Una costituzione senza costituzione per l`Europa, in Dir. e

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Una costituzione senza costituzione per l`Europa, in Dir. e
CEDAM
00100474
ISBN 978-88-13-29330-7
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2009/2
D I R I T T O E S O C I ETÀ
ISSN 0391-7428
€ 37,00
2
nuova serie
2009
CEDAM PADOVA
Pubbl. Trim. n. 2 - Aprile-Giugno 2009 - Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano
Sommario
2009 - Nuova Serie - numero 2
SAGGI
Antonio D’Atena, Una costituzione senza costituzione
per l’Europa, p. 191.
Federico Sorrentino, Apologia delle “sentenze gemelle”.
(Brevi note a margine delle sentenze nn. 348 e 349/2007
della Corte costituzionale), p. 213.
Paolo Maddalena, La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e la Costituzione della Repubblica italiana.
Giudizio di equità ed identità tra equità e diritto, p. 225.
Guido Gorgoni, La responsabilità come progetto. Primi
elementi per un’analisi dell’idea giuridica di responsabilità prospettica, p. 243.
OSSERVATORIO
Jacques Ziller, Modelli di responsabilità dell’amministrazione in alcuni ordinamenti europei, p. 293.
ATTUALITÀ
Giancarlo Caporali, La conciliazione fra tempi di vita e
di lavoro tra diritto costituzionale e normativa comunitaria, p. 321.
Giovanni Conso, Leopoldo Elia nei ricordi di Giovanni
Conso, p. 359.
Francesco Paolo Casavola, In ricordo di Leopoldo Elia,
p. 365.
Aljs Vignudelli, Un anticonformista fra scienza e libertà.
In ricordo di Sergio Fois, p. 369.
Hanno collaborato a questo numero di
Diritto e Società
– Giancarlo Caporali, Professore aggregato di Istituzioni di Diritto pubblico nell’Università di Macerata
– Francesco Paolo Casavola, Presidente emerito della Corte costituzionale, già Professore
ordinario di Storia del diritto romano nell’Università di Napoli
– Giovanni Conso, Presidente emerito della Corte costituzionale nonché Professore emerito di Procedura penale nell’Università di Torino
– Antonio D’Atena, Professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Roma
“Tor Vergata”
– Guido Gorgoni, Ricercatore in Filosofia del diritto presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova
– Paolo Maddalena, Professore di Istituzioni di diritto romano presso l’Università di Napoli
– Federico Sorrentino, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università di Roma “La Sapienza”
– Aljs Vignudelli, Professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Modena e Reggio Emilia
– Jacques Ziller, Professore ordinario di Diritto dell’Unione Europea nella Facoltà di
Scienze Politiche dell’Università di Pavia
Saggi
ANTONIO D’ATENA
UNA COSTITUZIONE SENZA COSTITUZIONE PER L’EUROPA ( * )
Sommario: 1. Premessa. – 2. Trattato e non costituzione. – 3. Il metodo della Convenzione.
– 4. Il contenuto. – 5. L’incerto futuro del Trattato di Lisbona. – 6. In che senso oggi
esiste una costituzione europea. – 7. Costituzione europea e costituzioni nazionali: un
approccio pluralistico.
1. – Premessa
Com’è noto, il Trattato di Lisbona, con decisa inversione di tendenza
rispetto al Trattato di Roma del 2004, ha archiviato la prospettiva della costituzione europea. Esso, infatti, conformemente alla relazione della presidenza tedesca del giugno 2007 ( 1 ) e conformemente alle conclusioni del
Consiglio europeo di Bruxelles di poco successivo ( 2 ), ha abbandonato deliberatamente il termine “costituzione”. Di qui, una svolta nettissima, rispetto al Trattato di Roma, che su quel termine imperniava tutta la sua strategia istituzionale e comunicativa.
L’impatto di tale circostanza, tuttavia, non è proporzionale alla carica
simbolica che essa innegabilmente presenta, né – a quanto si cercherà di dimostrare – può considerarsi produttivo di effetti dirompenti sul processo
di costituzionalizzazione dell’ordinamento europeo.
(*) Il presente lavoro è destinato agli Studi in onore di Pierfrancesco Grossi.
( 1 ) Relazione della Presidenza al Consiglio Europeo: Proseguimento del processo di riforma
dei Trattati, 14 giugno 2007 (n. 10659/2007): “Alcuni Stati membri hanno sottolineato l’importanza di evitare l’impressione che potrebbero trasmettere il simbolismo e il titolo ‘Costituzione’,
vale a dire che la natura dell’Unione stia attraversando un mutamento radicale. Ritengono che ciò
implichi anche un ritorno al metodo tradizionale di modifica dei trattati mediante un trattato di
revisione, nonché una serie di modifiche terminologiche, non ultimo l’abbandono del titolo ‘Costituzione’”. Un analogo punto di vista era stato manifestato in dottrina, sin dall’epoca del Trattato di Roma; v., infatti, F. Caruso, L’integrazione europea dopo i referendum in Francia ed Olanda, in DPCE, 2/2005, XV ss., opportunamente richiamato da G.G. Floridia, La Chatedrale engloutie, ivi, 2005 (nonché ora in G.G. Floridia, Scritti minori (raccolti da F. Sorrentino), Torino,
2008, 1159 ss.
( 2 ) Conclusioni della Presidenza – Bruxelles 21/22 giugno 2007 (11177/1/07), 15 ss.: “La
CIG è invitata ad elaborare un trattato (in seguito denominato ‘trattato di riforma’) che modifichi
i trattati esistenti allo scopo di rafforzare l’efficienza e la legittimità democratica dell’Unione allargata nonché la coerenza della sua azione esterna. Il progetto costituzionale, che consisteva nell’abrogazione di tutti i trattati esistenti e nella loro sostituzione con un unico testo denominato ‘Costituzione’, è abbandonato” (corsivi dello scrivente).
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2. – Trattato e non costituzione
In proposito, il primo elemento da considerare è che il Trattato di Roma, malgrado il nome (“Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa”), non poteva considerarsi una costituzione ( 3 ).
A ciò ostava, anzitutto, la sua qualità formale. Si trattava, infatti, di un
trattato internazionale. E – com’è noto – a differenza delle costituzioni, le
quali obbediscono ad una logica maggioritaria, i trattati, salvo deroghe ammesse dagli stessi, si perfezionano e sono modificati solo in virtù del consenso di tutte le parti ( 4 ).
Per rendersi conto del significato di questo dato, è sufficiente il confronto con gli assetti istituzionali che presentano maggiori punti di contatto
con l’ordinamento europeo: i sistemi federali. I quali nascono dalla decisione di un certo numero di Stati sovrani di fondersi in un unico Stato, pur
mantenendo la propria individualità.
È, in particolare, estremamente significativo che in essi il passaggio
dalla logica internazionalistica delle origini alla logica propriamente “costituzionale” sia segnato appunto dall’affermazione del principio maggioritario. Il quale impronta i due momenti topici del processo: il momento della
formazione della costituzione e quello della sua revisione. In essi, infatti, al
di là di differenze anche notevoli, si riscontrano alcune costanti, di enorme
interesse ai nostri fini.
La prima va ravvisata nella circostanza che la Costituzione federale,
pur essendo, di regola, sottoposta all’approvazione degli Stati membri ( 5 ),
( 3 ) V., peraltro, per l’opinione che il Trattato possedesse i requisiti essenziali di una costituzione: Th. Schmitz, Der Vertrag über eine Verfassung über Europa als Verfassung, in Die Ordnung der Freiheit – Festschrift für Christian Starck zum siebzigsten Geburtstag, Tübingen, 2007,
623 ss.
( 4 ) Questa è la regola generale, deroghe alla quale vanno concordate dagli Stati contraenti
(art. 24 della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati). Per il trattato di Roma del
2004 era stata messa allo studio una soluzione derogatoria rispetto alla regola generale, ma essa
non incontrò il favore degli Stati membri. Si tratta del progetto Penelope, il quale, ispirandosi alle
tecniche federali di cui si dirà subito dopo nel testo, proponeva di subordinare l’entrata in vigore
del trattato alla ratifica da parte di una maggioranza qualificata di Stati membri. In argomento: R.
Prodi, Il destino di un popolo, in La Repubblica, 28 ottobre 2004; J. Ziller, La nuova Costituzione europea, traduzione di L. Segni, II edizione, Bologna, 2003, 191. Sulla differenza tra trattati e
costituzioni, di cui s’è detto nel testo, e sul suo rilievo, v. per tutti, H.P. Ipsen, Europäische Verfassung – Nationale Verfassung, in Europarecht, 1987, 203 ss.; D. Grimm, Braucht Europa eine
Verfassung?, in JZ, 1995, 586; G.G. Floridia, Una costituzione per l’Europa: ma in che senso?, in
G.G. Floridia, L.G. Sciannella, Il cantiere della nuova Europa. Tecnica e politica nei lavori della Convenzione europea, Bologna, 2003, 24; F. Gabriele, Europa: la “Costituzione” abbandonata,
Bari, 2008, 135 ss.
( 5 ) Non mancano, tuttavia, eccezioni. Particolarmente significativa è quella rappresentata
dalla Costituzione di Weimar del 1919, approvata dall’Assemblea nazionale l’11 agosto 1919 e
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non necessita dell’unanimità dei consensi, ma entra in vigore quando le approvazioni raggiungono la massa critica dalla stessa richiesta.
Ciò che varia è la portata territoriale e soggettiva dell’effetto collegato
al realizzarsi di tale condizione.
Nel caso della prima costituzione federale storica – la Costituzione degli Stati uniti d’America –, ad esempio, la previsione che, ai fini dell’entrata
in vigore, fosse sufficiente l’approvazione di nove Stati (su tredici) era accompagnata dalla precisazione che tale effetto fosse destinato a prodursi limitatamente agli Stati che avessero proceduto alla ratifica ( 6 ).
Diversa, invece, la soluzione accolta dalla prima costituzione federale
del continente europeo: la Costituzione svizzera del 1848. La quale, pur
avendo previsto la necessaria accettazione da parte dei Cantoni, nulla disponeva, né in ordine al numero di consensi necessari alla sua entrata in vigore, né circa i suoi effetti nei confronti dei cantoni che non l’avessero accettata ( 7 ). Ciò ha consentito all’organo chiamato a dichiararne l’avvenuta
accettazione – la Dieta (Tagsatzung) – d’imporne il rispetto anche ai Cantoni contrari, i quali, in termini demografici, rappresentavano una minoranza ( 8 ).
Nella medesima linea si colloca – com’è noto – la Legge fondamentale
tedesca del 1949 (il Grundgesetz), la quale, peraltro, non si è limitata a subordinare la propria entrata in vigore all’approvazione dei Länder (a mezzo
pubblicata nel Reichsgesetzblatt il successivo 14 agosto, con l’effetto della contestuale entrata in
vigore (secondo quanto disponeva l’art. 181). La logica trasparentemente sottesa al procedimento
non era federale, ma democratico-rappresentativa. Il che trovava una conferma simbolica nel fatto che il documento costituzionale si aprisse (nel preambolo) e si chiudesse (nella citata disposizione sull’entrata in vigore), con le stesse parole: “Das Deutsche Volk hat durch seine Nationalversammlung diese Verfassung beschloßen und verabschiedet”. Sul punto: G. Anschütz, Die
Verfassung des Deutschen Reichs vom 11. August 1919, VI edizione, Berlin, 1927, 437.
( 6 ) Art. VII: “The Ratification of the Conventions of nine States, shall be sufficient for the
Establishment of this Constitution between the States so ratifying the Same”.
( 7 ) Questo il tenore dell’art. 1 delle disposizioni transitorie: “I Cantoni debbono pronunziarsi sull’accettazione della presente costituzione, attraverso le forme prescritte dalle rispettive
costituzioni, o – in difetto di prescrizioni al riguardo – nel modo che sarà disposto dalla suprema
autorità del Cantone”. Va, inoltre, ricordato che il secondo ed il terzo articolo delle medesime disposizioni transitorie demandavano ad una Dieta (Tagsatzung) la verifica dell’intervenuta accettazione della Costituzione e l’adozione immediata degli atti necessari alla sua entrata in vigore.
( 8 ) Cfr. G. Malinverni, Il caso della Svizzera, in S. Bartole (a cura di), La volontà degli
Stati membri e delle Regioni nelle vicende del federalismo, Crescentino (VC), 1995, 93 ss., il quale
riferisce che i Cantoni, con l’eccezione del Cantone di Friburgo (che si è pronunziato attraverso il
proprio Parlamento), si sono espressi mediante referendum popolari, con i seguenti risultati: a) in
termini di Cantoni: 15 Cantoni ed un mezzo Cantone favorevoli, sei Cantoni ed un mezzo cantone
contrari; b) in termini di corpo elettorale: 140.000 voti a favore; 60.000 voti contrari, 250.000
astensioni. Lo stesso Autore ricorda che la Dieta ha ritenuto di poter imporre la Costituzione anche ai cantoni ostili, facendo leva sulla circostanza che i Cantoni favorevoli avevano 2.000.000 di
abitanti, mentre quelli contrari ne contavano solo 300.000.
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ANTONIO D’ATENA
delle rispettive Assemblee legislative), ma ha altresì fissato in 2/3 delle approvazioni il quorum a ciò necessario (art. 144, comma 1). Essa, comunque,
a differenza della Costituzione degli Stati Uniti ed analogamente alla Costituzione federale svizzera appena ricordata, non ha limitato la propria efficacia ai soli Länder che si fossero espressi favorevolmente. Con la conseguenza che il processo, pur essendo giunto a conclusione senza il consenso
di un Land storico, come la Baviera, ha prodotto l’effetto dell’entrata in vigore anche nei confronti di questo ( 9 ).
La seconda costante riguarda – come si è detto – la revisione della
Costituzione federale, la quale richiede, bensì, la partecipazione (anche
indiretta) ( 10 ) degli Stati membri, ma si perfeziona grazie ad una decisione maggioritaria, da adottarsi normalmente a maggioranza qualificata ( 11 ).
La ragione di tali differenze è trasparente.
Infatti, mentre dai processi federativi classici ciò che nasce è uno Stato
– e pluribus unum (secondo il motto che si legge nel gran sigillo degli Stati
Uniti) –, il processo d’integrazione europea, sino a questo momento, non
ha dato vita ad un soggetto statale. Il che significa che gli Stati membri, non
solo hanno mantenuto la loro individualità (come avviene nelle Federazioni), ma hanno anche conservato – a differenza di quanto accade nelle Federazioni – buona parte della loro sovranità.
Di qui, il mantenimento della forma del trattato internazionale (e della
regola dell’unanimità ad essa legata).
( 9 ) Il Parlamento del Land, peraltro, pur non avendo approvato il Grundgesetz, che giudicava poco “federale”, ne ha riconosciuto espressamente la vincolatività anche nei confronti della
Baviera, in virtù del raggiungimento della maggioranza qualificata dei 2/3. Si trattava, tuttavia, di
una precisazione non richiesta dall’art. 144, comma 1, alla quale – come comunemente si riconosce (v., ad esempio: A. v. Campenhausen, in H. v. Mangoldt, F. Klein, Ch. Starck, Bonner
Grundgesetz. Kommentar, III edizione, München, 2001, vol. III, sub “Art. 144”, 3081) – il Parlamento bavarese ha proceduto al solo scopo di dissipare ogni dubbio. Per una completa ricostruzione storica del processo costituente tedesco: M.F. Feldkamp, Der Parlamentarische Rat 1948
bis 1949, Göttingen, 1998; adde, in termini sintetici, H. Boldt, Deutsche Verfassungsgeschichte,
2. Vom 1806 bis zur Gegenwart, München, 1990, 312.
( 10 ) ... tramite la seconda Camera. Per un quadro comparatistico dei processi di revisione
costituzionale negli Stati federali, v. T. Groppi, Federazione e costituzione. La revisione costituzionale negli stati federali, Milano, 2001.
( 11 ) È il caso di sottolineare che la costituzione, anche quando (come negli Stati Uniti
d’America) subordina la propria efficacia alla ratifica degli Stati membri e ne circoscrive gli effetti
a quelli tra essi che l’abbiano accordata, non limita in modo corrispondente l’efficacia dei successivi emendamenti, i quali si impongono anche agli Stati che non vi consentano. Sul tema cfr.: in
generale, A. La Pergola, Residui internazionalistici e struttura federale nell’ordinamento degli
Stati Uniti, Milano, 1969; con specifico riferimento al procedimento di revisione costituzionale,
N. Olivetti Rason, La dinamica costituzionale degli Stati Uniti d’America, Padova, 1984, 17 ss.,
214 ss.
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3. – Il metodo della Convenzione
Ferma restando la premessa che si trattava di un trattato internazionale, va sottolineato che il modo in cui si è addivenuti al testo non è stato quello tipico dei trattati: e, cioè, il metodo del negoziato diplomatico.
È stato seguito un metodo diverso: il metodo della Convenzione ( 12 ).
Infatti, benché il testo da sottoporre alla ratifica degli Stati sia stato
messo a punto da una Conferenza intergovernativa, l’elaborazione del progetto sulla cui base è stato adottato era stata affidata ad una Convenzione: e
cioè ad un organo composto da rappresentanti dei Parlamenti nazionali,
dei Governi nazionali, del Parlamento europeo e della Commissione
UE ( 13 ).
L’importanza “costituzionale” del dato non sfugge. Il metodo della
Convenzione, infatti, ha avuto come effetto l’inserimento nel processo decisionale del circuito dei Parlamenti: del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali ( 14 ).
In materia – com’è noto – esisteva un precedente prossimo: la Carta di
Nizza, il cui testo è stato elaborato da una Convenzione convocata, nell’ottobre 1999, dal Consiglio Europeo di Tampere ( 15 ). Ma – quel che rileva
maggiormente ai nostri fini – esisteva un precedente più antico, legato alla
storia del costituzionalismo, un’autentica pietra miliare: la Convenzione costituzionale di Filadelfia, che, nel 1787, ha redatto la Costituzione degli Stati Uniti d’America. La quale era composta da delegati degli Stati – come
( 12 ) Sul “metodo della Convenzione”, con riferimento all’elaborazione della Carta di Nizza, ma in termini suscettibili di estensione: M. Atripaldi, Il “metodo” della Convenzione e i “valori” della Carta dei diritti: una cronaca dei lavori preparatori, in V. Atripaldi, R. Miccù, L’omogeneità costituzionale nell’Unione europea, Padova, 2003, 213 ss.
( 13 ) La Convenzione (prevista dalla dichiarazione di Laeken del 15 dicembre 2001) era
composta, oltre che dal Presidente e dai due Vicepresidenti, direttamente nominati dal Consiglio
europeo, da 15 rappresentanti dei Capi di Stato o di Governo degli Stati membri (uno per Stato),
13 rappresentanti dei Governi dei paesi candidati all’adesione, 30 membri dei Parlamenti nazionali (due per Stato), 26 rappresentanti dei Parlamenti nazionali dei paesi candidati (due per Stato), 16 membri del Parlamento europeo e due rappresentanti della Commissione. Ai lavori hanno,
inoltre, partecipato osservatori senza diritto di voto, rispettivamente, in rappresentanza del Comitato economico e sociale, del Comitato delle Regioni e del Mediatore europeo.
( 14 ) L’importanza di questo aspetto è sottolineata da G. Napolitano, Overcoming the
democratic deficit? New steps forward and still open problems. A supranational perspective, in G.
Dimitriakopoulos, G. Kremlis (a cura di), A New Constitutional Settlement for the European
People, Athens-Bruxelles, 2004, 139. Analogamente: V. Giscard d’Estaing, La boîte à outils du
traité de Lisbonne, in Le Monde, 26 ottobre 2007.
( 15 ) In base all’Allegato alle Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Tampere (15 e 16 ottobre 1999), questa la composizione: 15 rappresentanti dei Capi di Stato o di Governo degli Stati membri, un rappresentante del Presidente della Commissione europea, 16 membri del Parlamento europeo designati da quest’ultimo e 30 membri dei Parlamenti nazionali (due
per ogni Stato).
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George Washington, Benjamin Franklin e James Madison – il cui nome resta indelebilmente legato alla storia del costituzionalismo ( 16 ).
È vero che, a differenza della Convenzione di Filadelfia, la Convenzione europea non aveva il compito di redigere il testo da sottoporre alla ratifica degli Stati, ma quello di elaborare un documento preparatorio da sottoporre alla Conferenza intergovernativa ( 17 ).
Restano, però, due elementi non trascurabili.
Anzitutto, un elemento simbolico. Non sfugge, infatti, il significato
della scelta di inserire, nel processo formativo di un documento intitolato
“Costituzione per l’Europa”, un organo denominato come la storica Convenzione che ha redatto la più antica costituzione federale (che era anche –
non può essere dimenticato – la prima grande costituzione scritta del mondo moderno).
Il secondo elemento è di ordine istituzionale. In virtù di questa scelta,
nel processo di decisione si è immesso il circuito democratico-rappresentativo (e, con esso, un elemento di legittimazione democratica). Ad una funzione in parte analoga doveva anche contribuire il metodo seguito: un metodo aperto ai contributi della società civile, grazie alle audizioni ed al dibattito pubblico reso possibile dal forum in internet ( 18 ).
( 16 ) La Convenzione, i cui lavori si protrassero dal 25 maggio al 17 settembre 1797, era
composta da 55 delegati di tutte le ex colonie, con l’eccezione di Rhode Island, che preferì non
esservi rappresentato (cfr. J. Story, Commentaries on the Constitution of the United States, Boston, 1833 [rist. New York, 1970, con introduzione di A.E. Sutherland], vol. I, 252 ss.). Un’essenziale bibliografia storiografica sulla Convenzione e sui suoi lavori è offerta da H.N. Scheiber,
Federalism and the Constitution: The Original Understanding, in L.M. Friedman, H. N.
Scheiber, American Law and the Constitutional Order. Historical Perspectives, Cambridge Massachusets-London England, 1988, 493 ss.
( 17 ) Sul limitato mandato della Convenzione incaricata di elaborare il progetto del Trattato costituzionale, v. per tutti: G.G. Floridia,“Siamo una Convenzione: vale a dire che cosa?”. Anatomia e autonomia della Convenzione europea, in DPCE, 2002, 998 ss.; G. Ferrara, Verso la Costituzione europea?, in Dir. Pubbl., 2002, 177 ss. Sui problemi “costituzionali” con i quali la Convenzione è stata chiamata a confrontarsi, è significativa la testimonianza del Vicepresidente G.
Amato, Verso la Costituzione europea, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2003, 291 ss. Sull’organizzazione, le discussioni e l’andamento dei lavori: G.G. Floridia, L.G. Sciannella, Il cantiere della
nuova Europa. Tecnica e politica nei lavori della Convenzione europea, cit.; J. Ziller, La nuova Costituzione europea, cit., 91 ss.; F. Gabriele, Europa: la “Costituzione” abbandonata, cit., 35 ss. Sulla tensione, nella specie, registratasi tra il metodo della convenzione ed il negoziato intergovernativo, v. G. Amato, Riflessioni conclusive, in F. Bassanini, G. Tiberi, La Costituzione europea. Un
primo commento, Bologna, 2004, 285 ss. Sul tormentato dipanarsi della vicenda e sui lavori della
CIG, ampiamente: G.G. Floridia, L.G. Sciannella, Nessun compromesso, qualche cedimento,
troppi ricatti. Premesse, lavori e fallimento del “metodo CIG”, in DPCE, 2003 (nonché in G.G.
Floridia, Scritti minori, cit., 1087 ss.); G.G. Floridia, L.G. Sciannella, Fine di un lungo inverno. L’approvazione finale del progetto di Costituzione europea, in DPCE, 2004 (nonché in G.G.
Floridia, Scritti minori, cit., 1129 ss.).
( 18 ) Si sofferma sul significato di quest’apertura del processo: V. Cerulli Irelli, The Is-
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Ma non è tutto. Il Trattato, infatti, pur affidando la propria modifica
ad un nuovo trattato internazionale, non prevedeva un normale trattato, ma
disponeva, all’art. 443, che l’elaborazione ne fosse demandata ad una Convenzione rappresentativa di Parlamenti, Governi e Commissione ( 19 ).
È vero che esso contemplava anche procedure di revisione semplificata (artt. 444 e 445). Ciò, tuttavia, non oscurava il significato della disciplina
dettata dall’art. 443. Grazie alla quale, in un procedimento internazionalistico, s’immetteva una dose di costituzionalismo: un principio di DNA costituzionale.
Ebbene, quello che va sottolineato è che questo principio di DNA costituzionale è conservato dal Trattato di Lisbona. Il quale, pur essendo stato elaborato da una normale Conferenza intergovernativa, ha confermato la
disciplina posta dall’art. 443 del Trattato costituzionale. L’art. 48 TUE (nel
tenore da esso risultante) mantiene, infatti, il metodo della Convenzione,
nell’ambito della procedura di revisione dal medesimo qualificata “ordinaria”.
Su queste basi, può, quindi, concludersi che, da un punto di vista formale (con riferimento, cioè, al procedimento di formazione ed alle regole
previste per la revisione), il passaggio da Roma a Lisbona non ha avuto conseguenze di particolare rilievo. In entrambi i casi, il prodotto è un trattato
internazionale (non – come si è visto – una costituzione). In entrambi i casi,
tuttavia, nel procedimento di revisione è presente una contaminazione di tipo costituzionale ( 20 ).
4. – Il contenuto
Ciò detto, è da aggiungere che, anche se ci si sofferma sugli aspetti
sostantivi – o, in altri termini, sul contenuto dell’atto ( 21 ) –, è difficile sosue of the Legal Nature of the Constitutional Treaty and the System of Sources, in H.-J. Blanke, S.
Mangiameli (a cura di), Governing Europe under a Constitution, Berlin-Heidelberg, 2006, 60 ss.
( 19 ) Su tale procedimento e sulle altre procedure di revisione del Trattato, v. F. Gabriele,
Europa: la “Costituzione” abbandonata, cit., 181 ss.; G. Busia, Il ruolo della Convenzione europea
in vista della sottoscrizione di nuovi trattati, in M.P. Caruso, F. Tufarelli, Quale Europa, tra
Convenzione, Conferenza intergovernativa e allargamento, Soveria Mannelli, 2003, 65 ss.
( 20 ) La sola differenza formale si lega – come si è visto – alla circostanza che, a differenza
che per il Trattato di Lisbona, per il Trattato di Roma il metodo della Convenzione è stato impiegato anche in sede di formazione. È, peraltro, da sottolineare che l’incidenza di tale differenza è
attenuata dalla notevole continuità contenutistica tra i due trattati (di cui si dirà nel paragrafo successivo). La quale consente di sostenere che anche il secondo – il trattato di Lisbona – sia, in qualche modo, riconducibile all’elaborazione della Convenzione che ha meso a punto il progetto da
cui è nato il primo.
( 21 ) Sulla necessità di affrontare la questione della qualificazione, superando la prospettiva
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ANTONIO D’ATENA
stenere che il Trattato costituzionale presentasse i caratteri di una costituzione.
Il primo dato è esteriore: la lunghezza.
È noto che le costituzioni contemporanee non sono concise come la
Costituzione degli Stati Uniti d’America. Sono, in genere, costituzioni lunghe. Vi sono inoltre costituzioni particolarmente lunghe. Si pensi, ad esempio, alla Costituzione portoghese del 1976, che conta 295 articoli.
Ebbene, la cosiddetta Costituzione europea – constando di 448 articoli, ai quali andavano aggiunti i 36 protocolli allegati – superava tutti i record ( 22 ).
Ma l’anomalia non si limitava ad un elemento così estrinseco. Si manifestava anche al livello del contenuto prescrittivo.
Per usare una parola tedesca intraducibile, può dirsi che il Trattato
costituzionale fosse un Sammelsurium: un coacervo di regole eterogenee,
moltissime delle quali assolutamente fuori posto in un documento costituzionale ( 23 ).
All’interno di questo corpus poteva, tuttavia, individuarsi un complesso di regole materialmente costituzionali: una sorta di costituzione nella
“Costituzione”.
Si trattava di regole riconducibili ai due contenuti fondamentali dei
documenti costituzionali: la disciplina dei diritti e la disciplina degli organi
supremi, delle loro competenze e dei loro rapporti. A queste due parti, comuni alla generalità delle costituzioni, si aggiungeva una terza parte, comune alle sole costituzioni degli Stati federali e degli Stati regionali: la disciplina del riparto di competenze tra l’Unione europea e gli Stati membri.
Per ciò che specificamente attiene alla disciplina dei diritti fondamentali, è da ricordare l’incorporazione nel Trattato della Carta di Nizza, con
conseguente conferimento a tale documento di quel valore formale di cui
era (e seguita ad essere) privo ( 24 ).
strettamente formale, v. N. Walker, European Constitutionalism and European Integration, in
Public Law, 1996, 270 ss.
( 22 ) Su tale aspetto, per tutti: U. Draetta, La Costituzione europea e il nodo della sovranità
nazionale, in Dir. Un. Eur., 2004, 528; F. Gabriele, Europa: la “Costituzione” abbandonata, cit.,
139 ss.
( 23 ) Si tratta di una valutazione diffusissima (tra i tanti, v.: A. Tizzano, Prime note sul progetto di Costituzione europea, in A. Tizzano (a cura di), Una Costituzione per l’Europa. Testi e documenti relativi alla Convenzione europea, Milano, 2004, 19). Sull’incompatibilità di un contenuto
così caratterizzato con la natura di una costituzione: A. Anzon, La Costituzione europea come
problema, in A. D’Atena, E. Lanzillotta (a cura di), Da Omero alla Costituzione europea, Tivoli, 2003, 330 s.
( 24 ) La letteratura sulla Carta e sulla sua efficacia giuridica è sterminata. Tra i contributi
più significativi: A. Weber, Die Europäische Grundrechtscharta – auf dem Weg zu einer Europäischen Verfassung, in NJW, 2000, 537 ss., A. Pace, A che serve la Carta dei diritti fondamentali del-
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Parzialmente diverso è il discorso per il trattato di Lisbona. Non
tanto – si badi – per il contenuto. Anche, infatti, a non ritenere, con il
Presidente della Convenzione europea Valéry Giscard d’Estaing, che esso, limitandosi a riprodurre i contenuti del Trattato costituzionale, sia
frutto di un’operazione di tipo “cosmetico” ( 25 ), non può non constatarsi
l’Unione europea? Appunti preliminari, in Giur. cost., 2001, 193 ss.; L.M. Diez Picazo, Glosas a
la nueva Carta de Derechos Fundamentales de la Unión Europea, in Tribunales de Justicia, 5/01; R.
Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto, Introduzione, in R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto (a
cura di), L’Europa dei diritti, Bologna, 2001, 25 ss.; G. Braibant, La Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne, Paris, 2001; A. Ruggeri, La “forza” della Carta europea dei diritti, in
D.P.C.E., 2001, 182 ss.; J.A. Carrillo Salcedo, Notas sobre el significado político y jurídico de la
Carta de Derechos Fundamentales de la Unión Europea, in Revista de Derecho Comunitario Europeo, 2001, 7 ss.; P. Ridola, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e le “tradizioni
costituzionali comuni” degli stati membri, in S.P. Panunzio, E. Sciso (a cura di), Le riforme istituzionali e la partecipazione dell’Italia all’Unione europea, Milano, 2002, 85 ss.; Costanzo (a cura
di), La Carta europea dei diritti. Atti del Convegno di Genova del 16-17 marzo 2001, Genova,
2002; A. Weber, Il futuro della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Riv. it. dir.
pubbl. com., 2002, 31 ss.; F.J. Matia Portilla, La eficacia de la Carta de Niza, in F.J. Matia Portilla. La protección de los derechos fundamentales en la Unión Europea, Madrid, 2002, 124 ss.; F.
Rubio Llorente, Mostrar los derechos sin destruir la Unión (Consideraciones sobre la Carta de
Derechos Fundamentales de la Unión Europea), in REDC, 2002, 13 ss.; J.-P. Jacqué, La Charte des
droits fondamentaux de l’Union européenne – Aspects juridiques généraux, in European Review of
Public Law, 2002, 107 ss.; Ch. Tomuschat, Values and the Place of the Charter in Europe, ibid.,
2002, 159 ss.; J. Dutheil de la Rochére, Les droits fondamentaux reconnus par la Charte et leurs
applications, ibid., 227 ss.; C. Pinelli, Il momento della scrittura. Contributo al dibattito sulla Costituzione europea, Bologna, 2002, 209 ss.; R. Toniatti (a cura di), La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Padova, 2002; E. Pagano, Il valore giuridico della Carta dei diritti fondamentali e le competenze dell’Unione, in DPCE, 2003, 1723 ss.; M. Siclari (a cura di), Contributi
allo studio della Carta di diritti fondamentali dell’Unione europea, Torino, 2003, e ivi, 113 ss., la
tavola rotonda sul valore della Carta, con interventi di A. Cerri, L. Ferrari Bravo, R. Tarchi e A.
Bernardini; P. Grossi, Alcuni interrogativi sulle libertà civili nella formulazione della Carta di Nizza, ivi, 41 ss.; R. Balduzzi, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: un esempio di
constitutional drafting?, in Quaderni regionali, 2003, 381 ss.; U. Villani, Diritti fondamentali tra
Carta di Nizza, Convenzione europea dei diritti dell’uomo e progetto di Costituzione europea, in Dir.
Un. Eur., 2004, 73 ss.; V. Skouris, Introducing a binding Bill of Rights in of protection of fundamental Rights in the European Union. Can Three parallel systems coexist harmoniously?, in A.
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Amicorum für Peter Häberle, Tübingen, 2004, 261 ss.; F.S. Marini, I diritti fondamentali della
CEDU e della Carta dell’Unione europea come diritti pubblici soggettivi, in A. D’Atena, P. Grossi, Tutela dei diritti fondamentali e costituzionalismo multilivello. Tra Europa e Stati nazionali, Milano, 2004, 51 ss.; K. Stern, From the European Convention on Human Rights to the European
Charter of Fundamental Rights: The prospects for the protection of human rights, in H.-J. Blanke,
S. Mangiameli (a cura di), Governing Europe under a Constitution, cit., 176 ss.; S. Mangiameli,
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in S. Mangiameli, L’esperienza costituzionale europea, Torino, 2008, 349 ss. Adde O. Pollicino, V. Sciarabba, La Carta di Nizza oggi, tra
“sdoganamento giurisprudenziale” e Trattato di Lisbona, in DPCE, 2008, 101 ss.
( 25 ) Intervenendo alla Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo il 17 luglio 2007, il Presidente della Convenzione si è così espresso: « En termes de contenu les propositions demeurent largement inchangées. [...] Les gouvernements européens se sont mis d’accord
200
ANTONIO D’ATENA
che, sul piano sostantivo, gli elementi di continuità sono molto consistenti ( 26 ).
Le maggiori differenze sono di altra natura e derivano soprattutto dall’abbandono del modello Sammelsurium. Il Trattato di riforma, infatti,
mantenendo la sistematica attuale, distingue il Trattato dell’Unione Europea dal Trattato per il funzionamento dell’Unione (che prende il posto del
Trattato della Comunità europea) e nel primo inserisce gran parte delle regole materialmente costituzionali.
In proposito, peraltro, non possono non segnalarsi alcune particolarità.
La prima attiene alla disciplina dei diritti fondamentali. Infatti, il
Trattato di Lisbona non incorpora la Carta di Nizza nel Trattato dell’Unione europea, ma prevede che essa abbia “lo stesso valore giuridico
dei Trattati” (art. 6) ( 27 ). Esso, quindi, distribuendo il suo contenuto
“costituzionale” tra atti diversi, non conferisce al Trattato dell’Unione il
carattere unidocumentale, che normalmente contrassegna le costituzioni.
Analoghe considerazioni possono, inoltre, valere per la distribuzione
dei contenuti tra il Trattato dell’Unione e quello sul funzionamento dell’Unione. Nel secondo, infatti, sono comprese numerose norme di carattere
materialmente costituzionale. Si pensi, in particolare, alla parte I, contenente i principi, ed al titolo I della parte VI, contenente le disposizioni istituzionali.
Con una certa semplificazione, può, quindi, dirsi che, mentre il Trattato costituzionale di Roma, presentando caratteri di onnicomprensività,
conteneva in sé la costituzione, il Trattato sull’Unione, nella versione di Lisur des changements cosmétiques à la Constitution pour qu’elle soit plus facile à avaler ». Nella
medesima linea: V. Giscard d’Estaing, La boîte à outils du traité de Lisbonne, in Le Monde, 26
ottobre 2007, cit.; Idem, The EU Treaty is the same as the Constitution, in The Independent, 30
ottobre 2007. Analogamente il Rapport del deputato P. Braouezec all’Assemblée Nationale, depositato il 9 gennaio 2008 (n. 569, p. 20).
( 26 ) Sul punto, per tutti: J. Ziller, Il Trattato modificativo del 2007: sostanza salvata e forma cambiata del Trattato costituzionale, in Quad. cost., 2007, 875 ss.; L. Daniele, Trattato di Lisbona: addio all’idea federalista per superare gli ostacoli degli euroscettici, in Guida al diritto del Sole 24 ore, n. 6, novembre-dicembre 2007, 11 ss.; B. Nascimbene, B. Lang, Il Trattato di Lisbona:
l’Unione europea a una svolta?, in Corr. Giur., 2008, 137 ss.; L.G. Sciannella, Morte e reincarnazione di una Costituzione: dal “Constitutional Treaty” al “Reform Treaty”, in DPCE, 2008, 142 ss.;
P. Passaglia, Il Trattato di Lisbona: qualche passo indietro per andare avanti, in Foro. it., 2008, V,
40 ss.; V. Guizzi, Una Costituzione per l’Europa?, in Studi in onore di Umberto Leanza, Napoli,
2008, vol. II, 1125 ss.; R. Baratta, Le principali novità del Trattato di Lisbona, in Dir. Un. Eur.,
2008, 21 ss.
( 27 ) Al riguardo: V. Giscard d’Estaing, La boîte à outils du traité de Lisbonne, cit., il quale riconduce tale scelta all’intento di consentire al Regno Unito di non aderire alla Carta.
UNA COSTITUZIONE SENZA COSTITUZIONE PER L’EUROPA
201
sbona, contiene solo parte della costituzione: le parti restanti dovendo essere ricercate in atti distinti: nella Carta dei diritti (dotata – come si è visto –
dello stesso valore giuridico dei Trattati) ed in alcune parti del Trattato sul
funzionamento dell’Unione.
5. – L’incerto futuro del Trattato di Lisbona
Alla luce di quanto precede, si comprende perché, dal punto di vista
della “costituzione europea”, la svolta di Lisbona non possa considerarsi
una svolta radicale.
Sul piano formale, la fonte è costituita, come per il Trattato di Roma,
da un trattato internazionale. Dal punto di vista sostanziale, entrambi i trattati, malgrado le differenze di architettura sistematica su cui ci siamo intrattenuti, esibiscono dei contenuti, che possono qualificarsi “costituzionali”.
Ma non ci si può fermare a questo punto. Non può, in particolare, dimenticarsi che l’esito del referendum irlandese rende incerto il futuro del
Trattato ( 28 ).
Ebbene, se, nonostante l’impegno ribadito dal Consiglio Europeo di
Bruxelles del dicembre 2008 ( 29 ), il percorso iniziato a Lisbona non giungesse a conclusione, dovrebbe prendersi atto, oltre che di un problema istituzionale che va ben al di là del destino del Trattato, di una significativa
battuta d’arresto nel processo di consolidamento costituzionale dell’ordinamento europeo ( 30 ). È, infatti, incontestabile che il riconoscimento alla
( 28 ) Per un efficace quadro degli scenari aperti dall’esito negativo di tale referendum, v.
House of Commons Library, The Treaty of Lisbon: an uncertain Future (Research Paper, 08/66,
30 July 2008).
( 29 ) Il Consiglio Europeo di Bruxelles dei giorni 11 e 12 dicembre 2008 ha confermato la
volontà degli Stati membri di completare il processo avviato con la firma del Trattato di Lisbona,
offrendo all’Irlanda alcune garanzie che ne dovrebbero propiziare la ratifica. In proposito è da segnalare che, secondo un sondaggio commissionato dal quotidiano Irish Times, nel momento in
cui si scrive, il 52% degli elettori irlandesi sarebbe favorevole all’approvazione referendaria del
Trattato (S. Collins, 52% would now vote Yes on Lisbon Treaty, in Irish Times, 18 maggio
2009).
( 30 ) Come si vedrà più avanti, lo scrivente ritiene che, nell’ordinamento europeo, possa
già ravvisarsi l’esistenza di una costituzione dotata di contenuti fondamentalmente riconducibili ai paradigmi del costituzionalismo. Non considera, però, contestabile che tale carattere risulterebbe accentuato, sia dalla concentrazione di buona parte dei contenuti “costituzionali”
nel Trattato dell’Unione, sia dal riconoscimento alla Carta dei diritti del valore giuridico dei
trattati, sia da alcune novità organizzative e procedimentali introdotte dal Trattato di Lisbona.
È significativo che il rilievo “costituzionale” di novità di questa natura venga riconosciuto anche da chi nega che oggi possa parlarsi di una costituzione europea, nel senso di cui sopra.
Così: A. Anzon, La Costituzione europea come problema, cit., 324 ss., la quale, prendendo in
esame le ipotesi (avanzate nel momento in cui scriveva) di estrarre dalla normativa pattizia la
202
ANTONIO D’ATENA
Carta dei diritti dello stesso valore dei trattati, il rafforzamento dei poteri
legislativi del Parlamento europeo, la nuova disciplina del Consiglio (Presidenza e sistema di voto), il superamento della struttura per pilastri, etc...,
costituiscono novità di notevole rilievo costituzionale.
Quello che va sottolineato è che non sarebbero tali novità a far nascere
la costituzione europea. Esse modificherebbero il contenuto della costituzione vigente, ma non conferirebbero ad essa – se così ci si può esprimere –
il suo carattere “costituzionale”.
6. – In che senso oggi esiste una costituzione europea
Per chiarire il senso di questa enunciazione, è il caso anzitutto (e
preliminarmente) di precisare che, affermando l’esistenza di una costituzione europea, non ci si limita a constatare che – al pari di ogni ordinamento complesso – anche l’ordinamento europeo si fonda su un insieme
di norme che ne regolano l’assetto fondamentale ( 31 ). In questo senso il
termine “costituzione”, benché legato all’avvento dello Stato moderno,
viene utilizzato anche con riferimento ad ordinamenti cui il concetto storico ed ideologico di costituzione era, ed è, estraneo. Si pensi – ad esempio – agli studi di Francesco De Martino sulla costituzione dell’ordinamento giuridico romano ( 32 ) od a quelli di Alfred Verdross ( 33 ) e di Piero
Ziccardi ( 34 ) sulla costituzione dell’ordinamento internazionale. In questi
disciplina dei principi fondamentali e del quadro istituzionale di base, per concentrarla in un
unico atto, e di proclamare una Carta dei diritti, ne sottolineava il significato nella prospettiva
della futura adozione di una Costituzione europea. Sul processo di progressiva costituzionalizzazione dell’ordinamento europeo, v, in generale: R. Nania, Le Costituzioni nazionali e la costituzione europea, in S.P. Panunzio (a cura di), I costituzionalisti e l’Europa Riflessioni sui
mutamenti costituzionali nel processo d’integrazione europea, Milano, 2002, 3 ss., del quale è
l’espressione “consolidamento costituzionale” usata nel testo. Sul cammino verso la democratizzazione, alla luce del Trattato di Lisbona: C. Pinelli, Il deficit democratico europeo e le risposte del Trattato di Lisbona, in Rass. parl., 2008, 925 ss.
( 31 ) Riconosce, ad esempio, l’esistenza di una costituzione europea, in questa generalissima accezione: S. Cassese, La Costituzione europea, in Quad. cost., 1991, 447, criticato da A. Anzon, La Costituzione europea come problema, cit., 303 ss., la quale sottolinea che non è a tale nozione di costituzione che ci si può appellare, se s’intende rispondere alla domanda se oggi l’Europa abbia una costituzione. Sul punto, v. anche – in termini generali – M. Zuleeg, Die Vorzüge der
Europäischen Verfassung, in Der Staat, 2002, 377 ss.; N. Walker, European Constitutionalism and
European Integration, cit., 269; P. Carnevale, La Costituzione europea come Costituzione, in
Giur. it., 2005, 1101 ss.
( 32 ) F. De Martino, Storia della Costituzione romana, vol. 1, Napoli, 1951, vol. 2, parte I,
Napoli, 1954; vol. 2, parte II, Napoli, 1955.
( 33 ) A. Verdross, Die Verfassung der Völkerrechtsgemeinschaft, Wien-Berlin, 1926.
( 34 ) P. Ziccardi, La Costituzione dell’ordinamento internazionale, Milano, 1943.
UNA COSTITUZIONE SENZA COSTITUZIONE PER L’EUROPA
203
casi – com’è noto – si fa uso del concetto di costituzione in senso materiale ( 35 ).
Ad avviso dello scrivente, l’espressione “costituzione europea” può
essere intesa anche in senso più pregnante. Non deve, infatti, dimenticarsi
che i contenuti prescrittivi della costituzione in senso materiale dell’ordinamento europeo sono riconducibili alla stessa matrice culturale da cui discende il costituzionalismo statale, sul quale sono in larghissima misura modellati ( 36 ). Non sembra, quindi, azzardato considerarli “costituzionali”,
anche nel senso politico-ideologico proprio del costituzionalismo ( 37 ).
Ciò vale, anzitutto, per le norme che delineano l’organizzazione fon( 35 ) Sulla nozione, per tutti: V. Crisafulli, Costituzione, in Enciclopedia del Novecento,
vol. I, Roma, 1970, 4 e 12 ss. dell’estratto.
( 36 ) Pone in evidenza i punti di contatto tra i contenuti della costituzione europea, nel senso qui accolto, e quelli delle costituzioni degli Stati membri: L. Violini, Prime considerazioni sul
concetto di “Costituzione europea” alla luce dei contenuti delle vigenti carte costituzionali, in Riv. it.
dir. pubbl. com., 1998, 1251 ss. In argomento, v. anche G.G. Floridia, Una costituzione per l’Europa: ma in che senso?, cit., 16 ss., spec. 19. Sul debito dell’Europa nei confronti delle tradizioni
costituzionali nazionali, v., in termini generali, P. Häberle, Per una dottrina della Costituzione europea, in Quad. cost., 1999, 3 ss.; F. Sorrentino, L’incidenza del diritto comunitario sulle caratteristiche del diritto pubblico, in A. Tizzano (a cura di), Il processo d’integrazione europea: un bilancio 50 anni dopo i trattati di Roma, Torino, 2008, 59 ss. Com’è noto, peraltro, l’osmosi costituzionale è ormai bidirezionale, come conferma la crescente influenza del diritto europeo sugli ordinamenti degli Stati membri. In argomento, v.: a) in generale: P. Häberle, Verfassungsgebung in
Europa heute sowie in naher Zukunft, in P. Häberle, Europäische Verfassungslehre, III edizione
aggiornata ed ampliata, Baden-Baden, 2005, 229 ss.; F. Sorrentino, L’incidenza del diritto comunitario sulle caratteristiche del diritto pubblico, cit.; b) in termini analitici: J. Schwarze (a cura
di), The Birth of a European Constitutional Order. The Interaction of National and European Constitutional Law, Baden-Baden, 2001 (che considera la questione con riferimento agli ordinamenti
di Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, Austria e Svezia.); A. Tizzano (a cura di), Il processo
d’integrazione europea: un bilancio 50 anni dopo i trattati di Roma, cit. (che censisce le influenze in
materia di cittadinanza europea, euro e banche, mercato unico dei servizi bancari e finanziari,
professioni, pluralismo dei media, audiovisivi e telecomunicazioni).
( 37 ) Su tale accezione del termine “costituzione” e dell’aggettivo da esso derivato: V. Crisafulli, Costituzione, cit., 6 ss. Può non essere inutile precisare che, una volta riferita la qualità
“costituzionale”, in questo più ristretto senso, a regole comprese nella costituzione in senso materiale (pacificamente presente anche in ordinamenti non statali), le conclusioni raggiunte nel testo
non chiamano in causa la dibattuta questione se di costituzione possa parlarsi solo con riferimento agli Stati (così spec. D. Grimm, Braucht Europa eine Verfassung?, cit., 590; contra: J.H.H.
Weiler, The Constitution of Europe, Cambridge, 1999; I. Pernice, Multilevel Constitutionalism
and the Treaty of Amsterdam: European Constitution-Making revisited?, in CMLR, 1999, 708 ss.;
N. Walker, Postnational constitutionalism and the problem of translation, in J.H.H. Weiler, M.
Wind (a cura di), European Constitutionalism Beyond the State, Cambridge, 2004, 27 ss.; M.
Poiares Maduro, Europe and the constitution; what if this is a good as it gets, ibid., 74 ss. Sulla
questione: M. Luciani, Legalità e legittimità nel processo d’integrazione europea, in G. Bonacchi
(a cura di), Una Costituzione senza Stato, Bologna, 2001, 71 ss.; C. Pinelli, Il momento della scrittura, cit., 183 ss.; A. Ruggeri, Una Costituzione e un diritto costituzionale per l’Europa unita, in
Costanzo, L. Mezzetti, A. Ruggeri (a cura di), Lineamenti di diritto costituzionale dell’Unione
Europea, Torino, 2008, 7 ss.).
204
ANTONIO D’ATENA
damentale dell’Unione: individuandone gli organi, fissando le competenze
di questi, disciplinando il decision making.
Con questo non intende dirsi che tali regole siano, in tutto e per tutto,
sovrapponibili alle corrispondenti regole che si rinvengono nelle costituzioni statali. Basti pensare al rilievo che, nell’ordinamento europeo, riveste la
componente intergovernativa, al fatto che in esso non trovi piena applicazione il principio della separazione dei poteri ( 38 ), alla mancanza di un sistema delle fonti del diritto costruito su base formale ( 39 ), all’assenza di
un’amministrazione periferica... E si potrebbe continuare.
Tali peculiarità, tuttavia, non mettono in discussione il nucleo ideologico fondamentale della tradizione del costituzionalismo moderno. Esse,
inoltre, non sono del tutto prive di riscontri nelle stesse costituzioni nazionali del nostro continente.
Si pensi, ad esempio, al principio della separazione dei poteri. È, infatti, noto che da molte costituzioni statali esso è accolto in termini eminentemente tendenziali. Come è noto che, nell’ordinamento europeo, riceve
un’applicazione piena, con riferimento all’ambito cruciale dei rapporti tra
potere politico e giurisdizione ( 40 ).
Si pensi, ancora, all’incidenza che la componente intergovernativa assume nell’ordinamento federale tedesco. Ci si riferisce al Bundesrat, il quale
presenta non trascurabili analogie con il Consiglio ( 41 ).
Si pensi, infine, al diffuso modello del Vollzugsföderalismus (del federalismo di esecuzione), che trova larga applicazione nei sistemi federali mitteleuropei. Un modello, che, non a caso, parte della dottrina usa anche con
riferimento all’ordinamento europeo ( 42 ).
Analoghe considerazioni possono inoltre valere per la disciplina dei
( 38 ) N. Walker, European Constitutionalism, cit., 269 ss., sottolinea che, a causa degli specifici caratteri dell’ordinamento europeo, e del ruolo dell’esecutivo, non comparabile a quello degli esecutivi nazionali, in tale ordinamento il principio della separazione dei poteri, così come lo
conosciamo, non sarebbe indispensabile. Interessanti osservazioni (pur espressamente riferite alla
disciplina posta dal Trattato costituzionale) sulla scomposizione “soggettiva” ed “oggettiva” dei
poteri nell’ordinamento europeo, si leggono in L. Pirozzi, Separazione dei poteri e garanzia dei
diritti nel progetto di Costituzione europea, in A. D’Atena, P. Grossi, Tutela dei diritti fondamentali e costituzionalismo multilivello. Tra Europa e Stati nazionali, cit., 74 ss.
( 39 ) Su questa caratteristica, che differenzia strutturalmente le fonti europee dalle fonti nazionali: A. D’Atena, L’anomalo assetto delle fonti comunitarie, in Dir. Un. Eur., 2001, 591 ss.
( 40 ) Alla medesima matrice può ricondursi il rilievo della rule of law nella “forma di Stato”
dell’UE, su cui: F. Palermo, La forma di Stato dell’Unione europea. Per una teoria costituzionale
dell’integrazione sovranazionale, Padova, 2005, 85 ss.; E. Gianfrancesco, Il principio dello Stato
di diritto e l’ordinamento europeo in S. Mangiameli, (a cura di), L’ordinamento europeo, I. I principi dell’Unione, Milano 2006, 235 ss.
( 41 ) Così, esplicitamente: M. Fromont, in VVDStRL, 58, 1998, 132.
( 42 ) G. Guzzetta, F.S. Marini, Diritto pubblico italiano ed europeo, Torino, 2006, 405 ss.
UNA COSTITUZIONE SENZA COSTITUZIONE PER L’EUROPA
205
diritti fondamentali, dalla cui assenza molti autori inferiscono l’inesistenza
della costituzione europea ( 43 ).
Chi si muove in questa prospettiva usa come paradigma l’art. 16 della
“dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789. Che – com’è
noto – annovera la garanzia dei diritti tra i contrassegni imprescindibili della costituzione: tra quei contrassegni, in difetto dei quali lo Stato “non ha
una costituzione”.
Ebbene, non può dimenticarsi che, se si facesse rigida applicazione di
tale paradigma, dovrebbe negarsi il carattere costituzionale della prima
grande costituzione storica: la Costituzione degli Stati Uniti d’America del
1787; per la nota ragione che essa, nella sua versione originaria, non disciplinava i diritti fondamentali, che vennero aggiunti pochi anni dopo, con i
primi dieci emendamenti. E, per la stessa mancanza, non si potrebbe considerare un’autentica costituzione neanche la prima Carta costituzionale
francese – la Costituzione del 1791 –, che conteneva una disciplina molto
parziale e lacunosa dei diritti. I quali trovavano la loro enunciazione in un
documento diverso, a carattere ricognitivo e non costitutivo (in linea con
l’ideologia giusnaturalistica che ne ispirò gli artefici): la “dichiarazione dei
diritti dell’uomo e del cittadino” appena citata ( 44 ).
Con specifico riguardo alla “costituzione europea”, questa mancanza
– che il Trattato di Lisbona intende superare mediante il riconoscimento alla Carta di Nizza dello stesso valore dei Trattati – potrebbe ricondursi a ragioni analoghe a quelle che hanno ispirato i founding fathers statunitensi e
gli artefici delle prime costituzioni federali europee: la Costituzione svizzera del 1848 e la Costituzione tedesca del 1871.
Il riferimento è alla struttura federale. Quelle costituzioni, infatti, non
sentivano il bisogno di disciplinare i diritti fondamentali, perché tali diritti
trovavano (o potevano trovare) la propria disciplina nelle costituzioni degli
Stati membri, con le quali la costituzione federale faceva corpo, concorrendo alla creazione di un sistema costituzionale integrato ( 45 ).
Che analoghe considerazioni possano valere anche per la costituzione
( 43 ) L’opinione è molto diffusa. Tra i tanti, v. A. Anzon, La Costituzione europea come
problema, cit., 317 ss.; E. De Marco, Riflessioni preliminari sul processo costituente europeo, in E.
De Marco (a cura di), Percorsi del “nuovo costituzionalismo”, Milano, 2008, 50 ss.
( 44 ) Sul punto sia consentito il rinvio ad A. D’Atena, Costituzionalismo moderno e tutela
dei diritti fondamentali, in A. D’Atena, P. Grossi (a cura di), Tutela dei diritti fondamentali e costituzionalismo multilivello. Tra Europa e Stati nazionali, cit., 21 ss.
( 45 ) Una limpidissima descrizione di tale assetto, può leggersi in H. Nawiasky, Der Bundesstaat als Rechtsbegriff, Tübingen, 1920, 144: “La Costituzione federale [...] è, per essenza, incompleta. Essa non dà vita ad un ordinamento giuridico concluso, ma ad un ordinamento parziale, il quale è pensabile come ordinamento, in quanto rinvia, per la parte mancante, alle costituzioni degli Stati membri, da cui è completato”.
206
ANTONIO D’ATENA
europea non è fondatamente contestabile ( 46 ). Senza contare che attualmente, a livello europeo, la disciplina dei diritti fondamentali non è del tutto assente. Come conferma l’art. 6, comma 2, TUE, che impone all’Unione
il rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e riconosciuti dalle
“tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri” ( 47 ).
È il caso, infine, di ricordare le regole che ripartiscono le competenze
tra l’Unione europea e gli Stati membri: regole di tipo incontestabilmente
“costituzionale”, le quali in larga misura rispecchiano le corrispondenti regole presenti nelle costituzioni federali ( 48 ). È, ad esempio, piuttosto diffusa l’opinione che i regolamenti comunitari siano espressione di una competenza provvista di notevoli punti di contatto con la konkurrierende Gesetzgebung tedesca ( 49 ).
Sono queste le ragioni per le quali è oggi sostenibile che, pur in assenza di una Carta costituzionale, in Europa non possa negarsi l’esistenza di
una “costituzione”: una costituzione disseminata all’interno dei Trattati
istitutivi ( 50 ), i cui contenuti, non solo, affondano le proprie radici nella medesima matrice culturale alla quale sono riconducibili le costituzioni statali
della nostra tradizione, ma presentano anche significativi punti di contatto
con molti dei contenuti in queste rinvenibili.
Restano, ovviamente, delle differenze con le costituzioni degli Stati (si
pensi – ad esempio – al persistente deficit democratico) ( 51 ). Ma tali diffe( 46 ) Il ruolo giocato dalle costituzioni degli Stati membri dell’UE, ai fini della garanzia dei
diritti fondamentali dei cittadini europei, è giustamente sottolineato da F. Caruso, L’integrazione
europea dopo i referendum in Francia ed Olanda, cit., XVI.
( 47 ) Sul percorso giurisprudenziale e normativo che ha condotto all’adozione della clausola: A. Baldassarre, La Carta europea dei diritti, in S.P. Panunzio (a cura di), I costituzionalisti e
l’Europa. Riflessioni sui mutamenti costituzionali nel processo d’integrazione europea, cit., 27 ss.; B.
Nascimbene, C. Sanna, in A. Tizzano (a cura di), Trattati dell’Unione europea e della Comunità
europea, Milano, 2004, sub “Art. 6”, 49 ss., i quali ultimi offrono, altresì, un denso quadro degli
effetti ad essa riconducibili; amplius: T. Lobello, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali nell’UE: evoluzione storico-giuridica, in S. Mangiameli (a cura di), L’ordinamento europeo, I. I principi dell’Unione Europea, cit., 111 ss.
( 48 ) In argomento: A. D’Atena, Modelli federali e sussidiarietà nel riparto delle competenze
normative tra l’Unione europea e gli Stati membri, in Dir. Un. Eur., 2005, 59 ss.
( 49 ) In questo senso, tra i primi: E. Wohlfahrt, U. Everling, H.J. Gläsner, R. Sprung,
Die Europäische Wirtschaftsgemeinschafts. Kommentar, Berlin-Frankfurt a.M., 1960, 513. Contra:
C.F. Ophüls, Quellen und Aufbau des Europäischen Gemeinschaftsrechts, in NJW, 1963, 1700 ss.,
criticato da A. D’Atena, Le Regioni italiane e la Comunità economica europea, Milano 1981, 96,
nt. 22.
( 50 ) Un analogo ordine d’idee è espresso da E. Venizelos, The European Constitution as
an “intergovernmental” Constitution and the political deficits of the Europea Union, in G. Dimitriakopoulos, G. Kremlis (a cura di), A New Constitutional Settlement for the European
People, cit., 35 ss., il quale parla di “fragmentary and in part unwritten European Constitution”.
( 51 ) ... sul quale, nella letteratura italiana più recente, v. D. Santonastaso, La dinamica fenomenologica della democrazia comunitaria. Il deficit democratico delle istituzioni e della norma-
UNA COSTITUZIONE SENZA COSTITUZIONE PER L’EUROPA
207
renze sono dovute alla peculiarità del fenomeno regolato. L’Unione europea – come si è detto – non è un Stato, ma un ordinamento “nuovo”, privo
di precedenti nella storia delle istituzioni. La sua costituzione, quindi, non
può non risentire di questa connotazione strutturale ( 52 ).
7. – Costituzione europea e costituzioni nazionali: un approccio pluralistico
Prima di concludere, è il caso di sottolineare che la “cosa” che abbiamo denominato “costituzione europea” non interviene – se così ci si può
esprimere – in uno spazio costituzionalmente vuoto, ma in uno spazio largamente occupato dalle costituzioni degli Stati membri ( 53 ).
Non sorprende, quindi, la fortuna arrisa alla formula “multilevel constitutionalism”, coniata per rappresentare il fenomeno ( 54 ), il quale è caratterizzato dalla compresenza, nel medesimo spazio giuridico, di più circuiti
costituzionali integrati.
Un simile assetto, peraltro, non presenta caratteri del tutto inediti nella storia delle istituzioni. Esso trova un precedente nelle esperienze federali
sin dalla loro prima apparizione storica: in un’epoca, nella quale l’espressione “costituzionalismo multilivello” non aveva ancora visto la luce.
Come si è ricordato, infatti, negli Stati federali – a partire dall’archetipo statunitense –, la costituzione della Federazione si aggiunge alle costituzioni degli Stati membri, le quali, con essa, concorrono a formare un sistema costituzionale complesso: una sorta di costituzione a più strati (multilayered constitution).
Il collegamento sistematico tra tali strati era evidentissimo agli inizi,
quando la costituzione federale si configurava come una costituzione parziazione dell’U.E., Napoli, 2004; F. Bruno, La Costituzione europea e i Parlamenti nazionali, in
RDCE, 2005, 630 ss.
( 52 ) Per questa ragione è discutibile la pretesa di leggere il fenomeno costituzionale europeo, applicando meccanicamente modelli ricavabili dalle costituzioni nazionali, o, più esattamente, da una parte di esse (nel medesimo senso: U. De Siervo, La difficile Costituzione europea, in
U. De Siervo (a cura di), La difficile Costituzione europea, Bologna 2001, 116 ss.). Senza contare
che, così procedendo, si rischierebbe di negare il carattere “costituzionale” di costituzioni statali
che incontestabilmente ne sono dotate (il punto è opportunamente sottolineato, con riferimento
alla Legge fondamentale tedesca, da S. Mangiameli, La Costituzione europea, in S. Mangiameli,
L’esperienza costituzionale europea, cit., 394).
( 53 ) Sui problemi che ne conseguono, v. in generale, P. Häberle, Europa als Gegenstand
(im Focus) der Verfassungslehre, in P. Häberle, Europäische Verfassungslehre, cit., 221 ss.
( 54 ) In proposito, è d’obbligo il riferimento ad Ingolf Pernice, del quale, v. specialmente: I.
Pernice, Multilevel Constitutionalism and the Treaty of Amsterdam, cit.; Idem, Multilevel Constitutionalism in the European Union, in ELRev., 2002, 511 ss., nonché, da ultimo: I. Pernice,
The Treaty of Lisbon: Multilevel Constitutionalism in Action, in Columbia Journal of European
Law, vol. 15, No. 3, 2009.
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ANTONIO D’ATENA
le (Teilverfassung, secondo la terminologia tedesca) ( 55 ), la quale si occupava dell’organizzazione della Federazione e della ripartizione delle competenze tra questa e gli Stati membri, non anche – come si è detto – dei diritti
fondamentali dei cittadini, disciplinati, invece, dalle carte costituzionali di
questi ultimi (con le quali, quindi, intratteneva un rapporto di complementarità).
Il collegamento sistematico tra i due livelli non è, tuttavia, venuto meno neanche in epoca successiva, quando, per effetto della nazionalizzazione
dei diritti fondamentali a seguito del loro ingresso nelle costituzioni federali, le discipline dettate al riguardo da queste hanno doppiato le corrispondenti discipline contenute nelle costituzioni sub-statali. Non deve, infatti,
dimenticarsi che, secondo le impostazioni correnti, le regole centrali non
scacciano, prendendone il posto, quelle locali. Le quali – se più favorevoli –
vanno preferite ad esse ( 56 ). Le une e le altre, pertanto, fanno sistema (seguitano – sia pure in termini diversi da quelli originari – a fare sistema).
È questo il motivo per il quale, nonostante la novità dell’ordinamento
giuridico europeo, che non è (o, forse, non è ancora) un ordinamento federale, le esperienze e le riflessioni che si sono venute stratificando nella storia
delle Federazioni possono offrire utili chiavi di lettura anche in relazione ad
esso.
Ma l’analogia non può essere spinta oltre un certo limite. Essa, in particolare, non può estendersi al sistema dei rapporti tra la costituzione europea e le costituzioni degli Stati membri. Il quale è refrattario ad essere, per
intero, calato negli stampi del costituzionalismo federale.
Negli ordinamenti federali, la costituzione della Federazione è la fonte
suprema dell’ordinamento. Essa, pertanto, costituisce la misura della legittimità delle costituzioni degli Stati membri. Il che trova la sua espressione
( 55 ) Non è casuale che il concetto di Teilverfassung venga oggi impiegato anche con riferimento all’ordinamento europeo, per sottolineare le sue incidenze sulla condizione delle costituzioni degli Stati membri. Così: P. Häberle, Verfassungsgebung in Europa heute sowie in naher Zukunft, cit., 221 ss.
( 56 ) In argomento, v., ad es.: A. Tarr, The States and Civil Liberties, in United States.
Advisory Commission on Intergovernmental Relations, State Constitutions in the Federal
System: Selected Issues and Opportunities for State Initiatives, 1989, 55; Ch. Starck, The Constitutions of the new German Länder and their origin: A Comparative Study, in Konrad Adenauer
Stiftung, Occasional Papers, Johannesburg RSA, June 1995, 13; Idem, Die Verfassungen der
neuen Länder, in J. Isensee, P. Kirchhoff (a cura di), Handbuch des Staatsrechtes, Band IX (Die
Einheit Deutschlands – Festigung und Übergang), Heidelberg, 1997, 363 W. Graf Vitzthum,
Die Bedeutung gliedstaatlichen Verfassungsrechts in der Gegenwart, in VVDStRL 46, 1988, 22 ss.,
32, nt. 91; A. D’Atena, L’autonomia costituzionale e statutaria delle entità sub-statali nei sistemi
federali e regionali, in A. D’Atena, L’Italia verso il “federalismo”. Taccuini di viaggio, Milano,
2001, 25 ss.
UNA COSTITUZIONE SENZA COSTITUZIONE PER L’EUROPA
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più manifesta nelle clausole di omogeneità, mediante le quali indirizza e limita queste ultime ( 57 ).
Nell’ordinamento europeo, la situazione è diversa.
Non perché in esso manchi una clausola di omogeneità in qualche modo assimilabile alle corrispondenti clausole presenti nelle costituzioni federali. In dottrina, infatti, si riconosce tale natura all’art. 6, comma 1,
TUE ( 58 ), sottolineandosi che il riferimento ai principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e dello Stato di diritto non presenta carattere descrittivo, ma prescrittivo, imponendo agli Stati – e quindi anche alle
loro costituzioni – di essere coerenti con tali valori ( 59 ).
Il fatto è che la clausola predetta non vale a cancellare il dato fondamentale della persistente sovranità degli Stati membri (o, se si preferisce:
della persistenza di quote di sovranità in capo a questi).
Fino a quando tale condizione permarrà, la problematica del costituzionalismo multilvello europeo andrà affrontata secondo un approccio pluralistico ( 60 ): accogliendo, cioè, la prospettiva teorica della pluralità degli
ordinamenti giuridici e facendo applicazione del principio, ad essa correlato, della relatività dei valori giuridici.
( 57 ) A titolo esemplificativo, possono qui menzionarsi: l’art. IV, sez. 4, Cost. USA, che prescrive agli Stati membri una “forma repubblicana di governo”, e l’art. 28 Legge fondamentale tedesca, il quale impone alle costituzioni dei Länder il rispetto dei principi dello Stato di diritto repubblicano, democratico e sociale enunciati dalla medesima Legge fondamentale, il rispetto dei
diritti fondamentali federali, nonché quello della Selbstverwaltung comunale. Non dissimile è la
situazione per quanto riguarda la Svizzera. La nuova Costituzione (18 aprile 1999), infatti, pur
avendo abbandonato la tecnica enumerativa impiegata dal testo costituzionale precedente – il
quale all’art. 6, comma 2, esigeva che le costituzioni cantonali prevedessero: a) una forma di governo repubblicana; b) il referendum costituzionale obbligatorio; c) l’iniziativa popolare per la revisione della costituzione –, ne riproduce, in buona sostanza, la disciplina. L’art. 51 prescrive, infatti, al primo comma, che le costituzioni dei cantoni siano democratiche e che esse prevedano la
propria approvazione in via referendaria e l’iniziativa popolare per la loro revisione. La disposizione, inoltre, al comma 2 – con specifico riferimento alle condizioni cui è subordinata la c.d. garanzia federale –, ricorre all’ellittica formula del rispetto del diritto federale (“La Confederazione
conferisce tale garanzia se la costituzione cantonale non contraddice al diritto federale”), la quale
si ritiene comprensiva anche delle condizioni di cui sopra (A. Auer, G. Malinverni, M. Hottelier, Droit constitutionnel suisse, II ediz., Berne, 2006, vol. I, 582 ss.).
( 58 ) L’assimilazione dell’art. 6 TUE ad una clausola di omogeneità è di S. Mangiameli, La
clausola di omogeneità nel Trattato dell’Unione europea e nella Costituzione europea, in S. Mangiameli, L’esperienza costituzionale europea, cit., 93 ss.; Idem, La Costituzione europea, cit., 389.
( 59 ) Com’è noto, il mancato rispetto, da parte degli Stati membri, dei principi elencati nell’art. 6, comma 1, può essere sanzionato dalla Commissione, ai sensi dell’art. 7 TUE; esso, inoltre,
osta all’adesione all’Unione da parte di Stati terzi (art. 49 TUE). Su tali disposizioni, v., rispettivamente: B. Nascimbene, in A. Tizzano (a cura di), Trattati dell’Unione europea e della Comunità europea, cit., sub “Art. 7”, 58 ss.; L. Cavicchioli, ivi, sub “Art. 49”, 171 s.
( 60 ) Per l’uso di questa chiave nei rapporti tra l’ordinamento europeo e gli ordinamenti nazionali, v. in particolare: N. Mac Cormick, The Maastricht-Urteil: Sovereignity now, in European
Law Journal, 1995, 259 ss.
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ANTONIO D’ATENA
A questa stregua, decisivo è l’angolo visuale dal quale ci si colloca. Se si
assume la prospettiva dell’ordinamento europeo, la fonte suprema va individuata nei trattati (e, quindi, nella “costituzione” in essi contenuta), se, invece, si assume la prospettiva degli ordinamenti dei singoli Stati membri, legge
suprema di ciascuno deve considerarsi la rispettiva costituzione nazionale ( 61 ).
Che, nello stadio attuale del processo di integrazione, tale approccio
sia quello più realistico trova significative conferme nelle giurisprudenze
costituzionali nazionali. Carattere emblematico va, a questo riguardo, riconosciuto alla notissima sentenza Maastricht della Corte tedesca ed agli
orientamenti espressi dalla Corte italiana, a partire dalla sent. n. 183 del
1973 ( 62 ). Tali Corti, riservandosi il diritto di verificare la conformità dei
trattati alle costituzioni dei rispettivi Stati, muovono dal presupposto che i
primi non siano sovraordinati alle seconde (o, almeno, al nucleo di principi
e valori da esse sottratto alla revisione costituzionale) ( 63 ).
( 61 ) Sulla persistenza delle due prospettive, nella fase attuale, v A. Barbera, Esiste una
“Costituzione europea”?, in Quad. cost., 2000, 80, secondo il quale al giurista si offrono oggi due
possibilità alternative: “o porsi dal punto di vista dell’ordinamento interno o porsi dal punto di
vista dell’ordinamento comunitario. Se si pone dal primo punto di vista [...], non può rinunciare
alla declinante legittimità sovrana della propria Costituzione; se si pone dal secondo punto di vista [...], non può rinunciare a far valere la emergente sovranità della Costituzione europea. Solo
qualora si dovesse arrivare ad una Costituzione federale i punti di vista potrebbero unificarsi”.
Sull’attuale fase di transizione, v.: P. Häberle, Europa als Gegenstand (im Focus) der Verfassungslehre, cit., 210 ss.; H. Hofmann, Zur Entstehung, Entwicklung und Krise des Verfassungsbegriffs,
in A. Blankenagel, I. Pernice, H. Schulze Fieliz (a cura di), Verfassung im Diskurs der Welt.
Liber Amicorum für Peter Häberle, cit., 170 ss.
( 62 ) La letteratura sul Maastricht-Urteil e sugli orientamenti della Corte italiana è estesissima. Per un denso quadro di sintesi, v., A. Anzon, I Tribunali costituzionali nell’era di Maastricht,
in Studi in onore di Leopoldo Elia, I, Milano 1999, 80 ss. (cui si rinvia per altri riferimenti). Adde,
da ultimo: J. Vaquero Cruz, The legacy of the Maastricht-Urteil and the pluralist movement, in
EUI Working Papers, RSCAS 2007/13.
( 63 ) Il punto è ripreso dalla sent. n. 348/2007 della Corte costituzionale italiana, la quale
ribadisce che le parziali cessioni di sovranità dell’Italia in favore dell’ordinamento europeo incontrano un limite nella “intangibilità dei diritti e principi fondamentali garantiti dalla Costituzione”
(punto 3.3 della parte in diritto della motivazione). Non diverso è il quadro di riferimento su cui si
fondano gli interventi cui le Corti costituzionali nazionali sono state chiamate con riferimento sia
al Trattato costituzionale del 2004, sia al Trattato di Lisbona. In proposito, vanno, rispettivamente, ricordati: relativamente al primo, gli interventi del Tribunale costituzionale spagnolo (DTC
1/2004 del 13 dicembre 2004) e del Conseil constitutionnel francese (Décision n. 2004-505 DC del
19 novembre 2004); con riferimento al secondo, quello della Corte ceca, che, nel novembre 2008,
ha accertato la compatibilità di alcune disposizioni di esso con la Costituzione nazionale (in argomento: P. Nemeckova, La Sentencia del Tribunal Constitucional checo del 26.11.2008 sobre la
compatibilidad del Tratado de Lisboa con la Constitución de la República Checa, in Revista de derecho Comunitario Europeo, n. 32, 2009), e quello del Tribunale costituzionale federale tedesco
(BUerfG, 2 BuE 2/08 del 30.6.2009), sollecitato in via di Verfassungsbeschwerde (2 BvR 1010/08
[Gauweiler], 2 BvR 1022/08 [Buchner], 2 BvR 1259/08 [53 membri del Bundestag]) e di Organstreit (2 BvE 2/08 [Gauweiler], 2 BvE 5/08 [Gruppo parlamentare „Die Linke“]).
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211
È vero che le ipotesi di prevalenza delle costituzioni nazionali prese
in considerazione dalle due Corti sono ipotesi eminentemente teoriche ( 64 ). E che, quindi, “sommamente improbabile” (per riprendere le
parole di una celebre decisione della Corte italiana) ( 65 ) resta la prospettiva che la prevalenza delle costituzioni nazionali venga fatta concretamente valere.
Non sembra, però, contestabile che, nella situazione presente, l’esistenza di tali (pur potenziali) controlimiti non permetta di affrontare, in
chiave monistica, il tema dei rapporti tra la costituzione europea e le costituzioni degli Stati membri. Non permetta, cioè, di collocare i due livelli costituzionali in una medesima scala gerarchica e di riconoscere alla costituzione europea il carattere di legge suprema normalmente esibito dalle costituzioni scritte contemporanee.
ABSTRACT
Lo studio si apre con la constatazione che, malgrado l’abbandono del termine “costituzione”, la svolta impressa dal Trattato di Lisbona al processo di consolidamento costituzionale dell’Europa non presenta un impatto proporzionale alla
sua carica simbolica (par. 1). L’autore si sofferma, anzitutto, sui profili formali
(par. 2), sottolineando la differenza tra la logica internazionalistica del consenso
(che trova espressione nella regola dell’unanimità) e la logica maggioritaria, che informa il costituzionalismo: anche quello federale (sul quale specificamente si sofferma); rileva, peraltro, che il “metodo della Convenzione” – ripreso dal Trattato
di Lisbona limitatamente alla procedura ordinaria di revisione – immette nel processo un principio di DNA costituzionale (par. 3). Considerando, poi, gli aspetti
sostanziali, sottolinea che entrambi i trattati (il Trattato costituzionale e il Trattato
di riforma), nonostante differenze di contenuto e di architettura sistematica, contengono un complesso di norme materialmente costituzionali (par. 4). Con specifico riguardo alle incertezze conseguenti al “no” referendario dell’Irlanda (par. 5),
prende in esame la situazione odierna (a trattati invariati), sostenendo che anche
oggi esista una costituzione europea, disseminata all’interno dei trattati e riconducibile alla tradizione politico-ideologica del moderno costituzionalismo (par. 6).
Quanto al rapporto tra tale “costituzione” e le costituzioni degli Stati membri, ri( 64 ) In argomento: F. Sorrentino, L’incidenza del diritto comunitario sulle caratteristiche
del diritto pubblico, cit., 59 ss., il quale pone in luce il significato che, a questo riguardo, assume la
progressiva appropriazione, da parte del diritto europeo, dei valori costituzionali comuni agli Stati membri. Adde, diffusamente: S. Mangiameli, La Costituzione europea, cit., 398 ss.
( 65 ) Si tratta della sentenza n. 232 del 1989: “In buona sostanza – vi si legge – quel che è
sommamente improbabile è pur sempre possibile; inoltre, va tenuto conto che almeno in linea
teorica generale non potrebbe affermarsi con certezza che tutti i principi fondamentali del nostro
ordinamento costituzionale si ritrovino fra i principi comuni agli ordinamenti degli Stati membri
e quindi siano compresi nell’ordinamento comunitario”.
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ANTONIO D’ATENA
tiene che, nell’attuale stadio del processo d’integrazione europea, l’approccio preferibile sia un approccio di tipo pluralistico, con conseguente applicazione del
principio della relatività dei valori giuridici (par. 7).
* * *
The article opens with the observation that despite abandonment of the term
“constitution”, the Lisbon Treaty’s U-turn regarding the process of European constitutional consolidation is more symbolic than real (para. 1). The author considers
the formal aspects first of all (para. 2), emphasising the difference between the
logic of consensus characterising international relations (which finds its expression
in the unanimity rule) and the logic of the majority that informs constitutionalism,
including federal constitutionalism (which is considered in some detail). The author notes, however, that the “Convention Method” (revived by the Lisbon Treaty
in the limited context of the ordinary treaty amendment procedure) introduces an
element of constitutional DNA into the process (para. 3). Going on to examine the
substantive aspects, he emphasises that, despite differences in content and systemic
architecture, both the Constitutional Treaty and the Reform Treaty contain a body
of substantively constitutional rules (para. 4). Having specific regard for the uncertainty created by the negative outcome of the Irish referendum (para. 5), the author evaluates the present situation (in which the Treaties remain unaltered) and
argues that a European Constitution already exists today, scattered among the
Treaties and ascribable to the politico-ideological tradition of modern constitutionalism (para. 6). As for the relationship between such a “constitution” and the
constitutions of the Member States, the author considers that the preferable approach during the current stage of the European integration process is a pluralistic
one and that the principle of the relativity of legal values should consequently be
applied (para. 7).