- LIFE Ibriwolf
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GROSSETO 2 - 3 NOVEMBRE 2014 a cura di Chiara Braschi Introduzione di Valeria Salvatori Marzo 2015 Testo redatto da Chiara Braschi sulla base della presentazione orale e relative diapositive di ciascun autore. Editing: Valeria Salvatori Impaginazione e grafica: Maximilian Lombardi Copyright LIFE10NAT/IT/265 IBRIWOLF 2015 Suggerimento per la citazione: Braschi C. e Salvatori V. (Eds) 2015. Atti della conferenza internazionale "Hybridization between wild and domestic mammals as a conservation threat or opportunity". Grosseto 2-4 Novembre 2015 Prodotto con il contributo dello strumento finanziario LIFE della Commissione Europea Introduzione ............................................................................................................ 5 Valeria Salvatori, Project Manager del progetto LIFE IBRIWOLF, Istituto di Ecologia Applicata Programma della Conferenza ................................................................................... 7 Conceptual and methodological issues in studying and managing hybridization between wild and domestic species: implications for conservation policies ................................ 9 Luigi Boitani, Dipartimento di Biologie e Biotecnologie “Charles Darwin”, Sapienza, Università di Roma Managing wild-domestic hybridization: Can genomics help? ...................................... 15 Fred Allendorf, Università del Montana, Missoula, USA Tainted species, American bison and the future of species conservation .................... 17 Kent Redford, Archipelago Consulting, Portland, USA Conservation science and hybrid species - can hybrid ethics confront ambiguous moral problems .............................................................................................................. 19 Paul C. Paquet, Raincoast Conservation Foundation, Sydney, BC, Canada & Dipartimento di Geografia, Università di Vittoria, Canada Relevance of phenotypic vs. genetic evidences of dog ancestry into the Italian wolf population and their practical implications for conservation: a synopsis and commentary........................................................................................................... 21 Paolo Ciucci, Dipartimento di Biologie e Biotecnologie “Charles Darwin”, Sapienza, Università di Roma Dynamics of hybridization between wolves and dogs in Iberia: current knowledge and prospects for management and conservation .......................................................... 25 Raquel Godinho, CIBIO/InBIO, Università di Porto, Portogallo Detecting hybrids in deeply introgressed populations: the case-study of wolves and dogs in Italy ......................................................................................................... 28 Ettore Randi, Laboratorio di Genetica, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), Ozzano dell’Emilia (BO) The evolution of wolf presence in Tuscany and the occurrence of wolf/dog hybrids .. 33 Marco Apollonio, Dipartimento di Scienze della Natura e delle sue Risorse, Università di Sassari Introgression between domestic or captive species and their wild relatives: ecological causes and genetic consequences ........................................................................... 35 Michael Schwartz, USDA Forest Service, Rocky Mountain Research Station, Missoula, USA The conservation units of the nature directives of the European Union ...................... 38 Andras Demeter, Direttorato generale per l'ambiente, Commissione Europea Hybridization: the “Stealth Weapon” of biological invasions ...................................... 40 Daniel Simberloff, Università del Tennessee, USA Genetic, morphologic, behavioral, and demographic consequences of hybridization between wolves and coyotes in Ontario, Canada: implications for conservation and management.......................................................................................................... 43 John Benson, La Kretz Center for California Conservation Science, Dipartimento di Ecologia e Biologia Evolutiva, Università della California, Los Angeles, USA Cryptic extinction of the Scottish wildcat: problems and potential solutions for hybridization with the feral domestic cat ................................................................. 46 Kerry Kilshaw, WILDCRU, Oxford, Regno Unito Hybridization, introgression, reproductive barriers, and management of Red wolves .. 49 Richard Fredrickson, Università dell'Arizona, USA Hybridization and its influence on the great dingo debate ......................................... 52 Thomas Newsome, Dipartimento dell’Ecosistema forestale e della Società, Università dello stato dell'Oregon, USA Addressing hybridization between wild and domestic mammals under international, European Union and national wildlife law................................................................. 54 Arie Trouwborst, Scuola di legge di Tilburg, Università of Tilburg, Olanda Managing hybrids: policy and legal backdrops at the global, EU and national scales .... 57 Piero Genovesi, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), Roma LIFE IBRIWOLF – Pilot actions for the reduction of wolf gene pool loss in Central Italy ............................................................................................................................. 60 Valeria Salvatori, Project Manager del progetto LIFE IBRIWOLF, Istituto di Ecologia Applicata Il testo originale di questa pubblicazione è © 2015 LIFE10NAT/IT/265 IBRIWOLF. Alcuni diritti sono riservati. Some rights reserved. Quest’opera è distribuita alle seguenti condizioni, basate sulla licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia. I dettagli legali di questa licenza di distribuzione sono disponibili in italiano presso http://creativecommons.org/licenses/by-ncnd/2.5/it/legalcode. In sintesi, chiunque è libero di riprodurre, distribuire, tradurre, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare pubblicamente, purché senza lucro o profitto, quest’opera alle seguenti condizioni: – Attribuzione. La paternità dell’opera va attribuita a LIFE10NAT/IT/265 IBRIWOLF e si deve indicare il sito http://www.ibriwolf.it come fonte. Non si deve fare nulla che suggerisca che l’autore avalli il modo in cui viene usata l’opera o chi la usa. – Senza lucro o profitto. Senza l’autorizzazione scritta esplicita dell’autore, non è permesso usare quest’opera per fini commerciali. 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L a ibridazione tra specie diverse o tra individui appartenenti a sottospecie della stessa specie avviene in natura da tempi immemori. Quando causata dall'intervento dell'uomo, l'ibridazione può dar luogo ad individui che potrebbero avere un impatto sui relativi selvatici oppure sulle attività umane che si svolgono in ambienti antropizzati. E' il caso dell'ibridazione tra lupo e cane. Questo tipo di ibridazione, come tanti altri tra animali selvatici e i loro relativi domestici, potrebbe portare a conseguenze ancora difficili da valutare, ma che includono la perdita di adattamenti locali sviluppati con l'evoluzione naturale e l'introduzione di varianti genetiche accumulate dal cane tramite selezione artificiale che potrebbero modificare morfologia, comportamento ed ecologia del lupo. Le prospettive gestionali degli ibridi includono: prevenzione e mitigazione (controllo), quest’ultima con una serie di metodi che vanno dalla cattura e captivazione, alla sterilizzazione; la soluzione è comunque contesto dipendente e qualsiasi essa sia non può prescindere da (1) un definitivo e permanente controllo del randagismo canino, e (2) da interventi di prevenzione mirati anche a ridurre la presenza di fattori di facilitazione dell’ibridazione tra lupo e cane, in particolare il bracconaggio, che altera i rapporti numerici e sociali all’interno dei branchi di lupi, e la presenza di cibo di origine antropica che facilita la persistenza di nuclei di piccole dimensioni o di singole unità. In questo contesto, la Provincia di Grosseto ha portato avanti per tre anni il progetto LIFE Ibriwolf, co-finanziato dalla Commissione Europea, concentrandosi sulla problematica inerente la gestione degli ibridi tra lupi e cani. Tra i partner del progetto il dipartimento di Biologia e Biotecnologie della Sapienza Università di Roma, il Parco Regionale della Maremma, L'Unione dei Comuni Montani dell’Amiata Grossetano e il WWF Italia. Il progetto ha toccato un argomento particolarmente spinoso e sul quale ancora esistono molti punti irrisolti. Come riconoscere gli ibridi? Come valutare se la popolazione esistente è ormai completamente contaminata dalla presenza degli ibridi oppure se si è ad uno stadio iniziale, in cui si può eventualmente intervenire? E poi: si deve / può intervenire? In che modo? Quali sono le caratteristiche ecologiche degli ibridi e quali conseguenze hanno sull'ambiente naturale e sociale? Queste sono alcune delle domande che si sono trattate nella conferenza internazionale sulle specie di mammiferi ibridi, che si è tenuta a Grosseto il 2-4 novembre 2014. Molti esempi portati dai relatori provenienti da paesi in tutto il mondo lasciano capire che la situazione è complessa e che le risposte gestionali non dipendono esclusivamente dalle conoscenze scientifiche, ma da aspetti etici e sociali che non si possono ignorare. L'esempio di Grosseto, con il progetto LIFE Ibriwolf, a carattere pionieristico in Italia, si inquadra perfettamente nel contesto di incertezza e complessità gestionale del fenomeno. Valeria Salvatori Project Manager LIFE Ibriwolf 2 Novembre 2014: 9.00 − Saluti e presentazione della conferenza da parte della Provincia di Grosseto. − Saluti da parte del Parco Naturale della Maremma 9.30 − Luigi Boitani: Conceptual and methodological issues in studying and managing hybridization between wild and domestic species: implications for conservation policies. 10.15 − Fred Allendorf: Managing wild-domestic hybridization: Can genomics help? 11.30 − Kent Redford: Tainted species, American bison and the future of species conservation 12.15 − Paul Paquet: Conservation science and hybrid species - can hybrid ethics confront ambiguous moral problems? 14.00 − Paolo Ciucci: Relevance of phenotypic vs. genetic evidences of dog ancestry into the Italian wolf population and their practical implications for conservation: a synopsis and commentary. 14.40 − Raquel Godinho: Dynamics of hybridization between wolves and dogs in Iberia: current knowledge and prospects for management and conservation. 15.20 − Ettore Randi: Detecting hybrids in deeply introgressed populations: the casestudy of wolves and dogs in Italy. 16.15 − Marco Apollonio: The evolution of wolf presence in Tuscany and the occurrence of wolf/dog hybrids. 17.00 − Michael Schwartz: Introgression between domestic or captive species and their wild relatives: ecological causes and genetic consequences. 17.40 − Andras Demeter: The conservation units of the nature directives European Union. 18.15 − Fine della sessione of the 3 Novembre 2014: 9.00 − Daniel Simberloff: Hybridization: the “Stealth Weapon” of biological invasions. 9.45 − John Benson: Genetic, morphologic, behavioral, and demographic consequences of hybridization between wolves and coyotes in Ontario, Canada: implications for conservation and management. 11.00 − Kerry Kilshaw: Cryptic extinction of the Scottish wildcat: problems and potential solutions for hybridization with the feral domestic cat. 11.45 − Richard Fredrickson: Hybridization, introgression, reproductive barriers, and management of Red wolves. 12.30 − Thomas Newsome: Hybridization and its influence on the great dingo debate. 14.15 − 15.00 − 15.30 − 18.00 − Arie Trouwborst: Addressing hybridization between wild and domestic mammals under international, European Union and national wildlife law. Piero Genovesi: Managing hybrids: policy and legal backdrops at the global, EU and national scales. Riflessioni e dibattito con i rappresentanti di: Regione Toscana, Provincia di Grosseto, FederParchi, WWF, ASL9, Ministero dell’Ambiente, Ministero della Salute. Fine della sessione (Aspetti concettuali e metodologici relativi allo studio e alla gestione della ibridazione tra specie selvatiche e domestiche: implicazioni per le politiche di conservazione) Luigi Boitani, Dipartimento di Biologie e Biotecnologie “Charles Darwin”, Sapienza, Università di Roma L a ibridazione si realizza quando individui appartenenti a specie distinte si accoppiano tra loro. E’ un processo che si verifica naturalmente in molti taxa e in una varietà di contesti geografici ed ecologici diversi, e contribuisce alla evoluzione naturale delle specie selvatiche. L’ibridazione ha molti effetti positivi e può produrre nuovi geni, nuovi taxa, può contribuire a contrastare gli effetti negativi dell'inbreeding e favorire l'adattamento delle specie all'ambiente naturale. L'ibridazione ha tuttavia anche aspetti negativi. Nello specifico, può causare una perdita di geni localmente adattati, può favorire la depressione da outbreeding, può facilitare la modifica di pool genetici e favorire l'estinzione di taxa. Se l’ibridazione viene direttamente (o indirettamente) causata dall’uomo viene definita ibridazione antropogenica. Da un punto di vista conservazionistico, l'ibridazione naturale viene sempre considerata positiva perché si tratta di un fenomeno naturale e può verificarsi in maniera occasionale (come ad esempio la ibridazione che avviene in Nord America tra esemplari di lince rossa e di lince canadese) o estensiva (ad esempio la ibridazione tra esemplari di lupo rosso e coyote, sempre in Nord America). L'ibridazione antropogenica invece, sia questa pianificata (come nel caso della ibridazione tra esemplari di pantera della Florida e di pantera del Texas) o casuale (ad esempio la ibridazione tra l'allocco barrato e l'allocco maculato), non essendo un processo naturale, presuppone una responsabilità da parte dell'uomo e viene ritenuta pericolosa quando un taxon viene messo a rischio di perdere le sue caratteristiche peculiari e quando le nuove caratteristiche acquisite sono ereditabili. In questa conferenza non si parlerà della ibridazione che si verifica normalmente tra specie selvatiche ma di un particolare tipo di ibridazione antropogenica, ovvero quella che si verifica tra una specie selvatica e la sua forma domestica. Le implicazioni per la conservazione delle singole specie sono diverse a seconda che l'ibridazione venga analizzata a livello di individuo (l'individuo è diverso dai genitori) o a livello di popolazione (la popolazione ha una nuova struttura ed una nuova identità genetica). In ogni caso, in un'ottica di conservazione delle specie selvatiche, la prima sfida che ci si pone è quella di riuscire ad individuare la ibridazione in tempo, prima che questa generi una introgressione estensiva e abbia un impatto su larga scala spaziale e temporale. La seconda sfida è quella di assumere decisioni gestionali adeguate che riguardano una popolazione in cui è avvenuta l'ibridazione e dipendono necessariamente dalla estensione spaziale e temporale del fenomeno. Un lavoro pubblicato da Allendorf et al. nel 2001 (“The problems with hybrids: setting conservation guidelines”. Trends in Ecology & Evolution. Vol 16 n° 11. Pagg 613 - 622) propone uno schema dei possibili scenari che si possono verificare in seguito ad ibridazione (Figura 1). estetico, epidemiologico e così via, perché la genetica da sola non è sufficiente a stabilire quale deve essere la risposta gestionale a tali scenari. E' necessario quindi chiedersi se lo schema proposto da Allendorf sia adeguato a descrivere la specificità degli incroci che avvengono tra specie selvatiche e specie domestiche o se questo necessiti di modifiche e/o adattamenti. Fig. 1: Categorie di ibridazione proposte da Allendorf et al. (2001) Per quanto riguarda l'ibridazione antropogenica, è possibile identificare 3 possibili categorie ognuna delle quali ha diverse implicazioni gestionali. Nel primo caso, se l'ibridazione si verifica senza introgressione perché l'individuo ibrido di prima generazione è sterile (categoria 4 dello schema), è ancora possibile intervenire da un punto di vista gestionale. Le categorie 5 (ibridazione con introgressione diffusa, come ad esempio nel caso dell'incrocio tra esemplari di gatto domestico e gatto selvatico scozzese oppure di esemplari di cane e lupo etiope) e 6 (in cui si osserva una mescolanza genetica completa tra le due popolazioni parentali, come nel caso del lupo canadese) costituiscono invece due scenari particolarmente critici da un punto di vista gestionale (Figura 2). Nel caso dello scenario 5 è ancora possibile intervenire, anche se questo va fatto in tempi immediati ed in maniera drastica al fine di contrastare e contenere il danno, mentre nel caso dello scenario 6 non è più possibile fare niente e l’unica soluzione realistica è conservare la popolazione di ibridi. Inoltre, al fine di individuare le possibili opzioni gestionali da intraprendere, le categorie che nello schema proposto da Allendorf et al (2001) sono descritte soprattutto da un punto di vista genetico, devono essere qualificate anche da un punto di vista ecologico, etologico, economico, La storia del lupo in Italia fornisce un esempio molto eloquente relativamente alle potenzialità di espansione della ibridazione antropogenica. Sebbene alcune popolazioni di lupo in Europa siano piccole ed isolate, il trend generale è di espansione sia nel numero che nell’areale di presenza. Questa è una condizione favorevole anche all'espansione dell'ibridazione con il cane domestico, dato che gli individui solitari di lupo in dispersione, spostandosi da un'area ad un'altra dell'Europa, e percorrendo distanze molto elevate, possono venire a contatto con esemplari di cani ed ibridarsi con loro. In Italia il lupo, diffuso fino alla metà del XIX secolo, subì una forte riduzione in particolare negli anni 1940 - 1960 a causa della persecuzione diretta da parte dell'uomo, della riduzione e della frammentazione dell'habitat idoneo per la specie e del numero delle sue prede disponibili. Negli anni 70, quando la presenza del lupo in Italia ha raggiunto i suoi minimi storici, alcuni fattori fondamentali hanno impedito la sua estinzione dal territorio nazionale. Innanzitutto è cambiato lo stato legale del lupo e questo è stato decretato specie legalmente protetta. Contestualmente sono cambiati alcuni parametri ambientali, in particolare la istituzione di molte aree protette, ed è aumentata la disponibilità di habitat idonei e di prede selvatiche. Infine molte aree montane sono state abbandonate e questo ha favorito la disponibilità di nuovi territori per i branchi. Essendo il lupo una specie altamente flessibile ed opportunista ha saputo immediatamente approfittare di queste modifiche, e si è riscontrato un aumento del suo areale ed un elevato tasso di dispersione degli animali. Attualmente non si sa esattamente quanti siano i lupi in Italia (si stima che siano circa 1000 - 1500 individui), ma rispetto agli anni 70 si osserva sicuramente un trend positivo della specie sul territorio nazionale, con un incremento stimato di circa 5% della popolazione ogni anno. Aree precedentemente non occupate dalla specie sono state ricolonizzate, ed essa è attualmente presente su gran parte del territorio nazionale con densità molto diverse a seconda dell'area. lupo e che la ibridazione è irrilevante per la conservazione della specie perché questa si verifica da secoli e non c'è pertanto motivo di preoccuparsi. Tutte le motivazioni utilizzate per ridimensionare il problema della ibridazione cane/lupo, che tra l'altro non risultano supportate da robuste evidenze e trascurano il principio precauzionale, sono state attualmente smentite. Anche la densità di cani vaganti in Italia è aumentata negli ultimi anni ed attualmente si stima che la densità del lupo sia di circa 2 - 4 individui per km2, la densità dei cani vaganti sia di circa 100 - 300 animali per km2, e quella dei cani rinselvatichiti sia di circa 28 – 82 animali per km2. La prima evidenza fenotipica di ibridazione in Italia risale al 1975 e la prima evidenza fenotipica nell'area della Maremma, una delle aree di studio del progetto LIFE Ibriwolf, risale all'anno 2000. La presenza di ibridi in questa area è stata documentata e monitorata fino al 2010. Fig. 2: Categorie di ibridazione antropogenica proposte da Allendorf et al. (2001) Sono stati realizzati diversi studi di genetica sul lupo in Italia prima del 2000 ma tutti hanno dato come risultato l’assenza di introgressione nella popolazione. Pertanto l'ibridazione del lupo con il cane domestico non è stata inizialmente percepita come un problema. Gli studi di genetica hanno inoltre mostrato come il risultato spesso dipenda dalle tecniche utilizzate: ad esempio, alcuni esemplari risultati lupi in base ad un numero ridotto di loci genetici, sono poi risultati ibridi aumentando il numero di tali loci esaminati. Tutti i casi di ibridazione cane/lupo registrati in Europa, con la sola esclusione della Estonia in cui è avvenuto il contrario, confermano la direzionalità della ibridazione cane lupo, ovvero gli incroci avvengono generalmente tra la femmina di lupo ed il maschio di cane. Per molto tempo, gli studi relativi alla ibridazione cane lupo in Italia hanno ridimensionato l'importanza del problema, dichiarando che l'introgressione fosse limitata grazie alla presenza di barriere comportamentali (ad esempio affermando che il cane ed il lupo non formano legami sociali), che la ibridazione è un problema marginale perché avviene solamente nelle aree periferiche dell'areale di presenza del Ovviamente il problema della ibridazione cane/lupo non è solo un problema italiano e molti sono gli esempi registrati in vari stati europei (ad esempio Russia, Norvegia, Latvia, Spagna, Germania). Un altro livello di ibridazione antropogenica cane/lupo è quella che viene causata deliberatamente dall'uomo, ed è iniziata diversi millenni fa. Durante il 17o e il 18o secolo la pratica di far accoppiare cani e lupi si è largamente diffusa per creare nuove razze di cani. Al giorno d'oggi alcune razze, come il cane lupo cecoslovacco, sono molto diffuse e molto richieste. Si tratta di animali la cui presenza in natura si rivela potenzialmente molto pericolosa per la salvaguardia del lupo, non solo per un problema di ibridazione ma anche perché, quando questi attaccano il bestiame domestico (come tutti i cani vaganti), la colpa viene sempre addossata al lupo incrementando il livello di conflitto tra la popolazione umana ed il lupo. Il flusso genico tra il lupo ed il cane domestico perpetuato da anni ha consentito il radicarsi di alcune mutazioni geniche del cane nella popolazione selvatica di lupo. Ad esempio il melanismo del pelo nella popolazione di lupi del Nord America viene considerato non come una evidenza fenotipica di ibridazione recente ma come il risultato di una ibridazione avvenuta molto distante nel tempo. Per rilevare la ibridazione da un punto di vista genetico vengono utilizzati diversi marcatori genetici. La popolazione di cane domestico e la popolazione di lupo vengono rappresentate come due popolazioni geneticamente distinte e gli esemplari ibridi sono raffigurati al centro di queste due entità (Figura 3). Fig. 3: Rappresentazione grafica della struttura genetica della popolazione di lupi (a sinistra), di cani (a destra) e di ibridi (al centro) in base all’analisi del DNA microsatellite. Tuttavia al momento la genetica non è in grado di descrivere con esattezza i marcatori specifici di un ibrido e la ibridazione viene identificata rilevando la presenza di frequenze alleliche intermedie rispetto alle due frequenze alleliche parentali, assumendo che la variabilità genetica delle specie parentali sia bene caratterizzata e che venga analizzato un numero sufficientemente ampio di loci genetici. Il problema, nel caso di ibridazione tra il cane ed il lupo, è costituito dal fatto che il cane ed il lupo sono molto simili da un punto di vista genetico, ed il cane costituisce un taxon altamente variabile che è stato creato artificialmente e non possiede pertanto una caratterizzazione genetica ben definita. Di conseguenza è molto difficile confrontare la frequenza allelica di un possibile esemplare ibrido con quella del cane domestico. Inoltre, i risultati in merito alla possibilità effettiva di rilevare l'ibridazione tra domestici e selvatici dipendono dalla tecnica utilizzata e dalle strategie di campionamento applicate, e nel caso specifico del cane domestico, è necessario che venga definito uno schema accurato di campionamento (nel tempo e nello spazio) che caratterizzi la frequenza allelica della popolazione di cani domestici di riferimento. Ne consegue che la genetica, pur essendo fondamentale per la diagnosi della ibridazione, costituisce tuttavia uno strumento ancora imperfetto che, tra l'altro, non è in grado di rilevare la ibridazione dopo la seconda generazione. Inoltre continua a rimanere poco chiara la performance delle singole tecniche nel distinguere tra polimorfismo naturale e ibridazione. Per questi motivi, al fine di massimizzare la capacità di individuazione degli ibridi in natura, la genetica andrebbe integrata con l'analisi dei caratteri ecologici e fenotipici degli animali, come ad esempio è stato fatto in Scozia per individuare gli ibridi tra la popolazione di gatto domestico e di gatto selvatico in base al pattern di colorazione del mantello. Tenuto conto di queste considerazione, e facendo riferimento allo schema proposto da Allendorf e colleghi (2001), la ibridazione tra cane e lupo in Italia potrebbe essere considerata, a livello nazionale, una forma intermedia tra la categoria 4 (ibridazione senza introgressione) e la categoria 5 (introgressione diffusa), anche se la situazione non è omogenea per tutto il territorio nazionale e in alcune parti d'Italia la situazione risulta essere meno grave (ad esempio sulle Alpi la ibridazione è ancora poco diffusa) oppure avere già raggiunto uno stadio intermedio tra le categorie 5 e 6 (come su gran parte del territorio degli Appennini, dove la ibridazione è largamente diffusa). Inoltre, è difficile valutare le potenzialità di espansione della ibridazione cane lupo in Italia, perché non si hanno dati in merito alla fitness degli ibridi rispetto alle popolazioni parentali e l'accoppiamento tra cani e lupi non sembra venir limitato da barriere ecologiche, anche se potrebbe venir parzialmente ostacolato da dinamiche spaziali strutturate (come ad esempio la dimensione dei territori, la densità delle prede, il livello di disturbo antropico, ecc.). Inoltre va tenuto presente che in Italia la ibridazione ha potuto espandersi su larga scala nel corso degli anni prima che potesse essere identificata e percepita come un problema ed il numero relativamente abbondante di cani vaganti costituisce un elemento che facilita consistentemente il diffondersi della ibridazione (Figura 4). quali vengono accusati i lupi, aumentando il livello di conflitto con la popolazione umana. Lo schema di Allendorf et al (2001) propone specifici interventi gestionali a seconda della categoria di appartenenza. Se si tratta di una categoria 4 la situazione può essere gestita rimuovendo gli esemplari ibridi di prima generazione, nel caso della categoria 5 bisogna focalizzare gli sforzi di conservazione sulla parte di popolazione non ancora ibridata e nel caso della categoria 6, infine, l’unica possibilità è quella di conservare gli ibridi. Come già osservato in precedenza, questi interventi vengono proposti per gestire la problematica da un punto di vista genetico, ma la ibridazione non è unicamente un problema genetico dato che anche nel caso in cui non si verifichi introgressione si genera comunque un problema dal punto di vista conservazionista. Fig. 4: Categorizzazione della ibridazione cane lupo in Italia in base allo schema proposto da Allendorf et, al (2001). Di conseguenza, nel caso della gestione della categoria 4, anche se l'ibridazione non altera sostanzialmente le caratteristiche genetiche della popolazione selvatica perché non si verifica introgressione, è necessario valutare che, tramite la ibridazione, non vengano alterati caratteri fenotipici, ecologici o comportamentali negli ibridi rispetto alla popolazione parentale. Ad esempio il carattere fenotipico dell'ibrido può avere un valore adattativo che ne aumenta la fitness, oppure il comportamento degli ibridi, simile a quello dei lupi, potrebbe impedire ai lupi di colonizzare i territori occupati da branchi ibridi. Inoltre, può verificarsi una competizione tra lupi ed ibridi per il cibo e per l'accoppiamento, e gli ibridi possono causare danni al bestiame domestico per i Nel caso della categoria 5, la ibridazione richiede approcci gestionali diversi a seconda del suo pattern spaziale, della sua diffusione e dei diversi processi di introgressione che la caratterizzano. Se il pattern spaziale è localizzato e non diffuso geograficamente, il controllo degli ibridi è ancora fattibile e va realizzato in maniera urgente per evitare che si generi e si espanda uno sciame ibrido. Più difficile, invece, è stabilire quale sia il livello di introgressione nella popolazione che determina un intervento di gestione, perché questo costituisce una decisione politica più che scientifica (la scienza può fornire i dati ma è la politica che prende decisioni), e necessita di creare un coinvolgimento ed un consenso da parte della popolazione locale. Nel caso infine della categoria 6, in cui si verifica la completa mescolanza genetica delle due popolazioni parentali, questa potrebbe non corrispondere ad una completa variazione fenotipica (come nel caso del gatto selvatico in Scozia). In questo caso una selezione artificiale a lungo termine di alcuni caratteri fenotipici potrebbe ricostruire una popolazione di nuovi animali simili, almeno fenotipicamente, alla popolazione parentale selvatica (quello che in America viene indicato come il criterio della “similarità di apparenza”). Le questioni connesse alla gestione di tutti i tipi di ibridazione considerati sono anche di tipo etico e legale e riguardano ad esempio la protezione legale dell'esemplare ibrido (che succede se viene ucciso un ibrido e chi paga per i danni che questo provoca al bestiame domestico? E qual è il livello di introgressione che determina il limite tra ibrido protetto e non protetto?). Le possibili strategie di intervento dipendono quindi anche dalla “definizione” dell'ibrido, che determina il suo stato legale. Al fine di intervenire in maniera adeguata, va pertanto definita la soglia operativa per l'estensione spaziale e temporale del problema, il livello di introgressione e di reincrocio che viene ritenuto accettabile per salvaguardare la specie selvatica e valutare la possibilità effettiva di identificare gli ibridi in natura. Vanno inoltre valutati tutti i costi e i benefici connessi alla presenza di ibridi e le due visioni scientifica e gestionale vanno integrate tra loro in maniera funzionale, al fine di avere un approccio che tenga conto degli effetti a posteriori. Non esiste un'unica soluzione gestionale che vada bene per tutti i casi di ibridazione tra animali domestici e selvatici. Gli interventi da intraprendere sono generalmente complicati da un punto di vista logistico e spesso sono “politicamente scorretti” e socialmente inaccettabili, come ad esempio la rimozione di animali dal territorio. La scienza dovrebbe dare indicazioni in merito a come gestire la problematica della ibridazione attraverso una combinazione di prospettive, di tecniche e di discipline e dovrebbe applicare pienamente il principio precauzionale. I politici, da parte loro, devono assumersi le responsabilità delle decisioni che prendono e devono lavorare mediante un processo partecipato, basandosi su un chiaro contesto legale ed un piano di gestione coerente e a lungo termine. Allendorf ha proposto 3 criteri principali in base ai quali prendere decisioni in merito alla categoria 5, ovvero la quantità di divergenze evolutive tra taxa ibridati tra loro, l'estensione geografica della ibridazione ed il numero di popolazioni pure che rimangono di quel determinato taxon. Ma questi criteri probabilmente non sono esaustivi se si tratta di ibridazione tra animali domestici e selvatici, e non tengono conto della variazione fenotipica che, sebbene non costituisca un indicatore della ibridazione, potrebbe rappresentare un nuovo criterio in base al quale valutare la fattibilità degli interventi umani. Sicuramente sarà necessario aggiornare ed integrare il quadro normativo a livello europeo e a livello locale per avere chiare linee guida e strategie politiche in merito alla gestione della ibridazione, dato che la implementazione di una corretta politica gestionale dipende anche dallo stato legale delle specie parentali e degli ibridi. In conclusione la ibridazione costituisce sicuramente una grande sfida per la conservazione e la gestione della fauna selvatica, perché la identificazione degli ibridi rimane problematica, è difficile stabilire se l'ibridazione è recente o antica, è difficile stabilire quale sia il livello di introgressione accettabile, quale sia lo status legale degli ibridi e quali sono i possibili interventi da realizzare per gestirli. E' quindi estremamente urgente che scienziati e gestori della conservazione lavorino insieme integrando aspetti genetici, ecologici, etologici ed etici al fine di individuare gli interventi gestionali più adeguati a contrastare la ibridazione. (Gestione della ibridazione tra specie selvatiche e domestiche: può la genomica essere di aiuto?) Fred Allendorf, Università del Montana, Missoula, USA I l termine ibrido, sebbene abbia ancora un significato controverso, viene generalmente utilizzato per indicare un individuo nato da due genitori appartenenti a due popolazioni geneticamente distinte. Se l'ibridazione avviene in maniera naturale può avere un'importanza rilevante per la evoluzione delle specie viventi (ad esempio uno studio condotto nel 2010 ha dimostrato che il 3% del genoma umano è il risultato della ibridazione tra Homo sapiens ed Homo di Neanderthal avvenuta circa 50.000 anni fa). Viceversa, l'ibridazione intraspecifica che si verifica tra popolazioni domestiche e popolazioni selvatiche può assumere risvolti particolarmente critici per la conservazione di molte specie selvatiche, come ad esempio il lupo, il bisonte, il gatto selvatico, la trota iridea, il salmone del Pacifico ed il salmone dell'Atlantico. Fig. 5: Effetti genetici sulla popolazione selvatica causati dal rilascio in natura di animali domestici. La genetica costituisce uno strumento sicuramente molto utile per monitorare gli effetti, sulle popolazioni di specie selvatiche, causati dal rilascio in natura e su larga scala di esemplari domestici da parte dell'uomo (sia nel caso di rilascio casuale che volontario). Tale rilascio può infatti dare infatti vita a due possibili scenari (Figura 5). Nel primo caso, se non si verifica flusso genico con le popolazioni selvatiche, non si verifica neanche l'ibridazione tra le due popolazioni, e non si rivelano pertanto “problemi” di natura genetica nella popolazione selvatica, anche se possono verificarsi problemi connessi alla conservazione della specie selvatica (ad esempio la riduzione della fitness della popolazione selvatica). Se invece il rilascio di esemplari domestici comporta il verificarsi di un flusso genico (ovvero di introgressione) tra la popolazione domestica e quella selvatica si possono verificare diversi possibili effetti nella popolazione selvatica, come ad esempio il cambiamento della struttura della popolazione, la modifica della sua composizione genetica, la riduzione del suo adattamento genetico e la perdita di diversità genetica. L'analisi genetica del DNA, attraverso l'utilizzazione di marcatori genetici molecolari, ha consentito per molte decadi di individuare e descrivere il pattern di tale ibridazione. Attualmente le tecniche genetiche sono progredite ed è stato possibile descrivere l'intero genotipo di un individuo attraverso un numero molto elevato di loci (es 10.000). La genomica, ovvero la disciplina che opera attraverso lo studio dell'intero genoma, offre pertanto nuove possibilità per descrivere la diffusione della ibridazione a livello spaziale e temporale. La differenza tra genomica e genetica tradizionale è anche di tipo qualitativo, perché la genetica consente l'analisi fino ad un certo livello mentre con la genomica è possibile andare oltre e capire l’adattamento locale di un individuo, la perdita di variazione adattativa e la depressione da inbreeding o da outbreeding (Figura 6). L'approccio genomico consente inoltre di identificare le regioni del genoma che influiscono sulla fitness. L'introgressione che avviene in queste regioni del genoma potrebbe diffondersi più velocemente rispetto alla introgressione nelle regioni neutrali e potrebbe quindi fornire un meccanismo per la identificazione precoce della introgressione. E' possibile individuare diversi scenari causati dal verificarsi di ibridazione antropogenica (Figura 2). Le situazioni più critiche sono quando la ibridazione è largamente diffusa nella popolazione (categoria 5) e quando è presente uno sciame ibrido (categoria 6), in cui tutti gli individui della popolazione sono ibridi. Ad esempio la popolazione di trota iridea golarossa, Oncorhynchus clarki lewisi, nel Montana risulta essere ibridata con altre due specie di trote introdotte dall'uomo. In questo caso è possibile scegliere tra tre possibili interventi gestionali, ovvero includere nella popolazione solo le trote non ibride, includere solo gli esemplari che hanno meno del 10% di mescolanza genetica, oppure includere tutti gli esemplari che presentano le caratteristiche morfologiche della specie selvatica di trota iridea golarossa. L'opzione maggiormente raccomandata è la prima perché è l'unica che contrasta l'espansione della ibridazione, ma non sempre è realizzabile e dipende dal livello di mescolanza genetica nella popolazione e dalla specie selvatica che si vuole proteggere. Un altro esempio è rappresentato dalla ibridazione tra il bisonte e la mucca in Nord America. In questo caso, dato che la maggior parte delle popolazioni selvatiche di bisonte sono ibridate con la mucca, un'ipotesi potrebbe essere quella di rimuovere gli individui di bisonte che hanno la più elevata quantità di geni di mucca, in modo da selezionare una nuova popolazione di bisonti che, sebbene non sia geneticamente pura, presenti comunque un livello inferiore di mescolanza genetica con la mucca. Fig. 6: Caratteristiche genetiche di una popolazione che è possibile indagare tramite gli strumenti della genetica classica (in blu) e della genomica (in rosso). L'ibridazione influisce sulla fitness della popolazione selvatica perché gli ibridi risultano essere meno fertili rispetto agli individui delle popolazioni parentali. Ad esempio è stato osservato che nella popolazione ibridata di trota iridea si osserva una riduzione del 50% della fitness sia negli ibridi maschi che negli ibridi femmine. Ma come è possibile allora che gli ibridi si diffondano così rapidamente se hanno una fitness ridotta rispetto alle popolazioni parentali? E' possibile formulare tre ipotesi. La prima prevede che il verificarsi di eterosi (ovvero l'incrocio tra popolazioni geneticamente distinte) possa contribuire alla riparazione di alleli recessivi deleteri nell'ibrido di prima generazione ed aumentare in questo modo il flusso genico e la perdita di adattamenti locali nella popolazione. La seconda ipotesi prevede che in base ad un effetto genetico detto “cricchetto genetico” la percentuale di ibridi in una popolazione aumenta anche se questi hanno fitness ridotta. La terza ipotesi infine si basa sul concetto dello “smistamento spaziale”, in base al quale gli ibridi, pur avendo fitness ridotta, hanno maggiore propensione a migrare in altre aree rispetto ai genitori diffondendo in questo modo il proprio genotipo ibrido. (Specie inquinate, il bisonte americano e le prospettive future per la conservazione delle specie) Kent H. Redford, Archipelago Consulting, Portland, USA L a questione relativa agli ibridi non è un argomento nuovo, così come non è nuovo il desiderio innato, da parte dell'essere umano, di stabilire classificazioni binarie in un vasto campo di contesti, dalla politica, alla scienza, alle interazioni sociali. Nel campo della conservazione questa tendenza di creare dicotomie ha avuto, e continua ad avere, implicazioni importanti. Non solo infatti si osserva una mancanza di criteri chiari per distinguere una specie da un'altra, ma c'è anche una incapacità nel definire quale sia il significato di una specie. In tale contesto, la storia del bisonte in nord America (Bison bison) illustra il modo complicato in cui la tensione tra categorie discrete e continue sta ostacolando il ripristino ecologico della specie. Fig. 7: Distribuzione delle attuali popolazioni di bisonte selvatico in Nord America. Prima del 1800 erano presenti in nord America tra i 25 mila ed i 60 mila bisonti. Nel 1800 è iniziata una pressione intesa su questi animali che ne ha comportato l'uccisione ed una conseguente riduzione nel numero di branchi da 200 a 25. Nel 1900 erano presenti circa 200 bisonti allo stato selvatico. Intanto nel 1800 erano comparsi i primi allevamenti privati di bisonti che vennero utilizzati come “sorgente di individui” per ripopolare i branchi selvatici. Alcuni di questi allevatori privati crearono appositamente degli esemplari ibridi incrociando il bisonte con la mucca per provare ad avere animali più resistenti alle temperature invernali e alle malattie. Venne istituita l'ABS (American Bison Society, Società del Bisonte Americano) che riuniva gli allevatori privati di bisonte al fine di scongiurare l'estinzione del bisonte selvatico attraverso la ibridazione con la mucca. Vennero incrociati tra loro bisonti provenienti dallo zoo, da allevatori privati e bisonti selvatici e vennero reintrodotti allo stato selvatico. Cento anni fa erano presenti in Nord America tra i 450 ed i 500 mila bisonti e la situazione è rimasta simile fino ai giorni nostri, anche se molti di questi bisonti (circa 400 mila) sono ancora mantenuti in allevamenti privati, dove vengono allevati per produrre carne e continuano ad essere ibridati con la mucca. Pertanto attualmente solo 20 mila bisonti sopravvivono allo stato selvatico (Figura 7). La definizione di “ripristino ecologico” del bisonte selvatico prevede che siano presenti allo stato selvatico molti branchi di grandi dimensioni, e che questi possano muoversi liberamente in un vasto territorio che includa tutti i loro principali habitat del loro areale storico, e che gli animali possano interagire in un modo ecologicamente significativo con il maggior numero possibile di altre specie native, sostenendo le culture umane. In base a tale definizione non è possibile dire che, attualmente, si sia ottenuto il ripristino ecologico del bisonte selvatico in Nord America. Inoltre molte persone sono preoccupate della purezza genetica del bisonte americano e criticano il fatto che si stia conservando in natura un animale che non rappresenta più un bisonte geneticamente puro, perché è contaminato dai geni della mucca. Le nuove tecniche genetiche rivelano che meno dell'1% del genoma del bisonte è composto da genoma introgresso con la mucca. Molti genetisti considerano che questo livello di introgressione sia decisamente basso e quindi che non comporti nessun rischio per la conservazione del genoma del bisonte. Inoltre ritengono che un basso livello di introgressione con il genoma della mucca in molti branchi di bisonte può essere considerato accettabile. Pertanto molti scienziati e genetisti ritengono che, se gestiti secondo criteri che ne promuovono la conservazione, i branchi di bisonti con un basso livello di introgressione con il gene della mucca sono di alto valore da un punto di vista della conservazione. Inoltre ritengono che la purezza genetica dovrebbe essere meno importante rispetto ad altri indicatori ecologici, come il ripristino delle funzioni ecologiche dell'ecosistema, l'adattabilità e la selezione naturale. Il problema della gestione degli ibridi non è limitato al caso del bisonte ma esistono molti altri esempi in natura (ad esempio la gestione degli ibridi lupo-cane, lupo-coyote, orso polare-orso bruno ecc). Per molte specie selvatiche non esiste una chiara distinzione genetica con la corrispondente forma domestica. Ad esempio l'addomesticamento del coniglio comporta che vengano fatti molti piccoli cambiamenti in molti geni e nessun cambiamento drastico di pochi geni. Di conseguenza, nel caso del coniglio domestico, è possibile che si verifichi una “retro-selezione” di questi geni alterati dall'addomesticamento per ritornare alla forma selvatica. Esempi analoghi si riscontrano anche in altre specie addomesticate (ad esempio maiale e cinghiale, asino selvatico ed asino domestico ecc). Questa forma di ibridazione a volte si verifica perché le specie ibride vivono in un ambiente che è a sua volta ibrido, ovvero sono specie selvatiche che vivono in ambienti “domestici”. Ed è possibile parlare anche di una forma di conservazione ibrida della biodiversità, in cui è gli esseri viventi vengono ricostruiti in maniera artificiale, come ad esempio nel caso di utilizzazione delle stampanti in tre dimensioni o della biologia sintetica che consente di ricreare parti biologiche tramite sintesi ex novo del DNA. In altri casi ancora la conservazione ibrida può essere identificata nella sostituzione ecologica di una specie, ovvero viene introdotta una specie selvatica in natura diversa da quella scomparsa ma che possiede la stessa funzionalità ecologica. Questo tipo di conservazione, ed in particolare la comparsa della biologia sintetica e dei suoi strumenti per consentire la manipolazione del genoma, comporta una ulteriore sfida alle norme di conservazione e agli obiettivi attualmente vigenti, rendendo ancora più difficile distinguere l'animale geneticamente puro dall'ibrido. In questo contesto quello che dobbiamo chiederci ai fini della conservazione di una specie selvatica, come ad esempio il lupo, è se vogliamo salvare il suo patrimonio genetico, se vogliamo salvare la specie o se vogliamo garantire che venga preservata la “lupinità”, ovvero il comportamento ed il ruolo ecologico del lupo, più del lupo in sé come animale. Solo una volta che avremo deciso che cosa vogliamo realmente potremo decidere che cosa fare. Eventualmente, anche il non fare niente può essere inteso come una scelta gestionale, per cui potrebbe anche essere che la gestione della ibridazione cane-lupo in Italia venga gestita non facendo nulla. Ma se siamo sicuri del fatto che il nostro obiettivo è quello di evitare la scomparsa del lupo in Italia, allora è necessario prendere una decisione chiara in merito al problema della ibridazione, con la consapevolezza che la scienza può dare un contributo a tale proposito ma non può risolvere il problema che è invece di responsabilità della politica. (Ibridi, scienze e morale: tentativo di riconciliare l'ambiente e l'etica animale) Paul C. Paquet, Raincoast Conservation Foundation, Sydney, BC, Canada & Dipartimento di Geografia, Università di Vittoria, Canada L a maggior parte delle persone che si occupano di conservazione ritengono che l’unità che vada protetta è la popolazione o la specie. Di conseguenza, i conservazionisti pensano che sia meglio uccidere un individuo ibrido perché altera la specie, mentre i non scienziati pensano che l'individuo abbia il diritto di esistere in quanto tale. La posizione “populazionista” e quella “individualista” hanno gli stessi obiettivi ma con direzioni diverse, ed i conservazionisti dovrebbero tenere conto di queste due realtà. E' possibile trovare una “conciliazione” tra le due visioni per il bene della natura? Il termine ibrido è ambiguo ed ha sfaccettature diverse a seconda del contesto ecologico, tassonomico, genetico in cui viene applicato. Inoltre diversi tipi di ibridi possono sollevare diverse questioni di tipo scientifico ed etico. Per poter analizzare correttamente la situazione è necessario fare alcune premesse. Innanzitutto l'ibridazione non è solamente causata dall'uomo, ma alcune popolazioni di organismi selvatici si ibridano naturalmente. Il valore che noi attribuiamo agli ibridi di origine antropica riguarda il loro ruolo ecologico, ed eventuali linee guida per la gestione degli ibridi dovrebbero tenere conto sia del valore dell'individuo dal punto di vista conservazionista, sia degli aspetti etici connessi alla sua rimozione finalizzata alla conservazione della integrità genetica di una popolazione. Naturalmente ci sono una serie di problemi etici connessi alla rimozione degli ibridi che hanno ripercussioni sul consenso pubblico ed influiscono sulle scelte politiche che vengono prese a riguardo. I conservazionisti sono convinti che le ragioni ecologiche che portano alla rimozione degli ibridi siano l'unico criterio di valutazione in base al quale stabilire le scelte da prendere. Viceversa, molte persone pensano che il problema degli ibridi non sia una questione ecologica ma morale. D'altra parte subordinare le scelte politiche al consenso pubblico è una scelta etica che i filosofi chiamano “convenzionalismo” che può tuttavia portare anche ad una cattiva condotta. L'etica è una branchia della conoscenza che ha a che fare con principi morali e dovrebbe guidare il comportamento degli individui e della società. Le emozioni, gli impulsi sociali ed i sentimenti non sono di per se etica, ma sono la base dell'etica. Il ruolo principale dell'etica applicata è quello di capire quali sono i motivi che ci portano a comportarci in un modo invece che in un altro, ed uno strumento fondamentale dell'etica applicata è l'analisi degli argomenti, ovvero il processo che consente di valutare la validità delle premesse e delle ragioni che sottendono ad una determinata posizione etica. Distinguere tra ciò che abbiamo il diritto di fare e ciò che sia giusto fare è il fondamento per prendere decisioni etiche, dato che avere la possibilità di fare qualcosa non implica automaticamente che dovremmo farla. Un altro principio dell'etica è che è sbagliato uccidere un essere vivente senza un motivo adeguato. Ma quale può essere ritenuta una ragione adeguata per uccidere un essere vivente? A tale proposito i conservazionisti presentano una molteplicità di ragioni che spiegano perché la rimozione di un ibrido sia consentita da un punto di vista scientifico, dato che viene giustificato il fatto che un individuo possa essere sacrificato per il bene della popolazione. Viceversa, la posizione che tutela il benessere dell'individuo è considerata errata perché si basa su presupposti che non sono scientifici. D'altra parte, conciliare la conservazione con il benessere animale diminuendo i danni imposti ai singoli individui non è concepibile per i conservazionisti, perché la prospettiva conservazionista di solito ignora l' etica animale a favore di miglioramenti ecologici complessivi, esclusi i rari casi in cui la popolazione di una specie è così ridotta che anche la conservazione di un solo individuo è vitale per la sua sopravvivenza. La conservazione della fauna vuole infatti garantire che le popolazioni e le specie selvatiche sopravvivano e che i processi ecologici ed evolutivi proseguano. I biologi della fauna selvatica hanno la responsabilità di gestire le popolazioni selvatiche in una maniera che sia scientificamente sostenibile e socialmente accettabile, e ritengono che la conservazione di una specie è più importante di qualsiasi altro aspetto, incluso il benessere animale. Di conseguenza, il benessere di un animale è subordinato alla vitalità della popolazione, che è considerata dai conservazionisti l'aspetto di maggior valore. Quando c'è un conflitto tra scienza ed etica non è quindi chiaro quale sia il ruolo dell'etica. La scienza infatti, nel suo ruolo di descrivere le leggi della natura, non ha nessuna qualità morale o etica, ed è impensabile aspettarsi che questa produca un “sistema etico”. La scienza consente ai conservazionisti di ignorare il benessere degli individui animali, e spesso ciò che è buono per i conservazionisti non è sempre il miglior interesse per l'individuo animale (e viceversa). Gli scienziati possono dire quali conseguenze potrebbero scaturire da determinati interventi, ma non sono giustificati ad indagare oltre. La scienza può aiutare a capire i processi della ibridazione ma il “se” e il “quando” noi dovremmo conservare un ibrido non è una questione scientifica. Per quanto riguarda la gestione degli ibridi, considerata anche l'elevata differenziazione tra le varie tipologie di ibridi presenti in natura, sarebbe invece auspicabile che la scienza, la politica e l'etica potessero agire in maniera conforme rendendo in questo modo più efficiente il contesto della conservazione e della gestione. Applicare le prospettive etiche nelle decisioni di conservazione consentirebbe infatti di risolvere alcuni dei conflitti tra scienze e benessere animale e consentirebbe di ridurre la sofferenza dell'animale, pur mantenendo prevalente la tutela della specie e dell'ecosistema. Potrebbe essere utile, a tale proposito, stabilire delle priorità di conservazione per gli ibridi che enfatizzino il grado in cui in cui gli ibridi possono essere considerati naturali e stabiliscano quale sia il loro ruolo ecologico nell'ambiente. Le politiche di conservazione dovrebbero focalizzarsi sul proteggere il ruolo ecologico di taxa affetti da ibridazione. (Importanza delle evidenze fenotipiche di cane nella popolazione selvatica di lupo rispetto alle evidenze genetiche e loro implicazioni pratiche per la conservazione: sintesi e riflessioni) Paolo Ciucci, Dipartimento di Biologie e Biotecnologie “Charles Darwin”, Università La Sapienza, Roma L a ibridazione cane lupo è un tipico esempio di ibridazione causata dall'uomo, ed è il risultato di un rapporto sbagliato che l'uomo ha stabilito con il cane domestico e che ha comportato la sua “trasformazione” in cane randagio. Tra l'altro il cane rappresenta una specie che, per molti anni, è stata sottoposta alla selezione artificiale, e in quanto tale presenta dei geni che sono stati selezionati non per consentire all'individuo di sopravvivere allo stato selvatico ma in base ad altri criteri che spesso rendono ardua la sopravvivenza allo stato selvatico. Della ibridazione cane lupo in Italia si è cominciato a parlare nel 1984, ma il problema è stato fin da subito sottovalutato e a questo non ha fatto seguito nessun intervento gestionale e non c'è stato nessun confronto tecnico sulla problematica. Di conseguenza il fenomeno della ibridazione cane lupo si è largamente diffuso nel territorio nazionale. Tra l'altro oggi sono presenti alcuni fattori che, rispetto al passato, facilitano ulteriormente il verificarsi della ibridazione cane lupo. Infatti, non solo è aumentato il numero di cani vaganti ma anche di persone che commerciano ibridi senza nessun controllo. Il paesaggio è cambiato e c'è una forte persecuzione da parte dell'uomo nei confronti del lupo che contribuisce alla disgregazione dei branchi, a causa della rottura delle gerarchie e alla modifica dei ruoli sociali degli animali, e facilita la comparsa di individui solitari che hanno maggiore probabilità di incontrarsi ed accoppiarsi con i cani vaganti. Inoltre alla fine degli anni 80, quando sono stati rilevati i primi ibridi, la popolazione di lupo era in espansione dagli appennini centrali verso gli appennini settentrionali ed è molto probabile che anche il fenomeno della ibridazione si sia diffuso nella stessa direzione. Facendo riferimento allo schema proposto da Allendorf et al nel 2001 che riassume le varie categorie di ibridazione (Figura 1), il tipo di intervento gestionale che va intrapreso in Italia dipende dal livello di conseguenze genetiche della ibridazione. Inoltre, per intervenire in maniera funzionale, è necessario poter individuale gli ibridi in maniera certa, valutare la presenza e la diffusione della ibridazione in tempi reali e, se necessario, applicare interventi gestionali in tempi rapidi. Il processo di identificazione degli ibridi è particolarmente rilevante perché da questo dipende il tipo di intervento gestionale che va intrapreso e comporta non solo la identificazione di ibridi di prima generazione ma anche di ibridi di generazione successiva alla seconda. La identificazione degli ibridi è soggetta ad errori e bisogna essere consapevoli di questo quando si raccolgono dati e si analizzano i campioni nei laboratori di genetica. Nel caso specifico dell’ibrido cane lupo è possibile fare due possibili errori, ovvero attribuire un lupo alla popolazione di ibridi (errore di tipo I) oppure considerare un ibrido come se fosse un lupo geneticamente puro (errore di tipo II; Figura 8). Le implicazioni gestionali di questi due errori sono molto diverse e dipendono da quale è l’obiettivo che si vuole ottenere. Se infatti l’intento è quello di ridurre la diffusione della ibridazione in una popolazione vitale è preferibile incorrere in errori di tipo I. Se invece la popolazione è piccola, il verificarsi di un errore di tipo I potrebbe seriamente comprometterne la vitalità. Da un punto di vista gestionale questo può essere visto come una interpretazione demografica rispetto ad una interpretazione genomica. La identificazione di ibridi si basa sulla utilizzazione di caratteri diagnostici che consentono la identificazione di tali esemplari in maniera certa e non ambigua. Questi caratteri devono inoltre essere ereditari, ovvero devono venir trasmessi invariati alla progenie, senza subire interferenze per un numero ragionevole di generazioni di incrocio. I caratteri diagnostici devono infine essere affidabili, ovvero accurati, in modo da minimizzare i possibili errori, e al tempo stesso devono essere pratici, ovvero facilmente applicabili a livello di individuo e di popolazione. La identificazione di esemplari ibridi in natura è importante non solo per pianificare la loro gestione, ma anche per estrapolare una quantificazione della introgressione a livello di popolazione, per valutare la sua dinamica a livello spaziale e temporale e per monitorare gli effetti delle strategie di conservazione implementate. Gli strumenti utilizzati per rilevare i caratteri diagnostici di un ibrido devono basarsi non solo sulla genetica ma anche sulle caratteristiche fenotipiche degli animali, che corrispondono ad un genoma introgresso. I caratteri fenotipici sono più facilmente e rapidamente diagnosticabili sul campo rispetto ai caratteri genetici, ma la loro rivelazione presenta alcuni problemi perché la variazione fenotipica tra individui è elevata. I caratteri fenotipici possono essere ritenuti diagnostici se sono determinati geneticamente. In questo caso ci si aspetta che la conformità di caratteri parentali venga distrutta dalla ibridazione. Ci si attende inoltre una grande variabilità fenotipica negli ibridi di prima e seconda generazione, in quanto teoricamente in queste generazioni i caratteri sono più facilmente rilevabili, soprattutto se la introgressione è avvenuta con animali domestici che hanno una omogeneità fenotipica molto ridotta rispetto alle specie selvatiche. Tuttavia, ci si aspetta anche un gradiente fenotipico con l'aumentare del livello di incrocio ovvero con il progredire delle generazioni di back-crossing nella popolazione parentale di lupo. Fig. 8 Errori che è possibile compiere nella identificazione degli ibridi. Viene definito errore di tipo I l’erronea attribuzione di un lupo alla popolazione di ibridi ed errore di tipo II l’erronea attribuzione di un ibrido alla popolazione di lupi. Per tali motivi la valutazione della variabilità fenotipica può risultare spesso soggettiva. A volte è arbitraria perché non tutta la variabilità fenotipica è geneticamente determinata, ma il problema sussiste anche perché non esiste uno standard fenotipico a cui fare riferimento e perché il livello di introgressione non è quantificabile. Di conseguenza l’utilizzo dei soli caratteri fenotipici come elementi diagnostici di ibridazione rischia di generare un elevato numero di errori di tipo I e di tipo II. Negli ultimi 30 anni sono state rilevate diverse evidenze fenotipiche anomale in lupi catturati o rinvenuti morti in Italia, ma non si è mai avuta una risposta di tipo gestionale perché le evidenze fenotipiche sono state sempre considerate non adeguatamente affidabili da poter far attivare degli interventi di gestione. Il paradigma di conservazione ad oggi tacitamente accettato è che le caratteristiche fenotipiche sono troppo soggettive come indicazioni gestionali, ed è necessario considerare i soli dati della genetica per ottenere indicazioni che siano sufficientemente attendibili. Secondo lo stesso paradigma, si è tacitamente adottata la strategia per cui gli errori di tipo I sono considerati I più rilevanti, e in quanto tali inammissibili e socialmente inaccettabili per la popolazione di lupo. Fig. 9 Esempi di animali con evidenze fenotipiche anomale rispetto allo standard selvatico del lupo, risultati essere lupi geneticamente puri in base alle analisi genetiche. E’ chiaro che rispetto alle evidenze fenotipiche, le evidenze di ibridazione di carattere genetico sono invece più attendibili. È possibile utilizzare diversi tipi di marcatori genetici (che sono aumentati nel corso degli anni) che individuano un ibrido in termini probabilistici, ovvero quantificano la probabilità di un esemplare di appartenere o meno ad una popolazione parentale. Inoltre, rispetto ai caratteri fenotipici, i caratteri genetici consentono di quantificare il livello di introgressione. Però va tenuto conto che cane e lupo appartengono alla stessa specie e questo può creare delle difficoltà per la identificazione genetica degli ibridi, perché si tratta di due popolazioni molto vicine geneticamente. Inoltre, il potere diagnostico dell’analisi è funzione del tipo e del numero di marcatori genetici che vengono utilizzati, del test di assegnazione e dei modelli che vengono applicati, dei loro assunti, delle repliche e delle strategie di campionamento utilizzate e la maniera con cui queste rispecchiano gli assunti dei modelli. La genetica ha anche un potere limitato nel rilevare l'introgressione con l'aumentare delle generazioni di introgressione (attualmente, oltre la seconda generazione di incrocio); dato che gli ibridi di terza generazione e successive sono comunque ibridi non è lecito prendere decisioni gestionali al riguardo (es., non intervenire) semplicemente perché non siamo in grado di rilevare l'introgressione in questi individui. Infine, i caratteri genetici sono comunque suscettibili ad errori di tipo II, non sempre sono pratici per l’analisi del fenomeno su larga scala, e non consentono la raccolta di dati esaustivi in tempo reale, come sarebbe necessario ai fini gestionali. Diversi sono gli esempi in cui animali che presentavano evidenze fenotipiche anomale rispetto allo standard selvatico del lupo sono risultati essere lupi da un punto di vista genetico e bisogna quindi chiedersi se sia giusto o no non considerare questi segnali fenotipici di ibridazione se gli strumenti genetici non rivelano alcuna introgressione (Figura 9). Inoltre, alcuni tratti fenotipici anomali sopravvivono più a lungo dei marcatori genetici e potrebbero essere utilizzati come evidenze di ibridazione anche se non vengono rilevati dal dato genetico. Ad esempio il melanismo dei lupi è spesso il risultato di una introgressione con l'allele dominante del locus K ereditato dal cane, che determina la colorazione scura del mantello. In Nord America questa introgressione è avvenuta circa 40.000 anni fa, ma in Italia si tratta di un fenomeno assai più recente, motivo per cui nel nostro paese la delezione del locus K può essere considerata un marcatore aggiuntivo per rilevare la ibridazione nella popolazione di lupi. Questo non vuol dire creare una dicotomia tra caratteri diagnostici fenotipici e genetici, bensì sottolinea l'importanza di integrare i due approcci di diagnosi. In pratica, ciò vuole dire utilizzare alcuni caratteri fenotipici oltre ai più potenti marcatori genetici al fine di rivelare l'ibridazione limitando la possibilità di incorrere in errori di tipo II. Deve essere infatti chiaro che l'obiettivo prioritario di qualsiasi strategia di gestione del fenomeno ibridazione, dato lo stato attuale della popolazione di lupo in Italia, debba essere quello di ridurre al più presto ed in maniera massiccia e mirata l’ulteriore diffusione della introgressione e, pragmaticamente, ciò si traduce nell’impedire che individui ibridi vengano lasciati riprodursi nella popolazione parentale di lupo. In conclusione, per pianificare una corretta strategia mirata a ridurre l'espansione dell’ibridazione, sarebbe auspicabile utilizzare l'insieme più efficace, ai fini diagnostici, di marcatori genetici, in grado di rilevare l’ibridazione, pur utilizzando alcuni caratteri fenotipici particolarmente diagnostici in maniera integrata; per esempio, aumentando la soglia (valore di q) nei test Bayesiani di assegnazione di un esemplare di lupo alla popolazione parentale (Figura 10). Nell'ambito di Ibriwolf sono state ad esempio utilizzate due soglie di attribuzione di un esemplare alla popolazione di lupo: q>0,95, in assenza di altre evidenze fenotipiche o genetiche di ibridazione, e q>0,975 nel caso una genealogia ibrida fosse sospettata da alcuni, ma non tutti, marcatori genetici, oppure perché indicata da alcuni tratti fenotipici anomali tra quelli ritenuti più attendibili (ad esempio, presenza dello sperone nelle zampe posteriori). Molti sono i tratti fenotipici anomali che devono ancora essere geneticamente validati, sia direttamente, tramite sequenziamento, sia indirettamente tramite test di assegnazione. Nel caso questa validazione interessasse nell’immediato futuro un numero maggiore di caratteristiche fenotipiche ciò comporterebbe un maggior impiego pratico di questi caratteri, riducendo valutazioni basate sulla soggettività nella loro interpretazione. Nel caso degli incroci tra lupo e cane del resto, la ricerca non si è mai occupata specificatamente di indagare la base, o le corrispondenze, genetiche di caratteri fenotipici potenzialmente diagnostici, mentre la stessa procedura è stata da anni applicata altrove e ad altre specie (p. es., il gatto selvatico in Scozia). In conclusione, se vogliamo realmente ridurre e prevenire la diffusione dell’ibridazione tra lupo e cane in Italia il primo elemento essenziale e prendere definitivamente atto del fatto che, in base alle tecniche, ai marcatori, e alle procedure di valutazione statistica attualmente a disposizione, possiamo con una certa facilità commettere errori di tipo II in fase di diagnosi di individui introgressi oltre la seconda generazione; inoltre, date le condizioni demografiche e distributive del lupo in Italia, che tali errori sono attualmente molto più dannosi degli errori di tipo I se il nostro obiettivo di gestione è la tutela dell’integrità genetica della popolazione di lupo. Gli errori di tipo II possono essere inoltre ulteriormente limitati integrando tra loro le evidenze genetiche e fenotipiche di ibridazione, approccio che beneficerebbe indubbiamente di una descrizione e classificazione più formali, e relativa quantificazione, dei caratteri fenotipici potenzialmente utili in fase di diagnosi, nonché di una loro validazione su base genetica. Fig. 10 Motivi per cui è importante integrare il dato genetico con la evidenza fenotipica nella identificazione degli ibridi e come questo può essere ottenuto. D'altra parte, una discussione sui principi di integrazione dei criteri fenotipici e genetici ai fini della diagnosi dei casi di introgressione faciliterebbe un confronto in merito tra chi, a diversi livelli e con competenze complementari, si occupa di gestione e conservazione della fauna; confronto ad oggi mai voluto né stimolato nel nostro paese ma che sarebbe fondamentale per raggiungere un consenso perlomeno a livello tecnico in merito all'approccio più realistico per preservare l'integrità genetica delle specie selvatiche alla luce della perdurante minaccia dell’ibridazione antropogenica. Continuare a trascurare questo approccio comporta realisticamente il rischio di togliere consistenza a qualsiasi strategia di gestione si intenda applicare, e di non essere in grado di garantire un adeguato sostegno sociale e istituzionale al problema dell’ibridazione, come attualmente esemplificato dai livelli crescenti di ibridazione tra il cane ed il lupo in Italia. (Dinamica della ibridazione tra cane e lupo nella penisola Iberica: conoscenza attuale e prospettive di gestione e conservazione) Raquel Godinho, CIBIO/InBIO, Università di Porto, Portogallo L a ibridazione cane lupo in Europa è un fenomeno relativamente frequente ma decisamente esteso spazialmente, tanto che è possibile rilevare segni di ibridazione in quasi tutte le popolazioni europee di lupo. Nel corso di questa presentazione verrà descritta, in maniera specifica, la situazione relativa alla penisola Iberica. In tale area la persecuzione nei confronti del lupo è iniziata nel 1940 ed è proseguita in maniera intensa fino al 1990, determinando una severa riduzione dell'areale di presenza della specie che è attualmente confinato all'area nord ovest della penisola e in piccoli nuclei localizzati nel centro della Spagna (Figura 11). Fig. 11: Attuale areale di presenza del lupo nella penisola Iberica. Attualmente la popolazione di lupi (in particolare quella localizzata nell'area a nord-ovest della penisola) è nuovamente in espansione, ma occupa un territorio che è fortemente antropizzato. In tale contesto, caratterizzato dalla espansione delle popolazioni di lupo in un'area antropizzata e con una elevata presenza di cani, in cui le uccisioni illegali di lupo sono ancora numerose, la possibilità che si verifichi ibridazione tra il cane ed il lupo è molto elevato, e si è deciso pertanto di effettuare una indagine specifica per indagare il fenomeno in maniera più approfondita, utilizzando come dati di riferimento il genoma della popolazione locale di cani e di lupi. Tuttavia, la vicinanza genetica di cane e lupo e la condivisione di gran parte del loro genoma crea molte difficoltà di tipo metodologico nel distinguere geneticamente tra loro le due identità biologiche. Ad esempio il DNA mitocondriale di cane e lupo è molto simile ed è difficile utilizzarlo per distinguere le due entità biologiche e la stessa situazione si riscontra con i cromosomi sessuali. E' necessario quindi ricorrere agli autosomi, ovvero ai cromosomi che non contengono informazioni genetiche di carattere sessuale, e tenere conto del fatto che, per distinguere in maniera accurata due entità biologiche, è necessario disporre di un numero elevato di microsatelliti. I primi studi condotti nella penisola Iberica hanno quindi utilizzato un numero compreso tra 11 e 18 microsatelliti. Nel 2006, Vaha e Primmer hanno proposto una simulazione teorica per estrapolare il numero minimo di marcatori necessari per separare in maniera accurata due entità biologiche. In base a questo modello ci si è resi conto che i microsatelliti utilizzati fino a quel momento per distinguere la popolazione di lupi e di cani nella penisola iberica non erano in grado di realizzare una distinzione accurata e andavano pertanto incrementati. Per cui gli studi successivi (Godinho et al 2011) hanno coinvolto un numero significativamente più elevato di microsatelliti (fino a 42). Oltre ad aumentare il numero di microsatelliti, l'analisi di questi marcatori è stata associata all'analisi di altri marcatori genetici (DNA mitocondriale e cromosoma Y). Il risultato ottenuto ha rivelato la presenza di una ibridazione diffusa nella penisola iberica ed una percentuale di ibridi nella popolazione di lupi (sia di prima generazione che di generazione successiva) pari al 4%, in cui la direzionalità della ibridazione era principalmente di origine paterna (incrocio tra femmina di lupo e maschio di cane). Tuttavia lo studio condotto era stato realizzato con un campionamento opportunistico e ci si è quindi chiesti quanto lo scenario individuato descrivesse in tempo reale ed in maniera verosimile l’evento in corso, senza sottostimare o sovrastimare il livello di ibridazione. Inoltre i campioni erano stati raccolti in un arco temporale di 40 anni e quindi i tempi non risultavano compatibili con la presa di eventuali decisioni gestionali o per valutare il successo delle azioni già intraprese. Nel frattempo nei branchi di lupi presenti in Galizia, nel nord della Spagna, erano state rilevate le prime evidenze fenotipiche di ibridazione e le amministrazioni locali decisero che questi animali andavano rimossi dalla popolazione selvatica (Figura 12). Fig. 12: Localizzazione dei branchi in Galizia ed evidenze fenotipiche di ibridazione. Quattro di questi animali furono rimossi e questo ha scatenato una serie di proteste da parte della popolazione locale. I campioni dei 4 animali morti e di 36 escrementi raccolti nell'area di studio furono analizzati, ma dal DNA estratto dagli escrementi non fu possibile analizzare un numero elevato di microsatelliti. Pertanto vennero selezionati i microsatelliti che meglio differenziavano i lupi dai cani definiti anche “marcatori informativi ancestrali” (AIM, ancestry informative markers) e vennero utilizzati solo questi per l'analisi degli escrementi. Fig. 13: Efficienza degli AIM nel rilevare la ibridazione in esemplari ibridi di prima generazione (F1) e di generazioni successive (Bx1 e Bx2). Come è stato detto in precedenza, il genoma del lupo e del cane è molto simile ma in certe circostanze la deriva genetica di piccole popolazioni o la selezione possono portare ad una modifica nella frequenza allelica di alcuni geni che vengono pertanto detti AIM. Quindi, partendo dal presupposto che l'analisi di campioni non invasivi, pur non permettendo l'analisi di un numero elevato di marcatori consente tuttavia la rapida rilevazione di ibridazione in aree in cui ne viene sospettata la presenza, e consente in questo modo la identificazione delle classi di ibridi presenti ed una valutazione della estensione della ibridazione tra cane e lupo su larga scala e nel tempo di una generazione, furono individuati 13 AIM ed il loro potere diagnostico venne confrontato con quello di 52 microsatelliti. Il risultato fu che il potere diagnostico dei due set di marcatori è confrontabile ed entrambi sono in grado, in maniera adeguata, di distinguere geneticamente i cani dai lupi (Figura 13). Inoltre con la selezione degli AIM era stata massimizzata la differenziazione ma si stavano perdendo informazioni in merito alla diversità genetica, dato che gli AIM possono essere utilizzati per differenziare due popolazioni ma non per caratterizzarle nella loro struttura. Infatti gli AIM sono specifici per una data popolazione, pertanto non hanno lo stesso potere di diversificazione in altre popolazioni perché la frequenza allelica sarà diversa nelle diverse popolazioni. L'efficacia degli AIM è stata valutata su 1000 genotipi simulati appartenenti alla classe ibrida e alle due classi parentali e si è visto che il potere diagnostico degli AIM si riduce con l'aumentare della generazione di incrocio. E questo è un limite di cui va tenuto conto anche da un punto di vista gestionale, se ci aspettiamo che sia importante fare una distinzione tra un lupo ed un ibrido di ennesima generazione perché i due casi prevedono interventi gestionali diversi. Tornando alla popolazione della Galizia, il risultato ottenuto ha rilevato la presenza di 2 lupi, 9 ibridi e 2 cani nella popolazione campionata. Di questi ibridi, il 40% è stato rimosso. Questo risultato può essere considerato accettabile da un punto di vista gestionale e di conservazione del lupo, tenendo conto anche degli sforzi economici e di personale investiti per ottenerlo e della opinione pubblica contraria? Per ottenere maggiori informazioni, un secondo studio è stato condotto estendo l'area di studio campionata in Galizia e raccogliendo solamente i campioni nell'anno 2013. Diciotto AIM vennero utilizzati per analizzare 168 escrementi e portarono alla identificazione di 140 genotipi diversi (78 lupi, 58 cani e 4 ibridi). La percentuale di ibridi rilevata (5%) è paragonabile con quanto ottenuto nel primo studio condotto nel 2011 (4%) e si può ipotizzare che questa sia la soglia di ibridazione che la popolazione può supportare. Pertanto al momento si può escludere che in Galizia ci sia uno sciame ibrido. Per quanto riguarda la distribuzione spaziale, esemplari ibridi sono stati rilevati in 3 dei 13 branchi. Dopo questi studi quello che è emerso è che la ibridazione tra cane e lupo è più comune di quanto si pensasse, che è di breve durata temporale ma ricorrente ed estesa geograficamente. Si può ipotizzare che la ibridazione sia una forza evolutiva che “modella” le caratteristiche biologiche dei lupi iberici. Un esempio di quanto detto potrebbe essere il ricorrente polimorfismo di colore nella popolazione in Galizia. In alcuni casi infatti il colore cannella del pelo è stato rinvenuto in ibridi, in altri casi è stato rinvenuto in esemplari risultati geneticamente lupi. Da un punto di vista gestionale la situazione in Galizia è controversa e ci si chiede se sia necessario prendere delle misure gestionali ritenendo che sia effettivamente possibile controllare gli eventi di ibridazione, oppure se bisogna assumere che la ibridazione sia una forza evolutiva. In conclusione va capito se sia meglio controllare gli ibridi, con investimenti economici notevoli, o se non sia necessario accettare il verificarsi della ibridazione (Figura 14). Fig. 14: I due elementi del dibattito relativo alla problematica della ibridazione: bisogna controllare gli ibridi oppure accettare che si verifichi la ibridazione? (Rilevare gli ibridi in una popolazione fortemente introgressa: il caso studio dei lupi e dei cani in Italia) Ettore Randi, Romolo Caniglia, Elena Fabbri, Marco Galaverni, Laboratorio di Genetica, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), Ozzano dell’Emilia (BO) C ome già riportato dai precedenti relatori, l'ibridazione tra il cane ed il lupo risulta essere diffusa e ricorrente in Europa. In Italia il numero di ibridi attualmente presente potrebbe corrispondere, a seconda delle zone, al 5 10% della popolazione selvatica di lupo. Il lupo in Italia ha subito un forte declino dal dopoguerra in poi raggiungendo il suo minimo storico negli anni '70. Dopo questo periodo la popolazione ha ripreso ad espandersi ed i lupi hanno colonizzato nuove aree in cui erano e sono attualmente presenti anche cani vaganti, e questo ha favorito il verificarsi di ibridazione tra le due popolazioni. Fig. 15: Rappresentazione grafica della struttura genetica della popolazione di cani domestici (a sinistra), della popolazione di lupi in Italia (a destra) e delle popolazioni di lupi europei (in basso) in base all’analisi di 18 microsatelliti. Le cause di introgressione del genoma di cane nella popolazione di lupo possono essere ricercate nella presenza consistente di cani vaganti in una fase in cui la popolazione di lupi era numericamente ridotta, l'espansione del lupo nelle aree rurali in cui la presenza di cani è consistente ed il conseguente effetto demografico, il controllo inefficiente del randagismo e le uccisioni illegali di lupi che hanno causato la destabilizzazione della struttura di popolazione. Identificare gli ibridi all’interno di una popolazione fortemente introgressa è difficile sia che si utilizzino marcatori molecolari che fenotipici. La situazione diventa ancora più complicata se gli ibridi originano dall’incrocio fra la forma selvatica e la forma domestica di una stessa specie perché le due popolazioni, pur essendo geneticamente diverse, non sono geneticamente e geograficamente strutturate come lo sarebbero due popolazioni parentali nei casi di ibridazione naturale. Nel 2000 si è cominciato ad identificare quali fossero i marcatori genetici che, più di altri, consentissero di distinguere la popolazione di cane da quella del lupo. A tale proposito si è osservato che, per quanto riguarda il DNA microsatellite, l'analisi di 18 microsatelliti consentiva di differenziare geneticamente la popolazione di lupi in Italia dalle altre popolazioni di lupi europei, probabilmente perché questa popolazione è rimasta isolata geneticamente dalle altre per molte generazioni. Inoltre, l'analisi degli stessi 18 microsatelliti consentiva di distinguere geneticamente la popolazione di lupi da quella di cani (Figura 15). Aumentando il numero di microsatelliti analizzati (n = 39) questo risultato veniva confermato. Tuttavia sia l'analisi di 18 microsatelliti che l'analisi di 39 microsatelliti non consentiva di rilevare in maniera affidabile esemplari ibridi di generazione successiva alla seconda – terza generazione di reincrocio. La situazione non migliorava aumentando il numero di microsatelliti, dato che aumentando la generazione di introgressione si tende a raggiungere un plateau per cui, pur incrementando il numero di microsatelliti, non si riesce a distinguere in maniera affidabile il genoma del lupo rispetto al genoma di ibridi oltre alla seconda generazione di reincrocio. Di conseguenza non era possibile, tramite l'analisi del solo DNA microsatellite, identificare ibridi, di generazione successiva alla seconda generazione di re incrocio. L’analisi di un numero inferiore di microsatelliti (ad esempio n = 12) aumentava i casi di “falsi positivi”, ovvero aumentava il numero di lupi identificati come ibridi. D’altra parte anche altri marcatori genetici bi parentali (per es., SNP single nucleotide polymorphisms), se considerati singolarmente, presentano dei limiti diagnostici, ed essendo il tasso di introgressione variabile all’interno dei cromosomi, marcatori genetici che mappano su diversi cromosomi possono avere potere diagnostico diverso. L'analisi del DNA mitocondriale (mtDNA; trasmesso per via materna) consente di rilevare la introgressione con il cane nella popolazione selvatica di lupo in casi specifici (per esempio, in Italia), cioè quando gli mtDNA del cane e del lupo sono sufficientemente distinti da un punto di vista genetico. In alcuni casi, l'analisi del cromosoma sessuale Y (trasmesso per via paterna) ha un potere diagnostico maggiore per la identificazione degli ibridi rispetto al DNA mitocondriale perché cane e lupo hanno diversi aplotipi Y. Tuttavia le introgressioni del mtDNA e del cromosoma Y del cane nella popolazione di lupi risultano essere limitate, dato che la maggior parte degli ibridi identificati fino ad ora sono reincroci nelle popolazioni di lupo che non recano tracce degli aplotipi mtDNA ed Y dei parentali. A livello fenotipico si osserva una certa variabilità nella popolazione selvatica di lupi in Italia, ed è importante che il dato fenotipico venga integrato con il dato genetico per poter rilevare la ibridazione in maniera affidabile. Ad esempio la colorazione scura del mantello, che viene determinata da una delezione melanistica nel gene che codifica per la beta-defensina 103 (locus K), costituisce una evidenza sia genetica che morfologica di ibridazione, anche se non è semplice datarne l’origine. Bisogna tuttavia fare attenzione a non utilizzare solamente i caratteri fenotipici come criterio diagnostico, perché in questo modo si rischia di sottostimare il numero effettivo di ibridi dato che molti di questi esemplari sono morfologicamente identici a lupi geneticamente puri. Sarebbe pertanto auspicabile identificare le basi genetiche di altri con tratti fenotipici, come è stato possibile fare per alcuni specifici caratteri fenotipici anomali (ad esempio la colorazione scura del pelo) ma non ancora per altri (ad esempio l'unghia depigmentata). Fig. 16: Differenza del pattern di colorazione facciale e dello sguardo nei lupi che presentano la delezione beta-defensine del locus K, secondo la teoria proposta da Ueda et al (2014). La delezione melanistica del locus K sembra avere una correlazione con il successo riproduttivo. Nel branco di lupi dello Yellowstone in Nord America, dove l’introgressione con il cane è avvenuta molti anni fa, ci sono segnali apparentemente chiari di selezione e gli individui neri che presentano la delezione del locus K in eterozigosi hanno un successo riproduttivo medio maggiore ed un valore medio della fitness più elevato rispetto ai lupi selvatici. Viceversa gli esemplari neri ma omozigoti hanno valori di fitness più bassi rispetto al lupo. La spiegazione di questo fenomeno può essere individuata nel fatto che le betadefensine (proteine prodotte dal locus K e da altri geni della stessa famiglia) sono presente non solo nell’epidermide, ma anche nel sistema riproduttivo maschile e la sua delezione potrebbe essere correlata alla riproduzione ed alla fertilità. Un altro aspetto interessante rilevato da uno studio giapponese del 2014 (Ueda et al 2014) è che la delezione del locus K influisce anche sul pattern di colorazione facciale e sullo sguardo dell'animale (Figura 16). Pertanto gli individui che presentano la delezione del locus k hanno anche un diverso modo di comunicare con lo sguardo, ed è possibile che questa modifica comportamentale possa influire sul successo riproduttivo. Nella popolazione italiana di lupi non è stata rilevata nessuna evidenza di una pressione selettiva negli individui che presentano la delezione del locus K, così come non si rileva nessuna evidenza di una preferenza di partner in base alla colorazione del mantello. Fig. 17: Risultati dello studio condotto dal 2002 al 2012 da Caniglia et al (2014) su 7700 campioni (principalmente escrementi) raccolti nei territori di quattro regioni appenniniche: Romagna, Liguria, Marche ed Umbria. Utilizzando marcatori genetici uni- e biparentali (ovvero 12 microsatelliti, mtDNA, cromosoma Y e delezione del locus K) è stata realizzata una analisi su 7700 campioni (principalmente escrementi) raccolti in 11 anni (2002 – 2012) negli Appennini centro settentrionali, ed è stata rilevato che alcuni ibridi cane lupo erano presenti in Italia già nel 2002. Il che fa pensare che gli ibridi erano presenti almeno nella generazione precedente al 2002 e questo spiega perché alcune porzioni della popolazione italiana di lupi siano così altamente introgresse (Figura 17). Uno studio successivo realizzato analizzando 170.000 “singoli nucleotidi polimorfici” (SNP single nucleotide polymorphism) di 750 campioni di lupi e cani raccolti in Europa, grazie alla collaborazione di diversi laboratori europei (ISPRA non pubblicato), ha consentito di distinguere in maniera chiara i lupi italiani dai cani, dai lupi europei e dagli ibridi di prima e seconda generazione di reincrocio, ma non ha consentito di distinguere in maniera chiara alcuni ibridi presumibilmente di generazione successiva alla seconda generazione di introgressione da lupi italiani che non hanno origine ibrida (Figura 18). Questo risultato conferma che la popolazione italiana di lupi è fortemente introgressa e che alcuni ibridi successivi alla seconda – terza generazione di reincrocio sono difficilmente identificabili geneticamente. Una possibilità per incrementare le possibilità di rilevare geneticamente gli ibridi in una popolazione altamente introgressa è quella di ricorrere all’analisi genomica, attraverso la individuazione di un numero ridotto di “marcatori informativi ancestrali” (AIM, ancestry informative markers), che hanno un più elevato potere di distinguere il cane dal lupo e di discriminare tra loro le popolazioni di lupo perché massimizzano la probabilità di identificazione della popolazione di origine degli alleli. La implementazione di una banca dati di AIM potrebbe consentire di identificare, ed eventualmente rimuovere, individui introgressi fino alla 4 – 5 generazione. Un’altra possibilità è quella di identificare dei “blocchi di aplotipi” (haplotype blocks) che risultano essere fortemente introgressi e che vengono tramandati di generazione in generazione. Un’ultima possibilità infine è l’utilizzazione di “geni funzionali adattativi” che risultano essere più o meno introgressi rispetto alla media dei geni. Identificare corrispondenze tra varianti genetiche e varianti fenotipiche potrebbe consentire di individuare, ed eventualmente rimuovere, gli individui più fortemente introgressi. Nonostante questi limiti, la genetica molecolare ha consentito di confermare che la popolazione italiana di lupi è almeno in parte fortemente introgressa con quella del cane domestico ed ha permesso di identificare gli esemplari ibridi di prima e seconda generazione di introgressione, di descrivere il pattern di introgressione nella popolazione, di stimare la frequenza di ibridi a scala locale, di mappare la localizzazione di branchi ibridi e di valutare la corrispondenza tra alcuni tratti di variazione morfologica e molecolare. Per il monitoraggio dei branchi ibridi sarebbe auspicabile realizzare un piano di monitoraggio non invasivo a livello nazionale basato su adeguate procedure di diagnosi fenotipica – molecolare, ma questo richiede dei costi molto elevati. Sembrerebbe invece possibile, sia economicamente che organizzativamente, realizzare uno schema nazionale di campionamento di canidi catturati o rinvenuti morti. Ciò consentirebbe di implementare una banca dati a livello nazionale o europeo da utilizzare per identificare il monitoraggio dello stato demografico, sanitario e genetico delle popolazioni di lupo. Dopo circa 15 anni di introgressione, che corrispondono a 5 – 6 generazioni, la proporzione attesa di genoma di cane in una popolazione di lupi dovrebbe essere approssimativamentedell'1%. Questo significa che, mediamente, più del 99% di ascendenza nei lupi deriva dal lupo. Non ci sono evidenze che la selezione naturale sfavorisca gli ibridi, quindi è probabile che se si riduce la ascendenza del cane dall’1% allo 0% questo potrebbe non comportare un sostanziale impatto positivo sulla fitness della popolazione di lupo. Resta comunque ipotizzabile che, pur in assenza di evidenze, essendo il cane stato selezionato per essere addomesticato, la sua ascendenza sia comunque dannosa per la fitness dei lupi, e la introgressione di varianti genetiche selezionate dall'addomesticamento vada evitata. In questo caso, da un punto di vista puramente genetico, il mantenimento di una popolazione di lupi di grandi dimensioni, in cui la deriva genetica sia irrilevante, potrebbe consentire alla selezione naturale di ridurre l’effetto negativo causato dalla ascendenza del cane domestico nella popolazione ed il flusso genico del cane verrebbe interrotto senza la necessità di nessun intervento umano. Tuttavia, la presenza soverchiante di cani vaganti perpetuerebbe gli eventi di ibridazione generando situazioni difficilmente controllabili in assenza di interventi attivi di conservazione. Fig. 18: Rappresentazione grafica della struttura genetica della popolazione di cani domestici (a sinistra), degli ibridi di prima e seconda generazione (al centro), della popolazione di lupi in Italia e di ibridi di generazione successiva alla seconda (in alto a destra) e delle popolazioni di lupi europei (in basso) in base all’analisi di 170.000 SNP. In conclusione è possibile formulare alcune considerazioni di carattere gestionale: 1) La ibridazione sembra non avere effetti dannosi sulla fitness del lupo e neanche la persecuzione antropica sta impedendo alle popolazioni di lupo di espandersi in Italia; indipendentemente da questa considerazione è assolutamente prioritario contrastare il randagismo canino e limitare la diffusione di ibridi. 2) La cattura e la rimozione o sterilizzazione degli ibridi, oltre ad essere complicata da un punto di vista logistico, può risolvere il problema localmente e temporaneamente ma la dispersione di lupi nei territori lasciati liberi dagli ibridi e la presenza di cani vaganti vanificherebbe questi sforzi. Tuttavia ci sono aree di passaggio per i lupi e corridoi critici che andrebbero monitorati per impedire il diffondersi della ibridazione (ad esempio l'Appennino ligure, che costituisce il passaggio dagli Appennini alle Alpi). In queste aree critiche bisogna intervenire per evitare l'arrivo di ibridi ed eliminare la presenza di cani. 3) E' necessario un piano nazionale per il monitoraggio della popolazione di lupo e della presenza di ibridi, ed un piano d'azione a lungo termine implementato dai tre ministeri (Agricoltura, Ambiente e Salute), dalle regioni e dalle province per contrastare la diffusione di ibridi e cani vaganti. (Evoluzione della presenza del lupo e di ibridi lupo - cane) Marco Apollonio e Massimo Scandura, Dipartimento di Scienze della Natura e delle sue Risorse, Università di Sassari L a Toscana è un'area chiave per la distribuzione del lupo in Italia e per la colonizzazione delle Alpi. La presenza del lupo in Toscana ha avuto un incremento sostanziale negli ultimi 20 anni e nel 2013 le due popolazioni toscane (quella tirrenica e quella appenninica) risultavano essere in contatto tra loro sul territorio regionale, con un numero stimato di branchi pari a 71 che corrisponde ad almeno 300 - 320 lupi presenti nel territorio regionale (Figura 19). Fig. 19: Distribuzione del lupo in Toscana nel 2013 In Toscana si osserva anche una presenza consistente di ungulati soprattutto cinghiali e caprioli, che costituiscono le prede naturali per il lupo. Uno studio iniziato nel 1993 in provincia di Arezzo aveva rilevato la presenza di almeno 4 branchi, e negli anni 1999 – 2000 i branchi erano diventati 9, tutti localizzati nell'area a nord della provincia. Confrontando le tre variabili ambientali (copertura forestale, densità umana e biomassa di ungulati) si è visto che nelle aree di presenza del lupo la copertura forestale era più elevata rispetto alle aree in cui il lupo era assente e la densità umana decisamente inferiore. Per quanto riguarda invece la biomassa di ungulati, questa, seppure più elevata nelle aree di presenza del lupo, era comunque consistente anche nelle aree di assenza del carnivoro. Negli anni 2004 – 2005 il numero di branchi era ulteriormente incrementato (12) e nel 2013 è stata registrata la presenza di almeno 21 branchi e la popolazione di lupo non risultava più localizzata nell'area a nord della provincia ma in tutto il territorio provinciale. In Toscana non è insolito avvistare lupi molto vicini ai centri abitati e numerosi sono i casi di avvistamenti di animali con anomalie fenotipiche, a cominciare da due animali tassidermizzati nel XIX secolo e conservati all'Università di Pisa. Le analisi morfologiche condotte dal 1978 e quelle genetiche effettuate tra il 1998 ed il 2014 sulle carcasse di animali rinvenuti morti nella regione Toscana hanno confermato la presenza di ibridi in quasi tutto il territorio regionale. Questa presenza era inizialmente localizzata nelle provincie di Siena ed Arezzo fino al 2004 ma attualmente riguarda quasi tutte le provincie della Toscana. Utilizzando i dati provenienti da vari progetti svolti in Toscana, tra i quali il progetto LIFE Ibriwolf, nel 2014 è stata osservata la presenza di almeno 25 branchi con una evidenza (fenotipica o genetica) di ibridazione. Nella provincia di Arezzo, le analisi condotte su 480 campioni corrispondenti a 211 genotipi diversi, di cui 185 lupi, e raccolti tra il 1998 ed il 2014, hanno rilevato il maggior numero di esemplari introgressi nell'area centro-orientale della provincia di Arezzo. Considerata l'abbondanza di prede selvatiche e di copertura vegetazionale in tale area, è possibile prevedere per il futuro una ulteriore espansione della popolazione di lupo anche nelle aree marginali adiacenti ai centri abitati. di lupi e di ibridi difendono il territorio allo stesso modo. Questa situazione potrebbe ulteriormente accelerare il livello di ibridazione della popolazione di lupo con il cane domestico, e sarebbe auspicabile la formulazione di un piano gestionale globale finalizzato a prevenire l'espansione del genoma di cane nella popolazione selvatica di lupo. Nell'ambito di uno studio svolto in provincia di Arezzo, su due branchi composti dalla coppia riproduttiva ibrida, è stato possibile ottenere alcuni dati preliminari relativi alla ecologia, al comportamento ed alla fisiologia degli ibridi. Per quanto riguarda il comportamento alimentare, sembra che lupi ed ibridi abbiano la stessa dieta ed uccidano le stesse prede (ovvero principalmente cinghiali e caprioli). Non si osserva nessuna differenza nella struttura acustica di lupi ed ibridi e branchi Fig. 20: Localizzazione dei branchi di lupi rilevati nella regione Toscana nel 2014 che presentano almeno una evidenza fenotipica o genetica di ibridazione. Infine i dati preliminari di fisiologia rivelano che gli esemplari ibridi potrebbero avere una fertilità (misurata come numero medio di cuccioli) più elevata ed un ciclo riproduttivo diverso, caratterizzato da un evidente anticipo, rispetto a quello dei lupi, a causa delle modifiche genetiche apportate dalla domesticazione. (Introgressione tra specie domestiche o captive ed i loro corrispondenti selvatici: cause ecologiche e conseguenze genetiche) Michael K. Schwartz, USDA Forest Service, Rocky Mountain Research Station, Missoula, USA. L a ibridazione è l'accoppiamento tra due individui appartenenti a due popolazioni o gruppi di popolazioni distinguibili sulla base di uno o più caratteri ereditabili. L'ibridazione è un fenomeno naturale che si verifica sia nel mondo vegetale che animale ma in alcune situazioni può costituire una forza aggiuntiva che, interagendo con altri fattori come la frammentazione e la degradazione degli habitat, può portare all'estinzione di alcune specie. Gli aspetti connessi alla ibridazione sono di tipo legale (che livello di protezione viene assegnato agli ibridi?), “meccanico” (a quale livello è possibile individuare la introgressione?), ecologico ed evolutivo (gli ibridi hanno un impatto/ricoprono un ruolo specifico?), sociale (la presenza di ibridi fornisce qualche valore aggiunto?), umano (gli ibridi provocano danni alla salute umana?), economico (qual è l'impatto economico della ibridazione?), etico (qual è il valore etico degli ibridi?). La ibridazione costituisce un problema per molte specie selvatiche. Ad esempio il 38% dei pesci di acqua dolce in Nord America e il 10% delle specie protette nelle isole britanniche sono in una condizione di rischio di estinzione a causa della ibridazione. Tuttavia la gravità del problema è stata fin ora sottostimata dai biologi della conservazione. L'ibridazione può anche avere degli aspetti positivi, ad esempio può costituire una importante fonte di variazione genetica e può consentire la divergenza ecologica di alcune specie e determinarne il successo di sopravvivenza di altre (ad esempio gli ibridi di alcune specie di girasole riescono a sopravvivere in aree in cui le popolazioni parentali muoiono). Considerate tali premesse, bisogna chiedersi se, da un punto di vista ecologico, gli ibridi vanno rimossi o vanno conservati. Per poter prendere una decisione di questo tipo, dobbiamo chiederci se gli ibridi ricoprono qualche ruolo ecologico, almeno nel breve termine, in modo che la loro conservazione non comprometta la conservazione delle funzioni ecologiche di un ecosistema. Fig. 21: Fattori che possono influire sulla scelta di rimuovere o proteggere gli ibridi all’interno di una popolazione. Dobbiamo inoltre valutare se la conservazione degli ibridi può influire sulla evoluzione e sull'adattamento dell'ecosistema evolutivo (ad esempio gli ibridi potrebbero determinare la perdita di variazione genetica). Se infine vogliamo tenere conto del contesto ecologico nel suo insieme dobbiamo chiederci se gli ibridi stanno distruggendo l'integrità del sistema ecologico nativo. Non tutte le situazioni che riguardano gli ibridi sono uguali, né vengono condizionate dagli stessi fattori, e richiedono pertanto azioni diverse a seconda della situazione specifica. Alcune situazioni sono intermedie e in questi casi è difficile stabilire se richiedono la rimozione o la protezione degli ibridi (Figura 21). viene favorito dalla presenza dell’uomo dato che questo influisce sulla degradazione ed alterazione dell’habitat e sulla variazione climatica, facilita la ibridazione perché viene ridotta la selezione ecologica divergente tra le specie e si perde l’isolamento riproduttivo. Questa teoria viene definita “Ipotesi della omogeneizzazione ecologica” ed ha due possibili effetti: 1. collasso dell'insieme “multispecie” in uno sciame ibrido a causa dell'ambiente omogenizzato, 2. creazione di un mosaico geografico di specie che coesistono in alcuni ambienti e collassano in sciame in altri ambienti. Il caso della ibridazione della lince canadese (Lynx canadensis) in Minnesota con la lince rossa (Lynx rufus) costituisce un esempio di ibridazione mediata dall'habitat. Le due specie occupano aree parzialmente sovrapposte (Figura 23) e rappresentano due specie selvatiche, tassonomicamente molto simili tra loro. Fig. 22: Fattori evolutivi, ecologici e ambientali che influiscono sulla espansione della ibridazione Un'altra condizione che influisce sulla scelta di interventi gestionali relativi agli ibridi è la diffusione della ibridazione che, a sua volta, dipende dalla evoluzione, dalla demografia e dalla ecologia degli ibridi. Ad esempio se l'ibrido di prima generazione è fertile (e quindi la selezione tenderà a favorirlo), se ha un'alta fecondità ed un'alta mobilità e se la nicchia ecologica è ampia, l'habitat è disturbato e si osserva un cambiamento climatico, allora la possibilità che la ibridazione si diffonda è elevata. Viceversa se l'ibrido di prima generazione è sterile (e quindi la selezione tenderà a sfavorirlo), se ha una ridotta fecondità ed una ridotta mobilità e se la nicchia ecologica è ristretta, l'habitat nativo è intatto e se la velocità del cambiamento climatico è ridotta allora le potenzialità di espansione della ibridazione sono ridotte (Figura 22). Infatti un ambiente eterogeneo produce nicchie ecologiche alternative e promuove un adattamento divergente favorendo l’evoluzione di un accoppiamento non casuale e promuovendo al tempo stesso la differenziazione genetica. Viceversa un ambiente omogeneo, che generalmente L'ibridazione tra le due specie non rientra pertanto tra gli esempi di ibridazione tra animale domestico e animale selvatico. Generalmente la ibridazione avviene perché la femmina di lince canadese si accoppia con un esemplare maschio di lince rossa. Lo studio genetico, condotto tra il 2001 ed il 2003 e realizzato su 40 campioni non invasivi e 3 campioni invasivi (3 carcasse), analizzando il DNA mitocondriale e 10 microsatelliti ha rilevato la presenza di tre individui ibridi che, tra l’altro, presentavano anche caratteri morfologici intermedi tra quelli della lince canadese e della lince rossa. Tutti gli ibridi individuati erano localizzati nell’area a nord est degli Stati Uniti. Fig. 23: Areale di presenza della lince canadese (in alto) e della lince rossa (in basso) in Nord America. Andando ad analizzare i possibili fattori che hanno potuto favorire la ibridazione di queste due specie, si è visto che alcuni fattori ecologici, come la presenza abbondante di esemplari di lince rossa e l’altezza della neve, possono aver contribuito a creare delle aree di sovrapposizione per le due specie di lince e aver favorito pertanto il verificarsi della ibridazione. Lo scenario gestionale relativo alla ibridazione tra le due specie di lince in Nord America è decisamente complicato perché, da un punto di vista ecologico, evolutivo ed ambientale sono presenti elementi sia a favore della rimozione che della conservazione degli ibridi (Figura 24). Una variante importante è la fertilità dell’ibrido di prima generazione (F1). Nel caso di ridotta fertilità dell’ibrido F1, la popolazione di lince canadese potrebbe soffrire di una carenza di opportunità di “reclutamento” di partner. Viceversa, nel caso in cui l’ibrido F1 non sia sterile, si potrebbe generare uno sciame ibrido e la popolazione di linci canadesi potrebbe drasticamente ridurre il proprio areale e le proprie potenzialità di sopravvivenza. Fig. 24: Fattori evolutivi, ecologici e ambientali (in rosso) che caratterizzano la ibridazione tra lince canadese e lince rossa in Nord America. I risultati ottenuti hanno almeno due implicazioni di tipo legale. Innanzitutto la lince rossa può essere legalmente catturata in alcuni stati mentre la lince canadese non può essere catturata in tutto il Nord America. Inoltre manca una politica ufficiale per la gestione degli ibridi e non è quindi chiaro se l'ibrido di lince rossa e lince canadese è protetto o meno dall'Endangered Species Act. Pertanto, se si decidesse di proteggere gli ibridi, le catture della lince rossa diventerebbero problematiche dato che si correrebbe il rischio di catturare ibridi o esemplari di lince canadese. Una seconda implicazione di tipo legale è la identificazione di un potenziale pericolo per il ripristino della popolazione di lince canadese. Infine, la frammentarietà del sistema normativo ed il fatto che esemplari di lince canadese e di lince rossa domestici siano stati rilasciati in natura, complica ulteriormente la situazione. Per capire come l'ambiente può favorire l'ibridazione si può osservare il caso dello scoiattolo volante (Pteromyini sp) o il fenomeno della ibridazione del lupo con altre specie di canidi. L'ibridazione di queste due specie e della lince avviene solo nella porzione ad est degli Stati Uniti e non in quella ovest. Bisogna quindi chiedersi se e come la complessità ecologica/topografica, la variazione climatica o il disturbo antropico influenzano l'ibridazione. In conclusione, preso atto del fatto che l'ibridazione può essere un fenomeno naturale e costituire quindi, in alcune situazioni, un evento positivo per la sopravvivenza delle specie selvatiche, altre volte il rapido cambiamento del paesaggio causato dall'uomo può aumentare la ibridazione che diventa quindi una questione ecologica. L’ibridazione antropogenica in particolare si verifica in diversi taxa animali e generalmente comporta una riduzione della diversità genetica, una modifica della struttura genetica della popolazione oppure una alterazione degli adattamenti genetici. Il problema si rivela particolarmente delicato quando si ha a che fare con specie in rischio di estinzione ed è importante chiederci, in tali situazioni, cosa vogliamo conservare e cosa stiamo conservando. I nuovi strumenti forniti dalla genomica forniscono sicuramente un aiuto notevole per individuare e capire meglio il fenomeno della ibridazione tra popolazione domestiche e selvatiche, ma non costituiscono comunque una panacea. (Le unità di conservazione sulla Direttiva Natura della Unione Europea) Andras Demeter, Direttorato generale per l'ambiente, Commissione Europea I l direttorato generale per l'ambiente include un direttorato B (Natural Capital) che è a sua volta suddiviso in tre unità: B1 Agricoltura, Foresta e Suolo; B2 Biodiversità; B3 Natura. Due sono i principali strumenti della Unione Europea per proteggere la fauna selvatica. La Direttiva Uccelli (2009/047/EC) che protegge tutte le specie di uccelli che sono naturalmente presenti allo stato selvatico negli stati della Unione Europea ed ha come obiettivo principale quello di mantenere le popolazioni delle varie specie di uccelli in una condizione che rispetta i loro requisiti ecologici, scientifici e culturali o di adattare le popolazioni di queste specie a tali livelli. Il secondo strumento è la Direttiva Habitat (92/043/EEC) che contribuisce a mantenere la biodiversità attraverso la conservazione degli habitat naturali e delle specie in Europa. Inoltre questa Direttiva fa in modo che gli habitat e le specie vengano mantenute, o ristabilite, in uno stato favorevole di conservazione (Figura 25). L'unità di conservazione di queste due direttive è variabile e ad esempio il livello di protezione nell'ambito della Direttiva Habitat può variare dalla popolazione, alla sottospecie, alla specie, al genere, alla famiglia, al sotto ordine e all'ordine. Nella legislazione europea non viene fatta menzione relativamente agli ibridi, siano questi di origine naturale o antropica, e viene delegato agli stati membri la autorità e la responsabilità di gestire, anche a livello legale, il problema della ibridazione se vogliono preservare lo status di conservazione di una determinata unità ad un livello favorevole. Fig. 25: Aspetti in comune tra le due direttive comunitarie, la Direttiva Uccelli e la Direttiva Habitat. Attraverso il programma LIFE, istituito nel 1992, gli stati membri vengono dotati dello strumento finanziario e della assistenza da parte della Commissione Europea per gestire questo problema. Attualmente 31 progetti LIFE in Europa, dei 1250 finanziati fino ad oggi, hanno sollevato il problema della ibridazione e 25 di questi hanno incluso misure concrete per la risoluzioni di problematiche causate dalla ibridazione di specie animali o vegetali. Nello specifico, i progetti LIFE che si sono svolti in Italia ed hanno affrontato problematiche connesse alla ibridazione, hanno contribuito a focalizzare l'attenzione su questa problematica ed in particolare sul problema sociale connesso alla presenza di cani vaganti, ma dovranno fare attenzione a proseguire le attività intraprese al termine del progetto. Fig. 26: Elenco delle specie animali e vegetali oggetto di specifici progetti LIFE finalizzati a contrastare la problematica della ibridazione. E' inoltre possibile ottenere informazioni in merito alla fauna selvatica in alcuni rapporti prodotti dalla Unione Europea e disponibili on line che trattano non solo dello stato di conservazione delle specie selvatiche ma anche dei fattori di rischio per la loro conservazione, e forniscono indicazioni specifiche relativamente ad alcune specie. In particolare la conservazione dei grandi carnivori costituisce una grande sfida per l'Unione Europea e attualmente si sta lavorando ad un documento che includa gli interventi chiave per la salvaguardia delle popolazioni selvatiche di lupo, in particolare di quelle transfrontaliere, in cui la ibridazione con il cane domestico è percepita come un problema per la conservazione. La UE vuole coinvolgere 8 associazioni europee a collaborare per firmare un accordo di collaborazione per la creazione di una piattaforma europea di coesistenza tra la popolazione ed i grandi carnivori. Lo scopo di questa piattaforma è quello di creare le basi per un dialogo costruttivo e per trovare le soluzioni al conflitto tra la popolazione e la presenza dei grandi carnivori, attraverso lo scambio di esperienze e di buone pratiche tra gli stakeholders. (Ibridazione: l'“arma segreta” delle invasioni biologiche) Daniel Simberloff, Università del Tennessee, USA L a ibridazione è stata riconosciuta come una questione connessa alla conservazione della fauna selvatica nelle ultime due decadi, ma già nel 1958 una pubblicazione di C. S Elton, relativa alla ecologia delle invasioni di animali e piante (“The ecology of invasions by animals and plants”), faceva riferimento agli impatti causati dalla presenza di ibridi e introduceva il concetto di ibridazione nel contesto della conservazione delle specie selvatiche. Altre pubblicazioni uscite della fine degli anni '80, sempre relative alla invasione biologica di specie animali e vegetali, citavano il problema dell'impatto ecologico causato dalla ibridazione delle specie selvatiche con le specie domestiche introdotte dall'uomo. Alla fine degli anni ’90 si è cominciato infine a parlare degli effetti della ibridazione sulle popolazioni selvatiche ed in particolare del rischio di estinzione. L'impatto più noto della ibridazione è la modifica di genotipi autoctoni, e questo spesso avviene in maniera non appariscente ma attraverso una modifica graduale del pool genetico di una specie. ugualmente un problema per la conservazione delle specie native perché causa modifiche di tipo ecologico. In questa categoria rientrano i casi in cui: Fig. 28: Articoli che documentano la ibridazione di Phragmites australis con una sottospecie nativa in Nord America. 1. la ibridazione tra una specie nativa ed una introdotta genera nuove specie invasive, come nel caso della Spartina anglica in California, in cui la nuova specie creata per ibridazione è diventata altamente invasiva o come il patogeno delle piante Phytoptora alni diffuso in gran parte dell'Europa (Figura 27). 2. la ibridazione con una specie introdotta rende innocua la specie invasiva nativa. Un esempio di questa situazione è l'ibrido derivato da Phragmites australis con una sottospecie nativa in Nord America (Figura 28). Fig. 27: L’ibrido patogeno delle piante Phytophtora alni e sua distribuzione in Europa E' possibile individuare due categorie di ibridazione. La prima categoria include i casi in cui non si verifica introgressione. Tale ibridazione pertanto non causa problemi di tipo genetico ma costituisce 3. la ibridazione con una specie introdotta rende innocua un'altra specie introdotta ma invasiva, come ad esempio l'ibrido della Secale cereale che non ha nessun impatto ecologico sull'ambiente a differenza della popolazione parentale. 4. la ibridazione con una specie introdotta rende la specie invasiva introdotta ancora più invasiva. Ad esempio l'ibrido della pianta Phalaris arundinacea è molto più invasivo della specie selvatica e molti patogeni, come la “grafiosi dell'Olmo” sono ibridi derivati altri patogeni meno invasivi. visone domestico e visone selvatico, tra yak domestico e yak selvatico. La seconda categoria include invece i casi in cui si verifica introgressione ed il patrimonio genetico della specie viene modificato. Di conseguenza l'impatto della ibridazione non è solo ecologico ma anche evolutivo. In questa categoria rientrano i casi in cui: 1. la ibridazione con una specie introdotta modifica notevolmente la specie nativa senza tuttavia renderla invasiva. Ad esempio l'ibrido tra il cervo rosso (Cervus elaphus) ed il cervo del Giappone (Cervus nippon) in Irlanda (Figura 29) oppure l'ibrido tra le due falene Operophtera brumata e O.bruceata 2. la ibridazione con una specie introdotta mette in pericolo la specie nativa con lieve rischio di estinzione per introgressione, come nel caso di piante rare che vivono sulle isole, come ad esempio l'ibridazione tra Arbutus canariensis e Arbutus unedo nelle Isole Canarie, oppure la ibridazione tra il gobbo rugginoso (Oxyura leucocephala) con esemplari introdotti di gobbo della Giamaica (O. jamaicensis) che mette a rischio la sopravvivenza della specie nativa (Figura 30) Fig. 29: Un esemplare maschio di cervo rosso (a destra, dietro), un esemplare maschio di cervo del Giappone (a destra, davanti) ed un esemplare femmina ibrido (a sinistra). 3. la ibridazione con il corrispondente domestico mette in pericolo la specie nativa con estinzione per introgressione, come ad esempio la ibridazione tra cane e lupo, tra gatto domestico e gatto selvatico, tra Fig. 30: Un esemplare di gobbo della Giamaica (in alto a sinistra), un esemplare di gobbo rugginoso (in basso a destra) ed un esemplare ibrido (in basso a sinistra). Per intervenire serve innanzitutto acquisire maggiori informazioni relativamente ai casi specifici, ma non si può aspettare di provare che la ibridazione abbia un impatto di tipo ecologico o evolutivo su una specie selvatica, ed è necessario intervenire prima che sia troppo tardi e quando ci sono ancora le condizioni per rimuovere una specie introdotta o prevenire la sua ibridazione con la specie nativa, con l'assunto che le invasioni biologiche hanno sempre un qualche tipo di impatto ecologico e/o evolutivo, anche se al momento ancora non si conosce. In letteratura si conoscono diversi esempi di risoluzione di problemi causati dalle invasioni biologiche, mentre il problema causato dalla ibridazione è più complicato da risolvere ed è difficile intravedere delle possibili soluzioni. In alcuni casi le popolazioni selvatiche di specie rare sono state “confinate” in posti in cui non c'era rischio di venire ibridate (ad esempio esemplari di cervo rosso sono stati spostati in un’area dove il cervo del Giappone non era presente). In altre situazione si è provato ad uccidere tutti gli individui ibridi. Ad esempio in Inghilterra sono stati uccisi gli esemplari dell'anatra ibrida derivata dall'incrocio tra esemplari di gobbo rugginoso e di gobbo della Giamaica. Un'altra alternativa è quella di evitare i rilasci in natura, anche se non si tratta di un intervento semplice da realizzare. Infine ci sono degli esempi innovativi e promettenti di risoluzione del problema come nel caso dell'uso della tecnica del “silenziamento genico” (gene silencing, ovvero la introduzione di geni che inibiscono i processi intracellulari mediante l'espressione mutata di un tratto genetico) in alcune piante, come tentativo di prevenire l'espressione dei fenotipi ibridi. Si tratta comunque di tecniche all'avanguardia ed è difficile dire al momento se avranno successo o meno. In conclusione la ibridazione tra domestici è selvatici è solo una piccola parte di un problema molto più esteso, ma è anche l'aspetto più difficilmente trattabile di tutte le tipologie di invasioni biologiche. (Conseguenze genetiche, morfologiche, comportamentali e demografiche della ibridazione tra lupi e coyote in Ontario, Canada: implicazioni per la conservazione e la gestione) John F. Benson and Brent R. Patterson. La Kretz Center for California Conservation Science, Dipartimento di Ecologia e Biologia Evolutiva, Università della California, Los Angeles, USA L a ibridazione tra lupi e coyote in Nord America costituisce un esempio di ibridazione antropogenica tra due specie selvatiche. Viene definita antropogenica perché è stata resa possibile da interventi realizzati dall'uomo. In particolare la ibridazione tra le due specie è stata facilitata dal disboscamento e dalla eradicazione locale del lupo che hanno consentito ai coyote di espandere il proprio areale. Lo studio, condotto nell'Algonquin Provincial Park (APP) e in tre aree a questo adiacenti, localizzate ad ovest e a sud dell'area protetta (Figura 31), nasce dall'esigenza di capire il significato biologico della ibridazione tra specie di canidi selvatici e di incrementare le conoscenze relative alle caratteristiche morfologiche, genetiche ed ecologiche e dinamica della ibridazione per poter utilizzare questi dati a livello gestionale. In Ontario sono presenti tre diverse specie di canidi selvatici distinti morfologicamente tra loro: i lupi (Canis lupus), i coyote (C. latrans) ed i lupi canadesi (C. lycaon). Questi ultimi hanno una taglia intermedia tra quella dei lupi e dei coyote. Fig. 31: Area di studio della indagine svolta per monitorare il fenomeno della ibridazione tra lupi e coyote in Nord America. Da un punto di vista genetico le tre specie rappresentano tre cluster distinti tra loro (Figura 32). Tuttavia, gli esemplari delle tre specie attualmente presenti in Ontario non sono animali geneticamente “puri” dato che si osserva un flusso genico tra le due specie di lupi ed i coyote. Gli esemplari ibridi (36% della popolazione), diffusi soprattutto al di fuori dell'area protetta, presentano tratti fenotipici intermedi rispetto al fenotipo delle popolazioni parentali. parentale anziché costituire un pericolo per la sua sopravvivenza. Fig. 32: Rappresentazione grafica della struttura genetica della popolazione di lupi (a sinistra), di coyote (in basso a destra) e di lupi canadesi (in alto a destra) e delle relative popolazioni ibride. I lupi canadesi costituiscono la specie di canide maggiormente consistente nell'area protetta di Algonquin e, all'interno di tale area, la ibridazione con il coyote risulta essere molto ridotta. Viceversa, gli individui di lupo canadese presenti al di fuori dell'area protetta sono principalmente ibridi perché questo territorio è saturo di altri canidi e gli esemplari di lupo canadese riescono a sopravvivere solamente integrandosi in altri branchi (e ibridandosi con altri canidi, Figura 33). Questo è probabilmente dovuto al fatto che il tasso di sopravvivenza dei lupi canadesi fuori dall'area protetta è molto ridotto, essendo questi canidi molto suscettibili al disturbo antropico ed essendo sottoposti ad un più elevato tasso di mortalità di origine antropica rispetto ai lupi e ai coyote. Gli esemplari ibridi invece sembrano essere più resistenti al disturbo antropico e riescono a sopravvivere meglio al di fuori dell'area protetta. Una situazione analoga a quanto riscontrato per i lupi canadesi è stata rilevata per la popolazione della pantera della Florida, il cui ibrido, creato artificialmente tramite accoppiamento con esemplari di pantera del Texas rilasciati in natura per evitare l'estinzione della popolazione a causa della depressione da inbreeding, ha notevolmente incrementato la fitness della popolazione ed il tasso di sopravvivenza degli adulti. In questi due casi pertanto (lupo canadese e pantera della Florida) la ibridazione potrebbe incrementare le probabilità di sopravvivenza per la specie Le tre specie di canidi che vivono nell’area di studio occupano territori parzialmente sovrapposti ed esibiscono un comportamento territoriale intraspecifico e competizione per il cibo e per l'accoppiamento. La ibridazione (e la differenza di taglia) modifica le dinamiche comportamentali. Infatti più gli individui sono di piccole dimensioni (coyote e ibridi lupo-coyote), minori sono le dimensioni del branco in cui vivono e più ridotto risulta essere il territorio che occupano. Diverso è anche il ruolo ecologico che gli animali svolgono in base alla taglia. Animali di dimensioni più piccole uccidono un numero inferiore di ungulati rispetto ai canidi di dimensioni maggiori e uccidono principalmente alci (mentre i lupi uccidono principalmente cervi). Inoltre i canidi di dimensioni più piccole mostrano una flessibilità alimentare maggiore rispetto ai canidi di dimensioni più grosse e si cibano di fonti alimentari di origine antropica (discariche) più di quanto facciano i lupi. Fig. 33: Localizzazione di lupi (blu), coyote (rosso) e lupi canadesi (verdi) all’interno e all’esterno dell’area protetta (APP). I cerchi di due colori corrispondono ad esemplari ibridi. Di conseguenza le implicazioni per la conservazione dei lupi canadesi sono che questi, avendo una dinamica source-sink (ovvero sono stabili nell'APP e distribuiti in maniera disomogenea fuori dall'area protetta) che rende altamente improbabile l'espansione della popolazione al di fuori dell'area protetta, necessitano di una maggiore tutela nelle aree non protette (attraverso una riduzione delle uccisioni) in modo da aumentare il tasso di sopravvivenza ed incrementare la densità di popolazione. E' probabile che un aumento di densità di lupi canadesi possa a sua volta ristabilire le “barriere” naturali intraspecifiche per evitare la ibridazione con le altre specie. In conclusione, nel caso dei lupi canadesi nella riserva di Algonquin si può affermare che: 1. Esiste una correlazione tra ibridazione ed area geografica (gli ibridi sono presenti principalmente al di fuori dell'area protetta mentre all'interno di questa la ibridazione è limitata). 2. Si riscontra una correlazione tra ibridazione e demografia. 3. La ibridazione influenza le dinamiche comportamentali. 4. La ibridazione influisce sulla popolazione di prede e ecologica della comunità. sula struttura Sebbene l'analisi del DNA sia essenziale per documentare la ibridazione e distinguere la popolazione di ibridi dalle due popolazioni parentali, la implementazione di piani gestionali efficaci per contrastare la ibridazione richiedono anche una conoscenza del “significato biologico” del fenomeno, e questo può essere ottenuto solamente integrando il dato genetico con i dati relativi alla morfologia, comportamento e demografia degli ibridi e delle popolazioni parentali. E' pertanto auspicabile che i futuri studi sulla ibridazione (inclusa la ibridazione tra domestici e selvatici) contemplino un approccio olistico che tenga conto degli aspetti genetici ma anche degli aspetti ecologici e demografici. (Estinzione criptica del gatto selvatico scozzese: problemi e possibili soluzioni per la ibridazione con il gatto domestico ferale) Kerry Kilshaw, WILDCRU, Oxford, Regno Unito I l gatto selvatico scozzese (Felis silvestris silvestris) costituisce attualmente l'unica specie di felino selvatico vivente in natura in Gran Bretagna. Un tempo distribuita in gran parte del Regno Unito, la specie è stata decimata nel corso degli anni a causa della persecuzione diretta da parte dell’uomo e alla distruzione dell'habitat, ed è attualmente presente solamente nel nord della Scozia dove costituisce una popolazione criticamente a rischio di estinzione composta da circa 400 animali. In tutto il mondo esistono tre sottospecie di gatto selvatico: il gatto selvatico europeo, il gatto selvatico africano ed il gatto selvatico asiatico. Oltre alle tre sottospecie esiste anche il gatto domestico che deriva dall'addomestico della forma selvatica ed è diffuso in tutto il continente. Fig. 34: Rappresentazione della struttura genetica delle popolazioni di gatto selvatico (gruppo I a sinistra), di gatto domestico (gruppo II a destra) e di ibridi (al centro). L'ibridazione estensiva con il gatto domestico, iniziata 2- 3 mila anni fa, ha determinato la comparsa di popolazioni di gatto selvatico piccole e frammentate. L'ibridazione tra il gatto selvatico scozzese ed il gatto domestico è stata riconosciuta come un problema solamente 300 anni fa ed il primo “esemplare di riferimento” o type-specimen (ovvero un esemplare utilizzato come modello di riferimento per una specie) è stato raccolto nel 1904. Ma si tratta di un esemplare di riferimento che probabilmente include geni di gatto domestico e quindi non consente di formulare una “caratterizzazione genetica” esatta per il gatto selvatico. L'ibridazione di lunga data con il gatto domestico potrebbe infatti aver causato una diluizione genetica dei geni di gatto domestico in quelli di gatto selvatico, determinando l'estinzione genetica dell'antica forma di gatto selvatico scozzese. Questo crea seri problemi per la identificazione della specie selvatica da cui derivano problemi nello svolgimento delle attività di monitoraggio, e di conseguenza una mancanza di dati relativi alla ecologia della specie. Inoltre questa situazione determina problemi dal punto di vista legale. Il gatto selvatico scozzese è stato infatti riconosciuto come specie protetta dal 1988 mentre il gatto domestico vagante è riconosciuto come animale infestante. Una indagine eseguita sugli aspetti fenotipici, morfologici (ad esempio le dimensioni del cranio) e genetici di gatto selvatico e del gatto domestico ha consentito di individuare due gruppi all'interno della popolazione selvatica: il gruppo I, che presenta la maggior parte delle caratteristiche del gatto selvatico, ed il gruppo II, che possiede le caratteristiche del gatto domestico. L'analisi genetica ha rilevato che il gruppo I ed il gruppo II costituiscono due cluster distinti mentre gli ibridi costituiscono un gruppo intermedio tra i due ma con una definizione genetica imperfetta (Figura 34). Viceversa le caratteristiche morfologiche degli ibridi risultano essere definite in maniera più precisa. Pertanto nel 2005 è stato avviato uno studio per definire in maniera più esatta le caratteristiche morfologiche del gatto selvatico, del gatto domestico e degli ibridi. In questo modo sono stati identificati sette caratteri morfologici chiave del mantello che consentono di distinguere la popolazione in tre gruppi a seconda della presenza/assenza di tali caratteristiche nell'animale (Figura 35). Sovrapponendo queste caratteristiche con il dato genetico, ottenuto dall'analisi del DNA mitocondriale, dal DNA microsatellite (14 SNP) e dai marcatori sessuali X e Y, si osserva una corrispondenza con il dato fenotipico, ed è possibile stimare la probabilità che un individuo appartenga alla popolazione di gatto selvatico o di gatto domestico e fornire una indicazione sulla probabile storia di ibridazione dell'esemplare (ad esempio è possibile estrapolare il numero di generazione in cui è avvenuta la introgressione). Fig. 35: Caratteri morfologici del mantello che consentono di distinguere morfologicamente il gatto domestico, dal gatto selvatico e dall’ibrido. Nel 2013 è stato redatto il Piano d'Azione per la conservazione del gatto selvatico scozzese, che ha coinvolto 35 associazioni, per definire gli interventi prioritari per la conservazione in situ ed ex situ della specie (Figura 36). Fig. 36: Azioni proposte nel Piano d’Azione per la conservazione del gatto selvatico scozzese per la conservazione in situ (a sinistra) ed ex situ (a destra) della specie. In base a tale Piano d'Azione si è deciso di conservare un animale che assomigliasse il più possibile ad un gatto selvatico (ovvero che non presentasse neanche un carattere tipico del gatto domestico), che si comportasse come un gatto selvatico e che possedesse almeno l'80% dei geni del gatto selvatico. Per quanto riguarda la conservazione in situ, il Piano d'Azione prevede che nei prossimi 5 anni venga ristabilita la popolazione di gatto selvatico in 5 aree prioritarie, selezionate in base ad una indagine mediante fototrappole per stimare il numero e la tipologia di gatti presenti. Il primo passo è quello di identificare le aree di presenza dei gatti domestici ferali e rimuovere le fonti trofiche artificiali. Contestualmente va sensibilizzata l'opinione pubblica sulla gestione responsabile del gatto domestico. Infine si procede con la rimozione dei gatti domestici ferali e degli ibridi, anche attraverso la collaborazione dei proprietari terrieri interessati a ridurre la quantità di gatti ferali sul territorio perché competono con la caccia agli uccelli. Per quanto riguarda la conservazione ex situ, anche questa prevede innanzitutto una sensibilizzazione della opinione pubblica sul problema della ibridazione. Inoltre prevede una fase di riproduzione in cattività in modo da incrementare la popolazione di gatto selvatico contestualmente ad una prosecuzione della ricerca per valutare il livello di ibridazione nella popolazione, aumentare la corrispondenza tra il dato genetico e quello fenotipico e definire in maniera più dettagliata i meccanismi con cui avviene la ibridazione. Per definire gli effetti che condizionano la gestione del gatto selvatico è necessario stimare quanti individui ne sono rimasti in natura, dove sono presenti e capire quali sono i fattori che facilitano la ibridazione. E' necessario inoltre capire quale sia lo status genetico della popolazione attuale per valutare se c'è ancora una possibilità di intervento attraverso la rimozione degli ibridi per ristabilire una popolazione parentale geneticamente pura o se si è già arrivati nella condizione in cui è necessario conservare gli ibridi perché la popolazione parentale è ormai totalmente introgressa. In uno studio condotto in Scozia nel 2012 è stato rilevato, tramite l’uso di fototrappole, un numero relativamente ridotto di gatti selvatici ed un numero elevato di ibridi e gatti domestici. In base alla presenza di questi animali è stata analizzata la condizione ambientale in cui si riscontra una maggiore o minore probabilità di trovare individui delle tre popolazioni, ed è stato possibile creare una mappa delle aree in cui il rischio di ibridazione è più elevato (Figura 37). Fig. 37: Mappa che individua le aree della Scozia in cui la presenza di ibridi tra gatto selvatico e gatto domestico risulta essere più elevata. Tramite l’analisi ambientale si è visto che il gatto selvatico predilige ambienti con boschi misti, conifere e prati, il gatto domestico ambienti aperti e relativamente antropizzati (prati ed aree rurali), mentre l'ibrido favorisce un ambiente intermedio tra i due (prati, aree rurali, conifere). In questo modo è possibile identificare quali sono le aree prioritarie per la tutela del gatto selvatico. (Ibridazione, introgressione, barriere riproduttive e gestione del lupo rosso) Richard Fredrickson, Università dell'Arizona, USA L a popolazione di lupo rosso (Canis rufus), un tempo diffusa in tutta l'area a sud est degli Stati Uniti, venne drasticamente ridotta dall'arrivo dei colonizzatori europei che alterarono profondamente l'habitat idoneo per la specie. Nel 1970 era rimasta solo una piccola popolazione di lupi rossi in un'area localizzata tra il Texas e la Louisiana, sovrapposta all'areale di presenza del coyote (C. latrans) e ibridata con i coyote . un'area all'interno di quello che era l'areale storico per la specie, non necessariamente in contatto con la popolazione presente in Carolina del Nord. Inoltre è stato posto l'obiettivo di conservare, per i prossimi 150 anni, almeno l'80-90% della diversità genetica del lupo rosso, dato che la popolazione di lupi rossi in Carolina del Nord ha comunque una percentuale di geni introgressi con il coyote. Per evitare l'estinzione del lupo rosso in Nord America, nel 1973 si è deciso di avviare un progetto di allevamento in cattività della specie. Nel 1986 vennero rilasciati in natura, in un'area a nord est dello stato della Carolina del Nord, i primi esemplari di lupo rosso nati in cattività, e da questi si è originata la popolazione di lupi rossi che è attualmente presente nello stato. Tuttavia, nell'area erano presenti anche i coyote e nel 1993 venne rilevato il primo caso di ibridazione tra le due specie. Pertanto nel 2000 venne avviato un progetto di rimozione degli ibridi e di sterilizzazione dei coyote, nella convinzione che essendo le due specie allopatriche era molto probabile che si ripetesse nuovamente l'ibridazione che avrebbe costituito un rischio molto serio per la sopravvivenza della popolazione di lupi rossi. Al fine di raggiungere questi obiettivi era necessario capire se esistessero delle barriere riproduttive che impedissero agli esemplari delle due specie di ibridarsi tra loro o, quantomeno, che evitassero l'introgressione genetica nelle popolazioni parentali. Tali barriere possono essere di due tipi e vengono dette barriere prezigotiche, se impediscono la formazione dello zigote, come ad esempio l'isolamento di habitat, l'isolamento fenologico, l'isolamento sessuale o la preferenza di un partner rispetto ad un altro, oppure postzigotiche, se ostacolano la sopravvivenza dello zigote. Le barriere post-zigotiche possono essere a loro volta causate da meccanismi intrinseci, quando la barriera è dovuta ad una incompatibilità genetica tra due individui, o estrinseci, quando è causata da fattori ecologici o comportamentali che riducono la sopravvivenza o la fertilità dell'ibrido. Pertanto, al fine di salvaguardare questa specie, il servizio di gestione faunistica della Carolina del Nord si è posto una serie di obiettivi da raggiungere nei prossimi anni, tramite la stesura di un apposito Piano di Recupero per il lupo rosso, tra i quali rientra il ripristino di una popolazione di lupo rosso in Carolina del Nord composta di almeno 220 esemplari ed il ripristino di almeno altre due popolazioni di lupo rosso in Dalle evidenze rilevate sul campo, si è riscontrato che i lupi rossi non presentano nessun meccanismo di barriera pre-zigotica nei confronti dei coyote, con la sola esclusione della preferenza del partner, dato che gli esemplari di lupo rosso tendono ad accoppiarsi tra di loro e gli esemplari di coyote tendono ad accoppiarsi con altri coyote. Per quanto riguarda invece le barriere post-zigotiche, l'unico elemento che potrebbe ostacolare la formazione di ibridi è la elevata aggressività interspecifica dei lupi rossi nei confronti dei coyote, che porta spesso all'uccisione di individui della specie opposta. un rischio ridotto di estinguersi. Pertanto la presenza simultanea delle due barriere riproduttive sembra adeguata a consentire la crescita della popolazione ed il suo mantenimento a livelli stabili, indipendentemente dalla ibridazione. Una situazione simile si osserva anche nel caso in cui la popolazione in questione è già stabile. Fig. 38: Simulazione dell’accrescimento di una popolazione colonizzatrice di lupi rossi (formata da 8 coppie riproduttive) in assenza di barriere riproduttive (curva blu) ed in presenza rispettivamente di una (curva rosa) e di due barriere riproduttive (curva rossa). Una volta individuate queste barriere (preferenza del partner e aggressività intraspecifica) è stata realizzata una simulazione per valutare se queste fossero effettivamente in grado di consentire alla popolazione reintrodotta di lupo rosso di crescere e mantenersi vitale. Anche il tasso di sopravvivenza dell'esemplare adulto di lupo rosso costituisce un parametro demografico importante per la crescita della popolazione all'interno di una popolazione colonizzatrice, mentre la crescita demografica della popolazione di coyote sembra non avere nessun effetto sulla sopravvivenza della popolazione di lupo rosso. Infine dal modello emerge che, in caso siano presenti barriere riproduttive, ed in particolare che sia presente l'aggressività intraspecifica, la sterilizzazione degli ibridi può avere un ruolo importante per la rapida crescita della popolazione di lupo rosso (Figura 40). Tale simulazione è stata effettuata immaginando due possibili circostanze: una popolazione colonizzatrice, formata da 8 coppie riproduttive, ed una popolazione stabile, formata da 50 coppie riproduttive. Nel caso della popolazione colonizzatrice, se non sono presenti coyote, la popolazione cresce fino a raggiungere la sua “capacità portante” (ovvero la carrying capacity, curva nera). Se invece sono presenti coyote e l'accoppiamento tra lupi rossi e coyote è casuale, ovvero è assente qualsiasi barriera riproduttiva, la popolazione cresce inizialmente ma poi si riduce drasticamente perché aumenta il numero di ibridi e di animali introgressi (curva blu). La stessa situazione si osserva anche nel caso in cui l'accoppiamento sia specie-specifico (curva rosa), sebbene in questo caso la popolazione impiega più tempo per diventare introgressa. Viceversa, se viene introdotta nel modello di simulazione anche la barriera della aggressione intraspecifica (curva rossa), la popolazione cresce ed ha Fig. 39: Simulazione dell’accrescimento di una popolazione stabile di lupi rossi (formata da 50 coppie riproduttive) in assenza di barriere riproduttive (curva tratteggiata) ed in presenza rispettivamente di una (curva con triangoli) e di due barriere riproduttive (curva con pallini). Confrontando i dati del modello con la situazione reale che si osserva in Carolina del Nord, si è visto che la percentuale di lupi rossi, di coyote e di ibridi dipendeva fortemente dall'area che veniva presa in considerazione. Questo territorio infatti era stato suddiviso in tre zone a seconda del livello di conservazione del lupo rosso che veniva applicato: nelle zone 1 e 2, in cui era avvenuto il rilascio degli esemplari di lupo rosso ottenuti con la riproduzione in cattività, gli esemplari di coyote erano stati sterilizzati e gli ibridi rimossi. Inoltre, le uccisioni di esemplari di lupo rosso dovute a cause antropiche o comunque non naturali facilitano la disgregazione della coppia e facilitano gli accoppiamenti misti (lupo rosso con coyote o ibrido) promuovendo l'espansione della ibridazione. Fig. 40: Effetto della sterilizzazione degli ibridi (linea continua) sull’accrescimento di una popolazione colonizzatrice di lupi rossi (formata da 8 coppie riproduttive). Nella zona 3 invece la rimozione degli ibridi e dei coyote era avvenuta in maniera meno intensiva. Di conseguenza, il numero di lupi rossi risultava diminuire progressivamente passando dalla zona 1 (80% di lupi rossi), alla zona 2 (55%), alla zona 3 (25%) ed in maniera proporzionalmente opposta aumentava il numero di coyote ed ibridi passando dalla zona 1 alla zona 3 (Figura 41). Fig. 41: Suddivisione dell’area di studio nelle tre aree 1, 2 e 3. In conclusione, le simulazioni e le evidenze sul campo suggeriscono che le circostanze in cui i lupi rossi potrebbero presumibilmente persistere sono piuttosto ridotte. (Ibridazione e sua influenza nel lungo dibattito sul dingo) Thomas Newsome, Dipartimento dell'Ecosistema forestale e della Società, Università dello stato dell'Oregon, USA I n Australia, sia il dingo (Canis dingo) che il cane domestico (Canis lupus familiaris) sono stati introdotti dall'uomo. Il dingo è stato introdotto dagli asiatici tra i 3.500 ed i 4.000 anni fa, mentre l'introduzione del cane domestico è più recente e risale al 1788. Fig. 42: Ruolo ecologico del dingo in Australia. Inizialmente il dingo è stato introdotto come animale domestico, ma successivamente è tornato allo stato ferale occupando tutti gli habitat disponibili del territorio australiano dove ha preso il ruolo di “predatore top” ed ha determinato l'estinzione di alcune specie autoctone come il tilacino. Altre specie si sono invece adattate alla presenza del dingo evolvendo una serie di comportamenti anti-predatori e questo ha determinato una possibile convivenza tra il nuovo predatore e le specie autoctone australiane, ed ha portato alla definizione di un ruolo ecologico del dingo come predatore “top-down” con effetti positivi diretti sulla popolazione di prede (ad esempio il contenimento della popolazione di canguri rossi) e indiretti sulla vegetazione (Figura 42). Nel 1788, con l'arrivo degli europei nel territorio australiano, è stato introdotto il cane ed altre specie domestiche e non domestiche (come il gatto domestico e la volpe). Negli stessi anni il territorio ha subito profonde modifiche a causa delle nuove attività antropiche, come l'agricoltura e l'allevamento del bestiame. Il dingo ha iniziato ad essere percepito come un “nemico”, anche a causa della predazione sul bestiame domestico, ed è iniziata la persecuzione nei suoi confronti da parte dell'uomo, anche attraverso l'uso di bocconi avvelenati, che ha portato ad una contrazione dell'areale di presenza della specie. La dispersione di esemplari di cane domestico nell'ambiente selvatico (sia di tipo volontario che accidentale) è iniziata negli stessi anni in cui il cane è stato introdotto in Australia. Attualmente i dingo ed i cani domestici sono ibridati tra loro, soprattutto nelle aree maggiormente antropizzate (sud est dell'Australia Figura 43), e gli esemplari ibridi ottenuti dalle due popolazioni sono relativamente comuni. Fig. 43: Estensione della ibridazione tra dingo e cane domestico in Australia. Le aree in blu corrispondono alle zone in cui il livello di ibridazione è più elevato, quelle in rosso in cui la ibridazione è più ridotta. Un problema connesso alla conservazione del dingo in Australia, e alla necessità che questa specie venga conservata o meno perché ritenuta da molti la forma selvatica del cane domestico, è associato alla collocazione tassonomica del dingo che risulta essere ancora ambigua (Figura 44). distinguere le due popolazioni (cane domestico e dingo) da un punto di vista genetico, anche se tale distinzione non è sempre facilmente rilevabile. Le informazioni attualmente disponibili non consentono infine di stabilire se esistono delle differenze funzionali, per quanto riguarda ad esempio le modalità di riproduzione, la struttura del branco, le interazioni sociali ed il comportamento alimentare degli ibridi rispetto ai dingo. Questa situazione ha creato problemi non indifferenti per la gestione degli ibridi, dal momento in cui non è possibile distinguerli in natura dai dingo. Fig. 44: Proposte di collocazione tassonomica del dingo. Dalle misurazioni del cranio di esemplari di dingo è stato possibile stabilire che questo è tassonomicamente separato dal cane domestico. Tuttavia il cranio dell'ibrido tra cane-dingo è morfologicamente molto simile al cranio del dingo. Inoltre il colore del pelo, che nel dingo è il tipico color “zenzero”, non costituisce tuttavia un elemento discriminatorio tra il dingo ed il cane, perché il dingo può presentare anche una colorazione del pelo polimorfica. Infine l'analisi di 23 microsatelliti ha consentito di Uno studio condotto nel deserto di Tanami nel 2014 ha rilevato che cane e dingo occupano la stessa nicchia ecologica se entrambi hanno accesso a fonti trofiche artificiali come le discariche. In tali aree gli esemplari di cane e di dingo vengono più facilmente a contatto e la percentuale di ibridi risulta relativamente elevata. Ne consegue che le condizioni create artificialmente dall'uomo, che portano il dingo a comportarsi come un cane, aumentano potenzialmente il livello di ibridazione nella popolazione. (Considerazione della Ibridazione tra animali selvatici e domestici nell’ambito delle leggi internazionali, della Unione Europea e nazionali) Arie Trouwborst, Scuola di legge di Tilburg, Università of Tilburg, Olanda L e norme che si occupano di fauna selvatica possono essere suddivise in tre categorie in base al contesto territoriale a cui fanno riferimento. Le norme globali sono quelle che hanno uno spettro territoriale molto ampio, come la Convenzione sulla diversità biologica (CBD), la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES) e la Convenzione sulle specie migratorie. Le principali norme che invece operano a livello regionale (ovvero coinvolgono più Stati, che possono appartenere anche a continenti diversi) sono la Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa (Convenzione di Berna) e la Direttiva europea per la Conservazione degli habitat naturali e semi naturali e della flora e della fauna selvatiche (Direttiva Habitat). Infine ci sono le norme che operano a livello nazionale. Per quanto riguarda la ibridazione antropogenica è possibile identificare due obiettivi distinti di conservazione: il primo è quello di occuparsi della l'ibridazione come target della conservazione, mentre il secondo è quello di evitare che ci siano ambiguità nel regime di protezione. Per quanto riguarda il primo aspetto l'obiettivo, dal punto di vista della conservazione, è quello di occuparsi della ibridazione tra domestici e selvatici attraverso misure preventive e di mitigazione. La questione legale è stabilire quanto queste misure sono compatibili con gli strumenti legali pertinenti. La CBD e la Convenzione di Berna affrontano il problema della ibridazione in maniera molto generica e non forniscono nessuna indicazione specifica a riguardo, ma rimandano ai singoli Stati le misure da intraprendere, che andranno prese caso per caso e senza nessuna regola generale. Fig. 45: Esempi di strumenti normativi che operano a livello globale, regionale o nazionale. La Convenzione di Berna può fornire delle raccomandazioni tramite il Comitato Permanente, ad esempio nel caso della gestione del gobbo della Giamaica (Oxyura jamaicensis) in cui si raccomanda di eradicare gli esemplari della specie invasiva ed i suoi ibridi (raccomandazione 149 del 2010), o la raccomandazione per la conservazione delle popolazioni di grandi carnivori in Europa, in cui si richiede all'Italia di investire tutti gli sforzi possibili per controllare gli ibridi ed applicare una strategia finalizzata a ridurre l'inquinamento genetico del lupo (raccomandazione 162 del 2012). Un'altra indicazione della Convenzione di Berna relativa alla ibridazione è contenuta nel Piano d'Azione per la conservazione del lupo in Europa, in cui si specifica che non è consentito allevare come animali domestici gli ibridi cane-lupo, che è necessario rimuovere i cani randagi e ferali e che, se ci sono evidenze della presenza di esemplari ibridi, anche questi vanno rimossi. La Direttiva Habitat a sua volta chiede agli stati membri di adottare concrete misure di protezione, tali da mantenere o ripristinare le specie di fauna selvatica ad uno stato di conservazione “favorevole” (Art.12) e stabilire un sistema di “stretta protezione” per le specie animali in allegato IV (Art. 12). Le Linee Guida per la gestione delle popolazioni di grandi carnivori, redatte nel 2008 nell'ambito della Direttiva Habitat, riportano esplicitamente che deve essere fatto tutto il possibile per minimizzare il rischio di ibridazione tra cani e lupi, per ridurre il numero di cani vaganti e ferali e per rimuovere evidenti esemplari ibridi. Da ciò emerge che le misure preventive e di mitigazione nei confronti della ibridazione (inclusa la rimozione degli esemplari ibridi) sono compatibili con gli impegni internazionali e sono anzi necessarie per agire in maniera conforme a tali regolamenti. Fig. 46: Vantaggi e svantaggi del fatto che gli esemplari ibridi non siano contemplati dalla normativa. Anche alcune norme nazionali contemplano la rimozione degli ibridi, come ad esempio il Piano di gestione del lupo in Finlandia e il Piano di gestione del lupo in Sassonia. Il secondo obiettivo di conservazione connesso alla ibridazione consiste invece nell'evitare che ci siano lacune. Da un punto di vista della conservazione, il rischio di ridurre il regime di protezione per le specie selvatiche può avere effetti pericolosi perché, ad esempio, gli ibridi sono difficilmente distinguibili in natura e considerare gli ibridi presenti in natura come animali non protetti potrebbe portare all'uccisione illegale di animali selvatici non ibridi. Da un punto di vista legale va quindi capito come gli ibridi possono essere sottoposti alle stesse condizioni di protezione delle specie selvatiche, ovvero divieto di uccisione, di cattura e di commercio. Alcuni strumenti legali considerano gli ibridi alla pari di specie selvatiche geneticamente pure (ad esempio il Regolamento CITES), pochi non li considerano come specie sottoposte a protezione (ad esempio l’US Endangered Species Act, ESA) ed altri ancora non li includono né li escludono esplicitamente (ad esempio la Convenzione di Berna e la Direttiva Habitat). In ogni caso va considerato che, anche nei casi in cui gli strumenti legali includono gli ibridi alla pari di specie selvatiche e li sottopongono ad un regime di protezione, non lo fanno al fine di tutelare e conservare gli ibridi ma viceversa per tutelare le specie selvatiche da cui derivano tali ibridi. La Convenzione di Berna e la Direttiva Habitat agiscono in maniera analoga vietando la cattura e la uccisione delle specie selvatiche, ma consentendo al tempo stesso agli Stati membri di poter chiedere delle deroghe a tale divieto per agire in maniera specifica caso per caso. Se gli ibridi non vengono contemplati dalla normativa (Figura 46) è possibili agire in maniera più semplice senza che si crei confusione o errata interpretazione delle misure da intraprendere per la loro gestione, e non è necessario richiedere nessuna deroga per poter rimuovere o uccidere esemplari ibridi dalla popolazione selvatica. D'altra parte, il rischio che si corre non contemplando gli ibridi nella normativa è che diventa problematico imporre una posizione che prevede che i divieti si applichino solo agli animali puri al 100%. Inoltre questo potrebbe portare ad un aumento delle uccisioni illegali di animali geneticamente puri. Infine, una posizione di questo tipo non è in accordo con altre normative come il regolamento CITES o le Linee Guida per i carnivori. Se invece gli ibridi sono contemplati nella normativa (Figura 47) si evita di incorrere nei problemi che limitano il regime di protezione ai soli animali geneticamente puri al 100% e non si rischia di uccidere, invece degli ibridi, individui appartenenti alla popolazione selvatica. Inoltre in questo modo gli strumenti legali diventano coerenti con le indicazioni riportate in altre norme internazionali. D'altra parte, proteggendo gli ibridi diventa più complicato autorizzarne la rimozione, la cui procedura richiede la formulazione di specifiche deroghe che comportano un allungamento dei tempi di intervento. Al momento non è stata formulata una presa di posizione chiara da parte dei due organi decisionali della Convenzione di Berna (Comitato Permanente) e della Direttiva Habitat (Corte di Giustizia Europea) in merito a quale sia l'approccio gestionale più adeguato tra il proteggere e il non proteggere legalmente gli ibridi. Pertanto si può concludere che, allo stato attuale, alcuni strumenti internazionali proteggono espressamente gli ibridi (ad esempio il Regolamento CITES) mentre altri (ad esempio la Convenzione di Berna e la Direttiva Habitat) prevedono che la rimozione degli ibridi può essere consentita a seconda delle circostanze. Fig. 47: Vantaggi e svantaggi del fatto che gli esemplari ibridi siano contemplati dalla normativa. E' auspicabile che, in futuro, i regolamenti internazionali facciano maggior chiarezza sulla gestione legale degli ibridi, attraverso la formulazione di indicazioni specifiche ed esplicite in merito alla applicazione degli strumenti legali connessi alla problematica della ibridazione. (Gestione degli ibridi: politica gestionale e contesto legale a livello globale, europeo e nazionale) Piero Genovesi, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), Roma I l problema della ibridazione, la sua entità, il suo pattern e le implicazioni per la conservazione sono argomenti che si stanno affrontando in Italia e nel resto del mondo negli ultimi 30 – 40 anni, e si è giunti alla consapevolezza, in Italia, che la ibridazione tra selvatici e domestici costituisce un aspetto che va gestito in maniera più efficiente rispetto a come è stato fatto fin adesso. Già nel Piano d'azione per il lupo in Italia, prodotto nel 2002, si raccomandava di contrastare l'accoppiamento tra lupi ed ibridi cani lupo. A livello normativo vengono fornite delle indicazioni ma mancano delle linee guida chiare a livello globale, europeo e nazionale ed alcune norme non contemplano assolutamente il problema della ibridazione. Questa situazione crea sicuramente dei problemi a livello gestionale, ma non può essere utilizzata come scusa per non intervenire a livello operativo. Una situazione analoga si verifica anche per le specie invasive che, in base ad alcune norme, sono protette alla pari delle specie selvatiche autoctone. Tuttavia, la nuova normativa europea in materia di specie invasive, che si sta discutendo in questi mesi, dovrebbe includere esplicitamente la gestione degli ibridi. A livello nazionale, il problema della ibridazione tra specie domestiche e selvatiche è stato affrontato in un workshop specifico che si è tenuto a Siena nel 2009, ed è emerso che diverse specie selvatiche sono in una condizione di rischio di sopravvivenza a causa della ibridazione con il corrispondente domestico. Al termine del workshop è stato formulato un documento che, sebbene non abbia potere legale, raccomanda che venga controllata la presenza di animali domestici vaganti e che venga regolamentato l'allevamento di ibridi a fini commerciali. Inoltre il documento propone che, in assenza di una base legale chiara, vadano applicate le indicazioni relative alle specie selvatiche e che la problematica della ibridazione venga gestita con un approccio caso per caso, previa richiesta di un parere tecnico da parte dell'ISPRA. Nel documento si propone infine che il Ministero dell'Ambiente formuli dei principi guida relativamente alla problematica della ibridazione, e che ISPRA sviluppi delle specifiche linee guida tecniche. In Italia, il lupo è legalmente protetto dal 1971 e da allora nessun esemplare della specie è stato legalmente rimosso (come si è invece verificato per l'orso). Il conflitto con le attività antropiche viene gestito attraverso la prevenzione e la compensazione dei danni causati dal lupo al bestiame domestico. Anche il cane in Italia è strettamente protetto dal 1991 e gli esemplari randagi di cane non possono essere uccisi, neanche richiedendo una deroga come si potrebbe eventualmente fare per il lupo, ma vengono mantenuti in canili a spese dei comuni di competenza (Figura 48). Di conseguenza, i comuni preferiscono non catturare i cani vaganti per contenere le spese del loro mantenimento. Uno studio condotto nel 2000 riporta che in Italia circa 6 milioni di cani vivono nelle aree rurali e 19,7% di questi vive senza controllo da parte dell'uomo. Questo numero aumenta ogni anno del 4-5%, dato che solamente il 16,7% delle femmine viene sterilizzato. Sebbene si siano verificati diversi casi di uccisione di persone causate dai cani, solamente il 3,8% della popolazione italiana è d'accordo che i cani randagi vengano soppressi, e lo 0,8% della popolazione è favorevole ad un controllo delle nascite dei cani. ibridi di seguire specifici corsi di formazione e di regolamentare il mantenimento in cattività di tali animali, ma si tratta di proposte che non sono mai state applicate. In alcuni stati sono state formulate leggi specifiche per determinate razze, per regolarne l'importazione ed il mantenimento, ma non in Italia. Se l'ibrido non è sottoposto ad una regolamentazione legale, si corre il rischio che la specie selvatica ne venga danneggiata. Una politica di gestione dell'ibrido deve pertanto tenere in considerazione tutti gli effetti e le implicazioni che questo potrebbe causare sulla specie selvatica. Ad esempio, l'ibrido tra maiale e cinghiale non è protetto, mentre il cinghiale selvatico è sottoposto a protezione e la caccia viene regolamentata. Fig. 48: Status legale di protezione in Italia del lupo (a sinistra), del cane (a destra) e dell’ibrido (al centro). La posizione legale dell'ibrido in Italia non è invece chiara ed il Ministero dell'Ambiente ha proposto che questo venga gestito alla pari di una specie selvatica, facendo riferimento alla normativa che regolamenta la fauna selvatica. In questo contesto il progetto LIFE Ibriwolf si pone come un progetto pilota in Italia per la gestione degli ibridi, che possono essere catturati ma non uccisi e vanno mantenuti in cattività. In Italia il commercio di ibridi cani lupi è consentito, sebbene non sia chiaro se sia legale o meno far accoppiare gli ibridi tra loro e mantenerli in cattività. Una situazione analoga si era verificata con il commercio del gatto della savana, un ibrido tra il gatto domestico ed il servalo (Leptailurus serval). Ma in quel caso, essendo stata fatta una richiesta di importazione e vendita prima che venisse avviato il commercio di tali animali, ed avendo l'ISPRA fornito un parere negativo, la commercializzazione di questo ibrido è stata considerata non legale e quindi non autorizzata. Attualmente nel territorio nazionale sono presenti circa 100 – 200 lupi italiani, circa 10.000 cani lupo cecoslovacchi e negli ultimi anni è aumentato il numero di cani lupo americani. Sono state fatte delle proposte per imporre ai proprietari di questi A livello normativo, un'autorità locale può formulare un piano di gestione di una specie e richiederne l'autorizzazione al Ministero dell'Ambiente, il quale richiede ad ISPRA di formulare un parere tecnico. ISPRA formula un parere tecnico tenendo conto delle ragioni del controllo, dell'impatto che questo potrebbe avere a livello della popolazione e della selettività dei metodi di controllo. In base a tale parere il Ministero rilascia o meno l'autorizzazione. Più la decisione in merito al rilascio di una autorizzazione viene presa sulla base di espliciti criteri scientifici e più si è in linea con le vertenze legali e viene ridotto il rischio che si incorra in complicati dibattiti legali (Figura 49). Quale strategia bisognerebbe adottare in Italia per contrastare la ibridazione? Un elemento chiave è lavorare alla sorgente del fenomeno (ad esempio, nel caso della ibridazione cane lupo in Italia, modificando le politiche di gestione e le attitudini verso i cani per ridurre il problema del randagismo). Il progetto LIFE Ibriwolf ha sicuramente creato un precedente a livello gestionale ed ha rotto un tabù perché, nell'ambito di tale progetto, si è verificato il primo caso di rimozione in natura di un animale selvatico. Tuttavia tale intervento si è rilevato molto costoso e impegnativo, e si è adottato un approccio a livello di individuo. Una situazione diversa si è verificata in Spagna dove è stato applicato un approccio a livello di branco (se un branco risultava essere ibrido veniva interamente rimosso), che sarebbe improponibile nel contesto Italiano. Può darsi che in futuro venga dato maggior risalto all'approccio fenotipico a livello di popolazione, come già sta accadendo in Italia per la caccia selettiva dei cinghiali nel Parco della Maremma o delle capre sull'isola di Montecristo che viene fatta riconoscendo l'animale sulla base di caratteri fenotipici. Un'altra possibilità potrebbe essere quella di adottare un approccio a livello di popolazione basato sulla genetica e la genomica. In ogni caso, per definire quale sia il migliore approccio, è necessario che, a livello nazionale, si discutano gli scopi, i costi e si effettui una valutazione di sostenibilità della popolazione selvatica. Fig. 49: Procedura legale in Italia per richiedere l’autorizzazione di un programma di controllo della fauna selvatica. E ovviamente tutto questo deve avvenire creando le condizioni per una “accettazione sociale”, tenendo conto che in Italia ci sono due posizioni estreme, da chi ritiene che i lupi vadano rimossi dal territorio a chi protegge qualsiasi forma di canide domestico e selvatico. (LIFE IBRIWOLF – Azioni pilota per la riduzione della Perdita genetica del lupo nell’Italia centrale) Valeria Salvatori, Project Manager del progetto LIFE IBRIWOLF, Istituto di Ecologia Applicata I l progetto è stato elaborato a partire da considerazioni ed evidenze emerse negli anni passati, ed in particolare a partire dal documento finale del IV Workshop dei Cantieri della Biodiversità che si è tenuto a Siena nel 2009. Nel documento sono identificate alcune priorità, tra le quali la produzione di linee guida per la gestione di ibridi domestici / selvatici elaborate da ISPRA seguendo indirizzi gestionali dei Ministeri dell'Ambiente, dell'Agricoltura e Politiche Forestali e della Salute. risultati attesi, oggi vorrei verificare se tali risultati sono stati effettivamente raggiunti. Un esempio di migliori pratiche per la gestione è rappresentato dalla elaborazione del “Piano strategico condiviso per la riduzione del randagismo canino”. Il documento è stato effettivamente elaborato con i contributi di tutti i gruppi di interesse, dagli animalisti e ambientalisti, ai cacciatori e associazioni agricole. Tutti si sono impegnati a svolgere alcune attività con il fine di contribuire a limitare la presenza dei cani vaganti sul territorio provinciale, che rappresentano una fonte di ibridazione con il lupo. La cattura degli ibridi è stata più difficile di quanto ci si attendesse, e in 15 sessioni di cattura sono stati catturati 13 dei 20 ibridi che erano stati individuati nel 2011. Gli ibridi sono attualmente mantenuti in cattività (7 di loro, poiché 4 sono morti per cause naturali, e 2 sono stati rilasciati) presso il CRASM di Semproniano in strutture idonee appositamente costruite. Dal 2009 al 2011 non si era dato seguito a tale esigenza, pertanto il progetto ha voluto assumere l'onere di affrontare il problema nell'ambito degli ibridi lupo-cane. Il carattere fortemente dimostrativo del progetto è stato espresso attraverso lo svolgimento sia di azioni concrete di gestione che di approcci e politiche gestionali che sono state sperimentate in ambito Provinciale. Nel 2012 ho presentato il progetto, che era appena iniziato, al convegno sulla conservazione del lupo organizzato da ISPRA a Bologna, indicando alcuni dei Contemporaneamente sono state condotte delle sessioni intensive di cattura di cani vaganti mediante l'uso di 12 gabbie trappola e il supporto di Guardie Ambientali Volontarie. Sono stati catturati in totale 23 cani, 15 dei quali di proprietà, e 7 affidati a canili accreditati. Uno dei più significativi prodotti del progetto è rappresentato dal documento “Linee Guida per la Gestione degli Ibridi Lupo-Cane”, che è stato elaborato con il contributo di molti esperti nazionali, in continuo contatto con ISPRA e MATTM, con i quali si sono concordati alcuni contenuti specifici. Il documento contiene una parte generale di indirizzo ed una specifica che presenta l'esempio di applicazione degli indirizzi gestionali nel contesto della Provincia di Grosseto, presentando i risultati e i costi per ciascuna azione svolta. Una campagna di sensibilizzazione ha accompagnato lo svolgimento delle attività, con il fine ultimo di influenzare il comportamento di proprietari di cani, orientandoli verso un atteggiamento di proprietà responsabile, limitando pertanto le occasioni per i loro cani di vagare liberamente sul territorio. Il progetto è stato presente in 8 eventi estivi, in oltre 30 scuole e in 80 aziende agricole. Si è anche promosso uno Spot televisivo di Pubblicità Progresso per promuovere la registrazione all'anagrafe canina e la vaccinazione dei cani di proprietà. Infine, una valutazione a posteriori della presenza degli ibridi ha rilevato una diminuzione dei cani vaganti nel territorio provinciale, mentre una proporzione più o meno stabile degli ibridi nella popolazione di canidi presenti, stimata attraverso analisi genetiche di campioni fecali raccolti sul territorio provinciale. Tale proporzione rimane intorno al 35%, come già stimato nel 2011, e tale stabilità è probabilmente dovuta al fatto che la popolazione è aperta ed in continuità con aree fuori provincia dove non randagismo si effettuano controlli sul e rimozione di ibridi. Alla fine del progetto una indagine demoscopica condotta tramite interviste telefoniche ha dimostrato che la popolazione in provincia di Grosseto è a conoscenza del fenomeno dell'ibridazione significativamente di più che in altre parti d'Italia. In conclusione possiamo certamente affermare che gli obiettivi preposti nel 2012 sono stati raggiunti, in particolare per quanto concerne la considerazione del fenomeno dell'ibridazione dal punto di vista conservazionistico e gestionale per il lupo, e l'accresciuta sensibilità verso una proprietà responsabile di cani.