Il luogo del delitto Quale abitante di una città non

Transcript

Il luogo del delitto Quale abitante di una città non
Il luogo del delitto
Quale abitante di una città non ha sognato almeno
una volta nella vita di lasciare smog, traffico, caos, folla
e scappare in campagna? Gli americani, che devono soffrire della nostra stessa sindrome, ci hanno fatto anche un
film, Scappo dalla città − La vita, l’amore e le vacche. È
quello che ho fatto io una decina d’anni fa, con esiti alcune
volte comici e altre drammatici. Ovviamente nulla di ciò
che è raccontato in questo libro è accaduto davvero, ma i
sentimenti contrastanti che può suscitare in un cittadino
la vita in un contesto così poco urbanizzato, quelli sono
assolutamente reali.
La mia fuga ha avuto come sfondo le colline del Monferrato casalese, luoghi di grande pace e tranquillità, a
tratti bellissimi, dove ho incontrato persone che mi hanno
accolta con gentilezza e amicizia. Ma ogni medaglia ha il
suo rovescio che, come ricorda il proverbio, non è sempre
scintillante come il dritto.
D’inverno la fanno da padrona nebbia e freddo pungente, un freddo a cui noi cittadini non siamo avvezzi, abituati a case e uffici riscaldati all’eccesso, mentre d’estate le
zanzare imperversano senza tregua. Se finisci lo zucchero
devi prendere la macchina e andare in paese a comprarlo
invece che suonare al vicino di casa. Il tabaccaio più prossimo è a 3 km di distanza e la strada non è pianeggiante.
Ma questo non è niente paragonato al silenzio e alla bellezza dei panorami. Il problema vero è semplicemente che,
almeno quella parte di Monferrato che ho conosciuto io,
vive secondo logiche diverse e spesso incomprensibili.
5
il luogo del delitto
Pochi mesi dopo il nostro arrivo un vicino di casa, un
anziano contadino che era stato sindaco e la cui casa scoppiava di libri, ci ha consigliato la lettura de Il mondo dei
vinti di Nuto Revelli, 85 interviste in cui uomini e donne
piemontesi, nati a cavallo del secolo in pianura, collina e
montagna, raccontano le loro storie. Storie di guerre, di
lavoro, di fatica e di solitudine. Storie di fame e miseria.
Storie di speranza.
È stata una lettura illuminante che ci ha permesso di
capire il perché di un attaccamento alla terra e alle tradizioni che prende la forma di un atteggiamento chiuso e
sospettoso. Del “non sono qui per vendere, sono qui per
comprare” pronunciato da un anziano cui un amico aveva
proposto l’acquisto di una delle sue numerose proprietà.
Del contadino arrabbiato per il furto di una melanzana, ma
“una melanzana da concorso”. Dell’odio atavico che separa due abitanti della stessa borgata composta da sei case.
Dell’invidia. Dei pettegolezzi. Dei segreti che uniscono e
separano.
Poi c’è l’isolamento. Splendido meraviglioso isolamen­
to, nessuno che urla sotto il tuo balcone alle due del mattino, nessuna metropolitana all’ora di punta, nessuna coda
alla cassa. Ma dopo i primi mesi di sollievo annaspi alla
ricerca di esseri umani e quando ti rendi conto che gli unici
posti dove incontrarne sono il mercato, i bar pieni di giovani e meno giovani che per distrarsi si riempiono di birra
e barbera, le saghe di paese, inizi a deprimerti.
L’unico cinema è un multisala dove danno solo film
di cassetta. A teatro arrivano compagnie che utilizzano
la provincia per la prova generale di spettacoli che porteranno con più impegno nelle grandi città. I concerti sono
quelli delle band locali, che qualcuna buona c’è, ma non
proprio tutte. I discorsi vertono sulla quotidianità, il tempo
e il lavoro, perché per le idee non c’è né il tempo né l’interesse, che quelle non fanno mangiare.
6
il luogo del delitto
Se sei fortunato come lo sono stata io riesci comunque
a trovare persone aperte, disponibili, appassionate, ironiche, visionarie, rivoluzionarie, divertenti e disinteressate
con cui dividere l’ottimo cibo e il buon vino che si produce
qui.
Per un po’ si può resistere, ma alla fine torna a farsi
sentire il richiamo della città, con le sue luci al neon e il
cemento e il suono di lingue diverse e i discorsi rubati sul
tram e il gelato sotto casa e le mille possibilità che non si
ha il tempo di sfruttare. E i week end in campagna, per
rilassarsi un po’.
“Qui è tutto verde, verde pallido, verde pisello, verdone, verdolino, verde acido, verde scuro. Prati, steli, fronde,
grano giovane, verdure, distese e distese di verde, interrotto qua e là dal marrone della terra appena lavorata, dei
tronchi, del sottobosco, delle strade battute. Non tutto marrone omogeneo come nei disegni dei bambini, ma marrone
grigio, marrone rosso, marrone verde, marrone giallo, che
però resta sempre e comunque marrone. Verde e marrone e
strade deserte. Forse questa vita non fa per me.”
Almeno su questo punto, io e Chiara siamo perfettamente d’accordo.
7
1.
Gli occhi bruciano per il freddo pungente, mentre la
nebbia, densa come cotone e dello stesso bianco, ma un
po’ più sporco, produce un’umidità che entra nelle ossa. È
calata all’improvviso e adesso per tornare a casa possiamo
solo affidarci all’istinto dei cavalli, perché non si vede a
più di un metro dal naso.
Il silenzio è calato di colpo, un attimo prima stavamo
ridendo e quello dopo siamo stati inghiottiti da questa coltre spessa che ci ha tolto la parola. Sono un po’ spaventata
e i miei compagni non sembrano più a loro agio di me. Per
tranquillizzarmi cerco di concentrarmi sulle chiacchiere di
prima. Enzo... ma come si fa a entrare nel bar del paese,
strafarsi di Vecchia Romagna e poi mettersi a raccontare
che tua madre se la faceva con tuo zio e che tu in realtà sei
figlio suo? È vero che da lui ci si può aspettare di tutto. Un
giorno suo padre gli ha chiesto di andare a fare pulizia nel
meleto e lui ha tagliato tutte le piante con la motosega, le
ha fatte a pezzi e le ha accatastate in cortile. E quella volta
al bar, appoggiato al bancone a chiacchierare amabilmente
con la proprietaria, ignara del fatto che sotto alla camicia
non indossasse né i calzoni né le mutande?
L’urlo ci coglie all’improvviso, ma è impossibile capire da dove arrivi, le onde sonore seguono l’andamento
delle vallate e quello che a noi sembra vicino in realtà può
essere lontanissimo. Poi si distinguono delle parole: “Via,
andate via”. E poi un altro grido, più un lamento questa
volta, lungo e disumano. “Papà, papàààà.”
9
sarah sajetti
La pelle d’oca sulle mie braccia non è dovuta al freddo. Ci siamo tutti fermati senza quasi avere il coraggio di
respirare, ma è tornato il silenzio e ci rimettiamo in cammino.
− Da dove veniva secondo voi?
− Non lo so, questa maledetta nebbia mi ha disorientato, non ho la più pallida idea di dove siamo.
− Neanch’io. Speriamo che i cavalli sappiano quello
che stanno facendo. Non vedo l’ora di arrivare a casa, ho
freddo e inizio a essere terrorizzata... Cosa può essere successo?
− Niente di bello. Aspettate... sono sirene queste?
− Sì.
− Cazzo, siete sicuri che non siamo finiti in un reality?
Tutta questa cosa è troppo assurda, la nebbia, le grida e
adesso le sirene, non può essere vero.
− Oppure è stata una strega, te l’hanno raccontato Chiara che questa è zona di streghe?
− Sì, e non mi sembra il momento più adatto per approfondire l’argomento! Ancora nessun segnale il telefono? Il
mio è morto.
− Morto anche il mio. Però è già passata mezz’ora, tra
non molto dovremmo essere arrivati...
− Sempre che Matilde abbia preso la strada giusta.
I miei neuroni rimbalzano a caso nella scatola cranica
inseguendo i pensieri più diversi, nessuno però piacevole:
Enzo, le streghe, la nebbia, le grida.
Finalmente mi sembra di distinguere una macchia più
luminosa e con sollievo riconosco la sagoma delle stalle.
− Un brindisi per festeggiare?
− Perché no, un bicchiere di vino è proprio quello che
ci vuole!
Dopo aver sistemato gli animali ci dirigiamo sollevati
verso casa, già pregustando il caldo, il sapore asprigno del
barbera locale e il sorriso allegro di Marco. Che invece
10
storie di streghe e di delitti
è seduto al tavolo con aria assorta e un po’ cupa, le mani
incrociate sul piano di marmo, lo sguardo fisso sulle mani.
Alessandra non è a casa e una morsa di ferro mi stringe
con violenza le budella.
− È... è successo qualcosa?
− È morto Enrico Mancuso, l’allevatore...
Per un momento mi rilasso, poi metto a fuoco le sue
parole. Io e i ragazzi ci guardiamo con gli occhi sgranati.
− Abbiamo sentito un urlo disperato e poi delle sirene...
Era lui?
Marco fa un leggero cenno del capo, poi riprende a parlare.
− Era nella porcilaia e per qualche motivo le scrofe lo
hanno attaccato e ucciso a morsi.
− Cazzo, stai scherzando vero?
− Ti sembra la faccia di uno che sta scherzando?
− Ma com’è potuto succedere?
− Se le scrofe avevano i piccoli intorno può essere per
quello, diventano imprevedibili.
− Ma non c’era nessuno in cascina?
− Il figlio, ma era nel recinto delle mucche, quando ha
sentito le urla è accorso ma era già troppo tardi...
− Ommadonna, l’ha... l’ha trovato Enzo?
− Sì. L’hanno portato in ospedale, era sotto choc. Nei
miei quarant’anni in polizia ho visto cose terribili, ma questa le supera tutte.
11