Bibliografia 3 Introduzione Il seguente scritto ha ad oggetto lo studio di alcune tematiche inerenti la cooperazione internazionale. In particolare si sofferma sull’analisi del come la cooperazione internazionale operi nel favorire la promozione dell’empowerment femminile in alcuni Paesi del sud del mondo. Più precisamente, saranno principale argomento di discussione di questa tesi, Paesi quali il Marocco, il Camerun e la Guinea Equatoriale, e i Progetti realizzati per favorire il loro sviluppo, sebbene nella parte finale verrà citato molto brevemente anche il Kenia. Il cap. 1 verterà fondamentalmente sulla cooperazione allo sviluppo e le problematiche ad essa connesse. Verrà analizzata in particolare l’importanza dell’educazione allo sviluppo nell’ambito della cooperazione internazionale, verrà data una definizione completa di cooperazione allo sviluppo e si discuterà delle origini e motivazioni che stanno alla base della sua attuazione, per poi inquadrare gli attori della cooperazione internazionale allo sviluppo e il loro operato. Inoltre verrà data particolare importanza alla Dichiarazione del Millennio e al Vertice del Millennio realizzatosi a New York nel Settembre 2000, sotto l’ egida dell’ ONU, nel quale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, adottando proprio la sopra citata Dichiarazione, ha stabilito alcuni obiettivi considerati prioritari nella lotta alla povertà, verso il perseguimento dei quali dovranno orientarsi gli sforzi di tutti i Governi e di tutte le principali Istituzioni internazionali per il Nuovo Millennio. Brevi cenni verranno fatti anche in merito alle principali sfide che si trovano a fronteggiare Pvs e paesi donatori, e cercheremo di capire quali sono le condizioni necessarie affinché la cooperazione allo sviluppo possa contribuire al raggiungimento degli MDG. Infine si parlerà della Cooperazione italiana e degli attori della cooperazione italiana, avendo un occhio di riguardo per la legge nazionale attualmente in vigore , la Nuova disciplina della cooperazione dell’ Italia con i paesi in via di sviluppo (legge 49/1987), che tutt’ oggi costituisce l’impianto normativo della cooperazione italiana. Verrà poi presa in esame la normativa sarda per quanto riguarda tale materia, che si esplica con una legge ad hoc: la legge Regionale 11 aprile 1996, n° 19, su Norme in materia di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e di collaborazione internazionale. Tale legge ha la finalità, come è chiaramente definito dall’Art 1, comma 1, “….di promuovere la cultura della pace e della solidarietà tra i popoli, specie nell’ ambito della regione mediterranea…”, e a questo scopo, la Regione Sardegna, “partecipa alle attività di cooperazione allo sviluppo ed ai progetti di collaborazione internazionale, in conformità ai principi contenuti nella legislazione statale, nonché negli atti internazionali e comunitari in materia”. Nel cap. 2 si approfondirà invece il significato del termine empowerment, in particolare dell’empowerment femminile, e verranno discussi gli obiettivi internazionali per l’empowerment femminile; in particolare si parlerà del Terzo Obiettivo del Millennio che si interessa di promuovere l’Eguaglianza tra i sessi e l’empowerment delle donne. Verranno inoltre citate anche le varie Conferenze che hanno avuto origine a partire dalla seconda metà del 1900 e hanno avuto ad oggetto il rispetto dei diritti umani e l’importanza dello sviluppo umano. In particolare si accennerà alla Conferenza sulla popolazione di Bucarest del 1974, alla Conferenza del Messico del 1984, alla Conferenza mondiale sui diritti umani (Vienna, 1993), mentre trattazione più approfondita avranno la Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo (Cairo, 1994) e la quarta Conferenza mondiale sulle donne (Pechino, 1995), che hanno svolto un ruolo centrale nella modifica dei paradigmi che regolano le politiche sulla popolazione. Inoltre si parlerà in modo abbastanza approfondito della Conferenza delle Nazioni Unite sul finanziamento dello sviluppo, svoltasi a Monterrey, 4 Messico, nel marzo 2002, con la partecipazione di Capi di Stato e di Governo dei paesi membri, conclusasi con l’ adozione di una risoluzione, definita il “Consenso di Monterrey”, che contiene l’ insieme degli impegni per i diversi soggetti coinvolti nelle politiche per lo sviluppo (governi dei paesi sviluppati, governi dei Pvs, organizzazioni internazionali, organizzazioni della società civile, settore privato). Nel cap. 3, verrà brevemente esposta la situazione socio economica e politica nei quali si trovano i principali Paesi oggetto di studio, con particolare attenzione anche all’ aspetto storico. Una volta elaborato un breve quadro generale della situazione di questi paesi, si andranno ad analizzare i principali parametri dei rapporti di genere esistenti al loro interno, e ciò verrà fatto tramite l’utilizzo di svariati e importanti indicatori. Verranno presi in esame: gli INDICATORI DI MORTALITA’, in particolare mortalità infantile, l’aspettativa di vita maschile e femminile alla nascita e il tasso di mortalità materna, gli INDICATORI DI ISTRUZIONE, e tra questi prenderemo in esame i tassi complessivi di iscrizione maschile e femminile alla scuola elementare, i tassi complessivi di iscrizione maschile e femminile alla scuola secondaria e analizzeremo l’ analfabetismo tra adulti, maschi e femmine, e gli INDICATORI DELLA SALUTE RIPRODUTTIVA. Tra questi prenderemo in esame innanzitutto le nascite per 1000 donne di età compresa fra i 15 e i 19 anni, il tasso totale di fecondità (2005) e la percentuale di nascite con assistenza qualificata, il tasso di prevalenza dell’ HIV, M/F, 15-49 anni e la diffusione dei contraccettivi, facendo una distinzione tra l’ utilizzo di qualsiasi metodo e dei metodi più moderni. Nel cap. 4, infine, verrà analizzato l’ operato di una importante ONG sarda: l’Organismo Sardo di Volontariato Internazionale Cristiano (OSVIC), che si occupa e si è occupata, nei diversi Progetti realizzati nel corso degli anni, della promozione della donna, e da sempre mette in atto Progetti di carattere socio-educativo-sanitario. In particolare vedremo i diversi Progetti che l’ Organismo ha realizzato in Marocco, Camerun e Guinea Equatoriale, e citeremo brevemente un Progetto realizzato in Kenia, che pur non avendo come finalità principale il favorire il processo di empowerment femminile, tuttavia incide in maniera molto forte su esso. 5 Capitolo 1 La cooperazione allo sviluppo 1.1 La cooperazione internazionale e il ruolo dell’ educazione allo sviluppo Quando si parla di cooperazione internazionale, è necessario specificare come questa attività sia strettamente connessa allo sviluppo e alle problematiche che ruotano intorno ad esso. Infatti, affinché si possa meglio comprendere l’operato di coloro che si occupano di cooperazione internazionale, è necessario attribuire una notevole importanza ad una mirata "educazione allo sviluppo” della società civile, in modo anche da sensibilizzare in maniera efficace l’opinione pubblica in merito agli ambiti di intervento che la cooperazione stessa comporta a livello globale, ma anche locale, alle loro modalità e al contributo che la società civile stessa può donare. La società infatti dovrebbe essere educata ad una maggiore conoscenza dell’operato della cooperazione internazionale, poiché, sebbene il supporto dell’opinione pubblica nei confronti di essa sia stato costantemente elevato negli ultimi venti anni, i cittadini hanno spesso una consapevolezza limitata delle problematiche dello sviluppo, tendendo a identificare la cooperazione con l’assistenza umanitaria in caso di crisi, e hanno solo una vaga idea circa la politica di cooperazione attuata dal proprio governo. Il rischio più grande è infatti quello che, finiti i grandi meeting internazionali e i concerti di solidarietà, i problemi allo sviluppo vengano relegati in un secondo piano. Occorrerebbe quindi, che venisse attuato un concreto supporto e controllo democratico da parte dell’opinione pubblica sull’operato del governo in materia di cooperazione, coerenza e mantenimento degli impegni presi, in modo che l’attenzione ai problemi dello sviluppo non sia unicamente una moda passeggera. Tuttavia, sfortunatamente, temi quali la liberalizzazione commerciale e la promozione del settore privato, la lotta alla corruzione, il rafforzamento delle capacità umane e istituzionali nei Pvs, ricevono poca attenzione da parte del cittadino medio. E, secondo un sondaggio, gran parte dei cittadini intervistati sovrastima l’apporto finanziario del proprio governo alla Politica di cooperazione allo sviluppo1. Da questo, possiamo dedurre come la capacità della società civile di fungere da stimolo e controllo dell’azione pubblica sia fortemente limitata, riducendo così drasticamente la trasparenza, la legittimità e l’efficacia di tale azione. Un’opinione pubblica più consapevole garantirebbe infatti una maggiore attenzione dei governi ai problemi dello sviluppo, e un maggior sostegno alle agenzie di cooperazione nell’ affermare la propria agenda politica in tal senso al proprio governo. Da parte loro, le agenzie di cooperazione hanno oggettive difficoltà a comunicare ed educare l’opinione pubblica in merito a queste tematiche. C’è poco dibattito pubblico, mentre l’educazione allo sviluppo in ambito scolastico stenta ad affermarsi e spesso è affidata ad interventi estemporanei di volontari. Per migliorare la consapevolezza sulle problematiche dello sviluppo e rafforzare il supporto dell’opinione pubblica, sarebbe necessario aumentare i fondi destinati alle campagne di sensibilizzazione ed educazione allo sviluppo, ma non solo. Occorrerebbe anche migliorare la qualità degli interventi e, soprattutto, inserire in maniera più organica l’educazione allo sviluppo nei programmi scolastici. La scuola dovrebbe offrire agli studenti la possibilità di approfondire questi temi e di sviluppare un’opinione critica. Maggiore attenzione, inoltre, dovrebbe essere dedicata alla conoscenza, rispetto e valorizzazione delle 1 : Dei due terzi degli intervistati, che affermano di avere un’ idea della spesa in cooperazione, la metà colloca questa cifra fra l’ 1 e il 10% del reddito nazionale, l’altra metà, più realisticamente, al di sotto dell’ 1%. 6 differenze, alla difesa dei diritti umani, all’analisi dell’interdipendenza globale e al rispetto dell’ambiente.2 1.2 La cooperazione allo sviluppo: definizione, origine e motivazioni Possiamo definire la politica di cooperazione allo sviluppo (Pcs) come l’insieme di politiche attuate dal governo, o da un’istituzione multilaterale, che mirano a creare le condizioni necessarie per lo sviluppo economico e sociale duraturo e sostenibile in un altro paese. Tali politiche, possono essere messe in pratica da organizzazioni governative, nazionali o internazionali, o da organizzazioni non governative (ONG). Elemento fondamentale della Politica di cooperazione allo sviluppo è il trasferimento di risorse verso i paesi bisognosi, l’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps). L’aiuto pubblico allo sviluppo è costituito da risorse finanziarie pubbliche, sotto forma di doni o di prestiti a tasso agevolato, erogate con la finalità di sopportare lo sviluppo economico del recettore, e da assistenza tecnica. Non rientrano nell’ Aps i prestiti o l’assistenza a carattere militare. Per essere classificato come Aps, un trasferimento (in moneta o in natura), deve soddisfare quattro requisiti: il donatore deve essere pubblico, il destinatario deve essere un Pvs, la finalità principale del trasferimento deve essere la promozione dello sviluppo, il finanziamento deve essere un dono o un prestito erogato a condizioni privilegiate. Occorre poi fare due precisazioni: innanzitutto la Pcs non è l’unico strumento attraverso il quale i paesi industrializzati incidono sulle possibilità di sviluppo degli altri paesi. Inoltre, l’Aps non è la sola fonte di risorse finanziarie per lo sviluppo. Ad essa si accompagnano infatti, i mezzi propri dei paesi partner – in forma di risparmio nazionale o di reddito da esportazioni –, le rimesse degli emigrati e i flussi di investimento all’estero. Per quanto riguarda le origini della Pcs, si può affermare che la necessità di sopperire alla scarsità di risorse finanziarie nei paesi meno sviluppati, è stata ( e per molti versi lo è ancora), la principale giustificazione per la creazione della Pcs. La nascita della Pcs viene generalmente fatta coincidere con i piani di ricostruzione postbellica e la creazione del sistema delle Nazioni Unite. Infatti, gran parte delle istituzioni e degli strumenti che caratterizzano il panorama odierno della cooperazione allo sviluppo sono stati creati negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale. In particolare: La Banca per la ricostruzione e lo sviluppo (parte del gruppo della Banca Mondiale); Il Fondo Monetario Internazionale (FMI); L’Organizzazione per la cooperazione economica europea, responsabile della gestione del Piano Marshall per la ricostruzione dell’ Europa. Quest’ultima sarà trasformata nel 1961 nell’ Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), di cui fa capo il DAC, organo di discussione e confronto dell’Ocse che raggruppa i 22 principali paesi donatori e la Commissione Europea. Il DAC è il forum, all’interno dell’OCSE, dove si discute di cooperazione allo sviluppo. Creato nel 1961, il Comitato lavora per l’armonizzazione delle politiche di cooperazione, la raccolta e disseminazione di dati, la produzione di linee guida e raccomandazioni per i donatori. La Pcs di ciascun paese membro viene periodicamente esaminata ad opera di altri due paesi (peer review). Gli esaminatori valutano in che misura le raccomandazioni prodotte dal DAC sono state attuate, come la Pcs del 2 Fonte: F. Bonaglia-V. de Luca “La cooperazione internazionale allo sviluppo”. Il Mulino 7 paese possa essere migliorata e quali esempi importanti per gli altri membri possano esserne tratti. Gli obiettivi prefissi dalla Pcs vanno ben oltre la ricostruzione fisica delle economie europee e l’industrializzazione delle ex colonie. Il testo base della Commissione Europea sulla politica di cooperazione statuisce che il suo obiettivo è di favorire lo sviluppo economico e sradicare la povertà nei Pvs, nonché di aiutare questi stessi paesi ad integrarsi nell’economia globale. Inoltre, la politica comunitaria di sviluppo opera per il rafforzamento della democrazia e lo stato di diritto, promuovendo il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. E’ poi evidente anche come gli obiettivi della Pcs non siano unicamente “umanitari”. La cooperazione allo sviluppo è parte integrante della politica estera di un paese, e questo è dimostrato dal fatto che spesso, essa fa capo al Ministero degli Affari esteri (MAE). Cerchiamo allora di capire le motivazioni del fatto che i paesi industrializzati abbiano creato un sistema il quale, nonostante rappresenti in termini di risorse solo una minima parte dei loro redditi nazionali, costituisce per alcuni paesi beneficiari più del 10% dell’ intero reddito nazionale e dà lavoro a migliaia di persone al mondo. A riguardo ci sono diverse e discordanti opinioni. Secondo alcuni, infatti, esisterebbe una sorta di obbligo morale per i paesi ricchi di aiutare i paesi poveri. Tale obbligazione scaturirebbe da considerazioni di “solidarietà umana”, o dalla necessità di conseguire un più equo ordine mondiale, una giustizia globale, ad esempio riparando ai torti fatti durante l’epoca coloniale. Secondo altri, invece, non solo non esisterebbe un obbligo etico per l’Aps, ma elargirlo sarebbe moralmente sbagliato, in quanto ciò contribuirebbe a rendere il paese recettore sempre più dipendente dagli aiuti esterni. Secondo altri ancora, la giustificazione all’Aps starebbe nella volontà del paese donatore di promuovere unicamente i propri interessi nazionali, sia che si tratti di interessi di tipo ideologico (un classico esempio è quello di favorire o contrastare il diffondersi del comunismo durante gli anni della guerra fredda), interessi di politica estera (come ad esempio sostenere le ex colonie o mantenere la stabilità in aree geografiche vicine), o interessi di tipo commerciale (come ad esempio la promozione delle esportazioni attraverso il c.d. “aiuto legato”). Gli economisti tendenzialmente concordano sul fatto che sia economicamente sensato trasferire risorse ai paesi meno sviluppati e promuoverne lo sviluppo. Sorge invece disaccordo in merito al costo-opportunità relativo a questo tipo di attività, ovvero al trasferimento di risorse, nel senso che, sorgono ragionevoli dubbi in merito all’efficacia relativa di questo strumento nel perseguire gli obiettivi prefissati. Secondo la teoria economica, in virtù della scarsità di capitale nei Pvs, ogni euro investito in questi paesi avrebbe una produttività e un tasso di rendimento più elevati, rispetto allo stesso euro investito nei paesi avanzati, dove il capitale abbonda. Lo sviluppo di questi paesi contribuirebbe a far crescere la domanda mondiale, con effetti benefici non solo dei paesi recettori ma anche per le economie dei paesi donatori. Sarebbe infatti nell’interesse dei paesi donatori aiutare i paesi meno sviluppati a prevenire, o risolvere, conflitti armati e crisi, siano esse di natura finanziaria, sanitaria o ambientale, che potrebbero diffondersi e avere ripercussioni su scala globale. Queste argomentazioni (ma non solo), giustificano spesso le scelte dei decisori politici in materia di erogazione di aiuti. Talvolta capita di sentir dire che una delle giustificazioni dell’ Aps è il sostegno alla cooperazione allo sviluppo da parte dell’ opinione pubblica, dei contribuenti. Se così fosse, ci sarebbe una relazione diretta tra cambiamenti dell’ opinione pubblica e andamento dell’ APS. L’ opinione pubblica, stando così le cose, potrebbe pertanto avere un significativo impatto sull’ azione dei governi in materia di cooperazione allo sviluppo. Tuttavia, numerosi sondaggi 8 smentiscono quanto appena ipotizzato, suggerendo che l’ opinione pubblica esercita un’influenza minima sulla politica di cooperazione, e che questa si limita ad eventi fortemente mediatizzati e di grande impatto sulla società civile (quali le carestie e inondazioni, o la campagna di cancellazione del debito). E’ molto probabile che questo avvenga soprattutto a causa della scarsa consapevolezza e comprensione delle questioni concernenti lo sviluppo da parte del grande pubblico, argomento questo già trattato nel precedente paragrafo. La Pcs viene generalmente confusa con l’assistenza umanitaria, che è una parte importante, ma pur sempre solo una parte degli aiuti. Mentre l’assistenza umanitaria si prefigge di rispondere a situazioni di emergenza e di alleviare le sofferenze di popolazioni colpite da catastrofi naturali o da guerre, lo scopo della Pcs è di favorire lo sviluppo duraturo di un paese, e la fuoriuscita della popolazione dalle condizioni di povertà. La scarsa conoscenza degli obiettivi si accompagna a una generale inconsapevolezza circa la dimensione dell’ APS. Quando interrogati in proposito, i cittadini tendono inoltre, come già abbiamo potuto osservare in merito, a sovrastimare gli aiuti erogati dal proprio governo.3 1.3 Gli attori della cooperazione internazionale allo sviluppo Per quanto riguarda i protagonisti attivi della cooperazione allo sviluppo, a grandi linee, possiamo anzitutto distinguere tra attori pubblici e privati. I primi includono i governi e le istituzioni internazionali. I secondi includono le imprese e il cosiddetto settore no-profit. Facendo una schematizzazione più precisa, possiamo distinguere gli attori della cooperazione nel seguente modo: • DONATORI BILATERALI: Rientrano in questa categoria tutti i governi dei paesi sviluppati e un numero crescente di paesi emergenti, che attuano in qualche misura una politica di cooperazione allo sviluppo. A seconda del paese, la responsabilità dell’attuazione del Pcs può essere attribuita a un ministero della Cooperazione, ad una agenzia specializzata, più o meno autonoma dal governo, oppure a un dipartimento all’interno del MAE. • DONATORI MULTILATERALI: Accanto ai governi, operano numerosi organismi multilaterali nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. Vediamoli brevemente: a) LE ISTITUZIONI FINANZIARIE INTERNAZIONALI b) AGENZIE LE DELLE NAZIONI UNITE c) LA COMMISSIONE EUROPEA Schematizzando: Principali donatori multilaterali ISTITUZIONI FINANZIARIE INTERNAZIONALI ISTITUZIONI DI BRETTON WOODS Fondo Monetario Internazionale Gruppo della Banca Mondiale, che include IBRD, IDA, IFC, MIGA BANCHE REGIONALI DI SVILUPPO Banca Africana di sviluppo 3 Fonte: F. Bonaglia-V. de Luca “La cooperazione internazionale allo sviluppo”. Il Mulino 9 Banca Asiatica di sviluppo Banca interamericana di sviluppo Banca di sviluppo caraibica Banca islamica di sviluppo Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo FONDI SPECIFICI Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo Fondo nordico per lo sviluppo Fondo arabo per lo sviluppo economico e sociale AGENZIE DELLE NAZIONI UNITE Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) Fondo delle Nazioni Unite per l’ infanzia Programma alimentare mondiale Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati UNIONE EUROPEA Commissione Europea: Dg Sviluppo, Dg Relex ed Echo Banca Europea degli investimenti Tra le istituzioni finanziarie internazionali, le Banche Regionali di Sviluppo e le Istituzioni di Bretton Woods sono indubbiamente gli attori principali. Tra i maggiori donatori rientrano in particolare la IBRD (Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo) e l’IDA (Associazione internazionale per lo sviluppo), entrambe facenti parte del gruppo della Banca Mondiale. L’IDA è un fondo che eroga prestiti a interesse zero ai paesi più poveri, che non hanno la capacità finanziaria di contrarre prestiti a termini di mercato; La IBRD estende invece prestiti ai governi dei paesi con redditi pro capite relativamente elevati. Sempre del gruppo della Banca Mondiale, la IFC (Società finanziaria internazionale), è un’agenzia che opera per promuovere lo sviluppo dell’industria privata nei Pvs attraverso l’erogazione di appositi prestiti direttamente al settore privato e la mediazione verso il mercato internazionale del credito. L’UNDP (Programma per lo sviluppo), è tra le principali agenzie ONU ed ha come missione la condivisione delle conoscenze e delle esperienze e il rafforzamento delle capacità dei Pvs, per contribuire all’affermazione di governi democratici, alla lotta contro la povertà e alla prevenzione e ricostruzione delle crisi umanitarie. Per quanto riguarda invece l’Unione Europea, vedremo nel prossimo paragrafo, in maniera più precisa, in che modo opera nell’ ambito della cooperazione allo sviluppo, analizzando più dettagliatamente la relazione esistente tra la cooperazione e la Commissione Europea. • ATTORI NON GOVERNATIVI (la società civile e il settore privato): Le Ong rappresentano la realtà più importante e variegata fra gli attori della società civile coinvolti nella cooperazione allo sviluppo. L’emergere delle ONG, quali attori chiave della cooperazione internazionale, è uno dei tratti più innovativi e caratterizzanti degli ultimi decenni. Benché siano sorte in concomitanza con le emergenze umanitarie prodotte dalle due guerre mondiali, e in alcuni casi, come quello della Croce rossa internazionale (CRI), addirittura alla fine del XIX secolo, è soprattutto a partire dagli anni ’80 che le ONG hanno esteso il loro campo d’ azione, quando, in occasione dell’ immobilismo statale causato dalla guerra fredda, alcune 10 ONG (quali CRI e MSF), hanno affermato il cosiddetto diritto d’ingerenza4 e sono intervenute in situazioni di crisi umanitaria in Africa e altrove. In Italia, il Coordinamento delle Ong per la cooperazione internazionale allo sviluppo (COCIS), definisce le ONG come “associazioni private, senza fini di lucro, che promuovono e realizzano azioni di cooperazione internazionale finalizzate allo sviluppo dei paesi poveri. Operano sulla base dei principi di solidarietà tra i popoli, per la promozione ed il rispetto dei diritti fondamentali dell’umanità”. La legislazione italiana (d.lgs.460/1997) qualifica le ONG come un particolare tipo di associazioni di volontariato, che svolgono attività senza scopo di lucro. In quanto Organizzazioni non lucrative d’utilità sociale (ONLUS), le ONG svolgono un’attività a beneficio di soggetti terzi rispetto ai soci; in particolare, esse perseguono questa finalità operando nel campo della cooperazione internazionale allo sviluppo. L’universo delle ONG è eterogeneo e complesso. Per semplificare, potremmo distinguere due tipi di organizzazioni, le quali non si escludono comunque a vicenda: - di opinione (advocacy), che promuovono a vari livelli una determinata causa o movimento di opinione - operative: il cui scopo primario è la progettazione ed esecuzione di progetti di cooperazione. A proposito di queste ultime, la legislazione italiana (legge 49/1987) prevede che esse possano ricevere finanziamenti pubblici solo dopo aver ottenuto un riconoscimento formale da parte del MAE, dopo un’istruttoria particolarmente selettiva tesa a valutarne l’affidabilità. Grazie alla loro indipendenza, conoscenza diretta del terreno e capacità di arrivare laddove i donatori tradizionali non possono o non sono in grado di arrivare, le ONG sono state riconosciute dai governi e dall’opinione pubblica quale strumento importante per attuare interventi umanitari e di cooperazione.5 1.4 La cooperazione della Commissione europea La Commissione Europea (CE) ha una propria Pcs, che coesiste con i programmi di cooperazione bilaterali dei paesi membri dell’UE, ed è pertanto da considerarsi, come già abbiamo visto, come un donatore multilaterale. Con l’adozione del Trattato istitutivo dell’Unione Europea, la Pcs diviene parte integrante della politica estera e di sicurezza comunitaria. Il Trattato consolidato ad Amsterdam stabilisce, a titolo XX, art 177, che la cooperazione deve promuovere, soprattutto nei paesi più poveri, lo sviluppo economico e sociale, l’integrazione nell’economia mondiale, la lotta contro la povertà, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, la promozione della democrazia e dello stato di diritto. La PCS comunitaria si fonda su due strumenti principali, gestiti dalla Commissione: l’erogazione di aiuti e la concessione di un accesso privilegiato al mercato comune per le esportazioni dei Pvs. Il finanziamento dei programmi di cooperazione proviene, oltre che dal bilancio proprio della Commissione, dal Fondo europeo di sviluppo (FES), un fondo pluriennale cui ciascun paese membro è tenuto a contribuire in misura proporzionale al suo reddito nazionale, e dalla Banca Europea degli investimenti (BEI). L’inclusione del FES nel bilancio della Commissione Europea, che è stata più volte proposta dalla Commissione stessa per garantire una gestione unitaria e omogenea della cooperazione, potrebbe finalmente realizzarsi alla scadenza dell’attuale FES nel 2007. 4 Il diritto di ingerenza sarebbe giustificato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’ uomo, in base al quale tutti gli esseri umani hanno diritto a ricevere assistenza umanitaria. Fonte: F. Bonaglia-V. de Luca “La cooperazione internazionale allo sviluppo”. Il Mulino 5 11 Ora verranno forniti brevi cenni storici della PCS Europea, in modo da acquisire una visione più completa e particolareggiata del suo modus agendi, e l’evoluzione che questo ha avuto nel corso del tempo. La PCS comunitaria è nata nel 1957, contestualmente al Trattato di Roma, che, agli artt. 131-136 stabiliva la creazione del “sistema associativo” tra i sei paesi fondatori e le colonie o territori sui quali alcuni di questi esercitano un mandato delle Nazioni Unite (come il caso dell’ Italia nei confronti della Somalia). Questo sistema si prefiggeva di rafforzare le relazioni commerciali fra la comunità e questi paesi per promuoverne lo sviluppo economico e sociale. Una prima riforma del sistema si rese necessaria a seguito del processo di decolonizzazione e della conseguente creazione di nuovi stati indipendenti. Questi Stati, desideravano, nonostante la raggiunta indipendenza, poter continuare a beneficiare degli aiuti europei e dell’ accesso privilegiato a questo mercato. Il nuovo sistema, incentrato su assistenza finanziaria e accordi commerciali, venne creato nel 1963 con la Convenzione di Yaoundè, cui ciascun paese è libero di aderire su basi negoziate. La Convenzione fu estesa a Lomè, nel 1974, per includere le ex colonie britanniche, coprendo così 46 paesi di Africa, Carabi e Pacifico (ACP)6 . Grazie a questa Convenzione, larga parte della PCS comunitari ha un fondamento contrattuale, in virtù del quale le condizioni privilegiate garantite ai paesi ACP sono negoziate tra le due parti e non possono essere modificate unilateralmente. Queste condizioni, inoltre, e in particolare per quanto riguarda l’accesso preferenziale al mercato europeo, sono stabili, valide cioè per periodi predeterminati, e non reciproche, in quanto i paesi ACP non sono tenuti a garantire lo stesso trattamento preferenziale alle esportazioni dei paesi europei. La Convenzione di Lomè è stata rinegoziata quattro volte fino al giugno 2000, quando è stata sostituta da un nuovo accordo di partenariato tra 79 paesi ACP, la CE e i suoi Stati membri. Il nuovo accordo, siglato a Cotonou, rappresenta un quadro di riferimento ventennale per la cooperazione ed il dialogo politico tra UE e paesi ACP. L’accordo si prefigge di sradicare la povertà nei paesi ACP, favorendo la loro progressiva integrazione nell’economia mondiale e contribuendo al loro sviluppo duraturo e sostenibile. La PCS comunitaria non si esaurisce ai paesi ACP. Nel corso degli anni, la Commissione ha ampliato notevolmente il suo raggio di azione e moltiplicato i programmi di aiuto, anche per adeguarsi alle mutate condizioni geopolitiche nelle regioni limitrofe. Infatti, fenomeni quali la caduta del Muro di Berlino e le prospettive di allargamento dell’ UE a Est, hanno spinto alla creazione di programmi per il rafforzamento istituzionale e il supporto alle riforme economiche in questi paesi. D’altra parte, la dissoluzione della ex Jugoslavia e i conflitti nei Balcani hanno imposto la necessità di finanziare interventi umanitari e di ricostruzione prima, e programmi di supporto alla trasformazione economica, alla protezione dei diritti umani e al rafforzamento istituzionale poi. La PCS comunitaria è stata oggetto di numerose critiche, a causa dell’eccessiva frammentazione dei programmi e della mancanza di coordinazione tra le diverse istituzioni responsabili di progettazione, finanziamento, realizzazione e valutazione dei programmi di cooperazione. Per ovviare a queste problematiche, e migliorare il sistema stesso di funzionamento della PCS comunitaria, è stato lanciato un radicale processo di razionalizzazione, che prevede un maggior trasferimento di responsabilità alle delegazioni della CE nei paesi beneficiari, una riduzione e razionalizzazione dei programmi di cooperazione e una ridistribuzione delle competenze tra le varie istituzioni comunitarie. In particolare, con la creazione, nel gennaio 2001 dell’Ufficio di cooperazione EuropAid, facente capo alla Direzione generale (DG) relazioni esterne, 6 Gruppo dei paesi dell’ Africa, Carabi e Pacifico aderenti alle Convenzioni di Lomè e Cotonou 12 sono state riunite sotto un’unica responsabilità tutte le varie fasi del ciclo del progetto, ovvero: - Individuazione e prima valutazione di progetti e programmi; - Preparazione delle decisioni finanziarie; - Attuazione, controllo e valutazioni intermedie e finali di progetti e programmi; Le DG relazioni esterne e DG sviluppo, sottomettono alla Commissione i propri programmi per ottenerne l’approvazione. EuropAid è poi responsabile per garantirne la realizzazione degli obiettivi. I vari programmi di supporto ai paesi non membri della UE sono stati organizzati in sei aree geografiche: - Paesi ACP; - Europa sudorientale; - Europa orientale e Asia centrale; - Paesi del Mediterraneo; - Paesi del Vicino e del Medio Oriente; - Asia e America Latina; e sette aree tematiche: - Democrazia e diritti umani; - Aiuti Alimentari; - Co-finanziamento con Ong; - Questioni di genere; - Ambiente; - Sanità; - Mine antiuomo; EuropeAid non si occupa dei paesi interessati dal processo di allargamento dell’ UE. La ripartizione geografica potrebbe presto essere ulteriormente razionalizzata a seguito del processo di allargamento dell’UE e dell’adozione della nuova Politica europea di vicinato (European neighbourhood policy). La riforma ha fatto un ulteriore passo avanti con la decisione della CE, nel 2004, di sostituire i molteplici strumenti di cooperazione esterna esistenti con solo sei strumenti: Assistenza ai paesi in fase di accesso all’ UE; Politica Europea di vicinato; Politica di cooperazione economica e allo sviluppo; Politica di stabilità; Assistenza umanitaria; Assistenza macroeconomica; Nel dicembre 2005 è stato adottato un nuovo documento strategico di indirizzo. 1.5 La Dichiarazione del Millennio Nell’affrontare il tema della cooperazione internazionale allo sviluppo, e dei dibattiti che questa ha generato, appare indispensabile citare in questa sede la Dichiarazione del Millennio. Nel Settembre 2000, si è svolto a New York il vertice dell’ONU, vertice del Millennio nel quale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, adottando proprio la sopra citata Dichiarazione, ha stabilito alcuni obiettivi considerati prioritari nella lotta alla povertà, verso il perseguimento dei quali dovranno orientarsi gli sforzi di tutti i Governi e di tutte le principali Istituzioni internazionali per il Nuovo Millennio. 13 Nel 2001, il segretario generale dell’ Onu ha presentato il “Piano di azione per l’applicazione della Dichiarazione del Millennio”. I massimi responsabili delle Nazioni Unite, della Banca mondiale del FMI e dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) hanno sottoscritto un documento che contiene gli 8 Obiettivi di sviluppo del millennio ( Millennium Development Goals, MDG). Il documento contiene anche 18 traguardi (targets) e 48 indicatori (in questa sede ne verranno citati 18), per monitorare i progressi di ciascun paese verso il conseguimento di questi obiettivi. Le Nazioni Unite e la Banca Mondiale producono ogni anno dei rapporti sull’andamento dei vari paesi rispetto ai 48 indicatori. Gli Obiettivi del Millennio possono essere schematizzati nel modo seguente7: OBIETTIVO 1: SRADICARE LA POVERTA’ ESTREMA E LA FAME Target 1: Dimezzare, tra il 1990 e il 2015, la proporzione di persone il cui reddito è inferiore ad 1$ al giorno. Target 2: Dimezzare, tra il 1990 e il 2015, la proporzione di persone che soffrono la fame. INDICATORI: Prevalenza di bambini sottopeso con meno di cinque anni di età. • Proporzione di popolazione al di sotto del livello minimo di consumo energetico. • OBIETTIVO 2: RAGGIUNGERE PER TUTTI LA SCOLARITA’ DI BASE Target 3: Assicurare che, dal 2015, i bambini ovunque vivano, tanto i ragazzi che le ragazze, possano completare un ciclo completo di istruzione primaria. OBIETTIVO 3: PROMUOVERE L’EGUAGLIANZA TRA I SESSI E FAVORIRE L’EMPOWERMENT DELLE DONNE Target 4: Eliminare le disparità di sesso nell’accesso all’istruzione primaria e secondaria, preferibilmente dal 2005, e non più tardi del 2015 per tutti i livelli di istruzione. OBIETTIVO 4: RIDURRE LA MORTALITA’ INFANTILE Target 5: Ridurre di due terzi, tra il 1990 e il 2015, il tasso di mortalità sotto i cinque anni. INDICATORI: Tasso di mortalità inferiore ai cinque anni di età. • Tasso di mortalità infantile. • Proporzione di bambini di un anno vaccinati contro il morbillo. • OBIETTIVO 5: MIGLIORARE LA SALUTE MATERNA Target 6: Ridurre di tre quarti, tra il 1990 e il 2015, il tasso di mortalità materna INDICATORI: Tasso di mortalità materna. • Proporzione di parti assistiti da personale sanitario specializzato. • OBIETTIVO 6: COMBATTERE L’HIV/AIDS, LA MALARIA E LE ALTRE MALATTIE 7 Fonte: http://www.air-online.it 14 Target 7: Dimezzare, ed iniziare ad invertire la tendenza nella diffusione dell’ HIV/AIDS, entro il 2015. Target 8: Dimezzare, ed iniziare ad invertire la tendenza nella diffusione della malaria e delle altre maggiori malattie, entro il 2015. INDICATORI: Prevalenza dell’HIV tra le donne incinte di età compresa tra i 15 e i 24 anni. • Tasso di uso del condom rispetto al tasso di uso di contraccettivi. • Tasso di frequenza scolastica degli orfani sui non orfani di età compresa tra i 10 ed i 14 anni. • Prevalenza e tassi di mortalità associati con la malaria. • Proporzione di popolazione che vive in aree a rischio di malaria e che utilizza misure e trattamenti preventivi efficaci. • Prevalenza e tassi di mortalità associati con la tubercolosi. • Proporzione di casi di tubercolosi identificati e curati sotto il programma DOTS (Directly Observed Treatment Short-corse). • OBIETTIVO 7: ASSICURARE LA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE Target 9: Integrare i principi dello sviluppo sostenibile nelle politiche e nei programmi nazionali ed invertire la perdita di risorse ambientali. Target 10: Dimezzare, a partire dal 2015, la proporzione di persone senza accesso sostenibile all’acqua potabile e alla rete fognaria. Target 11: Ottenere entro il 2020 un significativo miglioramento delle vite di almeno 100 milioni di abitanti negli slum. INDICATORI: Proporzione di popolazione che usa combustibili solidi. • Proporzione di popolazione con accesso sostenibile a fonti migliorate di acqua nelle aree urbane e rurali. • Proporzione di popolazione con accesso sostenibile alla rete fognaria nelle aree urbane e rurali. • OBIETTIVO 8: SVILUPPARE UNA PARTNERSHIP GLOBALE Target 12: Sviluppare ulteriormente un sistema commerciale e finanziario aperto, regolato, prevedibile e non-discriminatorio. Target 13: Indirizzarsi ai bisogni speciali delle nazioni meno sviluppate. Target 14: Indirizzarsi ai bisogni speciali di territori quali le piccole isole ed i paesi senza litorale (landlocked) nei PVS. Target 15: Affrontare complessivamente il problema del debito nei PVS attraverso misure nazionali ed internazionali per rendere il debito sostenibile a lungo termine. Target 16: In cooperazione con i PVS, sviluppare ed implementare strategie per lavori decorosi e produttivi per i giovani. Target 17: In cooperazione con le industrie farmaceutiche fare in modo che i PVS possano permettersi l’accesso ai farmaci essenziali. Target 18: in cooperazione con il settore privato rendere disponibili le nuove tecnologie, in modo speciale di informazione e comunicazione. INDICATORI: • Proporzioni di popolazione con accesso ai farmaci essenziali su una base sostenibile. Fonte: Implementation of the United Nations Millennium Declaration, Report of the Secretary-General. World Healt Organization, Department of MDGs, Health and Development Policy (HDP). 15 Di questi obiettivi, tutti profondamente condivisibili, il numero tre, si occupa appunto di promuovere l’eguaglianza fra i sessi e favorire l’empowerment delle donne. Occorre puntualizzare come questi obiettivi siano da considerarsi un tutt’uno indivisibile, se si vuole che diventino uno strumento efficace per gestire la globalizzazione a favore dei poveri. Il 2015 è la scadenza prevista per il raggiungimento dei Millennium Development Goals, e per conseguirli, la Dichiarazione del Millennio prevede che gli Stati del Nord del mondo si assumano diversi impegni per aumentare gli aiuti ai paesi poveri del Sud. In particolare, i primi sette obiettivi prevedono impegni da parte dei PVS, mentre l’ottavo prevede una serie di impegni a carico dei paesi più ricchi: I paesi poveri sono impegnati: A promuovere riforme a livello nazionale; Ad incanalare gli aiuti per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio; A migliorare la governance ed eliminare la corruzione; I paesi ricchi sono impegnati a : Incrementare l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS), sino a portare allo 0,7 la percentuale del prodotto interno lordo (PIL) destinata all’ APS; Investire in servizi sociali di base; Eliminare distorsioni quali l’aiuto legato, che favorisce le imprese del paese donatore anziché aiutare a far crescere le strutture locali; Promuovere la cancellazione del debito; Adottare regole di scambi commerciali internazionali eque, fondate su principi di giustizia;8 Inoltre è importante osservare come l’ottavo obiettivo, quello di elaborare uno schema di cooperazione mondiale per lo sviluppo, e quindi relativo ai mezzi da realizzare per perseguire concretamente i precedenti obiettivi, sia stato inserito tra gli Obiettivi di sviluppo del Millennio solamente a seguito della Conferenza sul Finanziamento dello Sviluppo del marzo 2002. E proprio a sottolineare l’importanza di quest’ultimo obiettivo, è bene mettere in luce come il successo o il fallimento di questo programma dipenderà essenzialmente dall’impegno assunto dai paesi ricchi ad accrescere gli aiuti finanziari ai paesi poveri e di apportare correttivi alle regole del sistema internazionale. Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, che affrontano alcuni dei mali più gravi dello sviluppo umano, non costituiscono di per sé una novità nel panorama internazionale, essendo stati ripresi dalle diverse conferenze sullo sviluppo tenutesi negli anni ’90, e sono il risultato di varie consultazioni a livello nazionale, regionale e internazionale che hanno coinvolto milioni di cittadini di tutto il mondo rappresentando numerose posizioni, dai governi, all’associazionismo, fino ad arrivare al settore privato. Nella Dichiarazione del Millennio inoltre, come già abbiamo esposto, sono stati individuati una serie di indicatori per monitorarne il livello di attuazione in ciascun Paese ed, in base a questo, riorientare le politiche e i programmi nazionali. Inoltre, le Nazioni Unite hanno costituito l’UNDG (United Nations Development Group), un gruppo ad hoc presieduto dall’Agenzia ONU che si occupa dei programmi di sviluppo (UNDP), con il compito di supervisionare tale processo. L’Obiettivo 2015 per eccellenza mira a dimezzare la povertà nel mondo, presupposto essenziale della pace. Ciò significa che a partire da quella data il numero 8 Fonte: http://millenniumcampaign.it; 16 di persone in condizioni di povertà estrema dovrà ridursi a circa 750.000.000, cifra che rimane comunque molto alta.9 1.6 Le sfide per il raggiungimento degli MDG A partire dalla Consenso di Monterry, di cui si parlerà meglio in seguito, donatori e Pvs hanno sottoscritto, come già sottolineato precedentemente, un impegno reciproco (mutual accountability) alla coerenza delle politiche per la riduzione della povertà. Questo impegno implica per i donatori non solo l’aumento delle risorse destinate alla cooperazione, ma anche un loro impiego più efficace, e il contemporaneo allineamento delle altre politiche, come quelle commerciali, migratorie e agricole, agli obiettivi dello sviluppo. Per quanto riguarda i paesi recettori, questi si impegnano a migliorare le politiche che hanno un impatto decisivo sullo sviluppo e le proprie istituzioni, in particolare a combattere la corruzione e a promuovere il buon governo. Fatta questa premessa, esamineremo ora le principali sfide che si trovano a fronteggiare Pvs e paesi donatori, e cercheremo di capire quali sono le condizioni necessarie affinché la cooperazione allo sviluppo possa contribuire al raggiungimento degli MDG. In particolare analizzeremo cinque sfide, legate fra loro, che sia donatori che paesi in via di sviluppo dovranno fronteggiare: I. FINANZIARE LO SVILUPPO In un contesto di timido aumento degli aiuti, una delle maggiori preoccupazioni presenti nella comunità internazionale, e in modo particolare nelle ONG, è l’effettiva capacità di assicurare le risorse finanziarie necessarie per il raggiungimento degli MDG. Si è quindi aperto un ampio dibattito sulla ricerca di modalità innovative di finanziamento dello sviluppo. Sono state avanzate proposte, soprattutto dalle ONG, di introdurre misure fiscali, quali tasse ambientali, aeroportuali, sui movimenti di capitale (la c.d. Tobin Tax10), sull’esportazione delle armi o dei beni di lusso che, tuttavia, hanno ricevuto un supporto limitato da parte dei governi. Altri ancora hanno suggerito di istituire una lotteria internazionale per finanziare il raggiungimento degli MDG. Il governo italiano ha proposto l’adozione della “de-tax”, che si basa su delle decisioni volontariamente assunte dai consumatori e dai circuiti della distribuzione commerciale, di destinare l’1% del valore degli acquisti al dettaglio per un progetto di cooperazione allo sviluppo, con un’esenzione su tale quota del pagamento di imposte dirette e indirette. Altri governi, come Francia e Regno Unito, hanno avanzato differenti proposte, come quella di istituire un meccanismo di finanziamento internazionale (International Financial Facility IFF), che prenderebbe a prestito, sui mercati internazionali dei capitali, le risorse necessarie per finanziare il raggiungimento degli MDG. Questo meccanismo è basato su un impegno vincolante di lungo termine dei governi donatori (non inferiore ai 15 anni)a fornire maggiori aiuti ai Pvs. La fattibilità delle proposte deve essere valutata non solo in termini tecnico economici, ma anche, e soprattutto, politici. E’ fondamentale un ampio supporto 9 Fonti: Guida del mondo: il mondo visto dal sud 2005/2006,EMI Editore; Per le informazioni relative al resto del paragrafo: “La cooperazione internazionale allo sviluppo”, Bonaglia, De Luca. 10 Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki: La Tobin Tax, dal nome del premio Nobel per l'economia James Tobin, che la propose nel 1972, è una tassa che prevede di colpire, in maniera modica, tutte le transazioni sui mercati valutari per stabilizzarli (penalizzando le speculazioni valutarie a breve termine), e contemporaneamente per procurare delle entrate da destinare alla comunità internazionale. 17 della comunità internazionale, poiché si agisca rapidamente e si mobiliti una quantità di risorse sufficienti. La scelta deve farsi in base alla capacità dell’iniziativa di generare risorse addizionali (che non sostituiscono i flussi di aiuti esistenti) e disponibili rapidamente. E’ necessario poi che la proposta sia credibile e garantisca un flusso di finanziamento stabile. Solo a queste condizioni, i governi dei paesi beneficiari avranno un incentivo ad attuare necessarie riforme e investimenti. Infine, è fondamentale che i fondi addizionali raccolti siano utilizzati in modo tale da massimizzare l’impatto sul raggiungimento degli MDG, vale a dire per migliorare le condizioni sanitarie, lottare contro le epidemie di AIDS, tubercolosi e malaria, e migliorare l’accesso e la qualità dell’istruzione. II. MIGLIORARE L’EFFICACIA DEGLI AIUTI Maggiori aiuti sono inutili se erogati in maniera inefficiente e se inseriti in un ambiente non “fertile”. Si è sviluppato, in particolar modo in questi ultimi anni, un intenso dialogo tra donatori e partner, per definire un nuovo modo di concepire, realizzare e valutare la cooperazione. E’ accertato che l’efficacia degli aiuti debba, e possa, essere aumentato. Già nel 1992, il DAC, nel documento “Principi per la valutazione degli aiuti allo sviluppo”, definì le linee guida per assicurare una maggiore efficacia degli aiuti. L’assistenza allo sviluppo è ivi definita come un esercizio di partenariato tra i donatori e i recipienti. Gli aiuti devono sostenere attività per le quali la responsabilità ultima è dei paesi beneficiari, e il successo dei progetti di cooperazione dipende dalle azioni sia del donatore che del paese beneficiario. Vi deve essere un interesse comune a identificare le priorità e a sviluppare valutazioni obiettive dei risultati, attraverso procedure trasparenti e aperte, che dovrebbero coinvolgere tanto il donatore quanto il beneficiario. Da un lato, ciascun donatore può aumentare l’efficienza degli aiuti, riducendo gli sprechi e i costi amministrativi legati alla gestione degli stessi. Questo significa allineare i propri interventi alle priorità identificate dal paese beneficiario, migliorare il coordinamento con gli altri donatori operanti nel paese, ridurre il ricorso agli aiuti legati e semplificare le proprie pratiche amministrative, così da ridurre gli oneri che gravano sulle amministrazioni dei paesi partner. Da parte loro, i paesi recettori, devono identificare chiaramente le priorità che gli aiuti sono chiamati a finanziare, migliorare la gestione e la trasparenza dei propri conti pubblici,e permettere così il monitoraggio dell’impiego delle risorse. Data la debolezza di molte amministrazioni nei Pvs, i donatori devono anche prestare una maggiore attenzione al rafforzamento delle capacità umane e istituzionali di questi paesi. III.AUMENTARE LA COERENZA DELLE POLITICHE Il raggiungimento degli MDG richiede tanto la mobilitazione di risorse importanti, quanto l’attuazione di un insieme di politiche adeguate, coerenti con l’obiettivo dello sviluppo, da parte sia dei Pvs che dei paesi industrializzati. Gli sforzi tesi ad aumentare gli aiuti e rendere la cooperazione più efficiente sono vani, se le politiche attuate dai governi donatori in altri settori non contribuiscono a determinare un quadro economico, politico e istituzionale favorevole allo sviluppo. Al contempo, quegli stessi sforzi sono utili solo se i paesi beneficiari si impegnano a creare le condizioni necessarie perché gli aiuti funzionino. I Pvs stanno avendo enormi margini di miglioramento in diverse e importanti aree di tipo economico e finanziario, in particolare grazie ai flussi di investimenti privati, che negli anni recenti sono stati dello stesso ordine di grandezza dell’APS, grazie alle rimesse degli emigrati e grazie ai frutti del commercio estero. I flussi di risorse addizionali così generati, contribuirebbero a finanziare il raggiungimento degli MDG. La possibilità di concretizzare queste opportunità dipende in gran parte dai Pvs stessi, dalla volontà dei loro governi di adottare politiche propizie alla crescita e alla capacità delle loro imprese di operare efficientemente. 18 Quella della coerenza è una delle sfide più importanti e difficili per i donatori, non da ultimo per l’oggettiva difficoltà a ricomporre interessi, talvolta divergenti, caratterizzanti le diverse aree d’azione del governo. Per questo motivo, alcuni paesi si sono dotati di linee di indirizzo, o addirittura quadri legislativi, per garantire la coerenza tra politiche di cooperazione, commerciali, industriali e migratorie. IV. RIDURRE LA VULNERABILITA’ DEI PVS La grande vulnerabilità ai disastri naturali, alle oscillazioni dei prezzi delle materie prime e allo scoppio di conflitti armati contribuisce a diminuire l’efficacia degli aiuti e di altre politiche nel sostenere la crescita e la riduzione della povertà. Le catastrofi e i conflitti colpiscono indistintamente la popolazione, ma tendono ad avere conseguenze più gravi e durature per le fasce più deboli. All’origine di questa vulnerabilità stanno spesso cause che i governi locali possono tentare di alleviare se non rimuovere, anche con l’aiuto dei donatori. La maggioranza dei paesi a basso reddito è ancora caratterizzata da una struttura produttiva estremamente fragile e concentrata, dipendente dall’esportazione di pochi prodotti, generalmente materie prime soggette a frequenti fluttuazioni di prezzo. In un simile contesto, la diversificazione dell’ economia è una priorità, che tra l’altro figura in maniera protuberante nelle strategie di sviluppo di molti Pvs e nei programmi di cooperazione dei donatori. Per quanto riguarda i primi, risulta indispensabile una buona capacità del governo di vincere la resistenza al cambiamento degli interessi costituiti e coordinare i diversi attori economici attorno ad una strategia comune per lo sviluppo di nuovi settori di attività. Essenziale appare inoltre un uso sapiente dei guadagni associati agli accordi commerciali preferenziali e agli eventuali boom dei prezzi dei prodotti esportati, per investire in educazione, infrastrutture e sostegno all’imprenditoria. Da parte loro, i paesi industrializzati, hanno sottoscritto, con la Dichiarazione di Doha, un impegno preciso a favorire la diversificazione delle esportazioni dei paesi meno avanzati, sia garantendo loro un migliore accesso ai propri mercati, sia attraverso interventi mirati di cooperazione tecnica. Una seconda vulnerabilità riguarda i disastri associati a calamità naturali, quali siccità, inondazioni e terremoti, le cui ripercussioni possono annientare anni di progressi. I Pvs sono particolarmente vulnerabili a disastri naturali, perché combinano un’elevata esposizione al rischio di calamità, dovuta al concentrarsi della maggior parte dei rischi naturali in certe zone climatiche, dove sono localizzati la maggior parte dei Pvs, con un’inadeguata capacità di prevenzione, di mitigazione delle conseguenze e di reazione. In altre parole, nei Pvs è più probabile che una certa calamità naturale si trasformi in un disastro, comportando elevati costi umani e monetari. Gli aiuti della comunità internazionale, orientati a ridurre la vulnerabilità di questi paesi e mitigare le conseguenze disastrose delle calamità naturali, possono contribuire sia alla prevenzione dei disastri, sia alla risposta, finanziando fondi per fronteggiare le situazioni di emergenza e favorire la ricostruzione. I paesi vulnerabili hanno invece la responsabilità di adottare politiche che minimizzino le conseguenze dei disastri, ad esempio in termini di pianificazione urbana e di politica territoriale, ma anche di libera circolazione dell’informazione. Infine, questi paesi sono particolarmente predisposti allo scoppio di conflitti armati, soprattutto interni. Tali conflitti, spesso sono causati dal perdurare di squilibri nelle opportunità di sviluppo per vari gruppi sociali, etnici o religiosi. Attorno a queste differenze si inaspriscono e radicalizzano contrasti latenti, relativi all’accesso alle risorse economiche. La tutela dei diritti e la promozione di un accesso più equo alle risorse è una condizione che tutti i Pvs dovranno necessariamente affrontare, per garantire la sostenibilità del proprio sviluppo. 19 Per quanto riguarda il ruolo che può giocare la comunità internazionale nella prevenzione dei conflitti, nella mitigazione delle loro conseguenze e nella restaurazione della pace, si può affermare che la prevenzione dei conflitti e la sicurezza diventano una delle priorità nelle strategie di riduzione della povertà. Le agenzie dei donatori sono chiamate a rafforzare il proprio impegno per la prevenzione dei conflitti, per la pacificazione (peace building) e il mantenimento della pace (peace keeping) nei paesi che fuoriescono da situazioni di conflitti violenti. Le agenzie di cooperazione devono costruire, assieme ai paesi partner, programmi di prevenzione sia a livello nazionale che regionale, a seconda della dimensione dei rischi. Insieme a programmi di rafforzamento delle istituzioni, di sostegno a processi di democratizzazione, di riconciliazione, di maggiore integrazione delle diverse comunità, oltre a quelli di carattere economico e sociale nelle aree più povere o vulnerabile, l’assistenza alla riforma dei sistemi di sicurezza dei Pvs è una delle priorità della comunità internazionale. V. SENSIBILIZZARE L’OPINIONE PUBBLICA E INVESTIRE NELL’EDUCAZIONE ALLO SVILUPPO Di questo aspetto abbiamo già parlato ampiamente nel primo paragrafo di questo capitolo. Una maggiore consapevolezza dell’opinione pubblica circa i problemi dello sviluppo e le priorità della cooperazione, è fondamentale, e non solo per accrescere le donazioni private, ma soprattutto per aumentare e migliorare la qualità del controllo dell’opinione pubblica sulle PCS dei paesi donatori. In tal senso, le agenzie di cooperazione sono chiamate a campagne di sensibilizzazione più efficaci, e a investire in maniera più decisa nell’educazione allo sviluppo nelle scuole.11 1.7 La cooperazione italiana L’Italia ha una lunga tradizione di cooperazione allo sviluppo, attraverso le sue numerose organizzazioni di volontariato. Nel 1933, con la creazione dell’Unione medico-missionaria italiana, nasce il primo organismo di volontariato internazionale italiano. Per quanto riguarda invece l’APS, questo è invece un fenomeno relativamente recente, che arriva a piena maturazione solo negli anni Ottanta. A partire dal 1980, infatti, si è assistito a una forte accelerazione della crescita dell’ APS italiano. Si possono individuare quattro fasi principali nell’ evoluzione, avvenuta negli ultimi cinquant’anni, della PCS. La prima fase, coincide grosso modo con gli anni Cinquanta e Sessanta ed è caratterizzata prevalentemente dall’estemporaneità di concrete azioni di cooperazione e dall’assenza di un disegno politico e normativo di fondo. La seconda fase, ha orientativamente inizio a partire dagli anni Settanta, con l’attribuzione al Ministero degli Affari Esteri (MAE) della responsabilità della cooperazione allo sviluppo (legge 1222 /1971, Cooperazione tecnica con i paesi in via di sviluppo). Questo nuovo slancio riflette, da un lato, le crescenti pressioni internazionali ad aumentare e migliorare l’impiego dei paesi industrializzati verso i Pvs, dall’altro, la pressione e le critiche delle organizzazioni del volontariato. In questi anni, l’azione italiana passa prevalentemente attraverso il canale multilaterale e si concentra sulla fornitura di assistenza tecnica, sul sostegno al bilancio dei Pvs e sui programmi di cooperazione con alcune università africane. Tuttavia, manca una visione e una gestione unitaria dei vari provvedimenti. 11 Fonte: F. Bonaglia-V. de Luca “La cooperazione internazionale allo sviluppo”. Il Mulino. 20 Con la legge 38/1979 si apre la terza fase, caratterizzata da una maggiore presa di coscienza da parte della classe politica e dell’opinione pubblica circa i problemi del sottosviluppo. A livello istituzionale si assiste alla razionalizzazione delle strutture operative, con la creazione del Dipartimento per la cooperazione in seno al MAE, e l’esplicita connessione della politica di cooperazione alla politica estera. In termini di strumenti, la cooperazione italiana si estende al di la della mera assistenza tecnica. Per la prima volta, si parla di cooperazione allo sviluppo definita come l’insieme delle iniziative pubbliche e private, tese a favorire il progresso economico, sociale, tecnico e culturale dei Pvs. Al contempo, il ruolo del volontariato viene stabilmente riconosciuto e valorizzato. Tuttavia, le risorse stanziate per la cooperazione restano inadeguate, causando ritardi di attuazione e problemi di funzionamento propri del nuovo impianto legislativo. Nella prima metà degli anni Ottanta ha inizio la quarta fase. Varie proposte di legge vengono dibattute in Parlamento con l’obiettivo di aumentare gli stanziamenti, rispettare i vari impegni presi dall’Italia e riformare i meccanismi per l’esborso dei fondi. Queste proposte porteranno alla legge 73/1985, che attribuisce poteri straordinari a un sottosegretario per gli Affari Esteri, cui fa capo il Fondo Aiuti Italiani (FAI). Il FAI è dotato di risorse importanti, e ha l’obiettivo di spenderle in un periodo limitato e su un nucleo di paesi caratterizzati da emergenza endemica. Nel 1987, alla scadenza della legge 73/1985, il Parlamento approva quasi all’unanimità la Nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i paesi in via di sviluppo (legge 49/1987), che tutt’oggi costituisce l’impianto normativo della cooperazione italiana. Come statuito nella legge 49, e ribadito nella Relazione previsionale e programmatica sull’attività di cooperazione di sviluppo resa al Parlamento, la cooperazione allo sviluppo dell’Italia è una componente della sua politica estera, che si realizza sia sul piano bilaterale che su quello multilaterale. Le finalità che il governo intende perseguire sono di diversa natura: ⇒ POLITICA: “gli aiuti mirano a rafforzare la stabilità dei Pvs, la cui situazione incide più direttamente sulla sicurezza dell’Italia”. ⇒ ECONOMICA: “Gli aiuti mirano a sostenere le riforme economiche e istituzionali che i governi dei Pvs adottano per risanare le loro economie. Obiettivo centrale della cooperazione italiana è la lotta alla povertà. ⇒ UMANITARIA: “L’Italia partecipa alle azioni di aiuto umanitario organizzate dalla comunità internazionale di fronte alle grandi emergenze causate da conflitti civili e interetnici, nonché dalle catastrofi naturali” Per quanto riguarda l’aspetto dell’erogazione degli aiuti, il nostro paese eroga aiuti prevalentemente attraverso il canale multilaterale. La preferenza per il multilaterale, da un lato, riflette la necessità di rispettare impegni presi in sede internazionale di sostegno al multilateralismo; dall’ altro consente minori costi di gestione. L’Italia è inoltre uno dei donatori che ha imboccato con maggiore decisione la strada della cancellazione del debito. Nel 2002 sono stati cancellati 985 milioni di dollari di debito a Pvs classificati come paesi meno avanzati, cui si devono aggiungere 548 milioni di debito convertito in progetti di cooperazione. Tuttavia, la cancellazione del debito, per quanto importante, non può essere una strategia di cooperazione duratura, poiché, per sua stessa natura, essa è destinata ad estinguersi nel corso di qualche anno. La sfida nei prossimi anni sarà, quindi, quella di aumentare considerevolmente l’APS con risorse finanziarie aggiuntive, sostanzialmente raddoppiando il livello attuale.12 12 Fonte: F. Bonaglia-V. de Luca “La cooperazione internazionale allo sviluppo”. Il Mulino 21 1.8 Gli attori della cooperazione italiana Una peculiarità italiana è la presenza significativa di regioni, province e comuni nella promozione e realizzazione di iniziative e progetti di cooperazione allo sviluppo. Un numero elevato di regioni ha adottato regolamentazioni proprie relative alla cooperazione allo sviluppo. Anche la Sardegna, ha emanato una legge ad hoc: la legge Regionale 11 aprile 1996, n° 1913, su Norme in materia di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e di collaborazione internazionale. Tale legge ha la finalità, come è chiaramente definito dall’Art 1, comma 1, “….di promuovere la cultura della pace e della solidarietà tra i popoli, specie nell’ambito della regione mediterranea…”, e a questo scopo, la Regione, “partecipa alle attività di cooperazione allo sviluppo ed ai progetti di collaborazione internazionale, in conformità ai principi contenuti nella legislazione statale nonché negli atti internazionali e comunitari in materia”. Secondo l’Art 3, intitolato Coordinamento e sostegno delle iniziative a livello regionale, al comma 1, “ La Regione cura la promozione, l’armonizzazione ed il coordinamento, a livello regionale, delle proposte di iniziativa avanzate dagli enti locali e da soggetti pubblici e privati, operanti sul territorio regionale nelle attività di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, assicurando nei rapporti con il Ministero degli Affari esteri il necessario raccordo amministrativo e informativo. La Regione partecipa altresì al cofinanziamento dei programmi comunitari con i Paesi in via di sviluppo”. Inoltre, la Regione Sardegna ogni anno bandisce diverse borse di studio, proprio per la realizzazione di tesi di laurea che approfondiscano questo tema, cercando di sensibilizzare in questo modo anche il mondo dell’Università sulle problematiche della cooperazione, e incoraggiando le ricerche in questo importante campo. A riguardo appare molto significativo l’Art.9 della suddetta legge, intitolato Borse di Studio, che al primo comma recita: "La Regione istituisce borse di studio in favore di giovani residenti nell’isola, o figli di emigrati sardi all’estero ovvero giovani provenienti da Paesi in via di sviluppo, iscritti in Università aventi sede nella Regione, che svolgano tesi di laurea finalizzate alla migliore conoscenza dei problemi della cooperazione allo sviluppo e della collaborazione internazionale o all’individuazione di possibili iniziative da attuarsi ai sensi della presente legge”. Occorre puntualizzare come il coinvolgimento degli enti locali, vada al di là del mero contributo finanziario, poiché si concretizza in un impegno nella promozione dei processi di sviluppo locale, di democratizzazione e di rafforzamento istituzionale nei Pvs attraverso, ad esempio, partenariati fra città o regioni. La cooperazione decentrata si pone ad un livello intermedio fra la cooperazione tra governi e quella non governativa, caratteristica che le conferisce un particolare valore aggiunto. Così come la cooperazione non governativa, la cooperazione decentrata interviene direttamente a livello delle comunità locali nei Pvs; inoltre è legittimata dal sostegno della cittadinanza che rappresenta e porta con sé un patrimonio unico di esperienza nella gestione dell’ amministrazione pubblica, che le consente di contribuire concretamente alla buona realizzazione dei processi di decentramento amministrativo e politico nei Pvs. Per quanto riguarda le ONG italiane, e la loro attività, la legge 49/1987 stabilisce che le ONG italiane, attive nella cooperazione internazionale allo sviluppo, possano ottenere un riconoscimento di idoneità, che consente loro di ottenere contributi per lo svolgimento di attività di cooperazione da loro promosse, in misura non superiore al 70% dell’ importo delle iniziative programmate. Nel 2004, le ONG riconosciute come idonee sono state 174. La legge prevede inoltre che queste ONG possano realizzare 13 Fonte: 20-4-1996 13– 613. - BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA – Parti I e II – N 22 programmi di cooperazione finanziati integralmente dalla DGCS (Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo). Le ONG idonee possono anche realizzare attività di informazione sulle problematiche dello sviluppo e della cooperazione, o di educazione allo sviluppo. Queste ultime consistono in programmi in ambito scolastico ed extrascolastico, tesi alla sensibilizzazione e alla formazione ed aggiornamento di formatori nel settore della cooperazione.14 Per quanto riguarda la Sardegna, sembra opportuno citare una importante ONG attiva nell’isola: l’Organismo Sardo di Volontariato Internazionale Cristiano (O.S.V.I.C.). L’Osvic è nato in Sardegna nel 1981. E’ una Organizzazione Non Governativa di ispirazione cristiana, non persegue scopi di lucro, fa parte della federazione nazionale “Volontari nel mondo Focsiv (Federazione Organismi Cristiani di Servizio Internazionale Volontario)”, e dal 1986 è riconosciuta idonea, dal Ministero degli Affari Esteri, a svolgere attività di informazione in Sardegna e a realizzare progetti di cooperazione, di volontariato internazionale e di promozione umana nei Paesi in via di sviluppo. Ha come finalità la sensibilizzazione dell’opinione pubblica ai problemi del sottosviluppo e la solidarietà tra i popoli tramite progetti di cooperazione. Su tutto il territorio sardo e in particolare nella provincia di Oristano, l’Osvic svolge una serie di attività: - giornate di formazione e informazione; - corsi di aggiornamento per docenti; - incontri con i giovani; -eventi, convegni e seminari internazionali; -corsi di lingua e cultura straniera; L’Organismo opera inoltre nei vari Sud del mondo essendo, infatti, un organismo di volontariato internazionale, unico per le sue caratteristiche in Sardegna. I progetti intrapresi nei Paesi in via di sviluppo, sulla base dei reali bisogni della popolazione, riguardano principalmente il settore della sanità, scolarizzazione dei bambini, alfabetizzazione degli adulti, risanamento ambientale, rifornimento idrico, agricoltura e allevamento, formazione professionale e animazione socio culturale. Ciascun progetto ha tra gli obiettivi principali la formazione del personale locale, al fine di acquisire le competenze adatte a raggiungere la piena indipendenza e la capacità di gestire l’intervento stesso15. Capitolo 2 Gli obiettivi internazionali per l’empowerment femminile 2.1 Il significato del termine empowerment La parola inglese empowerment deriva dal verbo to empower è viene generalmente tradotta in italiano con i seguenti significati: “conferire o attribuire poteri”, “mettere in grado di”, “dare autorità a”, “accrescere in potere”. “Empowerment” è un termine che coniuga in sé diverse connotazioni, reazioni e immagini. Da un lato, vengono in mente massicce dimostrazioni di partecipazione popolare che, nelle strade, esprimono un desiderio di cambiamento da parte di vasti strati della popolazione. Dall’altro, emerge una diffusa crescita dei fenomeni di risveglio di persone che cominciano a prendere decisioni e a compiere azioni, ad assumersi responsabilità, a prendere il controllo delle loro vite, a passare da uno stato di rassegnazione e sottomissione ad uno di partecipazione attiva. Non esiste in italiano 14 15 Fonte: F. Bonaglia-V. de Luca “La cooperazione internazionale allo sviluppo”. Il Mulino Fonte: www.osvic.it 23 una unica parola che possa tradurre questo termine inglese, anche per la complessità semantica che il concetto stesso intende esprimere. Pertanto i diversi dizionari italiani forniscono anche traduzioni non sempre sovrapponibili, privilegiando di volta in volta ora uno e ora un altro aspetto di questa complessità semantica. Tale concetto proviene dagli studi di politologia rivolti all’analisi di quei gruppi e movimenti statunitensi impegnati, tra gli anni ’50 e ’60, in azioni rivolte a tutelare i diritti civili e sociali delle minoranze e a garantire un equilibrio nella rappresentanza dei diversi gruppi sociali portatori di specifici interessi. Il termine “empowerment”, è infatti una parola che ha forti connotazioni politiche, derivanti proprio dalla sua radice, il termine “potere”. D’altra parte, il suo uso attuale comprende anche aspetti economici, sociali e culturali. Si parla non soltanto di assunzione di potere politico, ma anche di assunzione di potere in campo economico e socioculturale. Fin dagli anni ’70, il lavoro di molte organizzazioni popolari (OP) e non governative (ONG), si è sempre più caratterizzato per un numero crescente di obiettivi relativi all’assunzione di qualche potere, anche se, come già enunciato, di tale termine potevano essere date definizioni molto ampie. La parola in sé, inoltre, poteva anche essere trovata nel vocabolario utilizzato da organizzazioni governative e multilaterali, che avevano “cooptato” il termine non solo nei loro programmi e progetti, ma anche nei loro scopi e obiettivi. La parola empowerment presenta un duplice significato; • Da un lato, si riferisce al percorso compiuto da un soggetto per raggiungere un determinato risultato e, quindi, per avere certi poteri o essere messo in grado di svolgere determinati compiti e di superare determinate condizioni di impotenza e di passività. • Dall’altro, ha attinenze con lo stato empowered raggiunto dal soggetto e, pertanto, col risultato ottenuto, che è quello di essere maggiormente assertivo, più fiducioso in sé stesso e sulle proprie capacità, in grado di godere di una dignità personale così come di spazi di autonomia e di libertà e del riconoscimento del rispetto per sé e per gli altri. Complessivamente il concetto espresso dal termine empowerment può essere riferito alla possibilità che i singoli o i gruppi accrescano il proprio potenziale e, quindi, la possibilità di controllare attivamente e responsabilmente la propria vita. Nell’insieme, le azioni e gli interventi centrati sull’empowerment mirano a rafforzare il potere di scegliere dei singoli, migliorandone le competenze e le conoscenze in un’ottica sia di carattere terapeutico - riparativo sia di carattere politico emancipatorio. Due sono, pertanto, le caratteristiche essenziali legate ad un approccio fondato sull’empowerment: -consentire una crescita costante, progressiva e consapevole delle potenzialità degli esseri umani, accompagnata da una corrispondente crescita di autonomia ed assunzione di responsabilità; -tendere ad aumentare il senso del potere personale del soggetto, la sua capacità di leggere la realtà che lo circonda, di cogliere occasioni favorevoli ed opportunità. Diversi sono gli ambiti in cui si può sviluppare un approccio o un intervento improntato all’empowerment. La parola,così come viene usata dai teorici dello sviluppo e del personale operativo, in particolare da quelli impegnati nelle organizzazioni non governative e popolari, viene definita come “un processo attraverso il quale gruppi di persone diventano coscienti delle cause della loro povertà o del loro sfruttamento e quindi si organizzano per usare le loro capacità, energie e risorse collettive per modificare la loro situazione. E’ quindi una dinamica interna al gruppo che emerge come risultato della coscienza che il gruppo acquisisce di sè stesso e delle esperienze 24 fatte nell’affrontare i problemi”16 . Secondo Thomas-Slayter (1995), “l’empowerment designerebbe quel fenomeno secondo il quale le persone sono in grado di organizzare e di influire sul cambiamento, in base alle loro possibilità di accedere alle conoscenze, ai processi politici e finanziari, alle risorse sociali e naturali. Avviare una “assunzione di potere” da parte delle persone significa quindi trovare i modi di mobilitare le risorse locali, di impegnare diversi gruppi sociali in processi decisionali, individuare delle strategie volte ad eliminare la povertà e costruire consenso e credibilità”. Le organizzazioni popolari e quelle di base danno alla parola “empowerment” una forte connotazione politica. Essa significa spesso, per le organizzazioni popolari, cambiamento sociale, modifica delle strutture che costituiscono degli ostacoli al cambiamento. Anche quando le organizzazioni popolari lavorano per un’assunzione di potere in termini economici, esse mirano alla trasformazione e non alla pura e semplice accettazione delle strutture e dei sistemi, ostacoli che impediscono loro di ottenere un potere economico e politico. Le organizzazioni non governative, in particolare quelle che operano per lo sviluppo e che sostengono realmente le iniziative delle organizzazioni popolari, hanno anch’esse un’ analoga definizione di “empowerment”. Questa parola può inoltre essere percepita sia come mezzo che come fine. L’assunzione di potere da parte delle popolazioni è essenziale per sostenere le istituzioni democratiche e la stessa democrazia. A sua volta, una democrazia rappresenta l’ambiente adatto a rendere possibile e permettere l’emergere e la continuazione dei processi di acquisizione dei poteri17. Vista queste premesse, possiamo quindi, considerare l’empowerment un processo destinato a modificare le relazioni di potere nei diversi contesti del vivere sociale e personale; Questo processo, infatti, può essere sviluppato sulle persone, sui gruppi, sulle associazioni, sulle comunità. Esso comporta un cambiamento bidirezionale chiamando in causa sia le persone che posseggono poco o non posseggono nessuna forma di potere, sia le persone che posseggono potere e autorità nei sistemi sociali, culturali, politici, economici, istituzionali. L’empowerment esige che le persone senza o con scarso potere vengano ascoltate, che le loro conoscenze ed esperienze vengano riconosciute; che le loro aspirazioni, i loro bisogni, le loro opinioni e i loro obiettivi siano presi in considerazione; che possano partecipare ad un processo di presa di decisione.18 2.2 Il terzo obiettivo del Millennio Il terzo Obiettivo del Millennio si interessa di promuovere l’Eguaglianza tra i sessi e l’empowerment delle donne. E’ importante osservare come le donne abbiano un’influenza enorme sul benessere delle famiglie e delle società. Tuttavia, il loro potenziale non si realizza pienamente a causa di norme sociali ed economiche che le discriminano, e di ostacoli giuridici. La tutela della parità di genere e la promozione della donna è un obiettivo chiave della Dichiarazione del Millennio, in quanto le donne sono attori fondamentali dello sviluppo e moltiplicatori della produttività. In quasi tutte le società, la donna è la prima o l’unica ad assistere familiari e parenti in difficoltà e l’istruzione della donna contribuisce in misura maggiore rispetto a quella dell’uomo alla salute e all’educazione delle generazioni successive, specialmente se ad esse è affidato un ruolo significativo nei processi decisionali della famiglia. Una donna più istruita e che gode di migliori condizioni di salute contribuisce maggiormente all’aumento della produttività e del reddito familiare. Statisticamente, le donne più 16 17 18 Fonte: IRED, 1992 Fonte: “Il potere delle escluse”, Christina Liamzon, Annette Krauss e Karl Osner – PRIA, EMI. Fonte: www.pariopportunità.gov.it 25 istruite hanno un numero minore di figli, contribuendo, quindi, ad accelerare il processo di diminuzione dei tassi di natalità, e la loro prole è più sana. Anche se lo status delle donne è migliorato negli ultimi decenni, le disuguaglianze di genere sono ancora diffuse: con i ritmi correnti, l’uguaglianza di genere nell’ istruzione non sarà ottenuta fino al 2025, vent’anni dopo l’obiettivo fissato dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Tra le donne (15-24 anni) nei paesi in via di sviluppo, il tasso di alfabetizzazione è del 60%; per gli uomini (15-24 anni) è invece dell’80%. Più donne che uomini sono afflitte dal virus HIV/AIDS. Appare poi importante aprire una parentesi e approfondire la problematica sociale delle c.d. “donne perdute”. Molti paesi in via di sviluppo hanno milioni di donne “perdute”, morte a causa di infanticidi e discriminazioni sistematiche. Per quanto riguarda la Cina, il fenomeno della selezione sessuale prenatale è abbastanza noto e diffuso, e ha avuto origine in particolare con la scoperta e l’introduzione dell’ ecografia, che ha provocato un elevato incremento dell’aborto selettivo sessuale. Un gruppo di Ricercatori cinesi, mostrano in un loro articolo, come il rapporto tra i sessi alla nascita in Cina crebbe sostanzialmente negli anni ’80. Secondo le statistiche dei paesi sviluppati, che comprendono dati perfettamente attendibili che ricoprono gli ultimi 200 anni, infatti, un veritiero rapporto di sessi alla nascita è biologicamente stabile intorno ai 106 nati maschi per 100 nate femmine, in assenza di interferenze sociali e comportamentali19, quali selezione sessuale indotta tramite l’aborto selettivo e l’infanticidio selettivo. L’articolo di questi studiosi analizza dunque il recente incremento del rapporto tra i sessi alla nascita in Cina. Il rapporto tra i sessi alla nascita in Cina, per 100 nati, è stato molto vicino a quello stimato dalle statistiche dei paesi sviluppati (100 nate femmine per 106 nati maschi) per tutti gli anni ’60 e ’70 del 1900. Questo equilibrio è andato via via dissolvendosi intorno agli anni Ottanta, ed è andato sempre peggiorando, probabilmente a causa della Pianificazione familiare messa in atto dallo Stato cinese in quel periodo, che ha fatto si che, per diverse ragioni - culturali, religiose e non solo- , le famiglie accogliessero con entusiasmo la nascita di un maschio e cercassero di evitare la nascita o sopravvivenza delle femmine. Questo avveniva inizialmente con l’infanticidio selettivo, e dopo la scoperta dell’ecografia, che permette di individuare il sesso del futuro nascituro, tramite l’aborto selettivo: secondo il censimento del 1982, i nati maschi erano 108.5 contro 100 nate femmine, secondo un sondaggio del 1987, era di 110.9 nati maschi su 100 nate femmine, mentre nel 1989 era di 111 nati maschi su 100 nate femmine. Questo disastroso fenomeno è stato ripreso anche in una ricerca svolta nel 2000 nella Cina rurale, da Chu Junhong, Professore Associato dell’Istituto di Ricerca sulla popolazione dell’Università di Pechino, sulla base di dati raccolti in seguito ad una indagine su 820 donne coniugate, tra i 20 e i 24 anni,e una approfondita intervista con donne e uomini appartenenti al mondo contadino, capi villaggio, responsabili di pianificazioni familiari e operatori sanitari, secondo la quale la determinazione prenatale del sesso sarebbe una pratica molto diffusa, sia per le prime che per le successive gravidanze, in particolare se nello stesso nucleo familiare ci sono gia state nascite di bambine20. 19 Il rapporto di sessi alla nascita è il numero di nati maschi per 100 nate femmine conteggiato in un sondaggio, un censimento o una registrazione civile. In assenza di selezione sessuale, aborto selettivo e infanticidio selettivo, questo rapporto dovrebbe essere uguale a 100 nate femmine su 106 nati maschi. 20 Fonti: Chu Junhong, Prenatal Sex Determination and Sex-Selective Abortion in Rural Cental China, Population and Development Review 27 (2), 259-281, 2001; Zeng Yi, Tu Ping, Gu Baochang, Xu Yi, Li Bohua, Li Yongpiing, Population and Development Review, Vol. 19, N°2, pp. 283-302, Jun 1993; 26 Chiusa questa parentesi, per quanto riguarda poi il mondo politico, nel mondo, le donne occupano solo il 14% dei seggi parlamentari (raggiungono il 30% solo in sette paesi). Il traguardo: ELIMINARE LA DISUGUAGLIANZA DI GENERE NELL’ISTRUZIONE PRIMARIA E SECONDARIA PREFERIBILMENTE ENTRO IL 2005 E A TUTTI I LIVELLI DI ISTRUZIONE ENTRO IL 2015. Come intervenire? Promuovere pari opportunità e maggiore influenza per le donne in tutti i diversi aspetti è un obiettivo fondamentale della Dichiarazione del Millennio, anche se l’eliminazione delle disuguaglianze nelle scuole elementari è l’unica meta esplicitata. Intervenire tramite l’educazione e l’istruzione femminile. L’educazione contribuisce infatti a migliorare le condizioni di salute. Migliori condizioni di educazione e salute contribuiscono ad aumentare la produttività e la crescita economica. Ed è questa crescita che genera le risorse per poter finanziare l’istruzione e la sanità, che a loro volta contribuiranno ad incrementare la produttività. Donne maggiormente istruite e sane hanno una più alta produttività – per esempio adottando innovazioni nelle pratiche agricole – e quindi aumentano il reddito familiare. Come accennato sopra, i dati mostrano che le ragazze che ricevono un’istruzione, nel tempo, hanno meno figli, e che questi sono più sani, accelerando quindi la transizione verso tassi di natalità più contenuti. Inoltre, sono le donne a svolgere le funzioni fondamentali di assistenza nella maggior parte della società. La loro educazione contribuisce quindi alla salute e all’educazione delle generazioni future più di quella degli uomini, e questo è tanto più vero quando l’opinione delle donne conta nel prendere le decisioni familiari. Questi processi positivi, infatti, hanno tanta più forza quanto più le donne sono in grado di agire collettivamente e reclamare maggiori diritti (all’istruzione, alle cure sanitarie, a pari opportunità lavorative), rendendo quindi più probabili queste sinergie virtuose. Oltre all’istruzione, è inoltre necessario promuovere azioni volte a creare più opportunità lavorative per le donne e ad aumentare il numero delle donne nei parlamenti, oltre che ad incrementare la loro visibilità in posizione di autorità decisionali21. Gli obbiettivi del Millennio sono, dal punto di vista della promozione dell’empowerment femminile, l’esito di un lungo processo di riflessione e mobilitazione scandito da una serie di importanti conferenze internazionali che, a partire dagli anni Settanta si sono svolte in diverse parti del mondo, con importanti accelerazioni negli anni Novanta. 2.3 Le Conferenze “Le nazioni devono prendere misure per rendere le donne più consapevoli della loro forza e potenzialità e per eliminare le disuguaglianze fra uomini e donne…in particolare:…abolendo tutte le pratiche di discriminazione contro le donne; aiutando le donne ad affermare e realizzare i propri diritti, compresi quelli relativi alla salute sessuale e riproduttiva;…eliminando la violenza contro le donne; eliminando le pratiche discriminatorie contro le donne messe in atto dai datori di lavoro, ad esempio quelle basate sulla richiesta di fornire documentazione sul proprio uso di anticoncezionali o sulla propria condizione di gravidanza;…rendendo possibile, tramite leggi, regolamenti e altre misure adeguate, la conciliazione tra il ruolo materno – gravidanza, allattamento e allevamento dei figli – e la partecipazione al mondo del lavoro. -Programma di azione del Cairo, par. 4.4 21 Fonti: “Un mondo possibile”, rivista n° 7, settembre 2005, VIS; http://millenniumcampaign.it; Guida del mondo: il mondo visto dal sud 2005/2006, EMI 27 Quello degli anni ’90 è stato un decennio che ha rivestito una particolare importanza per questo importante tema, poiché sono state poste al centro del dibattito nazionale ed internazionale sui diritti umani e lo sviluppo umano, le questioni della salute e dei diritti riproduttivi, della violenza contro le donne e della responsabilità maschile nei rapporti di potere fra i sessi. Le grandi conferenze sulla popolazione organizzate dalle Nazioni Unite nel corso della seconda metà del 1900, anche se con uno spirito differente, si sono tutte preoccupate della condizione delle donne. La conferenza sulla popolazione di Bucarest del 1974, aveva stabilito una correlazione fra il miglioramento della condizione femminile e le strategie di controllo della fecondità. Dieci anni dopo, nel 1984, quella del Messico fece del miglioramento della condizione delle donne un fine in sé. In seguito poi, la Conferenza mondiale sui diritti umani (Vienna, 1993), la Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo (Cairo, 1994) e la quarta Conferenza mondiale sulle donne (Pechino, 1995), hanno svolto un ruolo centrale nella modifica dei paradigmi che regolano le politiche sulla popolazione. Per quanto concerne la Conferenza del Cairo, proprio in questa occasione i governi del mondo hanno raggiunto un accordo in cui si afferma il comune impegno a promuovere e tutelare il pieno esercizio dei diritti umani da parte di tutte le donne e in tutte le fasi del loro ciclo di vita. Si è inoltre concordato di intervenire per dare maggiore potere decisionale alle donne e rendere paritario il lavoro con l’ altro sesso sul piano giuridico, economico e nella vita familiare. Nel Programma d’Azione adottato dal Cairo, le due dimensioni della relazione tra la condizione delle donne e sviluppo – benessere generale ed immediato e condizione del cambiamento demografico – sono state giudicate complementari. L’uguale partecipazione alla vita politica, la promozione dell’educazione, la formazione e l’ impiego, l’alleggerimento dei carichi di vita quotidiana, sono dunque considerati come altrettanti obiettivi importanti. Inoltre, il Programma d’Azione del Cairo contiene, per la prima volta in un importante documento internazionale sulle politiche della popolazione, un intero capitolo dettagliato (il Capitolo IV) sull’empowerment delle donne e l’uguaglianza fra i sessi. Esso afferma che: “…migliorare la condizione delle donne porta anche ad un innalzamento della loro capacità decisionale a tutti i livelli, in tutte le sfere della vita, in particolare in materia di sessualità e riproduzione”. L’eguaglianza fra i sessi e l’empowerment delle donne sono temi centrali nella visione elaborata alla Conferenza del Cairo. Gli obiettivi del Programma d’Azione in materia di salute sessuale e riproduttiva, nonché di diritti riproduttivi, sono strettamente legati agli obiettivi in materia di empowerment delle donne ed eguaglianza fra i sessi: gli uni danno maggiore forza agli altri e viceversa. La Conferenza del Cairo ha stabilito un nuovo importante impegno nel formulare l’obiettivo di “…promuovere l’uguaglianza fra i sessi in tutti i campi, compresa la vita familiare e della comunità, e incentivare e rendere possibile agli uomini un’assunzione di responsabilità per i propri comportamenti nella vita sessuale e riproduttiva, nonché per il proprio ruolo sociale e familiare” (par. 4.25). Il Programma d’Azione del Cairo chiede anche a tutti i paesi di “assumere tutte le iniziative necessarie” per eliminare lo sfruttamento, gli abusi, le molestie e la violenza contro le donne, gli/le adolescenti, l’infanzia (par. 4.9); chiede agli uomini di condividere le responsabilità legate al ruolo di genitori, valorizzando allo stesso modo i figli di entrambi i sessi, provvedendo alla loro formazione e alla prevenzione di ogni violenza nei loro confronti; e sollecita azioni che garantiscano che anche gli uomini, così come le donne, assumano comportamenti responsabili in materia di sessualità e riproduzione (par 4.27). Nel 1999 la Sessione speciale dell’Assemblea Generale dell’ONU che ha verificato l’attuazione del Programma d’Azione del Cairo, ha ribadito 28 l’esigenza di raddoppiare gli sforzi per superare le disuguaglianze tra i sessi, anche tramite l’eliminazione delle pratiche tradizionali nocive, e di tutti gli atteggiamenti e pratiche discriminatorie nei confronti di donne e bambine. L’Assemblea generale ha chiesto all’opinione pubblica mondiale di praticare la “tolleranza zero” verso fenomeni molto diffusi nei paesi in via di sviluppo, quali la preferenza per i figli maschi, le disuguaglianze fra figli maschi e femmine in termini di valore loro attribuito e di attenzioni loro dedicate, e tutte le forme di violenza nei confronti delle donne – comprese le mutilazioni dei genitali femminili, lo stupro, l’incesto, la violenza sessuale e la tratta. L’Assemblea ha chiesto ai governi di adottare modifiche legislative, e di incentivare il cambiamento a livello sociale, culturale ed economico. Per quanto riguarda invece la Piattaforma di Pechino, del 1995, in questa Conferenza il concetto e il processo di empowerment hanno assunto un ruolo particolarmente significativo. Da quel momento empowerment, insieme ad altre, è diventata una parola d’ordine attraverso la quale promuovere ed implementare le politiche di parità e di pari opportunità tra donne e uomini. In particolare, per le donne, si tratta di intervenire in favore : - dell’accrescimento della propria autostima; - della valorizzazione delle proprie conoscenze, competenze ed abilità; - dello sviluppo delle capacità e delle possibilità di decidere, di essere autonome, di avere voce in capitolo nella famiglia, nella società, nella politica; - della possibilità di accedere e di permanere nei centri decisionali della società, della politica, dell’economia. Tutto questo, inevitabilmente, è uno strumento per realizzare uno sviluppo più equo, una politica più democratica, una società più libera e solidale, se pensiamo, in particolare, che “la maggiore attribuzione di poteri e di responsabilità” alle donne deve avvenire non dall’alto, ma attraverso la valorizzazione delle esperienze e delle competenze che le donne stesse costruiscono22. Queste idee, che trovano fondamento nel concetto di parità tra i generi e nella necessità della promozione della pianificazione familiare, sono tuttavia relativamente recenti. Infatti, come abbiamo gia visto è stato necessario attendere il 1994 e la Conferenza Internazionale della popolazione del Cairo, perché la maggior parte dei paesi in via di sviluppo, dopo avere accettato la tesi che lo sviluppo economico non sarebbe stato possibile di fronte al rapido accrescimento della popolazione, fosse concorde con il Piano di Intervento. Solo da allora, le problematiche della popolazione, della fecondità e dello sviluppo umano sono state poste nei termini di diritti umani. Tuttavia, ciò che più è importante non è tanto l’affermazione a “parole” di tale concetto, bensì il suo accoglimento nella legislazione di ogni stato, nonché la sua applicazione. Consideriamo ora il contesto dell’Africa Sub-Sahariana in generale dove donne adulte e adolescenti non differiscono di molto in quanto a mancanza di controllo nella sfera sessuale e riproduttiva a causa del perdurare di tradizioni che vedono il maschio (marito, padre, fratello che sia), prendere le decisioni anziché la donna. Osservando poi in particolare il periodo dell’adolescenza il discorso si ricollega al ruolo svolto dell’istruzione e dai programmi governativi di pianificazione familiare, a cui dobbiamo aggiungere quello delle Organizzazioni Non Governative (ONG), la cui funzione è fondamentale, non solo perché la diffusione dell’istruzione è ancora, nel complesso, limitata ma, soprattutto perché sono presenti sul campo, a stretto contatto con la popolazione. È evidente che senza politiche di appoggio e leggi specifiche, ogni iniziativa sia destinata ad avere scarso successo. Per questo motivo è necessario che la leadership politica intervenga con programmi che consentano alla popolazione 22 Fonte: www.pariopportunità.gov.it 29 l’esercizio dei propri diritti e che questi, per le più giovani, si esplichino nel diritto all’istruzione e alla salute23. Oggi, vari studi, sostengono che la promozione dell’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne siano strettamente connesse al tema dello sviluppo, e costituiscano la chiave per il miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie in tutte le società. La Banca Mondiale, nella relazione del 2005 in merito a questo tema, ha affermato che il livellamento della disparità di genere aumenterebbe il reddito nazionale pro capite. Quanto più accelerato il raggiungimento dell’uguaglianza di genere, tanto più rapida potrebbe essere la crescita economica. Tale correlazione a livello economico è largamente ampliata nel messaggio di Kofi Annan per la Giornata Internazionale della Donna 2005: “Studio dopo studio”, scrive l’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, “si è comprovato che non c’è altro strumento per rendere lo sviluppo più effettivo al di fuori del potenziamento delle donne. Nessun’altra politica ha maggiore probabilità di innalzare la produttività economica o di ridurre la mortalità infantile e materna. Nessun’altra politica è così sicura di migliorare l’alimentazione e promuovere la salute, inclusa la prevenzione dell’HIV/AIDS. Nessun’altra politica è così potente per incrementare le opportunità per l’educazione della prossima generazione. E oserei dire che nessuna politica è più importante nella prevenzione del conflitto o nel perseguimento della riconciliazione dopo la cessazione del conflitto”. E’ importante dunque lavorare per un’effettivo potenziamento del ruolo delle donne, affinché queste indicazioni non rimangano solo a livello di enunciati, ma siano socialmente promosse ed accettate. Lo stato delle donne nel mondo, infatti, dimostra che l’uguaglianza di genere rimane tuttora un ideale molto lontano. Questo si manifesta nelle multiformi discriminazioni della donna oggi diffuse in tutte le società. E’ essenziale chiarire come la “promozione dell’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne” non possa rimanere un obiettivo a sé stante. Attivisti e organizzazioni femminili in quasi tutti i paesi ritengono che questo obiettivo, sebbene di per sé valido, dovrebbe essere incluso nella fase di definizione delle strategie di policy anche per tutti gli altri obiettivi. La sua natura strategica richiede che esso venga assunto come una prospettiva che interessa trasversalmente tutti gli obiettivi. Tale necessità deriva non solo dal fatto che tutti gli obiettivi sono fortemente legati a situazioni che colpiscono principalmente le donne, ma anche e soprattutto perché al fine del loro effettivo raggiungimento, le donne si presentano come le migliori risorse su cui far leva. Per esempio, per sradicare la povertà estrema,non è sufficiente contare il numero di persone che ne sono colpite, ma si dovrebbe analizzare la grande vulnerabilità delle donne in quel determinato gruppo di popolazione, così come il loro accesso differenziato a servizi fondamentali, tra cui alloggio, sanità o istruzione. Riguardo al lavoro invece, non è sufficiente prendere in considerazione solo l’ impatto della disoccupazione su uomini e donne, ma anche le cause alla radice che chiariscono la disparità nelle opportunità di lavoro, come il gravoso onere delle responsabilità domestiche o le discriminazioni che impediscono alle donne di essere promosse a posizioni più elevate e meglio retribuite24. Quali sono stati i risultati finora raggiunti in seguito a queste iniziative internazionali? Sono stati compiuti molti passi avanti nella realizzazione di questi obiettivi, ma l’andamento è stato disuguale e le sfide aperte sono ancora molte. Dal Global Survey 2003 dell’UNFPA sui passi avanti compiuti da ciascun paese emerge un quadro molto disomogeneo. Alcuni paesi hanno adottato leggi e politiche nuove, ma molto di meno è stato fatto in termini di loro traduzione in programmi concreti, realizzazione e verifica. 23 24 Fonte: http://gsp.stat.unipd.it Fonte: Un mondo possibile”, rivista n° 7, settembre 2005, VIS 30 Nonostante ciò, si registrano comunque alcuni passi importanti, ad esempio: • In Messico, il Programma per la salute delle donne gestito dal Ministero della sanità prevede la formazione degli operatori sanitari sulla promozione dell’eguaglianza fra i sessi, ciascuno nel proprio specifico ambito; • In Indonesia vengono applicate le linee guida del Presidente sull’integrazione delle tematiche di genere nelle politiche nazionali per lo sviluppo, tramite gruppi di intervento regionali e provinciali composti da personale pubblico, ricercatori e ONG locali; • L’Iran ha istituito centri specifici tramite i quali il personale femminile di pubblica sicurezza fornisce assistenza alle donne vittime di violenza, nonché servizi di prevenzione e sostegno psicologico, comprese le linee telefoniche di emergenza; • In India, nonostante il persistere della disuguaglianza fra i sessi in materia di istruzione, dai dati del Censimento 2001, risulta ridotto il divario fra il tasso di alfabetizzazione dei maschi e delle femmine proprio in alcuni degli stati dove tradizionalmente il gap era maggiore. Sono inoltre in corso tentativi innovativi per incentivare la frequenza scolastica delle femmine: nello stato di Haryana, ad esempio, è stato istituito un servizio di accompagnamento lungo il tragitto, per ridurre le preoccupazioni della famiglia su possibili rischi per la sicurezza delle ragazze. Il Global Survey 2003 dell’UNFPA fornisce un utile quadro di valutazione su quanto è stato fatto in materia di eguaglianza fra i sessi e empowerment delle donne. Lo studio analizza cinque gruppi di misure, in materia di: - Tutela dei diritti e empowerment di donne e bambine; - Lotta alla violenza di genere, in particolare contro donne e bambine; - Miglioramento dell’accesso all’istruzione primaria e secondaria, e lotta contro la disuguaglianza fra i sessi nella formazione; - Lavoro con ragazzi e uomini per promuovere atteggiamenti favorevoli all’eguaglianza fra i sessi, all’empowerment e ai diritti delle donne; - Promozione di un’assunzione di responsabilità da parte dei maschi nei confronti della propria salute riproduttiva e di quella della loro partner; Già a partire dalla Conferenza del Cairo, molti paesi hanno adottato nuove leggi o emendato la legislazione in vigore per promuovere l’eguaglianza fra i sessi, eliminare tutte le forme di discriminazione in base al sesso, prevenire la violenza di genere e punire più severamente coloro che la esercitano. Fra i paesi che hanno adottato leggi che vietano la discriminazione in base al sesso troviamo Malta, il Messico e le Mauritius (queste ultime con una legge che garantisce alle donne la parità di diritti in tutti i casi, indipendentemente da condizioni quali la gravidanza o lo status coniugale). La Colombia e la Slovenia hanno adottato leggi per promuovere le pari opportunità fra uomini e donne, mentre in Costa Rica è stato approvato un decreto che mira a migliorare le condizioni di vita e le opportunità per le donne povere. Alcuni testi costituzionali adottati o emendati negli ultimi anni contengono norme rilevanti in materia di eguaglianza fra i sessi. La Costituzione varata dal Bahrein nel 2002, ad esempio, pur prendendo atto che la Shari’a rappresenta la principale fonte del diritto, afferma il principio dell’eguaglianza fra donne e uomini sia in politica che nella sfera economica, sociale e culturale. La Costituzione cubana del 2002 afferma che i coniugi hanno pari diritti e doveri, mentre la costituzione post-indipendenza di Timor Est afferma che uomini e donne hanno pari diritti nel matrimonio, nella famiglia e nella vita sociale, politica ed economica. 31 Anche la Costituzione ruandese del 2003 garantisce eguali diritti dei coniugi nel matrimonio e nel divorzio, vieta la discriminazione in base al sesso e istituisce una Commissione nazionale sui diritti umani e un Consiglio nazionale delle donne. Sono inoltre costituzionalmente garantiti il diritto di donne e uomini all’elettorato attivo e passivo, il diritto all’istruzione ed il principio che ad eguale lavoro deve corrispondere un eguale salario. Nel 2002, inoltre, è stata emendata la Costituzione del Togo introducendo la garanzia dell’eguaglianza fra i sessi di fronte alla legge e nei rapporti di lavoro. In Azerbaigian nel 2000 un decreto presidenziale ha invitato il governo a garantire che le riforme in corso prevedano pari opportunità per donne e uomini e una eguale rappresentanza all’interno della Pubblica Amministrazione, invitando inoltre a nominare un/a responsabile delle politiche di genere in ogni distretto. E’ comunque importante sottolineare anche che, se la maggior parte dei governi afferma di riconoscere quanto sia importante l’equità di genere e l’empowerment delle donne, molti trovano difficile lavorare con le donne a livello territoriale. Spesso è dunque l’associazionismo femminile il soggetto che realizza concretamente i programmi in paesi come la Giamaica, la Malesia e il Mozambico. Le ONG si dimostrano spesso più efficaci nel lavoro con le vittime della violenza di genere, perché vengono vissute come più capaci di empatia e di loro ci si fida più facilmente. E’ affidata alle ONG anche la formazione del personale di polizia, dei giudici e di altri soggetti sulla gestione del rapporto con le vittime della violenza di genere quando chiedono aiuto. Nel 2003 il Dipartimento sulle tematiche di genere e la salute delle donne dell’OMS ha diffuso un’analisi del modo in cui un approccio di genere può incrementare l’efficacia dell’impegno per realizzare gli Obiettivi del Millennio in materia di salute, in particolare l’ Obiettivo 3. Le raccomandazioni dell’OMS propongono, tra l’altro, di analizzare attentamente l’impatto della preferenza per i figli maschi piuttosto che per le bambine e le donne sull’accesso all’assistenza sanitaria e sulla quantità di sostanze nutritive assunte; ridurre i carichi di lavoro delle donne e delle bambine; affrontare la crescente femminilizzazione della pandemia di HIV/AIDS, dovuta a pratiche tradizionali sessiste ed agli errori di impostazione dei programmi di intervento; occuparsi dell’impatto che ha la differenza di genere sull’incidenza della malaria e della tubercolosi. Per ridurre l’inquinamento atmosferico degli ambienti interni, che colpisce in modo particolare le donne e le bambine, l’OMS considera prioritario fornire combustibili più puliti per l’illuminazione e la cottura dei cibi. L’Obiettivo del Millennio, quello di “Promuovere l’eguaglianza fra i sessi e l’empowerment delle donne”, riflette gli obiettivi della Conferenza del Cairo. Il principale indicatore utilizzato per misurare i progressi compiuti è però piuttosto limitato: eliminare la disuguaglianza fra i sessi nell’istruzione primaria e secondaria entro il 2005, e in tutti i gradi dell’istruzione entro il 2015. La Task Force 3 dell’UN Millennium Project (Progetto ONU del Millennio), che si occupa di istruzione primaria ed eguaglianza fra i sessi, ha adottato un quadro operativo di più ampio respiro, che valuta l’eguaglianza fra i sessi e l’empowerment delle donne da tre punti di vista: I) Capacità umane, misurate in base ai livelli di istruzione, salute e nutrizione; II) Accesso alle risorse e alle opportunità, con riferimento alle risorse economiche e alla partecipazione politica; III) Sicurezza, valutata in termini di vulnerabilità alla violenza; A partire dai dati raccolti in numerosi paesi, la task force ha individuato le priorità strategiche di intervento nazionale ed internazionale; la sinergia fra queste priorità e la linea della Conferenza del Cairo è molto significativa. o Gli elementi centrali per potenziare le capacità delle donne individuati dalla task force sono: superamento del divario fra maschi e femmine nell’istruzione secondaria e 32 maggiore accesso delle donne e delle adolescenti alle informazioni e ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva; o Le priorità individuate per migliorare le opportunità economiche e politiche sono: investimenti in infrastrutture a misura di donna, che consentano una riduzione del tempo di lavoro e dei livelli di fatica delle donne; riduzione delle discriminazioni contro le donne nel lavoro e nelle retribuzioni; riduzione delle disuguaglianze fra i sessi in materia di proprietà ed eredità; aumento della rappresentanza femminile negli organismi di governo nazionali e locali; Le iniziative chiave per migliorare il grado di sicurezza delle donne: sono quelle o iniziative mirate ad una riduzione significativa dei casi di violenza contro donne e bambine.25 2.4. La Conferenza di Monterrey Una volta fissati gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, la comunità internazionale si è interrogata su come definire e mobilitare le risorse necessarie per finanziarie i programmi di sviluppo, finalizzati a creare le condizioni economiche e sociali per il conseguimento degli MDG. La Conferenza delle Nazioni Unite sul finanziamento dello sviluppo, svoltasi a Monterrey, Messico, nel marzo 2002, con la partecipazione di capi di stato e di governo dei paesi membri, ha cercato di trovare una risposta comune. La Conferenza si è conclusa con l’adozione di una risoluzione, definita “Consenso di Monterrey”, che contiene l’insieme degli impegni per i diversi soggetti coinvolti nelle politiche per lo sviluppo (governi dei paesi sviluppati, governi dei Pvs, organizzazioni internazionali, organizzazioni della società civile, settore privato). Nel Consenso di Monterrey si afferma anzitutto l’esigenza di un nuovo partenariato tra paesi industrializzati e Pvs, basato su una reciproca assunzione di responsabilità. Ciascun paese ha una responsabilità primaria per il proprio sviluppo, anche se in un mondo sempre più interdipendente gli sforzi nazionali devono essere accompagnati da un ambiente economico internazionale favorevole, che offra opportunità di commercio e di investimento a tutti i paesi. I capi di stato riconoscono il ruolo chiave che la globalizzazione può giocare per lo sviluppo e l’eliminazione della povertà, soprattutto in termini di maggiore partecipazione al commercio e agli investimenti internazionali. La globalizzazione “offre opportunità e rischi”, e i Pvs hanno difficoltà specifiche ad approfittare di queste opportunità e a rispondere a queste sfide. Per trarre vantaggio dalle opportunità, occorre assicurare condizioni interne capaci di promuovere gli investimenti produttivi, realizzando le infrastrutture di base e qualificando le risorse umane. I governi sono chiamati ad adottare politiche macroeconomiche virtuose, che favoriscano allo stesso tempo la crescita e la riduzione della povertà, e a favorire la mobilitazione di tutte le risorse finanziarie disponibili, domestiche e internazionali, per promuovere lo sviluppo del settore privato. Appaiono essenziali un buon governo e un corretto funzionamento delle istituzioni pubbliche. E’ inoltre considerata prioritaria la lotta alla corruzione. Per favorire lo sviluppo del settore privato e l’aumento degli investimenti, si sottolinea l’importanza di sviluppare il sistema finanziario e i mercati dei capitali, prestando particolare attenzione alle piccole e medie imprese, che spesso non hanno accesso a queste risorse vitali. Allo stesso tempo, si incoraggiano schemi innovativi di finanziamento, che includono anche il microcredito. E proprio il microcredito rappresenta un importante strumento di riduzione di povertà e di emancipazione, dal 25 Fonti: “Lo stato della popolazione del mondo 2004”, UNFPA e “Guardando il mondo con occhi di donna”, Anna Maria Donnarumma, EMI; 33 momento che permette ai più poveri ed emarginati, soprattutto le donne, di avere accesso a servizi finanziari, e di avviare e sviluppare progetti di autoimpiego e generazione del reddito. Esclusi dal sistema di credito bancario, a causa dell’inadeguatezza o assenza di garanzie reali e della natura delle loro attività, ritenuta troppo ridotta e rischiosa dalle banche tradizionali, molti piccoli produttori, in aree urbane o rurali, sono vincolati all’ usura per far fronte alle proprie necessità economiche. I programmi di microcredito offrono una valida alternativa, dal momento che erogano piccoli prestiti a comunità, generalmente di donne, che necessitano di risorse finanziarie per lo sviluppo di microattività economiche nell’agricoltura, allevamento e piccolo commercio. Un numero sempre crescente di ONG, banche commerciali e organismi internazionali offrono programmi di microcredito in vari Pvs. Una delle principali caratteristiche del credito è il meccanismo di responsabilità solidale: il credito viene concesso ad un gruppo, in cui ogni partecipante risponde del credito degli altri membri in proporzione alla quota del proprio prestito. Il credito si basa, dunque, su un rapporto di fiducia tra i contraenti e non richiede garanzie reali che spesso sono tra le cause principali della non bancabilità. Il successo di questi programmi si manifesta sicuramente anche nell’elevatissimo tasso di ripagamento, che generalmente ruota intorno al 98%. Ciò consente l’ incremento dei crediti successivi. Occorre tuttavia puntualizzare che l’accesso al credito non è l’unica risposta alle necessità delle comunità svantaggiate e delle microimprese. Il microcredito si è evoluto nel corso degli ultimi anni per offrire una serie di servizi collaterali quali l’assicurazione, la gestione del risparmio e l’assistenza tecnica alle microimprese, che sono cruciali per la sostenibilità delle attività economiche. Oggi si parla dunque più in generale di programmi di microfinanza. Il riconoscimento del suo importante contributo alla riduzione della povertà ha portato ad una crescente attenzione al fenomeno, fino alla proclamazione del 2005 come Anno internazionale del microcredito da parte delle Nazioni Unite.26 Capitolo 3 Situazione socioeconomica e politica dei paesi oggetto di studio e principali parametri dei rapporti di genere in Marocco, Cameroun e Guinea Equatoriale 3.1 Marocco, Camerun, Guinea Equatoriale: aspetti storico politici, socioeconomici, demografici Poiché si analizzerà nel prossimo capitolo l’azione di una ONG sarda in diversi paesi del mondo povero, abbiamo ritenuto opportuno dare alcune indicazioni generali di alcuni paesi in cui si sviluppa l’azione della cooperazione allo sviluppo. I paesi che si è scelto di presentare sono il Marocco, il Camerun e la Guinea Equatoriale. Dedicheremo particolare attenzione ai principali parametri che cercano di illustrare i rapporti di genere in questi paesi. Per questi paesi vedremo quindi alcuni elementi del loro profilo storico–politico, per passare poi all’analisi degli aspetti socioeconomici (Indice di Sviluppo Umano, Indice di Povertà Umana ecc..) e demografici. Dopo ciò prenderemo in considerazione i principali parametri dei rapporti di genere esistenti al loro interno, attraverso l’utilizzo di svariati indici, e porremo così a confronto le diverse realtà che si trovano a fronteggiare i paesi in merito a tali misure. 26 Fonte: “La cooperazione internazionale allo sviluppo”, Bonaglia, De Luca, pag 95, 96, contributo fornito da Lucia Wegner 34 IL MAROCCO Il Marocco,la cui capitale è Rabat, presenta una popolazione di 29.475.763 abitanti (censimento 2004), e una densità di 65ab.Kmq. La popolazione è composta da diversi gruppi etnici, dei quali gli Arabi costituiscono il 65%, i Berberi il 33% ed altri gruppi non specificati il rimanente 2%. La lingua ufficiale è l’arabo, ma vengono parlati anche dialetti berberi, il francese e lo spagnolo. La forma di governo è la Monarchia Costituzionale, e dal 24 Luglio 1999 è salito al governo il Sovrano Sidi Mohammed (Maometto VI). Per quanto riguarda la religione, la maggior parte dei marocchini è musulmana, principalmente sunnita (98,7%), i cristiani sono l’1,1% e gli ebrei lo 0,2%. Protettorato francese dal 1912 (salvo alcuni territori occupati dalla Spagna), il paese è indipendente dal 1956. Nel 2002 il Marocco ha rivendicato davanti all’Assemblea Generale dell’ONU la rivendicazione di Ceuta e Melilla, enclaves spagnole sulla costa marocchina del Mar Mediterraneo. Secondo la Costituzione del 1992, modificata nel 1996, il re nomina il Primo ministro e i responsabili dei principali dicasteri. Il Governo è censurabile sia dalla Camera dei Rappresentanti (325 membri eletti a suffragio diretto per cinque anni), sia dalla Camera dei consiglieri (270 membri per 3/5 eletti dagli organismi locali, per il resto dalle categorie professionali). Per quanto riguarda le notizie più recenti si può accennare al fatto che negli ultimi mesi del 2005, d’accordo con il Governo spagnolo sono state rafforzate le misure di sicurezza alle frontiere con Ceuta e Melilla per contrastare l’enorme flusso di migranti clandestini che cercano di entrare in Europa attraverso le due enclaves spagnole in territorio marocchino. Questo, 35 nonostante nel novembre 2004, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), in collaborazione con il governo del Marocco,il Centro dei diritti dei Migranti di Rabat, e diverse ONG, avesse lanciato una campagna di informazione per far conoscere ai potenziali migranti i problemi dell’immigrazione irregolare e i loro diritti. Il 25 Marzo.2006 a Laayoune,il re Mohammed VI ha affermato la disponibilità del Marocco a concedere ampia autonomia alla regione, e inoltre ha annunciato la grazia a oltre 200 ribelli del Polisario detenuti in Marocco, ribadendo però l’assoluta contrarietà del governo al riconoscimento della Repubblica Saharawi. In Marocco è attualmente in vigore la pena di morte, anche se, secondo le ultime notizie in merito, risalenti al 1 febbraio 2007, il Marocco abolirà la pena di morte prima del termine dell'attuale mandato parlamentare, ossia entro la fine di aprile: lo ha annunciato Idris Ben Dhikri, presidente del Consiglio Consultivo per i Diritti Umani, voluto da Muhammad VI. Ben Dhikri ha dichiarato che sulla base di una prima serie di consultazioni con i deputati, esiste un consenso generale sull'argomento. Elogiando re Muhammad VI per la sua posizione di opposizione alla pena capitale, spiega che è già stata formata una commissione giuridica incaricata di modificare il codice penale in vista dell'abolizione di questa sanzione. Il presidente del Consiglio Consultivo per i Diritti Umani assicura che non esiste una vera opposizione a questa iniziativa, ma solo una certa preoccupazione per l'escalation del fenomeno del terrorismo. Ben Dhikri, che rappresenta il suo paese alla terza Conferenza contro la pena di morte in corso a Parigi, sottolinea la necessità di mettere in luce gli aspetti positivi dell'Islam, che non incita all'omicidio, né alla vendetta, né impone la pena di morte. A proposito dell'iniziativa del governo italiano, che ha chiesto una moratoria della pena di morte a livello di Nazioni Unite, il presidente del Consiglio per i Diritti Umani si dice convinto che se l'Italia riuscirà a far sì che sia presa una decisione di portata internazionale, sarà un grande successo, anche se si trattasse di un gesto di semplice incoraggiamento. E' dal 1993 che in Marocco non vengono più emesse sentenze di condanne a morte27. Dopo questi cenni storici, attraverso i quali abbiamo esaminato anche alcuni sviluppi recenti della situazione politica e giudiziaria del Paese, passiamo ad analizzare alcuni indici socioeconomici che ci diano un’idea della situazione attuale del Marocco. Tra questi, senza dubbio, rientra l’indice di sviluppo umano (ISU),che viene pubblicato annualmente dallo Human Development Report per conto dello United Nations Development Programme (UNDP), ed è costituito dalla media ponderata di alcuni fattori di sviluppo attinenti la durata della vita (speranza di vita), il livello culturale (tasso di alfabetizzazione degli adulti e accesso ai livelli di istruzione) e la quantità di ricchezza disponibile (Prodotto Interno Lordo – PIL reale per abitante). E’ espresso tramite un valore in millesimi e la posizione di un paese nella graduatoria mondiale). L’indice di sviluppo umano del Marocco è pari a 0,631, e si pone nella graduatoria mondiale al 162° posto. (Il nostro paese si colloca al 18° posto). Un altro indicatore sociale significativo è sicuramente l’indice di povertà umana, anch’esso pubblicato annualmente dallo Human Development Report per conto dello United Nations Development Programme (UNDP). Questo indice misura le privazioni secondo la media ponderata di tre parametri base: longevità,conoscenza e standard di vita (IPU-1, per i paesi in via di sviluppo) ed esclusione sociale (IPU-2, per alcuni paesi dell’OCSE). Il Marocco presenta un Indice di povertà umana (IPU-1) del 34,5%, collocandosi così al 61°posto nella graduatoria mondiale (L’Italia si colloca al 18°posto). Possiamo citare in questa sede anche un altro importante indicatore, ovvero l’accesso all’acqua potabile sicura:28 questo indicatore misura la percentuale di popolazione che ha accesso ad una fonte migliorata di acqua potabile, che fornisca una 27 28 Fonti: http://www.nessunotocchicaino.it; Fonte: UNICEF, State of the World’s Children 2005: Childhood Under Threat, UNICEF, New York, 2005. 36 quantità adeguata di acqua sicura ubicata a ragionevole distanza dall’ abitazione. La misura è collegata all’esposizione ai rischi per la salute, compresi quelli derivanti da servizi igienici inadeguati. Per il Marocco questo valore è relativamente alto: è infatti stimato all’80%, quindi larghissima parte della popolazione può usufruire dell’ acqua potabile tramite fonte sicura. Tra gli indici demografici che possono rilevare in questa sede, rientra sicuramente la mortalità, che indica il rapporto fra i decessi avvenuti in un determinato anno e l’ ammontare medio della popolazione di uno stato (per 1000 abitanti) e corrisponde al 5,5‰ (2004), e la speranza di vita alla nascita, che analizzeremo in seguito effettuando un raffronto tra quella maschile e quella femminile. Per quanto riguarda l’economia, il Marocco presenta un PNL29 di 49.278 ml $ USA, un PIL30 di 51.986 ml $ USA e un PIL/ab31 di 1.752 $ USA. Dopo un arresto nel 2005, la crescita del PNL è ripartita all’inizio del 2006 grazie alla ripresa degli investimenti esteri. L’ inflazione32è bassa (1,8%, dati 2005), ma la disoccupazione è rimasta elevata (11,2%), soprattutto quella femminile (28,4%), ed in particolare tra i giovani. Il Marocco riceve inoltre aiuti dall’estero pari a 706 ml $ USA, corrispondenti all’ 1,4% del PIL (dati 2004). Tra gli indicatori economici che ci interessano in questo contesto è infine senza dubbio rilevante il debito estero, che è pari, per questo paese, a 15.600 ml $ USA (dati 2005).33 29 Il Prodotto Nazionale Lordo (PNL)è il valore che esprime i risultati economici conseguiti dai fattori produttivi di uno stato per un dato anno, più gli introiti degli investimenti all’estero. Il dato è espresso in questo contesto in milioni di $ USA. 30 Il Prodotto Interno Lordo (PIL) è definito come il valore totale dei beni e servizi finali prodotti da un paese in un anno mediante i fattori produttivi (attività economiche,esercizio di professioni e mestieri,investimenti di capitale ecc..) impiegati all’interno del paese stesso. E’ espresso in questo contesto in milioni di dollari USA. 31 Il Prodotto Interno Lordo per abitante (PIL/ab) è il valore del Prodotto Interno Lordo diviso per la popolazione totale di un paese, espresso in $ USA. 32 L’inflazione è l’aumento dell’indice generale dei prezzi delle merci e dei fattori di produzione e la conseguente diminuzione del potere d’acquisto della moneta. 33 Tutte le informazioni relative al Marocco che si trovano in questo paragrafo, a parte l’ indice di accesso all’ acqua potabile sicura, e i dati sulla pena di morte, sono basate sulla Fonte: Calendario Atlante De Agostani 2007, Istituto Geografico De Agostani Novara, anno 103°. 37 IL CAMERUN Il Camerun, la cui capitale è Yaoundè, ha una popolazione stimata al 2005 di 16.667.000 abitanti, con una densità di 35 ab./kmq. I maggiori insediamenti si trovano nelle zone meridionali e centrali del paese. Le aree settentrionali sono popolate da allevatori seminomadi, mentre nelle foreste pluviali si trovano ancora alcune comunità di pigmei. Nel paese sono presenti circa 200 diversi gruppi etnici: il 20% di questi è costituito dai Fang, il 18% dai Bamileke, il 15% dai Duala, il 10% dai Fulbe, l’ 1,2% dagli Hausa e il 35,8% da altre etnie. Nel sud predominano quelli di origine Bantu, come Duala, Bamilekè, Tikar e Bamauna. Gli Ewondo e i Fulbè prevalgono nell’ovest, i Fulano nel nord. Nel sud – est si trovano i Pigmei Baka che vivono di caccia e di pesca. Per quanto riguarda la lingua, quelle ufficiali sono il francese (prevalente), l’inglese e il tedesco. Esistono però circa duecento lingue locali: in linea generale, a sud si parlano le lingue bantu e semibantu, mentre a nord sono più diffuse quelle di ceppo sudanese. Per quanto riguarda invece la religione, i dati appaiono discordanti. Secondo le diverse fonti sembrerebbe comunque che gran parte degli abitanti pratichi culti africani tradizionali (per alcune circa il 40%), anche se nel sud predominano i cristiani (circa il 36%, di cui il 21% cattolici e il 15% protestanti) e nel nord i musulmani (circa il 22%). 38 La forma di governo è la Repubblica Parlamentare. Il Presidente, Paul Biya, (RDPC)34 è stato eletto nel 1982, e poi rieletto nel 1992, nel 1997 e nel 2004. Il Primo Ministro è Ephraïm Inoni (RDPC) dall’ 8 dicembre 2004. Il paese è governato in base ad una Costituzione promulgata nel 1972. Il Presidente della Repubblica, che espleta le funzioni di Capo dello Stato e di Comandante delle forze armate, viene eletto ogni cinque anni tramite suffragio universale diretto. Sino al 1992 i ministri, incluso il premier, venivano nominati dal Presidente e, per statuto, non era loro concesso di esplicare funzioni legislative. Il Capo dello Stato nomina anche i governatori delle dieci province. L'esercizio del potere legislativo spetta all'Assemblea nazionale monocamerale che consiste di 180 membri eletti ogni 5 anni. Il Raggruppamento democratico del popolo (RDPC) rimase l'unico partito legale dal 1966 al 1990, quando il paese si aprì al multipartitismo. Il sistema giudiziario del Camerun si basa essenzialmente sul modello francese con qualche elemento di quello inglese. L'organo di grado più elevato è la Corte suprema. Per quanto riguarda alcuni cenni storici, possiamo dire che poco si conosce circa i primi insediamenti nella regione dell'attuale Camerun; i primi abitatori, probabilmente, si spinsero dai propri insediamenti dell'interno verso le zone costiere in successive ondate migratorie fino al XIII secolo. È certo che all'epoca dei primi contatti con gli europei, numerosi gruppi erano già ben stabili sulla costa, che venne esplorata fin dal tardo XV secolo dai portoghesi. Nel XVII secolo gli europei si stabilirono nella regione per acquistare avorio, caucciù e schiavi. Dopo il 1845 divennero particolarmente attivi i missionari e i commercianti inglesi, che successivamente, insieme con i tedeschi, diedero avvio all'esplorazione delle regioni interne (1860); nel 1884 la Germania stabilì nell'area di Douala un protettorato, che nel trentennio successivo, a seguito di ripetuti accordi con la Gran Bretagna (1886, 1893) e la Francia (1894, 1911), si ampliò fino ai confini dell'attuale Ciad. Le difficoltà nel campo dei trasporti e la resistenza della popolazione locale impedirono ai tedeschi il pieno sfruttamento dell'area, nella quale essi crearono tuttavia vaste piantagioni di cacao, palma e caucciù, costruirono strade e avviarono i lavori di costruzione di una ferrovia e del porto di Douala. Nel 1916 le forze anglo-francesi invasero la colonia; dopo la prima guerra mondiale, con il trattato di Versailles (1919), un quinto del territorio (la parte contigua alla Nigeria) venne assegnato alla Gran Bretagna, e i rimanenti quattro quinti alla Francia, in qualità di mandati, dalla Società delle Nazioni. Nel secondo dopoguerra crebbe il fermento politico nei territori francesi, dove si sviluppò una campagna per l'indipendenza che nel 1958 sfociò nell'ottenimento della piena autonomia e, nel 1960, nella creazione di uno stato indipendente. Ammesso all'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel settembre del 1960, il paese prese il nome di Camerun Orientale e Ahmadou Ahidjo, premier dal 1959, ne divenne il primo presidente. Nel 1961 l'ONU indisse un referendum nel Camerun britannico, da cui risultò l'annessione della zona meridionale al territorio francese, che si denominò Repubblica federale del Camerun, mentre il territorio settentrionale si unì alla Nigeria. Subito dopo l'indipendenza il governo dovette far fronte a una ribellione delle popolazioni del sud del paese, cristiane, contro i gruppi di potere, di fede musulmana, e alle agitazioni (comuniste) sedate nel 1963. Nel 1966 i sei partiti di maggioranza si unirono nell'Unione nazionale camerunese (UNC), rinominata nel 1984 Raggruppamento democratico del popolo del Camerun (RDPC), unico partito legale fino al 1990; nel 1972 Ahidjo promosse un referendum popolare che trasformò il Camerun da stato federale a stato unitario, denominato Repubblica unita del Camerun. Rieletto nel 1975 e nuovamente nel 1980, Ahidjo si dimise nel novembre del 1982 e fu sostituito da Paul Biya, già primo ministro, un cristiano del sud. Poco tempo dopo, ci fu un deterioramento dei rapporti tra Biya e Ahidjo e 34 Raggruppamento democratico del popolo 39 quest’ultimo nel 1983 andò esule in Francia. Biya vinse le elezioni presidenziali nel 1982 e cambiò il nome del paese in Repubblica del Camerun. Nel dicembre del 1990 è stato abolito il monopartitismo. Da allora Biya è stato confermato per tre volte alla presidenza della repubblica, l’ultima nel 2004; Il Camerun è inoltre membro del Commonwealth35, dell’OCI (Organizzazione della Conferenza Islamica, istituita nel 1971 per promuovere la solidarietà e la cooperazione tra i paesi islamici), dell’ ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite, che costituiscono un’organizzazione di carattere universale creata per mantenere la pace e la sicurezza, realizzare la cooperazione internazionale nei settori economico, sociale, culturale e umanitario e promuovere il rispetto dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali), dell’UA (Unione Africana, che ha sostituito nel 2002 l’ Organizzazione dell’Unità Africana, sorta nel 1963 per rafforzare l’ unità politica e la cooperazione fra i paesi membri e per affrancare il continente dalla dominazione coloniale. Comprende tutti gli Stati del continente, (tranne il Marocco, che ne è uscito nel 1984) e WTO (World Trade Organization, persegue la liberalizzazione degli scambi e l’abbassamento delle barriere tariffarie) ed è associato all’Unione Europea. Per quanto riguarda la posizione del paese assunta in merito alla pena di morte, il Paese risulterebbe abolizionista di fatto e la data dell’ultima esecuzione risale al 1988, anche se il Camerun applica la pena capitale per tradimento. Il Codice Penale prevede inoltre la pena di morte per alcuni crimini, tra cui l’omicidio premeditato, atti di violenza contro pubblici impiegati con l’intento di ucciderli e furto aggravato. La legge n. 90/061 del 19 dicembre 1990 ha emendato il Codice Penale, in particolare rispetto al furto aggravato, stabilendo che solo il furto che causa la morte o gravi lesioni è passibile di pena di morte. Il traffico di rifiuti tossici o pericolosi è diventato un reato capitale con la legge N. 89/027 del 29 dicembre 1989. La condanna a morte definitiva è automaticamente sottoposta al Presidente della Repubblica per la grazia. Prima di un suo esplicito rigetto dell’istanza, la sentenza non può essere eseguita. Alla fine del 2005 le autorità non hanno reso noto quanti dei detenuti nel braccio della morte hanno usufruito del decreto presidenziale del dicembre 2004, che commutava le condanne capitali in ergastolo, ad eccezione di alcuni casi specifici come l’assassinio di un bambino. Il numero dei detenuti in attesa di esecuzione resta sconosciuto36. Dopo aver quindi analizzato gli aspetti storico politici del Camerun, passiamo ora ad esaminarne alcuni aspetti socio-economici e demografici, attraverso gli stessi indici analizzati nel caso del Marocco, dei quali è stata già data ampia definizione. Tra gli indici socio-economici possiamo riscontrare che l’Indice di Sviluppo Umano è pari a 0,497, e in base a questo valore il Camerun si pone al 148° posto nella gerarchia mondiale. Per quanto riguarda l’Indice di Povertà umana, in questo paese riscontriamo che IPU-1 equivale al 36,2%, ed in base a questo valore il Camerun si colloca al 67° posto nella graduatoria mondiale. Per quanto riguarda l’indice che misura l’accesso all’acqua potabile sicura, la percentuale di popolazione che ha accesso ad una fonte migliorata di acqua potabile, per quanto riguarda il Camerun, corrisponde al 63%37. Tra gli indici demografici, è importante citare la mortalità, che corrisponde al 13,8‰ (2004) e la speranza di vita alla nascita, che, come abbiamo detto già relativamente al 35 Il Commonwealth è una libera associazione di Stati sovrani, è stata istituita l’ 11 dicembre 1931 dal Regno Unito, dalle sue dipendenze e da una serie di Stati già colonie britanniche. Il suo scopo è quello di promuovere la cooperazione tra i membri in campo politico, sociale, economico, e finanziario. Non si fonda su un documento scritto e si articola su un complesso sistema di consultazioni: di particolare importanza sono le Conferenze dei primi ministri dei paesi membri. Il 21 ottobre 1997 il primo ministro inglese ha privatizzato la Commonwealth Development Corporation, l’agenzia che si occupa dell’ assistenza allo sviluppo dei paesi associati più poveri. Il Capo dell’ organizzazione è la Regina Elisabetta II. 36 Fonte: http://www.nessunotocchicaino.it 37 Fonte: UNICEF, State of the World’s Children 2005: Childhood Under Threat, UNICEF, New York, 2005. 40 Marocco, verrà analizzata in un’ altra sede, quando parleremo dei parametri dei rapporti di genere. Per quanto riguarda infine l’economia, il Camerun possiede un PNL pari a 14.359 ml $ USA (2004), un PIL pari a 16.991 ml $ USA e un PIL/ab. pari a 952 $ USA. L’inflazione è relativamente bassa, e corrisponde al 2%. La forza lavoro è spartita per il 49% nel settore primario, per il 15% nel settore secondario, e per il 36% nel settore terziario (2004). Il Camerun riceve aiuti dall’ estero per un valore pari a 762 ml $ USA, pari al 5,3% del PIL (2004); e ha contratto un debito estero pari a 5.800 ml $ USA (2005)38. LA GUINEA EQUATORIALE La Guinea Equatoriale, la cui capitale è Malabo, ha una popolazione di circa 1.014.999 abitanti (cens. 2001), ed una densità di 40 ab./kmq39. Tuttavia, questi dati appaiono discordanti con altre fonti40, probabilmente anche a causa dell’ enorme difficoltà che si ha nel riscontrare in paesi così sottosviluppati dei dati precisi e affidabili. Secondo altre fonti, infatti, il paese avrebbe una popolazione di 540.109 abitanti (2006); circa 110.000 guineani vivono all'estero, molti dei quali in esilio politico. Inoltre varia anche la densità, che sarebbe di 19 unità per km². La popolazione della Guinea Equatoriale è quasi interamente di stirpe bantu: i bubi parlano la lingua omonima e vivono prevalentemente sull'isola di Bioko, mentre i fang (che possiedono un proprio idioma) popolano la regione continentale. Gli abitanti di Pagalu discendono dagli schiavi portoghesi e parlano ancora oggi il creolo-portoghese, un idioma misto, mentre a Bioko si utilizza anche il pidgin inglese. Sono presenti 38 Per il Camerun sono state utilizzate, tranne che per l’ indice d’ accesso all’ acqua potabile e i dati relativi la pena di morte, le seguenti fonti: Microsoft ® Encarta ® Enciclopedia Plus 2002. © 1993 – 2001 Microsoft Corporation, Calendario Atlante De Agostini 2007; Istituto Geografico De Agostini Novara; anno 103°; Guida del Mondo; Il mondo visto dal sud 2005/2006, EMI Editore; 39 Fonti: Calendario Atlante De Agostini 2007; Istituto Geografico De Agostini Novara; anno 103° e www.dgecnstat-ge.org 40 Fonte: "Guinea Equatoriale." Microsoft® Encarta® 2007 [DVD]. Microsoft Corporation, 2006. 41 minoranze di discendenza europea. Lo spagnolo è la lingua ufficiale, insieme al francese. La Forma di governo è la Repubblica, il Presidente è Tèodoro Obiang Nguema Mbasogo, dal 3 agosto 1979, rieletto da ultimo il 15 dicembre 2002. Il Primo Ministro è Miguel Abia Biteo Borico, dal 14 giugno 2004. Per quanto riguarda la religione, quella cattolica è la predominante (93,6%). Per quanto concerne invece l’Ordinamento dello Stato, si possono accennare gli avvenimenti più significativi: ex colonia spagnola, la Guinea Equatoriale ha ottenuto l’ indipendenza il 12 ottobre 1968. Il colonnello Tèodoro Nguema Mbasogo, conquistò il potere e la presidenza con un colpo di stato nel 1979. Dal 1979, al 1987, la Guinea Equatoriale è stata governata da un Consiglio supremo militare, nel quale, dal 1981, sono stati ammessi anche dei civili. La Costituzione promulgata nel 1982 prevedeva l'elezione diretta di un presidente con mandato settennale, cui si sarebbe dovuto affiancare un governo in carica per cinque anni. Tutti i partiti politici furono, tuttavia, banditi sino al 1987, quando venne costituito un unico partito di governo, il Partito democratico (PDGE). Nel 1991 venne approvata una nuova Costituzione che introduceva il pluripartitismo, separava i poteri del Presidente da quelli del Primo Ministro e garantiva al Capo dello Stato l'immunità giudiziaria. Il regime autoritario del colonnello Tèodoro Nguema Mbasogo è rimasto inalterato anche dopo la Costituzione del 1991, nonostante questa abbia aperto il Paese al multipartitismo, così nel novembre 1993 sono state indette le elezioni multipartitiche che, sebbene boicottate dalle opposizioni, hanno portato alla vittoria del PDGE. Il Partito democratico (PDGE), che rappresenta l’etnia fang, ha mantenuto il controllo del Parlamento anche dopo le elezioni del 2004. Eletto a suffragio diretto per sette anni, il Presidente nomina il Primo Ministro; Il Parlamento è composto da cento membri eletti per cinque anni. La Guinea Equatoriale è membro ONU e dell’ Unione Africana. E’ inoltre associato all’Unione Europea. In Guinea Equatoriale è in vigore la pena di morte. Il Paese si dichiara mantenitore della pena capitale, che avviene tramite fucilazione ed impiccagione. Sono considerati reati capitali l’omicidio aggravato, lo spionaggio e la rapina a mano armata. La data dell’ultima esecuzione risale al 28-04-2006: una fonte giudiziaria rese noto che le autorità della Guinea Equatoriale avevano fucilato in tale data un uomo condannato a morte per omicidio dalla Corte d’Appello di Malabo. Secondo Amnetsy International nel dicembre 2004, un soldato, sarebbe stato condannato a morte da un tribunale militare a Bata per aver ucciso un commilitone pochi mesi prima mentre montavano di guardia. Non vi è diritto d’appello nei confronti delle sentenze pronunciate dalle corti militari. Non è chiaro se la sentenza sia stata eseguita o meno.41 Dopo questo breve quadro della situazione storico – politica e amministrativo – giudiziaria della Guinea Equatoriale, passiamo ora ad analizzare alcuni indici socioeconomici, che abbiamo utilizzato anche per esaminare gli altri paesi oggetto di studio: Questi sono innanzitutto l’indice di sviluppo umano, che in questo Paese corrisponde a 0,655. In merito a questo indicatore il paese ci colloca al 121° posto nella graduatoria mondiale; l’indice di povertà umana, che corrisponde a (IPU-1) 38,1%, riportato nella graduatoria mondiale, corrisponde al 71° posto. Per quanto riguarda l’indice relativo all’accesso all’acqua potabile invece, secondo i dati del 2003, sembra che solamente il 44% della popolazione abbia accesso all’acqua potabile. Tra i dati demografici, importante la mortalità, che sarebbe del 15‰ (2004). Per quanto riguarda l’economia, lo sfruttamento dei ricchi giacimenti di petrolio (di Alba e Ceiba) ha favorito negli ultimi anni una forte crescita del PNL (641 ml $ USA, dati 2003), anche se è importante osservare che solo una ristretta fascia di popolazione si è potuta avvantaggiare di questo aumento di benessere. E’ ancora diffusa l’agricoltura di sussistenza (patate dolci, manioca), mentre è in calo quella commerciale 41 Fonte: http://www.nessunotocchicaino.it 42 (cacao, caffè, banane); destinati all’esportazione i legnami pregiati (palissandro, ebano, okoumè); attiva la pesca. L’industria è limitata alle lavorazioni del petrolio e dei prodotti agricoli. Il PIL è di 6.752 ml $ USA e il PIL/ab. è di 5.934 $ USA (2005). Il Paese ha un’inflazione del 6,8% (2005), quindi abbastanza elevata, riceve aiuti dall’estero per 30 ml $ USA (2004) e ha un debito estero pari a 300 ml $ USA (2005).42 3.2 Analisi dei principali parametri dei rapporti di genere in Marocco, Camerun, Guinea Equatoriale Dopo aver visto i diversi aspetti storico politici, socioeconomici, demografici (in parte) ed economici dei Paesi oggetto di studio, passiamo ora ad approfondire i principali parametri dei rapporti di genere , attraverso l’utilizzo di svariati e importanti indicatori. Innanzitutto prenderemo in considerazione gli INDICATORI DI MORTALITA’. Tra questi rientrano la mortalità infantile, l’aspettativa di vita maschile e femminile alla nascita43 - questi indici misurano rispettivamente, il primo, i tassi di mortalità, rispettivamente nel 1° anno di vita , (quello che più risente dei livelli di sviluppo, e nell’intero arco della vita), ed è calcolato per 1000 nati vivi, il secondo il numero di anni che un neonato potrebbe aspettarsi di vivere, se i tassi prevalenti di mortalità al momento della nascita si mantenessero costanti nel corso di tutta la sua vita - e il tasso di mortalità materna44: Questo indicatore misura invece il numero di donne decedute – per cause legate alla gravidanza, al parto e alle relative complicanze – su 100 mila nati vivi. Sebbene sia difficile ottenere dati esatti, gli ordini di grandezza sono molto indicativi. Le stime al di sotto di 50 non sono state arrotondate, quelle fra 50 e 100 sono state arrotondate alla cinquantina superiore, quelle fra 100 e 1000 alla decina superiore, quelle al di sopra di 1000 al centinaio superiore. Parecchie stime differiscono dai dati ufficiali forniti dai governi. Ove possibile, le stime si basano su dati pubblicati, e sono stati usati vari metodi per aumentare la comparabilità dei dati provenienti da fonti diverse. Stime e metodologie vengono regolarmente riesaminate da OMS, UNICEF, UNFPA, istituzioni accademiche e altre agenzie, e ove necessario vengono riviste nel quadro del continuo processo di perfezionamento dei dati sulla mortalità materna. Esaminiamo dunque il valore di questi indici nei Paesi che stiamo analizzando, facendo un confronto con quelli calcolati a livello mondiale, e quelli calcolati nei paesi sviluppati, per renderci meglio conto in che situazione si trovino questi stati in un’ottica più globale ma allo stesso tempo più precisa. Secondo un monitoraggio degli obiettivi della Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo, tutti gli indicatori che utilizzeremo per approfondire i principali parametri dei rapporti di genere (indicatori di mortalità, indicatori di istruzione, indicatori della salute riproduttiva), sono stati calcolati, a livello planetario, rifacendosi a una media di quelli stimati tra le Regioni sviluppate (Nord America, Giappone, Europa, Australia e Nuova Zelanda) le Regioni in via di sviluppo (tutte le regioni dell’ Africa, dell’ America Latina e dei Carabi, dell’Asia (escluso il Giappone) della Melanesia, Micronesia e Polinesia e dei Paesi meno avanzati di tutti (secondo la classificazione standard delle Nazioni Unite). 42 Fonte: Calendario Atlante De Agostini 2007; Istituto Geografico De Agostini Novara; anno 103°; 43 Fonte: Tabulati forniti dalla Divisione per la popolazione delle Nazioni Unite. Sono stati calcolati eseguendo la media tra le stime per i periodi 2000-2005 e 2005-2010 per ottenere la stima esatta per l’ anno 2005. 44 Fonte: WHO, UNICEF e UNFPA, Maternal Mortality in 2000: Estimates Developed by WHO, UNICEF e UNFPA, Ginevra, WHO, 2003. 43 Costruiremo ora uno specchietto dove porremo a confronto i dati inerenti gli indicatori di mortalità dei singoli paesi analizzati, con quelli calcolati a livello globale e con quelli calcolati nelle regioni sviluppate: INDICATORI DI MORTALITA’ MORTALITA’ INFANTILE (calcolata per 1000 nati vivi) SPERANZA DI VITA MASCHI FEMMINE INDICE DI MORTALITA’ MATERNA (su 100.000 nati vivi) TOTALE MONDIALE 55‰ 63.7 anni 68.2 anni ------------- REGIONI SVILUP. 8‰ 72.2 anni 79.6 anni ------------- MAROCCO 35‰ 68.1 anni 72.5 anni 220 CAMERUN 93‰ 45.4 anni 46.6 anni 730 GUINEA EQUATOR. 98‰ 42.1 anni 42.9 anni 880 Come emerge dai seguenti dati, la Guinea Equatoriale, seguita subito dopo dal Camerun, è il paese che si trova nelle condizioni peggiori per quanto riguarda tutti i parametri presi in considerazione, mentre il Marocco è lo Stato con gli indici dai valori più vicini a quelli riscontrabili a livello mondiale, con una mortalità infantile ben al di sotto del 55‰ e molto al di sopra di quella di Camerun e Guinea Equatoriale, una speranza di vita sempre molto al di sopra di quella prevista in questi due paesi e abbastanza vicina a quella calcolata sia livello mondiale che nelle regioni sviluppate, e con una mortalità materna neanche lontanamente paragonabile a quella calcolata per gli altri due paesi oggetto di studio. La situazione diviene comunque drammatica anche per il Marocco se si prende in considerazione la mortalità infantile e la si paragona ai dati relativi alle regioni sviluppate (35‰ contro 8‰). In ogni caso, questa regione appare comunque la più sviluppata per quanto riguarda tutti i parametri oggetto d’ analisi. Prendiamo ora in esame altri importanti indicatori, per continuare la nostra indagine sui principali parametri di genere. Decisamente rilevanti appaiono gli INDICATORI DI ISTRUZIONE. Tra questi prenderemo in esame i tassi complessivi di iscrizione maschile e femminile alla scuola elementare, i tassi complessivi di iscrizione maschile e femminile alla scuola secondaria45, analizzeremo l’ analfabetismo tra adulti, maschi e femmine46, intendendo con questa locuzione gli individui che non sono in grado di leggere e scrivere una semplice frase sulla vita quotidiana, comprendendone il significato. Inoltre prenderemo in esame anche la percentuale di alunni che raggiungono la quinta classe della scuola elementare.47 Costruiremo anche in questo caso una tavola riassuntiva in modo da schematizzare al meglio i dati e poterli confrontare in maniera più immediata: 45 Fonte: tabulati forniti dall’ Istituto di Statistica dell’ UNESCO, aprile 2005. I dati sulla popolazione si basano su: United Nations Population Division, World Population Prospects: the 2002 Revision, United Nations, New York, 2003. I tassi complessivi d’iscrizione indicano il numero di studenti iscritti ad un determinato livello del sistema scolastico su 100 individui del relativo gruppo d’ età. 46 Fonte: si vedano i tassi complessivi d’ iscrizione sopra citati; i dati per l’ analfabetismo sono rettificati da quelli per l’ alfabetismo. 47 Fonte: si vedano i tassi complessivi d’ iscrizione sopra citati. 44 INDICATORI DI ISTRUZIONE ISCRITTI SCUOLE ELEMENTAR I (LORDO) STUDENTI CHE COMPLETANO LE ELEMENTARI F M % TASSO DI ANALFABETISMO (> 15 ANNI) M F TOTALE MONDIALE ---- ----- ----- ------- ---- ---- ------- ------ REGIONI SVILUP. ---- ----- ---- ------- ---- ---- ------- ------ MAROCCO 115 104 82 80 49 41 37 62 CAMERUN 116 99 64 64 34 29 23 40 132 120 ------ GUINEA EQUATOR. M ISCRITTI SCUOLE SUPERIORI (LORDO) ----- 38 F 22 M ------- F ------- Per quanto riguarda questo indice, vengono a mancare i dati relativi al totale mondiale, alle regioni sviluppate e alcuni dati relativi alla Guinea Equatoriale. Dovremo quindi accontentarci di operare un raffronto unicamente tra i Paesi interessati dall’ indagine. Da questo schema emergono dati molto importanti. Per quanto riguarda il Marocco, nelle voci “Iscritti scuole elementari” e “Studenti che completano le elementari”, non ci sono apparentemente grandi divergenze tra maschi e femmine. Se invece si va a guardare nel dettaglio la percentuale di analfabetismo esistente all’interno della popolazione, si osserva immediatamente che il tasso di analfabetismo femminile è quasi il doppio di quello maschile. Per quanto riguarda il Camerun, si può osservare come ci sia una percentuale di iscritti alle scuole elementari più alta tra i maschi che tra le femmine. Tuttavia solo circa la metà di questi riescono a completare il ciclo di studi delle scuole elementari, e coloro che si iscrivono alle superiori sono praticamente solo un terzo rispetto al valore di partenza. Il tasso di analfabetismo delle femmine è quasi il doppio rispetto a quello dei maschi. Per quanto riguarda invece la Guinea Equatoriale, dai pochi dati che si è riusciti a reperire, possiamo affermare che partendo dalla percentuale di partenza di iscritti alle elementari, più elevata per i maschi che le femmine, possiamo confrontare i dati relativi agli iscritti delle scuole superiori, e dedurne che il valore percentuale è circa un terzo rispetto a quello di partenza. L’istruzione, sia quella elementare, sia quella superiore, secondaria e universitaria , è per le donne, una questione cruciale. Secondo il Progetto delle Nazioni Unite per il Millennio, si tratta dell’elemento che offre “il maggior rendimento in termini di empowerment femminile”48. L’istruzione secondaria garantisce maggiori vantaggi per le donne rispetto agli uomini, poiché comporta un maggior uso dei servizi per la salute materna e la pianificazione familiare, nonché un diverso atteggiamento nei confronti di pratiche nocive per la salute49. Le donne che hanno ricevuto un’istruzione secondaria hanno maggiore probabilità, rispetto alle analfabete, di capire il pericolo rappresentato dall’HIV e i metodi per prevenirne la diffusione. Le donne fornite di istruzione superiore hanno inoltre maggiori probabilità di opporsi alle mutilazioni/taglio genitali delle loro figlie, rispetto alle donne che non hanno completato nemmeno il grado primario dell’istruzione50. L’istruzione secondaria gioca inoltre un ruolo più 48 Fonte: UN Millennium Project, 2005b, pag 5 Fonte: Schultz, T .P., “Return sto Women’s Schooling”, Cap 2 in Women’s Education in Developing Countries: Barriers, Benefits, and Policy, a cura di E. King e M. A. Hill. A World Bank Book, Johns Hopkins University Press, Baltimora, Maryland, 1993; e UN Millennium Project, 2005b, pag 38. 50 Fonte: UN Millennium Project, 2005b, pag 39, 40, 41. 49 45 significativo di quella primaria nella riduzione della violenza contro le donne, in quanto rende le donne più forti e capaci di abbandonare una relazione improntata alla violenza51. I benefici sociali ed economici dell’istruzione femminile vengono sintetizzati di seguito: - L’ ISTRUZIONE FEMMINILE FAVORISCE LA CRESCITA ECONOMICA: Investire nell’istruzione delle ragazze è uno dei metodi più efficaci per ridurre la povertà. E’ stato stimati che tra i paesi che non raggiungono l’MDG (Millennium Development Goal) della parità di genere nel settore dell’istruzione rischiano di perdere tra 0,1 e 0,3 punti percentuale nella crescita economica pro capite52. - LE MADRI ISTRUITE INCREMENTANO IL CAPITALE UMANO PERCHE’ MIGLIORANO LE CONDIZIONI DI SALUTE, ISTRUZIONE E ALIMENTAZIONE DEI FIGLI: Le figlie di madri istruite hanno maggiori possibilità di frequentare la scuola. L’istruzione della madre si traduce inoltre in maggiori difese immunitarie e migliore alimentazione dei figli, due elementi che portano ad un aumento dell’occupazione e a un miglioramento del rendimento scolastico. Ogni anno di istruzione ricevuta dalla madre corrisponde per i suoi figli ad un abbassamento tra il 5 ed il 10% del tasso di mortalità sotto i cinque anni53. - L’ISTRUZIONE, RAFFORZANDO LE QUALIFICHE E CAPACITA’ PROFESSIONALI DELLE DONNE, MIGLIORA LE PROSPETTIVE ECONOMICHE DELLA FAMIGLIA: Le donne meglio istruite accedono a lavori retribuiti, e questo si traduce in un reddito superiore a disposizione della famiglia e in un aumento della produttività globale. Nelle economie rurali l’istruzione di donne e bambine spesso comporta una maggiore produzione agricola54. - L’ISTRUZIONE MIGLIORA LA SALUTE RIPRODUTTIVA: Le donne istruite hanno maggiori probabilità di chiedere adeguata assistenza prenatale e assistenza professionale al parto, come pure di fare ricorso alla contraccezione. Tendono a posporre l’ inizio dell’attività sessuale, l’età del matrimonio e quella del primo parto rispetto alle donne non istruite. Hanno un minor numero di figli: ogni triennio di istruzione scolastica corrisponde ad un figlio in meno per donna55. E quando le donne hanno meno figli, il benessere e le prospettive di sviluppo di ciascun figlio tendono a potenziarsi56. Dopo questi brevi cenni sugli stretti legami esistenti tra istruzione femminile ed sviluppo del processo di empowerment femminile, passiamo ore ad analizzare alcuni INDICATORI DELLA SALUTE RIPRODUTTIVA. Tra questi prenderemo in esame innanzitutto le nascite per 1000 donne di età compresa fra i 15 e i 19 anni57: questo è un indicatore del carico di fecondità che grava sulle donne giovani. Dal momento che si tratta di un livello annuale che si calcola su tutte le donne appartenenti alla stessa coorte di età, non rispecchia appieno il livello di fecondità delle donne durante la giovinezza. Poiché indica il numero annuo medio di nascite per donna, si potrebbe moltiplicare questo indice per cinque per approssimare il numero di nascite ogni 1000 giovani donne durante gli anni della tarda adolescenza. 51 Fonte: Grown, C., R. Gupta, e R. Pande, “Taking Action to Improbe Women’s Healt through Gender Equality and Women’s Empowerment” in The Lancet, 2005. 52 Fonte: Abu-Ghaida, D., e S. Klasen, “The cost of Missing the Millennium Development Goal on Gender equità” in World Development, 2004. 53 Fonte: The World Bank, 2001; Smith, L. C., e L. Haddad., Explaining Child Malnutrition in Developing Countries: A Cross Country Analysis, Research Report, n 11, International Food Policy Research Institute, Washington, D.C.,2000; e Schultz 1993. 54 Fonte: Quisumbing, A., “Male- female Differences in Agricultural Productivity: Methodological Issues e Empirical Evidence” in World Development, 1996. 55 Fonte: The World Bank 2001, pag 83. 56 Fonte: Toure, Aminata, “Strengthening Families Through the Implementation of ICPD Programme of Action: UNFPA’s Perspective”, e Seligman, B., et al., Reproductive Health e Human Capital: A Framework for Expanding Policy Dialogue, POLICY Occasional Paper Series, n.1. POLICY Project, The Futures Group International, Washington, DC., 1997. 57 Fonte: Tabulati forniti dalla Divisione per la popolazione delle Nazioni Unite. Per ricavare questi dati è stata fatta la media tra le stime per i periodi 2000-2005 e 2005-2010, in modo da ottenere la stime esatta per l’ anno 2005. 46 Questo indice, tuttavia, non rispecchia appieno le dimensioni del fenomeno delle gravidanze adolescenziali poiché comprende solo i nati vivi, ma non i nati morti né gli aborti, spontanei o procurati. Prenderemo poi in esame la diffusione dei contraccettivi, facendo una distinzione tra l’utilizzo di qualsiasi metodo e dei metodi più moderni58: questi dati sono tratti da rapporti su indagini a campione e stimano la percentuale di donne sposate (comprese le donne nelle coppie di fatto) che attualmente usano, rispettivamente, qualsiasi metodo contraccettivo o i metodi moderni. I metodi moderni, ossia prescritti o impiantati dai medici e acquistabili in farmacia, comprendono la sterilizzazione maschile e femminile, la spirale, la pillola, le sostanze iniettabili, gli impianti ormonali, i preservativi e i metodi di barriera femminili. I dati dei vari paesi sono approssimativamente comparabili, ma non appieno, a causa delle differenze nei tempi delle ricerche e nei dettagli delle domande poste. Tutti i dati nazionali e regionali si riferiscono a donne tra i 15 e i 49 anni. I dati usati sono quelli delle indagini più recenti disponibili e vengono citati. Essi spaziano dal 1980 al 2002. Altro rilevante indicatore che verrà analizzato sarà il tasso di prevalenza dell’ HIV, M/F, 15-49 anni59: questi dati provengono da rapporti di sistemi di monitoraggio e da stime elaborate sulla base di diversi modelli. I dati forniti per donne e uomini tra i 15 e i 49 anni esprimono, rispettivamente, i valori medi della stima superiore e inferiore per ciascun paese. L’anno di riferimento è il 2003. Le differenze tra maschi e femmine riflettono la vulnerabilità psicologica e sociale nei confronti della malattia e sono influenzate dalle differenze di età tra partner sessuali. Verranno infine analizzati il tasso totale di fecondità (2005)60 e la percentuale di nascite con assistenza qualificata61. La prima misura indica il numero di figli che una donna avrebbe nel corso degli anni riproduttivi se avesse figli al tasso stimato per i vari gruppi di età nel periodo specificato. I vari paesi possono raggiungere il livello indicato in momenti diversi all’interno del periodo di riferimento. Come per gli altri indicatori, anche per questi ultimi che analizzeremo e che ci danno, come già detto, importanti informazioni sulla salute riproduttiva, costruiremo una tavola e metteremo a confronto i valori relativi ai tre Paesi oggetto di studio, i dati calcolati a livello globale e i dati relativi ai paesi più sviluppati: INDICATORI DELLA SALUTE RIPRODUTTIVA NASCI TE PER 1000 DONNE ETA’ 15-19 DIFFUSIONE DEI CONTRACCETTIVI QUALSIASI METODO METODI MODERNI DIFFUSION E AIDS (%) 1549 M F N. MEDIO DI FIGLI PER DONNA (2005) % NASCITE CON PERSONALE QUALIFIC. TOTALE MOND. 56 61 54 ------ ------ 2.60 62 REGIONI SVILUP. 26 69 55 ------ ----- 1.57 --------- MAROCCO 24 50 42 ------ ----- 2.67 40 CAMERUN 112 19 7 6.0 7.9 4.36 60 58 Fonte: Tabulati forniti dalla Divisione delle Nazioni Unite er la Popolazione, tratti da World Contraceptive Use 2005, database aggiornato dalla Divisione delle Nazioni Unite per la popolazione del Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite. 59 Fonte: Tabulato “Stima della prevalenza del virus HIV tra uomini e donne adulti (15-49 anni) nel 2003” UNAIDS, Ginevra, 2004. 60 Fonte: Tabulati forniti dalla Divisione per la popolazione delle Nazioni Unite. Per ottenere questo tasso è stata fatta la media tra le stime per i periodi 2000-2005e 2005-2010, in modo da ottenere la stima esatta per l’ anno 2010. 61 Fonte: UNICEF, State of the World’s Children 2005: Childhood Under Threat, UNICEF, New York 2005. 47 GUINEA EQUAT. 187 --------- --------- ------ ----- 5.89 65 Come possiamo osservare, diversi dati mancano, probabilmente ancora una volta a causa delle difficoltà che si riscontrano quando si analizzano paesi come questi, dove è piuttosto difficile operare tramite indagini statistiche e sociali, a causa dell’elevato stato di arretratezza in cui vengono a trovarsi molti di essi, ed è chiaro come le difficoltà aumentino qualora si voglia essere ancora più precisi e fare distinzioni quali quelle che vengono fatte per alcuni dati tra maschi e femmine. Ci limiteremo quindi, per cause di forza maggiore, a fare qualche commento sui dati che si hanno a disposizione, ed eventualmente ricorreremo ad altre fonti qualora posseggano i dati a noi mancanti, anche se non avranno le differenziazioni presenti in questa tabella. Dalla tabella si evince innanzitutto che ancora una volta il Marocco è il paese che più di tutti si avvicina ai valori dei Paesi sviluppati, con una natalità tra le donne nella fascia d’ età 15-19 anni abbastanza bassa (24‰), addirittura più bassa di quella riscontrata nei paesi più sviluppati. Ciò fa pensare che probabilmente la nascita del primo figlio avvenga per le donne anche in questo paese oltre i 19 anni. C’è una buona diffusione dei metodi contraccettivi e un numero medio di figli per donna abbastanza modesto. Da altre fonti62 ricaviamo che la diffusione dell’ AIDS è dello 0.1%, ma non abbiamo dati distinti per maschi e femmine. Per quanto riguarda il Camerun invece, possiamo osservare un’elevato tasso di nascite per le donne di età compresa tra i 15 e i 19 anni, dal quale deduciamo un tasso elevato di gravidanze tra le adolescenti. Lo stesso vale per la Guinea Equatoriale, dove anzi questo tasso è ancora più elevato. La diffusione dei contraccettivi in Camerun è quasi inesistente, soprattutto dei metodi moderni, la diffusione dell’AIDS abbastanza elevata così come il numero medio di figli per donna, elevatissimo anche in Guinea Equatoriale. Paradossalmente si può invece osservare che la percentuale di nascite con personale qualificato è molto più elevata in Guinea Equatoriale e in Camerun, accostandosi addirittura alla media mondiale, che in Marocco. La salute riproduttiva è un diritto umano, una struttura portante del capitale umano e un aspetto fondamentale della parità tra i sessi. E’ parte integrante del benessere delle donne e delle loro famiglie.63 Le donne più povere hanno in questo senso le necessità più pressanti e, loro, le loro famiglie, e la società in generale hanno tutto da guadagnare dai miglioramenti apportati alla loro salute riproduttiva. I problemi correlati con la sua mancanza spingono spesso intere famiglie ancora più in basso nella soglia di povertà64. Le donne veramente povere, che hanno di norma minor accesso alla contraccezione, trovano spesso difficile riuscire a determinare quanti figli avere, e con quale intervallo tra una nascita e l’altra. Tale difficoltà limita le loro prospettive di salute e di occupazione stabile, nonché quelle di perseguire migliori opportunità economiche in grado di elevare il loro tenore di vita65. La condizione di salute riproduttiva di una donna si riflette pesantemente anche sui suoi figli – il futuro capitale umano di ogni nazione – e pertanto ha implicazioni socio-economiche sia a breve che a lungo termine. I servizi per la salute riproduttiva, attraverso gli strumenti per la pianificazione delle nascite, consentono alle donne di aspettare qualche anno prima di avere figli, in modo da poter completare la propria formazione, inserirsi nel mondo del lavoro e acquistare 62 Fonte: Calendario Atlante De Agostini 2007; Istituto Geografico De Agostini Novara; anno 103°; Fonte: UNFPA, Achieving the Millennium Development Goals: Population and Reproductive Health as Critical Determinants, Population and Development Strategies Series, n.10, UNFPA, New York, 2003b 64 Fonte:Narayan, D., et al., Can Anyone Hear Us? Voices From 47 Countries. Voices of the Poor: Volume 1, Oxford University Press for the World Bank, New York, 1999. 65 Fonte: McCauley, A. P., et al., "Opportunities for Women Through Reproductive Choice”, in Population Reports, Serie M. n. 12. Population Information Program, Johns Hopkins School of Public Health, Baltimore, Maryland, 1994. 63 48 capacità ed esperienza. Laddove c’è ampia disponibilità di contraccettivi, le donne tendono a rimandare la nascita del primo figlio, ad avere meno gravidanze e ad abbreviare il periodo dell’ attività riproduttiva. Per le adolescenti sessualmente attive (sposate o meno), la pianificazione familiare può costituire la differenza tra una gravidanza precoce e l’istruzione. I problemi di salute riproduttiva minano gli sforzi per ridurre la povertà perché fanno calare la produttività: i problemi di salute riproduttiva, infatti, sono una delle principali cause di malattia e affliggono in modo sproporzionato donne e adolescenti. Riducono la produttività femminile nel mondo del lavoro (in alcuni casi anche del 20%) e costano complessivamente nel mondo, ogni anno, 250 milioni di vita riproduttiva66. E’ stato accertato che dare la libertà e i mezzi per avere il numero di figli che si desidera, porta ad avere famiglie meno numerose, un tasso di crescita demografica più ridotto e minore pressione sulle risorse naturali. Secondo le previsioni, la popolazione mondiale è destinata ad aumentare – presumendo che la contraccezione continui a diffondersi con il medesimo andamento storico – dai 6,5 miliardi di persone attuali fino a 9,1 miliardi entro il 205067. La maggior parte di questa crescita si verificherà nei paesi che lottano contro la povertà. Rispondere alla domanda ancora insoddisfatta di contraccettivi da parte di singoli e di coppie è necessario dal punto di vista dei diritti umani. La riduzione della fecondità non desiderata comporta anche importanti implicazioni a livello macro-economico. La salute riproduttiva, inoltre, può apportare importanti benefici economici, grazie al cosiddetto “dividendo demografico”. Nei paesi che hanno affrontato una transizione demografica, che si traduce in una riduzione dei tassi di mortalità e fecondità, le strutture della popolazione subiscono dei cambiamenti. Le famiglie diventano meno numerose, con una maggiore percentuale di adulti giovani che entrano nella vita riproduttiva, ma con meno figli e parenti anziani a loro carico. Una volta avviate le politiche sociali ed economiche appropriate, tutto questo può avere come esito un incremento dei risparmi e una quantità maggiore di risorse disponibili da investire per ciascun figlio. A livello nazionale, ciò si traduce in maggiori investimenti per generare una nuova produttività e crescita economica68. E’ importante osservare come i ricercatori calcolino che tra il 2000 e il 2015 i paesi in via di sviluppo potrebbero utilizzare i loro dividendi demografici per ridurre la povertà di circa il 14 per cento69. Accesso ai servizi di salute riproduttiva significa infine grande risparmio per la sanità pubblica e per altri servizi sociali: i problemi legati alla salute riproduttiva si possono in gran parte prevenire. Pertanto, sistemi sanitari potenziati e miglior accesso ai servizi possono evitare molti di questi problemi e le loro dispendiose conseguenze. Cap. 4 L’empowerment nei Progetti di Sviluppo dell’O.S.V.I.C. Ora verranno presi in esame alcuni progetti dell’ OSVIC che hanno come oggetto la promozione del processo di empowerment femminile, nei Paesi in cui questo Organismo opera. Prima di fare ciò è opportuno riportare alcune notizie storiche sull’Organismo, per focalizzare meglio i suoi ambiti di intervento e le modalità operative. 66 Fonte: The Alan Guttmacher Institute, “The Benefits of Investing in Sexual and Reproductive Healt”, in Issues in Brief, Serie No.4, The Alan Guttmacher Institute, New York, 2004. 67 Fonte: United Nations, World Population Prospects: The 2004 Revision: Highlights (ESA/P/WP.193), Population Division, Department of Economic and Social Affairs, United Nations, New York, 2005b. 68 Fonte: Bloom, D. E., et al., A New Perspective on the Economic Consequences of Population Change, RAND, Santa Monica, California, 2002.; e Birdsall, N., et al. (a cura di), Population Matters: Demographic Change, Economic Growth, and Poverty in the Developing World, Oxford University Press, New York, 2001; e Singh, S., et al., Adding It Up: The Benefits of Investing in Sexual and Reproductive Health Care, The Alan Guttmacher Institute e UNFPA, New York, 2004. 69 Fonte: Bloom, D., e D. Canning, “Population, Mason, A., e S. H. Lee, “The Demographic Dividend and Poverty Reduction”. 49 L’Organismo è impegnato a livello internazionale, non ha scopo di lucro e si pone al servizio di ogni uomo e di tutto l’uomo, con particolare attenzione alle popolazioni più disagiate. L’OSVIC nasce nel 1981 ad Oristano, come associazione regionale impegnata nelle attività di cooperazione internazionale. E’ una Organizzazione non Governativa, riconosciuta idonea dal Ministero degli Affari Esteri, con decreto n° 1193 del 27/05/1986 (ai sensi della legge n° 38/79) e riconfermato con decreto n° 1988/128/004187/2D del 14/09/1988 ai sensi della legge n. 49/1987. Ha Sede legale ad Oristano, in via Goito n° 25, e aderisce alla Federazione Nazionale Volontari nel Mondo – FOCSIV, dal 1983. Le finalità principali dell’ organismo sono: sensibilizzare e informare l’opinione pubblica in merito alle tematiche dello sviluppo integrale, della giustizia e della solidarietà tra popoli; organizzare programmi di intervento, preparando e inviando volontari che si impegnano con la loro opera alla crescita integrale dell’uomo, in Africa, Asia e America Latina. Numerose sono le attività dirette alla promozione di una effettiva partecipazione della comunità di base dei Pvs all’autosviluppo, con progressiva assunzione di responsabilità nei vari settori. Le persone che lavorano con l’OSVIC, inoltre, favoriscono lo scambio tra culture diverse, per un arricchimento reciproco. Gli interventi dell’associazione si svolgono principalmente in due aree diverse: • Sul territorio nazionale è importante il coinvolgimento di scuole, gruppi giovanili, operatori educativi e associazioni di volontariato locale, nella convinzione che il primo cambiamento vada rivolto al proprio ambiente, suscitando atteggiamenti e stili di vita che generano sentimenti di pace e convivialità, di responsabilità e condivisione. • Il ruolo nei Pvs, invece, si realizza con programmi multisettoriali che agiscano soprattutto al livello sociale, sanitario e di risanamento ambientale. Una attenzione più specifica è rivolta alla promozione della donna sotto tutti gli aspetti: alfabetizzazione, protezione della maternità, avviamento professionale e vendita dei prodotti agricoli e artigianali. Il lavoro dei volontari si realizza con la volontà e la cultura di agire per una nuova coscienza internazionale di pace e cooperazione allo sviluppo, perché tutti abbiano le stesse possibilità di vivere la propria realtà nelle migliori condizioni. I Paesi di intervento dell’ OSVIC sono Guinea Equatoriale, Cameroun, Marocco, Kenya, Sudafrica, Argentina e India70. Alcuni progetti di questi paesi verranno ora analizzati: PROGETTO MAROCCO (in due fasi)71: INTERVENTI DI SOSTEGNO ALLA PROMOZIONE DELLA DONNA NEL CIRCOLO DI RHAFSAI, realizzato con il contributo della Regione Autonoma della Sardegna (L.R. 19/96)72. L’Osvic, che già ha promosso degli interventi sul territorio marocchino in anni precedenti, si trova oggi ad agire nella provincia di Taounate, nel Municipio di Rhafsai, un territorio nelle zone rurali, privo di infrastrutture, di corrente elettrica, di acqua potabile e di qualsiasi servizio socio- sanitario di base. Molti villaggi del territorio risultano inoltre privi di scuole elementari e centri ambulatoriali di base. La provincia di Taounate, ubicata nella regione settentrionale di Taza-Al Houceima-Taounate, si estende su una superficie pari al 3,3% della superficie totale del Paese, ed è abitata dal 6,5% della popolazione marocchina. La densità media per Kmq si aggira intorno ai 38 70 Fonte: “Il cammino della solidarietà”, Volontari nel mondo Focsiv, sett. 1998, Comas Grafica s.r.l. Fonte: Progetto OSVIC co-finanziato dalla Regione Autonoma della Sardegna: “Interventi di sostegno alla promozione della donna nel Circolo di Rhafsai, Provincia di Taounate, Marocco”, L.R. 19/96 (Seconda annualità), Oristano, novembre 2004. 71 50 abitanti per Kmq. Taounate ha una popolazione totale di 638.000 abitanti, il 42% al di sotto dei 15 anni. La popolazione è segnata da una predominanza femminile. La Provincia di Taounate è una delle meno servite del Marocco; soprattutto nelle aree rurali, le condizioni igienico sanitarie sono molto difficili, con abitazioni costruite in mattoni crudi, alcune in muratura, spesso fatiscenti, prive di servizi igienici e acqua corrente. Tale è la situazione dei villaggi nel Circolo di Rhafsai. I dati sociodemografici relativi alla provincia, indicano un divario oggettivo per genere, per ciò che concerne l’ istruzione. Il tasso di alfabetizzazione della popolazione di età superiore ai 10 anni, è del 46,2% per i maschi e dei 11,9% per le donne, e scende all’ 8,3% se riferito alle donne delle zone rurali di età compresa fra i 15 e i 49 anni. Tale rapida panoramica sarà utile a evidenziare la situazione in cui vive la popolazione della zona oggetto d’esame e le esigenze delle stessa. In parternariato con l’Associazione marocchina Andea (Association Nour pour l’Environnement, le Développement et l’ Alphabétisation), il Progetto vuole offrire opportunità alle donne dell’Associazione in campo socio-sanitario e organizzativo. Esso è finalizzato a promuovere iniziative mirate allo sviluppo integrale della donna e sostenere forme di aggregazione sociale femminile nel Circolo di Rhafsai. L’intervento vuole migliorare le condizioni di vita delle donne e delle famiglie, sia dal punto di vista della salute e dell’habitat, sia dal punto di vista sociale, e favorire la loro integrazione nei processi di sviluppo. Il Progetto propone la realizzazione di un intervento di sostegno alla promozione della donna e dei bambini, nel settore educativo, socio-sanitario ed economico. L’azione è volta a contribuire alla riduzione della povertà, e migliorare le condizioni di vita della popolazione rurale, soprattutto, come già ribadito, delle donne nel Circolo di Rhafsai. Finalità generale del Progetto è, dunque, quello di migliorare le condizioni di vita delle donne, dei bambini e delle famiglie, sia dal punto di vista della salute, sia dal punto di vista sociale, favorire la loro integrazione nei processi di sviluppo e la riduzione delle disparità fra i sessi. Il Progetto è strutturato in un modulo A (settore sanitario), che prevede la cura dell’igiene, dell’alimentazione e il risanamento ambientale e in un modulo B (settore socio-educativo), che prevede la promozione della donna, l’educazione di base, in particolare la scolarizzazione delle bambine, l’alfabetizzazione dei giovani adulti e la formazione professionale, anche in vista di uno sviluppo economico, e la sensibilizzazione degli alunni delle scuole locali. Vediamo nel dettaglio i due moduli: MODULO A Gli obiettivi specifici del modulo A riguardano: - L’organizzazione di seminari per l’educazione sanitaria delle donne, per la prevenzione delle malattie più diffuse, la protezione materno-infantile, la pianificazione familiare e la diffusione di nozioni di educazione sanitaria, igiene e medicina preventiva tra i giovani e nelle scuole; - La realizzazione di seminari e di interventi nelle scuole per la prevenzione delle piaghe del tabagismo e della droga; - L’avvio della campagna di sensibilizzazione “Città pulita” nelle città, presso i gruppi sociali, i gruppi di donne e all’interno delle scuole, sull’importanza della salubrità dell’ambiente, dell’igiene e dell’acqua potabile; - Il risanamento ambientale tramite il riassestamento di punti d’ acqua, sorgenti, pozzi, sia in ambito familiare sia nei villaggi; - L’incremento della costruzione di latrine domestiche; I risultati attesi e i benefici previsti in questo primo modulo del Progetto, riguardano prevalentemente l’educazione sanitaria, la responsabilizzazione e la partecipazione attiva della popolazione alla tutela della salute, e di conseguenza il potenziamento della qualità di vita per tutta la popolazione. La disponibilità di acqua e il risanamento 51 dell’habitat nei vari villaggi sarà un risultato di grande vantaggio per tutta la comunità in questione. Per ottenere il raggiungimento dei risultati previsti dal Progetto nel modulo A, è prevista la realizzazione dei seguenti gruppi di attività: 1) Realizzazione di incontri con i responsabili delle comunità locali (sindaci, capi villaggio, notabili), per avere una visione globale della situazione socio-sanitaria delle donne. 2) Realizzazione di iniziative per l’animazione, la sensibilizzazione e l’educazione socio-sanitaria presso i gruppi di donne, nelle scuole nel Comune di Rhafsai e nei villaggi del circolo situati in zone rurali. 3) Attività di sensibilizzazione e di informazione della popolazione relativa all’importanza dell’acqua potabile, al risanamento dell’habitat e all’igiene della persona, di educazione alimentare e nutrizionale; 4) Risanamento punti d’acqua (sorgenti, pozzi), per ottenere acqua potabile; 5) Campagne di sensibilizzazione della popolazione per la costruzione di latrine domestiche; MODULO B Gli obiettivi specifici del modulo B riguardano: - Il sostegno al Centro sociale femminile per l’aggregazione delle donne e la collaborazione con le realtà aggregative femminili sul territorio; - Lo svolgimento di seminari per presentare agli studenti e alle donne il nuovo Codice della famiglia marocchino, uno strumento legale che i più deboli possono utilizzare per difendere i propri diritti. Tramite i seminari inoltre si potrebbe sensibilizzare la società sull’importanza della scolarizzazione delle bambine e dell’alfabetizzazione delle donne adulte; - La realizzazione di corsi e di iniziative di formazione e avviamento professionale per le donne nel campo tessile, del ricamo e del piccolo allevamento; - L’attivazione del micro-credito per agevolare le donne nell’avvio delle iniziative economiche proposte; I risultati attesi del modulo B si concretizzano in una maggiore comprensione dell’importanza della scuola da parte dei genitori e una maggiore frequenza alla scuola da parte delle bambine. Si prevede inoltre di offrire una formazione professionale alle donne per incrementare l’economia familiare. L’incremento dell’alfabetizzazione delle donne del Circolo di Rhafsai e l’avviamento di alcune attività economiche gestite dalle donne (tessile, allevamento) sono altri benefici prodotti dal Progetto. La donna acquisterà una creatività nuova che l’aiuti ad essere più partecipe delle attività sociali ed economiche. In tal modo potrà esprimere non solo le proprie potenzialità, ma riuscirà anche ad acquisire una certa autonomia economica. Per ottenere il raggiungimento dei risultati previsti dal Progetto nel modulo B, è prevista la realizzazione dei seguenti gruppi di attività: 1) Azioni di collaborazione con le realtà aggregative femminili esistenti in loco: gruppi di donne, associazioni per valutare la possibilità di instaurare un rapporto di collaborazione nello svolgimento delle attività previste dal progetto; 2) Realizzazione di seminari per presentare agli studenti delle scuole superiori e ai gruppi delle donne il nuovo Codice della famiglia marocchino, perché siano in grado di conoscere e difendere i propri diritti; 3) Programmazione di seminari per la promozione e formazione della donna e per favorire la scolarizzazione delle bambine e l’alfabetizzazione delle donne giovani e adulte; 52 4) Avvio di iniziative per la formazione professionale delle donne (tessile, ricamo, cucito, e allevamento di animali domestici); 5) Realizzazione di seminari e interventi nelle scuole per la prevenzione delle piaghe del tabagismo e della droga; 6) Attivazione di azioni per l’aggregazione sociale femminile sia ex novo, sia sostenendo quelle già esistenti; 7) Attivazione di microcredito per 10 donne; Questo Progetto appare di grande rilevanza nel favorire e accelerare il processo di empowerment femminile in questa zona del Marocco, facendo si che le donne di ogni età riescano a raggiungere un sufficiente grado di autonomia e realizzazione personale, sotto diversi punti di vista, che vanno da quello economico a quello sociale a quello della tutela della salute, grazie a mezzi quali l’istruzione, corsi di avviamento professionale (cucito, allevamento…) nonché la circolazione di informazioni atte a fornire adeguate conoscenze anche nel campo dei diritti dei quali esse sono portatrici. PROGRAMMA DI ANIMAZIONE SOCIO – SANITARIA NELLA ZONA DI ATEGA, CAMEROUN Questo progetto dell’OSVIC si inserisce all’interno del Piano quinquennale di sviluppo nazionale della Repubblica Cameroun, relativo al 1986-1991. Il presente progetto è multisettoriale, comprende il settore sanitario e sociale e in particolare prevede la promozione della donna. - Nel settore sanitario è auspicata la copertura sanitaria di tutta la popolazione negli aspetti della prevenzione, cura, educazione sanitaria allo scopo di: sradicare le endemie più diffuse, in particolare le malattie infettive dovute soprattutto all’acqua non potabile e migliorare il livello di salute della popolazione e innalzare l’età media della vita. Il Piano di sviluppo sanitario, previsto nel centro di Atega, presume la costruzione di un Ambulatorio di base e di un reparto maternità, e presuppone: la priorità della medicina preventiva, la creazione di centri di sanità nelle zone rurali e la mobilitazione della popolazione, perché sia coinvolta nell’impegno di sviluppo autocentrato, rendendo partecipi in modo particolare le donne. - Nel settore sociale gli obiettivi del piano sono: l’ innalzamento del livello di vita della popolazione rurale, l’incremento della produzione agricola, l’ammodernamento delle strutture e il freno all’ esodo rurale. La zona del progetto di Atega si trova nel dipartimento di Niong et So (capoluogo Mbalmayo) e nella sottoprefettura di Dzeng. La sua popolazione è di circa 10.000 abitanti73, raggruppati in quattro settori (Atega, Komassi, Biyebe, Mbanga), che comprendono una quarantina di villaggi, disposti, la maggior parte, lungo la strada che collega i diversi settori. La strada che collega Atega con Dzeng e Yaoundè è in discrete condizioni, ma le piste che conducono ai villaggi spesso sono accessibili solo nella stagione secca. L’isolamento a cui sono costretti diversi villaggi, durante la stagione delle piogge, crea situazioni di grave disagio nel campo sanitario e sociale. Le terre situate nella zona del progetto appartengono generalmente a tutta la comunità, ma le famiglie ne hanno l’usufrutto per quello che vi coltivano. Nonostante vi sia abbondanza di terre coltivabili, le più accessibili sono già state occupate. La zona produce soprattutto cacao, fra le colture alimentari le principali sono soprattutto le banane plantain, l’arachide, la manioca, il mais e il macabò.Il rendimento medio è assai scarso. Il dissodamento del terreno viene fatto con l’aiuto del macete e la preparazione e la 73 Dati risalenti alla realizzazione del Progetto. 53 coltura viene fatta con l’ aiuto della zappa. Il ciclo di coltivazione, che fino a pochi anni fa era di otto anni circa, tende ad essere accorciato. Ciò dimostra un certo incoraggiamento e maggior produzione, dovuto a un miglioramento dei servizi di commercializzazione. La popolazione appartiene al gruppo Bëti (razza Bantù) e parla ewondo, mentre la lingua ufficiale della zona è il francese. La vita comunitaria nei villaggi è di tipo patriarcale. Sono gli uomini a prendere decisioni, i diritti fondiari e l’ usufrutto delle terre, e a decidere sulla destinazione delle entrate finanziare. Generalmente gli uomini si occupano delle colture commerciali (cacao, caffè) e di tutte le attività di guadagno, per esempio costruzioni e coltivazioni. e donne, invece, devono accudire i figli e badare ai lavori domestici, occupandosi anche degli approvvigionamenti essenziali. Le risorse finanziarie della donna provengono dalla vendita delle colture alimentari coltivate nei campi, spesso molto distanti dai villaggi. Il programma di intervento si estende nella zona Nord-est di Mbalmayo, nel centro del Cameroun. Le finalità generali che l’ intervento si propone di conseguire sono: - Miglioramento delle condizioni di vita; - Formazione del personale locale affinché sia promotore di autosviluppo; - Promozione della emancipazione della donna sia da un punto di vista culturale che economico-gestionale; L’intervento pertanto valorizzerà al massimo le forze e le capacità umane esistenti nella comunità di Atega. Gli obiettivi specifici del Programma, realizzati con il giusto coinvolgimento delle forze sociali operanti nel territorio (amministrazione civile, Chiesa locale), sono: - L’ animazione socio-sanitaria sul territorio; - La formazione del personale locale (quadri locali), con la preparazione degli operatori e operatrici sanitari e delle animatrici rurali; La figura delle animatrici rurali in particolare merita qualche nota di approfondimento: esse sono donne, anche giovani, che ricevono preparazione attraverso corsi di aggiornamento e di formazione professionale (es: taglio-cucito, piccolo allevamento, alimentazione e igiene) promossi dall’OSVIC, per essere poi in grado di promuovere all’ interno delle loro comunità attività inerenti l’educazione, l’alfabetizzazione, la sanità, l’allevamento e il commercio. Per la formazione di animatrici rurali si terrà «Un projet de formation animatrices sociales et des responsables de Comités villageois de Santé aux tecniques d’animation» che verrà tenuto dal sociologo camerounese Augustin Touani, responsabile del CERFAP di Mbalmayo, che opera nel settore dell’autopromozione e all’INADES-FORMATION-CAM sotto la tutela del Ministero dell’Agricoltura del Cameroun. Il corso sarà articolato in sessioni e si svolgerà in diversi villaggi. Le partecipanti infine sosterranno un esame e otterranno il diploma di animatrici rurali. Per la formazione professionale di un gruppo di donne verrà avviata una Scuola per “Tailleurs”, in vista di una eventuale cooperativa, poi realizzata. - Il miglioramento delle condizioni di igiene individuale e dell’habitat; - Il miglioramento di vita generale delle famiglie e di ciascuno dei suoi membri; Per quanto riguarda il settore sanitario, l’obiettivo è di aiutare la popolazione nella ricerca e nella soluzione dei problemi di salute del villaggio mediante: la conduzione del Dispensario e dei Centri per la protezione Maternità e Infanzia (P.M.I.); il risanamento dei punti d’acqua; la costruzione di latrine; il miglioramento dell’habitat; l’educazione alimentare e nutrizionale; la prevenzione delle malattie; la formazione di operatori e operatrici sanitari locali; Per quanto riguarda il settore sociale, gli obiettivi sono: l’animazione sociale sul territorio da parte dei Volontari OSVIC, in collaborazione con le animatrici sociali locali formate dagli stessi Volontari; la 54 formazione professionale dei giovani e delle donne; la formazione del personale locale (quadri locali) nel campo dell’ animazione rurale. Verrà curata l’ educazione alimentare e nutrizionale, le coltivazioni, la produzione artigianale con materiali reperiti sul luogo, la conservazione dei prodotti e il loro smercio. Tutto ciò mirerà alla promozione della donna, per le quali si terranno oltretutto corsi di economia familiare, puericultura, igiene, pedagogia e corsi di taglio e cucito. Per incrementare il reddito delle donne, e il loro potere gestionale, sono stati creati dei campi comunitari, gestiti da esse stesse, per la produzione di prodotti alimentari, per il fabbisogno della famiglia e per il commercio. Per venire incontro alla forte esigenza culturale, soprattutto da parte dei giovani che non possono proseguire gli studi, si allestirà una piccola biblioteca, aperta a tutti gli abitanti dei villaggi. L’iniziativa offrirà anche un servizio per la formazione delle comunità con incontri, dibattiti cineforum e altro. La gestione verrà affidata ad una volontaria con la collaborazione dei giovani del posto. Nel biennio 1989/90, l’intervento nel settore sanitario e sociale si è riferito, soprattutto, all’animazione e alla sensibilizzazione della popolazione, perché diventasse essa stessa animatrice dell’ ambiente, coinvolgendo tutti al problema dello sviluppo autocentrato. Si è provveduto a ciò mediante riunioni e incontri periodici con i Comité de Santé74 dei vari villaggi, i cui membri dopo un’ adeguata formazione hanno continuato a gestire le attività del programma. Ogni fase del programma è stata verificata con la controparte e con la popolazione locale, e insieme si sono elaborate le fasi successive, procedendo gradualmente al passaggio delle attività al personale locale, secondo il grado di preparazione e di responsabilità raggiunto da questi. Mediante missioni di valutazione i responsabili dell’ Organismo hanno proceduto annualmente alla verifica del programma, recandosi sul luogo e prendendo contatti con le controparti, e riservandosi di modificare il programma stesso qualora se ne sia riscontrata la necessità75. PROGETTO PER LA GUINEA EQUATORIALE: PROGRAMMA DI COOPERAZIONE SANITARIA E SOCIALE IN NKUEFULAN (PROVINCIA DI KIE’ – NTEM) La richiesta di intervento nella Guinea Equatoriale, per la realizzazione di un Progetto sanitario e sociale nella zona di Nkué è stata inoltrata all’OSVIC nel gennaio 1987 da Mons. Ildefonso Obama, Vescovo di Ebebiyin – diocesi alla quale appartiene il Comune di Nkué. A tale necessità d’ aiuto, l’OSVIC ha risposto affermativamente, e ha cominciato a prendere i primi contatti con la controparte locale. Il Vescovo, facendosi carico dei bisogni della popolazione locale, ha richiesto un Programma mirato alla creazione di un Centro di salute, all’animazione sociale sul territorio, e alla formazione del personale locale. Tale richiesta fu dovuta al fatto che il Comune di Nkué (duemila abitanti), e tutta la zona circostante (diecimila abitanti circa)76 fossero privi di strutture e servizi sociali di base, adeguati alle necessità della popolazione. Inoltre Nkué era, una volta, un centro culturale, sociale e religioso importante ed ora desideroso di creare centri di promozione umana. Nel Comune di Nkué, si trovavano ancora molti edifici, scuole e collegi. Negli anni ’60 esisteva anche un piccolo ospedale, abbastanza attrezzato, che si ritrovava però ad essere in completo stato di abbandono e totalmente privo di personale. 74 Gruppi di individui appartenenti ad una comunità, che si fanno carico dei suoi problemi e cercano di risolverli con essa. Fonte: Progetto OSVIC co-finanziato dal MAE: “Programma di animazione socio-sanitaria nella zona di Atega, Cameroun”, Riconduzione 1989/1990, OSVIC. 76 Dati risalenti al periodo di richiesta del Progetto sanitario e sociale all’ OSVIC da parte del Vescovo di Ebebiyin. 75 55 Vista quindi l’importanza della regione, la carenza di strutture e la disponibilità di edifici di cui era possibile il recupero, la proposta che venne fatta all’OSVIC fu quella di creare un Centro sanitario di secondo livello (un dispensario), che servisse il territorio municipale, coordinando la propria attività con le iniziative già presenti. L’area interessata dal presente Progetto corrispondeva al territorio del Municipio di Nkué, situato nella regione continentale della Guinea Equatoriale o Rio Muni, provincia di Kié-Ntem, distretto di Micomeseng. La superficie era di circa 1000 Kmq, con una popolazione complessiva di ottomila abitanti, appartenenti prevalentemente all’etnia degli Ntumu-Fang. Di questi circa duemila erano concentrati nel centro abitato di Nkué, mentre la maggior parte vivevano nei 27 villaggi dispersi nella foresta che ricopre completamente il territorio77. Il centro di Nkué dista 130 Km da Ebebiyin, che è il capoluogo della Provincia di Kié-Ntem e sede della Diocesi omonima, 103 Km da Bata, che è il capoluogo della regione (strada parzialmente asfaltata), 28 Km da Micomeseng, che è il capoluogo di distretto, e rispettivamente 33 e 44 Km dagli importanti centri di Niefang e Anisoc. Tra i bisogni espressi dalla popolazione risultavano prioritari quello a carattere sanitario e sociale. Dal punto di vista igienico-sanitario le condizioni erano particolarmente critiche, innanzitutto per la mancanza di acqua potabile e quindi per la diffusione di diverse patologie. Tra queste citiamo la malaria (con forme resistenti), le parassitosi in generale (verminosi, tripanosmiasi, ecc..), infezioni dell’apparato urogenitale (con numerose malattie veneree), malattie e disturbi della gravidanza (è molto alta la mortalità per parto), infezioni di diverso tipo (epatiti), ernie ombelicali e inguinali e malattie infantili (morbillo, diarree, malnutrizione e denutrizione). La lebbra, dopo un periodo di recrudescenza, si trovava sotto controllo, grazie all’azione del lebbrosario di Micomeseng. Le strutture di assistenza cui poteva rivolgersi la popolazione erano: - Il centro di Micomeseng a 28 Km di distanza, che sarebbe dovuto essere un piccolo ospedale (peraltro in pessime condizioni), per la presenza di un medico, ma che in pratica era un dispensario in cui, oltre al medico locale operavano delle infermiere cooperati spagnole; - Il dispensario di Niefang a 33 Km di distanza; - Il dispensario di Anisoc a 44 Km di distanza; - L’ospedale di Bata a 103 Km; Se si considera la povertà di mezzi economici e la scarsità di veicoli nel Paese, si comprende bene come potesse essere difficile per la popolazione usufruire di un servizio sanitario di base. Dal punto di vista sociale i bisogni prioritari risultavano quelli riguardanti: il raggiungimento dell’autosufficienza alimentare, l’accrescimento delle attività rurali, anche tramite iniziative di nuove coltivazioni o di piccoli allevamenti, l’alfabetizzazione e l’educazione di base, la formazione professionale dei giovani, la promozione della donna e della famiglia, la potabilizzazione delle acque, il miglioramento delle vie di comunicazione. 77 Dati risalenti al periodo di richiesta del Progetto sanitario e sociale all’ OSVIC da parte del Vescovo di Ebebiyin. 56 Il Programma intendeva rispondere ad una richiesta concreta, pervenuta dalla popolazione locale, e pertanto si proponeva di valorizzare al massimo le forze e le capacità umane esistenti nella comunità municipale di Nkué, privilegiando con il loro intervento il settore sanitario e sociale. Esso, aveva come finalità generale il miglioramento delle condizioni di salute della popolazione locale, la promozione dei processi di sviluppo tendenti al raggiungimento di migliori condizioni di vita e la promozione del processo di autonomia e delle capacità di autogestione della donna. Lo studio delle realtà ambientali e culturali della Guinea Equatoriale, e in particolare della zona in cui l’OSVIC è stato invitato ad operare, e l’analisi dei bisogni più immediati della popolazione, ha orientato le linee d’azione e la scelta di intervenire in più settori con la seguente metodologia: Inizialmente si è data rilevanza all’animazione e alla sensibilizzazione della popolazione, in modo che, affiancata dal lavoro dei volontari, si senta attivamente partecipe e responsabile di uno sviluppo autocentrato. Il Programma intendeva raggiungere gli obiettivi, facendo sperimentare alla gente la possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita. Venne data priorità all’organizzazione del settore sanitario, come abbiamo visto molto carente nella zona, perseguendo la strategia delle SSP Soins de Santé Primaire) o PHC (Primari Health Care) lanciate dall’OMS fin dal 1978, e rilanciate e ribadite dalle Conferenze di Bamako (Mali) nel 1983 e 1989. Per garantire a tutti una buona tutela della salute, si è intervenuti contemporaneamente nello sviluppo sociale (istruzione, alimentazione, attività produttive, ecc..). Cura particolare è stata data al campo dell’educazione e della formazione, intese a dare una coscienza della necessità di partecipare attivamente al miglioramento della propria vita e a quella del Paese. Mediante riunioni, incontri periodici e stages, si è cercato di formare la popolazione dell’ambiente rurale, cercando di individuare, promuovere e seguire le persone più adatte a continuare le attività previste dal Programma. La metodologia che è stata seguita, ha mirato anche alla prassi dell’autogestione e dell’autofinanziamento, compatibilmente con la situazione locale. Ogni fase del Programma è stata verificata con la controparte e la popolazione locale. Insieme queste, hanno elaborato le fasi successive, procedendo gradualmente al passaggio delle attività agli operatori locali, secondo il grado di preparazione e di responsabilità raggiunto da questi. La realizzazione del presente Progetto prevedeva una durata di sei anni; questo arco di tempo era il minimo prevedibile, tenuto conto che il processo formativo era abbastanza lungo. Mediante missioni di valutazione, i responsabili dell’Organismo hanno proceduto annualmente alla verifica del Programma, recandosi sul luogo e prendendo contatti con le controparti, e si sono riservate il diritto di modificare il Programma stesso ogni qual volta se ne sia riscontrata la necessità78. Tra i progetti in fase di realizzazione dall’Organismo, è opportuno infine metterne in rilievo uno che, pur non avendo come finalità principale il favorire il processo di empowerment femminile, tuttavia incide in maniera molto forte su esso: PROGETTO KENYA: SOSTEGNO ALLA CASA TUMAINI PER BAMBINI ORFANI E SIEROPOSITIVI La casa Tumaini è un’iniziativa finalizzata a promuovere il recupero dei bambini e dei ragazzi orfani e abbandonati, Hiv positivi, del distretto di Nanyuki, in Kenia. In questo Paese, il 50 % della popolazione vive al di sotto della linea di povertà. C'è una speranza di vita media di 52 anni; attualmente il paese è uno tra i più colpiti dalla 78 Fonte: Progetto OSVIC: “Programma di cooperazione sanitaria e sociale Nkuefulan (Provincia di KIE’-NTEM) - Guinea Equatoriale”, OSVIC – Oristano, Marzo 1990. 57 rapida diffusione del virus dell'Hiv. Stime ufficiali parlano di 2.000.000 di persone infette. E' in tale contesto che l'Arcivescovo della diocesi di Nyeri ha presentato all'Osvic una richiesta di aiuto e di invio di personale qualificato per realizzare il Centro Orfani e gestirne le attività. Così è nato il progetto "Sostegno al Centro Tumaini per orfani HIV”, a Nanyuky, sostenuto e promosso attualmente dall'Osvic. La casa della speranza, “Tumaini Children’s Home”, è un’iniziativa finalizzata ad accogliere bambini e ragazzi, orfani e abbandonati, HIV positivi, del distretto di Nanyuki in Kenia, nel centro Tumaini, educandoli anche in vista di un futuro inserimento nella società. Il Progetto vuole anche ridurre l’impatto dell’AIDS nella zona, tramite campagne di prevenzione del virus, e formare il personale locale in materia sociosanitaria. Inoltre ha la finalità di accogliere, aiutare e curare i bambini sieropositivi; Tuttavia, rivolge un’attenzione particolare anche alla situazione della donne indigene: infatti, alla Tumaini operano venti persone locali, di cui il 70% sono donne. In questo modo, le donne coinvolte ricevono formazione sanitaria e sociale specifica, e un’equa remunerazione; ciò permette loro di acquisire più autonomia, di migliorare o addirittura creare un reddito familiare e così sostenere o contribuire all’educazione scolastica dei figli. Sempre in merito alla promozione dell’empowerment delle donne, inoltre, è stata creata una cooperativa di tipo agricolo, gestita dalle familiari dei bambini orfani. Le protagoniste della cooperativa sono, infatti, le nonne, le zie, le sorelle dei ragazzi residenti nella casa Tumaini o sostenuti tramite borse di studio presso le famiglie residue79. 79 Fonte: www.osvic.it 58 Conclusioni In questo lavoro abbiamo voluto mettere in risalto i grandi obbiettivi internazionali per l’empowerment femminile, che a partire dal 1970 la comunità internazionale si è data attraverso importanti Conferenze e Documenti promossi da Enti e Organizzazioni di rilievo mondiale. Abbiamo dunque analizzato le più importanti Conferenze che, anche se con uno spirito differente, si sono tutte preoccupate della condizione delle donne. Nella nostra analisi, abbiamo inizialmente parlato della Conferenza sulla popolazione di Bucarest del 1974, che aveva stabilito una correlazione fra il miglioramento della condizione femminile e le strategie di controllo della fecondità, per poi passare a quella che dieci anni dopo, svoltasi in Messico, fece del miglioramento della condizione delle donne un fine in sé. In seguito, abbiamo visto la Conferenza mondiale sui diritti umani (Vienna, 1993), e siamo scesi poi in un’analisi più particolareggiata per quanto riguarda la Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo (Cairo, 1994) e la quarta Conferenza mondiale sulle donne (Pechino, 1995), visto il ruolo centrale che hanno avuto nella modifica dei paradigmi che regolano le politiche sulla popolazione. Abbiamo poi analizzato la Dichiarazione del Millennio e i Millennium Development Goals. La Dichiarazione, si è svolta nel 2000 a New York in occasione del Vertice dell’Onu, nel quale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, adottando proprio la sopra citata Dichiarazione, ha stabilito alcuni obiettivi considerati prioritari nella lotta alla povertà, verso il perseguimento dei quali dovranno orientarsi gli sforzi di tutti i Governi e di tutte le principali Istituzioni internazionali per il Nuovo Millennio. Per il raggiungimento di questi obbiettivi appare importante il ruolo della cooperazione internazionale di cui abbiamo delineato le principali caratteristiche, soffermandoci in particolare sul ruolo che essa svolge anche nelle politiche di educazione allo sviluppo, dandone una definizione precisa, delineando le sue origini e le motivazioni che spingono i vari Stati e Organismi a metterla in atto, definendo gli attori che operano in questo importante campo, in particolare i donatori bilaterali, i donatori multilaterali e gli attori non governativi, ovvero la società civile e il settore privato. In particolare, importanti nel panorama della cooperazione internazionale sono le ONG. Abbiamo perciò analizzato l’azione dell’Osvic, Organismo Sardo di Volontariato Internazionale Cristiano, in alcuni paesi africani, di cui abbiamo descritto i principali interventi dopo aver dato una breve descrizione di questi paesi. Non è possibile valutare l’incidenza dell’azione delle Ong per la soluzione dei gravi problemi di molti dei paesi più poveri del mondo, ma certamente si può dire che la loro azione risulta di grande importanza per tenere vivi in Occidente e nei paesi ricchi i problemi che sorgono dalla forte disuguaglianza sociale fra primo, secondo e terzo mondo. Il ruolo delle ONG è anche un ruolo educativo e i suoi primi interventi si attuano proprio in Occidente, poiché consistono nel sensibilizzare e informare l’opinione pubblica (cittadini, studenti e giovani, insegnanti, ecc..) sulle tematiche dello sviluppo integrale dei popoli. In particolare l’Osvic, su tutto il territorio sardo, soprattutto nella Provincia di Oristano, svolge una serie di attività, aiutato da diversi sostenitori. Tali attività riguardano: - Giornate di formazione e informazione, gratuite e aperte a tutti; 59 - L’organizzazione di incontri con i giovani, gruppi parrocchiali e classi scolastiche, per educare e sensibilizzare i ragazzi ai problemi del sottosviluppo e per promuovere la pace tra i popoli; - L’organizzazione di eventi, convegni e seminari internazionali, con la partecipazione di ospiti estranei; - La realizzazione di corsi di lingua e cultura straniera; - La raccolta di medicinali da inviare in Africa; - La realizzazione di attività alternative quali la raccolta della carta (giornali, libri e riviste) destinata al macero, il cui ricavato viene impiegato per promuovere la scolarizzazione dei bambini dei paesi in via di sviluppo; Naturalmente poi, l’azione delle Ong, oltre ad avere un importante ruolo nei paesi in cui esse sorgono, incide fortemente anche nei paesi che stanno al di fuori dell’Occidente, con diversi programmi e progetti di aiuto e sostenimento nei loro confronti, essendo “associazioni private, senza fini di lucro, che promuovono e realizzano azioni di cooperazione internazionale finalizzate allo sviluppo dei paesi poveri”. Esse operano dunque sulla base dei principi di solidarietà tra i popoli, per la promozione ed il rispetto dei diritti fondamentali dell’umanità. 60 Bibliografia - AA.VV., Calendario Atlante De Agostani, Istituto Geografico De Agostani, Novara anno 103°, 2007; - AA.VV., Debitori di chi?” Un percorso di solidarietà, Volontari nel mondo FOCSIV, 1996-2000; - AA.VV., Governare la globalizzazione: guida per i cittadini del mondo alla scoperta della global governance, Volontari nel mondo FOCSIV, EMI; - AA.VV., Guida del Mondo, Il mondo visto dal sud, EMI Editore, 2005/2006; - AA.VV., Il cammino della solidarietà, Volontari nel mondo Focsiv, Comas Grafica s.r.l., sett.1998; - AA.VV., Un mondo possibile, VIS, rivista n° 7, settembre 2005; - Bonaglia F.– V. De Luca, La cooperazione internazionale allo sviluppo, Il Mulino, 2006; - Chu Junhong, Prenatal Sex Determination and Sex-Selective Abortion in Rural Central China, Population and Development Review 27 (2), 259-281, 2001; - Donnarumma A. 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