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Il Sublime e il Comico, una lettura di Northanger Abbey.
Prima opera completa di Jane Austen, composta tra il 1797 e il 1803 1, Northanger Abbey, uscì
soltanto postuma nel 18182, insieme al suo ultimo romanzo Persuasion. Relegata ai margini della
“biblioteca austeniana”, fu oggetto di una complessa vicenda editoriale che vide intavolarsi una
bagarre tra l’autrice e l’editore Crosby di Londra al quale ne aveva affidato la pubblicazione.
Acquistato alla cifra di 10 sterline dall’editore e pronto per la pubblicazione già nel 1803, non fu
mai dato alle stampe, secondo le parole dell’autrice infatti: ≪This little work was finished in the year
1803, and intended for immediate publication. It was disposed of to a bookseller, it was even advertised, and
why business procedeed no farther, the author has never been able to learn.≫3 In esso coesistono due
filoni distinti che parodiano l’uno il romanzo gotico, con preciso riferimento alle opere della
Radcliffe, e l’altro il novel of sensibility, generi allora estremamente in voga. La protagonista di
Northanger Abbey, Catherine, è l’esatto contraltare di Emily4, il suo doppio scialbo e senza pretese,
un’eroina spogliata di tutte le sue fattezze, insomma un’anti- eroina. Jane Austen ammicca al lettore
fin dalle prime righe, presentando un quadro affatto lusinghiero ma del tutto veritiero della
protagonista: ≪She had a thin awkward figure, a sallow skin without colour, dark lank hair, and strong
feautures[..]5≫. Alla normalizzazione dell’eroina a vantaggio di una fanciulla dai tratti mediocri,
intrisa di una cultura domestica, si aggiunge un’insana propensione di Catherine per i romanzi
gotici, di cui nutre avidamente la sua persona e dunque la sua fantasia. Le letture, infatti, non sono
una componente aggiuntiva della sua piccola realtà, ma la chiave di lettura con la quale interpreta il
mondo, la sua personalissima lente d’ingrandimento, nella quale la banalità dell’esistente assume
connotati grandiosi e misterici.
Il romanzo presenta un’architettura apparentemente semplice e lineare: due sono i blocchi narrativi
principiali che rimandano alle due forme parodiche mentre quattro le famiglie attorno a cui ruota
l’intera vicenda. Il primo blocco, di cui la lacrimosa letteratura sentimentale è il chiaro bersaglio
polemico, evoca il motivo della ≪young lady’s entrance into the world≫6, Catherine viene infatti
invitata a trascorrere con i signori Allen, gli unici vicini con cui la sua famiglia intrattenga qualche
rapporto, a trascorrere un periodo di vacanza a Bath. Quest’ultima, cittadina termale dell’Inghilterra
sudoccidentale, costituiva uno dei centri mondani per eccellenza dove abbandonarsi tra un ballo e
1
JANE AUSTEN, L’Abbazia di Northanger, Milano, Garzanti, 2013 p. XIX.
Ibidem.
3
JANE AUSTEN, L’Abbazia di Northanger, Roma, Newton Compton, 1999, p.7.
4
Il riferimento è a Emily, protagonista dei The Mysteries of Udolpho (Radcliffe).
5
JANE AUSTEN, Northanger Abbey, Londra, Penguin, 1994, p.1.
6
BEATRICE BATTAGLIA, La zitella illetterata, Napoli ,Liguori, 2009, p.32-3
2
un thè alle frivolezze di una chiacchera del tutto improduttiva, e dove camminare per le vie o
frequentare i posti più in voga, poteva significare incontrare un nuovo amore. Ed è proprio qui che
la nostra eroina fa la conoscenza di due famiglie essenziali ai fini del romanzo: la famiglia dei
Thorpe, in particolare nella figura della figlia maggiore Isabella e del fratello John e la famiglia dei
Tinley costituita dai fratelli Eleanor e Henry e dal loro padre. Isabella, salottiera per eccellenza,
diverrà rapidamente la prima vera amica di Catherine e, con la medesima rapidità, sua antagonista,
quando, squarciato il velo delle apparenze e delle ipocrisie, si svelerà come autentica arrivista. Con
John, un tipo grossolano, instaurerà un rapporto ambiguo, fatto di corteggiamenti falsamente riusciti
da parte di lui e indifferenza mista a irritazione da parte di lei. L’incontro fortuito avverrà però con
Henry Tinley, un’infatuazione immediata, il quale assumerà su di sé i ruoli opposti e complementari
dell’eroe delle sue fantasie e pedagogo di una nuova realtà a lei sconosciuta, la realtà del mondo. I
due giovani Tinley condurranno la protagonista nella seconda parte del romanzo, la parte forse più
interessante, dove la parodia del romanzo gotico trova il suo spazio d’elezione nell’antica Abbazia
di Northanger. Invitata a trascorrere un periodo di festività nell’Abbazia, dimora dei Tinley,
Catherine non esita a dare il suo consenso, spinta dalla duplice infatuazione per Henry ma anche, e
soprattutto, per l’edificio in sé, ≪[..] a fine old place, just like what one reads about≫7. Il quadro della
fantasia gotica di Catherine è presto delineato dalle parole di un ironico Tinley, che la introduce
così nel vivo delle sue fantasmagorie e della sua residenza: ≪ But on the second, or at farthest the third
night after your arrival, you will probably have a violent storm. Peals of thunder so loud as to seem to shake
the edifice to its foundation will roll round the neighbouring mountains; and during the frightful gusts of
wind which accompany it, you will probably think you discern(for your lamp is not extinguished) one part of
the hanging more violently agitated than the rest. Unable of course to repress your curiosity in so favourable
a moment for indulging it, you will instantly arise, and, throwing your dressing-gown around you, proceed to
examine this mystery.≫8 Nell’Abbazia di Northanger ella inizia a scorgere un alone di mistero attorno
ad ogni oggetto ritenuto insolito, garante di oscuri presagi e crede, con altrettanta convinzione, che
l’edificio sia sede di tetri orrori . Tre momenti risultano significativi ai fini dell’artificio gotico: la
scoperta di un baule dalla foggia singolare, che si rivela il contenitore per le lenzuola; un armadietto
nel quale un sinistro documento si scopre essere una vecchia lista della spesa; l’errata convinzione
che il generale abbia compiuto un atroce delitto ai danni della moglie o che, nella migliore delle
ipotesi, la tenga reclusa in una segreta dell’Abbazia. Il terzo momento rappresenta l’apice della
follia libresca di Catherine: convinta che dietro la reticenza del generale nel visitare un’ala
dell’edificio si celi il più temibile degli omicidi, si spinge a visitare sola la stanza della defunta
moglie, ma già paralizzata da ≪[..]a large, well proportioned apartament, an handsome dimity bed,
7
8
JANE AUSTEN, Northanger Abbey, Londra, Penguin, 1994, p.142
Ivi p. 143-4
arranged as unoccupied, with an housemaid’s care, a bright Bath stove[..]≫9, è costretta dall’inatteso arrivo
di Henry a confessare i terribili sospetti. Difronte alla fallacia della sua ipotesi uxoricida Catherine
si piega all’evidenza della realtà e, debitamente ammaestrata dalle riflessioni del suo cavaliere,
rinuncia alla costruzione di ulteriori fantasie grottesche. La rinuncia al mondo mentale fittizio si
esplica nei termini di un’agnizione che conduce la protagonista a riconosce per la prima volta la
realtà dell’esistenza. A questa altezza il romanzo interrompe la palese parodia del gotico poiché il
filo tra il gotico e la protagonista è ormai reciso e il mondo mentale passato viene rigettato nei
termini di una ≪folly [..] even criminal≫10. La narrazione assume i toni rassicuranti di una ≪domestic
comedy≫11 tra un’amabile colazione con Eleanor, ormai amica fraterna, e una passeggiata per il
bosco adiacente all’Abbazia fintanto che, inspiegabilmente, il generale muta l’atteggiamento
improntato alla più squisita gentilezza nei confronti di Catherine e la scaccia malamente dalla sua
abitazione senza preoccuparsi di fornire spiegazione alcuna. Si scoprirà in seguito che il generale,
venuto a conoscenza dell’erroneità della sua convinzione di aver trovato in Catherine una ricca
ereditiera, degna sposa di Henry, aveva voluto così allontanare l’aspirante sposa e dimostrare il suo
sdegno nei suoi confronti. I due giovani riusciranno comunque a convolare a nozze e il romanzo si
concluderà con un, seppur paradossale, “e vissero tutti felici e contenti”. Spostando i termini della
questione dalla trama alla struttura romanzesca, dobbiamo innanzitutto specificare che analizzare
Northanger Abbey sul duplice piano della parodia e dello strumento linguistico, significa inserire il
romanzo in un’intertestualità a cui fa riferimento e capire, più in fondo, il genio della Austen. Il
merito di Jane Austen non è soltanto quello di aver “fatto il verso” a un genere coevo, ma di aver
plasmato lo stesso genere parodico a suo piacimento e di aver offerto il romanzo così a letture
diverse. Innanzitutto l’uso del narratore onnisciente che conosce debolezze e ingenuità della
protagonista e si muove, contestualmente al lettore di cui è complice, dietro a Catherine, instaura un
rapporto fiduciario con il lettore che, come vedremo in seguito, non verrà del tutto rispettato. Il
lettore è portato a identificarsi con l’ironia della voce narrante, facendosi beffa della protagonista in
un misto di scherno e pietà, ma è costretto a vedere la realtà soprattutto attraverso il punto di vista di
Catherine e talvolta, attraverso altri personaggi. L’uso del discorso indiretto libero, tecnica utilizzata
consapevolmente dall’autrice, rende facile l’immedesimazione nella protagonista benché la sua
inaffidabilità sia denunciata dal narratore. Un punto di vista privilegiato invece risulta quello di
Henry che, con la sua autorevolezza, coincide spesso, ma non sempre, con la voce narrante. Il
riferimento intertestuale più evidente è a The female Quixote; or, the adventures of Arabella12,
9
Ivi, p.178.
Ivi, p. 183
11
BEATRICE BATTAGLIA, La zitella illetterata, Napoli ,Liguori, 2009, p.34.
JANE AUSTEN, L’Abbazia di Northanger, Firenze, 2008, p. 16.
10
romanzo di Charlotte Lennox del 1752 che, stando alle dichiarazioni della stessa Austen, aveva letto
e approvato, tanto da farne ≪il suo divertimento serale≫13. Il romanzo narra la storia di Arabella, una
fanciulla che, infarcita di letture di romanzi cavallereschi francesi, arriva a leggere la realtà
attraverso essi e a credersi un’eroina alla stregua delle sue letture. Due sono i punti di contatto più
evidenti: la totale incapacità di delineare un confine tra il reale e il mondo immaginifico e il
momento dell’agnizione che si delinea in scene di disperazione quasi sovrapponibili. Lo scarto tra i
due romanzi però avviene proprio all’altezza dell’agnizione, rendendo evidente il divario nell’uso
dello strumento parodico. Arabella, infatti, scoperta l’irrealtà del suo mondo fittizio costellato di
avventure di stampo cavalleresco, aderisce completamente al nuovo universo sociale integrandosi
con efficacia, in Northanger Abbey invece, sebbene le causa scatenante e la reazione sia la
medesima, il finale non sembra così scontato. Si assiste infatti a due movimenti opposti, l’uno che
conduce verso la visione del reale propinata a Catherine da Henry, alla quale lei mestamente
aderisce e l’altro movimento contrario, che si muove in direzione di un’ulteriore lettura che non
coincide con quella iperbolica di Catherine né tantomeno con quella di Henry. Infatti, dopo aver
rigettato le sue assurde fantasie, Catherine sarà brutalmente scacciata dall’Abbazia, costretta a
partire in tutta fretta sola e senza denaro a dispetto di ogni convenzione sociale, proprio da quel
personaggio che si era dimostrato così indulgente nei suoi confronti. Il lettore capisce dunque di
non trovarsi difronte a un generale malvagio alla stregua di Montoni, villain di The Mysteries of
Udoplho, come Catherine pensa dapprincipio, ma neppure difronte a un personaggio bonario che
agisce rettamente. Il romanzo acquista un’ulteriore potenziale poiché ≪l’aspetto maligno del gotico
(denaro, autoritarismo del padre)≫14 è ripristinato e il contro-movimento determina una parodia elevata
alla seconda potenza.
Il lettore critico, finora confortato dalla voce narrante, subisce uno
spiazzamento realizzando di non trovarsi né nel territorio immaginifico lievitato di Catherine né
nello
spazio
di
un
mondo
edulcorato
dalla
lettura
di
Henry.
Siamo giunti al termine del romanzo: lo scheletro dell’artificio gotico si è polverizzato collassando
su se stesso, Catherine ha quasi concluso il suo percorso formativo, nessun ammonimento
didascalico arriva invece al lettore, solo un dubbio, un’incertezza, forse la fantasia non è poi meno
reale del reale. L’ultimo sorriso spetta sempre a Jane Austen che, spingendoci in una direzione e
tirandoci dall’altra, non smette di prendersi gioco e di ridere nemmeno alle nostre spalle.
13
14
Ibidem.
BEATRICE BATTAGLIA, La zitella illetterata, Napoli , Liguori, 2009, p.157.
Decostruendo ulteriormente i termini della questione e spostando il nostro focus dalle pieghe del
romanzo a un’ottica globale, ci troviamo difronte a un discorso che affonda le radici dentro un
dibattito filosofico di vecchia data. Se l’uso del Sublime aveva condizionato e orientato la
letteratura inglese nel XIX secolo e oltre nella direzione della letteratura gotica, l’uso parodistico di
tal genere andava a scardinare il legame tra il Sublime e gotico cedendo il passo a un nuovo
elemento: il Comico. Una delle riflessioni più recenti e compiute in merito, è il saggio del 1837
Friedrich Theodor Vischer15, poeta e filosofo post hegeliano, oggi disponibile in traduzione italiana
a cura di Elena Taviani.
Secondo Vischer, il Bello è definibile come ≪l’apparire sensibile dell’idea che si manifesta in un
fenomeno limitato≫16 ed è proprio a partire da questi due momenti, fenomeno sensibile e idea, che si
genera la sua riflessione sul Sublime e il Comico. Ricorrendo efficacemente alla metafora della
bilancia, Vischer immagina il Bello come momento di equilibrio tra il dato sensibile e quello ideale,
equilibrio che si perde con il Sublime dove sussiste una sproporzione tra i due a vantaggio del
momento ideale. Nella categoria del Comico, invece, permane lo sbilanciamento ma in forma
rovesciata: il piatto dell’immaginaria bilancia contenente il dato ideale balza con una spinta in alto,
elevato dalla pesantezza del fenomeno sensibile. La spinta giunge inoltre improvvisa poiché inattesa
poiché la nostra aspettativa di trovarci difronte a qualcosa di Sublime viene ≪dissolta con la bagatella
di qualcosa di appartenente al mondo dei fenomeni più insignificanti che finisce tra le gambe del Sublime e
lo fa cadere. Vischer arriva a sostenere che ci sia una sorta di giustizia compensatoria che garantisce
che ≪tutto non si risolva in una celebrazione dei trionfi dell’idea e della sua eccedenza rispetto al dato
sensibile≫17 e dunque che ≪lo slancio al superamento del finito va trattenuto sulla soglia del finito≫18. Il
Comico dunque è da intendersi come una sorta di contro-movimento rispetto al movimento
primario del Sublime è sostanzialmente ≪portato in grembo ≫19 da esso e generato da una sorta di
≪lievitazione interna20≫.
La destrutturazione del romanzo si arricchisce ora di un nuovo strumento cognitivo: il saggio di
T.Vischer, che ci suggerisce indirettamente alcune linee guida per una lettura che vada alla radice
della questione. Il fondamento su cui si impernia il Comico in quanto sproporzione rovesciata tra
ideale e fenomeno sensibile che genera la caduta nel ridicolo è infatti il meccanismo di base del
romanzo. Il sistema, che risulta evidente nei momenti emblematici della parodia del gotico, è in
15
VISCHER FRIEDRICH T., Il sublime e il comico, trad.it di E.Taviani, Aesthetica, 2000.
Ivi, p. 89.
17
Ivi, p.30.
18
Ibidem.
19
Ivi, p.32.
20
Ibidem.
16
realtà perfettamente delineato lungo tutto il corso del romanzo. È l’aspettativa di un’eroina dal
passato infausto e dal presente occupato da oscuri presagi quella che viene delusa, è la certezza di
un ritorno trionfante insieme all’eroe dei sogni a sfumare in una carrozza solitaria, è l’assoluta
insipienza di Catherine atta a non destare lo sguardo di nessun passante se non il riso del lettore, è
insomma tutto l’artificio fantastico a cadere rovinosamente dalle vette dell’ideale nel più insipido
dei banali. Due linee tangenti nel medesimo obiettivo traccia Jane Austen: un movimento sommerso
alle spalle della protagonista e uno immerso nei suoi gesti, di cui si fa fautrice. Il primo movimento
costituisce la struttura ossea di Northanger Abbey, la costruzione di un apparato che renda evidente
la discrepanza tra un’esistenza connotata in negativo di Catherine (≪not less unpropitious for heroism
seemed her mind≫21) e le eroine dei romanzi gotici. Il secondo movimento invece è la stessa Jane
Austen a renderlo palese e a indicarcelo, a prepararci la sedia per assistere allo spettacolo della
caduta in scena di Catherine, e si riscontra nei passi emblematici del testo quali la scoperta del
baule, dell’armadietto o del mancato assassinio. Durante tutto il romanzo quindi c’è una messa in
rilievo
di
quei
≪dettagli
sensibili
che
tolgono
di
colpo
la
parvenza
dell’infinito≫.22
Uno sgambetto continuo è quello operato dunque dal Comico nei confronti del Sublime, una
dialettica destinata a rimanere aperta, in cui il Comico partecipa alla natura del Sublime poiché
ammette capovolte le due realtà contraddittorie dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente
grande, con una rivincita del primo sul secondo. Forse il Comico, che ride con noi e su di noi ci è
più vicino, ha l’aria di essere più familiare poiché la natura umana con le sue cadute, con le sue
bassezze, con la sua finitezza è tanto più vicina all’infinitamente piccolo che all’infinitamente
grande.
21
22
Northanger Abbey, Londra, Penguin, 1994, p.1, (corsivo mio).
VISCHER FRIEDRICH T., Il sublime e il comico, trad.it di E.Taviani, Aesthetica, 2000, p.42