Dal Protagora di Platone

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Dal Protagora di Platone
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Materiale didattico a cura di Paolo Carmignani per la classe 1^ A L.C.
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Dal Protagora di Platone
Il tema del dialogo è stabilire se la virtù sia insegnabile o no. Socrate dialoga su questo tema con Protagora che aveva
fama di essere un maestro di sapienza. Per Socrate la virtù non può essere insegnabile, infatti un padre virtuoso
insegnerebbe al figlio ad esserlo; Protagora, invece, ritenendosi maestro di virtù, esprime l’opinione contraria.
Nel dialogo si affronta il tema di cosa sia sapiente il sofista: se il sofista insegna ad essere buoni cittadini allora significa
che l’arte della politica può essere appresa da tutti? Socrate invita Protagora a dimostrare le sue affermazioni ed il sofista
ricorre ad un mito.
Chi è il sofista?
— Sai, dunque, quello che ora stai per fare o ti rimane oscuro?, seguitai. — Riguardo a che cosa ?
— Tu stai per affidare la formazione della tua anima a un uomo che, come tu stesso dici, è un sofista; ma cosa mai
sia poi un sofista mi stupirei se tu lo sapessi. Eppure, se lo ignori, nemmeno sai a chi offri la tua anima, ne se sia bene o
male. — Ma io credo di saperlo, rispose — E allora, dì, che cosa credi che sia un sofista — Secondo me, rispose, e,
come dice il nome, un esperto di sapienza . — Oh sì, dissi, ma questo si può anche dire dei pittori e degli architetti, che
cioè siano esperti di sapien-za. Ma se qualcuno ci domandasse di qual parte del sapere sono esperti i pittori, probabilmente
gli risponderemmo di ciò che riguarda la composizione dei ritratti, e così via. Ma se quel tale ti ponesse poi la domanda:
" Ma il sofista, di qual parte del sapere è esperto?", cosa gli risponderemo ? quale è il suo ufficio ? — Che altro
diremmo, Socrate, se non che sofista è chi sappia rendere gli altri abili nel parlare? — Forse, risposi, diremmo il vero,
ma non in modo adeguato; in realtà la nostra risposta richiede un'altra domanda: su quale argomento il sofista rende abili
nel parlare? Il citaredo, ad esempio, rende senza dubbio abili a parlare su quello che sa, cioè intorno alle regole per suonare
la cetra. Non è vero ? — Sì.
— E va bene! ma il sofista in cosa rende abili nel parlare ? Evidentemente intorno a ciò di cui appunto si intende?
— È naturale. — Già, ma in che consiste ciò di cui il sofista è esperto egli stesso e rende istruito il suo seguace?
— Per Zeus!, esclamò, non ho più nulla da dirti.
La sofistica per Protagora
Personalmente sostengo che l'arte sofistica è antica, solo che fra gIi antichi coloro che la professarono temendo
quello ch'essa può avere di odioso, le hanno fatto come uno schermo e una maschera: gli uni l'hanno coperta sotto la
maschera della poesia come Omero, Esiodo e Simonide, […]
Tutti costoro, lo ripeto, per, timore di suscitare malevolenze si servirono di queste arti come di una maschera.
Personalmente non sono affatto d'accordo con tutta questa gente: io ritengo che costoro non abbiano raggiunto il loro scopo,
poiché non sono riusciti ad ingannare quelli che nelle città hanno in mano il potere e che sono i soli per i quali si è fatto uso
di quegli schermi; si, perché la massa non si accorge di niente, ma qualunque cosa quei tali potenti annunciano, questo
stesso la massa inneggia. […]
Ecco perché mi sono messo su di una.opposta strada e confesso d'essere sofista e di educare gli uomini, e credo che questa
mia previdenza sia migliore della loro, questo mio confessare quello che sono sia migliore di quel loro dissimulare; e, oltre a
questo, ho preso altre cautele sì da non dovere, con l'aiuto di Dio, subire nulla di grave per il fatto di confessarmi sofista.
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L’oggetto della sofistica per Protagora
L'oggetto del mio insegnamento consiste nel sapersi condurre con senno, così nelle faccende domestiche, tanto, da
amministrare nel modo migliore la propria casa, come nelle faccende pubbliche tanto da essere perfettamente
capace di trattare e discutere le cose dello stato.
Se ho ben capito, dissi, quello che vuoi dire, mi sembra che tu parli dell'arte politica e che ti proponi di formare
buoni cittadini. — Proprio questo, Socrate, concluse, è ciò ch'io mi propongo di professare.
Per Socrate la virtù politica non è insegnabile
— È una bella tecnica dissi, quella che possiedi, se la possiedi, ché sinceramente voglio dirti come la penso. Sì, Protagora,
io non credevo che la politica si potesse insegnare, ma poiché tu lo sostieni non sarò certo io a dubitarne. È d'altra
parte giusto ch'io dica su quale fondamento è nata questa convinzione che la politica non sia insegnabile e che a
nessun uomo sia possibile trasmetterla ad altro uomo. Io, come in fondo tutti i Greci, dico che gli Ateniesi sono sapienti.
Ebbene, vedo che, quando ci riuniamo in assemblea, se per la città si tratta di costruire edifici, vengono chiamati in qualità
di consiglieri gli architetti, se si tratta di navi i costruttori navali e via di séguito per tutte quelle arti che si ritiene possano
essere apprese e insegnate. Se, invece, uno qualsiasi, che non sia considerato un competente in materia, si mette a dar
consigli, anche se bello, ricco, nobile, non per questo gli danno retta, ma si mettono a ridere, e rumoreggiano fino a che
costui, che voleva dare consigli, o se ne va spontaneamente, assordito dallo schiamazzo, o, su ordine dei pritani, gli arcieri
lo strappano dalla tribuna e lo cacciano via. Così, dunque, si comportano quando si tratta di materia che ritengono oggetto
d'arte; quando, invece, si debba deliberare sul modo di condurre gli affari dello stato, indifferentemente si leva a dare il suo
consiglio un architetto, un fabbro, un calzolaio, un commerciante, un marinaio, un ricco, un povero, chi è di nobile nascita e
chi non lo è, e nessuno muove loro rimproveri come nel caso di prima, perché cercano di dare consigli senza preparazione
alcuna e senza avere avuto alcun maestro. Evidentemente ritengono che la virtù politica non sia insegnabile.
Mito di Prometeo ed Epimetéo sull’origine delle stirpi viventi raccontato da Protagora.
Se hai dunque, la possibilità di mostrarmi (Protagora) con maggior chiarezza che la virtù è insegnabile, non dire di
no, ma dimostramelo. - Ma no Socrate, disse, non dirò di no: solo che, desiderate che lo dimostri raccontando un mito 1
come i vecchi ai giovani, o esponendo un ragionamento? La maggior parte di coloro che gli stavano intorno rispose che
esponesse come meglio voleva. — E allora, affermò, mi sembra più piacevole raccontarvi un mito.
Tempo vi fu in cui esistevano gli dèi, ma non le stirpi mortali. Poi che giunse anche per le stirpi mortali il momento fatale
della loro nascita, gli dèi ne fanno il calco in seno alla terra mescolando terra e fuoco e tutti quegli elementi che si
compongono di terra e di fuoco. Ma nell'atto in cui stavano per trarre alla luce quelle stirpi, ordinarono a Prometeo e a
Epimetéo di distribuire a ciascuno facoltà naturali in modo conveniente. Epimetéo chiede a Prometeo che spetti a lui Ia cura
della distribuzione: « E quando avrò compiuto la mia distribuzione — dice — tu controllerai ». E così, avendolo persuaso, si
pone a distribuire. Ora, nel compiere la sua distribuzione, ad alcuni assegnava forza senza velocità, mentre forniva di
1
Si tenga conto che il racconto, in questo caso, è ritenuto più efficace dell’argomentazione nello spiegare un tema così complesso come l’insegnabilità o
meno della virtù politica. È uno dei casi in cui lo stesso Platone preferisce affidarsi al racconto (mito) perché più efficace di un ragionamento.
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velocità i più deboli; alcuni armava, mentre per altri che rendeva per natura inermi, escogitava qualche altro mezzo di salvezza. A quegli esseri che rinchiudeva in un piccolo corpo, assegnava ali per fuggire; o sotterranea dimora; quelli che,
invece, dotava di grande dimensione, proprio con questo li salvaguardava. E così distribuiva tutto il resto, sì che tutto fosse
in equilibrio. Ed escogitò tale principio preoccupandosi che una qualche stirpe non dovesse estinguersi. Dopo che li ebbe
provvisti di mezzi per sfuggire le reciproche distruzioni, escogitò anche agevoli modi per proteggerli dalle intemperie delle
stagioni di Zeus : li avvolse, così, di folti peli e di dure pelli, che bastavano a difendere dal freddo, ma che sono anche
capaci di proteggere dal caldo e tali inoltre da essere adatti quali naturale e propria coperta a ciascuno, quando avessero
bisogno di dormire. E sotto i piedi ad alcuni dette zoccoli, ad altri unghie e pelli dure prive di sangue; ad alcuni procurava
un tipo di alimento, ad altri un altro tipo; ad alcuni erba della terra, ad altri frutti degli alberi, ad altri ancora radici; ad alcuni
poi dette come cibo la carne di altri animali, ma a questi concesse scarsa prolificità, mentre a quelli che n'erano preda
abbondante prolificità, sì che la specie loro si conservasse. Solo che Epimeteo, al quale mancava compiuta sapienza aveva
consumato, senza accorgersene tutte le facoltà naturali in favore degli essere privi di ragione: gli rimaneva ancora da dotare
il genere umano e non sapeva davvero cosa fare per trarsi in imbarazzo. Proprio mentre si trovava in tale imbarazzo
sopraggiunse Prometeo a controllare la distribuzione: vede che tutti gli altri esseri viventi armoniosamente posseggono di
tutto, e che invece l'uomo è nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi: era oramai imminente il giorno fatale, giorno in cui
anche l'uomo doveva uscire dalla terra alla luce. Prometeo allora trovandosi appunto in grande imbarazzo per la
salvezza dell'uomo ruba ad Efesto e a Atena il sapere tecnico, insieme con il fuoco- ché senza il fuoco sarebbe stato
impossibile acquistarlo o servirsene.— e così ne fece dono all'uomo. L'uomo, dunque, ebbe in tal modo la scienza
della vita, ma non ancora la scienza politica: essa si trovava presso Zeus; ne più era concesso a Prometeo di andare
nell'Acròpoli .dov'è la dimora di Zeus (e davvero temibili erano, per di più, le guardie di Zeus); riesce, invece, a
penetrare di nascosto nella comune dimora di Atena e di Efesto dove essi lavoravano insieme, e, rubata l'arte del
fuoco di Efesto e l'altra propria di Atena, le dona all'uomo, che con quelle si procurò le agiatezze della vita.
Solo che, come si narra, Prometeo dovette a causa di Epimeteo, pagare la pena del furto
Come la virtù politica appartenga a tutti gli uomini
Come dunque l'uomo fu partecipe di sorte divina, innanzi tutto per la sua parentela con la divinità, unico tra gli
esseri viventi, credette negli dèi, e si mise ad erigere altari e sacre statue; poi, usando l'arte, articolò ben presto la
voce in parole e inventò case, vesti, calzari, giacigli e il nutrimento che ci dà la terra.
Così provveduti, da principio gli uomini vivevano sparsi, poiché non v'erano città. E perciò erano distrutti dalle fiere, perché
in tutto e per tutto erano più deboli di quelle, e la loro perizia pratica, pur essendo di adeguato aiuto a procurare il
nutrimento, era assolutamente insufficiente nella lotta contro le fiere: non possedevano ancora l'arte politica, di cui
quella bellica è parte. Cercarono, dunque, di radunarsi e di salvarsi fondando città: ma ogni qualvolta si
radunavano, si recavano offesa fra di loro, proprio perché mancanti dell'arte politica, onde nuovamente si
disperdevano e morivano.
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Allora Zeus temendo per la nuova specie, minacciata di andar tutta distrutta, inviò Ermes perché portasse agli uomini il
pudore e la giustizia affinché servissero da ordinarne della città e da vincoli costituenti unità di amicizia ". Chiede Ermes a
Zeus in qual modo debba dare agli uomini il pudore e la giustizia: « Debbo distribuire giustizia e pudore come sono state
distribuite le arti? Le arti furono distribuite così: uno solo che possegga l'arte medica basta per molti profani e lo stesso
vale per le altre professioni. Anche giustizia e pudore debbo istituirli negli uomini nel medesimo modo o debbo
distribuirli a tutti ? ». « A tutti, rispose Zeus, e che tutti ne abbiano parte: le città non potrebbero esistere se solo pochi
possedessero pudore e giustizia, come avviene per le altre arti. Istituisci, dunque, a nome mio una legge per la quale sia
messo a morte come peste della città chi non sappia avere in sé pudore e giustizia ». E così, Socrate, anche per questa
ragione, gli Ateniesi e tutti gli altri, qualora si debba discutere della capacità architettonica o di qualche altra attività
artigianale, ritengono che solo pochi abbiano il diritto di dare consigli, e se qualcuno che non appartenga a quei pochi
pretenda di dare il proprio parere, non lo sopportano, come hai detto ", e non a torto come dico io ; qualora invece, si
accingano a deliberare su questioni relative alla capacità politica, che si impernia tutta sulla giustizia e sulla saggezza, è
ragionevole che tutti vengano ammessi, poiché si ritiene necessario che ognuno sia partecipe 'di questa dote, o non esistano
città. Ecco Socrate, quale ne è la causa. […]
Ciò che sto dicendo è, dunque, prova che giustamente si accetta il consiglio di ogni uomo su questa virtù politica,
poiché si ritiene che ognuno ne partecipi; quanto poi al fatto che tale capacità, si pensa, non sia dovuta né a natura
né al caso, ma in chi si viene formando sia frutto di insegnamento e di studio cercherò di dimostrarlo. Allorché,
infatti, si ha da fare con quei difetti che si ritiene che gli altri abbiano per natura o per sorte, non c'è nessuno che si irriti,
che ammonisca, che ammaestri, che punisca chi ne sia affetto, perché si modifichi, ma si prova compassione. Chi può essere
tanto dissennato da cercare di fare qualcosa del genere a brutta, piccola, debole gente ? Certo, perché, io credo, si sa che tali
cattive qualità si formano nell'uomo per natura o per sorte, come le buone qualità e i difetti ad esse contrari. Quanto a quei
beni, invece, che, si ritiene, l'uomo acquisisce con lo studio, l'esercizio, l'insegnamento, se qualcuno non li possegga,
anzi abbia le contrarie qualità cattive, contro questi, senza dubbio nascono, invece, gli sdegni, le punizioni, gli
ammonimenti. Di tali mali, uno è l'ingiustizia, cui segue l'empietà e tutto ciò che, insomma, è contrario alla capacità
politica; in questo caso, certo, ognuno si sdegna con gli altri e li ammonisce, evidentemente perché pensa che la
capacità politica si possa acquisire con lo studio e l'apprendimento.