- LIFE Ibriwolf

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- LIFE Ibriwolf
GROSSETO 2 - 3 NOVEMBRE 2014
a cura di Chiara Braschi
Introduzione di Valeria Salvatori
Marzo 2015
Testo redatto da Chiara Braschi sulla base della presentazione orale e relative diapositive di
ciascun autore.
Editing: Valeria Salvatori
Impaginazione e grafica: Maximilian Lombardi
Copyright LIFE10NAT/IT/265 IBRIWOLF 2015
Suggerimento per la citazione: Braschi C. e Salvatori V. (Eds) 2015. Atti della conferenza
internazionale "Hybridization between wild and domestic mammals as a conservation threat or
opportunity". Grosseto 2-4 Novembre 2015
Prodotto con il contributo dello strumento finanziario LIFE della Commissione Europea
Introduzione ............................................................................................................ 5
Valeria Salvatori, Project Manager del progetto LIFE IBRIWOLF, Istituto di Ecologia Applicata
Programma della Conferenza ................................................................................... 7
Conceptual and methodological issues in studying and managing hybridization between
wild and domestic species: implications for conservation policies ................................ 9
Luigi Boitani, Dipartimento di Biologie e Biotecnologie “Charles Darwin”, Sapienza, Università
di Roma
Managing wild-domestic hybridization: Can genomics help? ...................................... 15
Fred Allendorf, Università del Montana, Missoula, USA
Tainted species, American bison and the future of species conservation .................... 17
Kent Redford, Archipelago Consulting, Portland, USA
Conservation science and hybrid species - can hybrid ethics confront ambiguous moral
problems .............................................................................................................. 19
Paul C. Paquet, Raincoast Conservation Foundation, Sydney, BC, Canada & Dipartimento di
Geografia, Università di Vittoria, Canada
Relevance of phenotypic vs. genetic evidences of dog ancestry into the Italian wolf
population and their practical implications for conservation: a synopsis and
commentary........................................................................................................... 21
Paolo Ciucci, Dipartimento di Biologie e Biotecnologie “Charles Darwin”, Sapienza, Università
di Roma
Dynamics of hybridization between wolves and dogs in Iberia: current knowledge and
prospects for management and conservation .......................................................... 25
Raquel Godinho, CIBIO/InBIO, Università di Porto, Portogallo
Detecting hybrids in deeply introgressed populations: the case-study of wolves and
dogs in Italy ......................................................................................................... 28
Ettore Randi, Laboratorio di Genetica, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale (ISPRA), Ozzano dell’Emilia (BO)
The evolution of wolf presence in Tuscany and the occurrence of wolf/dog hybrids .. 33
Marco Apollonio, Dipartimento di Scienze della Natura e delle sue Risorse, Università di
Sassari
Introgression between domestic or captive species and their wild relatives: ecological
causes and genetic consequences ........................................................................... 35
Michael Schwartz, USDA Forest Service, Rocky Mountain Research Station, Missoula, USA
The conservation units of the nature directives of the European Union ...................... 38
Andras Demeter, Direttorato generale per l'ambiente, Commissione Europea
Hybridization: the “Stealth Weapon” of biological invasions ...................................... 40
Daniel Simberloff, Università del Tennessee, USA
Genetic, morphologic, behavioral, and demographic consequences of hybridization
between wolves and coyotes in Ontario, Canada: implications for conservation and
management.......................................................................................................... 43
John Benson, La Kretz Center for California Conservation Science, Dipartimento di Ecologia e
Biologia Evolutiva, Università della California, Los Angeles, USA
Cryptic extinction of the Scottish wildcat: problems and potential solutions for
hybridization with the feral domestic cat ................................................................. 46
Kerry Kilshaw, WILDCRU, Oxford, Regno Unito
Hybridization, introgression, reproductive barriers, and management of Red wolves .. 49
Richard Fredrickson, Università dell'Arizona, USA
Hybridization and its influence on the great dingo debate ......................................... 52
Thomas Newsome, Dipartimento dell’Ecosistema forestale e della Società, Università dello
stato dell'Oregon, USA
Addressing hybridization between wild and domestic mammals under international,
European Union and national wildlife law................................................................. 54
Arie Trouwborst, Scuola di legge di Tilburg, Università of Tilburg, Olanda
Managing hybrids: policy and legal backdrops at the global, EU and national scales .... 57
Piero Genovesi, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), Roma
LIFE IBRIWOLF – Pilot actions for the reduction of wolf gene pool loss in Central Italy
............................................................................................................................. 60
Valeria Salvatori, Project Manager del progetto LIFE IBRIWOLF, Istituto di Ecologia Applicata
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indicati fonte e autore.
L
a ibridazione tra specie diverse o tra
individui appartenenti a sottospecie
della stessa specie avviene in natura da
tempi
immemori.
Quando
causata
dall'intervento dell'uomo, l'ibridazione può
dar luogo ad individui che potrebbero avere
un impatto sui relativi selvatici oppure sulle
attività umane che si svolgono in ambienti
antropizzati. E' il caso dell'ibridazione tra
lupo e cane.
Questo tipo di ibridazione, come tanti altri
tra animali selvatici e i loro relativi domestici,
potrebbe portare a conseguenze ancora
difficili da valutare, ma che includono la
perdita di adattamenti locali sviluppati con
l'evoluzione naturale e l'introduzione di
varianti genetiche accumulate dal cane
tramite selezione artificiale che potrebbero
modificare morfologia, comportamento ed
ecologia del lupo.
Le
prospettive
gestionali
degli
ibridi
includono:
prevenzione
e
mitigazione
(controllo), quest’ultima con una serie di
metodi
che
vanno
dalla
cattura
e
captivazione, alla sterilizzazione; la soluzione
è comunque contesto dipendente e qualsiasi
essa sia non può prescindere da (1) un
definitivo e permanente controllo del
randagismo canino, e (2) da interventi di
prevenzione mirati anche a ridurre la
presenza
di
fattori
di
facilitazione
dell’ibridazione tra lupo e cane, in particolare
il bracconaggio, che altera i rapporti numerici
e sociali all’interno dei branchi di lupi, e la
presenza di cibo di origine antropica che
facilita la persistenza di nuclei di piccole
dimensioni o di singole unità.
In questo contesto, la Provincia di Grosseto
ha portato avanti per tre anni il progetto
LIFE
Ibriwolf,
co-finanziato
dalla
Commissione Europea, concentrandosi sulla
problematica inerente la gestione degli ibridi
tra lupi e cani. Tra i partner del progetto il
dipartimento di Biologia e Biotecnologie della
Sapienza Università di Roma, il Parco
Regionale della Maremma, L'Unione dei
Comuni Montani dell’Amiata Grossetano e il
WWF Italia. Il progetto ha toccato un
argomento particolarmente spinoso e sul
quale ancora esistono molti punti irrisolti.
Come riconoscere gli ibridi? Come valutare
se la popolazione esistente è ormai
completamente contaminata dalla presenza
degli ibridi oppure se si è ad uno stadio
iniziale, in cui si può eventualmente
intervenire? E poi: si deve / può intervenire?
In che modo? Quali sono le caratteristiche
ecologiche degli ibridi e quali conseguenze
hanno sull'ambiente naturale e sociale?
Queste sono alcune delle domande che si
sono trattate nella conferenza internazionale
sulle specie di mammiferi ibridi, che si è
tenuta a Grosseto il 2-4 novembre 2014.
Molti esempi portati dai relatori provenienti
da paesi in tutto il mondo lasciano capire che
la situazione è complessa e che le risposte
gestionali non dipendono esclusivamente
dalle conoscenze scientifiche, ma da aspetti
etici e sociali che non si possono ignorare.
L'esempio di Grosseto, con il progetto LIFE
Ibriwolf, a carattere pionieristico in Italia, si
inquadra perfettamente nel contesto di
incertezza e complessità gestionale del
fenomeno.
Valeria Salvatori
Project Manager LIFE Ibriwolf
2 Novembre 2014:
9.00
− Saluti e presentazione della conferenza da parte della Provincia di Grosseto.
− Saluti da parte del Parco Naturale della Maremma
9.30
− Luigi Boitani: Conceptual and methodological issues in studying and managing
hybridization between wild and domestic species: implications for conservation
policies.
10.15
− Fred Allendorf: Managing wild-domestic hybridization: Can genomics help?
11.30
− Kent Redford: Tainted species, American bison and the future of species
conservation
12.15
− Paul Paquet: Conservation science and hybrid species - can hybrid ethics
confront ambiguous moral problems?
14.00
− Paolo Ciucci: Relevance of phenotypic vs. genetic evidences of dog ancestry into
the Italian wolf population and their practical implications for conservation: a
synopsis and commentary.
14.40
− Raquel Godinho: Dynamics of hybridization between wolves and dogs in Iberia:
current knowledge and prospects for management and conservation.
15.20
− Ettore Randi: Detecting hybrids in deeply introgressed populations: the casestudy of wolves and dogs in Italy.
16.15
− Marco Apollonio: The evolution of wolf presence in Tuscany and the occurrence
of wolf/dog hybrids.
17.00
− Michael Schwartz: Introgression between domestic or captive species and their
wild relatives: ecological causes and genetic consequences.
17.40
− Andras Demeter: The conservation units of the nature directives
European Union.
18.15
− Fine della sessione
of the
3 Novembre 2014:
9.00
−
Daniel Simberloff: Hybridization: the “Stealth Weapon” of biological invasions.
9.45
−
John Benson: Genetic, morphologic, behavioral, and demographic consequences
of hybridization between wolves and coyotes in Ontario, Canada: implications for
conservation and management.
11.00
−
Kerry Kilshaw: Cryptic extinction of the Scottish wildcat: problems and
potential solutions for hybridization with the feral domestic cat.
11.45
−
Richard Fredrickson: Hybridization, introgression, reproductive barriers, and
management of Red wolves.
12.30
−
Thomas Newsome: Hybridization and its influence on the great dingo debate.
14.15
−
15.00
−
15.30
−
18.00
−
Arie Trouwborst: Addressing hybridization between wild and domestic
mammals under international, European Union and national wildlife law.
Piero Genovesi: Managing hybrids: policy and legal backdrops at the global, EU
and national scales.
Riflessioni e dibattito con i rappresentanti di: Regione Toscana, Provincia di
Grosseto, FederParchi, WWF, ASL9, Ministero dell’Ambiente, Ministero della
Salute.
Fine della sessione
(Aspetti concettuali e metodologici relativi allo studio e alla gestione
della ibridazione tra specie selvatiche e domestiche: implicazioni
per le politiche di conservazione)
Luigi Boitani, Dipartimento di Biologie e Biotecnologie “Charles Darwin”,
Sapienza, Università di Roma
L
a ibridazione si realizza quando
individui appartenenti a specie distinte
si accoppiano tra loro. E’ un processo
che si verifica naturalmente in molti taxa e
in una varietà di contesti geografici ed
ecologici
diversi,
e
contribuisce
alla
evoluzione naturale delle specie selvatiche.
L’ibridazione ha molti effetti positivi e può
produrre nuovi geni, nuovi taxa, può
contribuire a contrastare gli effetti negativi
dell'inbreeding e favorire l'adattamento delle
specie all'ambiente naturale.
L'ibridazione ha tuttavia anche aspetti
negativi. Nello specifico, può causare una
perdita di geni localmente adattati, può
favorire la depressione da outbreeding, può
facilitare la modifica di pool genetici e
favorire l'estinzione di taxa.
Se l’ibridazione viene direttamente (o
indirettamente) causata dall’uomo viene
definita ibridazione antropogenica.
Da un punto di vista conservazionistico,
l'ibridazione
naturale
viene
sempre
considerata positiva perché si tratta di un
fenomeno naturale e può verificarsi in
maniera occasionale (come ad esempio la
ibridazione che avviene in Nord America tra
esemplari di lince rossa e di lince canadese)
o estensiva (ad esempio la ibridazione tra
esemplari di lupo rosso e coyote, sempre in
Nord America). L'ibridazione antropogenica
invece, sia questa pianificata (come nel caso
della ibridazione tra esemplari di pantera
della Florida e di pantera del Texas) o
casuale (ad esempio la ibridazione tra
l'allocco barrato e l'allocco maculato), non
essendo un processo naturale, presuppone
una responsabilità da parte dell'uomo e
viene ritenuta pericolosa quando un taxon
viene messo a rischio di perdere le sue
caratteristiche peculiari e quando le nuove
caratteristiche acquisite sono ereditabili.
In questa conferenza non si parlerà della
ibridazione che si verifica normalmente tra
specie selvatiche ma di un particolare tipo di
ibridazione antropogenica, ovvero quella che
si verifica tra una specie selvatica e la sua
forma domestica.
Le implicazioni per la conservazione delle
singole specie sono diverse a seconda che
l'ibridazione venga analizzata a livello di
individuo (l'individuo è diverso dai genitori)
o a livello di popolazione (la popolazione ha
una nuova struttura ed una nuova identità
genetica).
In ogni caso, in un'ottica di conservazione
delle specie selvatiche, la prima sfida che ci
si pone è quella di riuscire ad individuare la
ibridazione in tempo, prima che questa
generi una introgressione estensiva e abbia
un impatto su larga scala spaziale e
temporale. La seconda sfida è quella di
assumere decisioni gestionali adeguate che
riguardano una popolazione in cui è
avvenuta
l'ibridazione
e
dipendono
necessariamente dalla estensione spaziale e
temporale del fenomeno.
Un lavoro pubblicato da Allendorf et al. nel
2001 (“The problems with hybrids: setting
conservation guidelines”. Trends in Ecology
& Evolution. Vol 16 n° 11. Pagg 613 - 622)
propone uno schema dei possibili scenari
che si possono verificare in seguito ad
ibridazione (Figura 1).
estetico, epidemiologico e così via, perché la
genetica da sola non è sufficiente a stabilire
quale deve essere la risposta gestionale a
tali scenari.
E' necessario quindi chiedersi se lo schema
proposto da Allendorf sia adeguato a
descrivere la specificità degli incroci che
avvengono tra specie selvatiche e specie
domestiche o se questo necessiti di
modifiche e/o adattamenti.
Fig. 1: Categorie di ibridazione proposte da Allendorf et
al. (2001)
Per
quanto
riguarda
l'ibridazione
antropogenica, è possibile identificare 3
possibili categorie ognuna delle quali ha
diverse implicazioni gestionali.
Nel primo caso, se l'ibridazione si verifica
senza introgressione perché l'individuo
ibrido di prima generazione è sterile
(categoria 4 dello schema), è ancora
possibile intervenire da un punto di vista
gestionale. Le categorie 5 (ibridazione con
introgressione diffusa, come ad esempio nel
caso dell'incrocio tra esemplari di gatto
domestico e gatto selvatico scozzese oppure
di esemplari di cane e lupo etiope) e 6 (in
cui si osserva una mescolanza genetica
completa tra le due popolazioni parentali,
come
nel caso del lupo canadese)
costituiscono
invece
due
scenari
particolarmente critici da un punto di vista
gestionale (Figura 2).
Nel caso dello scenario 5 è ancora possibile
intervenire, anche se questo va fatto in
tempi immediati ed in maniera drastica al
fine di contrastare e contenere il danno,
mentre nel caso dello scenario 6 non è più
possibile fare niente e l’unica soluzione
realistica è conservare la popolazione di
ibridi.
Inoltre, al fine di individuare le possibili
opzioni gestionali da intraprendere, le
categorie che nello schema proposto da
Allendorf et al (2001) sono descritte
soprattutto da un punto di vista genetico,
devono essere qualificate anche da un punto
di vista ecologico, etologico, economico,
La storia del lupo in Italia fornisce un
esempio molto eloquente relativamente alle
potenzialità di espansione della ibridazione
antropogenica.
Sebbene alcune popolazioni di lupo in
Europa siano piccole ed isolate, il trend
generale è di espansione sia nel numero che
nell’areale di presenza. Questa è una
condizione favorevole anche all'espansione
dell'ibridazione con il cane domestico, dato
che gli individui solitari di lupo in
dispersione, spostandosi da un'area ad
un'altra dell'Europa, e percorrendo distanze
molto elevate, possono venire a contatto
con esemplari di cani ed ibridarsi con loro.
In Italia il lupo, diffuso fino alla metà del XIX
secolo, subì una forte
riduzione in
particolare negli anni 1940 - 1960 a causa
della
persecuzione
diretta
da
parte
dell'uomo,
della
riduzione
e
della
frammentazione dell'habitat idoneo per la
specie e del numero delle sue prede
disponibili. Negli anni 70, quando la
presenza del lupo in Italia ha raggiunto i
suoi
minimi
storici,
alcuni
fattori
fondamentali hanno impedito la sua
estinzione
dal
territorio
nazionale.
Innanzitutto è cambiato lo stato legale del
lupo e questo è stato decretato specie
legalmente protetta. Contestualmente sono
cambiati alcuni parametri ambientali, in
particolare la istituzione di molte aree
protette, ed è aumentata la disponibilità di
habitat idonei e di prede selvatiche. Infine
molte aree montane sono state abbandonate
e questo ha favorito la disponibilità di nuovi
territori per i branchi. Essendo il lupo una
specie altamente flessibile ed opportunista
ha saputo immediatamente approfittare di
queste modifiche, e si è riscontrato un
aumento del suo areale ed un elevato tasso
di dispersione degli animali.
Attualmente non si sa esattamente quanti
siano i lupi in Italia (si stima che siano circa
1000 - 1500 individui), ma rispetto agli anni
70 si osserva sicuramente un trend positivo
della specie sul territorio nazionale, con un
incremento stimato di circa 5% della
popolazione
ogni
anno.
Aree
precedentemente non occupate dalla specie
sono state ricolonizzate, ed essa è
attualmente presente su gran parte del
territorio nazionale con densità molto
diverse a seconda dell'area.
lupo e che la ibridazione è irrilevante per la
conservazione della specie perché questa si
verifica da secoli e non c'è pertanto motivo
di preoccuparsi. Tutte le motivazioni
utilizzate per ridimensionare il problema
della ibridazione cane/lupo, che tra l'altro
non risultano supportate
da robuste
evidenze
e
trascurano
il
principio
precauzionale, sono state attualmente
smentite.
Anche la densità di cani vaganti in Italia è
aumentata negli ultimi anni ed attualmente
si stima che la densità del lupo sia di circa 2
- 4 individui per km2, la densità dei cani
vaganti sia di circa 100 - 300 animali per
km2, e quella dei cani rinselvatichiti sia di
circa 28 – 82 animali per km2.
La prima evidenza fenotipica di ibridazione
in Italia risale al 1975 e la prima evidenza
fenotipica nell'area della Maremma, una
delle aree di studio del progetto LIFE
Ibriwolf, risale all'anno 2000. La presenza di
ibridi in questa area è stata documentata e
monitorata fino al 2010.
Fig. 2: Categorie di ibridazione antropogenica proposte
da Allendorf et al. (2001)
Sono stati realizzati diversi studi di genetica
sul lupo in Italia prima del 2000 ma tutti
hanno dato come risultato l’assenza di
introgressione nella popolazione. Pertanto
l'ibridazione del lupo con il cane domestico
non è stata inizialmente percepita come un
problema. Gli studi di genetica hanno inoltre
mostrato come il risultato spesso dipenda
dalle tecniche utilizzate: ad esempio, alcuni
esemplari risultati lupi in base ad un numero
ridotto di loci genetici, sono poi risultati
ibridi aumentando il numero di tali loci
esaminati.
Tutti i casi di ibridazione cane/lupo registrati
in Europa, con la sola esclusione della
Estonia in cui è avvenuto il contrario,
confermano la direzionalità della ibridazione
cane lupo, ovvero gli incroci avvengono
generalmente tra la femmina di lupo ed il
maschio di cane.
Per molto tempo, gli studi relativi alla
ibridazione cane lupo in Italia hanno
ridimensionato l'importanza del problema,
dichiarando
che
l'introgressione
fosse
limitata grazie alla presenza di barriere
comportamentali (ad esempio affermando
che il cane ed il lupo non formano legami
sociali), che la ibridazione è un problema
marginale perché avviene solamente nelle
aree periferiche dell'areale di presenza del
Ovviamente il problema della ibridazione
cane/lupo non è solo un problema italiano e
molti sono gli esempi registrati in vari stati
europei (ad esempio Russia, Norvegia,
Latvia, Spagna, Germania).
Un altro livello di ibridazione antropogenica
cane/lupo è quella che viene causata
deliberatamente dall'uomo, ed è iniziata
diversi millenni fa. Durante il 17o e il 18o
secolo la pratica di far accoppiare cani e lupi
si è largamente diffusa per creare nuove
razze di cani. Al giorno d'oggi alcune razze,
come il cane lupo cecoslovacco, sono molto
diffuse e molto richieste. Si tratta di animali
la cui presenza in natura si rivela
potenzialmente molto pericolosa per la
salvaguardia del lupo, non solo per un
problema di ibridazione ma anche perché,
quando questi attaccano il bestiame
domestico (come tutti i cani vaganti), la
colpa viene sempre addossata al lupo
incrementando il livello di conflitto tra la
popolazione umana ed il lupo.
Il flusso genico tra il lupo ed il cane
domestico perpetuato da anni ha consentito
il radicarsi di alcune mutazioni geniche del
cane nella popolazione selvatica di lupo. Ad
esempio il melanismo del pelo nella
popolazione di lupi del Nord America viene
considerato non come
una evidenza
fenotipica di ibridazione recente ma come il
risultato di una ibridazione avvenuta molto
distante nel tempo.
Per rilevare la ibridazione da un punto di
vista genetico vengono utilizzati diversi
marcatori genetici. La popolazione di cane
domestico e la popolazione di lupo vengono
rappresentate
come
due
popolazioni
geneticamente distinte e gli esemplari ibridi
sono raffigurati al centro di queste due
entità (Figura 3).
Fig. 3: Rappresentazione grafica della struttura
genetica della popolazione di lupi (a sinistra), di cani (a
destra) e di ibridi (al centro) in base all’analisi del DNA
microsatellite.
Tuttavia al momento la genetica non è in
grado di descrivere con esattezza i marcatori
specifici di un ibrido e la ibridazione viene
identificata
rilevando
la
presenza
di
frequenze alleliche intermedie rispetto alle
due
frequenze
alleliche
parentali,
assumendo che la variabilità genetica delle
specie parentali sia bene caratterizzata e
che
venga
analizzato
un
numero
sufficientemente ampio di loci genetici. Il
problema, nel caso di ibridazione tra il cane
ed il lupo, è costituito dal fatto che il cane
ed il lupo sono molto simili da un punto di
vista genetico, ed il cane costituisce un
taxon altamente variabile che è stato creato
artificialmente e non possiede pertanto una
caratterizzazione genetica ben definita. Di
conseguenza è molto difficile confrontare la
frequenza allelica di un possibile esemplare
ibrido con quella del cane domestico.
Inoltre, i risultati in merito alla possibilità
effettiva
di
rilevare
l'ibridazione
tra
domestici e selvatici dipendono dalla tecnica
utilizzata e dalle strategie di campionamento
applicate, e nel caso specifico del cane
domestico, è necessario che venga definito
uno schema accurato di campionamento (nel
tempo e nello spazio) che caratterizzi la
frequenza allelica della popolazione di cani
domestici di riferimento. Ne consegue che la
genetica, pur essendo fondamentale per la
diagnosi
della
ibridazione,
costituisce
tuttavia uno strumento ancora imperfetto
che, tra l'altro, non è in grado di rilevare la
ibridazione dopo la seconda generazione.
Inoltre continua a rimanere poco chiara la
performance delle singole tecniche nel
distinguere tra polimorfismo naturale e
ibridazione. Per questi motivi, al fine di
massimizzare la capacità di individuazione
degli ibridi in natura, la genetica andrebbe
integrata con l'analisi dei caratteri ecologici
e fenotipici degli animali, come ad esempio
è stato fatto in Scozia per individuare gli
ibridi tra la popolazione di gatto domestico e
di gatto selvatico in base al pattern di
colorazione del mantello.
Tenuto conto di queste considerazione, e
facendo riferimento allo schema proposto da
Allendorf e colleghi (2001), la ibridazione tra
cane e lupo in Italia potrebbe essere
considerata, a livello nazionale, una forma
intermedia tra la categoria 4 (ibridazione
senza introgressione) e la categoria 5
(introgressione
diffusa), anche
se
la
situazione non è omogenea per tutto il
territorio nazionale e in alcune parti d'Italia
la situazione risulta essere meno grave (ad
esempio sulle Alpi la ibridazione è ancora
poco diffusa) oppure avere già raggiunto
uno stadio intermedio tra le categorie 5 e 6
(come su gran parte del territorio degli
Appennini, dove la ibridazione è largamente
diffusa). Inoltre, è difficile valutare le
potenzialità di espansione della ibridazione
cane lupo in Italia, perché non si hanno dati
in merito alla fitness degli ibridi rispetto alle
popolazioni parentali e l'accoppiamento tra
cani e lupi non sembra venir limitato da
barriere ecologiche, anche se potrebbe venir
parzialmente
ostacolato
da
dinamiche
spaziali strutturate (come ad esempio la
dimensione dei territori, la densità delle
prede, il livello di disturbo antropico, ecc.).
Inoltre va tenuto presente che in Italia la
ibridazione ha potuto espandersi su larga
scala nel corso degli anni prima che potesse
essere identificata e percepita come un
problema ed il numero relativamente
abbondante di cani vaganti costituisce un
elemento che facilita consistentemente il
diffondersi della ibridazione (Figura 4).
quali vengono accusati i lupi, aumentando il
livello di conflitto con la popolazione umana.
Lo schema di Allendorf et al (2001) propone
specifici interventi gestionali a seconda della
categoria di appartenenza. Se si tratta di
una categoria 4 la situazione può essere
gestita rimuovendo gli esemplari ibridi di
prima generazione, nel caso della categoria
5
bisogna
focalizzare
gli
sforzi
di
conservazione sulla parte di popolazione non
ancora ibridata e nel caso della categoria 6,
infine, l’unica possibilità è quella di
conservare gli ibridi. Come già osservato in
precedenza, questi interventi vengono
proposti per gestire la problematica da un
punto di vista genetico, ma la ibridazione
non è unicamente un problema genetico
dato che anche nel caso in cui non si
verifichi introgressione si genera comunque
un
problema
dal
punto
di
vista
conservazionista.
Fig. 4: Categorizzazione della ibridazione cane lupo in
Italia in base allo schema proposto da Allendorf et, al
(2001).
Di conseguenza, nel caso della gestione
della categoria 4, anche se l'ibridazione non
altera sostanzialmente le caratteristiche
genetiche della popolazione selvatica perché
non si verifica introgressione, è necessario
valutare che, tramite la ibridazione, non
vengano alterati caratteri fenotipici, ecologici
o comportamentali negli ibridi rispetto alla
popolazione parentale. Ad esempio il
carattere fenotipico dell'ibrido può avere un
valore adattativo che ne aumenta la fitness,
oppure il comportamento degli ibridi, simile
a quello dei lupi, potrebbe impedire ai lupi di
colonizzare i territori occupati da branchi
ibridi.
Inoltre,
può
verificarsi
una
competizione tra lupi ed ibridi per il cibo e
per l'accoppiamento, e gli ibridi possono
causare danni al bestiame domestico per i
Nel caso della categoria 5, la ibridazione
richiede approcci gestionali diversi a
seconda del suo pattern spaziale, della sua
diffusione
e
dei diversi processi di
introgressione che la caratterizzano. Se il
pattern spaziale è localizzato e non diffuso
geograficamente, il controllo degli ibridi è
ancora fattibile e va realizzato in maniera
urgente per evitare che si generi e si
espanda uno sciame ibrido. Più difficile,
invece, è stabilire quale sia il livello di
introgressione
nella
popolazione
che
determina un intervento di gestione, perché
questo costituisce una decisione politica più
che scientifica (la scienza può fornire i dati
ma è la politica che prende decisioni), e
necessita di creare un coinvolgimento ed un
consenso da parte della popolazione locale.
Nel caso infine della categoria 6, in cui si
verifica la completa mescolanza genetica
delle due popolazioni parentali, questa
potrebbe
non
corrispondere
ad
una
completa variazione fenotipica (come nel
caso del gatto selvatico in Scozia). In questo
caso una selezione artificiale a lungo
termine
di
alcuni
caratteri
fenotipici
potrebbe ricostruire una popolazione di
nuovi
animali
simili,
almeno
fenotipicamente, alla popolazione parentale
selvatica (quello che in America viene
indicato come il criterio della “similarità di
apparenza”).
Le questioni connesse alla gestione di tutti i
tipi di ibridazione considerati sono anche di
tipo etico e legale e riguardano ad esempio
la protezione legale dell'esemplare ibrido
(che succede se viene ucciso un ibrido e chi
paga per i danni che questo provoca al
bestiame domestico? E qual è il livello di
introgressione che determina il limite tra
ibrido protetto e non protetto?). Le possibili
strategie di intervento dipendono quindi
anche dalla “definizione” dell'ibrido, che
determina il suo stato legale. Al fine di
intervenire in maniera adeguata, va pertanto
definita la soglia operativa per l'estensione
spaziale e temporale del problema, il livello
di introgressione e di reincrocio che viene
ritenuto accettabile per salvaguardare la
specie selvatica e valutare la possibilità
effettiva di identificare gli ibridi in natura.
Vanno inoltre valutati tutti i costi e i benefici
connessi alla presenza di ibridi e le due
visioni scientifica e gestionale vanno
integrate tra loro in maniera funzionale, al
fine di avere un approccio che tenga conto
degli effetti a posteriori.
Non esiste un'unica soluzione gestionale che
vada bene per tutti i casi di ibridazione tra
animali domestici e selvatici. Gli interventi
da
intraprendere
sono
generalmente
complicati da un punto di vista logistico e
spesso sono “politicamente scorretti” e
socialmente inaccettabili, come ad esempio
la rimozione di animali dal territorio. La
scienza dovrebbe dare indicazioni in merito
a come gestire la problematica della
ibridazione attraverso una combinazione di
prospettive, di tecniche e di discipline e
dovrebbe applicare pienamente il principio
precauzionale. I politici, da parte loro,
devono assumersi le responsabilità delle
decisioni che prendono e devono lavorare
mediante
un
processo
partecipato,
basandosi su un chiaro contesto legale ed un
piano di gestione coerente e a lungo
termine. Allendorf ha proposto 3 criteri
principali in base ai quali prendere decisioni
in merito alla categoria 5, ovvero la quantità
di divergenze evolutive tra taxa ibridati tra
loro, l'estensione geografica della ibridazione
ed il numero di popolazioni pure che
rimangono di quel determinato taxon. Ma
questi criteri probabilmente non sono
esaustivi se si tratta di ibridazione tra
animali domestici e selvatici, e non tengono
conto della variazione fenotipica che,
sebbene non costituisca un indicatore della
ibridazione, potrebbe rappresentare un
nuovo criterio in base al quale valutare la
fattibilità
degli
interventi
umani.
Sicuramente sarà necessario aggiornare ed
integrare il quadro normativo a livello
europeo e a livello locale per avere chiare
linee guida e strategie politiche in merito
alla gestione della ibridazione, dato che la
implementazione di una corretta politica
gestionale dipende anche dallo stato legale
delle specie parentali e degli ibridi.
In conclusione la ibridazione costituisce
sicuramente una grande sfida per la
conservazione e la gestione della fauna
selvatica, perché la identificazione degli
ibridi rimane problematica, è difficile
stabilire se l'ibridazione è recente o antica, è
difficile stabilire quale sia il livello di
introgressione accettabile, quale sia lo
status legale degli ibridi e quali sono i
possibili interventi da realizzare per gestirli.
E' quindi estremamente urgente che
scienziati e gestori della conservazione
lavorino insieme integrando aspetti genetici,
ecologici, etologici ed etici al fine di
individuare gli interventi gestionali più
adeguati a contrastare la ibridazione.
(Gestione della ibridazione tra specie selvatiche e domestiche: può
la genomica essere di aiuto?)
Fred Allendorf, Università del Montana, Missoula, USA
I
l termine ibrido, sebbene abbia ancora
un
significato
controverso,
viene
generalmente utilizzato per indicare un
individuo nato da due genitori appartenenti
a due popolazioni geneticamente distinte. Se
l'ibridazione avviene in maniera naturale può
avere un'importanza rilevante per la
evoluzione delle specie viventi (ad esempio
uno studio condotto nel 2010 ha dimostrato
che il 3% del genoma umano è il risultato
della ibridazione tra Homo sapiens ed Homo
di Neanderthal avvenuta circa 50.000 anni
fa). Viceversa, l'ibridazione intraspecifica
che si verifica tra popolazioni domestiche e
popolazioni selvatiche può assumere risvolti
particolarmente critici per la conservazione
di molte specie selvatiche, come ad esempio
il lupo, il bisonte, il gatto selvatico, la trota
iridea, il salmone del Pacifico ed il salmone
dell'Atlantico.
Fig. 5: Effetti genetici sulla popolazione selvatica
causati dal rilascio in natura di animali domestici.
La genetica costituisce uno strumento
sicuramente molto utile per monitorare gli
effetti, sulle popolazioni di specie selvatiche,
causati dal rilascio in natura e su larga scala
di esemplari domestici da parte dell'uomo
(sia nel caso di rilascio casuale che
volontario). Tale rilascio può infatti dare
infatti vita a due possibili scenari (Figura 5).
Nel primo caso, se non si verifica flusso
genico con le popolazioni selvatiche, non si
verifica neanche l'ibridazione tra le due
popolazioni, e non si rivelano pertanto
“problemi”
di
natura
genetica
nella
popolazione selvatica, anche se possono
verificarsi
problemi
connessi
alla
conservazione della specie selvatica (ad
esempio la riduzione della fitness della
popolazione selvatica). Se invece il rilascio di
esemplari domestici comporta il verificarsi di
un flusso genico (ovvero di introgressione)
tra la popolazione domestica e quella
selvatica si possono verificare diversi
possibili effetti nella popolazione selvatica,
come ad esempio il cambiamento della
struttura della popolazione, la modifica della
sua composizione genetica, la riduzione del
suo adattamento genetico e la perdita di
diversità genetica.
L'analisi genetica del DNA, attraverso
l'utilizzazione
di
marcatori
genetici
molecolari, ha consentito per molte decadi di
individuare e descrivere il pattern di tale
ibridazione.
Attualmente
le
tecniche
genetiche sono progredite ed è stato
possibile descrivere l'intero genotipo di un
individuo attraverso un numero molto
elevato di loci (es 10.000). La genomica,
ovvero la disciplina che opera attraverso lo
studio dell'intero genoma, offre pertanto
nuove possibilità per descrivere la diffusione
della ibridazione a livello spaziale e
temporale. La differenza tra genomica e
genetica tradizionale è anche di tipo
qualitativo, perché la genetica consente
l'analisi fino ad un certo livello mentre con la
genomica è possibile andare oltre e capire
l’adattamento locale di un individuo, la
perdita di variazione adattativa e la
depressione da inbreeding o da outbreeding
(Figura 6).
L'approccio genomico consente inoltre di
identificare le regioni del genoma che
influiscono sulla fitness. L'introgressione che
avviene in queste regioni del genoma
potrebbe
diffondersi
più
velocemente
rispetto alla introgressione nelle regioni
neutrali e potrebbe quindi fornire un
meccanismo per la identificazione precoce
della introgressione.
E' possibile individuare diversi scenari
causati
dal
verificarsi
di
ibridazione
antropogenica (Figura 2). Le situazioni più
critiche sono quando la ibridazione è
largamente
diffusa
nella
popolazione
(categoria 5) e quando è presente uno
sciame ibrido (categoria 6), in cui tutti gli
individui della popolazione sono ibridi. Ad
esempio la popolazione di trota iridea
golarossa, Oncorhynchus clarki lewisi, nel
Montana risulta essere ibridata con altre due
specie di trote introdotte dall'uomo. In
questo caso è possibile scegliere tra tre
possibili
interventi
gestionali,
ovvero
includere nella popolazione solo le trote non
ibride, includere solo gli esemplari che
hanno meno del 10% di mescolanza
genetica, oppure includere tutti gli esemplari
che
presentano
le
caratteristiche
morfologiche della specie selvatica di trota
iridea golarossa. L'opzione maggiormente
raccomandata è la prima perché è l'unica
che contrasta l'espansione della ibridazione,
ma non sempre è realizzabile e dipende dal
livello
di
mescolanza
genetica
nella
popolazione e dalla specie selvatica che si
vuole proteggere. Un altro esempio è
rappresentato dalla ibridazione tra il bisonte
e la mucca in Nord America. In questo caso,
dato che la maggior parte delle popolazioni
selvatiche di bisonte sono ibridate con la
mucca, un'ipotesi potrebbe essere quella di
rimuovere gli individui di bisonte che hanno
la più elevata quantità di geni di mucca, in
modo da selezionare una nuova popolazione
di
bisonti
che,
sebbene
non
sia
geneticamente pura, presenti comunque un
livello inferiore di mescolanza genetica con
la mucca.
Fig. 6: Caratteristiche genetiche di una popolazione che
è possibile indagare tramite gli strumenti della genetica
classica (in blu) e della genomica (in rosso).
L'ibridazione influisce sulla fitness della
popolazione selvatica perché gli ibridi
risultano essere meno fertili rispetto agli
individui delle popolazioni parentali. Ad
esempio è stato osservato che nella
popolazione ibridata di trota iridea si osserva
una riduzione del 50% della fitness sia negli
ibridi maschi che negli ibridi femmine. Ma
come è possibile allora che gli ibridi si
diffondano così rapidamente se hanno una
fitness ridotta rispetto alle popolazioni
parentali? E' possibile formulare tre ipotesi.
La prima prevede che il verificarsi di eterosi
(ovvero
l'incrocio
tra
popolazioni
geneticamente distinte) possa contribuire
alla riparazione di alleli recessivi deleteri
nell'ibrido
di
prima
generazione
ed
aumentare in questo modo il flusso genico e
la perdita di adattamenti locali nella
popolazione. La seconda ipotesi prevede che
in base ad un effetto genetico detto
“cricchetto genetico” la percentuale di ibridi
in una popolazione aumenta anche se questi
hanno fitness ridotta. La terza ipotesi infine
si basa sul concetto dello “smistamento
spaziale”, in base al quale gli ibridi, pur
avendo fitness ridotta, hanno maggiore
propensione a migrare in altre aree rispetto
ai genitori diffondendo in questo modo il
proprio genotipo ibrido.
(Specie inquinate, il bisonte americano e le prospettive future per la
conservazione delle specie)
Kent H. Redford, Archipelago Consulting, Portland, USA
L
a questione relativa agli ibridi non è un
argomento nuovo, così come non è
nuovo il desiderio innato, da parte
dell'essere umano, di stabilire classificazioni
binarie in un vasto campo di contesti, dalla
politica, alla scienza, alle interazioni sociali.
Nel campo della conservazione questa
tendenza di creare dicotomie ha avuto, e
continua ad avere, implicazioni importanti.
Non solo infatti si osserva una mancanza di
criteri chiari per distinguere una specie da
un'altra, ma c'è anche una incapacità nel
definire quale sia il significato di una specie.
In tale contesto, la storia del bisonte in nord
America (Bison bison) illustra il modo
complicato in cui la tensione tra categorie
discrete e continue sta ostacolando il
ripristino ecologico della specie.
Fig. 7: Distribuzione delle attuali popolazioni di bisonte
selvatico in Nord America.
Prima del 1800 erano presenti in nord
America tra i 25 mila ed i 60 mila bisonti.
Nel 1800 è iniziata una pressione intesa su
questi animali che ne ha comportato
l'uccisione ed una conseguente riduzione nel
numero di branchi da 200 a 25. Nel 1900
erano presenti circa 200 bisonti allo stato
selvatico. Intanto nel 1800 erano comparsi i
primi allevamenti privati di bisonti che
vennero utilizzati come “sorgente
di
individui” per ripopolare i branchi selvatici.
Alcuni di questi allevatori privati crearono
appositamente
degli
esemplari
ibridi
incrociando il bisonte con la mucca per
provare ad avere animali più resistenti alle
temperature invernali e alle malattie. Venne
istituita l'ABS (American Bison Society,
Società del Bisonte Americano) che riuniva
gli allevatori privati di bisonte al fine di
scongiurare l'estinzione del bisonte selvatico
attraverso la ibridazione con la mucca.
Vennero
incrociati
tra
loro
bisonti
provenienti dallo zoo, da allevatori privati e
bisonti selvatici e vennero reintrodotti allo
stato selvatico. Cento anni fa erano presenti
in Nord America tra i 450 ed i 500 mila
bisonti e la situazione è rimasta simile fino
ai giorni nostri, anche se molti di questi
bisonti (circa 400 mila) sono ancora
mantenuti in allevamenti privati, dove
vengono allevati per produrre carne e
continuano ad essere ibridati con la mucca.
Pertanto attualmente solo 20 mila bisonti
sopravvivono allo stato selvatico (Figura 7).
La definizione di “ripristino ecologico” del
bisonte selvatico prevede che siano presenti
allo stato selvatico molti branchi di grandi
dimensioni, e che questi possano muoversi
liberamente in un vasto territorio che
includa tutti i loro principali habitat del loro
areale storico, e che gli animali possano
interagire in un modo ecologicamente
significativo con il maggior numero possibile
di altre specie native, sostenendo le culture
umane. In base a tale definizione non è
possibile dire che, attualmente, si sia
ottenuto il ripristino ecologico del bisonte
selvatico in Nord America.
Inoltre molte persone sono preoccupate
della purezza genetica del bisonte americano
e criticano il fatto che si stia conservando in
natura un animale che non rappresenta più
un bisonte geneticamente puro, perché è
contaminato dai geni della mucca. Le nuove
tecniche genetiche rivelano che meno
dell'1% del genoma del bisonte è composto
da genoma introgresso con la mucca. Molti
genetisti considerano che questo livello di
introgressione sia decisamente basso e
quindi che non comporti nessun rischio per
la conservazione del genoma del bisonte.
Inoltre ritengono che un basso livello di
introgressione con il genoma della mucca in
molti branchi di bisonte può essere
considerato accettabile. Pertanto molti
scienziati e genetisti ritengono che, se
gestiti secondo criteri che ne promuovono la
conservazione, i branchi di bisonti con un
basso livello di introgressione con il gene
della mucca sono di alto valore da un punto
di
vista
della
conservazione.
Inoltre
ritengono che la purezza genetica dovrebbe
essere meno importante rispetto ad altri
indicatori ecologici, come il ripristino delle
funzioni
ecologiche
dell'ecosistema,
l'adattabilità e la selezione naturale.
Il problema della gestione degli ibridi non è
limitato al caso del bisonte ma esistono
molti altri esempi in natura (ad esempio la
gestione degli ibridi lupo-cane, lupo-coyote,
orso polare-orso bruno ecc).
Per molte specie selvatiche non esiste una
chiara
distinzione
genetica
con
la
corrispondente
forma
domestica.
Ad
esempio l'addomesticamento del coniglio
comporta che vengano fatti molti piccoli
cambiamenti in molti geni e nessun
cambiamento drastico di pochi geni. Di
conseguenza,
nel
caso
del
coniglio
domestico, è possibile che si verifichi una
“retro-selezione” di questi geni alterati
dall'addomesticamento per ritornare alla
forma
selvatica.
Esempi
analoghi
si
riscontrano
anche
in
altre
specie
addomesticate (ad esempio maiale e
cinghiale, asino selvatico ed asino domestico
ecc).
Questa forma di ibridazione a volte si
verifica perché le specie ibride vivono in un
ambiente che è a sua volta ibrido, ovvero
sono specie selvatiche che vivono in
ambienti “domestici”. Ed è possibile parlare
anche di una forma di conservazione ibrida
della biodiversità, in cui è gli esseri viventi
vengono ricostruiti in maniera artificiale,
come ad esempio nel caso di utilizzazione
delle stampanti in tre dimensioni o della
biologia sintetica che consente di ricreare
parti biologiche tramite sintesi ex novo del
DNA. In altri casi ancora la conservazione
ibrida
può
essere
identificata
nella
sostituzione ecologica di una specie, ovvero
viene introdotta una specie selvatica in
natura diversa da quella scomparsa ma che
possiede la stessa funzionalità ecologica.
Questo tipo di conservazione, ed in
particolare la comparsa della biologia
sintetica e dei suoi strumenti per consentire
la manipolazione del genoma, comporta una
ulteriore sfida alle norme di conservazione e
agli obiettivi attualmente vigenti, rendendo
ancora più difficile distinguere l'animale
geneticamente puro dall'ibrido.
In questo contesto quello che dobbiamo
chiederci ai fini della conservazione di una
specie selvatica, come ad esempio il lupo, è
se vogliamo salvare il suo patrimonio
genetico, se vogliamo salvare la specie o se
vogliamo garantire che venga preservata la
“lupinità”, ovvero il comportamento ed il
ruolo ecologico del lupo, più del lupo in sé
come animale. Solo una volta che avremo
deciso che cosa vogliamo realmente
potremo decidere che cosa fare.
Eventualmente, anche il non fare niente può
essere inteso come una scelta gestionale,
per cui potrebbe anche essere che la
gestione della ibridazione cane-lupo in Italia
venga gestita non facendo nulla. Ma se
siamo sicuri del fatto che il nostro obiettivo
è quello di evitare la scomparsa del lupo in
Italia, allora è necessario prendere una
decisione chiara in merito al problema della
ibridazione, con la consapevolezza che la
scienza può dare un contributo a tale
proposito ma non può risolvere il problema
che è invece di responsabilità della politica.
(Ibridi, scienze e morale: tentativo di riconciliare l'ambiente e l'etica
animale)
Paul C. Paquet, Raincoast Conservation Foundation, Sydney, BC, Canada &
Dipartimento di Geografia, Università di Vittoria, Canada
L
a maggior parte delle persone che si
occupano di conservazione ritengono
che l’unità che vada protetta è la
popolazione o la specie. Di conseguenza, i
conservazionisti pensano che sia meglio
uccidere un individuo ibrido perché altera la
specie, mentre i non scienziati pensano che
l'individuo abbia il diritto di esistere in
quanto tale.
La posizione “populazionista” e quella
“individualista” hanno gli stessi obiettivi ma
con direzioni diverse, ed i conservazionisti
dovrebbero tenere conto di queste due
realtà.
E'
possibile
trovare
una
“conciliazione” tra le due visioni per il bene
della natura?
Il termine ibrido è ambiguo ed ha
sfaccettature diverse a seconda del contesto
ecologico, tassonomico, genetico in cui viene
applicato. Inoltre diversi tipi di ibridi
possono sollevare diverse questioni di tipo
scientifico ed etico.
Per poter analizzare correttamente la
situazione
è
necessario
fare
alcune
premesse. Innanzitutto l'ibridazione non è
solamente causata dall'uomo, ma alcune
popolazioni di organismi selvatici si ibridano
naturalmente. Il valore che noi attribuiamo
agli ibridi di origine antropica riguarda il loro
ruolo ecologico, ed eventuali linee guida per
la gestione degli ibridi dovrebbero tenere
conto sia del valore dell'individuo dal punto
di vista conservazionista, sia degli aspetti
etici connessi alla sua rimozione finalizzata
alla conservazione della integrità genetica di
una popolazione.
Naturalmente ci sono una serie di problemi
etici connessi alla rimozione degli ibridi che
hanno ripercussioni sul consenso pubblico ed
influiscono sulle scelte politiche che vengono
prese a riguardo. I conservazionisti sono
convinti che le ragioni ecologiche che
portano alla rimozione degli ibridi siano
l'unico criterio di valutazione in base al quale
stabilire le scelte da prendere. Viceversa,
molte persone pensano che il problema degli
ibridi non sia una questione ecologica ma
morale. D'altra parte subordinare le scelte
politiche al consenso pubblico è una scelta
etica
che
i
filosofi
chiamano
“convenzionalismo” che può tuttavia portare
anche ad una cattiva condotta.
L'etica è una branchia della conoscenza che
ha a che fare con principi morali e dovrebbe
guidare il comportamento degli individui e
della società. Le emozioni, gli impulsi sociali
ed i sentimenti non sono di per se etica, ma
sono la base dell'etica. Il ruolo principale
dell'etica applicata è quello di capire quali
sono i motivi che ci portano a comportarci in
un modo invece che in un altro, ed uno
strumento fondamentale dell'etica applicata
è l'analisi degli argomenti, ovvero il
processo che consente di valutare la validità
delle premesse e delle ragioni che
sottendono ad una determinata posizione
etica. Distinguere tra ciò che abbiamo il
diritto di fare e ciò che sia giusto fare è il
fondamento per prendere decisioni etiche,
dato che avere la possibilità di fare qualcosa
non
implica
automaticamente
che
dovremmo farla. Un altro principio dell'etica
è che è sbagliato uccidere un essere vivente
senza un motivo adeguato. Ma quale può
essere ritenuta una ragione adeguata per
uccidere un essere vivente? A tale proposito
i
conservazionisti
presentano
una
molteplicità di ragioni che spiegano perché
la rimozione di un ibrido sia consentita da un
punto di vista scientifico, dato che viene
giustificato il fatto che un individuo possa
essere sacrificato per il bene della
popolazione. Viceversa, la posizione che
tutela
il
benessere
dell'individuo
è
considerata errata perché si basa su
presupposti che non sono scientifici. D'altra
parte, conciliare la conservazione con il
benessere animale diminuendo i danni
imposti ai singoli individui non è concepibile
per i conservazionisti, perché la prospettiva
conservazionista di solito ignora l' etica
animale a favore di miglioramenti ecologici
complessivi, esclusi i rari casi in cui la
popolazione di una specie è così ridotta che
anche la conservazione di un solo individuo
è vitale per la sua sopravvivenza. La
conservazione della fauna vuole infatti
garantire che le popolazioni e le specie
selvatiche sopravvivano e che i processi
ecologici ed evolutivi proseguano. I biologi
della fauna selvatica hanno la responsabilità
di gestire le popolazioni selvatiche in una
maniera che sia scientificamente sostenibile
e socialmente accettabile, e ritengono che la
conservazione
di una specie
è
più
importante di qualsiasi altro aspetto, incluso
il benessere animale. Di conseguenza, il
benessere di un animale è subordinato alla
vitalità della popolazione, che è considerata
dai conservazionisti l'aspetto di maggior
valore.
Quando c'è un conflitto tra scienza ed etica
non è quindi chiaro quale sia il ruolo
dell'etica. La scienza infatti, nel suo ruolo di
descrivere le leggi della natura, non ha
nessuna qualità morale o etica, ed è
impensabile aspettarsi che questa produca
un “sistema etico”. La scienza consente ai
conservazionisti di ignorare il benessere
degli individui animali, e spesso ciò che è
buono per i conservazionisti non è sempre il
miglior interesse per l'individuo animale (e
viceversa). Gli scienziati possono dire quali
conseguenze
potrebbero
scaturire
da
determinati interventi, ma non sono
giustificati ad indagare oltre. La scienza può
aiutare a capire i processi della ibridazione
ma il “se” e il “quando” noi dovremmo
conservare un ibrido non è una questione
scientifica.
Per quanto riguarda la gestione degli ibridi,
considerata anche l'elevata differenziazione
tra le varie tipologie di ibridi presenti in
natura, sarebbe invece auspicabile che la
scienza, la politica e l'etica potessero agire
in maniera conforme rendendo in questo
modo più efficiente il contesto della
conservazione e della gestione. Applicare le
prospettive
etiche
nelle
decisioni
di
conservazione
consentirebbe
infatti
di
risolvere alcuni dei conflitti tra scienze e
benessere animale e consentirebbe di
ridurre la sofferenza dell'animale, pur
mantenendo prevalente la tutela della specie
e dell'ecosistema. Potrebbe essere utile, a
tale proposito, stabilire delle priorità di
conservazione per gli ibridi che enfatizzino il
grado in cui in cui gli ibridi possono essere
considerati naturali e stabiliscano quale sia il
loro ruolo ecologico nell'ambiente. Le
politiche
di
conservazione
dovrebbero
focalizzarsi sul proteggere il ruolo ecologico
di taxa affetti da ibridazione.
(Importanza delle evidenze fenotipiche di cane nella popolazione
selvatica di lupo rispetto alle evidenze genetiche e loro implicazioni
pratiche per la conservazione: sintesi e riflessioni)
Paolo Ciucci, Dipartimento di Biologie e Biotecnologie “Charles Darwin”,
Università La Sapienza, Roma
L
a ibridazione cane lupo è un tipico
esempio
di
ibridazione
causata
dall'uomo, ed è il risultato di un
rapporto sbagliato che l'uomo ha stabilito
con il cane domestico e che ha comportato
la sua “trasformazione” in cane randagio.
Tra l'altro il cane rappresenta una specie
che, per molti anni, è stata sottoposta alla
selezione artificiale, e in quanto tale
presenta dei geni che sono stati selezionati
non
per
consentire
all'individuo
di
sopravvivere allo stato selvatico ma in base
ad altri criteri che spesso rendono ardua la
sopravvivenza allo stato selvatico.
Della ibridazione cane lupo in Italia si è
cominciato a parlare nel 1984, ma il
problema è stato fin da subito sottovalutato
e a questo non ha fatto seguito nessun
intervento gestionale e non c'è stato nessun
confronto tecnico sulla problematica. Di
conseguenza il fenomeno della ibridazione
cane lupo si è largamente diffuso nel
territorio nazionale. Tra l'altro oggi sono
presenti alcuni fattori che, rispetto al
passato, facilitano ulteriormente il verificarsi
della ibridazione cane lupo. Infatti, non solo
è aumentato il numero di cani vaganti ma
anche di persone che commerciano ibridi
senza nessun controllo. Il paesaggio è
cambiato e c'è una forte persecuzione da
parte dell'uomo nei confronti del lupo che
contribuisce alla disgregazione dei branchi, a
causa della rottura delle gerarchie e alla
modifica dei ruoli sociali degli animali, e
facilita la comparsa di individui solitari che
hanno maggiore probabilità di incontrarsi ed
accoppiarsi con i cani vaganti.
Inoltre alla fine degli anni 80, quando sono
stati rilevati i primi ibridi, la popolazione di
lupo era in espansione dagli appennini
centrali verso gli appennini settentrionali ed
è molto probabile che anche il fenomeno
della ibridazione si sia diffuso nella stessa
direzione. Facendo riferimento allo schema
proposto da Allendorf et al nel 2001 che
riassume le varie categorie di ibridazione
(Figura 1), il tipo di intervento gestionale
che va intrapreso in Italia dipende dal livello
di conseguenze genetiche della ibridazione.
Inoltre,
per
intervenire
in
maniera
funzionale, è necessario poter individuale gli
ibridi in maniera certa, valutare la presenza
e la diffusione della ibridazione in tempi reali
e, se necessario, applicare interventi
gestionali in tempi rapidi.
Il processo di identificazione degli ibridi è
particolarmente rilevante perché da questo
dipende il tipo di intervento gestionale che
va intrapreso e comporta non solo la
identificazione di ibridi di prima generazione
ma anche di ibridi di generazione successiva
alla seconda. La identificazione degli ibridi è
soggetta ad errori e bisogna essere
consapevoli di questo quando si raccolgono
dati e si analizzano i campioni nei laboratori
di genetica. Nel caso specifico dell’ibrido
cane lupo è possibile fare due possibili
errori, ovvero attribuire un lupo alla
popolazione di ibridi (errore di tipo I) oppure
considerare un ibrido come se fosse un lupo
geneticamente puro (errore di tipo II; Figura
8).
Le implicazioni gestionali di questi due errori
sono molto diverse e dipendono da quale è
l’obiettivo che si vuole ottenere. Se infatti
l’intento è quello di ridurre la diffusione della
ibridazione in una popolazione vitale è
preferibile incorrere in errori di tipo I. Se
invece la popolazione è piccola, il verificarsi
di un errore di tipo I potrebbe seriamente
comprometterne la vitalità. Da un punto di
vista gestionale questo può essere visto
come una interpretazione demografica
rispetto ad una interpretazione genomica.
La identificazione di ibridi si basa sulla
utilizzazione di caratteri diagnostici che
consentono
la
identificazione
di
tali
esemplari in maniera certa e non ambigua.
Questi caratteri devono inoltre essere
ereditari, ovvero devono venir trasmessi
invariati
alla
progenie,
senza
subire
interferenze per un numero ragionevole di
generazioni di incrocio. I caratteri diagnostici
devono infine essere affidabili, ovvero
accurati, in modo da minimizzare i possibili
errori, e al tempo stesso devono essere
pratici, ovvero facilmente applicabili a livello
di
individuo
e
di
popolazione.
La
identificazione di esemplari ibridi in natura è
importante non solo per pianificare la loro
gestione, ma anche per estrapolare una
quantificazione della introgressione a livello
di popolazione, per valutare la sua dinamica
a livello spaziale e temporale e per
monitorare gli effetti delle strategie di
conservazione implementate.
Gli strumenti utilizzati per rilevare i caratteri
diagnostici di un ibrido devono basarsi non
solo sulla genetica ma anche sulle
caratteristiche fenotipiche degli animali, che
corrispondono ad un genoma introgresso. I
caratteri fenotipici sono più facilmente e
rapidamente
diagnosticabili sul campo
rispetto ai caratteri genetici, ma la loro
rivelazione presenta alcuni problemi perché
la variazione fenotipica tra individui è
elevata.
I caratteri fenotipici possono essere ritenuti
diagnostici
se
sono
determinati
geneticamente. In questo caso ci si aspetta
che la conformità di caratteri parentali
venga distrutta dalla ibridazione. Ci si
attende inoltre una grande variabilità
fenotipica negli ibridi di prima e seconda
generazione, in quanto teoricamente in
queste generazioni i caratteri sono più
facilmente rilevabili, soprattutto se la
introgressione è avvenuta con animali
domestici che hanno una omogeneità
fenotipica molto ridotta rispetto alle specie
selvatiche. Tuttavia, ci si aspetta anche un
gradiente fenotipico con l'aumentare del
livello di incrocio ovvero con il progredire
delle generazioni di back-crossing nella
popolazione parentale di lupo.
Fig. 8 Errori che è possibile compiere nella
identificazione degli ibridi. Viene definito errore di tipo I
l’erronea attribuzione di un lupo alla popolazione di
ibridi ed errore di tipo II l’erronea attribuzione di un
ibrido alla popolazione di lupi.
Per tali motivi la valutazione della variabilità
fenotipica può risultare spesso soggettiva. A
volte è arbitraria perché non tutta la
variabilità
fenotipica
è
geneticamente
determinata, ma il problema sussiste anche
perché non esiste uno standard fenotipico a
cui fare riferimento e perché il livello di
introgressione non è quantificabile. Di
conseguenza l’utilizzo dei soli caratteri
fenotipici come elementi diagnostici di
ibridazione rischia di generare un elevato
numero di errori di tipo I e di tipo II. Negli
ultimi 30 anni sono state rilevate diverse
evidenze fenotipiche anomale in lupi
catturati o rinvenuti morti in Italia, ma non
si è mai avuta una risposta di tipo gestionale
perché le evidenze fenotipiche sono state
sempre considerate non adeguatamente
affidabili da poter far attivare degli interventi
di gestione. Il paradigma di conservazione
ad oggi tacitamente accettato è che le
caratteristiche fenotipiche sono troppo
soggettive come indicazioni gestionali, ed è
necessario considerare i soli dati della
genetica per ottenere indicazioni che siano
sufficientemente attendibili. Secondo lo
stesso paradigma, si è tacitamente adottata
la strategia per cui gli errori di tipo I sono
considerati I più rilevanti, e in quanto tali
inammissibili e socialmente inaccettabili per
la popolazione di lupo.
Fig. 9 Esempi di animali con evidenze fenotipiche
anomale rispetto allo standard selvatico del lupo,
risultati essere lupi geneticamente puri in base alle
analisi genetiche.
E’ chiaro che rispetto alle evidenze
fenotipiche, le evidenze di ibridazione di
carattere
genetico
sono
invece
più
attendibili. È possibile utilizzare diversi tipi di
marcatori genetici (che sono aumentati nel
corso degli anni) che individuano un ibrido in
termini probabilistici, ovvero quantificano la
probabilità di un esemplare di appartenere o
meno ad una popolazione parentale. Inoltre,
rispetto ai caratteri fenotipici, i caratteri
genetici consentono di quantificare il livello
di introgressione. Però va tenuto conto che
cane e lupo appartengono alla stessa specie
e questo può creare delle difficoltà per la
identificazione genetica degli ibridi, perché si
tratta di due popolazioni molto vicine
geneticamente. Inoltre, il potere diagnostico
dell’analisi è funzione del tipo e del numero
di marcatori genetici che vengono utilizzati,
del test di assegnazione e dei modelli che
vengono applicati, dei loro assunti, delle
repliche e delle strategie di campionamento
utilizzate e la maniera con cui queste
rispecchiano gli assunti dei modelli. La
genetica ha anche un potere limitato nel
rilevare l'introgressione con l'aumentare
delle
generazioni
di
introgressione
(attualmente, oltre la seconda generazione
di incrocio); dato che gli ibridi di terza
generazione e successive sono comunque
ibridi non è lecito prendere decisioni
gestionali al riguardo (es., non intervenire)
semplicemente perché non siamo in grado di
rilevare l'introgressione in questi individui.
Infine, i caratteri genetici sono comunque
suscettibili ad errori di tipo II, non sempre
sono pratici per l’analisi del fenomeno su
larga scala, e non consentono la raccolta di
dati esaustivi in tempo reale, come sarebbe
necessario ai fini gestionali. Diversi sono gli
esempi in cui animali che presentavano
evidenze fenotipiche anomale rispetto allo
standard selvatico del lupo sono risultati
essere lupi da un punto di vista genetico e
bisogna quindi chiedersi se sia giusto o no
non considerare questi segnali fenotipici di
ibridazione se gli strumenti genetici non
rivelano alcuna introgressione (Figura 9).
Inoltre, alcuni tratti fenotipici anomali
sopravvivono più a lungo dei marcatori
genetici e potrebbero essere utilizzati come
evidenze di ibridazione anche se non
vengono rilevati dal dato genetico. Ad
esempio il melanismo dei lupi è spesso il
risultato di una introgressione con l'allele
dominante del locus K ereditato dal cane,
che determina la colorazione scura del
mantello.
In
Nord
America
questa
introgressione è avvenuta circa 40.000 anni
fa, ma in Italia si tratta di un fenomeno
assai più recente, motivo per cui nel nostro
paese la delezione del locus K può essere
considerata un marcatore aggiuntivo per
rilevare la ibridazione nella popolazione di
lupi. Questo non vuol dire creare una
dicotomia tra caratteri diagnostici fenotipici
e genetici, bensì sottolinea l'importanza di
integrare i due approcci di diagnosi. In
pratica, ciò vuole dire utilizzare alcuni
caratteri fenotipici oltre ai più potenti
marcatori genetici al fine di rivelare
l'ibridazione limitando la possibilità di
incorrere in errori di tipo II. Deve essere
infatti chiaro che l'obiettivo prioritario di
qualsiasi strategia di gestione del fenomeno
ibridazione, dato lo stato attuale della
popolazione di lupo in Italia, debba essere
quello di ridurre al più presto ed in maniera
massiccia e mirata l’ulteriore diffusione della
introgressione e, pragmaticamente, ciò si
traduce nell’impedire che individui ibridi
vengano lasciati riprodursi nella popolazione
parentale di lupo. In conclusione, per
pianificare una corretta strategia mirata a
ridurre l'espansione dell’ibridazione, sarebbe
auspicabile utilizzare l'insieme più efficace,
ai fini diagnostici, di marcatori genetici, in
grado
di
rilevare
l’ibridazione,
pur
utilizzando
alcuni
caratteri
fenotipici
particolarmente diagnostici in maniera
integrata; per esempio, aumentando la
soglia (valore di q) nei test Bayesiani di
assegnazione di un esemplare di lupo alla
popolazione
parentale
(Figura
10).
Nell'ambito di Ibriwolf sono state ad
esempio utilizzate due soglie di attribuzione
di un esemplare alla popolazione di lupo:
q>0,95, in assenza di altre evidenze
fenotipiche o genetiche di ibridazione, e
q>0,975 nel caso una genealogia ibrida
fosse sospettata da alcuni, ma non tutti,
marcatori genetici, oppure perché indicata
da alcuni tratti fenotipici anomali tra quelli
ritenuti più attendibili (ad esempio, presenza
dello sperone nelle zampe posteriori).
Molti sono i tratti fenotipici anomali che
devono
ancora
essere
geneticamente
validati,
sia
direttamente,
tramite
sequenziamento, sia indirettamente tramite
test di assegnazione. Nel caso questa
validazione
interessasse
nell’immediato
futuro
un
numero
maggiore
di
caratteristiche
fenotipiche
ciò
comporterebbe un maggior impiego pratico
di questi caratteri, riducendo valutazioni
basate
sulla
soggettività
nella
loro
interpretazione. Nel caso degli incroci tra
lupo e cane del resto, la ricerca non si è mai
occupata specificatamente di indagare la
base, o le corrispondenze, genetiche di
caratteri
fenotipici
potenzialmente
diagnostici, mentre la stessa procedura è
stata da anni applicata altrove e ad altre
specie (p. es., il gatto selvatico in Scozia).
In conclusione, se vogliamo realmente
ridurre
e
prevenire
la
diffusione
dell’ibridazione tra lupo e cane in Italia il
primo elemento essenziale e prendere
definitivamente atto del fatto che, in base
alle tecniche, ai marcatori, e alle procedure
di valutazione statistica attualmente a
disposizione, possiamo con una certa facilità
commettere errori di tipo II in fase di
diagnosi di individui introgressi oltre la
seconda generazione; inoltre, date le
condizioni demografiche e distributive del
lupo in Italia, che tali errori sono
attualmente molto più dannosi degli errori di
tipo I se il nostro obiettivo di gestione è la
tutela
dell’integrità
genetica
della
popolazione di lupo. Gli errori di tipo II
possono essere inoltre ulteriormente limitati
integrando tra loro le evidenze genetiche e
fenotipiche di ibridazione, approccio che
beneficerebbe
indubbiamente
di
una
descrizione e classificazione più formali, e
relativa
quantificazione,
dei
caratteri
fenotipici potenzialmente utili in fase di
diagnosi, nonché di una loro validazione su
base genetica.
Fig. 10 Motivi per cui è importante integrare il dato
genetico con la evidenza fenotipica nella identificazione
degli ibridi e come questo può essere ottenuto.
D'altra parte, una discussione sui principi di
integrazione dei criteri fenotipici e genetici ai
fini della diagnosi dei casi di introgressione
faciliterebbe un confronto in merito tra chi, a
diversi
livelli
e
con
competenze
complementari, si occupa di gestione e
conservazione della fauna; confronto ad oggi
mai voluto né stimolato nel nostro paese ma
che sarebbe fondamentale per raggiungere
un consenso perlomeno a livello tecnico in
merito all'approccio più realistico per
preservare l'integrità genetica delle specie
selvatiche
alla luce
della perdurante
minaccia
dell’ibridazione
antropogenica.
Continuare a trascurare questo approccio
comporta realisticamente il rischio di
togliere consistenza a qualsiasi strategia di
gestione si intenda applicare, e di non
essere in grado di garantire un adeguato
sostegno sociale e istituzionale al problema
dell’ibridazione,
come
attualmente
esemplificato
dai
livelli
crescenti
di
ibridazione tra il cane ed il lupo in Italia.
(Dinamica della ibridazione tra cane e lupo nella penisola Iberica:
conoscenza attuale e prospettive di gestione e conservazione)
Raquel Godinho, CIBIO/InBIO, Università di Porto, Portogallo
L
a ibridazione cane lupo in Europa è un
fenomeno relativamente frequente ma
decisamente
esteso
spazialmente,
tanto che è possibile rilevare segni di
ibridazione in quasi tutte le popolazioni
europee di lupo.
Nel corso di questa presentazione verrà
descritta, in maniera specifica, la situazione
relativa alla penisola Iberica.
In tale area la persecuzione nei confronti del
lupo è iniziata nel 1940 ed è proseguita in
maniera intensa fino al 1990, determinando
una severa riduzione dell'areale di presenza
della specie che è attualmente confinato
all'area nord ovest della penisola e in piccoli
nuclei localizzati nel centro della Spagna
(Figura 11).
Fig. 11: Attuale areale di presenza del lupo nella
penisola Iberica.
Attualmente la popolazione di lupi (in
particolare quella localizzata nell'area a
nord-ovest della penisola) è nuovamente in
espansione, ma occupa un territorio che è
fortemente antropizzato. In tale contesto,
caratterizzato
dalla
espansione
delle
popolazioni di lupo in un'area antropizzata e
con una elevata presenza di cani, in cui le
uccisioni illegali di lupo sono ancora
numerose, la possibilità che si verifichi
ibridazione tra il cane ed il lupo è molto
elevato, e si è deciso pertanto di effettuare
una indagine specifica per indagare il
fenomeno in maniera più approfondita,
utilizzando come dati di riferimento il
genoma della popolazione locale di cani e di
lupi.
Tuttavia, la vicinanza genetica di cane e lupo
e la condivisione di gran parte del loro
genoma crea molte difficoltà di tipo
metodologico nel distinguere geneticamente
tra loro le due identità biologiche. Ad
esempio il DNA mitocondriale di cane e lupo
è molto simile ed è difficile utilizzarlo per
distinguere le due entità biologiche e la
stessa situazione si riscontra con i
cromosomi sessuali. E' necessario quindi
ricorrere agli autosomi, ovvero ai cromosomi
che non contengono informazioni genetiche
di carattere sessuale, e tenere conto del
fatto che, per distinguere in maniera
accurata due entità biologiche, è necessario
disporre
di
un
numero
elevato
di
microsatelliti. I primi studi condotti nella
penisola Iberica hanno quindi utilizzato un
numero compreso tra 11 e 18 microsatelliti.
Nel 2006, Vaha e Primmer hanno proposto
una simulazione teorica per estrapolare il
numero minimo di marcatori necessari per
separare in maniera accurata due entità
biologiche. In base a questo modello ci si è
resi conto che i microsatelliti utilizzati fino a
quel
momento
per
distinguere
la
popolazione di lupi e di cani nella penisola
iberica non erano in grado di realizzare una
distinzione accurata e andavano pertanto
incrementati. Per cui gli studi successivi
(Godinho et al 2011) hanno coinvolto un
numero significativamente più elevato di
microsatelliti (fino a 42). Oltre
ad
aumentare il numero di microsatelliti,
l'analisi di questi marcatori è stata associata
all'analisi di altri marcatori genetici (DNA
mitocondriale e cromosoma Y). Il risultato
ottenuto ha rivelato la presenza di una
ibridazione diffusa nella penisola iberica ed
una percentuale di ibridi nella popolazione di
lupi (sia di prima generazione che di
generazione successiva) pari al 4%, in cui la
direzionalità
della
ibridazione
era
principalmente di origine paterna (incrocio
tra femmina di lupo e maschio di cane).
Tuttavia lo studio condotto era stato
realizzato
con
un
campionamento
opportunistico e ci si è quindi chiesti quanto
lo scenario individuato descrivesse in tempo
reale ed in maniera verosimile l’evento in
corso, senza sottostimare o sovrastimare il
livello di ibridazione. Inoltre i campioni
erano stati raccolti in un arco temporale di
40 anni e quindi i tempi non risultavano
compatibili con la presa di eventuali
decisioni gestionali o per valutare il successo
delle azioni già intraprese. Nel frattempo nei
branchi di lupi presenti in Galizia, nel nord
della Spagna, erano state rilevate le prime
evidenze fenotipiche di ibridazione e le
amministrazioni locali decisero che questi
animali andavano rimossi dalla popolazione
selvatica (Figura 12).
Fig. 12: Localizzazione dei branchi in Galizia ed
evidenze fenotipiche di ibridazione.
Quattro di questi animali furono rimossi e
questo ha scatenato una serie di proteste da
parte della popolazione locale. I campioni
dei 4 animali morti e di 36 escrementi
raccolti nell'area di studio furono analizzati,
ma dal DNA estratto dagli escrementi non fu
possibile analizzare un numero elevato di
microsatelliti. Pertanto vennero selezionati i
microsatelliti che meglio differenziavano i
lupi dai cani definiti anche “marcatori
informativi
ancestrali”
(AIM,
ancestry
informative markers) e vennero utilizzati
solo questi per l'analisi degli escrementi.
Fig. 13: Efficienza degli AIM nel rilevare la ibridazione
in esemplari ibridi di prima generazione (F1) e di
generazioni successive (Bx1 e Bx2).
Come è stato detto in precedenza, il genoma
del lupo e del cane è molto simile ma in
certe circostanze la deriva genetica di
piccole popolazioni o la selezione possono
portare ad una modifica nella frequenza
allelica di alcuni geni che vengono pertanto
detti AIM. Quindi, partendo dal presupposto
che l'analisi di campioni non invasivi, pur
non permettendo l'analisi di un numero
elevato di marcatori consente tuttavia la
rapida rilevazione di ibridazione in aree in
cui ne viene sospettata la presenza, e
consente in questo modo la identificazione
delle classi di ibridi presenti ed una
valutazione
della
estensione
della
ibridazione tra cane e lupo su larga scala e
nel tempo di una generazione, furono
individuati 13 AIM ed il loro potere
diagnostico venne confrontato con quello di
52 microsatelliti. Il risultato fu che il potere
diagnostico dei due set di marcatori è
confrontabile ed entrambi sono in grado, in
maniera
adeguata,
di
distinguere
geneticamente i cani dai lupi (Figura 13).
Inoltre con la selezione degli AIM era stata
massimizzata la differenziazione ma si
stavano perdendo informazioni in merito alla
diversità genetica, dato che gli AIM possono
essere utilizzati per differenziare due
popolazioni ma non per caratterizzarle nella
loro struttura. Infatti gli AIM sono specifici
per una data popolazione, pertanto non
hanno lo stesso potere di diversificazione in
altre popolazioni perché la frequenza allelica
sarà diversa nelle diverse popolazioni.
L'efficacia degli AIM è stata valutata su 1000
genotipi simulati appartenenti alla classe
ibrida e alle due classi parentali e si è visto
che il potere diagnostico degli AIM si riduce
con l'aumentare della generazione di
incrocio. E questo è un limite di cui va
tenuto conto anche da un punto di vista
gestionale, se ci aspettiamo che sia
importante fare una distinzione tra un lupo
ed un ibrido di ennesima generazione perché
i due casi prevedono interventi gestionali
diversi.
Tornando alla popolazione della Galizia, il
risultato ottenuto ha rilevato la presenza di
2 lupi, 9 ibridi e 2 cani nella popolazione
campionata. Di questi ibridi, il 40% è stato
rimosso. Questo risultato può essere
considerato accettabile da un punto di vista
gestionale e di conservazione del lupo,
tenendo conto anche degli sforzi economici e
di personale investiti per ottenerlo e della
opinione pubblica contraria?
Per ottenere maggiori informazioni, un
secondo studio è stato condotto estendo
l'area di studio campionata in Galizia e
raccogliendo solamente i campioni nell'anno
2013. Diciotto AIM vennero utilizzati per
analizzare 168 escrementi e portarono alla
identificazione di 140 genotipi diversi (78
lupi, 58 cani e 4 ibridi). La percentuale di
ibridi rilevata (5%) è paragonabile con
quanto ottenuto nel primo studio condotto
nel 2011 (4%) e si può ipotizzare che
questa sia la soglia di ibridazione che la
popolazione può supportare. Pertanto al
momento si può escludere che in Galizia ci
sia uno sciame ibrido. Per quanto riguarda la
distribuzione spaziale, esemplari ibridi sono
stati rilevati in 3 dei 13 branchi.
Dopo questi studi quello che è emerso è che
la ibridazione tra cane e lupo è più comune
di quanto si pensasse, che è di breve durata
temporale
ma
ricorrente
ed
estesa
geograficamente. Si può ipotizzare che la
ibridazione sia una forza evolutiva che
“modella” le caratteristiche biologiche dei
lupi iberici. Un esempio di quanto detto
potrebbe essere il ricorrente polimorfismo di
colore nella popolazione in Galizia. In alcuni
casi infatti il colore cannella del pelo è stato
rinvenuto in ibridi, in altri casi è stato
rinvenuto
in
esemplari
risultati
geneticamente lupi.
Da un punto di vista gestionale la situazione
in Galizia è controversa e ci si chiede se sia
necessario prendere delle misure gestionali
ritenendo che sia effettivamente possibile
controllare gli eventi di ibridazione, oppure
se bisogna assumere che la ibridazione sia
una forza evolutiva. In conclusione va capito
se sia meglio controllare gli ibridi, con
investimenti economici notevoli, o se non sia
necessario accettare il verificarsi della
ibridazione (Figura 14).
Fig. 14: I due elementi del dibattito relativo alla
problematica della ibridazione: bisogna controllare gli
ibridi oppure accettare che si verifichi la ibridazione?
(Rilevare gli ibridi in una popolazione fortemente introgressa: il
caso studio dei lupi e dei cani in Italia)
Ettore Randi, Romolo Caniglia, Elena Fabbri, Marco Galaverni,
Laboratorio di Genetica, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale (ISPRA), Ozzano dell’Emilia (BO)
C
ome già riportato dai precedenti
relatori, l'ibridazione tra il cane ed il
lupo
risulta
essere
diffusa
e
ricorrente in Europa. In Italia il numero di
ibridi
attualmente
presente
potrebbe
corrispondere, a seconda delle zone, al 5 10% della popolazione selvatica di lupo.
Il lupo in Italia ha subito un forte declino
dal dopoguerra in poi raggiungendo il suo
minimo storico negli anni '70. Dopo questo
periodo la popolazione ha ripreso ad
espandersi ed i lupi hanno colonizzato
nuove aree in cui erano e sono attualmente
presenti anche cani vaganti, e questo ha
favorito il verificarsi di ibridazione tra le due
popolazioni.
Fig. 15: Rappresentazione grafica della struttura
genetica della popolazione di cani domestici (a
sinistra), della popolazione di lupi in Italia (a destra) e
delle popolazioni di lupi europei (in basso) in base
all’analisi di 18 microsatelliti.
Le cause di introgressione del genoma di
cane nella popolazione di lupo possono
essere ricercate nella presenza consistente
di cani vaganti in una fase in cui la
popolazione di lupi era numericamente
ridotta, l'espansione del lupo nelle aree
rurali in cui la presenza di cani è
consistente ed il conseguente effetto
demografico, il controllo inefficiente del
randagismo e le uccisioni illegali di lupi che
hanno causato la destabilizzazione della
struttura di popolazione.
Identificare gli ibridi all’interno di una
popolazione
fortemente
introgressa è
difficile sia che si utilizzino marcatori
molecolari che fenotipici. La situazione
diventa ancora più complicata se gli ibridi
originano dall’incrocio fra la forma selvatica
e la forma domestica di una stessa specie
perché le due popolazioni, pur essendo
geneticamente
diverse,
non
sono
geneticamente
e
geograficamente
strutturate
come
lo
sarebbero
due
popolazioni parentali nei casi di ibridazione
naturale.
Nel 2000 si è cominciato ad identificare
quali fossero i marcatori genetici che, più di
altri, consentissero di distinguere la
popolazione di cane da quella del lupo. A
tale proposito si è osservato che, per
quanto riguarda il DNA microsatellite,
l'analisi di 18 microsatelliti consentiva di
differenziare geneticamente la popolazione
di lupi in Italia dalle altre popolazioni di lupi
europei, probabilmente perché questa
popolazione
è
rimasta
isolata
geneticamente dalle altre per molte
generazioni. Inoltre, l'analisi degli stessi 18
microsatelliti consentiva di distinguere
geneticamente la popolazione di lupi da
quella di cani (Figura 15). Aumentando il
numero di microsatelliti analizzati (n = 39)
questo risultato veniva confermato. Tuttavia
sia l'analisi di 18 microsatelliti che l'analisi
di 39 microsatelliti non consentiva di
rilevare in maniera affidabile esemplari
ibridi di generazione successiva alla
seconda – terza generazione di reincrocio.
La situazione non migliorava aumentando il
numero
di
microsatelliti,
dato
che
aumentando
la
generazione
di
introgressione si tende a raggiungere un
plateau per cui, pur incrementando il
numero di microsatelliti, non si riesce a
distinguere in maniera affidabile il genoma
del lupo rispetto al genoma di ibridi oltre
alla seconda generazione di reincrocio. Di
conseguenza non era possibile, tramite
l'analisi del solo DNA microsatellite,
identificare ibridi, di generazione successiva
alla seconda generazione di re incrocio.
L’analisi di un numero inferiore di
microsatelliti (ad esempio n = 12)
aumentava i casi di “falsi positivi”, ovvero
aumentava il numero di lupi identificati
come ibridi.
D’altra parte anche altri marcatori genetici
bi parentali (per es., SNP single nucleotide
polymorphisms),
se
considerati
singolarmente,
presentano
dei
limiti
diagnostici, ed essendo il tasso di
introgressione variabile all’interno dei
cromosomi,
marcatori
genetici
che
mappano su diversi cromosomi possono
avere potere diagnostico diverso.
L'analisi del DNA mitocondriale (mtDNA;
trasmesso per via materna) consente di
rilevare la introgressione con il cane nella
popolazione selvatica di lupo in casi specifici
(per esempio, in Italia), cioè quando gli
mtDNA del cane e del lupo sono
sufficientemente distinti da un punto di
vista genetico. In alcuni casi, l'analisi del
cromosoma sessuale Y (trasmesso per via
paterna) ha un potere diagnostico maggiore
per la identificazione degli ibridi rispetto al
DNA mitocondriale perché cane e lupo
hanno diversi aplotipi Y. Tuttavia le
introgressioni del mtDNA e del cromosoma
Y del cane nella popolazione di lupi
risultano essere limitate, dato che la
maggior parte degli ibridi identificati fino ad
ora sono reincroci nelle popolazioni di lupo
che non recano tracce degli aplotipi mtDNA
ed Y dei parentali.
A livello fenotipico si osserva una certa
variabilità nella popolazione selvatica di lupi
in Italia, ed è importante che il dato
fenotipico venga integrato con il dato
genetico per poter rilevare la ibridazione in
maniera
affidabile.
Ad
esempio
la
colorazione scura del mantello, che viene
determinata da una delezione melanistica
nel gene che codifica per la beta-defensina
103 (locus K), costituisce una evidenza sia
genetica che morfologica di ibridazione,
anche se non è semplice datarne l’origine.
Bisogna tuttavia fare attenzione a non
utilizzare solamente i caratteri fenotipici
come criterio diagnostico, perché in questo
modo si rischia di sottostimare il numero
effettivo di ibridi dato che molti di questi
esemplari sono morfologicamente identici a
lupi geneticamente puri. Sarebbe pertanto
auspicabile identificare le basi genetiche di
altri con tratti fenotipici, come è stato
possibile fare per alcuni specifici caratteri
fenotipici
anomali
(ad
esempio
la
colorazione scura del pelo) ma non ancora
per
altri
(ad
esempio
l'unghia
depigmentata).
Fig. 16: Differenza del pattern di colorazione facciale e
dello sguardo nei lupi che presentano la delezione
beta-defensine del locus K, secondo la teoria proposta
da Ueda et al (2014).
La delezione melanistica del locus K sembra
avere una correlazione con il successo
riproduttivo. Nel branco di lupi dello
Yellowstone
in
Nord
America,
dove
l’introgressione con il cane è avvenuta molti
anni fa, ci sono segnali apparentemente
chiari di selezione e gli individui neri che
presentano la delezione del locus K in
eterozigosi hanno un successo riproduttivo
medio maggiore ed un valore medio della
fitness più elevato rispetto ai lupi selvatici.
Viceversa gli esemplari neri ma omozigoti
hanno valori di fitness più bassi rispetto al
lupo. La spiegazione di questo fenomeno
può essere individuata nel fatto che le betadefensine (proteine prodotte dal locus K e
da altri geni della stessa famiglia) sono
presente non solo nell’epidermide, ma
anche nel sistema riproduttivo maschile e la
sua delezione potrebbe essere correlata alla
riproduzione ed alla fertilità. Un altro
aspetto interessante rilevato da uno studio
giapponese del 2014 (Ueda et al 2014) è
che la delezione del locus K influisce anche
sul pattern di colorazione facciale e sullo
sguardo dell'animale (Figura 16). Pertanto
gli individui che presentano la delezione del
locus k hanno anche un diverso modo di
comunicare con lo sguardo, ed è possibile
che questa modifica comportamentale
possa influire sul successo riproduttivo.
Nella popolazione italiana di lupi non è stata
rilevata nessuna evidenza di una pressione
selettiva negli individui che presentano la
delezione del locus K, così come non si
rileva nessuna evidenza di una preferenza
di partner in base alla colorazione del
mantello.
Fig. 17: Risultati dello studio condotto dal 2002 al
2012 da Caniglia et al (2014) su 7700 campioni
(principalmente escrementi) raccolti nei territori di
quattro regioni appenniniche: Romagna, Liguria,
Marche ed Umbria.
Utilizzando marcatori genetici uni- e biparentali (ovvero 12 microsatelliti, mtDNA,
cromosoma Y e delezione del locus K) è
stata realizzata una analisi su 7700
campioni
(principalmente
escrementi)
raccolti in 11 anni (2002 – 2012) negli
Appennini centro settentrionali, ed è stata
rilevato che alcuni ibridi cane lupo erano
presenti in Italia già nel 2002. Il che fa
pensare che gli ibridi erano presenti almeno
nella generazione precedente al 2002 e
questo spiega perché alcune porzioni della
popolazione italiana di lupi siano così
altamente introgresse (Figura 17).
Uno
studio
successivo
realizzato
analizzando 170.000 “singoli nucleotidi
polimorfici”
(SNP
single
nucleotide
polymorphism) di 750 campioni di lupi e
cani raccolti in Europa, grazie alla
collaborazione di diversi laboratori europei
(ISPRA non pubblicato), ha consentito di
distinguere in maniera chiara i lupi italiani
dai cani, dai lupi europei e dagli ibridi di
prima e seconda generazione di reincrocio,
ma non ha consentito di distinguere in
maniera
chiara
alcuni
ibridi
presumibilmente di generazione successiva
alla seconda generazione di introgressione
da lupi italiani che non hanno origine ibrida
(Figura 18).
Questo
risultato
conferma
che
la
popolazione italiana di lupi è fortemente
introgressa e che alcuni ibridi successivi alla
seconda – terza generazione di reincrocio
sono
difficilmente
identificabili
geneticamente.
Una
possibilità
per
incrementare
le
possibilità di rilevare geneticamente gli
ibridi in una popolazione
altamente
introgressa è quella di ricorrere all’analisi
genomica, attraverso la individuazione di un
numero ridotto di “marcatori informativi
ancestrali” (AIM, ancestry informative
markers), che hanno un più elevato potere
di distinguere il cane dal lupo e di
discriminare tra loro le popolazioni di lupo
perché massimizzano la probabilità di
identificazione della popolazione di origine
degli alleli. La implementazione di una
banca dati di AIM potrebbe consentire di
identificare, ed eventualmente rimuovere,
individui introgressi fino alla 4 – 5
generazione. Un’altra possibilità è quella di
identificare
dei
“blocchi
di
aplotipi”
(haplotype blocks) che risultano essere
fortemente introgressi e che vengono
tramandati di generazione in generazione.
Un’ultima possibilità infine è l’utilizzazione
di “geni funzionali adattativi” che risultano
essere più o meno introgressi rispetto alla
media dei geni. Identificare corrispondenze
tra varianti genetiche e varianti fenotipiche
potrebbe consentire di individuare, ed
eventualmente rimuovere, gli individui più
fortemente introgressi.
Nonostante questi limiti, la genetica
molecolare ha consentito di confermare che
la popolazione italiana di lupi è almeno in
parte fortemente introgressa con quella del
cane domestico ed ha permesso di
identificare gli esemplari ibridi di prima e
seconda generazione di introgressione, di
descrivere il pattern di introgressione nella
popolazione, di stimare la frequenza di
ibridi a scala locale, di mappare la
localizzazione di branchi ibridi e di valutare
la corrispondenza tra alcuni tratti di
variazione morfologica e molecolare.
Per il monitoraggio dei branchi ibridi
sarebbe auspicabile realizzare un piano di
monitoraggio
non
invasivo
a
livello
nazionale basato su adeguate procedure di
diagnosi fenotipica – molecolare, ma questo
richiede
dei
costi
molto
elevati.
Sembrerebbe
invece
possibile,
sia
economicamente che organizzativamente,
realizzare
uno schema nazionale
di
campionamento di canidi catturati o
rinvenuti morti. Ciò consentirebbe di
implementare una banca dati a livello
nazionale o europeo da utilizzare per
identificare il monitoraggio dello stato
demografico, sanitario e genetico delle
popolazioni di lupo.
Dopo circa 15 anni di introgressione, che
corrispondono a 5 – 6 generazioni, la
proporzione attesa di genoma di cane in
una popolazione di lupi dovrebbe essere
approssimativamentedell'1%.
Questo
significa che, mediamente, più del 99% di
ascendenza nei lupi deriva dal lupo. Non ci
sono evidenze che la selezione naturale
sfavorisca gli ibridi, quindi è probabile che
se si riduce la ascendenza del cane dall’1%
allo 0% questo potrebbe non comportare
un sostanziale impatto positivo sulla fitness
della popolazione di lupo. Resta comunque
ipotizzabile che, pur in assenza di evidenze,
essendo il cane stato selezionato per essere
addomesticato, la sua ascendenza sia
comunque dannosa per la fitness dei lupi, e
la introgressione di varianti genetiche
selezionate dall'addomesticamento vada
evitata. In questo caso, da un punto di
vista puramente genetico, il mantenimento
di una popolazione di lupi di grandi
dimensioni, in cui la deriva genetica sia
irrilevante,
potrebbe
consentire
alla
selezione naturale di ridurre l’effetto
negativo causato dalla ascendenza del cane
domestico nella popolazione ed il flusso
genico del cane verrebbe interrotto senza la
necessità di nessun intervento umano.
Tuttavia, la presenza soverchiante di cani
vaganti perpetuerebbe
gli eventi di
ibridazione
generando
situazioni
difficilmente controllabili in assenza di
interventi attivi di conservazione.
Fig. 18: Rappresentazione grafica della struttura
genetica della popolazione di cani domestici (a
sinistra), degli ibridi di prima e seconda generazione
(al centro), della popolazione di lupi in Italia e di ibridi
di generazione successiva alla seconda (in alto a
destra) e delle popolazioni di lupi europei (in basso) in
base all’analisi di 170.000 SNP.
In conclusione è possibile formulare alcune
considerazioni di carattere gestionale:
1) La ibridazione sembra non avere effetti
dannosi sulla fitness del lupo e neanche
la persecuzione antropica sta impedendo
alle popolazioni di lupo di espandersi in
Italia; indipendentemente da questa
considerazione
è
assolutamente
prioritario contrastare il randagismo
canino e limitare la diffusione di ibridi.
2) La cattura e la rimozione o sterilizzazione
degli ibridi, oltre ad essere complicata da
un punto di vista logistico, può risolvere
il
problema
localmente
e
temporaneamente ma la dispersione di
lupi nei territori lasciati liberi dagli ibridi
e
la
presenza
di
cani
vaganti
vanificherebbe questi sforzi. Tuttavia ci
sono aree di passaggio per i lupi e
corridoi critici che andrebbero monitorati
per
impedire
il
diffondersi
della
ibridazione (ad esempio l'Appennino
ligure, che costituisce il passaggio dagli
Appennini alle Alpi). In queste aree
critiche bisogna intervenire per evitare
l'arrivo di ibridi ed eliminare la presenza
di cani.
3) E' necessario un piano nazionale per il
monitoraggio della popolazione di lupo e
della presenza di ibridi, ed un piano
d'azione a lungo termine implementato
dai tre ministeri (Agricoltura, Ambiente e
Salute), dalle regioni e dalle province per
contrastare la diffusione di ibridi e cani
vaganti.
(Evoluzione della presenza del lupo e di ibridi lupo - cane)
Marco Apollonio e Massimo Scandura, Dipartimento di Scienze della Natura
e delle sue Risorse, Università di Sassari
L
a Toscana è un'area chiave per la
distribuzione del lupo in Italia e per la
colonizzazione delle Alpi. La presenza
del lupo in Toscana ha avuto un incremento
sostanziale negli ultimi 20 anni e nel 2013
le due popolazioni toscane (quella tirrenica
e quella appenninica) risultavano essere in
contatto tra loro sul territorio regionale, con
un numero stimato di branchi pari a 71 che
corrisponde ad almeno 300 - 320 lupi
presenti nel territorio regionale (Figura 19).
Fig. 19: Distribuzione del lupo in Toscana nel 2013
In Toscana si osserva anche una presenza
consistente di ungulati soprattutto cinghiali
e caprioli, che costituiscono le prede
naturali per il lupo.
Uno studio iniziato nel 1993 in provincia di
Arezzo aveva rilevato la presenza di almeno
4 branchi, e negli anni 1999 – 2000 i
branchi erano diventati 9, tutti localizzati
nell'area
a
nord
della
provincia.
Confrontando le tre variabili ambientali
(copertura forestale, densità umana e
biomassa di ungulati) si è visto che nelle
aree di presenza del lupo la copertura
forestale era più elevata rispetto alle aree
in cui il lupo era assente e la densità umana
decisamente inferiore. Per quanto riguarda
invece la biomassa di ungulati, questa,
seppure più elevata nelle aree di presenza
del lupo, era comunque consistente anche
nelle aree di assenza del carnivoro.
Negli anni 2004 – 2005 il numero di branchi
era ulteriormente incrementato (12) e nel
2013 è stata registrata la presenza di
almeno 21 branchi e la popolazione di lupo
non risultava più localizzata nell'area a nord
della provincia ma in tutto il territorio
provinciale.
In Toscana non è insolito avvistare lupi
molto vicini ai centri abitati e numerosi
sono i casi di avvistamenti di animali con
anomalie fenotipiche, a cominciare da due
animali tassidermizzati nel XIX secolo e
conservati all'Università di Pisa. Le analisi
morfologiche condotte dal 1978 e quelle
genetiche effettuate tra il 1998 ed il 2014
sulle carcasse di animali rinvenuti morti
nella regione Toscana hanno confermato la
presenza di ibridi in quasi tutto il territorio
regionale. Questa presenza era inizialmente
localizzata nelle provincie di Siena ed
Arezzo fino al 2004 ma attualmente
riguarda quasi tutte le provincie della
Toscana.
Utilizzando i dati provenienti da vari
progetti svolti in Toscana, tra i quali il
progetto LIFE Ibriwolf, nel 2014 è stata
osservata la presenza di almeno 25 branchi
con una evidenza (fenotipica o genetica) di
ibridazione.
Nella provincia di Arezzo, le analisi condotte
su 480 campioni corrispondenti a 211
genotipi diversi, di cui 185 lupi, e raccolti
tra il 1998 ed il 2014, hanno rilevato il
maggior numero di esemplari introgressi
nell'area centro-orientale della provincia di
Arezzo.
Considerata
l'abbondanza
di
prede
selvatiche e di copertura vegetazionale in
tale area, è possibile prevedere per il futuro
una ulteriore espansione della popolazione
di lupo anche nelle aree marginali adiacenti
ai centri abitati.
di lupi e di ibridi difendono il territorio allo
stesso modo.
Questa situazione potrebbe ulteriormente
accelerare il livello di ibridazione della
popolazione di lupo con il cane domestico, e
sarebbe auspicabile la formulazione di un
piano gestionale globale finalizzato a
prevenire l'espansione del genoma di cane
nella popolazione selvatica di lupo.
Nell'ambito di uno studio svolto in provincia
di Arezzo, su due branchi composti dalla
coppia riproduttiva ibrida, è stato possibile
ottenere alcuni dati preliminari relativi alla
ecologia, al comportamento ed alla
fisiologia degli ibridi.
Per quanto riguarda il comportamento
alimentare, sembra che lupi ed ibridi
abbiano la stessa dieta ed uccidano le
stesse
prede
(ovvero
principalmente
cinghiali e caprioli).
Non si osserva nessuna differenza nella
struttura acustica di lupi ed ibridi e branchi
Fig. 20: Localizzazione dei branchi di lupi rilevati nella
regione Toscana nel 2014 che presentano almeno una
evidenza fenotipica o genetica di ibridazione.
Infine i dati preliminari di fisiologia rivelano
che gli esemplari ibridi potrebbero avere
una fertilità (misurata come numero medio
di cuccioli) più elevata ed un ciclo
riproduttivo diverso, caratterizzato da un
evidente anticipo, rispetto a quello dei lupi,
a causa delle modifiche genetiche apportate
dalla domesticazione.
(Introgressione tra specie domestiche o captive ed i loro
corrispondenti selvatici: cause ecologiche e conseguenze genetiche)
Michael K. Schwartz, USDA Forest Service, Rocky Mountain Research
Station, Missoula, USA.
L
a ibridazione è l'accoppiamento tra
due individui appartenenti a due
popolazioni o gruppi di popolazioni
distinguibili sulla base di uno o più caratteri
ereditabili. L'ibridazione è un fenomeno
naturale che si verifica sia nel mondo
vegetale che animale ma in alcune
situazioni
può
costituire
una
forza
aggiuntiva che, interagendo con altri fattori
come la frammentazione e la degradazione
degli habitat, può portare all'estinzione di
alcune specie.
Gli aspetti connessi alla ibridazione sono di
tipo legale (che livello di protezione viene
assegnato agli ibridi?), “meccanico” (a
quale livello è possibile individuare la
introgressione?), ecologico ed evolutivo (gli
ibridi hanno un impatto/ricoprono un ruolo
specifico?), sociale (la presenza di ibridi
fornisce qualche valore aggiunto?), umano
(gli ibridi provocano danni alla salute
umana?), economico (qual è l'impatto
economico della ibridazione?), etico (qual è
il valore etico degli ibridi?). La ibridazione
costituisce un problema per molte specie
selvatiche. Ad esempio il 38% dei pesci di
acqua dolce in Nord America e il 10% delle
specie protette nelle isole britanniche sono
in una condizione di rischio di estinzione a
causa della ibridazione. Tuttavia la gravità
del problema è stata fin ora sottostimata
dai biologi della conservazione. L'ibridazione
può anche avere degli aspetti positivi, ad
esempio può costituire una importante
fonte di variazione genetica e può
consentire la divergenza ecologica di alcune
specie e determinarne il successo di
sopravvivenza di altre (ad esempio gli ibridi
di alcune specie di girasole riescono a
sopravvivere in aree in cui le popolazioni
parentali
muoiono).
Considerate
tali
premesse, bisogna chiedersi se, da un
punto di vista ecologico, gli ibridi vanno
rimossi o vanno conservati. Per poter
prendere una decisione di questo tipo,
dobbiamo chiederci se gli ibridi ricoprono
qualche ruolo ecologico, almeno nel breve
termine, in modo che la loro conservazione
non comprometta la conservazione delle
funzioni ecologiche di un ecosistema.
Fig. 21: Fattori che possono influire sulla scelta di
rimuovere o proteggere gli ibridi all’interno di una
popolazione.
Dobbiamo
inoltre
valutare
se
la
conservazione degli ibridi può influire sulla
evoluzione
e
sull'adattamento
dell'ecosistema evolutivo (ad esempio gli
ibridi potrebbero determinare la perdita di
variazione genetica). Se infine vogliamo
tenere conto del contesto ecologico nel suo
insieme dobbiamo chiederci se gli ibridi
stanno distruggendo l'integrità del sistema
ecologico nativo.
Non tutte le situazioni che riguardano gli
ibridi sono uguali, né vengono condizionate
dagli stessi fattori, e richiedono pertanto
azioni diverse a seconda della situazione
specifica. Alcune situazioni sono intermedie
e in questi casi è difficile stabilire se
richiedono la rimozione o la protezione degli
ibridi (Figura 21).
viene favorito dalla presenza dell’uomo dato
che questo influisce sulla degradazione ed
alterazione dell’habitat e sulla variazione
climatica, facilita la ibridazione perché viene
ridotta la selezione ecologica divergente tra
le
specie
e
si
perde
l’isolamento
riproduttivo. Questa teoria viene definita
“Ipotesi della omogeneizzazione ecologica”
ed ha due possibili effetti: 1. collasso
dell'insieme “multispecie” in uno sciame
ibrido a causa dell'ambiente omogenizzato,
2. creazione di un mosaico geografico di
specie che coesistono in alcuni ambienti e
collassano in sciame in altri ambienti.
Il caso della ibridazione della lince canadese
(Lynx canadensis) in Minnesota con la lince
rossa (Lynx rufus) costituisce un esempio di
ibridazione mediata dall'habitat. Le due
specie
occupano
aree
parzialmente
sovrapposte (Figura 23) e rappresentano
due specie selvatiche, tassonomicamente
molto simili tra loro.
Fig. 22: Fattori evolutivi, ecologici e ambientali che
influiscono sulla espansione della ibridazione
Un'altra condizione che influisce sulla scelta
di interventi gestionali relativi agli ibridi è la
diffusione della ibridazione che, a sua volta,
dipende dalla evoluzione, dalla demografia
e dalla ecologia degli ibridi.
Ad esempio se l'ibrido di prima generazione
è fertile (e quindi la selezione tenderà a
favorirlo), se ha un'alta fecondità ed un'alta
mobilità e se la nicchia ecologica è ampia,
l'habitat è disturbato e si osserva un
cambiamento climatico, allora la possibilità
che la ibridazione si diffonda è elevata.
Viceversa se l'ibrido di prima generazione è
sterile (e quindi la selezione tenderà a
sfavorirlo), se ha una ridotta fecondità ed
una ridotta mobilità e se la nicchia
ecologica è ristretta, l'habitat nativo è
intatto e se la velocità del cambiamento
climatico è ridotta allora le potenzialità di
espansione della ibridazione sono ridotte
(Figura 22).
Infatti un ambiente eterogeneo produce
nicchie ecologiche alternative e promuove
un adattamento divergente favorendo
l’evoluzione di un accoppiamento non
casuale e promuovendo al tempo stesso la
differenziazione genetica.
Viceversa un
ambiente omogeneo, che generalmente
L'ibridazione tra le due specie non rientra
pertanto tra gli esempi di ibridazione tra
animale domestico e animale selvatico.
Generalmente la ibridazione avviene perché
la femmina di lince canadese si accoppia
con un esemplare maschio di lince rossa. Lo
studio genetico, condotto tra il 2001 ed il
2003 e realizzato su 40 campioni non
invasivi e 3 campioni invasivi (3 carcasse),
analizzando il DNA mitocondriale e 10
microsatelliti ha rilevato la presenza di tre
individui ibridi che, tra l’altro, presentavano
anche caratteri morfologici intermedi tra
quelli della lince canadese e della lince
rossa. Tutti gli ibridi individuati erano
localizzati nell’area a nord est degli Stati
Uniti.
Fig. 23: Areale di presenza della lince canadese (in
alto) e della lince rossa (in basso) in Nord America.
Andando ad analizzare i possibili fattori che
hanno potuto favorire la ibridazione di
queste due specie, si è visto che alcuni
fattori
ecologici,
come
la
presenza
abbondante di esemplari di lince rossa e
l’altezza
della
neve,
possono
aver
contribuito
a
creare
delle
aree
di
sovrapposizione per le due specie di lince e
aver favorito pertanto il verificarsi della
ibridazione.
Lo
scenario
gestionale
relativo
alla
ibridazione tra le due specie di lince in Nord
America è decisamente complicato perché,
da un punto di vista ecologico, evolutivo ed
ambientale sono presenti elementi sia a
favore
della
rimozione
che
della
conservazione degli ibridi (Figura 24). Una
variante importante è la fertilità dell’ibrido
di prima generazione (F1). Nel caso di
ridotta fertilità dell’ibrido F1, la popolazione
di lince canadese potrebbe soffrire di una
carenza di opportunità di “reclutamento” di
partner. Viceversa, nel caso in cui l’ibrido F1
non sia sterile, si potrebbe generare uno
sciame ibrido e la popolazione di linci
canadesi potrebbe drasticamente ridurre il
proprio areale e le proprie potenzialità di
sopravvivenza.
Fig. 24: Fattori evolutivi, ecologici e ambientali (in
rosso) che caratterizzano la ibridazione tra lince
canadese e lince rossa in Nord America.
I risultati ottenuti hanno almeno due
implicazioni di tipo legale. Innanzitutto la
lince rossa può essere legalmente catturata
in alcuni stati mentre la lince canadese non
può essere catturata in tutto il Nord
America. Inoltre manca una politica ufficiale
per la gestione degli ibridi e non è quindi
chiaro se l'ibrido di lince rossa e lince
canadese
è
protetto
o
meno
dall'Endangered Species Act. Pertanto, se si
decidesse di proteggere gli ibridi, le catture
della
lince
rossa
diventerebbero
problematiche dato che si correrebbe il
rischio di catturare ibridi o esemplari di
lince canadese. Una seconda implicazione di
tipo legale è la identificazione di un
potenziale pericolo per il ripristino della
popolazione di lince canadese. Infine, la
frammentarietà del sistema normativo ed il
fatto che esemplari di lince canadese e di
lince rossa domestici siano stati rilasciati in
natura,
complica
ulteriormente
la
situazione.
Per capire come l'ambiente può favorire
l'ibridazione si può osservare il caso dello
scoiattolo volante (Pteromyini sp) o il
fenomeno della ibridazione del lupo con
altre specie di canidi. L'ibridazione di queste
due specie e della lince avviene solo nella
porzione ad est degli Stati Uniti e non in
quella ovest. Bisogna quindi chiedersi se e
come la complessità ecologica/topografica,
la variazione climatica o il disturbo
antropico influenzano l'ibridazione.
In conclusione, preso atto del fatto che
l'ibridazione può essere un fenomeno
naturale e costituire quindi, in alcune
situazioni, un evento positivo per la
sopravvivenza delle specie selvatiche, altre
volte il rapido cambiamento del paesaggio
causato dall'uomo può aumentare la
ibridazione
che
diventa
quindi
una
questione
ecologica.
L’ibridazione
antropogenica in particolare si verifica in
diversi taxa animali e generalmente
comporta una riduzione della diversità
genetica, una modifica della struttura
genetica della popolazione oppure una
alterazione degli adattamenti genetici.
Il problema si rivela particolarmente
delicato quando si ha a che fare con specie
in rischio di estinzione ed è importante
chiederci, in tali situazioni, cosa vogliamo
conservare e cosa stiamo conservando. I
nuovi strumenti forniti dalla genomica
forniscono sicuramente un aiuto notevole
per individuare e capire meglio il fenomeno
della
ibridazione
tra
popolazione
domestiche
e
selvatiche,
ma
non
costituiscono comunque una panacea.
(Le unità di conservazione sulla Direttiva Natura della Unione
Europea)
Andras Demeter, Direttorato generale per l'ambiente, Commissione Europea
I
l direttorato generale per l'ambiente
include un direttorato B (Natural
Capital) che è a sua volta suddiviso in
tre unità: B1 Agricoltura, Foresta e Suolo;
B2 Biodiversità; B3 Natura. Due sono i
principali strumenti della Unione Europea
per proteggere la fauna selvatica. La
Direttiva
Uccelli
(2009/047/EC)
che
protegge tutte le specie di uccelli che sono
naturalmente presenti allo stato selvatico
negli stati della Unione Europea ed ha come
obiettivo principale quello di mantenere le
popolazioni delle varie specie di uccelli in
una condizione che rispetta i loro requisiti
ecologici, scientifici e culturali o di adattare
le popolazioni di queste specie a tali livelli.
Il secondo strumento è la Direttiva Habitat
(92/043/EEC) che contribuisce a mantenere
la biodiversità attraverso la conservazione
degli habitat naturali e delle specie in
Europa. Inoltre questa Direttiva fa in modo
che gli habitat e le specie vengano
mantenute, o ristabilite, in uno stato
favorevole di conservazione (Figura 25).
L'unità di conservazione di queste due
direttive è variabile e ad esempio il livello di
protezione
nell'ambito
della
Direttiva
Habitat può variare dalla popolazione, alla
sottospecie, alla specie, al genere, alla
famiglia, al sotto ordine e all'ordine.
Nella legislazione europea non viene fatta
menzione relativamente agli ibridi, siano
questi di origine naturale o antropica, e
viene delegato agli stati membri la autorità
e la responsabilità di gestire, anche a livello
legale, il problema della ibridazione se
vogliono
preservare
lo
status
di
conservazione di una determinata unità ad
un livello favorevole.
Fig. 25: Aspetti in comune tra le due direttive
comunitarie, la Direttiva Uccelli e la Direttiva Habitat.
Attraverso il programma LIFE, istituito nel
1992, gli stati membri vengono dotati dello
strumento finanziario e della assistenza da
parte della Commissione Europea per
gestire questo problema. Attualmente 31
progetti LIFE in Europa, dei 1250 finanziati
fino ad oggi, hanno sollevato il problema
della ibridazione e 25 di questi hanno
incluso misure concrete per la risoluzioni di
problematiche causate dalla ibridazione di
specie animali o vegetali.
Nello specifico, i progetti LIFE che si sono
svolti in Italia ed hanno affrontato
problematiche connesse alla ibridazione,
hanno contribuito a focalizzare l'attenzione
su questa problematica ed in particolare sul
problema sociale connesso alla presenza di
cani vaganti, ma dovranno fare attenzione
a proseguire le attività intraprese al termine
del progetto.
Fig. 26: Elenco delle specie animali e vegetali oggetto
di specifici progetti LIFE finalizzati a contrastare la
problematica della ibridazione.
E' inoltre possibile ottenere informazioni in
merito alla fauna selvatica in alcuni rapporti
prodotti dalla Unione Europea e disponibili
on line che trattano non solo dello stato di
conservazione delle specie selvatiche ma
anche dei fattori di rischio per la loro
conservazione, e forniscono indicazioni
specifiche relativamente ad alcune specie.
In particolare la conservazione dei grandi
carnivori costituisce una grande sfida per
l'Unione Europea e attualmente si sta
lavorando ad un documento che includa gli
interventi chiave per la salvaguardia delle
popolazioni selvatiche di lupo, in particolare
di quelle transfrontaliere, in cui la
ibridazione con il cane domestico è
percepita come un problema per la
conservazione. La UE vuole coinvolgere 8
associazioni europee a collaborare per
firmare un accordo di collaborazione per la
creazione di una piattaforma europea di
coesistenza tra la popolazione ed i grandi
carnivori. Lo scopo di questa piattaforma è
quello di creare le basi per un dialogo
costruttivo e per trovare le soluzioni al
conflitto tra la popolazione e la presenza dei
grandi carnivori, attraverso lo scambio di
esperienze e di buone pratiche tra gli
stakeholders.
(Ibridazione: l'“arma segreta” delle invasioni biologiche)
Daniel Simberloff, Università del Tennessee, USA
L
a ibridazione è stata riconosciuta come
una
questione
connessa
alla
conservazione della fauna selvatica
nelle ultime due decadi, ma già nel 1958
una pubblicazione di C. S Elton, relativa alla
ecologia delle invasioni di animali e piante
(“The ecology of invasions by animals and
plants”), faceva riferimento agli impatti
causati
dalla
presenza
di
ibridi
e
introduceva il concetto di ibridazione nel
contesto della conservazione delle specie
selvatiche. Altre pubblicazioni uscite della
fine degli anni '80, sempre relative alla
invasione biologica di specie animali e
vegetali, citavano il problema dell'impatto
ecologico causato dalla ibridazione delle
specie selvatiche con le specie domestiche
introdotte dall'uomo. Alla fine degli anni ’90
si è cominciato infine a parlare degli effetti
della ibridazione sulle popolazioni selvatiche
ed in particolare del rischio di estinzione.
L'impatto più noto della ibridazione è la
modifica di genotipi autoctoni, e questo
spesso
avviene
in
maniera
non
appariscente ma attraverso una modifica
graduale del pool genetico di una specie.
ugualmente
un
problema
per
la
conservazione delle specie native perché
causa modifiche di tipo ecologico. In questa
categoria rientrano i casi in cui:
Fig. 28: Articoli che documentano la ibridazione di
Phragmites australis con una sottospecie nativa in
Nord America.
1.
la ibridazione tra una specie nativa
ed una introdotta genera nuove specie
invasive, come nel caso della Spartina
anglica in California, in cui la nuova specie
creata
per
ibridazione
è
diventata
altamente invasiva o come il patogeno delle
piante Phytoptora alni diffuso in gran parte
dell'Europa (Figura 27).
2.
la ibridazione con una specie
introdotta rende innocua la specie invasiva
nativa. Un esempio di questa situazione è
l'ibrido derivato da Phragmites australis con
una sottospecie nativa in Nord America
(Figura 28).
Fig. 27: L’ibrido patogeno delle piante Phytophtora
alni e sua distribuzione in Europa
E' possibile individuare due categorie di
ibridazione. La prima categoria include i
casi in cui non si verifica introgressione.
Tale ibridazione pertanto non causa
problemi di tipo genetico ma costituisce
3.
la ibridazione con una specie
introdotta rende innocua un'altra specie
introdotta ma invasiva, come ad esempio
l'ibrido della Secale cereale che non ha
nessun impatto ecologico sull'ambiente a
differenza della popolazione parentale.
4.
la ibridazione con una specie
introdotta
rende
la
specie
invasiva
introdotta ancora più invasiva. Ad esempio
l'ibrido della pianta Phalaris arundinacea è
molto più invasivo della specie selvatica e
molti patogeni, come la “grafiosi dell'Olmo”
sono ibridi derivati altri patogeni meno
invasivi.
visone domestico e visone selvatico, tra yak
domestico e yak selvatico.
La seconda categoria include invece i casi in
cui si verifica introgressione ed il patrimonio
genetico della specie viene modificato. Di
conseguenza l'impatto della ibridazione non
è solo ecologico ma anche evolutivo. In
questa categoria rientrano i casi in cui:
1.
la ibridazione con una specie
introdotta modifica notevolmente la specie
nativa senza tuttavia renderla invasiva. Ad
esempio l'ibrido tra il cervo rosso (Cervus
elaphus) ed il cervo del Giappone (Cervus
nippon) in Irlanda (Figura 29) oppure
l'ibrido tra le due falene Operophtera
brumata e O.bruceata
2.
la ibridazione con una specie
introdotta mette in pericolo la specie nativa
con lieve rischio di estinzione per
introgressione, come nel caso di piante rare
che vivono sulle isole, come ad esempio
l'ibridazione tra Arbutus canariensis e
Arbutus unedo nelle Isole Canarie, oppure
la ibridazione tra il gobbo rugginoso
(Oxyura
leucocephala)
con
esemplari
introdotti di gobbo della Giamaica (O.
jamaicensis) che mette a rischio la
sopravvivenza della specie nativa (Figura
30)
Fig. 29: Un esemplare maschio di cervo rosso (a
destra, dietro), un esemplare maschio di cervo del
Giappone (a destra, davanti) ed un esemplare
femmina ibrido (a sinistra).
3.
la ibridazione con il corrispondente
domestico mette in pericolo la specie nativa
con estinzione per introgressione, come ad
esempio la ibridazione tra cane e lupo, tra
gatto domestico e gatto selvatico, tra
Fig. 30: Un esemplare di gobbo della Giamaica (in alto
a sinistra), un esemplare di gobbo rugginoso (in basso
a destra) ed un esemplare ibrido (in basso a sinistra).
Per intervenire serve innanzitutto acquisire
maggiori informazioni relativamente ai casi
specifici, ma non si può aspettare di
provare che la ibridazione abbia un impatto
di tipo ecologico o evolutivo su una specie
selvatica, ed è necessario intervenire prima
che sia troppo tardi e quando ci sono
ancora le condizioni per rimuovere una
specie introdotta o prevenire la sua
ibridazione con la specie nativa, con
l'assunto che le invasioni biologiche hanno
sempre un qualche tipo di impatto ecologico
e/o evolutivo, anche se al momento ancora
non si conosce. In letteratura si conoscono
diversi esempi di risoluzione di problemi
causati dalle invasioni biologiche, mentre il
problema causato dalla ibridazione è più
complicato da risolvere ed è difficile
intravedere delle possibili soluzioni. In
alcuni casi le popolazioni selvatiche di
specie rare sono state “confinate” in posti in
cui non c'era rischio di venire ibridate (ad
esempio esemplari di cervo rosso sono stati
spostati in un’area dove il cervo del
Giappone non era presente). In altre
situazione si è provato ad uccidere tutti gli
individui ibridi. Ad esempio in Inghilterra
sono stati uccisi gli esemplari dell'anatra
ibrida derivata dall'incrocio tra esemplari di
gobbo rugginoso e di gobbo della Giamaica.
Un'altra alternativa è quella di evitare i
rilasci in natura, anche se non si tratta di
un intervento semplice da realizzare. Infine
ci
sono
degli
esempi
innovativi e
promettenti di risoluzione del problema
come nel caso dell'uso della tecnica del
“silenziamento genico” (gene silencing,
ovvero la introduzione di geni che
inibiscono i processi intracellulari mediante
l'espressione mutata di un tratto genetico)
in alcune piante, come tentativo di
prevenire l'espressione dei fenotipi ibridi. Si
tratta comunque di tecniche all'avanguardia
ed è difficile dire al momento se avranno
successo o meno. In conclusione la
ibridazione tra domestici è selvatici è solo
una piccola parte di un problema molto più
esteso,
ma è
anche
l'aspetto
più
difficilmente trattabile di tutte le tipologie di
invasioni biologiche.
(Conseguenze genetiche, morfologiche, comportamentali e
demografiche della ibridazione tra lupi e coyote in Ontario, Canada:
implicazioni per la conservazione e la gestione)
John F. Benson and Brent R. Patterson. La Kretz Center for California
Conservation Science, Dipartimento di Ecologia e Biologia Evolutiva, Università
della California, Los Angeles, USA
L
a ibridazione tra lupi e coyote in Nord
America costituisce un esempio di
ibridazione antropogenica tra due
specie
selvatiche.
Viene
definita
antropogenica perché è stata resa possibile
da interventi realizzati dall'uomo. In
particolare la ibridazione tra le due specie è
stata facilitata dal disboscamento e dalla
eradicazione locale del lupo che hanno
consentito ai coyote di espandere il proprio
areale.
Lo studio, condotto nell'Algonquin Provincial
Park (APP) e in tre aree a questo adiacenti,
localizzate ad ovest e a sud dell'area
protetta (Figura 31), nasce dall'esigenza di
capire
il
significato
biologico
della
ibridazione tra specie di canidi selvatici e di
incrementare le conoscenze relative alle
caratteristiche morfologiche, genetiche ed
ecologiche e dinamica della ibridazione per
poter utilizzare questi dati a livello
gestionale.
In Ontario sono presenti tre diverse specie
di canidi selvatici distinti morfologicamente
tra loro: i lupi (Canis lupus), i coyote (C.
latrans) ed i lupi canadesi (C. lycaon).
Questi ultimi hanno una taglia intermedia
tra quella dei lupi e dei coyote.
Fig. 31: Area di studio della indagine svolta per
monitorare il fenomeno della ibridazione tra lupi e
coyote in Nord America.
Da un punto di vista genetico le tre specie
rappresentano tre cluster distinti tra loro
(Figura 32). Tuttavia, gli esemplari delle tre
specie attualmente presenti in Ontario non
sono animali geneticamente “puri” dato che
si osserva un flusso genico tra le due specie
di lupi ed i coyote. Gli esemplari ibridi (36%
della popolazione), diffusi soprattutto al di
fuori dell'area protetta, presentano tratti
fenotipici intermedi rispetto al fenotipo delle
popolazioni parentali.
parentale anziché costituire un pericolo per
la sua sopravvivenza.
Fig. 32: Rappresentazione grafica della struttura
genetica della popolazione di lupi (a sinistra), di coyote
(in basso a destra) e di lupi canadesi (in alto a destra)
e delle relative popolazioni ibride.
I lupi canadesi costituiscono la specie di
canide maggiormente consistente nell'area
protetta di Algonquin e, all'interno di tale
area, la ibridazione con il coyote risulta
essere molto ridotta. Viceversa, gli individui
di lupo canadese presenti al di fuori
dell'area protetta sono principalmente ibridi
perché questo territorio è saturo di altri
canidi e gli esemplari di lupo canadese
riescono
a
sopravvivere
solamente
integrandosi in altri branchi (e ibridandosi
con altri canidi, Figura 33).
Questo è probabilmente dovuto al fatto che
il tasso di sopravvivenza dei lupi canadesi
fuori dall'area protetta è molto ridotto,
essendo questi canidi molto suscettibili al
disturbo antropico ed essendo sottoposti ad
un più elevato tasso di mortalità di origine
antropica rispetto ai lupi e ai coyote. Gli
esemplari ibridi invece sembrano essere più
resistenti al disturbo antropico e riescono a
sopravvivere meglio al di fuori dell'area
protetta.
Una situazione analoga a quanto riscontrato
per i lupi canadesi è stata rilevata per la
popolazione della pantera della Florida, il
cui ibrido, creato artificialmente tramite
accoppiamento con esemplari di pantera del
Texas rilasciati in natura per evitare
l'estinzione della popolazione a causa della
depressione
da
inbreeding,
ha
notevolmente incrementato la fitness della
popolazione ed il tasso di sopravvivenza
degli adulti. In questi due casi pertanto
(lupo canadese e pantera della Florida) la
ibridazione
potrebbe
incrementare
le
probabilità di sopravvivenza per la specie
Le tre specie di canidi che vivono nell’area
di studio occupano territori parzialmente
sovrapposti
ed
esibiscono
un
comportamento territoriale intraspecifico e
competizione
per
il
cibo
e
per
l'accoppiamento. La ibridazione (e la
differenza di taglia) modifica le dinamiche
comportamentali. Infatti più gli individui
sono di piccole dimensioni (coyote e ibridi
lupo-coyote), minori sono le dimensioni del
branco in cui vivono e più ridotto risulta
essere il territorio che occupano. Diverso è
anche il ruolo ecologico che gli animali
svolgono in base alla taglia. Animali di
dimensioni più piccole uccidono un numero
inferiore di ungulati rispetto ai canidi di
dimensioni
maggiori
e
uccidono
principalmente alci (mentre i lupi uccidono
principalmente cervi). Inoltre i canidi di
dimensioni più piccole mostrano una
flessibilità alimentare maggiore rispetto ai
canidi di dimensioni più grosse e si cibano
di fonti alimentari di origine antropica
(discariche) più di quanto facciano i lupi.
Fig. 33: Localizzazione di lupi (blu), coyote (rosso) e
lupi canadesi (verdi) all’interno e all’esterno dell’area
protetta (APP). I cerchi di due colori corrispondono ad
esemplari ibridi.
Di conseguenza le implicazioni per la
conservazione dei lupi canadesi sono che
questi, avendo una dinamica source-sink
(ovvero sono stabili nell'APP e distribuiti in
maniera
disomogenea
fuori
dall'area
protetta) che rende altamente improbabile
l'espansione della popolazione al di fuori
dell'area protetta, necessitano di una
maggiore tutela nelle aree non protette
(attraverso una riduzione delle uccisioni) in
modo
da
aumentare
il
tasso
di
sopravvivenza ed incrementare la densità di
popolazione. E' probabile che un aumento
di densità di lupi canadesi possa a sua volta
ristabilire
le
“barriere”
naturali
intraspecifiche per evitare la ibridazione con
le altre specie.
In conclusione, nel caso dei lupi canadesi
nella riserva di Algonquin si può affermare
che:
1.
Esiste
una
correlazione
tra
ibridazione ed area geografica (gli ibridi
sono presenti principalmente al di fuori
dell'area protetta mentre all'interno di
questa la ibridazione è limitata).
2.
Si riscontra una correlazione tra
ibridazione e demografia.
3.
La ibridazione influenza le dinamiche
comportamentali.
4.
La
ibridazione
influisce
sulla
popolazione di prede e
ecologica della comunità.
sula
struttura
Sebbene l'analisi del DNA sia essenziale per
documentare la ibridazione e distinguere la
popolazione di ibridi dalle due popolazioni
parentali, la implementazione di piani
gestionali efficaci per contrastare la
ibridazione
richiedono
anche
una
conoscenza del “significato biologico” del
fenomeno, e questo può essere ottenuto
solamente integrando il dato genetico con i
dati relativi alla morfologia, comportamento
e demografia degli ibridi e delle popolazioni
parentali. E' pertanto auspicabile che i
futuri studi sulla ibridazione (inclusa la
ibridazione tra domestici e selvatici)
contemplino un approccio olistico che tenga
conto degli aspetti genetici ma anche degli
aspetti ecologici e demografici.
(Estinzione criptica del gatto selvatico scozzese: problemi e possibili
soluzioni per la ibridazione con il gatto domestico ferale)
Kerry Kilshaw, WILDCRU, Oxford, Regno Unito
I
l gatto selvatico scozzese (Felis
silvestris
silvestris)
costituisce
attualmente l'unica specie di felino
selvatico vivente in natura in Gran
Bretagna. Un tempo distribuita in gran
parte del Regno Unito, la specie è stata
decimata nel corso degli anni a causa della
persecuzione diretta da parte dell’uomo e
alla
distruzione
dell'habitat,
ed
è
attualmente presente solamente nel nord
della
Scozia
dove
costituisce
una
popolazione criticamente a rischio di
estinzione composta da circa 400 animali.
In tutto il mondo esistono tre sottospecie di
gatto selvatico: il gatto selvatico europeo, il
gatto selvatico africano ed il gatto selvatico
asiatico. Oltre alle tre sottospecie esiste
anche il gatto domestico che deriva
dall'addomestico della forma selvatica ed è
diffuso in tutto il continente.
Fig. 34: Rappresentazione della struttura genetica
delle popolazioni di gatto selvatico (gruppo I a
sinistra), di gatto domestico (gruppo II a destra) e di
ibridi (al centro).
L'ibridazione
estensiva
con
il
gatto
domestico, iniziata 2- 3 mila anni fa, ha
determinato la comparsa di popolazioni di
gatto selvatico piccole e frammentate.
L'ibridazione tra il gatto selvatico scozzese
ed il gatto domestico è stata riconosciuta
come un problema solamente 300 anni fa
ed il primo “esemplare di riferimento” o
type-specimen (ovvero un esemplare
utilizzato come modello di riferimento per
una specie) è stato raccolto nel 1904. Ma si
tratta di un esemplare di riferimento che
probabilmente include geni di gatto
domestico e quindi non consente di
formulare una “caratterizzazione genetica”
esatta per il gatto selvatico.
L'ibridazione di lunga data con il gatto
domestico potrebbe infatti aver causato una
diluizione genetica dei geni di gatto
domestico in quelli di gatto selvatico,
determinando
l'estinzione
genetica
dell'antica
forma
di
gatto
selvatico
scozzese. Questo crea seri problemi per la
identificazione della specie selvatica da cui
derivano problemi nello svolgimento delle
attività di monitoraggio, e di conseguenza
una mancanza di dati relativi alla ecologia
della specie. Inoltre questa situazione
determina problemi dal punto di vista
legale. Il gatto selvatico scozzese è stato
infatti riconosciuto come specie protetta dal
1988 mentre il gatto domestico vagante è
riconosciuto come animale infestante.
Una indagine
eseguita sugli aspetti
fenotipici, morfologici (ad esempio le
dimensioni del cranio) e genetici di gatto
selvatico e del gatto domestico ha
consentito di individuare due gruppi
all'interno della popolazione selvatica: il
gruppo I, che presenta la maggior parte
delle caratteristiche del gatto selvatico, ed il
gruppo II, che possiede le caratteristiche
del gatto domestico. L'analisi genetica ha
rilevato che il gruppo I ed il gruppo II
costituiscono due cluster distinti mentre gli
ibridi costituiscono un gruppo intermedio
tra i due ma con una definizione genetica
imperfetta (Figura 34). Viceversa le
caratteristiche morfologiche degli ibridi
risultano essere definite in maniera più
precisa.
Pertanto nel 2005 è stato avviato uno
studio per definire in maniera più esatta le
caratteristiche
morfologiche
del gatto
selvatico, del gatto domestico e degli ibridi.
In questo modo sono stati identificati sette
caratteri morfologici chiave del mantello
che
consentono
di
distinguere
la
popolazione in tre gruppi a seconda della
presenza/assenza di tali caratteristiche
nell'animale (Figura 35).
Sovrapponendo queste caratteristiche con il
dato genetico, ottenuto dall'analisi del DNA
mitocondriale, dal DNA microsatellite (14
SNP) e dai marcatori sessuali X e Y, si
osserva una corrispondenza con il dato
fenotipico, ed è possibile stimare la
probabilità che un individuo appartenga alla
popolazione di gatto selvatico o di gatto
domestico e fornire una indicazione sulla
probabile
storia
di
ibridazione
dell'esemplare (ad esempio è possibile
estrapolare il numero di generazione in cui
è avvenuta la introgressione).
Fig. 35: Caratteri morfologici del mantello che
consentono di distinguere morfologicamente il gatto
domestico, dal gatto selvatico e dall’ibrido.
Nel 2013 è stato redatto il Piano d'Azione
per la conservazione del gatto selvatico
scozzese, che ha coinvolto 35 associazioni,
per definire gli interventi prioritari per la
conservazione in situ ed ex situ della specie
(Figura 36).
Fig. 36: Azioni proposte nel Piano d’Azione per la
conservazione del gatto selvatico scozzese per la
conservazione in situ (a sinistra) ed ex situ (a destra)
della specie.
In base a tale Piano d'Azione si è deciso di
conservare un animale che assomigliasse il
più possibile ad un gatto selvatico (ovvero
che non presentasse neanche un carattere
tipico del gatto domestico), che si
comportasse come un gatto selvatico e che
possedesse almeno l'80% dei geni del gatto
selvatico.
Per quanto riguarda la conservazione in
situ, il Piano d'Azione prevede che nei
prossimi 5 anni venga ristabilita la
popolazione di gatto selvatico in 5 aree
prioritarie, selezionate in base ad una
indagine mediante fototrappole per stimare
il numero e la tipologia di gatti presenti. Il
primo passo è quello di identificare le aree
di presenza dei gatti domestici ferali e
rimuovere le fonti trofiche artificiali.
Contestualmente va sensibilizzata l'opinione
pubblica sulla gestione responsabile del
gatto domestico. Infine si procede con la
rimozione dei gatti domestici ferali e degli
ibridi, anche attraverso la collaborazione dei
proprietari terrieri interessati a ridurre la
quantità di gatti ferali sul territorio perché
competono con la caccia agli uccelli.
Per quanto riguarda la conservazione ex
situ, anche questa prevede innanzitutto una
sensibilizzazione della opinione pubblica sul
problema della ibridazione. Inoltre prevede
una fase di riproduzione in cattività in modo
da incrementare la popolazione di gatto
selvatico
contestualmente
ad
una
prosecuzione della ricerca per valutare il
livello di ibridazione nella popolazione,
aumentare la corrispondenza tra il dato
genetico e quello fenotipico e definire in
maniera più dettagliata i meccanismi con
cui avviene la ibridazione.
Per definire gli effetti che condizionano la
gestione del gatto selvatico è necessario
stimare quanti individui ne sono rimasti in
natura, dove sono presenti e capire quali
sono i fattori che facilitano la ibridazione. E'
necessario inoltre capire quale sia lo status
genetico della popolazione attuale per
valutare se c'è ancora una possibilità di
intervento attraverso la rimozione degli
ibridi per ristabilire una popolazione
parentale geneticamente pura o se si è già
arrivati nella condizione in cui è necessario
conservare gli ibridi perché la popolazione
parentale è ormai totalmente introgressa.
In uno studio condotto in Scozia nel 2012 è
stato rilevato, tramite l’uso di fototrappole,
un numero relativamente ridotto di gatti
selvatici ed un numero elevato di ibridi e
gatti domestici. In base alla presenza di
questi animali è stata analizzata la
condizione ambientale in cui si riscontra
una maggiore o minore probabilità di
trovare individui delle tre popolazioni, ed è
stato possibile creare una mappa delle aree
in cui il rischio di ibridazione è più elevato
(Figura 37).
Fig. 37: Mappa che individua le aree della Scozia in
cui la presenza di ibridi tra gatto selvatico e gatto
domestico risulta essere più elevata.
Tramite l’analisi ambientale si è visto che il
gatto selvatico predilige ambienti con
boschi misti, conifere e prati, il gatto
domestico ambienti aperti e relativamente
antropizzati (prati ed aree rurali), mentre
l'ibrido favorisce un ambiente intermedio
tra i due (prati, aree rurali, conifere). In
questo modo è possibile identificare quali
sono le aree prioritarie per la tutela del
gatto selvatico.
(Ibridazione, introgressione, barriere riproduttive e gestione del
lupo rosso)
Richard Fredrickson, Università dell'Arizona, USA
L
a popolazione di lupo rosso (Canis
rufus), un tempo diffusa in tutta l'area
a sud est degli Stati Uniti, venne
drasticamente
ridotta
dall'arrivo
dei
colonizzatori
europei
che
alterarono
profondamente l'habitat idoneo per la
specie. Nel 1970 era rimasta solo una
piccola popolazione di lupi rossi in un'area
localizzata tra il Texas e la Louisiana,
sovrapposta all'areale di presenza del
coyote (C. latrans) e ibridata con i coyote .
un'area all'interno di quello che era l'areale
storico per la specie, non necessariamente
in contatto con la popolazione presente in
Carolina del Nord. Inoltre è stato posto
l'obiettivo di conservare, per i prossimi 150
anni, almeno l'80-90% della diversità
genetica del lupo rosso, dato che la
popolazione di lupi rossi in Carolina del
Nord ha comunque una percentuale di geni
introgressi con il coyote.
Per evitare l'estinzione del lupo rosso in
Nord America, nel 1973 si è deciso di
avviare un progetto di allevamento in
cattività della specie. Nel 1986 vennero
rilasciati in natura, in un'area a nord est
dello stato della Carolina del Nord, i primi
esemplari di lupo rosso nati in cattività, e
da questi si è originata la popolazione di
lupi rossi che è attualmente presente nello
stato. Tuttavia, nell'area erano presenti
anche i coyote e nel 1993 venne rilevato il
primo caso di ibridazione tra le due specie.
Pertanto nel 2000 venne avviato un
progetto di rimozione degli ibridi e di
sterilizzazione dei coyote, nella convinzione
che essendo le due specie allopatriche era
molto
probabile
che
si
ripetesse
nuovamente l'ibridazione che avrebbe
costituito un rischio molto serio per la
sopravvivenza della popolazione di lupi
rossi.
Al fine di raggiungere questi obiettivi era
necessario capire se esistessero delle
barriere riproduttive che impedissero agli
esemplari delle due specie di ibridarsi tra
loro o, quantomeno, che evitassero
l'introgressione genetica nelle popolazioni
parentali. Tali barriere possono essere di
due tipi e vengono dette barriere prezigotiche, se impediscono la formazione
dello zigote, come ad esempio l'isolamento
di
habitat,
l'isolamento
fenologico,
l'isolamento sessuale o la preferenza di un
partner rispetto ad un altro, oppure postzigotiche, se ostacolano la sopravvivenza
dello zigote. Le barriere post-zigotiche
possono essere a loro volta causate da
meccanismi intrinseci, quando la barriera è
dovuta ad una incompatibilità genetica tra
due individui, o estrinseci, quando è
causata
da
fattori
ecologici
o
comportamentali
che
riducono
la
sopravvivenza o la fertilità dell'ibrido.
Pertanto, al fine di salvaguardare questa
specie, il servizio di gestione faunistica della
Carolina del Nord si è posto una serie di
obiettivi da raggiungere nei prossimi anni,
tramite la stesura di un apposito Piano di
Recupero per il lupo rosso, tra i quali rientra
il ripristino di una popolazione di lupo rosso
in Carolina del Nord composta di almeno
220 esemplari ed il ripristino di almeno
altre due popolazioni di lupo rosso in
Dalle evidenze rilevate sul campo, si è
riscontrato che i lupi rossi non presentano
nessun meccanismo di barriera pre-zigotica
nei confronti dei coyote, con la sola
esclusione della preferenza del partner,
dato che gli esemplari di lupo rosso
tendono ad accoppiarsi tra di loro e gli
esemplari di coyote tendono ad accoppiarsi
con altri coyote. Per quanto riguarda invece
le barriere post-zigotiche, l'unico elemento
che potrebbe ostacolare la formazione di
ibridi è la elevata aggressività interspecifica dei lupi rossi nei confronti dei
coyote, che porta spesso all'uccisione di
individui
della
specie
opposta.
un rischio ridotto di estinguersi. Pertanto la
presenza simultanea delle due barriere
riproduttive sembra adeguata a consentire
la crescita della popolazione ed il suo
mantenimento
a
livelli
stabili,
indipendentemente dalla ibridazione.
Una situazione simile si osserva anche nel
caso in cui la popolazione in questione è già
stabile.
Fig. 38: Simulazione dell’accrescimento di una
popolazione colonizzatrice di lupi rossi (formata da 8
coppie riproduttive) in assenza di barriere riproduttive
(curva blu) ed in presenza rispettivamente di una
(curva rosa) e di due barriere riproduttive (curva
rossa).
Una volta individuate queste barriere
(preferenza del partner e aggressività
intraspecifica) è stata realizzata una
simulazione per valutare se queste fossero
effettivamente in grado di consentire alla
popolazione reintrodotta di lupo rosso di
crescere e mantenersi vitale.
Anche
il
tasso
di
sopravvivenza
dell'esemplare
adulto
di
lupo
rosso
costituisce un parametro demografico
importante per la crescita della popolazione
all'interno di una popolazione colonizzatrice,
mentre la crescita demografica della
popolazione di coyote sembra non avere
nessun effetto sulla sopravvivenza della
popolazione di lupo rosso.
Infine dal modello emerge che, in caso
siano presenti barriere riproduttive, ed in
particolare che sia presente l'aggressività
intraspecifica, la sterilizzazione degli ibridi
può avere un ruolo importante per la rapida
crescita della popolazione di lupo rosso
(Figura 40).
Tale
simulazione
è
stata
effettuata
immaginando due possibili circostanze: una
popolazione colonizzatrice, formata da 8
coppie riproduttive, ed una popolazione
stabile, formata da 50 coppie riproduttive.
Nel caso della popolazione colonizzatrice, se
non sono presenti coyote, la popolazione
cresce fino a raggiungere la sua “capacità
portante” (ovvero la carrying capacity,
curva nera). Se invece sono presenti coyote
e l'accoppiamento tra lupi rossi e coyote è
casuale, ovvero è assente qualsiasi barriera
riproduttiva,
la
popolazione
cresce
inizialmente ma poi si riduce drasticamente
perché aumenta il numero di ibridi e di
animali introgressi (curva blu). La stessa
situazione si osserva anche nel caso in cui
l'accoppiamento sia specie-specifico (curva
rosa),
sebbene
in
questo
caso
la
popolazione
impiega più tempo per
diventare introgressa. Viceversa, se viene
introdotta nel modello di simulazione anche
la barriera della aggressione intraspecifica
(curva rossa), la popolazione cresce ed ha
Fig. 39: Simulazione dell’accrescimento di una
popolazione stabile di lupi rossi (formata da 50 coppie
riproduttive) in assenza di barriere riproduttive (curva
tratteggiata) ed in presenza rispettivamente di una
(curva con triangoli) e di due barriere riproduttive
(curva con pallini).
Confrontando i dati del modello con la
situazione reale che si osserva in Carolina
del Nord, si è visto che la percentuale di
lupi rossi, di coyote e di ibridi dipendeva
fortemente dall'area che veniva presa in
considerazione. Questo territorio infatti era
stato suddiviso in tre zone a seconda del
livello di conservazione del lupo rosso che
veniva applicato: nelle zone 1 e 2, in cui era
avvenuto il rilascio degli esemplari di lupo
rosso ottenuti con la riproduzione in
cattività, gli esemplari di coyote erano stati
sterilizzati e gli ibridi rimossi.
Inoltre, le uccisioni di esemplari di lupo
rosso dovute a cause antropiche o
comunque
non naturali facilitano la
disgregazione della coppia e facilitano gli
accoppiamenti misti (lupo rosso con coyote
o ibrido) promuovendo l'espansione della
ibridazione.
Fig. 40: Effetto della sterilizzazione degli ibridi (linea
continua) sull’accrescimento di una popolazione
colonizzatrice di lupi rossi (formata da 8 coppie
riproduttive).
Nella zona 3 invece la rimozione degli ibridi
e dei coyote era avvenuta in maniera meno
intensiva. Di conseguenza, il numero di lupi
rossi risultava diminuire progressivamente
passando dalla zona 1 (80% di lupi rossi),
alla zona 2 (55%), alla zona 3 (25%) ed in
maniera
proporzionalmente
opposta
aumentava il numero di coyote ed ibridi
passando dalla zona 1 alla zona 3 (Figura
41).
Fig. 41: Suddivisione dell’area di studio nelle tre aree
1, 2 e 3.
In conclusione, le simulazioni e le evidenze
sul campo suggeriscono che le circostanze
in
cui
i
lupi
rossi
potrebbero
presumibilmente persistere sono piuttosto
ridotte.
(Ibridazione e sua influenza nel lungo dibattito sul dingo)
Thomas Newsome, Dipartimento dell'Ecosistema forestale e della Società,
Università dello stato dell'Oregon, USA
I
n Australia, sia il dingo (Canis dingo)
che il cane domestico (Canis lupus
familiaris)
sono
stati
introdotti
dall'uomo. Il dingo è stato introdotto dagli
asiatici tra i 3.500 ed i 4.000 anni fa,
mentre l'introduzione del cane domestico è
più
recente
e
risale
al
1788.
Fig. 42: Ruolo ecologico del dingo in Australia.
Inizialmente il dingo è stato introdotto
come
animale
domestico,
ma
successivamente è tornato allo stato ferale
occupando tutti gli habitat disponibili del
territorio australiano dove ha preso il ruolo
di “predatore top” ed ha determinato
l'estinzione di alcune specie autoctone
come il tilacino. Altre specie si sono invece
adattate alla presenza del dingo evolvendo
una serie di comportamenti anti-predatori e
questo ha determinato una possibile
convivenza tra il nuovo predatore e le
specie autoctone australiane, ed ha portato
alla definizione di un ruolo ecologico del
dingo come predatore “top-down” con
effetti positivi diretti sulla popolazione di
prede (ad esempio il contenimento della
popolazione di canguri rossi) e indiretti sulla
vegetazione (Figura 42).
Nel 1788, con l'arrivo degli europei nel
territorio australiano, è stato introdotto il
cane ed altre specie domestiche e non
domestiche (come il gatto domestico e la
volpe). Negli stessi anni il territorio ha
subito profonde modifiche a causa delle
nuove attività antropiche, come l'agricoltura
e l'allevamento del bestiame. Il dingo ha
iniziato ad essere percepito come un
“nemico”, anche a causa della predazione
sul bestiame domestico, ed è iniziata la
persecuzione nei suoi confronti da parte
dell'uomo, anche attraverso l'uso di bocconi
avvelenati, che ha portato ad una
contrazione dell'areale di presenza della
specie.
La dispersione di esemplari di cane
domestico nell'ambiente selvatico (sia di
tipo volontario che accidentale) è iniziata
negli stessi anni in cui il cane è stato
introdotto in Australia. Attualmente i dingo
ed i cani domestici sono ibridati tra loro,
soprattutto
nelle
aree
maggiormente
antropizzate (sud est dell'Australia Figura
43), e gli esemplari ibridi ottenuti dalle due
popolazioni sono relativamente comuni.
Fig. 43: Estensione della ibridazione tra dingo e cane
domestico in Australia. Le aree in blu corrispondono
alle zone in cui il livello di ibridazione è più elevato,
quelle in rosso in cui la ibridazione è più ridotta.
Un problema connesso alla conservazione
del dingo in Australia, e alla necessità che
questa specie venga conservata o meno
perché ritenuta da molti la forma selvatica
del cane domestico, è associato alla
collocazione tassonomica del dingo che
risulta essere ancora ambigua (Figura 44).
distinguere le due popolazioni (cane
domestico e dingo) da un punto di vista
genetico, anche se tale distinzione non è
sempre
facilmente
rilevabile.
Le
informazioni attualmente disponibili non
consentono infine di stabilire se esistono
delle differenze funzionali, per quanto
riguarda ad esempio le modalità di
riproduzione, la struttura del branco, le
interazioni sociali ed il comportamento
alimentare degli ibridi rispetto ai dingo.
Questa situazione ha creato problemi non
indifferenti per la gestione degli ibridi, dal
momento in cui non è possibile distinguerli
in natura dai dingo.
Fig. 44: Proposte di collocazione tassonomica del
dingo.
Dalle misurazioni del cranio di esemplari di
dingo è stato possibile stabilire che questo
è tassonomicamente separato dal cane
domestico. Tuttavia il cranio dell'ibrido tra
cane-dingo è morfologicamente molto
simile al cranio del dingo. Inoltre il colore
del pelo, che nel dingo è il tipico color
“zenzero”, non costituisce tuttavia un
elemento discriminatorio tra il dingo ed il
cane, perché il dingo può presentare anche
una colorazione del pelo polimorfica. Infine
l'analisi di 23 microsatelliti ha consentito di
Uno studio condotto nel deserto di Tanami
nel 2014 ha rilevato che cane e dingo
occupano la stessa nicchia ecologica se
entrambi hanno accesso a fonti trofiche
artificiali come le discariche. In tali aree gli
esemplari di cane e di dingo vengono più
facilmente a contatto e la percentuale di
ibridi risulta relativamente elevata. Ne
consegue
che
le
condizioni
create
artificialmente dall'uomo, che portano il
dingo a comportarsi come un cane,
aumentano potenzialmente il livello di
ibridazione nella popolazione.
(Considerazione della Ibridazione tra animali selvatici e domestici
nell’ambito delle leggi internazionali, della Unione Europea e
nazionali)
Arie Trouwborst, Scuola di legge di Tilburg, Università of Tilburg, Olanda
L
e norme che si occupano di fauna
selvatica possono essere suddivise in
tre categorie in base al contesto
territoriale a cui fanno riferimento. Le
norme globali sono quelle che hanno uno
spettro territoriale molto ampio, come la
Convenzione sulla diversità biologica (CBD),
la
Convenzione
sul
commercio
internazionale delle specie minacciate di
estinzione (CITES) e la Convenzione sulle
specie migratorie. Le principali norme che
invece operano a livello regionale (ovvero
coinvolgono
più
Stati,
che
possono
appartenere anche a continenti diversi)
sono la Convenzione per la conservazione
della vita selvatica e dei suoi biotopi in
Europa (Convenzione di Berna) e la
Direttiva europea per la Conservazione
degli habitat naturali e semi naturali e della
flora e della fauna selvatiche (Direttiva
Habitat). Infine ci sono le norme che
operano a livello nazionale.
Per
quanto
riguarda
la
ibridazione
antropogenica è possibile identificare due
obiettivi distinti di conservazione: il primo è
quello di occuparsi della l'ibridazione come
target della conservazione, mentre il
secondo è quello di evitare che ci siano
ambiguità nel regime di protezione.
Per quanto riguarda il primo aspetto
l'obiettivo, dal punto di vista della
conservazione, è quello di occuparsi della
ibridazione
tra domestici e
selvatici
attraverso
misure
preventive
e
di
mitigazione. La questione legale è stabilire
quanto queste misure sono compatibili con
gli strumenti legali pertinenti. La CBD e la
Convenzione
di
Berna
affrontano
il
problema della ibridazione in maniera molto
generica
e
non
forniscono
nessuna
indicazione specifica a riguardo, ma
rimandano ai singoli Stati le misure da
intraprendere, che andranno prese caso per
caso e senza nessuna regola generale.
Fig. 45: Esempi di strumenti normativi che operano a
livello globale, regionale o nazionale.
La Convenzione di Berna può fornire delle
raccomandazioni
tramite
il
Comitato
Permanente, ad esempio nel caso della
gestione del gobbo della Giamaica (Oxyura
jamaicensis) in cui si raccomanda di
eradicare gli esemplari della specie invasiva
ed i suoi ibridi (raccomandazione 149 del
2010), o la raccomandazione per la
conservazione delle popolazioni di grandi
carnivori in Europa, in cui si richiede
all'Italia di investire tutti gli sforzi possibili
per controllare gli ibridi ed applicare una
strategia
finalizzata
a
ridurre
l'inquinamento
genetico
del
lupo
(raccomandazione 162 del 2012). Un'altra
indicazione della Convenzione di Berna
relativa alla ibridazione è contenuta nel
Piano d'Azione per la conservazione del lupo
in Europa, in cui si specifica che non è
consentito allevare come animali domestici
gli ibridi cane-lupo, che è necessario
rimuovere i cani randagi e ferali e che, se ci
sono evidenze della presenza di esemplari
ibridi, anche questi vanno rimossi.
La Direttiva Habitat a sua volta chiede agli
stati membri di adottare concrete misure di
protezione, tali da mantenere o ripristinare
le specie di fauna selvatica ad uno stato di
conservazione “favorevole” (Art.12) e
stabilire un sistema di “stretta protezione”
per le specie animali in allegato IV (Art.
12). Le Linee Guida per la gestione delle
popolazioni di grandi carnivori, redatte nel
2008 nell'ambito della Direttiva Habitat,
riportano esplicitamente che deve essere
fatto tutto il possibile per minimizzare il
rischio di ibridazione tra cani e lupi, per
ridurre il numero di cani vaganti e ferali e
per rimuovere evidenti esemplari ibridi.
Da ciò emerge che le misure preventive e di
mitigazione nei confronti della ibridazione
(inclusa la rimozione degli esemplari ibridi)
sono
compatibili
con
gli
impegni
internazionali e sono anzi necessarie per
agire
in
maniera
conforme
a
tali
regolamenti.
Fig. 46: Vantaggi e svantaggi del fatto che gli
esemplari ibridi non siano contemplati dalla normativa.
Anche alcune norme nazionali contemplano
la rimozione degli ibridi, come ad esempio il
Piano di gestione del lupo in Finlandia e il
Piano di gestione del lupo in Sassonia.
Il secondo obiettivo di conservazione
connesso alla ibridazione consiste invece
nell'evitare che ci siano lacune. Da un
punto di vista della conservazione, il rischio
di ridurre il regime di protezione per le
specie selvatiche può avere effetti pericolosi
perché, ad esempio, gli ibridi sono
difficilmente distinguibili in natura e
considerare gli ibridi presenti in natura
come animali non protetti potrebbe portare
all'uccisione illegale di animali selvatici non
ibridi. Da un punto di vista legale va quindi
capito come gli ibridi possono essere
sottoposti
alle
stesse
condizioni
di
protezione delle specie selvatiche, ovvero
divieto di uccisione, di cattura e di
commercio.
Alcuni
strumenti
legali
considerano gli ibridi alla pari di specie
selvatiche geneticamente pure (ad esempio
il Regolamento CITES), pochi non li
considerano come specie sottoposte a
protezione (ad esempio l’US Endangered
Species Act, ESA) ed altri ancora non li
includono né li escludono esplicitamente
(ad esempio la Convenzione di Berna e la
Direttiva Habitat).
In ogni caso va considerato che, anche nei
casi in cui gli strumenti legali includono gli
ibridi alla pari di specie selvatiche e li
sottopongono ad un regime di protezione,
non lo fanno al fine di tutelare e conservare
gli ibridi ma viceversa per tutelare le specie
selvatiche da cui derivano tali ibridi.
La Convenzione di Berna e la Direttiva
Habitat agiscono in maniera analoga
vietando la cattura e la uccisione delle
specie selvatiche, ma consentendo al tempo
stesso agli Stati membri di poter chiedere
delle deroghe a tale divieto per agire in
maniera specifica caso per caso.
Se gli ibridi non vengono contemplati dalla
normativa (Figura 46) è possibili agire in
maniera più semplice senza che si crei
confusione o errata interpretazione delle
misure da intraprendere per la loro
gestione, e non è necessario richiedere
nessuna deroga per poter rimuovere o
uccidere esemplari ibridi dalla popolazione
selvatica. D'altra parte, il rischio che si
corre non contemplando gli ibridi nella
normativa è che diventa problematico
imporre una posizione che prevede che i
divieti si applichino solo agli animali puri al
100%. Inoltre questo potrebbe portare ad
un aumento delle uccisioni illegali di animali
geneticamente puri. Infine, una posizione di
questo tipo non è in accordo con altre
normative come il regolamento CITES o le
Linee Guida per i carnivori.
Se invece gli ibridi sono contemplati nella
normativa (Figura 47) si evita di incorrere
nei problemi che limitano il regime di
protezione ai soli animali geneticamente
puri al 100% e non si rischia di uccidere,
invece degli ibridi, individui appartenenti
alla popolazione selvatica. Inoltre in questo
modo gli strumenti legali diventano coerenti
con le indicazioni riportate in altre norme
internazionali. D'altra parte, proteggendo
gli
ibridi
diventa
più
complicato
autorizzarne la rimozione, la cui procedura
richiede la formulazione di specifiche
deroghe che comportano un allungamento
dei tempi di intervento.
Al momento non è stata formulata una
presa di posizione chiara da parte dei due
organi decisionali della Convenzione di
Berna (Comitato Permanente) e della
Direttiva Habitat (Corte
di Giustizia
Europea) in merito a quale sia l'approccio
gestionale più adeguato tra il proteggere e
il non proteggere legalmente gli ibridi.
Pertanto si può concludere che, allo stato
attuale, alcuni strumenti internazionali
proteggono espressamente gli ibridi (ad
esempio il Regolamento CITES) mentre altri
(ad esempio la Convenzione di Berna e la
Direttiva Habitat) prevedono che
la
rimozione degli ibridi può essere consentita
a seconda delle circostanze.
Fig. 47: Vantaggi e svantaggi del fatto che gli
esemplari ibridi siano contemplati dalla normativa.
E' auspicabile che, in futuro, i regolamenti
internazionali facciano maggior chiarezza
sulla gestione legale degli ibridi, attraverso
la formulazione di indicazioni specifiche ed
esplicite in merito alla applicazione degli
strumenti legali connessi alla problematica
della ibridazione.
(Gestione degli ibridi: politica gestionale e contesto legale a livello
globale, europeo e nazionale)
Piero Genovesi, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale
(ISPRA), Roma
I
l problema della ibridazione, la sua
entità, il suo pattern e le implicazioni
per la conservazione sono argomenti
che si stanno affrontando in Italia e nel
resto del mondo negli ultimi 30 – 40 anni, e
si è giunti alla consapevolezza, in Italia, che
la ibridazione tra selvatici e domestici
costituisce un aspetto che va gestito in
maniera più efficiente rispetto a come è
stato fatto fin adesso.
Già nel Piano d'azione per il lupo in Italia,
prodotto nel 2002, si raccomandava di
contrastare l'accoppiamento tra lupi ed
ibridi cani lupo.
A livello normativo vengono fornite delle
indicazioni ma mancano delle linee guida
chiare a livello globale, europeo e nazionale
ed
alcune
norme
non
contemplano
assolutamente il problema della ibridazione.
Questa situazione crea sicuramente dei
problemi a livello gestionale, ma non può
essere utilizzata come scusa per non
intervenire
a
livello
operativo.
Una
situazione analoga si verifica anche per le
specie invasive che, in base ad alcune
norme, sono protette alla pari delle specie
selvatiche autoctone. Tuttavia, la nuova
normativa europea in materia di specie
invasive, che si sta discutendo in questi
mesi, dovrebbe includere esplicitamente la
gestione degli ibridi.
A livello nazionale, il problema della
ibridazione
tra specie
domestiche e
selvatiche è stato affrontato in un workshop
specifico che si è tenuto a Siena nel 2009,
ed è emerso che diverse specie selvatiche
sono in una condizione di rischio di
sopravvivenza a causa della ibridazione con
il corrispondente domestico. Al termine del
workshop è stato formulato un documento
che, sebbene non abbia potere legale,
raccomanda che venga controllata la
presenza di animali domestici vaganti e che
venga regolamentato l'allevamento di ibridi
a fini commerciali. Inoltre il documento
propone che, in assenza di una base legale
chiara, vadano applicate le indicazioni
relative alle specie selvatiche e che la
problematica della ibridazione venga gestita
con un approccio caso per caso, previa
richiesta di un parere tecnico da parte
dell'ISPRA. Nel documento si propone infine
che il Ministero dell'Ambiente formuli dei
principi
guida
relativamente
alla
problematica della ibridazione, e che ISPRA
sviluppi delle
specifiche
linee
guida
tecniche.
In Italia, il lupo è legalmente protetto dal
1971 e da allora nessun esemplare della
specie è stato legalmente rimosso (come si
è invece verificato per l'orso). Il conflitto
con le attività antropiche viene gestito
attraverso
la
prevenzione
e
la
compensazione dei danni causati dal lupo al
bestiame domestico. Anche il cane in Italia
è strettamente protetto dal 1991 e gli
esemplari randagi di cane non possono
essere uccisi, neanche richiedendo una
deroga come si potrebbe eventualmente
fare per il lupo, ma vengono mantenuti in
canili a spese dei comuni di competenza
(Figura 48).
Di conseguenza, i comuni preferiscono non
catturare i cani vaganti per contenere le
spese del loro mantenimento. Uno studio
condotto nel 2000 riporta che in Italia circa
6 milioni di cani vivono nelle aree rurali e
19,7% di questi vive senza controllo da
parte dell'uomo. Questo numero aumenta
ogni anno del 4-5%, dato che solamente il
16,7% delle femmine viene sterilizzato.
Sebbene si siano verificati diversi casi di
uccisione di persone causate dai cani,
solamente il 3,8% della popolazione italiana
è d'accordo che i cani randagi vengano
soppressi, e lo 0,8% della popolazione è
favorevole ad un controllo delle nascite dei
cani.
ibridi di seguire specifici corsi di formazione
e di regolamentare il mantenimento in
cattività di tali animali, ma si tratta di
proposte che non sono mai state applicate.
In alcuni stati sono state formulate leggi
specifiche per determinate razze, per
regolarne
l'importazione
ed
il
mantenimento, ma non in Italia.
Se l'ibrido non è sottoposto ad una
regolamentazione legale, si corre il rischio
che
la
specie
selvatica
ne
venga
danneggiata. Una politica di gestione
dell'ibrido
deve
pertanto
tenere
in
considerazione tutti gli effetti e le
implicazioni che questo potrebbe causare
sulla specie selvatica. Ad esempio, l'ibrido
tra maiale e cinghiale non è protetto,
mentre il cinghiale selvatico è sottoposto a
protezione e la caccia viene regolamentata.
Fig. 48: Status legale di protezione in Italia del lupo
(a sinistra), del cane (a destra) e dell’ibrido (al
centro).
La posizione legale dell'ibrido in Italia non è
invece chiara ed il Ministero dell'Ambiente
ha proposto che questo venga gestito alla
pari di una specie selvatica, facendo
riferimento alla normativa che regolamenta
la fauna selvatica. In questo contesto il
progetto LIFE Ibriwolf si pone come un
progetto pilota in Italia per la gestione degli
ibridi, che possono essere catturati ma non
uccisi e vanno mantenuti in cattività.
In Italia il commercio di ibridi cani lupi è
consentito, sebbene non sia chiaro se sia
legale o meno far accoppiare gli ibridi tra
loro e mantenerli in cattività. Una
situazione analoga si era verificata con il
commercio del gatto della savana, un ibrido
tra il gatto domestico ed il servalo
(Leptailurus serval). Ma in quel caso,
essendo stata fatta una richiesta di
importazione e vendita prima che venisse
avviato il commercio di tali animali, ed
avendo l'ISPRA fornito un parere negativo,
la commercializzazione di questo ibrido è
stata considerata non legale e quindi non
autorizzata. Attualmente nel territorio
nazionale sono presenti circa 100 – 200 lupi
italiani, circa 10.000 cani lupo cecoslovacchi
e negli ultimi anni è aumentato il numero di
cani lupo americani. Sono state fatte delle
proposte per imporre ai proprietari di questi
A livello normativo, un'autorità locale può
formulare un piano di gestione di una
specie e richiederne l'autorizzazione al
Ministero dell'Ambiente, il quale richiede ad
ISPRA di formulare un parere tecnico.
ISPRA formula un parere tecnico tenendo
conto
delle
ragioni
del
controllo,
dell'impatto che questo potrebbe avere a
livello della popolazione e della selettività
dei metodi di controllo. In base a tale
parere il Ministero rilascia o meno
l'autorizzazione. Più la decisione in merito
al rilascio di una autorizzazione viene presa
sulla base di espliciti criteri scientifici e più
si è in linea con le vertenze legali e viene
ridotto il rischio che si incorra in complicati
dibattiti legali (Figura 49).
Quale strategia bisognerebbe adottare in
Italia per contrastare la ibridazione? Un
elemento chiave è lavorare alla sorgente
del fenomeno (ad esempio, nel caso della
ibridazione cane lupo in Italia, modificando
le politiche di gestione e le attitudini verso i
cani
per
ridurre
il
problema
del
randagismo). Il progetto LIFE Ibriwolf ha
sicuramente creato un precedente a livello
gestionale ed ha rotto un tabù perché,
nell'ambito di tale progetto, si è verificato il
primo caso di rimozione in natura di un
animale selvatico. Tuttavia tale intervento si
è rilevato molto costoso e impegnativo, e si
è adottato un approccio a livello di
individuo. Una situazione diversa si è
verificata in Spagna dove è stato applicato
un approccio a livello di branco (se un
branco risultava essere ibrido veniva
interamente
rimosso),
che
sarebbe
improponibile nel contesto Italiano. Può
darsi che in futuro venga dato maggior
risalto all'approccio fenotipico a livello di
popolazione, come già sta accadendo in
Italia per la caccia selettiva dei cinghiali nel
Parco della Maremma o delle capre sull'isola
di Montecristo che viene fatta riconoscendo
l'animale sulla base di caratteri fenotipici.
Un'altra possibilità potrebbe essere quella
di adottare un approccio a livello di
popolazione basato sulla genetica e la
genomica.
In ogni caso, per definire quale sia il
migliore approccio, è necessario che, a
livello nazionale, si discutano gli scopi, i
costi e si effettui una valutazione di
sostenibilità della popolazione selvatica.
Fig. 49: Procedura legale in Italia per richiedere
l’autorizzazione di un programma di controllo della
fauna selvatica.
E ovviamente tutto questo deve avvenire
creando le condizioni per una “accettazione
sociale”, tenendo conto che in Italia ci sono
due posizioni estreme, da chi ritiene che i
lupi vadano rimossi dal territorio a chi
protegge
qualsiasi
forma
di
canide
domestico e selvatico.
(LIFE IBRIWOLF – Azioni pilota per la riduzione della Perdita
genetica del lupo nell’Italia centrale)
Valeria Salvatori, Project Manager del progetto LIFE IBRIWOLF, Istituto di
Ecologia Applicata
I
l progetto è stato elaborato a partire da
considerazioni ed evidenze emerse
negli anni passati, ed in particolare a
partire dal documento finale del IV
Workshop dei Cantieri della Biodiversità che
si è tenuto a Siena nel 2009. Nel
documento sono identificate alcune priorità,
tra le quali la produzione di linee guida per
la gestione di ibridi domestici / selvatici
elaborate da ISPRA seguendo indirizzi
gestionali
dei
Ministeri
dell'Ambiente,
dell'Agricoltura e Politiche Forestali e della
Salute.
risultati attesi, oggi vorrei verificare se tali
risultati sono stati effettivamente raggiunti.
Un esempio di migliori pratiche per la
gestione è rappresentato dalla elaborazione
del “Piano strategico condiviso per la
riduzione del randagismo canino”. Il
documento è stato effettivamente elaborato
con i contributi di tutti i gruppi di interesse,
dagli animalisti e ambientalisti, ai cacciatori
e associazioni agricole. Tutti si sono
impegnati a svolgere alcune attività con il
fine di contribuire a limitare la presenza dei
cani vaganti sul territorio provinciale, che
rappresentano una fonte di ibridazione con
il lupo.
La cattura degli ibridi è stata più difficile di
quanto ci si attendesse, e in 15 sessioni di
cattura sono stati catturati 13 dei 20 ibridi
che erano stati individuati nel 2011. Gli
ibridi sono attualmente mantenuti in
cattività (7 di loro, poiché 4 sono morti per
cause naturali, e 2 sono stati rilasciati)
presso il CRASM di Semproniano in
strutture idonee appositamente costruite.
Dal 2009 al 2011 non si era dato seguito a
tale esigenza, pertanto il progetto ha voluto
assumere l'onere di affrontare il problema
nell'ambito degli ibridi lupo-cane.
Il carattere fortemente dimostrativo del
progetto è stato espresso attraverso lo
svolgimento sia di azioni concrete di
gestione che di approcci e politiche
gestionali che sono state sperimentate in
ambito Provinciale.
Nel 2012 ho presentato il progetto, che era
appena
iniziato,
al
convegno
sulla
conservazione del lupo organizzato da
ISPRA a Bologna, indicando alcuni dei
Contemporaneamente sono state condotte
delle sessioni intensive di cattura di cani
vaganti mediante l'uso di 12 gabbie
trappola e il supporto di Guardie Ambientali
Volontarie. Sono stati catturati in totale 23
cani, 15 dei quali di proprietà, e 7 affidati a
canili accreditati.
Uno dei più significativi prodotti del
progetto è rappresentato dal documento
“Linee Guida per la Gestione degli Ibridi
Lupo-Cane”, che è stato elaborato con il
contributo di molti esperti nazionali, in
continuo contatto con ISPRA e MATTM, con i
quali si sono concordati alcuni contenuti
specifici. Il documento contiene una parte
generale di indirizzo ed una specifica che
presenta l'esempio di applicazione degli
indirizzi gestionali nel contesto della
Provincia di Grosseto, presentando i
risultati e i costi per ciascuna azione svolta.
Una campagna di sensibilizzazione ha
accompagnato lo svolgimento delle attività,
con il fine ultimo di influenzare il
comportamento di proprietari di cani,
orientandoli verso un atteggiamento di
proprietà responsabile, limitando pertanto
le occasioni per i loro cani di vagare
liberamente sul territorio. Il progetto è
stato presente in 8 eventi estivi, in oltre 30
scuole e in 80 aziende agricole. Si è anche
promosso uno Spot televisivo di Pubblicità
Progresso per promuovere la registrazione
all'anagrafe canina e la vaccinazione dei
cani di proprietà.
Infine, una valutazione a posteriori della
presenza degli ibridi ha rilevato una
diminuzione dei cani vaganti nel territorio
provinciale, mentre una proporzione più o
meno stabile degli ibridi nella popolazione
di canidi presenti, stimata attraverso analisi
genetiche di campioni fecali raccolti sul
territorio provinciale. Tale proporzione
rimane intorno al 35%, come già stimato
nel 2011, e tale stabilità è probabilmente
dovuta al fatto che la popolazione è aperta
ed in continuità con aree fuori provincia
dove non
randagismo
si effettuano controlli sul
e
rimozione
di
ibridi.
Alla fine del progetto una indagine
demoscopica condotta tramite interviste
telefoniche
ha
dimostrato
che
la
popolazione in provincia di Grosseto è a
conoscenza del fenomeno dell'ibridazione
significativamente di più che in altre parti
d'Italia.
In
conclusione
possiamo
certamente
affermare che gli obiettivi preposti nel 2012
sono stati raggiunti, in particolare per
quanto concerne la considerazione del
fenomeno dell'ibridazione dal punto di vista
conservazionistico e gestionale per il lupo, e
l'accresciuta sensibilità verso una proprietà
responsabile di cani.