La difesa della vite dagli artropodi dannosi

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La difesa della vite dagli artropodi dannosi
La difesa della vite
dagli artropodi
dannosi
a cura di
S. Ragusa - H. Tsolakis
Università degli Studi di Palermo
La difesa della vite
dagli artropodi dannosi
a cura di
S. Ragusa - H. Tsolakis
Università degli Studi di Palermo
La difesa della vite dagli artropodi dannosi / a cura di S. Ragusa, H. Tsolakis. Palermo : Università degli studi di Palermo, 2006.
1. Parassiti della vite - Congressi – 2005.
2. Congressi Marsala – 2005.
I. Ragusa, Salvatore <1941->.
II. Tsolakis, Haralabos <1964->.
634.82 CDD-21
SBN Pal0204611
CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”
Indice
INTRODUZIONE
1.
2.
3.
IL RUOLO DELLA O.I.L.B. NELLA VITICOLTURA MODERNA
(G.C. Lozzia, I.E. Rigamonti)
1.1. Introduzione
1.2. Definizione delle linee teoriche strategiche
1.3. Indicazione dei percorsi attuativi e dei requisiti
1.4. Sviluppo e divulgazione di pratiche colturali innovative
1.5. Considerazioni
1.6. Autori citati
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PROBLEMATICHE CONNESSE ALLA DIFESA BIOLOGICA E INTEGRATA
DELLA VITE (G. Viggiani)
2.1. Introduzione
2.2. Problematiche generali
2.3. Problematiche specifiche
2.3.1. Il controllo degli acari
2.3.2. Il controllo della tignoletta
2.3.2.1. Controllo chimico
2.3.2.2. Controllo Biologico
2.3.2.3. Confusione sessuale
2.3.3. Il controllo delle cicaline
2.3.4. Il controllo delle cocciniglie
2.3.5. Il controllo dei tripidi
2.3.6. La protezione degli artropodi utili
2.4. Considerazioni conclusive
2.5. Autori citati
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SOGLIE ECONOMICHE D’INTERVENTO E TECNICHE DI CAMPIONA(G. Delrio)
3.1. Introduzione
3.2. Tignole della vite
3.3. Cicaline
3.4. Cocciniglie
3.5. Tripidi
3.6. Acari
3.7. Considerazioni
3.8. Autori citati
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ASPETTI BIOETOLOGICI E TECNICHE DI CONTROLLO DEGLI AUCHE(A. Arzone)
4.1. Cenni di morfologia degli Auchenorrinchi
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MENTO DEI PRINCIPALI FITOFAGI DELLA VITE
4.
9
NORRINCHI VITICOLI
3
4.2.
4.3.
4.4.
4.5.
4.6.
5.
6.
Cenni di biologia
Cenni di etologia
La situazione italiana degli Auchenorrinchi
4.4.1. Metcalfa pruinosa Say
4.4.2. Stictocephala bisonia Kopp & Yonke
4.4.3. Cicadella viridis (L.)
4.4.4. Empoasca vitis (Göthe)
4.4.5. Jacobiasca lybica Bergevin & Zanon
4.4.6. Zygina rhamni Ferrari
4.4.7. Arboridia dalmatina (Novak & Wagner)
4.4.8. Nuove introduzioni
Problematiche di difesa
Autori citati
AUCHENORRINCHI VETTORI DI AGENTI FITOPATOGENI DI INTERESSE VITICOLO (A. Alma)
5.1. Introduzione
5.2. I Fitoplasmi
5.3. I Vettori
5.4. I Fitoplasmi della vite e i Vettori
5.4.1. Flavescence dorée (FD)
5.4.2. Scaphoideus titanus Ball
5.4.3. Bois noir (BN) = Vergilbungskrankheit (VK) =
Legno nero (LN)
5.4.4. Hyalesthes obsoletus Signoret
5.5. Considerazioni
5.6. Autori citati
LE TIGNOLE DELLA VITE: NOTIZIE BIOETOLOGICHE E TECNICHE DI
(T. Moleas)
6.1. Introduzione
6.2. Etologia ed Ecologia
6.2.1. I volo
6.2.2. II Volo
6.2.3. III volo
6.2.4. IV Volo
6.3. Sintomatologia e danni
6.4. Controllo integrato
6.5. Prospettive future per il controllo di L. botrana
6.6. Autori citati
CONTROLLO
7.
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THE IMPORTANCE OF THE VEGETATION SURROUNDING THE AGROSYSTEMS ON PREDATORY MITES ASSOCIATED TO VINEYARDS
(S. Kreiter, M.-S. Tixier, Z. Barbar)
7.1. Introduction
7.2. Quantification of phytoseiid mite diversity and population density
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7.3.
7.4.
7.5.
7.6
7.7.
7.8.
8.
7.2.1. Material and methods
7.2.2. Results and discussion
7.2.3. Conclusion
Some possible factors affecting density and diversity
of phytoseiid mites in the surroundings
7.3.1. Material and methods
7.3.2. Results and Discussion
7.3.3. Conclusion: some possible factors that affect
phytoseiid mite densities and diversity in the
surroundings and further studies needed
Phytoseiid mites dispersal
7.4.1. Material and methods
7.4.2. Results
7.4.3. Discussion
7.4.4. Conclusion
Relatonships between K. aberrans populations in vineyards and uncultivated areas
7.5.1. Material and methods
7.5.2. Results
7.5.3. Discussion
7.5.4. Conclusion
Settlement of migrants
7.6.1. Material and methods
7.6.2. Results and discussion
General conclusion
References
CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEGLI ACARI FITOFAGI DELLA VITE
NEI PAESI DEL BACINO MEDITERRANEO (P. Papaioannou-Souliotis)
8.1. Introduzione
8.2. Acari fitofagi segnalati sulla vite in ambiente europeo
e mediterraneo
8.2.1. Tetranychidae
8.2.1.1. Panonychus ulmi (Koch)
8.2.1.2. Tetranychus urticae Koch
8.2.1.3. Eotetranychus carpini (Oudemans)
8.2.2. Tenuipalpidae
8.2.2.1. Brevipalpus lewisi (McGregor)
8.2.3. Eriophyidae
8.2.3.1. Calepitrimerus vitis (Nalepa)
8.2.3.2. Colomerus vitis (Pagenstecher)
8.2.3.3. Eriophyes oculivitis (Hassan)
8.3. Predatori
8.3.1. Acari predatori della famiglia Phytoseiidae
8.3.2. Insetti predatori
8.4. Autori citati
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5
9.
10.
6
IL CONTROLLO BIOLOGICO ED INTEGRATO DEGLI ACARI FITOFAGI
ASSOCIATI ALLA VITE (C. Duso)
9.1. Le prime segnalazioni di specie dannose alla vite in
Italia
9.2. Le ipotesi sulle cause di pullulazione degli acari fitofagi
9.2.1. Gli effetti della gestione fitoiatrica sui predatori
9.3. La riscoperta del controllo biologico nel contesto della
lotta integrata
9.3.1. Le componenti del controllo biologico: gli insetti
predatori
9.3.2. Le componenti del controllo biologico: gli acari
predatori
9.3.3. La presenza degli acari predatori Fitoseidi nei
vigneti europei
9.3.4. Le specie di fitoseidi più comuni nei vigneti dell’Italia settentrionale
9.3.4.1. Typhlodromus pyri Scheuten
9.3.4.2. Amblyseius andersoni (Chant)
9.3.4.3. Kampimodromus aberrans (Oudemans)
9.3.5. I Fitoseidi più comuni nei vigneti dell’Italia centro-meridionale
9.3.5.1. Tyhlodromus exhilaratus Ragusa
9.3.5.2. Phytoseius finitimus Ribaga
9.3.5.3. Typhlodromus phialatus Athias-Henriot
9.4. L’influenza della biodiversità botanica sulla presenza
dei Fitoseidi
9.5. L’evoluzione del controllo biologico ed integrato degli
acari dannosi alla vite
9.5.1. La valutazione della dannosità degli acari tetranichidi e le soglie d’intervento
9.5.2. La scelta degli acaricidi
9.5.3. Gli effetti collaterali dei prodotti fitosanitari sui
predatori degli acari fitofagi
9.5.4. La gestione dell’agroecosistema vigneto
9.5.5. La vegetazione spontanea quale risorsa per gli
equilibri biologici nei vigneti
9.5.6. Le introduzioni di Fitoseidi: è necessario introdurre ceppi resistenti?
9.6. Gli acari fitofagi rappresentano ancora un’importante
avversità della vite?
9.7. Autori citati
I FITOFARMACI DI ORIGINE VEGETALE: CENNI STORICI, ATTUALITÀ
E PROSPETTIVE DI SVILUPPO (H. Tsolakis)
10.1. Introduzione
10.2 . Cenni storici
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206
206
10.3.
10.4.
10.5.
10.6.
10.2.1. L’evoluzione della domanda di fitofarmaci di
origine vegetale nei paesi occidentali
10.2.2. L’evoluzione della domanda di fitofarmaci di
origine vegetale nel resto del mondo
Ricerca scientifica e prospettive di sviluppo
10.3.1. Problematiche applicative
Essenze vegetali di interesse economico
10.4.1. Annona spp.
10.4.2. Melia azedarach L.
10.4.3. Artemisia spp.
10.4.4. Citrus spp.
Considerazioni
Autori citati
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7
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni si è verificato in Italia un crescente interesse dei
consumatori verso i prodotti tipici in generale e per il vino in particolare. Ciò
ha portato da una parte ad una rivalutazione della coltura anche in zone che
sino a pochi anni or sono, erano considerate non adatte alla produzione di
vini di qualità e dall’altra ha fornito una spinta all’esportazione, portando il
paese al primo posto in Europa con 20 milioni di ettolitri di vino esportati.
L’Italia si trova oggi, nell’ambito della Comunità europea, al terzo posto in
ordine di superficie vitata con 827.000 Ha e in secondo posto in ordine di
produzione vinicola con 44 milioni di ettolitri di vino. Insieme alla Francia e
la Spagna detengono l’82% della produzione vinicola nell’Europa dei 25.
Si tratta, pertanto, di un settore economico importante che merita un
adeguato interesse da parte di chi è in grado di fornire strumenti validi per
ottenere non solo una produzione economicamente competitiva ma anche di
qualità. Il concetto di qualità varia notevolmente nell’ambito dei diversi
soggetti della filiera, passando dall’idea del prodotto integro ed esente da
qualsiasi traccia di parassita anche se ricco di residui di fitofarmaci, al
prodotto esente da residui di prodotti chimici anche a scapito dell’integrità.
Non si può, certamente, prescindere dall’aspetto quantitativo e
dall’integrità del prodotto che rappresentano le chiavi della convenienza
economica del processo produttivo ma, d’altra parte, le qualità
organolettiche, nonché la salubrità del prodotto, giocano oggi un ruolo
economico altrettanto importante. Questi aspetti sono strettamente legati
alla gestione fitosanitaria della coltura, giacché sono le tecniche adottate
per il controllo dei parassiti che influenzano direttamente sia il concetto di
qualità nelle sue diverse sfaccettature, che quello di gestione economica.
Nell’ambito del controllo delle avversità della vite, la ricerca si era
orientata verso la risoluzione dei problemi specifici e la ricognizione delle
varie componenti dell’agoecosistema limitatamente alle zone geografiche
dove la coltura era investita di importanza economica.
Pochi studi e abbastanza generici sono oggi a disposizione, invece, per le
zone vitivinicole che erano considerate di scarso interesse per la
vinificazione di qualità.
Una di queste aree, considerata finora marginale, è la Sicilia che detiene
oggi il 16% della superficie vitata e della produzione nazionale. D’altra
parte, numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali dimostrano che
la viticoltura siciliana inizia a non essere marginale neanche nell’ambito dei
vini di qualità.
In base a queste considerazioni si è pensato di organizzare un incontro
con diversi studiosi italiani e stranieri, che si sono occupati di vari aspetti
9
delle avversità entomatiche della vite. Lo scopo era quello di tracciare lo
stato dell’arte nell’ambito della difesa della vite dagli artropodi dannosi,
fornendo così ai tecnici e ai produttori del settore un valido strumento di
sintesi e ai ricercatori la possibilità di confrontarsi sui diversi aspetti e sulle
nuove frontiere della ricerca nel suddetto settore.
Come sede dell’incontro è stato scelto il comune di Marsala (Trapani),
perché zona di antiche tradizioni vitivinicole. Il convegno si è svolto il 10 e
l’11 ottobre 2005 nel centro Congressi “Complesso S. Pietro” gentilmente
messo a disposizione dal sindaco che qui desideriamo ringraziare non
soltanto per l’interesse mostrato per l’attuazione del convegno e per
l’ospitalità ma anche per la copertura di parte delle spese organizzative. Un
sentito ringraziamento è rivolto al presidente della Provincia Regionale di
Trapani e all’assessore all’agricoltura di quest’amministrazione sia per la
parziale copertura finanziaria delle spese del convegno nonché per l’attiva
partecipazione durante lo svolgimento del convegno.
Vogliamo, inoltre, ringraziare l’Assessorato Agricoltura e Foreste della
Regione Sicilia e l’Ente Sviluppo Agricolo per il prezioso contributo fornito
per la buona riuscita del convegno, nonché l’Assessorato ai Beni Culturali,
Ambientali e della Pubblica Istruzione, la Facoltà di Agraria dell’Università
di Milano e l’Ateneo di Palermo per avere contribuito alla stampa del
presente volume.
Un sentito ringraziamento è rivolto anche al personale amministrativo
della segreteria del Dipartimento S.EN.FI.MI.ZO. per la gestione
amministrativa del convegno e, naturalmente, ai colleghi che hanno
accettato il nostro invito rendendo possibile la realizzazione di
quest’iniziativa.
S. Ragusa - H. Tsolakis
10
1.
S. Ragusa & H. Tsolakis (eds)
La difesa della vite dagli artropodi dannosi
Marsala 10-11 ottobre 2005
Università degli Studi di Palermo - pp. 11-20
Il ruolo della O.I.L.B. nella viticoltura
moderna
G.C. LOZZIA, I.E. RIGAMONTI
Istituto di Entomologia agraria, Università di Milano, Via Celoria 2 – 20133
Milano
Riassunto
Gli Autori riferiscono su alcune attività della O.I.L.B. e in particolare
quelle riguardanti il Working Group “Integrated Protection and
Production in Viticulture”. Vengono, altresì, sottolineati il contributo
dell’Organizzazione allo sviluppo del concetto di “Azienda Integrata”
e il suo ruolo nello sviluppo e la promozione di tecniche agricole
innocue per l’ambiente.
Parole chiave: O.I.L.B., Viticoltura.
Abstract
The role of O.I.L.B. in the modern viticulture
Here is reported a brief summary on some I.O.B.C. activities, with
particular regard to those of the “Integrated Protection and
Production in Viticulture” Working Group. The contribution given by
the Organization to the development of the “Integrated Farming”
concept and its role in developing and promoting ecologically safe
management measures are underlined.
Key words: I.O.B.C., Viticulture.
1.1. INTRODUZIONE
L’Organizzazione Internazionale di Lotta Biologica ha celebrato
quest’anno i cinquant’anni di vita. La sua fondazione risale infatti al
1956, un’epoca in cui l’agricoltura stava vivendo un periodo di intense e
convulse trasformazioni. Nei Paesi economicamente più progrediti era
in corso da alcuni anni un processo di industrializzazione dell’attività
agraria, reso possibile dalla massiccia diffusione di numerosi mezzi
tecnici. In alcuni casi, come per le macchine agricole, i fertilizzanti
chimici o il miglioramento genetico, le relative tecnologie erano state
11
sviluppate già da tempo, ma il loro uso era stato fino a quel momento
relativamente limitato. In altri casi ci si trovava di fronte a importanti
innovazioni che stavano letteralmente rivoluzionando il campo di
applicazione, stiamo parlando ovviamente degli antiparassitari di
sintesi e della protezione delle colture. I successi conseguiti con queste
nuove armi furono sensazionali e in alcuni settori, come quello della
lotta ai vettori di malattie umane, portarono ad un decisivo
miglioramento delle condizioni di vita di milioni di persone.
In questa situazione vedeva quindi la luce l’O.I.L.B. che, come espresso
già dalla sua denominazione, si proponeva di promuovere tecniche
ecologiche di protezione delle piante nell’ambito agrario. La sua nascita
fu facilitata dalla consapevolezza che questi grandi risultati nel campo
delle capacità produttive comportavano necessariamente un impatto di
pari portata anche sulle strutture ecologiche. Tutto ciò richiedeva l’avvio
di studi approfonditi per comprenderne appieno la natura e l’entità,
finalizzati ad un reindirizzo delle tecniche produttive. Da quel momento
l’O.I.L.B., inserendosi in questo contesto, iniziò a dare il proprio
contributo, che si è estrinsecato nei decenni successivi a diversi livelli: di
elaborazione teorica, di definizione delle regole e normative attuative di
queste enunciazioni, di sviluppo e divulgazione di pratiche colturali
ecocompatibili, mediante la ricerca scientifica.
1.2. DEFINIZIONE DELLE LINEE TEORICHE STRATEGICHE
Nei primissimi anni di vita l’attività dell’O.I.L.B. fu orientata
essenzialmente all’introduzione di mezzi di controllo biologico
nell’ambito di strategie di protezione fitosanitaria basate
esclusivamente sull’uso del mezzo chimico. Ben presto però, evenienze
provenienti dalla realtà agraria, che confermavano considerazioni
teoriche sulle conseguenze di un orientamento meramente chimico della
protezione delle colture (resistenza, insorgenza di specie indotte,
problemi tossicologici, ecc.), portarono all’avvio di un processo evolutivo,
sia teorico che pratico, di cui l’O.I.L.B. fu, fin dagli inizi, uno degli attori
principali.
Il concetto teorico di base, esplicitato e ribadito in numerose
pubblicazioni, che da sempre ispira l’attività dell’O.I.L.B., può essere
descritto in estrema sintesi come l’ottenimento di un “sistema agrario di
produzione degli alimenti e di altri prodotti di alta qualità, che utilizza
risorse e meccanismi di regolazione naturale per rimpiazzare apporti
antropici dannosi all’ambiente ed assicurare un’agricoltura vitale a
lungo termine” (IOBC, 1993, 2004). Come sempre avviene in questi casi
si è verificata un’interazione tra elaborazione di strategie di gestione e
attuazione pratica. Da un lato le prime si adeguavano alle situazioni che
si affermavano nella realtà agraria e dall’altro ne influenzavano lo
sviluppo. A mano a mano che le nuove conoscenze venivano adottate
12
nella difesa fitosanitaria delle colture, anche le frontiere
dell’elaborazione teorica si aggiornavano, con lo sviluppo di nuovi
elementi concettuali. Così, mentre le linee teoriche generali dell’O.I.L.B.
sono fondamentalmente rimaste immutate, nel corso degli ultimi
decenni le strategie di lotta si sono succedute, e ognuna di esse è passata
via via dal rango degli obiettivi teorici a quello della realtà pratica per
finire, in alcuni casi, all’obsolescenza. Ciò nonostante, ognuno di questi
passi ha costituito, alla sua comparsa, un importante avanzamento non
solo per l’agricoltura ma anche per la società nel suo complesso.
È qui il caso di ripercorrere, in pochissime parole, questo processo nella
sua evoluzione. All’inizio l’attenzione era principalmente rivolta alla
semplice adozione di misure di lotta biologica in strategie puramente di
lotta chimica. Questa posizione venne rapidamente abbandonata con lo
sviluppo del concetto di Protezione Integrata delle colture. Già negli
anni ’70 però si ebbe un ulteriore sviluppo, che vedeva la Protezione
Integrata solo come una fase transitoria per giungere infine alla
Produzione Integrata. Momento emblematico di questo passaggio è la
famosa “Dichiarazione di Ovronnaz” del luglio 1976, dove questi concetti
vengono enunciati per la prima volta (IOBC, 1977). Il principio della
Produzione Integrata / Azienda Agricola Integrata è tuttora il cardine
delle strategie dell’Organizzazione e si basa su un approccio olistico del
sistema, sull’azienda agraria nel suo insieme come unità funzionale, e
sul ruolo centrale degli agroecosistemi e della loro gestione.
Una simile concezione dell’attività agraria è stata vista per un certo
tempo come una pura utopia, almeno al di fuori del mondo scientifico e di
ambiti che genericamente potremmo definire “ambientalisti”. Col
passare degli anni essa ha però influenzato in misura sempre maggiore
la società e, quel che più conta, le Istituzioni nazionali e sovranazionali.
Si può quindi senz’altro affermare che le elaborazioni dell’O.I.L.B. hanno
avuto notevoli effetti pratici, per esempio contribuendo alla definizione di
alcune delle priorità e finalità della Politica Agraria Comune della
Unione Europea (e, di conseguenza, dei Paesi membri) e di numerose
altre Nazioni; politiche che ormai pongono l’accento su concetti quali la
riduzione dell’intensivazione colturale, la produzione di beni di alta
qualità, il rispetto dell’ambiente, e così via, e che hanno un ruolo capitale
come regolatori dell’evoluzione della struttura delle aziende agricole.
1.3. INDICAZIONE DEI PERCORSI ATTUATIVI E DEI REQUISITI
Uno dei fattori che senz’altro ha contribuito alla realizzazione pratica
dei concetti teorici elaborati dall’O.I.L.B., è da ricercare nel fatto che
l’Organizzazione non si è limitata a queste enunciazioni di principio ma,
attraverso suoi organi (Consiglio, Comitato esecutivo, Commissioni) e
gruppi più o meno ristretti di esperti, ha prodotto una serie di
documenti nei quali venivano definite le relative linee attuative, che si
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ponevano a metà strada tra i principi generali e le pratiche colturali di
campo. In particolare la Commissione “Produzione Integrata: Direttive
e Approvazione”, ha prodotto testi quadro ove venivano definiti: 1) gli
standard e i requisiti tecnici generali per le organizzazioni che, a
qualunque titolo, si occupassero di Produzione Integrata e per i loro
membri (produttori, tecnici, ispettori, certificatori, ecc.); 2) i requisiti
agronomici generali validi per tutte le colture (IOBC, 1993, 2004).
Dopo la pubblicazione delle direttive generali, i singoli Gruppi di Lavoro
in cui si articola la struttura dell’O.I.L.B., ai quali è di norma
demandata l’attività di ricerca e di implementazione, hanno iniziato
anche a collaborare con la Commissione per la definizione e la stesura
delle linee guida per l’ambito agricolo di loro pertinenza. Al momento
attuale 7 Gruppi di Lavoro (pomacee, vite, drupacee, colture arative,
frutti minori, olivo, orticole da pieno campo) hanno completato questo
percorso con la pubblicazione delle relative direttive, con una o più
edizioni (IOBC/WPRS, 1994; 1996; 1997a; 1997b; 2000; 2002; 2005). In
questi ultimi testi le indicazioni fornite raggiungono un maggiore
dettaglio e si rifanno direttamente alle più recenti innovazioni tecniche
conseguite attraverso le ricerche sperimentali nel campo specifico.
Finalità di questi scritti è quella di fungere da riferimento sia per la
stesura e l’armonizzazione delle direttive Regionali o Nazionali da parte
degli enti istituzionali preposti, sia per le organizzazioni che si occupano
di produzione integrata, in quanto forniscono i parametri per la verifica
e l’approvazione delle loro direttive, l’ispezione e la valutazione delle
loro aziende e la certificazione dei prodotti. Anche in questo caso le
indicazioni delle varie direttive tecniche sono state recepite, almeno in
parte, o hanno ispirato l’azione di organismi legislativi o di associazioni
varie nella stesura di regolamenti. Si possono fare gli esempi di
Vitiswiss o delle Regioni italiane per i disciplinari attuativi dei
regolamenti UE (p.e. il regolamento 2078/92 e i successivi).
1.4. SVILUPPO E DIVULGAZIONE DI PRATICHE COLTURALI INNOVATIVE
Naturalmente il contributo dell’O.I.L.B. all’agricoltura, e in particolare
alla viticoltura, moderna non si limita agli enunciati teorici e alla
pubblicazione di direttive attuative ma comprende lo sviluppo di
tecniche agricole innovative e il trasferimento nella pratica delle
conoscenze così acquisite. Come sempre avviene nel campo della ricerca
scientifica, ogni acquisizione è il frutto di una serie di contributi
successivi, apportati da numerosi ricercatori, che si influenzano a
vicenda. Per questo motivo non si può dire che l’O.I.L.B. abbia
contribuito con questa o quella tecnica colturale (anche perché
notoriamente l’Organizzazione non ha ricercatori propri), ma si può
certamente affermare che i membri dei suoi Gruppi di Lavoro (in questo
caso quello della Protezione e Produzione Integrata in Viticoltura)
14
hanno contribuito a definire e sviluppare numerose linee di ricerca di
fondamentale importanza per la realizzazione della Produzione
Integrata.
La viticoltura, in particolare quella destinata alla produzione di vino, ha
alcune caratteristiche ottimali: la natura permanente e la
relativamente elevata longevità della coltura, la minima incidenza
dell’aspetto estetico, il riconosciuto legame tra riduzione quantitativa e
incremento della qualità e del valore della produzione, ed altre ancora.
Tutto ciò ne ha fatto un campo di lavoro privilegiato, sia per la ricerca
sia per l’implementazione, con una notevole serie di acquisizioni (Boller
et al., 2004). Ci limiteremo qui all’enunciazione solo di alcuni aspetti
ormai assodati e ristretti al settore delle avversità animali.
Già da diversi decenni le ricerche sono state indirizzate seguendo la
linea guida della conoscenza dell’agroecosistema e dei suoi meccanismi
di regolazione. Con l’accumularsi delle informazioni, ottenute in
numerosi anni, è stato possibile passare da una conoscenza puntiforme
ad una complessiva delle caratteristiche generali dell’agroecosistema e
individuare alcuni fattori chiave, che sono i principali motori delle sue
dinamiche: la diversità botanica, la gestione dei nutrienti, in particolare
dell’azoto, il complesso degli organismi utili (figg. 1, 2) (Boller e Basler,
1987; Boller, 1988).
In seguito molte ricerche si sono concentrate su questi punti con
l’obiettivo di sostituire le pratiche colturali dannose con altre
ecocompatibili. Il passo successivo è stato appurare il ruolo rilevante sia
della diversità botanica di aree esterne al vigneto, come le siepi, sia di
quella presente entro la coltura, ovvero l’inerbimento dell’interfilare.
Contemporaneamente si è anche compreso il carattere strategico delle
aree di compensazione ecologica limitrofe agli appezzamenti,
Fig. 1 - Struttura semplificata delle relazioni esistenti tra le componenti dell’agroecosistema
vigneto (da Boller e Basler, 1987, modificato).
15
Fig. 2 - I principali volani ecologici dell’agroecosistema vigneto.
fondamentali perchè non soggette alle usuali pratiche colturali che
mantengono sempre un certo impatto negativo (Boller et al., 1997;
Remund et al., 1989; 1992; Gut, 1997; Baur e Gut, 2000).
Il contributo principale fornito dalla incrementata diversità botanica
consiste nel fatto che assicura un parallelo aumento della complessità
della comunità animale, in particolare della fauna utile ed indifferente,
mentre le specie dannose rimangono stabili. L’incremento della
diversità botanica si è pertanto rivelato un reale e importante
strumento per la stabilizzazione dell’ecosistema e per la gestione delle
specie nocive. Ad aumentare l’importanza pratica di questo assunto vi
è l’esito positivo di un altro filone di ricerche, parallelo al precedente, il
cui fine era di verificare se fosse possibile attuare nel vigneto
operazioni di gestione ambientale. Queste sperimentazioni hanno
aperto la strada all’implementazione nella pratica quotidiana delle
risultanze sperimentali mediante operazioni relativamente semplici
come l’inerbimento controllato e lo sfalcio alternato (Baur e Gut, 2000;
Baur et al., 2000).
Oltre a queste relazioni di carattere generale sono state anche verificate
interazioni più sottili tra ben definite componenti dell’agroecosistema,
che coinvolgono sempre la vegetazione spontanea e la coltura. I casi più
noti ed eclatanti riguardano i rapporti tra cicaline e acari fitofagi ed i
loro antagonisti chiave, rispettivamente i parassitoidi oofagi del genere
Anagrus (fig. 3) (Cerutti et al., 1989; 1991; Van Helden et al., 2003;
Viggiani, 2003) e gli acari Fitoseidi (Boller et al., 1988; Boller e Frey,
1990; Lozzia e Rigamonti, 1990; Wiedmer e Boller, 1990; Engel, 1991;
Remund e Boller, 1992; Duso et al., 2003).
Per questi abbinamenti sono ormai stati appurati molti aspetti; tra
questi si possono menzionare le specie coinvolte, i tratti della loro
biologia ed ecologia, gli ospiti alternativi e i rapporti funzionali tra la
16
Fig. 3 - Fenologia di Anagrus atomus, e di Empoasca vitis, su diverse piante ospiti (da Cerutti
et al., 1989, modificato).
vegetazione spontanea e la coltura. Ciò nonostante, anche per questi
casi di studio che sono i meglio conosciuti, diversi fattori rimangono
tuttora da chiarire, specialmente, ma non solo, quelli che regolano
l’insediamento stabile nel vigneto. È tuttavia ormai possibile pensare di
attuare delle vere operazioni di gestione ambientale, per esempio con la
progettazione “su misura” di siepi, che preveda non solo la scelta delle
essenze vegetali da favorire (rovo, rosa canina, caprifoglio, ortica) ma
anche le forme di manutenzione (per es. la potatura), le distanze
massime dalla coltura (per es. non più di 100 m per le piante che
ospitano gli Anagrus) e così via (Remund e Boller, 1995; 1996; Boller et
al., 2004; Rigamonti e Rena, 2004).
Per l’immediato futuro le linee di ricerca prioritarie individuate
dall’O.I.L.B., sempre limitandosi ai campi di più diretto interesse
entomologico, riguardano: 1) le interazioni tritrofiche, che
attualmente interessano prevalentemente quelle relative a tignole,
cicaline non vettrici e acari fitofagi; 2) le malattie trasmesse da
vettori animali, uno dei settori più critici, in quanto al già grave
problema della Flavescenza Dorata si sono aggiunte altre emergenze,
come il Legno Nero, ed anche le malattie virali, veicolate da nematodi
e cocciniglie, la cui epidemiologia è tuttora scarsamente conosciuta; 3)
le conseguenze delle nuove tecniche adottate contro i fitofagi più
importanti sulle specie minori, dato che la dannosità di questi ultimi
sembra in aumento e le motivazioni di questa evoluzione sono al
17
momento ignote; 4) l’individuazione di soglie e il parallelo
approntamento di metodiche di monitoraggio, anche qui con
particolare riferimento alle specie secondarie; 5) il rilancio del
sottogruppo sull’implementazione, che si rivolga alla divulgazione
delle tecniche di controllo ecocompatibili e di misure di gestione
ambientale; 6) lo sviluppo di tecniche curative a basso impatto, per
esempio di nuove metodiche basate sull’uso di feromoni come l’attract
and kill o l’autoconfusione.
Praticamente tutti questi indirizzi implicano l’avvio di programmi di
ricerca interdisciplinari dove l’entomologo è affiancato da patologi,
microbiologi, malerbologi, ecologi, agronomi. Questa caratteristica
non è casuale ma è, al contrario, da considerare strutturale e
imprescindibile in quanto fondamentale nell’ottica di quell’approccio
olistico al sistema che è uno dei punti cardine della strategia generale
dell’Organizzazione.
1.5. CONSIDERAZIONI
Riassumendo, ciò che è importante da ribadire e sottolineare è che
l’attività dell’O.I.L.B. pur avendo contribuito ai notevoli progressi
nello sviluppo di misure colturali ecocompatibili, non è consistita
esclusivamente in questo, ma anche e soprattutto in enunciazioni di
principio, dove venivano individuate le linee strategiche nel cui ambito
dovevano rientrare le innovazioni tecniche da perseguire; nel fornire
un riferimento a tutti gli enti che si occupino di regolare l’attività
agraria e certificare i suoi prodotti, allo scopo di facilitare e stimolare
la traduzione nella pratica sia degli enunciati teorici sia delle pratiche
colturali; nel favorire la circolazione delle informazioni tra i ricercatori
e lo sviluppo della collaborazione tra i diversi settori, mediante
l’attuazione di progetti interdisciplinari. Non è quindi solo il mero
sviluppo del processo tecnico che interessa l’O.I.L.B. quanto il quadro
strategico generale della protezione delle colture o, meglio, della
produzione agraria, ed è in questo che storicamente va ricercato il
contributo che l’O.I.L.B. vuole e deve dare.
1.6. AUTORI CITATI
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20
2.
S. Ragusa & H. Tsolakis (eds)
La difesa della vite dagli artropodi dannosi
Marsala 10-11 ottobre 2005
Università degli Studi di Palermo - pp. 21-30
Problematiche connesse alla difesa
biologica e integrata della vite
G. VIGGIANI
Dipartimento di Entomologia e Zoologia agraria “Filippo Silvestri”, Università
degli Studi di Napoli “Federico II”, Via Università 100, Portici (Napoli)
Riassunto
Sono analizzati i principali problemi relativi al controllo biologico e
integrato dei fitofagi della vite. Tra di essi diversi aspetti (soglia
d’intervento, metodi di controllo e insetticidi usati) riguardano la
tignoletta della vite Lobesia botrana, l’insetto chiave. Il controllo
chimico di alcune cicaline, particolarmente di Scaphoideus titanus,
vettori potenziali di fitopatogeni, richiede molta attenzione per
evitare effetti negativi sulla artropodofauna utile.
Parole chiave: acari, tignoletta, cicaline, cocciniglie, nemici naturali.
Abstract
Problems connected with biological and integrated pest
management in vineyards
Main problems linked to the biological and integrated control of wine
pests are analyzed. Among them several aspects (intervention
threshold, control methods and insecticides used) concern the grape
moth Lobesia botrana, the key insect. The chemical control of some
leafhoppers, particularly of Scaphoideus titanus, potential vectors of
phytopatogens, needs much attention to avoid negative effects on the
useful arthropodofauna.
Key words: mites, grape moth, thrips, leafhoppers, scale insects, useful
arthropods.
2.1. INTRODUZIONE
Il complesso degli artropodi che caratterizza l’agroecosistema vigneto è
relativamente uniforme in tutto il territorio viticolo italiano e
rappresentato soprattutto da insetti e, in misura minore, da acari. Tra
gli insetti, a parte la fillossera, la specie fitofaga di maggiore importanza
è la tignoletta, Lobesia botrana (Denis & Schiffermüller). Tuttavia,
21
anche se in ambienti talvolta abbastanza limitati, diverse altri insetti e
acari possono richiedere qualche intervento.
Caratteristica dell’artropodofauna della vite è la mancanza o limitata
presenza di afidi infestanti la parte epigea. Inoltre, il controllo dei
fitofagi, in genere, non richiede interventi con mezzi chimici dall’ottobre
al maggio.
Le problematiche connesse alla difesa biologica e integrata della vite in
linea di massima sono in rapporto alla tipologia e alla destinazione della
produzione. Esse sono esaminate nella presente rassegna.
2.2. PROBLEMATICHE GENERALI
Le principali problematiche generali emerse negli ultimi anni nella
difesa fitosanitaria, non solo in viticoltura, attengono alle soglie
economiche (di non intervento o tolleranza, di intervento, di dannosità)
e alla scelta dei fitofarmaci. Uno degli aspetti caratterizzanti la svolta
dalla difesa fitosanitaria “ a calendario” a quella “guidata” e “integrata”
era stata la definizione, negli anni ’70-80, di parametri orientativi
(soglie) che potessero essere seguiti per evitare interventi con insetticidi
e acaricidi non necessari su valutazioni primariamente economiche,
oltre che ecologiche. Negli ultimi anni, purtroppo, paradossalmente,
mentre da un lato termini e concetti come “biologico”, “ecocompatibile”,
“integrato”, “ a basso impatto ambientale” ecc., hanno guadagnato favore
anche al di fuori dell’ambito scientifico, dall’altro, nella pratica, la
protezione per gli artropodi utili degli agroecosisteni è stata
scarsamente considerata.
2.3. PROBLEMATICHE SPECIFICHE
2.3.1. Il controllo degli acari
In pochi agroecosistemi si è approfondito, come nel vigneto, sia lo studio
degli acari fitofagi che quello dei loro antagonisti, principalmente dei
fitoseidi.
Negli ultimi anni si è registrata una maggiore aggressività degli acari
eriofidi, in particolare del Calepitrimerus vitis (Nalepa), in Italia su uva
da tavola (Tropea Garzia, 2005) e in Svizzera (Linder, 2005). Questo
fenomeno viene attribuito al verificarsi di condizioni climatiche
favorevoli agli eriofidi (primavere miti, estate calda e secca) e
sfavorevoli ai fitoseidi predatori.
Recentemente è stato segnalato in Italia Arthrocnodax vitis Rübsaamen
(Diptera: Cecidomyiidae), predatore di Colomerus vitis (Pagenstecher)
(Sasso e Viggiani, 2002).
Il controllo degli acari, almeno negli ambienti viticoli italiani del Centro22
Sud, non pone problemi di rilievo. D’altro canto continuano gli studi
sugli effetti collaterali dei fitofarmaci autorizzati in viticoltura in diversi
paesi, allo scopo di selezione quei prodotti che meglio consentono di
proteggere l’attività dei fitoseidi predatori. Recentemente è stato
studiato l’impatto di una miscela di olio minerale, anche con
l’alternativa dell’olio di colza, e di diazinone su questi antagonisti. I
risultati hanno messo in evidenza che essa ha scarso o medio effetto
tossico sugli acari fitoseidi e che conseguentemente potrebbe sostituire
la miscela olio+endosulfan, attualmente in uso. Infatti è probabile che
nel prossimo futuro si abbia la revoca dell’uso dell’endosulfan (Linder at
al., 2005).
2.3.2. Il controllo della tignoletta
Per il controllo della L. botrana si dispone di diverse tecniche e mezzi
d’intervento, anche per la viticoltura biologica, ma non mancano
problematiche attinenti la loro applicazione (Boselli et al., 2000;
Buonocore et al., 2005; Guario et al., 2005; Scannavini et al., 2005a).
2.3.2.1 Controllo chimico
Fino a pochi anni fa, per il controllo chimico di L. botrana erano
disponibili insetticidi neurotossici, di sintesi, agenti per contatto e
ingestione. Il loro tipo di azione, di solito rapido, e che poteva contare
per diversi prodotti, soprattutto esteri fosforici, sulla loro citotropicità
o sistemicità, consentiva di fissare una soglia d’intervento, almeno
per i vigneti con uve da vino. Attualmente, in seguito alla
commercializzazione di insetticidi che agiscono sul bersaglio con
modalità di azione diversa dalla neurotossicità, come l’interferenza con
i processi di sviluppo e di riproduzione, è venuto a mancare questo
riferimento fondamentale ad un criterio che aveva caratterizzato il
passaggio dalla “lotta a calendario” e quella “guidata e integrata”.
Diversi autori (Scannavini et al., 2005a; Guario et al., 2005) hanno
indagato, in diversi ambienti, sull’utilizzo di sostanze attive
relativamente recenti che agiscono sul bersaglio con differenti modalità
d’azione (indoxacarb, spinosad, flufenoxuron, tebufenozide,
metoxifenozide). La sperimentazione di questi prodotti si rende
necessaria per cercare d’individuare la fase fenologica ottimale del
bersaglio, onde ottenere la massima efficacia dei trattamenti.
Da una sperimentazione triennale effettuata in Emilia-Romagna
(Scannavini et al., 2005a) è stato messo in evidenza che flufenoxuron,
metoxifenozide e indoxacarb, tenuto conto della loro attività ovicida e
larvicida, andrebbero applicati all’inizio della ovideposizione, mentre
tebufenozide e spinosad, agenti prevalentemente per ingestione, alla
nascita delle prime larve. Quest’ultimo prodotto sarebbe meno efficace
del primo.
Guario et al. (2005), operando su uva da tavola in Puglia, hanno
23
confermato la inutilità degli interventi contro la generazione antofaga.
Gli stessi autori hanno meso in evidenza che l’impiego dei
chitinoinibitori e dei Mac richiede anzi tutto dati attendibili sull’inizio
dei voli del lepidottero. In questo caso l’intervento andrebbe effettuato al
massimo 3-4 giorni dall’inizio dei voli, effettuando inoltre un secondo
trattamento con fosforganici (es. clorpirifos e clorpirifos metile) o altri
prodotti citotropici a circa 10 giorni di distanza per controllare eventuali
larve sopravvissute. Questi autori confermano l’efficacia di indoxacarb e
spinosad, nonché del Bacillus thuringiensis Berliner sebbene per
quest’ultimo prodotto occorrerebbe maggiore attenzione per la fase
fenologica bersaglio del fitofago.
2.3.2.2 Controllo biologico
È possibile, anche in viticoltura biologica, utilizzare il B. thuringiensis
subsp. kurstaki per il controllo della L. botrana. I formulati in
commercio sono sufficientemente stabili e manifestano una buona
efficacia, in grado di controllare il fitofago anche sull’uva da tavola, a
soglia di tolleranza abbastanza bassa. Tenendo conto della modalità di
azione di questo mezzo, risulta particolarmente importante effettuare
gli eventuali interventi con tempestività. Talvolta, soprattutto su uva da
tavola e per alcune generazioni, potrà essere necessario effettuare due
trattamenti (Guario et al., 2005).
2.3.2.3 Confusione sessuale
Dagli inizi degli anni 90 si sperimenta questa tecnica in varie regioni
italiane, soprattutto del Centro-Nord (Varner et al., 1999; Varner et al.,
2001; Scannavini et al., 2005b; Autori vari, 2005), con risultati non
costanti, sovente contraddittori. Nel Trentino-Alto Adige, ove sono state
fatte le maggiori esperienze operative, recentemente sono stati trattati
750 ha su 5.050 (Autori vari, 2005). Dai risultati ottenuti è emerso che il
metodo nel corso degli anni migliora la sua efficacia su vaste superfici e
a bassa densità della popolazione bersaglio; possono però verificarsi
insorgenze di fitofagi non-bersaglio.
In Toscana, nel comprensorio del Chianti, la tecnica della confusione
sessuale è stata sperimentata sin dal 1989 (Bagnoli et al., 2002; Bagnoli
e Lucchi, 2003) con risultati sostanzialmente positivi rispetto ad aree
non trattate, ma con una validità fitosanitaria non sempre accettabile.
A seguito della disponibilità di nuovi tipi di erogatori, dal 2001 si è dato
avvio ad un nuovo ciclo di sperimentazioni nel medesimo ambiente.
Poche esperienze sono state effettuate negli ambienti meridionali e su
uva da tavola, con risultati non soddisfacenti, anche in rapporto alla
bassissima tollerabilità dell’infestazione (Addante e Moleas, 1996).
Allo stato attuale può affermarsi che vari aspetti di questa biotecnica
sono stati sensibilmente migliorati (caratteristiche degli erogatori,
condizioni d’impiego etc.), ne rimangono tuttavia altri, anche a livello
sperimentale, che rendono i risultati non sempre confrontabili (criteri
24
per la valutazione del danno; dati disformi nelle aree trattate, ecc. ) e
soddisfacenti. Il confronto tra l’area “a confusione” viene fatto con
un’area non trattatta. In questo caso, generalmente, si ottiene un
abbassamento dell’infestazione della L. botrana, ma ciò non significa
che ciò avvenga a livelli di tollerabilità economica. Dati più significativi
potrebbero rilevarsi confrontando l’area “a confusione” anche con
un’area normalmente trattata con i più comuni mezzi chimici. In questo
caso l’analisi dei costi, in genere mancante in queste sperimentazioni,
potrebbe aggiungere altre informazioni utili. Altro aspetto da
considerare con attenzione è che questa tecnica non consente di stabilire
una soglia d’intervento, alla quale far seguire l’intervento. L’unico
riferimento per valutarne la convenienza è rappresentata da una
eventuale serie storica di dati sulla dannosità della L. botrana
nell’azienda o nel territorio.
2.3.3. Il controllo delle cicaline
Negli ultimi decenni le cicaline della vite hanno assunto anche in Italia
crescente importanza agraria, sia per la dannosità di alcune specie
indigene, come Empoasca vitis (Göthe), e sia per l’introduzione di specie
esotiche, come Jacobiasca lybica (Bergevin) e Scaphoideus titanus Ball.
Fino agli ultimi anni, le conoscenze riguardavano soprattutto gli
ambienti centro-settentrionali (Vidano, 1958; Pavan et al., 1992;
Mazzoni et al., 2001), ma le ricerche su questi fitomizi sono state estese
anche agli ambienti viticoli meridionali e insulari italiani (Marcone et
al., 1997; Nicotina e Cioffi, 1999; Lentini et al., 2000; Delrio et al., 2001;
Tsolakis, 2002; Viggiani et al., 2004; Bono et al., 2005).
In Campania è stato messo in evidenza che il complesso delle cicaline
dell’agroecosistema vigneto e, in particolare, delle specie che si
riproducono su vite, non differisce sostanzialmente da quello segnalato
negli ambienti viticoli del Nord e del Centro Italia (Vidano, 1958;
Mazzoni et al., 2001; Nicoli Aldini, 2001). Delle cicaline strettamente
ampelofaghe, E. vitis e Z. rhamni, nei vigneti seguiti sono risultate
presenti popolazioni di entrambe le specie, ma, con qualche eccezione,
dominante è risultata la E. vitis sia nelle catture con trappole che nei
campionamenti degli stadi giovanili su foglie. La percentuale delle foglie
infestate in genere non ha superato il 25%, con una media di stadi
mobili/foglia inferiore a 1. Interessante è stato il primo ritrovamento di
S. titanus nelle regioni meridionali italiane (Viggiani, 2002, 2004) che ha
smentito l’opinione corrente negli ambienti scientifici secondo la quale
l’habitat del fitomizo sarebbe stato limitato alla fascia situata intorno al
45° parallelo. La presenza non sporadica di S. titanus, vettore
dell’agente eziologico della flavescenza dorata in vigneti meridionali,
rende possibile l’ipotesi che il fitomizo si diffonda principalmente
mediante il materiale di propagazione. Purtroppo, a seguito delle
normative fitosanitarie vigenti, in diverse regioni nelle quali, oltre allo
25
scafoideo, è stata diagnosticata anche la flavescenza dorata, si sono resi
obbligatori degli interventi con insetticidi, in genere 2, per impedire lo
sviluppo degli stadi giovanili. Qualche regione, come la Basilicata, ha
decretato la obbligatorietà della lotta allo scafoideo nelle zone con
presenza del fitomizo, ma con flavescenza non rilevata.
I problemi che pongono questi interventi sono di ordine di efficacia,
economico ed ecologico. Questi aspetti andrebbero approfonditi. È
comunque difficile comprendere la razionalità degli interventi chimici in
aree viticole nelle quali è presente lo scafoideo, ma non la flavescenza
dorata.
Allo stato attuale i maggiori danni diretti delle cicaline sono
verosimilmente quelli prodotti da J. lybica in Sicilia e in Sardegna. È
interessante notare che per questa specie non sono stati segnalati
ooparassitoidi nei territori italiani.
Continua nel Nord Italia la valutazione di nuovi insetticidi per il
controllo della E. vitis e dei loro effetti collaterali sugli acari predatori
(Delaiti et al., 2005).
2.3.4. Il controllo delle cocciniglie
In alcune regioni, come nel Friuli Venezia Giulia, Veneto e Toscana, sono
segnalati frequenti attacchi di cocciniglie, prevale Planococcus ficus
(Signoret), ma non mancano anche quelli di Neopulvinaria
innumerabilis (Rathvon), di Parthenolecanium corni (Bouché) e di
Heliococcus bohemicus (Sulc). Attacchi di Targionia vitis (Signoret) sono
segnalati in Toscana e anche in altre regioni (Autori vari, 2005). Nel
controllo chimico di queste specie occorrerebbe ricordare d’intervenire al
raggiungimento delle soglie d’intervento e con prodotti almeno
parzialmente selettivi, come gli oli minerali. E’ noto, infatti, che questi
fitomizi sono naturalmente contrastati da numerosi antagonisti.
2.3.5. Il controllo dei tripidi
Tradizionalmente, soprattutto nei vigneti del nord Italia, può risultare
dannoso il tripide Drepanothrips reuteri Uzel che, alla ripresa
vegetativa, può compromettere il normale sviluppo delle foglie e dei
germogli. Esso, però, può anche essere un’ottima preda sia per alcuni
acari fitoseidi che per dei tripidi predatori (Aeolothrips spp.). Il controllo
di D. reuteri non pone particolari problemi, come il tripide dei fiori,
Frankliniella occidentalis (Pergande), che è ormai annoverato tra gli
insetti più dannosi all’uva da tavola. In questo contesto questa specie è
stata a lungo studiata principalmente in Puglia da Moleas e
collaboratori, che ne hanno approfondito la bio-etologia e i metodi di
controllo (Moleas et al., 1996; Addante et al., 2000). I citati autori
consigliano di fare campionamenti dall’inizio della fioritura alla fine
dell’allegagione e di intervenire a livelli di oltre 3-5- tripidi/grappolo. I
principi attivi più efficaci sono risultati l’acrinatrina e il methiocarb.
26
Risultati meno soddisfacenti ha dato l’azadiractina, che è tra i prodotti
ammessi in viticoltura biologica. Anche l’impiego inondativo del
predatore di Orius laevigatus (Fieber) ha dato scarsi risultati. Tra le
pratiche agronomiche che possono ridurre la dannosità della
Frankliniella è da segnalare l’inerbimento del vigneto con piante
erbacee, come la Phacelia tanacetifolia, in modo da avere una fioritura
contemporanea a quella della vite.
Le problematiche connesse al controllo chimico di F. occidentalis sono
legate soprattutto alla delicata fase fenologica (fioritura) durante la
quale bisognerebbe intervenire.
2.3.6. La protezione degli artropodi utili
Com’è noto il complesso degli artropodi utili, predatori e parassitoidi, è
rappresentato principalmente da Acari Fitoseidi, Emitteri Antocoridi,
Neuropteroidei, Coleotteri Coccinellidi e Imenotteri. Di essi
indubbiamente il gruppo più indagato in quasi tutte le regioni viticole
italiane è quello degli acari Fitoseidi, il cui ruolo è ritenuto
fondamentale per il contenimento degli acari fitofagi. Altri gruppi
d’interesse per il controllo di acari e insetti fitofagi sono gli Emitteri
Antocoridi (Anthocoris spp., Orius spp.) e quello dei Neuropteroidei
(Inocellidi, Crisopidi). Negli ultimi decenni, in seguito all’importanza
economica assunta da alcuni Cicadellidi, in Europa, soprattutto da
Empoasca vitis, attenzione ha richiamato lo studio degli ooparassitoidi,
principalmente del genere Anagrus e le loro interrelazioni con ospiti
alternativi (Pavan, 2000; Van Helden e Decante, 2001; Ponti e Ricci,
2002; Viggiani et al., 2004).
Per valorizzare il ruolo di questi antagonisti si approfondiscono le
conoscenze sulla caratterizzazione sistematica, i rapporti biocenotici e la
loro gestione a livello aziendale e territoriale.
La conservazione del complesso degli artropodi utili è anche legata
all’uso di fitofarmaci selettivi. È noto che negli ultimi anni alle numerose
molecole di sintesi, agenti principalmente da neurotossici, si vanno
gradualmente sostituendo sostanze di varia origine, anche naturale, con
meccanismi di azione diversi (principalmente regolatori di crescita). Essi
hanno in genere tossicità molto ridotta per l’uomo, ma non per gli
artropodi bersaglio. La loro azione non è immediata e può manifestarsi
con effetti diversi (incapacità di raggiungere la maturità, riduzione della
fecondità, ecc.). Ciò richiede delle metodologie adeguate per mettere in
evidenza questi effetti collaterali sulle specie non bersaglio. Gli acaricidi
e insetticidi agenti quali regolatori di crescita rischiano di essere più
dannosi ai predatori che ai parassitoidi per la maggiore esigenza di prede
che possono accumulare residui tossici significativi.
Alcuni acaricidi (zolfo in formulati polverulenti) e insetticidi (piretrine,
rotenone) ammessi in agricoltura biologica non sono privi di effetti
indesiderabili sull’artropodofauna utile.
27
2.4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Le problematiche del controllo dei fitofagi nella viticoltura biologica e
integrata riguardano principalmente le uve da tavola. La destinazione
della produzione e la bassa dannosità tollerabile impongono maggiore
impegno sia per la scelta degli insetticidi che per la riduzione degli
interventi.
Per le uve da vino il controllo degli acari e degli insetti richiede in genere
interventi chimici in numero molto limitato; non mancano nicchie nelle
quali non si effettuano trattamenti. Il controllo della tignoletta, tra i
pochi insetti di primaria importanza economica della vite, si può
effettuare efficacemente, anche in viticoltura biologica.
La turbativa principale all’agroecosistema vigneto potrebbe derivare da
una intensificazione degli interventi chimici per il controllo di insetti
vettori di fitoplasmi. In questi casi, eventuali interventi andrebbero
effettuati solo nei vigneti con significative infezioni di fitopatogeni e
non, come disposto in alcune regioni italiane, anche dove sono presenti
solo dei vettori, talvolta addirittura presunti tali.
In viticoltura biologica, le problematiche maggiori riguardano la scelta
di prodotti sufficientemente efficaci contro il bersaglio e selettivi nei
riguardi degli organismi utili; non hanno queste caratteristiche diversi
formulati commerciali.
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La difesa della vite dagli artropodi dannosi
Marsala 10-11 ottobre 2005
Università degli Studi di Palermo - pp. 31-44
Soglie economiche d’intervento e tecniche
di campionamento dei principali fitofagi
della vite
G. DELRIO
Dipartimento di Protezione delle Piante dell’Università di Sassari, Via De
Nicola - 07100 Sassari
Riassunto
Vengono riportati i danni, i sistemi di monitoraggio, i metodi di
campionamento e le soglie economiche d’intervento individuati in
Europa e Italia per i principali fitofagi della vite. I metodi di stima
della densità delle specie dannose, essenziali per l’applicazione della
protezione integrata, devono tuttavia essere ulteriormente
semplificati per una loro maggiore diffusione nella pratica agricola.
Parole chiave: Campionamento, soglie di intervento, Viticoltura.
Abstract
Economic thresholds and sampling technics of the more
important pests in vineyards
Authors report on damages caused by the more important pests of
vines in Europe and in Italy. Monitoring systems, sampling technics
and economic threshold of these pests are also discussed. Estimate
methods for the density of pests population are essential for the
application of the integrated pest management but it is also
important semplify them so that they could be spread into the
agricultural practices.
Key words: sampling technics, economic threshold, Viticulture.
3.1. INTRODUZIONE
La protezione integrata della vite nel contesto dei sistemi di produzione
sostenibili si basa fondamentalmente sull’impiego prioritario delle
misure profilattiche disponibili (protezione indiretta) e su misure
dirette di controllo effettuate al superamento delle soglie economiche di
intervento (Malavolta e Boller, 1999).
31
Per una razionale applicazione della protezione integrata devono
essere accuratamente valutate le interazioni del complesso fitofagiantagonisti, nonché dei rapporti che si instaurano tra di loro e con
altre componenti dell’agroecosistema. Tali aspetti riguardano: le
caratteristiche microclimatiche, pedologiche e varietali del vigneto; la
composizione qualitativa e quantitativa delle specie dannose e utili;
l’identificazione delle specie “chiave” e lo studio della dinamica delle
loro popolazioni; la determinazione del danno prodotto da ciascun
fitofago in relazione alla densità delle sue popolazioni; la
predisposizione di una metodologia di campionamento delle densità di
popolazione dei fitofagi e la definizione delle soglie economiche di
intervento. In caso di loro superamento, devono essere scelti gli
interventi chimici da effettuare, preferendo quelli ecologicamente
selettivi, che si prestano ad essere integrati, ove compatibili, con i
mezzi biologici, biotecnici o colturali.
Negli ultimi decenni, anche in seguito alla costituzione del Gruppo di
lavoro IOBC/WPRS “Lotta integrata e produzione integrata in
viticoltura”, notevoli progressi sono stati fatti nella valutazione dei
rischi di danno per i principali fitofagi, con la definizione di soglie
economiche di intervento e la messa a punto di dispositivi per il
monitoraggio e di tecniche di campionamento scientificamente
appropriate. Tuttavia, la grande variabilità delle condizioni climatiche,
varietali e di tecnica colturale della viticoltura europea e italiana
restringono spesso la validità delle metodologie proposte alle aree
viticole per cui sono state studiate e inoltre obbligano a un continuo
aggiornamento per adattarle ai progressivi cambiamenti delle tecniche
di difesa.
3.2. TIGNOLE DELLA VITE
La tignoletta e la tignola della vite, Lobesia botrana (Den. et Schiff.) ed
Eupoecilia ambyguella (Hbn.), costituiscono le avversità animali più
temute nei vigneti. Entrambe le specie possono svolgere due o tre
generazioni all’anno, anche se nelle aree meridionali può manifestarsi
un quarto volo di Lobesia di minor importanza fitosanitaria. La loro
distribuzione nel territorio dipende dalle diverse esigenze termoigrometriche e la più ampia diffusione della tignoletta nella
maggioranza dei vigneti italiani può essere spiegata dalla sua
preferenza per gli areali caldo aridi e dalla maggior valenza ecologica.
Le larve della prima generazione delle due tignole distruggono un certo
numero di fiori (5-6 per Lobesia e più per Eupoecilia) e quelle delle
generazioni carpofaghe danneggiano 2-4 acini.
I danni delle tignole possono essere distinti in diretti, con perdita di fiori
e acini, e indiretti, dovuti all’aumento degli attacchi di muffa grigia e
marciume acido. Le relazioni esistenti fra L. botrana e Botrytis cinerea
32
sono state studiate in dettaglio e sarebbero basate su un sistema di
reciproco vantaggio. Le larve favoriscono la disseminazione e
l’installazione del fungo trasportando i conidi sul tegumento e nelle feci,
creando focolai precoci latenti sugli acini immaturi e numerose ferite
superficiali sugli acini maturi (Fermaud e Le Menn, 1992), viceversa il
fungo stimola lo sviluppo delle larve (Mondy e Corio-Costet, 2000).
Tuttavia questa relazione non è obbligatoria in quanto B. cinerea ha la
capacità di svilupparsi anche senza infestazioni larvali. La nocività
delle tignole, oltre che dal grado di attacco, dipende dalla cultivar, dal
valore economico della produzione e dai fattori climatici. È stata infatti
osservata una diversa sensibilità delle cultivar alla tignoletta e alla
Botrite (Fermaud, 1998), con maggiori infestazioni e danni per le varietà
a grappolo serrato (Delrio et al., 1985; Pavan et al., 1993), e una bassa
incidenza di muffa grigia, anche in condizioni di attacco larvale elevato
nelle annate con andamento caldo e secco.
La generazione antofaga non è ritenuta in generale dannosa. Infatti,
impiegando diverse metodologie (comparazione del peso alla raccolta di
grappoli attaccati e non, infestazioni artificiali, ablazione dei fiori) è
stato dimostrato che alcune cultivar possono compensare perdite di 1030 fiori per grappolo (Roehrich, 1978; Roerhich e Schmid, 1978) o
addirittura fino al 30% dell’infiorescenza (Coscollà et al., 1982; Delrio et
al., 1985). A seconda delle aree viticole e della cultivar sono considerati
tollerabili fino a 100 larve o 200 glomeruli per 100 grappoli (Roehrich,
1978). Tuttavia, in Svizzera sono state proposte soglie d’intervento a
seconda della varietà di 15-50 glomeruli per 100 grappoli (Baillod et al.,
1993) e in Italia di 40% di grappoli attaccati (Lozzia, 2000).
La prima generazione carpofaga è ritenuta poco dannosa nell’Italia
meridionale e sulle cultivar tardive dell’Italia settentrionale (Pavan e
Sbrissa, 1994) in quanto gli acini erosi normalmente rimarginano e
rinsecchiscono, mentre il danno della terza generazione (seconda
carpofaga) è soprattutto qualitativo e determinato dalla diffusione dei
marciumi agli acini attaccati e a quelli circostanti. Sulle cv. a
maturazione precoce nell’Italia nord-orientale il danno finale è invece
legato quasi esclusivamente alle larve della seconda generazione
dell’anno (Pavan et al., 1993).
Su uva da tavola il danno diretto causato dalle generazioni carpofaghe è
molto rilevante perché gli acini attaccati devono essere eliminati dai
grappoli con un conseguente maggior impiego di mano d’opera (Laccone,
1978).
La soglia di danno per la seconda generazione delle tignole su uva da
vino è stata calcolata analiticamente in Veneto, sulla base delle perdite
quantitative, ed è risultata del 10-30% di grappoli attaccati per le
cultivar vendemmiate precocemente e del 40-50% per quelle a raccolta
tardiva (Pavan et al., 1998). Nelle diverse regioni italiane vengono
impiegate soglie pratiche d’intervento variabili a seconda del numero di
generazioni della tignoletta, della cultivar, della possibilità di sviluppo
33
di muffa grigia, etc. Queste soglie nel caso di una sola generazione
carpofaga si aggirano in Veneto attorno al 20% di grappoli attaccati per
varietà suscettibili ai marciumi e a 30% per quelle non suscettibili;
tuttavia poiché esiste un rapporto di 3-4:1 fra l’attacco larvale finale
dopo 30 giorni dal picco di cattura alle trappole e quello iniziale dopo 1015 giorni dal picco quando devono essere eseguiti i trattamenti larvicidi,
sono state proposte soglie d’intervento di 3-5% oppure 5-8% di grappoli
infestati (Pavan et al., 1993). Nel caso di due generazioni carpofaghe, le
soglie indicate sono 1-5% in Emilia Romagna (Malavolta et al., 1988),
35% in Lazio (Abbruzzetti et al., 1989), 10-20% in Puglia (Moleas, 2001),
5-10% su cv a grappoli serrati e 10-15% su cv a grappoli spargoli in
Sardegna (Delrio et al., 1985).
Per l’uva da tavola la soglia è molto più bassa e si aggira attorno al 2-3%
di grappoli infestati (Moleas, 2001).
Il monitoraggio degli adulti viene effettuato a partire dagli anni ‘70 con
trappole a feromoni innescate con (E,Z)-(7,9)-dodecadienyl acetate e (Z)9-dodecenyl acetate, rispettivamente componenti principali della
miscela feromonica di L. botrana (Roelofs et al., 1973) e di E. ambiguella
(Arn et al., 1976). Le trappole a feromoni (2-3 per ettaro) consentono di
tracciare le curve di volo dei maschi e quindi di determinare con buona
precisione la fenologia delle due tignole. La loro utilità è al momento
limitata all’identificazione del momento ottimale per i trattamenti
insetticidi, dato che non è stato possibile individuare una precisa
correlazione fra catture e infestazione, nonostante le numerose ricerche
effettuate a tal proposito anche a livello internazionale (Roehrich et al.,
1986; Stockel et coll., 1990). Anche se le catture non forniscono
indicazioni sicure sul livello di infestazione larvale è stato possibile
stabilire in singole realtà viticole delle soglie d’intervento (Schruft et al.,
1990) o soglie negative d’intervento (basso rischio d’infestazione)
(Roehrich e Schmid,1978).
Le principali fasi del ciclo fenologico delle tignole (inizio del volo,
deposizione delle uova, comparsa delle larve, etc.) possono anche essere
individuate mediante l’applicazione di modelli basati sul metodo delle
somme termiche. Questi modelli, derivati dallo studio dello sviluppo
dell’insetto in laboratorio (Rapagnani et al., 1988) oppure dall’analisi
delle serie storiche delle catture alle trappole (per E. ambiguella,
Cravedi e Mazzoni, 1989; per L. botrana, Delrio et al., 1989), hanno
raggiunto un alto livello di raffinatezza matematica (Baumgartner e
Baronio, 1988; Schmidt et al., 2003), ma devono essere adattati e
validati a livello locale.
Gli stadi preimmaginali delle tignole possono essere rilevati con
l’osservazione diretta di almeno 100 grappoli per appezzamento
omogeneo (ACTA-ITV, 1980). Le difficoltà nel rilevamento di uova e
larve ha però portato nella pratica a preferire la stima dei glomeruli
formati dalle larve sui fiori e dei nidi larvali (acini danneggiati) sui
grappoli.
34
È stata trovata una relazione significativa fra il numero di glomeruli per
grappolo fiorale e la percentuale di infiorescenze occupate, il che
consente di semplificare il campionamento; ad es., 50 glomeruli per 100
grappoli corrispondono a circa 35% di infiorescenze attaccate (Baillod et
al., 1996).
Anche per le generazioni carpofaghe è possibile tracciare una relazione
fra numero di nidi larvali per grappolo e percentuale di grappoli
occupati e stimare con buona accuratezza l’infestazione attraverso il
campionamento della % di grappoli attaccati (Pavan et al., 1988).
La lotta alle tignole può essere effettuata con insetticidi citotropici,
Bacillus thuringiensis e IGR (chitinoinibitori e acceleratori della muta).
I primi, che sono in grado di uccidere le larve anche dopo la penetrazione
negli acini, possono essere impiegati efficacemente anche dopo 15 giorni
dal picco del volo dopo che con il campionamento è stato rilevato il
superamento della soglia d’intervento (Pavan et al., 1993). I regolatori
della crescita degli insetti che agiscono sulle uova e sulle larve neonate
e il Bacillus thuringiensis devono essere impiegati all’inizio del volo a
prescindere dalle soglie d’intervento. Nella pratica questi interventi
preventivi vengono effettuati tenendo conto delle infestazioni degli anni
precedenti e portano a generalizzare i trattamenti con un notevole
aggravio dei costi della difesa.
3.3. CICALINE
Fra le numerose cicaline riscontrate sulla vite in Italia (Vidano et al.,
1985), le più importanti sono i Cicadellidi Empoasca vitis (Goethe) e
Jacobiasca lybica (Berg. & Zan.), per i danni diretti, e Scaphoideus
titanus Ball e il Cixiide Hyalesthes obsoletus Sign. per il loro ruolo di
vettori di fitoplasmi
E. vitis svolge 2-4 generazioni all’anno, mentre J. lybica, diffusa in
Sardegna e Sicilia, può compierne 4-5. Ambedue le specie sono
floemomize e con le loro punture di nutrizione causano vistose
alterazioni cromatiche, accartocciamenti e disseccamenti, che partono
dal margine fogliare, fino a provocare filloptosi anticipate. Le foglie
colpite riducono la fotosintesi e la traspirazione anche nella parte del
lembo ancora verde (Candolfi et al., 1993).
L’intensità dei sintomi fogliari dipende dall’epoca, durata e grado di
infestazione delle cicaline, ma anche dal tipo di vitigno, portinnesto,
vigore vegetativo dei ceppi ed è favorita dagli stress idrici (Pavan et al.,
1998). Gli effetti della riduzione della superficie fogliare causata dagli
attacchi estivi di E. vitis sono stati simulati mediante defogliazioni
artificiali. In Svizzera, l’asportazione di tutte le foglie dei germogli
principali dopo 6 settimane dalla fioritura ha causato una riduzione del
grado zuccherino e del peso medio degli acini (Candolfi-Vasconcelos e
Koblet, 1990), mentre in Italia settentrionale la defogliazione fino al
35
25% in corrispondenza dell’invaiatura non ha comportato alcun tipo di
danno (Duso e Bellini, 1992).
Elevate infestazioni possono causare diminuzioni della produzione, del
peso medio degli acini, irregolare lignificazione dei tralci, insufficiente
maturazione dell’uva con riduzione del grado zuccherino e aumento
dell’acidità totale dei mosti (Baillod et al., 1993; Gremo et al., 1994;
Pavan et al., 1998; Lentini et al., 2000).
Da quanto su riportato risulta evidente che le soglie d’intervento per le
cicaline, espresse come numero di neanidi e ninfe per foglia, non sono
generalizzabili. Infatti, per Empoasca vitis sono state proposte soglie di
1 cicalina/foglia in Francia (ACTA-ITV, 1980), di 1-3 (Baillod et al., 1993)
o più di 4 (Candolfi et al., 1993) in Svizzera, di oltre 2 in Piemonte e
Lombardia (Rigamonti, 1992), di 1-2 in Veneto e Trentino (Duso e
Girolami, 1986), di 1-1,5 per vitigni sensibili e di oltre 3 per quelli meno
sensibili in Friuli-Venezia Giulia (Pavan et al., 1998) e di 1-2 in Puglia
su uve da tavola (Colapietra et al., 2004). Jacobiasca lybica sembrerebbe
più dannosa; infatti sono state proposte soglie d’intervento di 0,5
cicaline per foglia in Portogallo (Amaro et al., 2001) e di 0,5-1 in
Sardegna (Lentini et al., 2002).
Il monitoraggio delle cicaline può essere effettuato con trappole gialle,
che consentono di seguire il volo degli adulti e dei parassitoidi oofagi (ad
es., l’importante Mimaride Anagrus atomus Haliday). In alcuni casi è
stato possibile riscontrare una correlazione fra catture ed infestazione
(Lehmann et al., 2001) e quindi usare i dati delle catture per stabilire le
soglie indicative d’intervento, ad es. in Svizzera, oltre 250
cicaline/trappola/settimana (Linder et al., 2005).
La stima dell’infestazione può essere effettuata contando il numero di
neanidi e ninfe su un campione casuale di 50-100 foglie (1 per ceppo)
oppure, poiché è stata trovata una relazione fra il numero medio di
individui per foglia e la percentuale di foglie occupate (Cerruti et al.,
1988; Baillod et al., 1996), rilevando più semplicemente le foglie
infestate. Ad es., le soglie di 1 e 2 cicaline per foglia corrispondono
rispettivamente a circa 50 e 70% di foglie occupate.
Gli studi sulla distribuzione spaziale di E. vitis e J. lybica hanno
dimostrato che le cicaline si trovano più frequentemente sulle foglie del
terzo basale del tralcio e che hanno una distribuzione leggermente
aggregata. Ciò consente di stabilire il numero di foglie da campionare
nel vigneto in funzione della densità e della precisione richiesta dalla
stima (a scopi pratici, circa 100 foglie prese a caso per ettaro) e di
sviluppare un metodo di campionamento sequenziale (Cerruti et al.,
1988; Delrio et al., 2001; Maixner, 2003).
Il monitoraggio dello Scaphoideus titanus, vettore della flavescenza
dorata della vite, è fondamentale anche ai fini delle misure di lotta alla
malattia. Per gli stadi giovanili, vista la loro particolare localizzazione
(Cravedi et al., 1993), è consigliabile l’osservazione dei succhioni o delle
foglie basali dei germogli lungo i cordoni permanenti delle viti. Gli
36
adulti possono essere monitorati con un ombrello entomologico oppure
con trappole gialle (5-6 per ettaro) posizionate a 1-2 m di altezza (Pavan
et al., 1987), meglio se disposte orizzontalmente (Jermini et al., 1992).
Le trappole gialle disposte a pochi centimetri dal suolo possono essere
usate anche per valutare la presenza di Hyalesthes obsoletus, vettore del
legno nero, anche se risultano poco efficienti, per cui sarebbe
consigliabile ricorrere a sfalci per la cattura degli adulti (Weber e
Maixner, 1998).
3.4. COCCINIGLIE
Le cocciniglie riscontrate sulla vite in Italia sono circa una decina, ma
solo le cocciniglie cotonose Planococcus ficus (Sign.) e P. citri (Risso) sono
considerate molto dannose in alcune aree viticole (Tranfaglia e Viggiani,
1978).
Le cocciniglie cotonose, che sviluppano 2-3 e 4-5 generazioni all’anno
rispettivamente nel Nord e Sud Italia, sono forti produttrici di melata che
imbratta foglie e grappoli favorendo lo sviluppo di fumaggini. Gli attacchi
diretti ai grappoli e la fumaggine possono deprezzare gravemente i
grappoli di uva da tavola. Le cocciniglie possono trasmettere inoltre i virus
dell’accartocciamento fogliare e del legno riccio.
Sono state proposte soglie pratiche d’intervento di 3-5% di grappoli
infestati (Duso e Girolami, 1986; Prota et al., 1988) oppure del 2-3% di
grappoli infestati su uve da tavola e di 10-15 su uve da vino e di 10-15%
di ceppi infestati in inverno (Laccone et al., 1993).
Il monitoraggio dei maschi delle due cocciniglie può essere effettuato con
trappole innescate con planococcyl acetate e S-lavandulyl senecionate,
principali feromoni sessuali rispettivamente di P. citri e di P. ficus. Le
trappole, a delta o a bottiglia, innescate con 0,1 mg di feromone hanno
un raggio di attrazione di oltre 50 metri e una durata di oltre un mese
(Millar et al., 2002). Le trappole consentono di discriminare facilmente
la presenza delle due specie nei vigneti e di seguire l’andamento del volo
dei maschi (Ortu et al., 2005). La buona correlazione trovata nei vigneti
del Sud Africa fra maschi catturati e densità di colonie sui tralci apre la
strada alla possibilità di monitorare le infestazioni di P. ficus attraverso
le catture (Walton et al., 2004).
Il campionamento delle popolazioni di P. ficus può essere effettuato in
inverno, per accertare eventuali focolai d’infestazione, scortecciando
porzioni anulari di 10 cm del cordone orizzontale poste in prossimità del
fusto. Le infestazioni sulla vegetazione possono essere stimate
osservando una foglia per pianta, in particolare quelle basali e quelle
opposte al grappolo, e il secondo grappolo posto sul primo germoglio del
capo a frutto (Duso, 1989). I rilievi nella fase precedente alla chiusura
del grappolo sono fondamentali per rilevare precocemente la presenza
del fitofago e determinare la necessità del trattamento.
37
3.5. TRIPIDI
Le due specie di Tisanotteri più importanti nei vigneti sono
Drepanothrips reuteri Uzel, tripide della vite, e Frankliniella
occidentalis (Pergande), tripide occidentale dei fiori, quest’ultimo
particolarmente dannoso all’uva da tavola.
D. reuteri compie 3-4 generazioni all’anno e può provocare danni al
germogliamento, determinando uno stentato accrescimento e
distorsione delle foglie, e nei casi più gravi aborto fiorale e colatura degli
acini. Gli attacchi di questa specie sono particolarmente temuti nei
vigneti giovani in quanto può essere compromessa la produzione del
legno (Lozzia et al., 1984). La sintomatologia può essere confusa con
quella causata dall’Eriofide Calepitrimerus vitis (Nal.).
Il tripide della vite può essere monitorato in inverno osservando al
microscopio binoculare l’inserzione dei sarmenti di un anno su quella
dell’anno precedente oppure in primavera ed estate campionando
rispettivamente 100 foglie (seconda foglia basale del tralcio) o 30-50
foglie (8°-10° foglia) (Strapazzon, 1987; Baillod et al., 1996). In Svizzera
è stata proposta una soglia d’intervento di 60-80% di foglie occupate da
almeno un tripide.
F. occidentalis compie numerose generazioni all’anno spostandosi su
varie piante man mano che queste fioriscono. A fine maggio il tripide si
porta sulla vite in fioritura dove determina danni con le punture di
ovideposizione e di alimentazione. All’allegagione, nei punti di
ovideposizione sull’acino si formano aloni biancastri, mentre le punture
di nutrizione causano rugginosità e aree di aspetto argenteo (Moleas et
al., 1996).
Il monitoraggio dei tripidi può essere effettuato con trappole azzurre che
catturano gli adulti o scuotendo i grappoli in sacchetti di plastica
trasparente o su cartone plastificato di colore bianco. Le soglie di
intervento sono di 5-10 tripidi catturati a inizio fioritura e di 15-20 a
metà fioritura, oppure più di 3-5 tripidi per grappolo (Moleas, 2001).
3.6. ACARI
La vite può essere attaccata dagli acari Tetranichidi Panonychus ulmi
(Koch) (ragnetto rosso dei fruttiferi), Eotetranychus carpini (Oud.)
(ragnetto giallo) e Tetranychus urticae Koch (ragnetto rosso comune) e
dagli Eriofidi Colomerus vitis (Pagenst.) e Calepitrimerus vitis (Nal.).
Le infestazioni delle prime due specie di Tetranichidi sono risultate
rilevanti in alcune aree viticole del nord Italia, in conseguenza
dell’impiego di insetticidi acaro-stimolanti e di anticrittogamici ad
azione secondaria acaricida che hanno portato ad una rarefazione dei
predatori (soprattutto Fitoseidi), mentre meno frequenti risultano gli
attacchi di T. urticae (Duso et al., 1988). Colomerus vitis, agente
38
dell’erinosi, non ha importanza economica, mentre Calepitrimerus
vitis, che determina una sintomatologia nota come acariosi, può
risultare dannoso in certe condizioni su alcune varietà di uva da vino e
da tavola.
P. ulmi e E. carpini possono compiere rispettivamente 6-9 e 6-7
generazioni all’anno. Gli attacchi sulle giovani foglie ostacolano la
crescita dei germogli che presentano foglie piccole e deformate, mentre
in estate elevate densità provocano cambiamenti di colore
(imbrunimenti e ingiallimenti), disseccamenti e caduta anticipata delle
foglie. I danni, tanto più importanti quanto più precoci sono le
infestazioni, consistono in perdite in peso della produzione, ritardo della
maturazione e riduzione del grado zuccherino (Borgo, 1988).
Numerose variabili (fattori climatici, varietà, forme di allevamento,
stadio fenologico al momento dell’attacco, etc.) possono influenzare la
definizione delle soglie di tolleranza e d’intervento. Studi iniziali in
Francia e Svizzera avevano portato a proporre soglie di 2-5 acari per
foglia in primavera-inizio estate e di meno di 1 acaro/foglia in estate,
corrispondenti a 60-70% e 30-45% di foglie occupate (Baillod et al.,
1979), ma più recenti ricerche di tipo quantitativo hanno dimostrato che
la vite può tollerare anche elevate densità di acari senza apparenti
danni (Candolfi et al., 1993).
In Italia (Girolami, 1981; Duso et al., 1988), l’osservazione che i
sintomi di bronzatura si manifestano a densità molto elevate (10-15
acari/foglia) ha portato a proporre soglie d’intervento di 10-20 forme
mobili per foglia. A queste densità la maggior parte delle foglie risulta
attaccata da uno o più acari e quindi non è più possibile utilizzare, per
decidere se trattare o meno, il metodo delle foglie occupate. La
distribuzione di P. ulmi è di tipo aggregato ed è stato possibile
mettere a punto un metodo di campionamento sequenziale basato sul
numero cumulativo degli acari contati sulle foglie per valutare il
superamento delle soglie e decidere se trattare o meno (Girolami e
Mozzi, 1983). Nella pratica si consiglia di osservare una decina di
foglie per ettaro di vigneto omogeneo, conteggiando gli acari fitofagi e
i loro predatori, e di non trattare se non vengono superate le soglie
(Duso e Girolami, 1986).
Il rischio di attacchi precoci di P. ulmi in primavera può essere valutato
contando le uova svernanti in prossimità delle gemme su un campione
di 100 gemme ad ettaro prelevate dai tralci di potatura (Baillod et al.,
1989). Le soglie d’intervento proposte sono di 10 uova per gemma
(Laccone et al., 1993).
Calepitrimerus vitis compie 3-4 generazioni all’anno e in primavera
attacca i germogli causando ritardi di sviluppo, accorciamento degli
internodi, formazione di scopazzi, mentre in estate provoca bronzature
(Rota, 1992). In Svizzera sono state definite soglie indicative
d’intervento di 1-3 acari per gemma per trattamenti in primavera,
estraendo con lavaggio gli acari da almeno 20 gemme prelevate dai
39
tralci di potatura (Baillod et al., 1993), mentre in Italia è stata proposta
una soglia del 10% di gemme occupate in inverno e del 3-4% di germogli
con sintomi di attacco (Laccone et al., 1993).
3.7. CONSIDERAZIONI
Il monitoraggio dei principali fitofagi della vite deve essere effettuato
seguendo lo sviluppo fenologico della pianta e concentrando i
campionamenti delle singole specie dannose in alcune fasi critiche
(riposo invernale, germogliamento, fioritura, allegagione, prechiusura
del grappolo e invaiatura). I metodi di campionamento e le soglie di
intervento attualmente disponibili, anche se talvolta empiriche,
consentono l’attuazione di un efficace controllo integrato della vite.
Tuttavia l’esecuzione dei campionamenti risulta molto onerosa e di
difficile applicazione pratica. Un ulteriore sforzo dovrebbe quindi essere
indirizzato ad una maggiore semplificazione dei metodi di monitoraggio,
come ad esempio un più efficiente impiego delle trappole e dei modelli di
previsione o l’utilizzazione dell’intensità dei sintomi specifici
dell’infestazione. Per la tignoletta della vite, l’introduzione dei moderni
insetticidi regolatori di crescita, che vengono impiegati nella lotta
preventiva, rende necessaria la definizione di soglie d’intervento basate
su adeguati sistemi di monitoraggio della densità delle uova.
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A. ARZONE
Di.Va.P.R.A. - Settore Entomologia e Zoologia applicate all’Ambiente “Carlo
Vidano” Università di Torino - Via L. Da Vinci 44 - 10095 Grugliasco (TO)
Riassunto
Una rapida disamina degli aspetti morfologici, fisiologici, biologici,
nutrizionali, etologici, ecologici, fitopatologici ed epidemiologici
degli auchenorrinchi viene compiuta. Le specie sporadicamente o
comunemente presenti nel vigneto senza provocare alterazioni
degne di rilievo vengono menzionate mentre l’attenzione viene
focalizzata su quelle che possono diventare dannose direttamente
con le punture di nutrizione, le ferite di ovideposizione, l’emissione
di melata: il flatide Metcalfa pruinosa, il membracide Stictocephala
bisonia, il cicadellide Cicadella viridis, i tiflocibini Empoasca vitis,
Jacobiasca lybica, Zygina rhamni. Un breve accenno viene altresì
fatto ad Arboridia dalmatina presente in Dalmazia e ad
Erythroneura vulnerata, di origine nordamericana, di recente
segnalata in Italia. I principali nemici naturali, predatori e
parassitoidi, autoctoni o introdotti dai paesi di origine delle cicaline,
vengono ricordati.
Parole chiave: cicadellidi, flatidi, membracidi, danni, lotta, nemici naturali
Abstract
Bioethologic aspects and control techniques of viticolous
Auchenorrhyncha
A rapid examination of the morphologic, physiologic, nutritional,
ethologic, ecologic, phytopathologic, and epidemiologic aspects of the
Auchenorrhyncha is carried out. The species which are in the
vineyard sporadically or commonly without causing noteworthy
damage are mentioned. The attention is focused on the species which
can become dangerous directly with feeding punctures, egg-laying
wounds, and honeydew production: the flatid Metcalfa pruinosa, the
membracid Stictocephala bisonia, the cicadellid Cicadella viridis,
the typhlocybines Empoasca vitis, Jacobiasca lybica, and Zygina
rhamni. A short record is deserved to Arboridia dalmatina, present
45
in Dalmatia, and Erythroneura vulnerata, North American in origin,
recently reported in Italy. The most important natural enemies,
predators and parasitoids, authocthonous or introduced from the
original countries of the cicadellids are recorded.
Key words: cicadellids, flatids, membracids, damage, control, natural enemies
4.1. CENNI DI MORFOLOGIA DEGLI AUCHENORRINCHI
Gli Auchenorrinchi comprendono una serie di famiglie di Rincoti
Omotteri i cui rappresentanti sono caratterizzati dal rostro, o labbro
inferiore, che si origina nella parte posteriore del capo e la cui base sorge
davanti alle anche delle zampe anteriori, differentemente da quello
degli Sternorrinchi, la cui base appare fra le anche delle stesse zampe
anteriori. Sono solitamente alati e volgarmente conosciuti in tutto il
mondo come cicale o cicaline, per l’aspetto degli adulti. Hanno antenne
brevi, con due articoli prossimali ingrossati, distalmente assottigliate.
Le ali presentano numerose nervature e quelle anteriori sono
generalmente più consistenti delle posteriori. Le zampe hanno tarsi con
3 segmenti; le posteriori sono saltatorie, donde i nomi volgari di
leafhoppers (tiflocibini), planthoppers (delfacidi), treehoppers
(membracidi), froghoppers (cercopidi). Le femmine sono dotate di un
robusto ovipositore, formato da tre coppie di valve, che si origina a carico
degli urosterniti ottavo e nono. Le dimensioni variano da pochi
millimetri (3-20) nelle specie paleartiche fino a parecchi centimetri in
quelle tropicali.
Gli auchenorrinchi sono interessanti per peculiarità morfologiche,
soprattutto nei membracidi, caratterizzati dall’enorme sviluppo del
pronoto che ricopre normalmente capo, torace e addome e in molte
specie presenta lateralmente due corna aguzze e un prolungamento
caudale spiniforme (sino a raggiungere ipertelie paradossali con
fantastiche e bizzarre dilatazioni, ramificazioni e ornamentazioni), e
cromatiche, con pigmentazioni varianti dal bianco fino al nero
attraverso tutti i termini di passaggio, giallo, rosso, marrone, bruno,
composti in disegni, bande, striature i più svariati e con accostamenti
mirabili ed esteticamente molto gradevoli.
Le caratteristiche fisiologiche comprendono organi che emettono e
ricevono suoni (cicale) e microsuoni (cicadellidi), micetomi specifici con
relativi microsimbionti, intestino dotato di camera filtrante, produzione di
spuma (cercopidi), di melata (membracidi, flatidi), di cera (fulgoromorfi),
di brocosomi. Questi ultimi sono strutture ultramicroscopiche, associate ai
cicadellidi, che prendono origine nei tubi malpighiani e vengono versati
nell’intestino dal quale sono emessi attraverso l’apertura anale in
goccioline bene differenziate da quelle escrementizie. Hanno aspetto
reticolato (letteralmente il nome significa “corpo a rete”), dimensioni in
46
media di 0,60 µm e vengono distribuiti su tutto il corpo mediante rapidi
movimenti delle zampe che portano speciali setole disposte a pettine sulle
tibie anteriori e posteriori. Nei tiflocibini vengono anche immagazzinati
sulle ali anteriori in spessi strati ovalari che formano le cosiddette “aree
cerose”. Di natura e composizione pressoché sconosciute, vengono
interpretati come materiale di protezione dei piccoli insetti che li
producono.
4.2. CENNI DI BIOLOGIA
Dal punto di vista biologico, lo sviluppo viene compiuto secondo due
processi denominati paurometabolia ed emimetabolia. Le uova,
solitamente allungate e fusiformi, schiudono dopo uno sviluppo
embrionale di una decina di giorni per le specie con generazioni
primaverili ed estive, di parecchi mesi per le specie in cui lo svernamento
viene compiuto nello stadio di uovo. A seconda delle specie, dopo lo
sgusciamento i giovani sono destinati a rimanere sulla vegetazione ove
sono nati oppure a raggiungere quella al suolo. Gli stadi giovanili sono
rappresentati da cinque età, distinte in neanidi per le prime età, che
solitamente sono due e non presentano abbozzi alari, e in ninfe per le età
successive in cui gli abbozzi alari compaiono e vanno sviluppandosi con
le mute. Dalla ninfa di ultima età (solitamente la quinta) sfarfalla
l’adulto che presenta ali funzionanti e può anche non differenziarsi
troppo dall’età precedente oppure mostrare modificazioni morfologiche
notevoli se comportano ambienti di vita differenti: si parla nel primo caso
di paurometabolia (ad es. i cicadellidi che vivono sempre in ambiente
subaereo), nel secondo caso di emimetabolia (ad es. i cicadidi che svolgono
la vita giovanile nel terreno e quella adulta in ambiente aereo).
Anche se non possono venire considerati insetti strettamente
omodinami, il numero delle loro generazioni varia generalmente da uno
a quattro, in alcune specie con possibilità di riduzione o aumento a
seconda delle condizioni climatiche e ambientali. Lo svernamento è
sopportato sia dall’uovo deposto in tessuti vegetali, sia dagli adulti
stazionanti in luoghi riparati delle piante ospiti donde escono nelle
giornate più calde, sia dai giovani al suolo o sulle radici dei vegetali.
Per quanto concerne gli aspetti nutrizionali, gli auchenorrinchi sono
tutti fitofagi e considerati gruppo di transizione fra eterotteri, a regime
dietetico misto, fitofago e zoofago, e sternorrinchi, a regime strettamente
floemomizo. In effetti essi comprendono specie plasmomize o
mesofillomize (svuotano le cellule del parenchima fogliare del loro
contenuto ed emettono escrementi nerastri), xilemomize (assumono
l’alimento dai vasi legnosi ed emettono deiezioni acquose, in goccioline
trasparenti o sotto forma di spuma bianca), floemomize (succhiano linfa
elaborata ed espellono melata), floemoftore (pungono i vasi cribrosi
interrompendo il flusso della linfa ed eliminano escrementi brunastri).
47
4.3. CENNI DI ETOLOGIA
Gli auchenorrinchi mostrano costumi spiccatamente igrofili e preferiscono
ambienti umidi e freschi quali prati irrigui, base dei cespi di graminacee e
di altre piante erbacee, pagina fogliare inferiore, quando non addirittura
il terreno ove svolgono lo sviluppo giovanile. Alcune specie sono
monofaghe o pseudomonofaghe, obbligate a vivere e riprodursi su una sola
o su poche specie vegetali dello stesso genere, parecchie risultano
oligofaghe nell’ambito di una o più famiglie vegetali, molte sono polifaghe
e spaziano su molte piante arboree oppure erbacee.
Le alterazioni alla vegetazione sono causate non solamente dalla
sottrazione di materiale parenchimatico e di linfa grezza o elaborata ma
anche dalle fenditure di ovideposizione, che possono letteralmente
tempestare virgulti, piante in vivaio o in piantamenti recenti, giovani
rametti mandandoli a morte, e dalle trafitture di nutrizione che
provocano necrosi, decolorazioni, pigmentazioni anomale. Tuttavia le
peggiori preoccupazioni sono provocate dalle specie incautamente
introdotte da altre regioni zoogeografiche, giunte in nuovi areali senza il
complesso di limitatori naturali che nelle patrie di origine ne tiene in
freno le popolazioni e, soprattutto, da quelle che sono in grado di
trasmettere agenti fitopatogeni.
4.4. LA SITUAZIONE ITALIANA DEGLI AUCHENORRINCHI VITICOLI
Secondo una ricognizione relativamente recente (D’Urso, 1995), le specie
di auchenorrinchi presenti in Italia sarebbero 867 appartenenti a 298
generi e 14 famiglie. Anche se il loro numero è destinato ad aumentare,
quelle che si possono comunemente trovare in vigneto sono poco più di
una trentina e quelle da ritenere dannose si aggirano sulla decina.
L’elenco potrebbe divenire molto più cospicuo qualora vi si
aggiungessero anche gli individui di specie che possono casualmente
giungere sulla vite durante il volo di avvicinamento a piante ospiti per
nutrirsi o per svernare, o nello spostamento da piante ospiti degli
interfilari o delle zone contermini, se non addirittura per fenomeni di
deriva specialmente in giornate ventose. Tali sono da considerare le
citazioni di Populicerus populi (L.) dei pioppi, Eupteryx spp. delle piante
officinali, Liguropia juniperi (Lethierry) dei cipressi, Lindbergina
aurovittata (Douglas) delle querce, Zyginidia spp. ed Emelyanoviana
mollicula (Boheman) delle graminacee, Japananus hyalinus (Osborn)
degli aceri ornamentali e via esemplificando, per lo più catturati con
trappole cromotattiche adesive.
Considerando l’elenco della tabella 1, ed escludendo le specie vettrici che
vengono trattate in altro capitolo, il cixiide P. leporinus, nero, lungo 5-7
mm, il cercopide C. sanguinolenta, che spicca per le macchie rosse sul
nero bluastro delle ali, lungo 8-10 mm, il membracide C. cornutus,
48
Tabella 1 - Auchenorrinchi del vigneto
Cixiidae
Pentastiridius leporinus (L.) (Oliarus) Signoret
Delphacidae
*Hyalesthes obsoletus Signoret
Javesella pellucida (F.)
Laodelphax striatellus (Fallén)
Issidae
Agalmatium flavescens (Olivier) (Hysteropterum grylloides F.)
Flatidae
*Metcalfa pruinosa (Say)
Cicadidae
Lyristes plebejus (Scopoli)
Cicadatra atra (Olivier)
Cicada orni L.
Cercopidae
Cercopis sanguinolenta (Scopoli)
Philaenus spumarius (L.)
Lepyronia coleoptrata (L.)
Membracidae
Centrotus cornutus (L.)
Cicadellidae
Ledra aurita (L.)
Penthimia nigra (Goeze)
Aphrodes bicincta (Schrank)
*Cicadella viridis (L.)
Graphocephala fennahi Young
Empoasca decipiens Paoli
*Empoasca vitis (Göthe)
Asymmetrasca decedens Paoli
*Jacobiasca lybica (Bergevin & Zanon)
*Zygina rhamni Ferrari
Neoaliturus fenestratus (Herrich-Schäffer)
*Stictocephala bisonia Kopp & Yonke
Macrosteles cristatus (Ribaut)
M. laevis (Ribaut)
M. quadripunculatus (Kirschbaum)
M. sexnotatus (Fallén)
Fieberiella florii (Stål)
*Scaphoideus titanus Ball
Euscelis incisus (Kirschbaum)
Euscelidius variegatus (Kirschbaum)
*Arboridia dalmatina (Novak & Wagner)
*Erythroneura vulnerata Fitch
brunastro, lungo 8-10 mm, caratterizzato da due vistosi processi
pronotali anteriori e uno posteriore, i cicadellidi L. aurita, nocciolagrigiastra, lunga 13-18 mm, con un aspetto da membracide a causa di
due espansioni laminari pronotali, P. nigra, nera con due macchie rosse
sul pronoto, lunga 4-5 mm, A. bicincta, bruno- o grigio-giallastra, lunga
4-5 mm, G. fennahi, verde con due lunghe bande aranciate sulle ali
anteriori, lunga 8-9 mm (specie esotica infeudata ai rododendri
ornamentali), E. decipiens, verde chiara, lunga 3-4 mm e la molto simile
A. decedens, possono attirare l’attenzione quando la loro presenza
diviene occasionalmente più numerosa del consueto, ma non provocano
alterazioni degne di nota poiché vivono generalmente su dicotiledoni
erbacee.
Prive di implicazioni fitopatologiche sono pure alcune manifestazioni
più tangibili e appariscenti. Sovente in primavera i tralci mostrano
49
numerose ooteche terrose, lunghe circa 5 mm, dell’isside A. flavescens,
che possono destare preoccupazioni nei viticoltori. Il fenomeno però è
destinato a estinguersi rapidamente poiché le neanidi neonate
raggiungono subito le erbe dell’interfilare ove svolgono tutto lo sviluppo
senza interferire con il fruttifero. Lo stesso si può dire per le esuvie,
anche molto numerose in zone e annate particolarmente calde, dei
cicadidi L. plebejus, C. atra, C. orni, insetti tipicamente emimetaboli che,
dopo aver svolto lo sviluppo giovanile sulle radici, in estate raggiungono
i tronchi per sfarfallare, o per le masserelle di spuma biancastra molto
visibili in primavera sulla vegetazione tenera dei cercopidi L.
coleoptrata e Ph. spumarius, insetti xilemomizi che insufflano aria nelle
deiezioni acquose entro le quali si proteggono (a differenza di C.
sanguinolenta che si comporta allo stesso modo sulle radici e quindi non
rende evidente la spuma protettiva).
Per quanto attiene agli auchenorrinchi nominati nei tre gruppi
precedenti, trattandosi di specie endemiche (eccezione fatta per J.
hyalinus e G. fennahi), di frequentazioni sporadiche, di presenze casuali,
di popolazioni solitamente tenute in freno da numerosi predatori e
parassitoidi, non vi è ragione di preoccupazioni né tantomeno di
interventi.
Da quanto precede, fermo restando il pericolo dei vettori di agenti
fitopatogeni, l’attenzione deve venire circoscritta ad auchenorrinchi che
provocano danni primari con l’alimentazione o con l’ovideposizione: al
flatide M pruinosa e al membracide S. bisonia, entrambi di origine
neartica, e ai cicadellidi autoctoni C. viridis, E. vitis, J. lybica, Z. rhamni,
volgendo uno sguardo anche ad A. dalmatina ed E. vulnerata.
4.4.1. Metcalfa pruinosa Say
Il flatide M. pruinosa è largamente diffuso nel continente americano sia
al Nord, dal Canada agli Stati Uniti e al Messico, che al Sud fino al
Brasile. In Europa è stato segnalato per la prima volta in Provincia di
Treviso, da dove si è rapidamente diffuso in tutta Italia e nei paesi
circostanti (Francia, Svizzera, Slovenia, Croazia) con una marcia
difficilmente arrestabile a causa della sua estrema polifagia. Vive su
una grande quantità di piante erbacee e legnose, dalle infestanti ai
fruttiferi, appartenenti a più di 50 famiglie botaniche, su molte delle
quali si può riprodurre. È una specie a regime dietetico floemomizo che
provoca danni fisiologici con suzione di linfa elaborata ed estetici con
abbondante produzione di melata e di cera, manifestazioni che simulano
quelle provocate dagli pseudococcidi.
L’adulto è lungo 8,0-8,4 mm, ha colore bianco perlaceo e ampie ali
anteriori espanse, troncate distalmente, che l’avvicinano vagamente a
un lepidottero tortricide (donde il nome volgare di “farfallino”), di colore
grigiastro, ricoperte da secrezione cerosa. La specie compie una sola
generazione all’anno e sverna allo stadio di uovo. Le prime schiusure
50
avvengono a fine maggio. Il colore, bianco candido nelle neanidi, diviene
verde chiaro nelle ninfe; tutti gli stadi giovanili sono ricoperti di
abbondante secrezione cerosa che diviene più vistosa nelle ultime età
quando compare anche un paio di filamenti all’estremità caudale. Lo
sviluppo giovanile, attraverso tre età neanidali e due età ninfali, viene
completato in circa un mese. Gli adulti, molto mobili, compaiono
all’inizio di luglio e rimangono in attività sino a fine ottobre. A partire da
agosto le femmine si portano sulle piante prescelte per l’ovideposizione,
su cui a volte formano veri assembramenti, e compiono l’attività
riproduttiva anche in pieno giorno, incuranti di eventuali disturbi
ambientali. Le uova (circa un centinaio per femmina) sono inserite
singolarmente o in piccoli gruppi in fessure e screpolature di rami e
tronchi di cespugli e alberi, con preferenza per quelli con corteccia sottile
e rugosa, o anche entro gemme.
L’affollamento di neanidi e ninfe in attività trofica impedisce la normale
crescita dei germogli e dà origine a una grande quantità di cera e di
melata che coinvolge le foglie sottostanti, sulle quali proliferano le
fumaggini con conseguenti riduzione dell’attività fotosintetica e
secchezza fisiologica. Su vite i danni maggiori sono causati alle cultivar
da tavola perché melata, cera e fumaggini compromettono la
commerciabilità del prodotto, ma anche sulle cultivar da vinificazione il
disturbo è notevole. Non è trascurabile nemmeno il disagio dei viticoltori
che, trovandosi a operare su viti pesantemente imbrattate, cercano di
rimediare con interventi estemporanei, purtroppo poco risolutivi.
In effetti la lotta chimica presenta difficoltà a causa della secrezione
cerosa che protegge tutti gli stadi attivi degli insetti e della mobilità
degli adulti. A ciò si aggiunga la pericolosità di trattamenti con i
numerosi fitofarmaci sperimentati, soprattutto in vicinanza del raccolto.
Utile è apparso l’impiego di soluzioni acquose di nitrato di potassio che,
irrorate con forte pressione, dilavano le piante liberandole da melata,
cera, insetti. È un tentativo estremo, non sempre perseguibile per grandi
estensioni. Nella patria di origine questo flatide non è considerato
economicamente importante perché naturalmente limitato da molti
nemici naturali che pertanto sono poco conosciuti. Siccome in Europa
(continente molto povero di flatidi) limitatori autoctoni non si sono
adattati al nuovo fitomizo, è stato introdotto in Italia il driinide
Neodryinus typhlocybae (Ashmead) parassitoide degli stadi giovanili (e
in parte anche predatore) in vista di attuare una lotta biologica efficace
(Girolami e Camporese, 1994). I tentativi di diffusione sono stati molti
in numerose zone viticole, ove il driinide ha mostrato di acclimatarsi con
facilità e finalmente, dopo un decennio di sperimentazione e di lanci del
parassitoide, la situazione si va lentamente avviando verso l’auspicata
lotta biologica propagativa. Viene quindi notata una graduale
diminuzione della pressione del flatide in vigneti già molto infestati a
scapito di altri successivamente coinvolti, in una sorta di progressivi
convivenza e adattamento di non facile interpretazione.
51
4.4.2. Stictocephala bisonia Kopp & Yonke
Il membracide S bisonia, o cicalina bufalo americana, ha il suo areale
originario di distribuzione negli Stati Uniti orientali e centro occidentali
da dove è stato introdotto in Europa, dapprima in Ungheria, poi in molti
altri Paesi situati fra i paralleli 40° e 50° (Arzone et al., 1987). È stato
segnalato in Italia nel secondo dopoguerra (Goidanich, 1946) con il nome
(poi rivelatosi errato) di Ceresa bubalus F., la quale in verità non è mai
giunta nella regione paleartica. È specie molto polifaga a regime
dietetico floemoftoro, non emette melata e provoca alterazioni primarie
con le incisioni di ovideposizione e secondarie con le punture di
nutrizione.
L’adulto è lungo 10 mm. Ha colore verdastro, presenta sul pronoto due
processi appuntiti ai lati e una lunga carenata prominenza centrale
appuntita e diretta all’indietro, cioè le ipertelie tipiche dei membracidi.
La specie compie una sola generazione all’anno e sverna allo stadio di
uovo. Le prime neanidi sgusciano all’inizio di maggio. I giovani sono di
colore verde e presentano processi spiniformi che vanno a mano a mano
accentuandosi con il passaggio dai due stadi di neanide ai tre stadi di
ninfa, nei quali compaiono gli abbozzi alari. Lo sviluppo giovanile viene
completato in circa due mesi. Gli adulti cominciano a sfarfallare in
luglio e sono attivi sino a ottobre. Per completare il ciclo annuale S.
bisonia necessita di due ospiti vegetali, una pianta legnosa per
l’ovideposizione e una erbacea per lo sviluppo dei giovani. Molti ospiti
legnosi spontanei o coltivati appartenenti a numerose famiglie
botaniche ne sono coinvolti, mentre le coltivazioni di medica e trifoglio
forniscono l’ambiente migliore per neanidi e ninfe che tuttavia si
sviluppano anche al colletto di molte altre piante erbacee sia mono- che
dicotiledoni con stelo glabro.
Le alterazioni alle piante sono imputabili soprattutto all’attività
riproduttrice delle femmine con le caratteristiche ovideposizioni
endofitiche, meno note sono quelle dovute all’attività trofica dei giovani,
peculiari sono quelle degli adulti che sono polifagi ma, in certe aree dove
si riproducono, provocano particolari modificazioni caulinari e fogliari.
Ciascuna femmina depone più di 100 uova che inserisce con il robusto
ovipositore entro lo spessore della corteccia di rami con diametro fino a
2 centimetri. Le uova sono deposte in gruppi di 6-12 entro fenditure a
forma di mezzaluna. Tali fenditure, che si presentano in coppie
contrapposte a formare una incisione a ferro di cavallo, sono profonde 2
mm e lunghe 3-4 mm. Oltre che il floema, anche il cambio viene
raggiunto e sovente sono interessati persino gli strati periferici dello
xilema. Le alterazioni morfologiche e fisiologiche che ne conseguono
danneggiano non soltanto gli organi direttamente coinvolti ma l’intera
pianta.
La vite è uno degli ospiti preferiti dagli adulti che per nutrirsi scelgono
tralci verdi, peduncoli di foglie, piccioli di grappoli, viticci. Sovente le
52
punture degli stiletti boccali raggiungono lo xilema, ma di solito si
arrestano al floema, o meglio al tessuto cribroso. Se sono apportate una
o più serie radiali o a spirale, come spesso accade, l’organo coinvolto
reagisce dando luogo a una strozzatura seguita da necrosi, ipertrofie,
emissione di radici. Poiché lo xilema rimane indenne mentre un anello
di tessuto cribroso ha i vasi linfatici compromessi, gli organi posti
distalmente al punto traumatizzato continuano a essere riforniti di linfa
grezza ma non possono lasciar discendere la linfa elaborata. A seguito
dell’eccessivo accumulo di carboidrati le foglie del tralcio sovrastante la
strozzatura si ispessiscono, si arrotolano in senso infero, arrossano in cv
a bacca nera, ingialliscono in cv a bacca bianca. Per contro le ferite di
ovideposizione di solito non sono pericolose su ceppi adulti, ma
divengono problematiche su barbatelle o su viti di primo impianto a cui
possono arrecare danni irreparabili, fino a completa disseccazione e
morte.
La lotta chimica è inefficiente a causa della difficoltà di colpire gli adulti
che volano su molti cespugli, i giovani che vivono su piante erbacee, le
uova protette sotto la corteccia. Un suggerimento molto opportuno e
sempre valido è quello di evitare le consociazioni fra vite ed erba medica,
trifoglio e piante erbacee in generale che sovente si trovano negli
interfilari o nelle vicinanze. Tuttavia il problema è rientrato e reso
inoffensivo dopo l’introduzione dagli Stati Uniti dell’imenottero
mimaride oofago Polynema striaticorne Girault (Vidano, 1966). Questo,
dapprima allevato in cella climatica, poi acclimatato e distribuito sul
territorio piemontese, è ormai diffuso non solamente in Italia ma in
tutta Europa fino alla Russia, cioè in tutte le zone di riproduzione del
membracide, che è suo ospite specifico, mettendo in atto
spontaneamente un chiaro esempio di lotta biologica propagativa.
4.4.3. Cicadella viridis (L.)
Il cicadellide C. viridis causa profonde fenditure di ovideposizione simili
a quelle di S. bisonia, con le quali possono venire confuse. E’ specie
paleartica diffusa in tutta Europa e buona parte dell’Asia, dalla Turchia
al Giappone. È stata accidentalmente introdotta anche nella regione
neartica, ove sembra in grado di trasmettere l’agente patogeno della
Pierce’ disease, malattia esiziale alla vite. È ampiamente polifaga, ha
regime dietetico xilemomizo ed emette abbondanti deiezioni acquose
sotto forma di goccioline limpide, sino a 2,0-2,5 ml/giorno. Provoca
alterazioni primarie a svariate piante erbacee ed arboree di interesse
agrario, alle prime con l’attività trofica, alle seconde con l’attività
riproduttiva che appare senz’altro la più temibile.
L’adulto è lungo da 5-7 mm (il maschio) fino a 7-9 mm (la femmina). Le
tegmine del maschio tendono al verde azzurro, quelle della femmina
sono verdi. La specie compie due generazioni all’anno e sverna allo
stadio di uovo deposto in giunchi o in latifoglie arboree. Per ovideporre
53
Metcalfa pruinosa
Ninfa driinizzata
Colionola ricoperta di cera
Cicadella viridis
Femmina adulta
54
Tralcio con ferite di ovideposizione
Stictocephala bisonia
Adulto
Ovatura parzialmente parassitaria
Danni di punture di nutrizione di
adulti
Femmina di Polymena striaticorne
55
Jacobiasca lybica
Adulto
Disseccazione marginale fogliare
56
Imbrunimento nervale causato da
punture di nutrizione
Filloptosi in vigneto fortemente infestato
Empoasca vitis
Adulto svernante
Disseccazione marginale fogliare
Zygina rhamni
Femmina adulta
Ninfa in attività trofica
57
la femmina appoggia l’estremità distale del robusto ovipositore al
supporto e, spostandola verso il basso, incide la corteccia per un tratto di
5-7 mm, poi riporta l’ovipositore all’estremità superiore dell’incisione ed
emette una dozzina di uova. Ne risultano una sottile fenditura verticale
in giunco o in piante erbacee, una fenditura falcata e un contiguo
rigonfiamento in rametti e polloni di piante arboree. Quest’ultima è
confondibile con quella di S. bisonia, anche perché le ovideposizioni delle
due specie sovente sono frammiste. I giovani (grigiastro-giallastri con
strie dorsali gialle e scure) e gli adulti si nutrono su piante erbacee
mono- o dicotiledoni. Su queste in giugno-luglio le femmine inseriscono
le uova della generazione estiva mentre in autunno raggiungono i
giunchi o i polloni e i giovani rametti di piante arboree per deporvi le
uova destinate a svernare.
È specie spiccatamente igrofila, assai comune in prati irrigui e in zone
umide. Anche le ovature autunnali in piante arboree sono collocate a
poca altezza dal suolo. Per questo motivo i barbatellai situati in zone
molto fresche, all’interno o in vicinanza di prati e incolti ove il cicadellide
trova l’ambiente ideale di vita, soggiacciono particolarmente al rischio di
avere i giovani tralci letteralmente tempestati da innumerevoli
fenditure di ovideposizione che possono compromettere le piante.
I danni possono venire evitati con mezzi preventivi, tenendo in debito
conto le spiccate preferenze per le zone umide che debbono venire
evitate per semenzali o giovani impianti. Ad ogni modo si tratta di una
specie endemica che si trova al centro di una complessa biocenosi che ne
regola e mantiene in equilibrio naturale le popolazioni. Oltre che i
numerosi predatori generici meritano menzione i preziosi limitatori
oofagi: i mimaridi Polynema woodi Hincks, Gonatocerus cicadellae
Nikolskaja, Anagrus atomus (L.) e il tricogrammatide Oligosita krygeri
(Girault) (Arzone, 1972).
4.4.4. Empoasca vitis (Göthe)
Il tiflocibino E. vitis, la ben nota cicalina verde della vite, è certamente
la specie più conosciuta fra i cicadellidi che si possono trovare sulla vite.
E’ specie paleartica a vastissima geonemia. Risulta diffusa in tutta
Europa sino all’estremo Nord, dimostrandosi tendenzialmente criofila e
in grado di riprodursi anche in situazioni climatiche che inducono la
riduzione del numero di generazioni annuali, in Africa settentrionale ed
anche nella Regione Orientale. Nonostante il nome specifico è
ampiamente polifaga su molte famiglie di latifoglie arboree, dalle
betulacee alle corilacee alle fagacee, e arbustive sulle quali può
riprodursi senza lasciare traccia della sua attività trofica, che è
precipuamente floemomiza (Arzone e Vidano, 1987; Vidano e Arzone,
1987a, 1987b).
L’adulto è lungo da 2,0 a 2,7 mm e presenta la colorazione verdiccia più
o meno chiara che ha fatto attribuire alla specie l’appellativo con cui è
58
comunemente conosciuta. A seconda della latitudine compie da 2 a 4
generazioni annuali. Lo svernamento è sopportato dagli adulti che in
autunno migrano su conifere e altre piante a foglie persistenti quali
Viburnum tinus L., Calluna vulgaris (L.) Hull e altre che si trovino nelle
vicinanze. In primavera le femmine, che sono poco prolifiche e maturano
ciascuna 15-20 uova, reimmigrano sulle latifoglie, pertanto anche su
vite, sulla quale inseriscono le uova, isolate, nelle nervature della pagina
fogliare inferiore. I giovani che ne nascono dopo 8-10 giorni hanno
colorazione verde pallida e si trattengono insieme agli adulti sulla
pagina inferiore delle foglie nel folto dei ceppi più rigogliosi e frondosi.
Lo sfarfallamento degli adulti della prima generazione ha luogo a metà
giugno. La seconda generazione ha inizio con la deposizione delle uova
all’inizio di luglio. Una terza generazione comincia con lo sfarfallamento
degli adulti nella prima decade di agosto, per cui si ha sovrapposizione
delle generazioni e conseguente presenza contemporanea di tutti gli
stadi di sviluppo. Giovani e adulti manifestano costumi spiccatamente
igrofili ma, mentre sulle altre piante ospiti non provocano alterazioni
degne di nota come già detto, su vite invece si dimostrano floemoftori e
causano l’interruzione dei vasi linfatici.
Sintomi inequivocabili di attacchi di E. vitis sono imbrunimento nervale,
ispessimento e accartocciamento infero del lembo fogliare, lucentezza
della pagina fogliare superiore seguiti da arrossamento e successivi
imbrunimento e disseccazione del margine che procedono
centripetamente verso il seno peziolare. Le alterazioni fogliari sono
tanto vistose da indurre i viticoltori a trattare con insetticidi. Ricerche
appositamente condotte hanno dimostrato che la distribuzione spaziale
nel vigneto è fortemente influenzata dall’ambiente circostante poiché è
risultata omogenea in coltivazioni di grande estensione e
significativamente aggregata nella parte interna di piccoli vigneti
circondati da prati e boschi, cioè in ambienti validi dal punto di vista
ecologico (Bosco et al., 1996).
Appare comunque incongruo e assolutamente fuori luogo il grande
numero di composti chimici suggerito per trattamenti insetticidi allo
scopo di debellare questa cicalina, le cui popolazioni sono per lo più
scatenate da trattamenti contro altri insetti o acari ampelofagi,
trattamenti che sovente innescano una spirale senza fine di infestazioni
sempre più pesanti e preoccupanti di numerosi fitofagi. Deve subentrare
qui la lotta ecologica o meglio il buon governo del vigneto, attraverso la
valorizzazione dei nemici naturali che si riproducono su altre vittime
reperite in siepi e incolti (Arzone et al., 1988). A titolo di esempio
vengono ricordati fra i predatori gli acari Allothrombium fuliginosum
(Hermann), occasionale, e Anystis baccarum (L.), piuttosto localizzato,
gli ortotteri Meconema meridionale Costa e M. thalassinus (DeGeer),
localizzati, e Oecanthus pellucens (Scopoli), diffuso ed efficiente come il
miride Malacocoris chlorizans (Panzer), il crisopide Chrysoperla carnea
(Stephens), ubiquista. Per E. vitis meritano ancora menzione, fra i
59
parassitoidi, il dittero pipunculide Chalarus brevicaudis Jervis, che è
specifico, e soprattutto l’imenottero mimaride oofago Anagrus atomus
(L.), polifago su uova non solamente di auchenorrinchi. Appare
lungimirante pertanto la tecnica, adottata nelle regioni viticole
californiane, di porre a dimora nelle vicinanze dei filari piante di Rubus
spp. per offrire ad Anagrus epos (Girault), colà vicariante di A. atomus,
la possibilità di svilupparsi in uova svernanti di altri cicadellidi, allo
scopo di favorire la moltiplicazione dell’oofago e di facilitarne il
passaggio su vite.
4.4.5. Jacobiasca lybica Bergevin & Zanon
Il tiflocibino J. lybica, nota come cicalina africana, provoca ampelopatie
simili a quelle causate da E. vitis, generalmente però con quadri
fitopatologici più vistosi e preoccupanti. È specie mediterraneo-etiopica
ad ampia distribuzione geografica, diffusa in tutto l’arco nord-orientale
dell’Africa, in Israele, nella Spagna meridionale, in Sicilia e Sardegna
meridionale, dimostrandosi pertanto spiccatamente termofila. E’ molto
polifaga e risulta particolarmente dannosa al cotone in Egitto e Sudan,
a solanacee in Israele, alla vite in Nord Africa, Spagna, Cipro, Sardegna
e Sicilia. Su questa pianta si mostra floemoftora al pari di E. vitis
(Vidano, 1962).
L’adulto è lungo da 2,5 a 3,2 mm, ha colore verde chiaro tendente al
giallo e mostra caratteri somatici molto simili a quelli della cicalina
verde, dalla quale non è facile distinguerlo morfologicamente se non
mediante osservazione microscopica. La specie compie parecchie
generazioni l’anno (4-5 in Sardegna, fino a 11 in Egitto), che si
sovrappongono fra loro, dimostrando comportamento omodinamo a
seconda delle condizioni climatiche e delle piante ospiti (Vidano, 1962).
Lo svernamento è sopportato dagli adulti su numerose piante erbacee e
arbustive e in primavera raggiunge nuovamente la vite ove si accoppia
e depone una cinquantina di uova, isolate, entro le nervature della
pagina fogliare inferiore. I giovani, anch’essi di colore verde chiaro, sono
presenti per lungo tempo, a causa delle schiusure scalari e della
sovrapposizione delle generazioni, e si trattengono nella parte più fresca
della pianta, igrofili come tutti i tiflocibini a causa delle minute
dimensioni, pungendo le nervature principali e secondarie al riparo
dalle radiazioni solari dirette e dalla ventilazione.
Increspature del lembo, accartocciamento delle foglie colpite
precocemente, fragilità, lucentezza, ispessimento con arrossamento per
vitigni a bacca nera e ingiallimento per quelli a bacca bianca,
disseccazione marginale con avanzamento centripeto, necrosi che
possono manifestarsi repentinamente e condurre a un peculiare tipo di
filloptosi consistente nella caduta del lembo ma non del picciolo,
irregolare lignificazione del tralcio e insufficiente maturazione dell’uva
sono i sintomi di attacchi massicci quali quelli segnalati in Sardegna
60
meridionale, dove compaiono infestazioni periodiche con intensità
differente nelle diverse annate, ma sempre di una gravità più o meno
accentuata (Lentini et al., 2002), e nella Sicilia occidentale (Bono et al.,
2005).
Ai fini della difesa, a fronte di indicazioni di gravi danni in presenza di
0,5-1,0 ninfe /foglia (che pertanto deve venire considerata soglia di
intervento) e in mancanza di notizie probanti sulla biocenosi della
cicalina, è stato dimostrato che l’uso delle più svariate sostanze attive
utilizzate riesce a contenere le infestazioni di una specie che è apparsa
estremamente sensibile ai trattamenti insetticidi, anche se è auspicabile
l’impiego di “prodotti fitosanitari caratterizzati da un favorevole profilo
ecotossicologico” (Bono et al., 2005). Allo scopo, anche per questa specie è
necessario tenere in debita considerazione l’incidenza limitatrice del
mimaride oofago A. atomus, e forse di qualche ulteriore specie congenere,
oltre che quella dei numerosi predatori, alcuni dei quali sono stati
esemplificati nella biocenosi di E. vitis, al fine di salvaguardare i nemici
naturali presenti nei territori viticoli e metterli in condizione di
esercitare convenientemente il loro ruolo benefico.
4.4.6. Zygina rhamni Ferrari
Il tiflocibino Z. rhamni è la terza cicalina della vite. È una specie diffusa
nei Paesi del Bacino Mediterraneo ed è tendenzialmente termofila,
risultando presente nella Francia meridionale e in Ungheria, ma non
nei Paesi più nordici dell’Europa centrale. In Italia la sua termofilìa la
rende scarsamente rappresentata nelle regioni settentrionali mentre è
comune in quelle centrali e abbondante nel meridione e nelle isole. È da
considerare un tiflocibino ampelofago obbligato e può essere ritenuta la
vera cicalina italiana della vite, anche se è stata ventilata la possibilità
di svolgimento di una generazione su un ospite alternativo. Oltre che
termofila essa è anche igrofila come tutti i tiflocibini e rifugge le
radiazioni solari dirette per cui infesta preferibilmente le viti più
rigogliose delle quali interessa le foglie maggiormente riparate della
chioma. Il regime dietetico è mesofillomizo.
L’adulto è lungo 3,0-3,5 mm e presenta una livrea bianco-cremea con
disegni rosso-aranciati più o meno notevoli a zig-zag sulle elitre, disegni
che gli hanno fatto assegnare il nome comune di cicalina giallo-rossa (o
anche cicalina gialla) della vite, per la variabilità cromatica stagionale e
individuale cui soggiacciono gli adulti. Infatti gli individui delle
generazioni estive sono solitamente molto meno pigmentati di quelli
destinati a subire lo svernamento e uno stesso esemplare acquisisce la
pigmentazione rosso-aranciata per gradi e altrettanto gradatamente la
perde in funzione della maturità sessuale È manifesto anche un notevole
dicroismo sessuale poiché i maschi sono generalmente poco dotati di
pigmenti rossi e hanno gli ultimi due tarsomeri delle zampe posteriori
nerastri. La specie compie 2-3 generazioni all’anno e sverna allo stadio
61
adulto su piante sempreverdi, con preferenza per il rovo. Ogni femmina
conficca, isolate, 30-40 uova nelle nervature principali e secondarie della
pagina fogliare inferiore e le generazioni si susseguono nel corso della
stagione con una notevole sovrapposizione. Gli stadi giovanili,
caratterizzati da colore cremeo e da antenne più lunghe del corpo,
compiono lo sviluppo in 3-4 settimane. Essi si trattengono, insieme con gli
adulti, sulla pagina fogliare inferiore della quale trafiggono l’epidermide
per nutrirsi del mesofillo. I primi adulti compaiono scalarmente a partire
dalla metà di giugno e, con la prima decade di luglio, ha inizio
l’ovideposizione che darà luogo alla seconda generazione.
Le foglie coinvolte non mostrano alterazioni in corrispondenza della
pagina inferiore, dove si trattengono gli individui, ma sulla pagina
superiore sono chiaramente visibili macchie biancastre, più concentrate
in vicinanza delle nervature, dovute allo svuotamento delle cellule del
palizzata, ma non del lacunoso (Vidano, 1962). Tanto al Nord, dove è
meno comune, quanto al Sud e nelle isole, le infestazioni pesanti con
declorofillazione su tutto il lembo sono rare. Soltanto in questo caso si
potrebbero avere ripercussioni negative sull’attività fotosintetica e,
conseguentemente, su maturazione e contenuto zuccherino dei grappoli.
Nonostante la spiccata ampelofilìa, Z. rhamni non appare una specie
viticola molto nociva. Essa è limitata dai predatori più o meno generici
già menzionati per E. vitis, dal momento che le due popolazioni si trovano
frammiste durante tutta la stagione vegetativa della vite, e da numerosi
parassitoidi: il già nominato mimaride oofago A. atomus (che da solo
distrugge complessivamente 47,60% delle uova delle due specie) (Arzone
et al., 1988), il pipunculide Chalarus zyginae Jervis, i driinidi Aphelopus
atratus (Dalman) e A. serratus Richards, nemici efficacissimi che rendono
inutili, se non addirittura controproducenti, i trattamenti chimici.
I tre tiflocibini suddescritti possono trovarsi contemporaneamente
insieme sulla vite, ma la loro distribuzione sul territorio rispecchia
chiaramente le rispettive esigenze ecologiche. Questo fenomeno è
verificabile specialmente in Sardegna, dove E. vitis è scarsamente
presente al Nord, J. lybica è abbondante al Sud, Z. rhamni si trova
sull’intero territorio. Parafrasando una espressiva battuta di Carlo
Vidano che ha lavorato a lungo sui vigneti sardi, potendolo, la prima
fuggirebbe volentieri in Italia settentrionale e la seconda volerebbe di
buon grado in Africa settentrionale.
Desidero ancora soffermarmi su due specie della sottofamiglia
Typhlocybinae, tribù Erythroneurini: A. dalmatina Novak & Wagner ed
E vulnerata Fitch, entrambe mesofillomize e degne di nota, sia pure per
motivi differenti.
4.4.7. Arboridia dalmatina (Novak & Wagner)
A. dalmatina, lunga circa 3 mm, di colore verdiccio, è considerata la
cicalina viticola più dannosa in Montenegro dove si trovano anche E.
62
decipiens Paoli, E. vitis e Z. rhamni (Velimirović, 1967). Sverna allo
stadio adulto su parecchi vegetali a foglie persistenti, con preferenza per
il rovo, soprattutto nelle vicinanze dei vigneti. In primavera gli adulti
migrano sulla vite, generalmente a partire dalla fine di aprile. La specie
compie tre generazioni all’anno e in autunno gli adulti ritornano sugli
ospiti invernali. Le uova sono deposte isolate sotto l’epidermide inferiore
delle foglie ma anche nelle nervature e nei sarmenti erbacei. La
schiusura delle neanidi della prima generazione comincia alla fine di
maggio, la seconda generazione si sviluppa da metà luglio a fine agosto,
la terza generazione inizia a fine agosto. La durata della vita giovanile
si aggira sulle due settimane. Con l’attività trofica A. dalmatina svuota
le cellule del mesofillo provocando macchie decolorate che a volte
occupano tutto intero il lembo fogliare. In questo caso le foglie tendono a
incurvarsi in senso infero mentre lo sviluppo della vite è compromesso e
la qualità del prodotto viene deprezzata. Le popolazioni della cicalina
sono incrementate dalle temperature elevate e dilavate dalle violente
piogge temporalesche (Velimirović, 1966). La cicalina è presente in
Montenegro, dove è stata ripetutamente catturata da Vidano nei
dintorni di Titograd (la moderna Podgorica) ed è segnalata anche in
Bulgaria. Vi è quindi da temere una sua diffusione spontanea nei vigneti
del Nord-Est italiano con conseguenze difficilmente prevedibili e
comunque da non sottovalutare.
4.4.8. Nuove introduzioni
Non è sicuramente imputabile a diffusione spontanea la comparsa in
Italia di E. vulnerata (Duso et al., 2005). Si tratta di una specie
ampiamente distribuita negli USA e in Canada ove è dannosa alla vite
e ad altre piante ospiti. Le prime catture risalgono al luglio 2004 in
vigneti del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia notevolmente distanti fra
loro. L’adulto è lungo circa 3 mm e ha colore fondamentale verdiccio
bruno con variazioni cromatiche a seconda della stagione. La specie
sverna allo stadio adulto e compie due generazioni all’anno. La
femmina, che sembra poco prolifica, depone le uova nelle nervature
fogliari secondarie. Contrariamente al comportamento delle specie di
tiflocibini viticoli su ricordati, giovani e adulti frequentano la pagina
fogliare superiore sulla quale provocano piccole areole depigmentate con
l’attività trofica. Negli USA, dove vive insieme con numerose specie
congeneri (E. bistrata McAtee, E. comes Say, E. elegantula Osborn, E.
obliqua Say, E. tricincta Fitch, E. variabilis Beamer, E. vitifex Fitch, E.
vitis Harris, E. ziczac Walsh) (Vidano e Arzone, 1983), forti infestazioni
inducono nelle foglie accartocciamento, disseccazione, caduta. Anche se
per ora E. vulnerata sembra preferire le piante di Vitis labrusca L. e di
V. riparia x V. labrusca isolate in giardini, è da temere che questa
ennesima specie inopinatamente introdotta in Europa possa divenire
infestante anche sulle cv europee.
63
4.5. PROBLEMATICHE DI DIFESA
In tema di difesa, in vigneto sovente vengono effettuati trattamenti
con prodotti chimici persistenti e a largo spettro d’azione inutili o
addirittura controproducenti a causa di effetti collaterali
indesiderabili. Eppure metodi alternativi alla lotta chimica esistono e
possono venire convenientemente impiegati a seconda delle
situazioni. Nel caso specifico essi possono essere compendiati in
preventivi (basati su principi ecologici mediante valutazione del ruolo
dell’ambiente, scelte agronomiche e conoscenza delle esigenze
ecologiche dei fitofagi), agronomici (basati su lavorazioni del terreno
e operazioni colturali), biologici (basati su ricostituzione,
mantenimento ed esaltazione degli equilibri naturali mediante agenti
microbiologici e artropodi, fra i quali eccellono insetti predatori e
parassitoidi). Tali metodi sono meno immediati dei trattamenti
chimici e presuppongono la conoscenza degli aspetti biologici,
ecologici ed etologici sia dei fitofagi costanti, sempre presenti con
popolazioni relativamente elevate, sia dei facoltativi, che
saltuariamente possono dar luogo a infestazioni sporadiche a volte
anche intense, sia degli occasionali, la cui attività solitamente non
provoca alterazioni apprezzabili. Tenendo conto che particolare
attenzione deve venire riservata ai vettori di agenti fitopatogeni, per
i quali si dovrebbe tendere alla soglia zero.
Conoscendo ciclo biologico, numero di generazioni, periodi di presenza
dei diversi stadi, modalità di svernamento, regime dietetico, ospiti
alternativi, esigenze climatiche e ambientali, nemici naturali sarà
possibile valutare costi e benefici dei diversi interventi. Sulla base della
tendenziale igrofilìa dei tiflocibini, sarà opportuno impiantare il vigneto
in luoghi a solatìo e non in valli ombrose e inoltre procedere a
sfoltimento della fronda eccessiva per permettere all’irraggiamento
solare e all’azione del vento di rendere l’ambiente meno favorevole agli
insetti. Parimenti i barbatellai non devono venire sistemati in vicinanza
di prati irrigui, in zone golenali o molto umide ove C. viridis trova le
condizioni ideali per l’ovideposizione. In rapporto ai nemici naturali,
soprattutto ai predatori, vi è da considerare l’annoso problema
dell’inerbimento, spontaneo o guidato, degli interfilari oltre che quello
delle siepi e degli incolti. In proposito sono da evitare le consociazioni
della vite con piante che favoriscono le popolazioni dei fitofagi, ad es.
medicai e trifogliai che offrono alimento ai giovani di S. bisonia, conifere
e altre piante a foglie persistenti dove le cicaline che svernano allo
stadio adulto cercano ricovero, gelsi e (purtroppo) numerose altre piante
preferite dalla molto polifaga M. pruinosa.
Quanto alle specie esotiche, dopo averne indagato la biologia e
l’epidemiologia nel paese di origine (ove solitamente sono poco note
perché normalmente colà l’insetto non è dannoso) e avere appurato che
nessuna specie endemica vi si è adattata, è necessario individuare il
64
limitatore specifico, introdurlo in purezza, allevarlo e distribuirlo con
ogni cautela in un tentativo di lotta biologica. Si potrà così avere
l’opportunità di instaurare una lotta propagativa (come nel caso di S.
bisonia) oppure si dovrà ripiegare su lotta inondativa. Cura particolare
deve però essere posta nell’evitare l’introduzione da altre zone
zoogeografiche di specie che con le loro eurioicità e assenza di nemici
creano grossi problemi nelle nuove aree.
Solamente in questo modo anche il vigneto potrà diventare un sistema
ecocompatibile, con indubbi vantaggi per l’ambiente, i consumatori, la
coltivazione stessa.
4.6. AUTORI CITATI
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Di.Va.P.R.A. - Entomologia e Zoologia applicate all’Ambiente “Carlo Vidano”, Università degli Studi di Torino, via L. da Vinci 44 - 10095 Grugliasco (TO)
[email protected]
Riassunto
I fitoplasmi procarioti unicellulari pleomorfici sono parassiti
obbligati, ritenuti agenti causali di più di seicento fitoplasmosi in
centinaia di piante coltivate e spontanee. In Italia le malattie di
maggiore importanza economica indotte dai fitoplasmi sono la
Flavescenza dorata e i giallumi della vite, gli scopazzi del melo, i
giallumi delle drupacee, la moria del pero e lo Stolbur del pomodoro.
Gli insetti vettori di fitoplasmi appartengono all’ordine degli
Hemiptera e sono specie delle famiglie Cixiidae, Delphacidae,
Derbidae e Cicadellidae, sezione Auchenorrhyncha, e della famiglia
Psyllidae, sezione Sternorrhyncha. In Italia le malattie note sulla vite
sono la Flavescenza dorata (FD) indotta dal Candidatus Phytoplasma
vitis trasmesso dal Cicadellidae Scaphoideus titanus Ball di origine
neartica e attualmente diffuso in tutte le regioni del nord e in modo
puntiforme in alcune del centro e del sud e il Legno nero (LN) causato
dal Ca. Phytoplasma solani trasmesso dal Cixiidae paleartico
Hyalesthes obsoletus Signoret.
Parole chiave: fitoplasmi, Scaphoideus titanus, Hyalestes obsoletus.
Abstract
Auchenorrhyncha vectors of phytopathogenic agents of
viticolous interest
Pleomorphic unicellular prokariotic phytoplasmas are obligate
parasites, considered the causal agents of over six hundred
phytoplasma diseases in hundreds of cultivated and wild
plants. In Italy the diseases of greater economic importance
caused by phytoplasmas are Flavenscence dorée and
grapevine yellows, apple witches’ brooms, stonefruit tree
yellows, pear decline and tomato Stolbur. The insects vectoring
phytoplasma belong to the order Hemiptera and are species of
67
the families Cixiidae, Delphacidae, Derbidae, and Cicadellidae,
of the section Auchenorrhyncha, and of the family Psyllidae,
ssection Sternorrhyncha. In Italy the disease known on
grapevine are Flavescence dorée (FD) induced by Candidatus
Phytoplasma vitis transmitted by the Cicadellidae
Scaphoideus titanus Ball of Nearctic origin and presently
spread in all north and in some sites of central and south Italy,
and Bois Noir (BN) caused by Ca. Phytoplasma solani
transmitted by the Palearctic Cixiidae Hyalesthes obsoletus
Signoret.
Key words: phytoplasmas, Scaphoideus titanus, Hyalestes obsoletus.
5.1. INTRODUZIONE
I più importanti agenti fitopatogeni, causa di malattie di interesse
economico alla vite nel bacino del Mediterraneo, spesso a carattere
epidemico, sono i virus e i fitoplasmi. Organismi trasmessi in natura da
vettori animali: i primi, da nematodi e cocciniglie (pseudococcidi e
coccidi), i secondi, sempre di più crescente interesse fitopatologico, da
cicaline (cixiidi e cicadellidi).
5.2. I FITOPLASMI
I fitoplasmi sono ritenuti agenti causali di più di seicento malattie in
centinaia di specie vegetali coltivate e spontanee. Dalla seconda metà
del secolo scorso ad oggi le malattie di origine fitoplasmatica hanno
assunto un ruolo sempre più importante per la gestione delle colture
agrarie, provocando in molti casi ingenti danni alle piante coltivate sia
arboree sia erbacee. In Italia le malattie indotte da questi procarioti, di
maggiore importanza economica sono la Flavescenza dorata e i giallumi
della vite, gli scopazzi del melo, i giallumi delle drupacee, la moria del
pero e lo Stolbur del pomodoro. In altre parti del Mondo rivestono
grande rilevanza anche il giallume letale della palma, i giallumi
australiani della vite, la virescenza e scopazzo dell’erba medica e i
giallumi dell’astro in diverse colture orticole.
Fin dai tempi della loro scoperta nel 1967 i “Mycoplasma - like
organisms” (MLO) ora denominati fitoplasmi, a causa dell’assenza della
parete cellulare, sono stati classificati come appartenenti alla classe dei
Mollicutes, procarioti con cui condividono, oltre al pleomorfismo, anche
un genoma di piccole dimensioni (600-1200 kb). I fitoplasmi sono
parassiti obbligati, localizzati nei tubi floematici e nelle cellule
compagne delle piante; grazie al loro pleomorfismo possono spostarsi da
una cellula all’altra attraverso i pori delle placche cribrose (Fig. 1). Essi
68
tendono a distribuirsi più o meno uniformemente in tutti gli organi della
pianta, con maggiore frequenza nelle radici. Concentrazione e diffusione
varia nel corso della stagione vegetativa e, in genere, sono più
concentrati nei tessuti delle piante erbacee che non in quelli delle
essenze arboree. Nel periodo invernale si trovano con più facilità in
gemme dormienti, in corteccia e nell’apparato radicale di piante arboree.
La loro presenza all’interno dei tubi cribrosi induce una parziale necrosi
dei tessuti floematici, con conseguente iperattività dei tessuti cambiali
e parenchimatici, seguita da una deposizione di callosio e coagulazione
di proteine floematiche che causano un intasamento dei tubi cribrosi.
Tali ostruzioni riducono il passaggio della linfa elaborata dalle foglie ai
diversi settori della pianta. Recenti studi hanno accertato che le piante
infette subiscono una marcata variazione nel contenuto endogeno di
sostanze regolatrici della crescita, quali auxine e citochinine e di
metaboliti secondari delle piante come polifenoli e alcaloidi. Tali
squilibri del metabolismo dei regolatori della crescita potrebbero essere
la causa delle principali manifestazioni sintomatologiche che si
osservano nelle piante infette.
I sintomi causati da questi microrganismi sono talmente caratteristici
che la loro comparsa è un primo segnale della possibile presenza di
fitoplasmi nelle piante malate. Le alterazioni includono sterilità dei
fiori, virescenza (sviluppo di fiori verdi e perdita del normale colore dei
fiori), fillodia (trasformazione degli organi fiorali, stami e pistilli, in
foglie), ingiallimenti, arrossamenti, ispessimenti della lamina fogliare,
raccorciamento degli internodi associato a proliferazione della
vegetazione (scopazzi) per lo sviluppo prematuro di gemme avventizie
ascellari. In alcune specie legnose si osserva anche una necrosi del
floema che, in casi gravi può condurre più o meno rapidamente la pianta
a morte.
L’incapacità di coltivare i fitoplasmi in vitro ha sempre causato problemi
per la classificazioni di tali procarioti e rende tuttora impossibile
applicare a essi convenzionali criteri di tassonomia basati su
caratteristiche fenologiche e biochimiche. Recenti studi condotti sul
sequenziamento del genoma del fitoplasma che causa giallumi in cipolla
hanno evidenziato che questi patogeni mancano di geni considerati
essenziali per la replicazione autonoma degli organismi. Questi risultati
fanno ritenere che, durante l’evoluzione i fitoplasmi hanno perso quei
geni che avrebbero permesso loro di crescere in vitro a seguito di una
interazione divenuta definitiva con i loro ospiti vegetali o animali.
Pertanto, una prima classificazione biologica è stata fatta sulla
sintomatologia indotta in ospiti vegetali, naturali e/o di laboratorio
(vinca), e sui rapporti patogeno-vettore. Una ulteriore differenziazione è
stata tentata sulla base della specificità degli insetti vettori in relazione
al fitoplasma trasmesso, anche in areali geografici differenti.
Grazie ai sempre maggiori apporti delle tecniche di biologia molecolare
è stato possibile costruire un sistema d’inquadramento tassonomico e
69
filogenetico basato sulle caratteristiche molecolari e genetiche di questi
procarioti. L’analisi condotta sul gene codificante il RNA ribosomico 16S
ha permesso di ottenere una suddivisione dei fitoplasmi conosciuti in 15
gruppi ribosomici (gruppi 16Sr) e di individuare al loro interno circa 40
sottogruppi. A causa della mancanza di sufficienti caratteristiche
fenotipiche per questi microrganismi non è prevista la distinzione in
genere e specie ma si può indicare un “Candidatus Phytoplasma”. Sono
stati individuati e pubblicati 26 Candidatus genere-specie con
caratteristiche molecolari definite e distinte (Botti e Bertaccini, 2005).
5.3. I VETTORI
Gli insetti vettori di fitoplasmi appartengono all’ordine degli Hemiptera
e sono specie delle famiglie Cixiidae, Delphacidae, Derbidae e
Cicadellidae, sezione Auchenorrhyncha, e della famiglia Psyllidae,
sezione Sternorrhyncha.
Insetti fitomizi, dotati di apparato boccale pungente-succhiante, si
nutrono di linfa elaborata. Il rapporto trofico con le piante, alle quali gli
individui infettivi possono trasmettere i fitoplasmi, può essere di tipo:
obbligato, facoltativo od occasionale (Mazzoni et al., 2005). Le specie
occasionali, con adulti in grado di nutrirsi su svariate piante erbacee,
arbustive e arboree, molte delle quali non coltivate sono spesso
imprevedibili e, in particolari condizioni ecologiche, possono divenire
estremamente pericolose.
Gli insetti, durante l’attività trofica a spese di una pianta infetta,
possono acquisire i fitoplasmi e, divenuti infettivi, trasmetterli
successivamente a piante sane, anche di specie differenti da quelle sulle
quali è avvenuta l’acquisizione. Il processo di trasmissione, di tipo
persistente-propagativo, è caratterizzato da tre momenti, o “fasi”,
distinti ma strettamente interdipendenti: (i) acquisizione, (ii) latenza e
(iii) inoculazione (Fig. 2) (Alma e Conti, 2002).
Dopo l’acquisizione, di durata variabile da ore a giorni, segue un periodo
di latenza di 2-4 settimane. Durante questa fase i fitoplasmi introdotti
con la linfa elaborata, dall’intestino medio, per via emolinfatica,
raggiungono le cellule di vari organi, tra cui le ghiandole salivari, dove
avviene la moltiplicazione (Fig. 3).
La capacità di acquisire i fitoplasmi da piante infette è più elevata negli
stadi giovanili (ninfe) che nella forma adulta. I primi stadi giovanili
(neanidi) non sono in grado di acquisire i fitoplasmi, a causa della
ridotta lunghezza degli stiletti boccali che non permettono di
raggiungere i tubi floematici. La ritenzione di infettività non è
condizionata dalle mute e l’insetto rimane infetto per tutta la vita. In
alcune specie le femmine sono più efficienti dei maschi nel trasmettere
i fitoplasmi; il diverso comportamento (femmine più statiche, maschi più
mobili) è probabilmente la causa della differente capacità di
70
trasmissione. Anche l’attività di volo e la conseguente capacità di
dispersione, delle diverse specie, condiziona l’efficacia di trasmissione e
caratterizza l’epidemiologia delle diverse malattie di origine
fitoplasmatica (Marzachì et al., 2004).
Le specie finora più indagate della sezione Auchenorrhyncha sono i
Cicadellidae con più di settanta specie vettrici appartenenti alle
sottofamiglie: Agalliinae, Aphrodinae, Cicadellinae, Coelidiinae,
Deltocephalinae, Iassinae, Idiocerinae, Macropsinae, Scarinae (=
Gyponinae) e Typhlocybinae. Nella sola sottofamiglia Deltocephalinae
sono note cinquantacinque specie implicate nella trasmissione di
fitoplasmi agenti causali di malattie, in alcuni casi di importanza
economica, a mono- e dicotiledoni erbacee, arbustive ed arboree
spontanee e coltivate.
Anche la famiglia Cixiidae annovera diverse specie vettrici con adulti
che si nutrono sulla parte epigea di svariate piante. Molte di esse sono
polifaghe, una piccola parte oligofaghe o monofaghe e strettamente
legate a pochi vegetali che caratterizzano l’ambiente in cui le specie
vivono. Gli stadi giovanili si sviluppano nel sottosuolo nutrendosi sulle
radici di piante erbacee. Le specie più importanti sono quelle che
frequentano le palme, in particolare Cocos nucifera L., alle quali
trasmettono fitoplasmi che, nelle regioni tropicali e subtropicali causano
la morte delle palme da cocco nell’arco di 3-6 mesi, con gravi
ripercussioni ambientali ed economiche. In Europa, le specie più
importanti sono quelle riconosciute vettori di fitoplasmi del gruppo
Stolbur (16Sr-XII-A), agenti causali di malattie di interesse economico a
dicotiledoni erbacee coltivate e alla vite.
L’individuazione di specie, appartenenti alle famiglie Delphacidae e
Derbidae, vettori di fitoplasmi a riso, canna da zucchero e palme da
cocco è avvenuta solo recentemente. Per alcune specie dovranno essere
condotti ulteriori studi al fine di chiarire meglio i rapporti insettofitoplasma-pianta e il loro reale ruolo nella diffusione dei procarioti
fitopatogeni.
Nell’ambito della sezione Sternorrhyncha, un ruolo cruciale nella
trasmissione di fitoplasmi appartenenti al gruppo filogenetico degli
Scopazzi del melo (16Sr-X), associati alle più importanti malattie dei
fruttiferi nelle regioni temperate, è svolto da specie diverse del genere
Cacopsylla. Le psille compiono da una a più generazioni all’anno a spese
di Rosaceae spontanee (biancospino, prugnolo) e coltivate (pomacee e
drupacee) e svernano come adulto, generalmente su conifere. Le specie
vettrici sono: C. pyricola (Förster) e C. pyri (L.) in grado di veicolare
l’agente della Moria del pero; C. pruni (Scopoli) responsabile della
diffusione del Giallume europeo di Prunus spp.; C. picta (=costalis)
(Förster) nell’Italia nord orientale e C. melanoneura (Förster) nelle
regioni nord occidentali, vettori del fitoplasma agente degli scopazzi del
melo. Al contrario di quanto avviene per altri vettori della sezione
Auchenorrhyncha, le psille mostrano una spiccata specificità per i
71
fitoplasmi del gruppo 16Sr-X degli Scopazzi del melo, dannosi ai
fruttiferi.
Le conoscenze sugli insetti vettori e sulle interazioni insetto-fitoplasmapianta sono in continua evoluzione, nel tentativo di dare una concreta
risposta alle crescenti problematiche fitosanitarie derivanti dalla
sempre più rapida diffusione in Italia, in diverse colture e in particolare
nella vite, delle malattie di origine fitoplasmatica. Un notevole impulso
alle ricerche deriva dalle innovative tecniche di biologia molecolare
applicate agli artropodi che, accanto ai tradizionali, ma indispensabili,
saggi biologici (prove di trasmissione in ambiente controllato) potranno
dare importanti e utili informazioni al fine di mettere in atto adeguate
strategie per una corretta gestione del problema.
5.4. I FITOPLASMI DELLA VITE E I VETTORI
Con il termine di giallumi della vite (Grapevine yellows, GYs) vengono
indicate tutte quelle ampelopatie causate da fitoplasmi. Le viti colpite
da differenti gruppi filogenetici di fitoplasmi (gruppi ritrovati in vite:
16Sr-I, -III, -V, -VII, -X, -XII) reagiscono con risposte identiche; pertanto
il solo esame dei sintomi non è sufficiente per riconoscere le diverse
malattie di origine fitoplasmatica (Fig. 4). Differenti espressioni dei
sintomi sono, invece, condizionate dalla genetica dei vitigni, infatti, si
possono osservare comportamenti e risposte molto diversi nell’ambito
delle varietà da uva e dei portainnesti, questi ultimi spesso sono
asintomatici. I sintomi più tipici sono ingiallimenti (varietà a bacca
bianca) o arrossamenti (varietà a bacca nera) fogliari, ispessimento e
arrotolamento infero della lamina, scarsa lignificazione dei tralci e
disseccamento parziale o totale dei grappoli. In alcune varietà
(Chardonnay, Riesling italico, Sangiovese) molto sensibili l’infezione
permane per alcuni anni fino a causare la morte della pianta.
I giallumi sono diffusi nelle principali aree viticole del Mondo quali,
Centro e Sud Europa, Medio Oriente, Nord e Sud Africa, Nord e Sud
America e Australia. In Europa le malattie note sono: Flavescence dorée
(FD) (gruppo 16Sr-V-C e D, giallume dell’olmo), Bois noir (BN) =
Vergilbungskrankheit (VK) = Legno nero (LN) (gruppo 16Sr-XII-A,
Stolbur) e Palatinate grapevine yellows (PGY) (gruppo 16Sr-V-A,
giallume dell’olmo), (Boudon-Padieu, 2000, 2003). Mentre le prime due
ampelopatie sono diffuse nel bacino del Mediterraneo e presenti in
Italia, l’ultima è localizzata nella regione viticola del Palatinato in
Germania. Il vettore del fitoplasma agente causale del PGY è Oncopsis
alni (Schrank) appartenente alla sottofamiglia Macropsinae. Specie
paleartica diffusa in tutta l’Italia vive monofaga su piante del genere
Alnus, in particolare A. glutinosa (L.) Gaertner e A. incana (L.) Moench,
frequenta la vite esclusivamente allo stadio di adulto (Alma e Conti,
2004).
72
Fig. 1 - Fitoplasmi in tubi floematici di dicotiledone erbacea.
Fig. 2 - Schema del processo di trasmissione in Scaphoideus titanus Ball (vite-vite) e in
Hyalesthes obsoletus Signoret (ortica-vite).
73
Fig. 3 - Rappresentazione schematica della trasmissione persistente (circolativa e
propagativa) di fitoplasmi. (Disegno modificato da un originale di S. Hogenhout - Dep. of
Entomology, Ohio State University, USA).
Fig. 4 - Sintomi di Flavescenza dorata su foglie di Barbera.
74
5.4.1. Flavescence dorée (FD)
La prima malattia osservata e segnalata a livello internazionale è stata
la FD, forma di giallume tutt’oggi più temuta per la rapidità con cui può
diffondersi e per i danni economici che può indurre. L’ampelopatia si
manifestò con vistosi ingiallimenti fogliari e deperimento vegetativo, in
particolare, sull’ibrido produttore diretto Baco 22A nella Francia sud
occidentale nella metà degli anni ’50. In Italia la fitoplasmosi venne
osservata in vigneti dell’Oltrepò pavese a metà degli anni ’60. Negli anni
’80-’90 la malattia si diffuse nelle aree viticole nord orientali e
occidentali del Paese, divenendo il principale problema fitosanitario. Nei
primi anni del 2000 alcuni focolai di piante infette sono stati rilevati
anche in vigneti delle Marche (2002), dove per ora non è presente il
vettore e della Toscana (2003) e dell’Umbria (2005) dove S. titanus è
stato reperito (Belli e Bianco, 2005). Nel tentativo di contenere il grave
problema fitosanitario sono state avviate numerose attività
sperimentali per la messa a punto di adeguate strategie di difesa e nel
2000 è stato emanato un decreto Ministeriale di lotta obbligatoria (D.M.
n° 32442 del 31 maggio 2000, “Misure per la lotta obbligatoria contro la
Flavescenza Dorata della vite”) (Pavan et al., 2005). Attualmente, in
Europa la FD è diffusa anche in Corsica (Francia), Spagna, Serbia e
Svizzera (Fig. 5).
5.4.2. Scaphoideus titanus Ball (Fig. 6)
È una cicalina ampelofaga originaria del nord America, nota come
vettore specifico dell’agente causale della FD (Candidatus Phytoplasma
vitis) nell’areale paleartico dove è stata reperita per la prima volta negli
anni ’60 nella Francia del sud.
Adulto lungo 4,8-5,2 mm nel maschio e 5,5-6,0 mm nella femmina.
Entrambe i sessi mostrano capo con vertice molto prominente, alcune
linee nere trasversali anteriormente tra gli occhi, e una macchia a
contorno irregolare bruno-rossastra, dorsalmente. Pronoto e mesonoto
con due e una banda rispettivamente trasversali, di colore brunorossastro. Zampe uniformemente cremeo-grigiastre, ad eccezione del
terzo paio che presentano la zona distale delle tibie e parte del tarso di
colore bruno. Ali anteriori ocraceo-brunastre con aree bianchicce e
macchie nere, venature brune.
Neanide di I età lunga 1,5-1,8 mm. Capo con vertice prominente.
Antenne relativamente lunghe, filiformi. Corpo di colore bianchiccio.
Ultimo urite dell’addome con una macchia romboidale nera per lato.
Ninfa di V età lunga 4,3-5,2 mm. Capo con vertice prominente, a volte
con alcune tacche a contorno irregolare ocracee. Antenne lunghe e
filiformi. Corpo di colore gialliccio, astucci alari ocracei, torace e parte
dell’addome con macchie ocracee-nerastre dorsali a contorno
irregolare, più o meno estese. Ultimo urite dell’addome come nella
neanide di I età.
75
Fig. 5 - Attuale diffusione del cicadellide Scaphoideus titanus Ball e della Flavescenza
dorata in Europa e in dettaglio per l’Italia.
76
S. titanus vive monofago su vite e compie una generazione l’anno. Lo
svernamento avviene allo stadio di uovo deposto nel ritidoma di rami,
in prevalenza, di due anni. La schiusura delle uova inizia nella
seconda metà di maggio e si protrae sino oltre la prima decade di
luglio. I giovani si localizzano sulla pagina inferiore delle foglie basali
dei germogli prossimi ai tralci in cui erano infisse le uova svernanti.
Gli adulti, che compaiono tra la fine di giugno e la prima decade di
luglio, rimangono attivi sulla vite sino alla fine di settembre e l’inizio
di ottobre (Fig. 7) (Vidano, 1964).
Mentre in natura l’ampelofagia appare scontata, in laboratorio la
cicalina mostra una certa plasticità adattandosi a diverse dicotiledoni
erbacee. Viene allevata con successo su fava e su margherita, piante alle
quali è in grado di trasmettere i fitoplasmi agenti causali della FD e del
giallume della margherita (gruppo 16Sr-I-B, Chrysanthemum yellows
CY). Dal primo focolaio osservato oltre quaranta anni fa, la specie
inizialmente si è diffusa molto lentamente colonizzando i territori
viticoli orientali del bacino del Mediterraneo. Soltanto dalla seconda
metà degli anni ’90 la cicalina si è mossa con sempre maggiore rapidità,
favorita spesso, inconsciamente, dall’azione dell’uomo. S. titanus è
attualmente presente in: Croazia, Francia (compresa la Corsica), Italia,
Portogallo, Spagna, Serbia, Slovenia e Svizzera (Fig. 5) (Alma, 2004).
In Italia, S. titanus è stato ritrovato per la prima volta in vigneti della
Liguria nella riviera di Ponente nei primi anni ’60. A più di quaranta
anni di distanza dal primo reperimento il vettore è presente in otto
regioni del nord, precisamente: Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria,
Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige ed
Emilia Romagna; in quattro regioni del centro, Toscana, Umbria,
Abruzzo e Lazio e in un paio del sud, Campania e Basilicata (Fig. 5). In
queste regioni S. titanus è presente con una distribuzione pressoché
omogenea in tutte le aree viticole del nord, in modo più limitato e
puntiforme al centro e al sud, dove il vettore è stato reperito solo in
questi ultimi anni.
Oltre alla naturale colonizzazione di nuovi territori esiste la reale
possibilità che l’uomo attraverso la commercializzazione di materiale
vivaistico (portainnesti, marze, barbatelle) favorisca la diffusione di S.
titanus in altre parti del Mondo dove viene coltivata la vite.
Comparando i climogrammi (piovosità, temperatura media) delle
regioni nord americane dove la cicalina è stata ritrovata, sulla base dei
dati riportati da Barnett (1977), con alcune delle più importanti aree
viticole di interesse mondiale, si può osservare come diverse zone in
Europa, Sud Africa, Sud America, Australia e Nuova Zelanda potrebbero
potenzialmente essere colonizzate da S. titanus. Tale ipotesi di rischio,
affinché si verifichi concretamente dovrà trovare idonee condizioni
ambientali per il completamento del ciclo biologico. In particolare, una
stagione invernale con un minimo di periodo di freddo sufficiente alle
uova svernanti per schiudere nella primavera successiva.
77
Fig. 6 - Adulto di Scaphoideus titanus Ball.
Fig. 7 - Ninfa di V età di Scaphoideus titanus Ball.
78
5.4.3. Bois noir (BN) = Vergilbungskrankheit (VK) = Legno nero (LN)
Il BN è un tipico giallume della vite noto da molto tempo in Francia e
ampiamente diffuso in diversi areali viticoli dell’Europa, dove è stato
indicato con nomi diversi (VK in Germania e LN in Italia) e del Medio
Oriente (Conti et al., 2005). Malattia causata da un fitoplasma
appartenente al gruppo dello Stolbur ampiamente diffuso e ubiquitario,
in grado di infettare un elevato numero di piante spontanee e coltivate,
in particolare orticole. Stolbur è il nome di una malattia, descritta per la
prima volta nell’Europa centro orientale, epidemica delle solanacee
quali, peperone, pomodoro e melanzana. Tra la vegetazione spontanea il
fitoplasma è stato ritrovato in numerosi ospiti arborei ed erbacei. A
titolo di esempio possono venire ricordate: Prunus avium L., P.
domestica L., P. spinosa L., Syringa vulgaris L., Ulmus spp., Rubus spp.,
Convolvolus arvensis L., Calystegia sepium (L.) R. Br., Solanum
dulcamara L., S. nigrum L., Chenopodium album L., Cirsium arvense L.
e Urtica dioica L.; molte di queste essenze si trovano comunemente
nell’agroecosistema vigneto. Il BN è presente, con incidenza
estremamente variabile, in areali viticoli di: Croazia, Francia,
Germania, Grecia, Italia (nord, centro, sud, isole), Israele, Macedonia,
Marocco, Palestina, Serbia, Slovenia, Spagna, Svizzera, Ucraina e
Ungheria.
5.4.4. Hyalesthes obsoletus Signoret (Fig. 8)
Il Cixiidae paleartico H. obsoletus è il vettore del fitoplasma agente
causale del BN (Candidatus Phytoplasma solani). La specie è diffusa in
Europa, Medio Oriente, Asia Minore e Afganistan.
Adulto lungo 3,8-4,0 mm nel maschio e 5,0-5,1 nella femmina. Corpo di
colore grigio-nero. Capo con vertice nero lucente. Antenne filiformi,
primo articolo corto, secondo articolo largo e globulare. Occhi rossi.
Pronoto largo e corto, mesonoto largo, nero lucente con tre carene.
Zampe uniformemente grigio-nere. Ali anteriori grandi, larghe, ialine,
con venature infumate. Femmina con ovopositore sporgente dall’addome
e avvolto in una massa cerosa.
Neanide di I età lunga 0,50-0,55 mm. Corpo tozzo, uniformemente
bianco. Occhi bianchicci, antenne corte. Parte terminale dell’addome
ornata da raggi di cera bianca appena più corti del corpo.
Ninfa di V età lunga 3,20-3,40 mm. Corpo tozzo, uniformemente biancocremeo, astucci alari e zampe dello stesso colore del corpo. Occhi rossi,
antenne filiformi, incolori. Parte terminale dell’addome ornata da raggi
di cera bianca lunghi circa la metà del corpo.
H. obsoletus è specie polifaga, eterotopa, compie, in Europa, una
generazione l’anno e sverna come giovane, prevalentemente allo stadio di
ninfa di III età, sulle radici di piante erbacee spontanee quali ortica e
convolvolo, ad una profondità di circa 100-150 mm. Recenti ricerche,
condotte in Israele, hanno dimostrato che la specie è in grado di
79
Fig. 8 - Coppia di Hyalesthes obsoletus Signoret su ortica.
Fig. 9 - Adulto di Hyalesthes obsoletus Signoret in attività trofica su foglia di vite.
80
svilupparsi anche sull’apparato radicale della verbenacea arbustiva
Vitex agnus-castus L. (Sharon et al., 2005). Le neanidi e le ninfe di colore
bianco-cremeo vivono esclusivamente nel terreno dove pungono le radici
di dicotiledoni erbacee e arbustive. I primi adulti compaiono all’inizio di
luglio e rimangono in attività fino alla metà di settembre (Alma et al.,
1988). Nei mesi estivi è possibile osservare il cixiide sulla vite dove punge
foglie e apici vegetativi (Fig. 9). H obsoletus può essere reperito con
maggiore frequenza nelle aree viticole dove sono diffuse le piante erbacee
ospiti, indispensabili per l’ovideposizione e lo sviluppo dei giovani
Recenti ricerche con tecniche molecolari hanno mostrato come il
fitoplasma agente causale del BN sia presente in popolazioni naturali
del vettore e sia diffuso in ampi comprensori viticoli, non solo infettando
la vite ma anche numerose piante erbacee spontanee (composite,
convolvolo, ortica, ecc.), spesso infestanti nel vigneto.
Nonostante tali evidenze, l’ampia diffusione e la differente incidenza
dell’ampelopatia, anche in areali viticoli dove non è stato reperito H.
obsoletus, nonché il peculiare ciclo biologico del vettore con giovani a vita
ipogea, inducono ad ipotizzare il coinvolgimento di altre piante ospiti
spontanee quali sorgenti naturali di infezione del fitoplasma e di vettori
diversi. Sul ruolo di altre cicaline, comunemente diffuse
nell’agroecosistema vigneto, indagini sierologiche e molecolari hanno
rilevato il fitoplasma dello Stolbur in undici specie in Francia e in
Reptalus panzeri (Löw), Neoaliturus fenestratus (Herrich-Schaffer),
Circulifer haematoceps (Mulsant & Rey), Macrosteles quadripunctulatus
(Kirschbaum), Orosius orientalis (Matsumura) e Goniagnathus
guttulinervis (Kirschbaum) catturati in vigneti in Italia, Israele e
Ungheria (Bosco et al., 2005).
Le conoscenze fino ad ora acquisite dimostrano che il BN è indotto da un
fitoplasma (Candidatus Phytoplasma solani) non specifico della vite,
trasmesso da vettore (i) non ampelofago (i). Pertanto, l’epidemiologia del
BN che si differenzia nettamente da quella dell’FD, causata da un
fitoplasma (Candidatus Phytoplasma vitis) patogeno specifico della vite
e trasmesso da S. titanus, strettamente ampelofago si ripercuote non
solo sul ciclo dell’agente eziologico, ma anche sulle strategie da adottare
per il controllo di una fitoplasmosi ampiamente diffusa e in costante
aumento su vite.
5.5. CONSIDERAZIONI
Com’emerge da questa breve trattazione sulle malattie della vite
d’origine fitoplasmatica e sugli insetti vettori, le tematiche da
esplorare, attraverso una sempre maggiore integrazione
interdisciplinare, sono ancora molteplici. Per gli aspetti entomologici
nuove energie dovranno essere impiegate per sviluppare ricerche sia in
campo sia in laboratorio.
81
In campo, le indagini dovrebbero essere indirizzate ad indagare
argomenti quali: etologia, dinamica di popolazione, capacità di volo,
modalità di colonizzazione di nuovi areali e delle colture interessate,
ruolo delle piante ospiti con particolare riguardo alle essenze spontanee
presenti nei vari agroecosistemi e indispensabili, in alcuni casi, per il
completamento del ciclo biologico dei vettori stessi.
In laboratorio, parallelamente all’applicazione e al perfezionamento
delle metodologie di diagnosi molecolare per rilevare fitoplasmi e
infettività, ulteriori ricerche dovrebbero essere indirizzate allo studio
dei rapporti vettore-fitoplasma, specificità ed efficienza di trasmissione
e valutazione di molecole insetticide nella prevenzione della
trasmissione dei fitoplasmi.
I risultati che potranno scaturire, dalle diverse ricerche condotte,
permetteranno di acquisire nuove conoscenze sui vettori noti, accertare
e definire il ruolo di altre specie di cicaline nella diffusione di fitoplasmi
e migliorare le strategie di difesa, anche attraverso una più oculata
gestione dell’agroecosistema vigneto.
5.6. AUTORI CITATI
ALMA A. - 2004 - The genus Scaphoideus in the world. The diffusion of S. titanus
in Europe. - 3 rd European Hemiptera Congress, St. Petersburg 8-11 June,
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Auchenorrhyncha in vineyards. - Proc. 6th Auchenorrhyncha Meeting, Torino
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viticultural areas worldwide. - 12th Int. Auchenorrhyncha Congr., Berkeley
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ICVG, Locorotondo (Bari), September 12-17, 2003: 47-53.
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vite. In: Flavescenza dorata e altri giallumi della vite in Toscana e in Italia. Quaderno ARSIA 3/2005, Regione Toscana: 117-133.
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1031-1049.
83
6.
S. Ragusa & H. Tsolakis (eds)
La difesa della vite dagli artropodi dannosi
Marsala 10-11 ottobre 2005
Università degli Studi di Palermo - pp. 85-96
Le tignole della vite: notizie bioetologiche e tecniche di controllo
T. MOLEAS
Dipartimento di Biologia e Chimica Agro-Forestale ed Ambientale (Di.B.C.A.)
Università Di Bari
Riassunto
Le Tignole della vite sono due, Eupoecilia ambiguella Hb. (Tignola
della vite) e Lobesia botrana (Denis e Schiffermüler) (Tignoletta
dell’uva). La prima è quasi completamente assente nell’Italia
meridionale, mentre la seconda rappresenta l’insetto chiave della
vite. Lobesia botrana ha tre-quattro generazioni l’anno. Il momento di
maggior attività degli adulti si ha durante il tramonto e l’alba
(optimum di T° 25-28 °C, luminosità 60-80 lux). Le generazioni più
dannose di quest’insetto sono la seconda e la terza, momento in cui le
sue larve si trovano negli acini dell’uva.
Il controllo integrato contro la tignoletta dell’uva si esegue, tenendo
conto dei seguenti fattori: a) F. climatici quali la temperatura,
luminosità, umidità relativa; b) F. fisici come le alte temperature
riscontrate nei vigneti serra; c) F. agronomici come le forme
d’allevamento e la suscettibilità diversa all’insetto, delle varie
cultivar di vite; d) F. biologici, quali la presenza di predatori
(specialmente araneidi) e parassitoidi (specialmente icneumonidi e
braconidi), e biotecnici come Bacillus thuringiensis e metodo della
confusione sessuale con feromone.
Per un uso razionale dei fattori, sopra citati, è indispensabile
utilizzare monitoraggi e campionamenti ad hoc. Essi segnalano la
presenza dell’insetto, l’andamento delle sue fluttuazioni (con relative
soglie), e il suo momento critico. Al momento dell’intervento occorre
che siano rispettati alcuni parametri (colpire principalmente i
grappoli, usare alte quantità d’acqua, tarare bene gli ugelli degli
atomizzatori, non miscelare il prodotto utilizzato contro la tignoletta
con altri antiparassitari) per rendere il trattamento il più efficace
possibile. Le prospettive future, per quel che riguarda la dannosità
dell’insetto, sono un po’ preoccupanti per l’aumento di qualche grado
delle temperature che potrebbe causare l’aumento delle popolazioni di
L. botrana e contemporaneamente una certa diminuzione di qualche
predatore (es. ragni).
Parole chiave: vite, Lobesia botrana, Eupoecilia ambiguella, controllo
integrato
85
Abstract
Grape moths: bioethological aspects and control techiques
The grape moths present in Italy are two: Eupoecilia ambiguella
Hb. and Lobesia botrana (Denis e Schiffermüler). The latter is
considered the key pest in italian vineyards while the former is
present only in some areas. L. botrana has 3-4 generation per year.
The adults of grape moth show activity at sunset and at dawn
(temperature 25-28°C, brightness 60-80 lux). The more dangerous
generations of this species are the 2nd and the 3rd,when its larvae
bore the grape.
To make the IPM against the grape moth some factors have to be
taken into account: the climatic conditions such as temperature,
relative humidity, light; the agronomic factors such as the
susceptibility of plants; biological factors such as the presence of
predators and parasitoids and finally biotechnical factors such as
the use of Bacillus thuringiensis and the mating disruption
technique.
To use the above factors, monitoring and and samplings are
necessary. When sprayings are necessary some technical parameters
(i.e. to use high quantity of insecticidal solution/hectare, to avoid the
mixtures with other chemicals, to direct the insecticidal jet on the
production zone etc) have to be considered. The future situation of the
harmfulness of this pest gives cause for concern, as the increase of
some degrees of temperature could also cause an increse of L. botrana
population as well some decrease in the population of some predators
(mainly spiders).
Key words: vineyard, Lobesia botrana, Eupoecilia ambiguella, IPM
6.1. INTRODUZIONE
Le Tignole della vite sono due: Eupoecilia ambiguella Hb. (Tignola
della vite) e Lobesia botrana (Denis e Schiffermuler) (Tignoletta
dell’uva). La prima è quasi completamente assente nell’Italia
meridionale, mentre la seconda rappresenta l’insetto chiave della
vite. Per questo motivo, nella presente relazione, si tratterà solo la
tignoletta dell’uva.
La L. botrana è presente nel Nord ed Est Africa ed in Asia: Medio
Oriente, al Sud della Russia e Giappone. In Europa la tignoletta si
trova particolarmente in Spagna, Portogallo, Francia, Italia, Grecia e
Bulgaria. Le condizioni ottimali per la vita della tignoletta si hanno
dai 20 ai 28°C, e a 40-70% di Umidità Relativa (Roehrich e Boller,
1991).
86
6.2. ETOLOGIA ED ECOLOGIA1
L. botrana ha tre-quattro generazioni all’anno. Il momento di maggior
attività degli adulti si ha durante il tramonto e l’alba (luminosità 60-80
lux).
Per comodità espositiva, si farà riferimento al numero dei voli e le
conseguenti generazioni.
6.2.1. I volo
Esso, normalmente, inizia a fine marzo primi di aprile, quando i
germogli sono lunghi 1-2 cm (Fig. 1). Gli insetti adulti si notano durante
il tramonto, quando le temperature superano i 12°C . La massima
presenza degli adulti (picco) si nota quando i grappolini sono distesi ed i
germogli sono lunghi 20-30 cm; ciò viene evidenziato mediamente a
cavallo fra aprile e maggio nel Sud- Italia. In genere questo volo è il più
numeroso e vi è una spiccata preminenza di maschi all’inizio, mentre il
rapporto fra i sessi si equilibra nella parte mediana del volo. Il volo si
protrae per circa 45 giorni. Gli accoppiamenti, che avvengono quasi
sempre dopo il tramonto, diventano frequenti solo dopo i 14-15 °C. I
maschi si accoppiano più volte, le femmine normalmente una sola.
Prima generazione (Generazione antofaga)
Le uova di questa generazione sono depositate singolarmente o in
gruppi di 2 o 3, generalmente sul calice dei fiori all’inizio della
primavera. La stragrande maggioranza di queste va perduta per i
fattori climatici alquanto avversi all’insetto in questo periodo (basse
temperature e pioggie). Le ovideposizioni (40-80 uova/femmina)
avvengono quasi sempre dopo il tramonto e dopo 24-48 ore dalla
fecondazione delle femmine. Le larve, sgusciate dopo circa 6-7 giorni di
sviluppo embrionale, incominciano a nutrirsi principalmente delle parti
dei fiori. In questo periodo sia le uova che le larvette vanno incontro a
grandi falcidie specialmente a causa dei parametri climatici (T° basse,
pioggie etc.). Le larve, crescendo, formano piano piano, un ricovero con
pezzettini di fiori mangiucchiati, tenuti insieme con fili sericei
(glomerulo), all’interno del quale si impuperanno. La loro vita dura, in
questo periodo, circa 35 giorni e l’impupamento avviene quasi sempre
durante e dopo la fioritura. Lo stadio pupale, per questa generazione, si
protrae per circa 10-12 giorni. Tuttavia sia in questa generazione e in
quelle successive si è notato che le larve della Tignoletta si possono
nutrire anche di altre piante (Compositae, Convolvulaceae, Oleaceae,
Polygonaceae, Ranunculaceae, Rhamnaceae, Rosaceae, Thymeleaceae,
Umbelliferae e Vitaceae) (Stavridis e Savopoulou-Soultani 1998).
1
La Bioetologia dell’insetto, descritta di seguito, si riferisce fondamentalmente all’Italia
meridionale.
87
Fig. 1 - Voli della Lobesia botrana in ambiente meridionale.
6.2.2. II Volo
Dopo una stasi di circa 15 giorni, dalla fine del I volo (Fig. 1),
incomincia a evidenziarsi il secondo volo, a partire dalla prima decade
di giugno, quando il diametro degli acini allegati è di circa 0.5-10 mm.
Questo volo raggiunge il suo picco (ove presente) alquanto
velocemente, dopo una settimana, in genere al momento dei grappoli
penduli; si esaurisce nel giro di 20-25 giorni, durante la fase
fenologica dell’inizio “chiusura grappolo”. Il rapporto fra i sessi in
questo volo, sin dall’inizio, è uguale all’unità, con la presenza
contemporanea di maschi e femmine. In genere questo volo è inferiore
numericamente al primo.
II Generazione (I Generazione Carpofaga)
L’ovideposizione, (70-100 uova /femmina) avviene sugli acini periferici
del grappolo in via di ingrossamento. Lo svilluppo embrionale dura 3-4
giorni. Le larvette appena sgusciate (12-24 ore) cercano di portarsi sugli
acini all’interno del grappolo. Nel giro di 24-48 ore incominciano a
erodere l’epidermide dell’acino ed a penetrare all’interno. Questo
comportamento salvaguarda le larve sia dai parametri ostili naturali
(fattori climatici, nemici naturali) che da quelli indiretti (trattamenti
insetticidi). Con l’accrescimento delle larve (le 5 età larvali, di questa
generazione, durano complessivamente 20-25 giorni) aumentano le
dimensioni delle gallerie; le larve, inoltre, passando da un acino all’altro,
intaccano tutta la parte interna del grappolo, specialmente nelle varietà
con grappoli serrati. Gli acini danneggiati possono essere interamente
svuotati senza marcire, a meno che non si instauri la muffa grigia o i
marciumi acidi. L’incrisalidamento avviene quasi sempre all’interno
dell’acino svuotato.
88
6.2.3. III volo
Esso è simile al II volo per vari parametri (numero di adulti, rapporto
fra i sessi, numero di uova/femmina). Inizia tra fine luglio e i primi di
agosto, in concomitanza, più o meno, dell’invaiatura dei grappoli (Fig. 1).
III Generazione (II Generazione carpofaga)
Lo sviluppo embrionale di questa generazione è di 4-5 giorni. Le larve
hanno bisogno di qualche giorno in più della precedente generazione per
completare il loro sviluppo (25-30 gg), che avviene, sempre, all’interno
degli acini in via di maturazione. Le larve tardive possono mordere
l’epidermide degli acini e preparare le infestazioni da Botrytis. A metà di
agosto si incominciano a notare i marciumi acidi che vanno man mano
aumentando.
6.2.4. IV Volo
Nel Sud Italia vi è un quarto volo che, pure accavallandosi al terzo,
raggiunge il suo picco a fine settembre- primi di ottobre.
Le ovideposizioni e lo sgusciamento delle larvette di questa IV
generazione, che incomincia piano piano, ad andare in diapausa,
possono destare qualche preoccupazione solo su vigneti semi-coperti
(essendo terminata la raccolta di quasi tutte le cultivar di uva) nella
produzione di uva da tavola, che utilizzano questa pratica colturale per
ritardare la maturazione e la raccolta fino a novembre-dicembre.
Fortunatamente i danni causati da questa generazione sono abbastanza
limitati sia per la presenza alquanto numerosa di zoofagi, che per la
diapausa incipiente che riduce man mano l’attività delle larve.
La diapausa viene indotta quando le larve di prima età si trovano in
fotoperiodo inferiore alle 12 ore, cioè rapporto luce buio inferiore a uno.
La Tignoletta dell’uva sverna, da crisalide, un po’ dovunque (corteccia
della pianta, pali tutori, muretti a secco).
6.3. SINTOMATOLOGIA E DANNI
Prima generazione: Rosicchiamento e distruzioni di parti fiorali e
avvolgimento dei residui di queste con fili sericei.
Seconda, Terza e Quarta generazione: Rosure, fori e gallerie negli
acini più interni dei grappoli; gli acini contigui infestati possono
essere uniti fra loro con fili sericei. Queste generazioni possono
causare oltre ai danni diretti, anche danni indiretti come la
penetrazione del fungo Botrytis cinerea (Moleas, 1981; 1994; Tirtza et
al., 2003).
L’infezione di questo fungo, però, non è molto preoccupante in ambiente
mediterraneo, anche se l’ultima generazione può causare, come già
accennato “marciumi acidi”.
89
6.4. CONTROLLO INTEGRATO
Fattori climatici: La temperatura e la pioggia, influiscono in maniera
determinante sulla dinamica di popolazione del fitofago (si veda la bioetologia). Purtroppo, la loro incidenza è difficilmente valutabile allo scopo di
prevedere l’andamento futuro delle popolazioni dell’insetto (fluttuazioni).
Se invece si instaurano, per brevi periodi (2-3 giorni), temperature superiori
o inferiori ai limiti biologici per certi stadi dell’insetto (uova, larve di prima
età), la sua popolazione può subire una falcidia.
Anche la luminosità può avere un’effetto positivo sull’aumento della
popolazione della L. botrana ed il conseguente grado d’infestazione. La
maggiore infestazione dei grappoli dei ceppi periferici, rispetto
all’infestazioni dei grappoli dei ceppi centrali dei vigneti, (Tab. 1)
rinforza questa ipotesi. Recenti osservazioni, in Puglia, evidenziano
mediamente maggiori infestazioni nei vigneti confinanti con i paesi
pugliesi, rispetto ai vigneti lontani con bassa luminosità diffusa.
L’U.R. alta non favorisce la Lobesia, ma favorisce l’attacco botritico.
L’altimetria del suolo, infine, non sembra avere una grossa influenza
sull’insetto, a meno che non si superino i 400-500 metri.
Fattori agronomici: La forma di allevamento è uno dei fattori che
influenza la presenza di popolazioni più o meno massiccie della
tignoletta dell’uva. Il “Tendone” risulterebbe il più attaccato, mentre
spalliera e controspalliera lo sarebbero meno; l’alberello pugliese infine
non sembra temere eccessivamente la Lobesia. D’altra parte, nei vigneti
coperti allo scopo di anticipare la raccolta, le alte temperature
impediscono l’instaurarsi delle popolazioni di L. botrana, come già
evidenziato nel passato (Moleas 1987) (Tab. 2).
Tab. 1 - Differenza di infestazione di Lobesia botrana tra filari centrali e periferici.
Totali
Media
Dev.st
CV Pinot (tendone)
50 grappoli centrali
50 grappoli periferici
Grappoli Uova Grappoli con acini Grappoli Uova Grappoli con acini
attaccati
attaccati/grappoli attaccati
attaccati/grappoli
totali
totali
3
0
4
14
9
13
6%
0
8%
28%
18%
26%
0,239
0
0,340
0,453
0,388
0,443
Tab. 2 - Diverso grado di infestazione larvale da L. botrana.
Cultivar
Totale acini attaccati
Grappoli attaccati
Media acini attaccati
Media grappoli attaccati
90
Coperta
con plastica
Italia
24
14
0,48
14%
Pieno
Campo
Italia
65
53
0,65
50%
Sulla suscettibilità delle varie cultivar alle infestazioni di Lobesia, le
ricerche sono sporadiche ed i pareri non chiari. Comunque fra le varietà
più attaccate (fra le uva da tavola) vanno enumerate l’“Italia” e la
“Alfonse Lavallèe”. Alcune cultivar precoci (“Primus”, “Regina dei
Vigneti”) sfuggono completamente alla III generazione. Per quel che
riguarda le uva da vino esse hanno mostrato minore suscettibilità nei
confronti della tignoletta le Cv. “Uva di Troia” e “Trebbiano”, rispetto al
“Negroamaro” e “Sangiovese” (Baldacchino e Moleas, 2000)
Controllo biologico: I parassiti e predatori naturali della tignoletta
sono numerosi e sono stati riscontrati un po’ dovunque (Moleas, 1979;
Nuzzaci e Triggiani, 1982; Marchesini e Dalla Montà, 1994; Ribeiro et
al., 2001; Barnay et al., 2001; Thiery et al., 2001). Fra essi
principalmente vanno ricordati: gli Imenotteri (Fig. 2), fra cui spiccano
gli Icneumonidi (Generi: Itoplectis, Pimpla, Campolex), i Braconidi
(Generi: Agathis, Apanteles, Aleiodes), i Calcididi. Fra i Ditteri il genere
Phytomyptera dei Tachinidi è segnalato molto spesso. Fra i predatori si
possono menzionare i Neurotteri Crisopidi e specialmente vari Aracnidi
(Addante et al., 2003). Purtroppo la presenza di tutti questi ausiliari
zoofagi, assume una certa consistenza solo dopo la seconda generazione,
quando il danno da Lobesia è già manifesto, specialmente nell’uva da
tavola.
Mezzi biotecnici: Il Bacillus thuringiensis (i ceppi più utilizzati contro
la Lobesia sono: B. thuringiensis var. kurstaki e B. thuringiensis var.
aizawa), distribuito ormai come un comune insetticida, dà certe
garanzie, solo in presenza di basse e medie popolazioni di Lobesia.
L’efficacia di questo insetticida biologico è migliore, se viene distribuito
al momento della schiusura delle uova e su larvette appena sgusciate.
Numero Generi per principali famiglie di Icneumonidi
Fig. 2 - Le famiglie di Imenotteri che parassitizzano la L. botrana.
91
Una discreta efficacia la si raggiunge trattando, al tramonto, a 7 giorni
dall’apparizione del II e/o III volo, ripetendo il trattamento dopo una
settimana. L’aggiunta di zucchero può aumentare l’efficacia del
trattamento.
Recentemente è stata provata spesso l’Azadiractina, che, nei confronti
della Tignoletta dell’uva, ha dato risultati deludenti.
Metodo della confusione: La collocazione, a breve distanza tra loro, di
strisce imbevute di feromone sessuale allo scopo di ostacolare il
ritrovamento delle femmine da parte dei maschi, ha dato qualche
risultato solo in presenza di bassa popolazione dell’insetto e su uve da
vino, dove il rischio non è grosso. L’applicabilità migliore di questo
metodo, con risultati soddisfacenti, consiste nell’utilizzarlo in grandi
superfici (esperienze tedesche, svizzere e nel Trentino). Pare che questo
metodo possa essere applicato abbinato al B. thuringiensis con un
numero inferiore di dispenser per ettaro.
Insetticidi: I “Disciplinari di protezione” delle varie regioni consigliano
parecchi insetticidi di sintesi, fra i quali primeggiano i tradizionali:
Chlorpyrifos-methyl, Phosalone, Etofenprox, Fenitrothion, Trichlorfon.
Essendo questi ultimi sotto osservazione con la possibilità di rimozione
dal mercato, ultimamente vi è un’interesse crescente per gli insetticidi,
cosiddetti della III Generazione (“Regolatori di crescita”, “MAC”, etc.).
Essi, dal punto di vista ecologico, pur non essendo innocui, risultano
meno dannosi rispetto ai tradizionali. I più utilizzati, con un’azione
discreta nei confronti della Lobesia, sono Teflubenzuron, Flufenoxuron,
Tebufenozide e lo Spinosad. Comunque, per questi prodotti, il mercato è
in piena evoluzione e si prevedono ancora nuove registrazioni, a breve
periodo.
Monitoraggi e Campionamenti: La presenza del fitofago chiave della
vite, le fluttuazioni ed oscillazioni delle sue popolazioni, necessitano, per
un razionale controllo del medesimo, forme di campionamento indiretto
(trappole varie per la cattura degli adulti) e diretto (presenza di stadi
giovanili su parti della pianta).
Il ricorso alle trappole a feromoni rappresenta, attualmente, la
soluzione migliore per il monitoraggio degli adulti. Esse sono composte
da una base con materiale collante, un coperchio ed una capsula
feromonica. Le trappole (2/ha) andrebbero controllate settimanalmente
per verificare il numero di maschi e togliere gli insetti catturati; il
feromone andrebbe sostituito ogni 25 giorni (periodo estivo) o 40
(periodo primaverile); lo stesso periodo, più o meno, dovrebbe
intercorrere per la sostituzione della base della trappola. Per quel che
riguarda il numero di catture di maschi, si può affermare che anche
numerosissime catture (400-500/trappola), osservate durante il primo
volo, non destano preoccupazioni, mentre poche catture (3040/trappola), riscontrate nel II e III volo, possono dare infestazioni tali
da compromettere la vendita del prodotto (uva da tavola) o aprire la via
ad altri parassiti dei grappoli (muffa grigia, marciumi acidi).
92
Le prime osservazioni dirette, per determinare il grado d’infestazione
(larve/grappoli) della I generazione, si effettuano sui grappolini (in
prefioritura), un mese dopo l’inizio del I volo. Il campionamento si può
compiere percorrendo i filari o avanzando diagonalmente (tendoni) ed
esaminado 2-3 grappoli/ceppo, ogni 5-10 piante, per un totale di 200
grappoli/ha.
Per la II e III generazione i campionamenti dovrebbero incominciare 715 giorni dall’inizio dei rispettivi voli ed effettuarsi sugli acini verdi in
via di ingrossamento (II generazione) e durante l’invaiatura (III
generazione). Nelle zone e vigneti a rischio (uva da tavola) i
campionamenti potrebbero diventare bisettimanali dopo il II volo
(momento critico per la coltura), dato che il fattore “tempestività”, per
un’eventuale trattamento, avrebbe grandissima importanza.
Il trattamento insetticida si rende necessario, nella stragrande
maggioranza dei casi, solo dopo il II volo e diversificando gli interventi a
seconda se trattasi di uva da vino o da tavola. Il trattamento, solo in
questo secondo caso, andrebbe tempestivamente fatto una settimana
dopo le prime catture, a meno che la tignoletta non sia completamente
assente. Bisogna tenere sempre presente che l’efficacia del trattamento
aumenta moltissimo osservando le seguenti regole:
1. Intervenendo sui grappoli;
2. Bagnando bene il grappolo (1000-1500 litri/ha specialmente in
ambiente mediterraneo);
3. Preferibilmente non miscelando l’insetticida con altri antiparassitari;
4. Ugelli dell’atomizzatore sempre ben tarati.
I campionamenti successivi al primo forniranno i dati sulla riuscita del
trattamento, se effettuato o consiglieranno di intervenire se
l’infestazione è aumentata. Le soglie d’intervento sono molto basse, il 35% per l’uva da tavola delle varietà più suscettibili (“Italia” e “Vittoria”)
o del 10-20% per le varietà più tolleranti (“Regina” e le nuove cultivar
senza seme). Queste ultime soglie possono andare bene, mediamente
anche per l’uva da vino.
Dopo il III volo e sulla terza generazione, in prossimità della invaiatura
e maturazione, se il grado d’infestazione dell’insetto è più o meno
identico a quello della seconda generazione , bisognerebbe intervenire,
utilizzando prodotti biologici o, se non si può fare a meno, quelli a minor
persistenza.
6.5. PROSPETTIVE FUTURE PER IL CONTROLLO DI L. BOTRANA
Avendo notato, in questi ultimi anni, un anticipo dell’apparizione dei
voli e tenendo presente la quasi unanime previsione dell’aumento delle
temperature e luminosità del pianeta, si è incominciato in Puglia, dal
2000 in poi, ad osservare il comportamento del fitofago in Screen house
93
coperte solo da reti antiafide. In questo ambiente si è notato
un’innalzamento delle temperature medie di uno a due gradi per tutto il
periodo dei voli della tignoletta (Fig. 3).
In questa situazione, sia il numero degli adulti (Tab. 3) sia le infestazioni
larvali (Tab. 4), dovute all’insetto sono cresciute in maniera molto
evidente ed in modo significativo.
Si è voluto, inoltre, seguire l’andamento predatore-preda (tignolettaaracnidi) negli stessi ambienti. Come si può notare nella figura 4, il
biotopo screen-house con le sue temperature risulta più sfavorevole ai
ragni.
Fig. 3 - Differenze di temperature medie fra Screen house e pieno campo – 2001
Valenzano (Bari).
Tab. 3 - Catture di maschi L. botrana (Campo sperimentale Valenzano).
Anni
Screenhouse
Pieno campo
2000
454
95
2001
945
227
2002
815
477
2003
1541
327
2004
1630
655
2005
548
272
Tab. 4 - Differenza di infestazione larvale fra Screen house e pieno campo.
Nidi
Grappoli
Acini
94
Grappoli
campionati
100
50
50
Esterno
Screen-house
t di Student
8
27
55
106
36
122
P≤0,01
P≤0,05
P≤0,01
Fig. 4 - Presenza di ragni in pieno campo ed in screen-house.
Se questi andamenti di popolazione del fitofago e del rapporto con alcuni
suoi predatori, in presenza di qualche grado di temperatura in più,
venissero confermati per il futuro allora le prospettive di controllo per
l’insetto chiave della vite diventerebbero un po’ più complicate.
Sarà anche per merito della Lobesia botrana che gli esapodi
conquisteranno la terra, come previsto da Guido Grandi (1969)?
6.6. AUTORI CITATI
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96
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S. Ragusa & H. Tsolakis (eds)
La difesa della vite dagli artropodi dannosi
Marsala 10-11 ottobre 2005
Università degli Studi di Palermo - pp. 97-147
The importance of the vegetation surrounding the agrosystems on predatory
mites associated to vineyards
S. KREITER, M.-S. TIXIER, Z. BARBAR
Ecole Nationale Supérieure Agronomique - Institut National de la Recherche
Agronomique, Unité d’Ecologie animale et de Zoologie agricole, Laboratoire
d’Acarologie, 2 Place Pierre Viala - 34060 Montpellier cedex 1, France
[email protected]
Abstract
Natural increases of populations of Kampimodromus aberrans were
observed in Languedoc vineyards under integrated pest management
strategies. Aims of studies undergone were to characterize
mechanisms of this oriented dispersion named “colonization” in space
and time. The richness in phytoseiid mites of the environment close to
grape fields was first determined. The relationships between leaf
structure (trichome, pollen densities, number and structure of
domatia, leaf surface) and K. aberrans densities were also studied.
The frequency of occurrence and the abundance of K. aberrans per
cm2 were correlated to high trichome densities. A complex
phylloplane (many hairs and shelters or domatia) could confer a
competitive advantage to this species over other ones. The number
and the rating of domatia were important to K. aberrans
development; high proportions of immatures were observed only on
plants with these structures. Pollen densities were significantly
correlated to trichome densities; domatia structure had only a
somewhat lesser effect. Our study shows that dense trichome and
pollen levels are favorable to the development of K. aberrans
populations and add perspective on the influence of domatia.
Aerial (funnels with water) and soil (felt strip) traps were placed in
and around grape fields, in order to quantify aerial and ambulatory
dispersal. Samplings were carried out in in the crops twice a month in
order to assess the settlement of the dispersant mites. K. aberrans
was found in greatest quantities in traps, natural and cropped
environment. Predatory mite dispersal occurred essentially by aerial
dispersal dependent on wind intensity and direction. The same sexratio was observed in migrant populations and populations present in
the grape fields, woody areas and hedges. A large proportion of
immatures appeared to be able to move by aerial dispersal.
Colonization potential (rapidity, intensity and regularity) was directly
associated with the richness and the proximity of the natural
97
environment. A deep, dense and tall woody area containing suitable
host plants for predatory mites constitutes the most stable source of
phytoseiid mites. Natural colonization of vineyards provides high
phytoseiid mite potential that could be managed in an agricultural
landscape.
However, a limiting step concerns the settlement of migrants and
nowadays, if some factors have been explored, there is a need for
futher experiments.
Key words: Vineyards, phytoseiid mites, Kampimodromus aberrans,
dispersal, colonisation, woody areas, hedges, leaf trichomes, domatia, pollen.
Riassunto
L’importanza della vegetazione spontanea di bordo per gli
acari predatori associati alla vite
Vengono riportate osservazioni sugli incrementi naturali delle
popolazioni di Kampimodromus aberrans in vigneti del Languedoc
(Francia meridionale) sottoposti a strategie di difesa integrata. Lo
scopo degli studi effettuati era quello di rilevare i meccanismi della
dispersione orientata, definita “colonizzazione”, nello spazio e nel
tempo. Inizialmente è stata determinata la richezza delle specie di
fitoseidi nell’ambiente naturale attorno ai vigneti. È stato, inoltre,
studiato il rapporto tra la struttura fogliare (tomentosità, densità del
polline presente sulla foglia, numero e struttura dei domatia,
superficie fogliare) e la densità delle popolazioni di K. aberrans. La
frequenza della presenza e della densità di K. aberrans per cm2 è
stata correlata a un’alta tomentosità fogliare. Un filloplano complesso
(tomentoso e/o con presenza di rifugi o domatia) potrebbe
avvantaggiare la specie nei confronti di altre specie di fitoseidi. Il
numero e la posizione dei domatia sono considerati molto importanti
per lo sviluppo di K. aberrans; alte percentuali di stadi giovanili del
predatore sono stati osservati solo su piante con questa struttura
fogliare. La densità del polline presente sulla foglia è stata
significativamente correlata alla tomentosità, mentre i domatia
hanno un’influenza leggermente inferiore. I nostri studi dimostrano
l’influenza favorevole dei livelli di tomentosità e del polline allo
sviluppo delle popolazioni di K. aberrans e aggiungono nuove
prospettive sull’influenza dei domatia.
Trappole aeree (imbuti con acqua) e terrestri (strisce di feltro) sono
state collocate attorno e in mezzo a vigneti coltivati allo scopo di
quantificare la dispersione aerea e terrestre. I campionamenti sono
stati effettuati a cadenza quindicinale allo scopo di permettere
l’insediamento degli acari migranti. K. aberrans è stato trovato in
grandi quantità sia nelle trappole che nell’ambiente naturale e
coltivato. La dispersione di questo fitoseide avviene principalmente
per via aerea e dipende dalla densità e dalla direzione del vento. La
popolazione migrante del fitoseide presenta la stessa sex-ratio con le
98
popolazioni presenti nei vigneti e nelle aree boschive e siepi attorno ai
vigneti stessi. Una buona percentuale di stadi giovanili, inoltre,
sembra in grado di disperdersi per via aerea. Il potenziale di
colonizzazione dei vigneti da parte dei fitoseidi (rapidità, intensità e
regolarità) è stato dirrettamente associato alla ricchezza e alla
vicinanza di ambienti naturali. Un’area boschiva di piante ospiti per
i fitoseidi, di una certa ampiezza, densità ed altezza delle piante
presenti costituisce una stabile fonte di questi importanti predatori.
La colonizzazione naturale dei vigneti rappresenta una forte risorsa
di acari fitoseidi che potrebbe essere controllata nell’ambito del
paesaggio agricolo.
Un grosso limite, communque, riguarda l’insediamento delle
popolazioni migranti sulle diverse cultivar e su questo aspetto sono
necessari ulteriori studi.
Parole chiave: Vigneti, fitoseidi, Kampimodromus aberrans, dispersione,
colonizzazione, aree boschive, siepi, tricomi fogliari, domatia, polline.
7.1. INTRODUCTION
Panonychus ulmi (Koch), Eotetranychus carpini (Oudemans) and
Tetranychus urticae Koch are major pests occurring in French vineyards
(Sentenac et al., 1993). If systematic chemical controls since the early
fifties have actually first limited their damage (Delmas and Rambier,
1954), sprayings have induced very quickly economical and ecological
drawbacks, underlining the need for an integrated mite management
(Baillod, 1984). The main natural enemy of pest mites in grapevine in
France are phytoseiid mites (Kreiter et al., 2000). All the species are
generalist predators, permanent inhabitants and ensure rapid control of
pest populations early in their development (McMurtry and Croft,
1997). Kampimodromus aberrans (Oudemans), Typhlodromus
(Typhlodromus) pyri Scheuten and Phytoseius finitimus Berlese (sensu
Duso and Fontana, 2002) are the three main species controlling mite
pests in French vineyards (Kreiter et al., 2000). Even if releases are
currently carried out in greenhouses (Sabelis, 1985), they are quite
scarce in perennial crops due to the low development rate of generalist
species occurring in those agrosystems, preventing their mass rearing
and thus availability in large numbers (Kreiter et al., 1989).
Corino (1989) in Italy, as well as Kreiter and Sentenac (1995) in France
(Burgundy) have reported the rapid increase of phytoseiid mite
populations in vineyards managed under integrated farming. This
process, named plot colonization, involves the remaining of a rich and
varied surrounding environment from which natural enemies disperse
toward cropped areas. Few studies actually deal with colonization
process. Large-scale movement of predatory mites has already been
reported (Johnson and Croft, 1976, 1979, 1981; Hoy et al., 1984, 1985;
99
Dunley and Croft, 1990, 1992, 1994). Phytoseiid mites seem able to move
using aerial and ambulatory locomotion (Sabelis and Dicke, 1985). This
movement is thought to occur because of declining habitat, which may
result from over-crowding, poor quality food, predator avoidance and
yearly plant senescence (Price, 1984). Hamilton and May (1977)
developed a dispersal model and also concluded that it was to the
advantage of insects living in both stable and unstable environments
that a portion of its offspring should disperse.
Concerning mite habitats, the presence of phytoseiid mites in
uncultivated areas near vineyards is nowadays well documented (see for
example Boller et al., 1988; Duso, 1992; Coiutti, 1993; Duso et al., 1993;
Ragusa et al., 1995; Duso and Fontana, 1996; Tixier et al., 1998, 2000b).
Such areas could constitute reservoirs for these natural enemies of mite
pests.
Both the diversity and the abundance of phytoseiid mites may be
affected by plant composition, due to close relationships between plant
leaf characteristics (i.e. pilosity) and mite development (Tixier et al.,
1998, 2000a; Kreiter et al., 2002). This was studied especially for K.
aberrans (Tixier et al., 1998, 2000a; Kreiter et al., 2002), the main
phytoseiid mite in vineyards of the Southern France and Europe
(Villaronga et al., 1991; Camporese and Duso, 1996; Perez Otero et al.,
1997, Duso and Vettorazzo, 1999; Kreiter et al., 2000).
In order to study this process in vineyards in France and to allow
applied conservative biological control, several National research
projects were set up over the last ten years in Corsica, Burgundy and
Languedoc. The aim of these studies was to reply to the following
questions: What potential is present in the environment surrounding
the cultivated plots? Are phytoseiid mites colonizing cultivated plots?
Where do colonizing phytoseiid mites come from? What is the
magnitude of the colonizing flow? How does it vary over time? What
factors influence dispersal? Which species are prone to disperse?
Aims of the present paper are to give an overview of results obtained
within a research theme started in 1995 in our Research Department
concerning only the case of Languedoc: 1. quantification of the potential
of phytoseiid mites in the surrounding vegetations of vineyards and
factors affecting their diversity and densities; 2. colonisation by
migrants of three different vineyards: in a traditional vine growing
region planted with vineyards since a long time, in a newly planted
vineyard near Montpellier, the two regions being in the Mediterranean
area, and in a vine growing region less traditionally planted with
vineyards, located at the fronteer between the Mediterranean and the
Atlantic climates; 3. settlement of migrant mites; 4. consequences for
Integrated Mite Management.
Starting from the title, it is possible to consider the meaning “of the
vegetation surrounding the crops” sensu lato, i.e. including weeds, for
exemple intercroppings, associated plants like for example associated
100
crops or trees in agroforestery system, etc. However, we consider the
meaning in a more restrictive way and we will consider only the
vegetation outside and neighbouring crops and consequently, we will
present only the colonization process.
Results of this paper were published in separate papers: Tixier et al.,
1998; Kreiter et al., 2000, 2002; Tixier et al., 2000a, b, 2002, 2005; Tixier
and Kreiter, 2003. Results concerning potential of phytoseiid mites in
Restinclières and Alaigne are under press.
The first step was the quantification of the potential of phytoseiid mites
in the surrounding vegetation of vineyards and the study of factors
affecting their diversity and densities.
7.2. QUANTIFICATION
OF PHYTOSEIID MITE DIVERSITY AND POPULATION
DENSITY
The objective was to find a method for quantifying phytoseiid mite
diversity and densities in the surrounding vegetations of vineyards, to
compare all situations. The aim was also to evaluate the occurrence of
the main species found in vineyards in France, i.e. K. aberrans and T.
pyri, in these surroundings.
7.2.1. Material and methods
Experimental vine plots
Experimental plots were located in Pouzolles (2 different grape crops
but results concerning mainly one are presented here), 60 kms West of
Montpellier, in Restinclières (1 grape crop), 15 kms North of Montpellier,
and in Alaigne (1 grape crop), Domaine de Cazes, 150 kms South-West
of Montpellier, 30 km South-West of Carcassonne. These plots are
respectively planted with Cabernet Sauvignon, with mixed Syrah and
Grenache and with mixed Merlot and Muscat.
Pesticides were applied mainly against powdery and downy mildew and
Scaphoideus titanus Ball (vector of the phytoplasma called “Flavescence
dorée”). However, the number of applications is very low (2-4 fungicides
and 2-3 insecticides per year). The pesticides are selected according to
their side effects on phytoseiid mites (Sentenac et al., 2002) and no
acaricide was used since a long time.
The experimental plot of Pouzolles was surrounded by an uncultivated
area called woody area, by linear wild vegetation strips called hedges
and by three neighbouring vine crops. The experimental plot of
Restinclières is surrounded by three uncultivated areas bearing
essentially Pinus sp. and Quercus sp., and by a 50 m distance cultivated
vine crops, also planted in 1997 on reclaimed land.
The experimental plot of Alaigne is inside a farm with a large
uncultivated area called the wood bearing essentially Quercus
101
pubescens Willdenow, by a linear strip of vegetation called the hedge and
by other cultivated vine fields.
Almost all phytoseiid mites are generalist predators and are able to
survive and develop without preys, feeding on alternative foods (insects,
pollen, etc.) some species being more productive feeding on pollen
(McMurtry and Croft, 1997). No relation between phytoseiid
occurrences and their prey has been demonstrated (McMurtry and
Croft, 1997). For these reasons, prey densities have not been studied.
Phytoseiid mites in the surrounding environment
Samplings were carried out during 3 years in the uncultivated
surrounding areas, 2 or 3 times per year except in Alaigne (only one year
of samplings in 2005). All plants in the uncultivated areas were
sampled, taking at least 50 leaves per plant for each sample date.
All mites were extracted from leaves using the Berlese-Tullgren
(Kreiter et al., 2000) or the so-called washing of leaves (dippingchecking-washing-filtering) methods (Boller, 1984).
Each plant species presented different phytoseiid mite densities and
have different characteristics. In order to compare the total densities of
phytoseiid mites in several uncultivated areas, an index called Woody
Richness (WR) was used = S (abundance-dominance of a plant species x
the densities of phytoseiid mites on this plant / leaf) where: 1 = plants
are rare, <5% of the canopy; 2 = abundant, 5-25; 3 = abundant, 25-50; 4
= very abundant, 50-75; and 5 = very abundant, >75% (Tixier et al.,
1998).
Samples were also carried out in cultivated vine plots located nearby
the experimental plot. Each plot was sampled 3 times. In 1999 in
Restinclières, the vine plants were too young and no leaf was sampled to
avoid damage for the plantations. Each neighbouring vine field was
divided in several small plots, of 400-600 vine stocks each. Thirty leaves
were collected in each plot for each date.
Phytoseiid mite identifications
Phytoseiid mites have all been mounted and then identified with
taxonomic keys following the generic concepts of Chant and McMurtry
(1994) for the Typhlodrominae and Phytoseiinae, of Chant and
McMurtry (2003a, b, 2004a, b, 2005) for Amblyseiinae Amblyseiini,
Neoseiulini, Kampimodromini and Proprioseiopsini and of Moraes et al.
(2004) for other Amblyseiinae.
7.2.2. Results and discussion
In Pouzolles (1996-1999)
Phytoseiid mites were found in the immediate surroundings of the
grape fields in woody areas, border hedges and neighbouring grape
fields (tab. 1, 4, 5).
102
Ten plants out of 67 samples were found with densities per leaf higher
than 0.5. Eight of these plants harboured mainly K. aberrans (tab. 2).
The dense woody area bordering grape field 1 comprised a tall oak
stand, Celtis australis L., Cornus sp., Rubus sp., Agrimonia eupatoria L.
and Euphorbia characias L. This area contained high densities and has
the highest WR index (tab. 1).
The woody area of grape field 2, less dense and tall and including only
Q. pubescens, Rubus sp. and E. characias among the ten most suitable
host plants, has a lower WR index. The woody area of each grape field
differed not only in their plant species and their richness in phytoseiid
mites, but in the species of predaceous mites observed (tab. 3). K.
aberrans occurred more often (90%) in the woody area of grape field 1.
On the opposite, the mite diversity of the woody area of grape field 2 is
higher (tab. 3).
The border hedges of the two fields harboured few phytoseiid mites (tab.
4). They were low and narrow and contained few of the suitable host
plants. The richest hedges were those of grape field 1, where K. aberrans
was the prevailing species.
The surrounding vineyards all contained phytoseiid mites (tab. 5). The
highest densities were observed in the vines plots surrounding the
grape field 1, especially the plot located to the East (7.5 Ph / l) (tab. 5).
K. aberrans was the main species in all the neighboring vineyards.
Slightly more species of phytoseiid mites were found in the vineyards
neighboring the grape field 2 (tab. 5).
The sex ratios for the phytoseiid mite populations present in those
three environments were not significantly different (χ2 test, α = 0.05)
(tab. 6).
In Restinclières (1999-2003)
During three years, the phytoseiid mite abundance (WR indexes) in the
3 uncultivated areas was low and not significantly different
[F(2,21)=0.55, P=0.58]. From 1999 to 2000, phytoseiid mite densities
increased in all areas, but in 2001, this density was very low whatever
the area considered. The density was high early in the season (May) and
then decreased during summer, except in 2001. This is a typical
variation over time (Ivancich-Gambarro, 1987; Malison, 1994) due to
their susceptibility to dry conditions associated with hot temperatures
during summer.
Among the 76 plants sampled, only Celtis australis L., Viburnum tinus
L. and Cornus sanguinea L. had high phytoseiid densities (tab. 7).
Thirty-one phytoseiid mite species were found in the uncultivated areas
sampled. Typhlodromus phialatus Athias-Henriot was the main species
collected. Typhloseiella isotricha Athias-Henriot, only found on Inula
viscosa L., was punctually collected. At least, species like Typhlodromus
baccettii Lombardini, K. aberrans, Typhlodromus recki (Wainstein) were
observed each year but very few and their host plant varied.
103
Table 1 - Richness of woody areas of the 2 experimental crops in Pouzolles (Hérault, France).
WR INDEX*
Number of sampled plants
Proportion of plants with phytoseiids (%)
Mean number of phytoseiid mites/leaf for plants
with phytoseiid mites
Percentage of richness associated to the 10 suitable
host plants
GRAPE FIELD 1
8.23
29
45 %
GRAPE FIELD 2
2.99
36
30 %
0.44
0.13
88 %
83 %
* WR index = sum of [abundance-dominance x richness (Ph/l) of each plant species present].
Table 2 - Number of phytoseiid mites/leaf (Ph/l) and species observed on suitable host plants
neighbouring the two experimental grape fields in Pouzolles (Hérault, France).
Woody areas
N.
% K.
Others species (%)
of grape fields Ph/l aberrans
Agrimonia eupatoria
1
1
80
T. pyri (14), T. phialatus (4),
T. intercalaris (2)
Euphorbia characias
1, 2
1
92.5
T. pyri (7.5)
Celtis australis
1
0.8
100
Quercus pubescens
1, 2
0.7
80
T. intercalaris (20)
Cornus sp.
1
0.7
94
E. stipulatus (6)
Ulmus sp.
1, 3
0.6
100
Rubus sp.
1, 2
0.3
72
T. pyri (16), E.stipulatus (12)
Inula viscosa
2
0.5
33.3
T. intercalaris (33.3), P. soleiger (33.3)
Prunus cerasus
3
0.5
0
P. soleiger (100)
Cydonia oblonga
3
0.5
100
Mean
0.66
75.1
Standard deviation
0.22
33
Table 3 - Percentage of phytoseiid mite species observed in woody areas neighbouring
experimental grape fields in Pouzolles (Hérault, France).
Kampimodromus aberrans
Typhlodromus (A.) intercalaris
Typhlodromus (T.) phialatus
Typhlodromus (T.) pyri
Euseius stipulatus
Paraseiulus soleiger
GRAPE FIELD 1
90
2.5
1
4.5
2
–
GRAPE FIELD 2
47
26
13
7
–
7
Table 4 - Percentage of phytoseiid mite species observed in narrow hedges around the 2
experimental grape fields in Pouzolles (Hérault, France).
Kampimodromus aberrans
Typhlodromus (T.) phialatus
Typhloseiulus simplex
Typhlodromus intercalaris
Mean phytoseiid mites per leaf
104
GRAPE FIELD 1
100
0.3
GRAPE FIELD 2
34
30
8
28
0.04
Table 5 -Number of phytoseiid mites/leaf and phytoseiid mite proportions observed in
neighbouring vine crops of the two experimental grape fields in Pouzolles (Hérault, France).
Total area of the neighboring vine crops (in ha)
Phytoseiid mite density in Ph/l
in the neighbouring vine crops
Number 1
2
3
4
5
Kampimodromus aberrans
Typhlodromus (T.) pyri
Typhlodromus (T.) phialatus
Typhlodromus (A.) intercalaris
Paraseiulus soleiger
GRAPE FIELD 1
4.7
GRAPE FIELD 2
1.6
2.37
7.50
0.60
0.70
2.80
1.02
3.72
0.06
0.04
97.4%
75.00%
23.75%
1.25%
0.6%
1.2%
0.8%
Table 6 - Phytoseiid mites sex ratio in the three surrounding environments of the 2
experimental grapefields in Pouzolles (Hérault, France).
Females
Males
Woody areas (%)
80
20
Border hedges (%)
79
21
Neighbouring vineyards (%)
78
22
In 2000 and 2001, sampling carried out in three transect directions
showed the presence of great densities of K. aberrans in some areas on
different plants, at least 800 meters away from the plot, especially on C.
australis and Juniperus sp. for the South transect and on Q. pubescens
for North-East transect. The main species sampled for the three
directions of transects for both years was T. phialatus.
Phytoseiid mites occurred in the 6 neighbouring vine plots. No
significant difference was observed in mite densities between the vine
plots during the three years [F(5,24)=1.10; P=0.34], neither between
cultivars (Grenache & Syrah) [F(1,42)=3.02; P=0.89]. From 2000 to
2001, the populations increased in all plots (except V5), in average from
0.065 to 0.18 phytoseiid/leaf [F(1,9)=0.03; P=0.035].
The diversity of phytoseiid mites inhabiting the neighbouring vine plots
changed between 2000 and 2001. In 2000, Neoseiulus californicus
(McGregor) was the prevailing phytoseiid while in 2001 and for the
following years, Typhlodromus exhilaratus Ragusa was the single
species collected.
In Alaigne (2005)
The hedge is planted with 8 different plants on which Q. pubescens,
Rubus ulmifolius Schott, C. sanguinea and Bryonia dioica Jacquin
appeared as suitable host plants for phytoseiid mites (tab. 8).
Typhlodromus (T.) pyri is the dominant species except on Q. pubescens
where K. aberrans prevailed.
105
Plant species
Acer sp.
Acer monspessulanum L.
Agrimonia eupatoria L.
Alnus sp
Arbutus unedo L.
Asparagus officinalis L.
Buxus sempervirens L.
Carlina vulgaris L.
Carpinus sp.
Celtis australis L.
Clematis flamula L.
Clematis vitalba L.
Conyza sumatrensis (Retz)
Cornus sp.
Cornus sanguinea L.
Corylus sp.
Crataegus sp.
Cupressus sp.
Cytisus sp.
Daphne gnidium L.
Dorycnium suffruticusum Viller
Echium vulgare L.
Erica multiflora L.
Euphorbia pepilis L.
Euphorbia serrata L.
Fraxinus sp.
Fraxinus excelsior L.
Fraxinus ornus L.
106
Ambyseius andersoni (Chant)
Euseius finlandicus (Oudemans)
Euseius stipulatus (Athias-Henriot)
Kampimodromus aberrans (Oudemans)
Neoseiulus auresencs(Athias-Henriot)
Neoseiulus bicaudus (Wainstein)
Neoseiulus californicus (McGregor)
Neoseiulus cucumeris (Oudemans)
Neoseiulus graminis (Chant)
Neoseiulella tiliarum (Oudemans)
Paraseiulus triporus (Chant & Yoshida-Shaul)
Paraseiulus soleiger (Ribaga)
Phytoseiulus persimilis Athias-Henriot
Phytoseius echinus Wainstein & Arutunjan
Phytoseius juvenis Wainstein & Arutunjan
Phytoseius plumifer (Canesrini & Fanzago)
Proprioseiopsis messor (Wainstein)
Typhlodromus (Anthoseius) cryptus (Athias-Henriot)
Typhlodromus (Anthoseius) ilicis (Athias-Heneriot)
Typhlodromus (Anthoseius) recki (Wainstein)
Typhlodromus (Anthoseius) rhenanoides (Athias-Henriot)
Typhlodromus (Anthoseius) rhenanus (Oudemans)
Typhlodromus (Typhlodromus) athiasae Porath & Swircki
Typhlodromus (Typhlodromus) ernesti Ragusa & Swirski
Typhlodromus (Typhlodromus) baccettii Lombardini
Typhlodromus (Typhlodromus) exhilaratus Ragusa
Typhlodromus (Typhlodromus) phialatus Athias-Henriot
Typhlodromus (Typhlodromus) pyri Scheuten
Typhloseiella isotricha (Athias-Henriot)
Typhloseiulus carmonae (Chant & Yochida-Shaul)
Typhloseiulus eleonorae Ragusa
No. of phytoseiid species per plant
Table 7 - Phytoseiid mite numbers on sampled plants in uncultivated areas in Restinclières (Hérault, France) from
1999 to 2003.
Phytoseiid species (No. of individuals per plant)
1
1
3
1 53
1
2
1
2 1
1 1
1
3
1
7
1
1
1
1
1
1
1
1
1
3
1
1
6
1
2
1
1
1
1
1
1
1 3
1
1
1
9
1
1
5
3
2
24
1
1
1
4
2 6
1
1
1
1
1
7 7
2
2
2
1
1
1
1
1
1
9
1
3
1
6
1
6 5
3
1
3
1
2
3
1
1
1
1
4
4
2
Table 7 (continued)
Galium sp.
Genista scorpius (L.)
Helianthemum vulgare Gaertner
Inula viscosa (L.)
Juglans nigra L.
Juglans regia L.
Juniperus sp.
Juniperus oxycedrus L.
Laurus sp.
Lavandula spica L.
Liriodendrons sp.
Lonicera sp.
Lonicera caprifolium L.
Malus domestica Borkh
Malva sylvestris L.
Morus sp.
Olea europea L.
Ostrya carpinifolia Scopoli
Phyllirea sp.
Phyllirea angustifolia L.
Phyllirea media L.
Pinus brutia (Ten.)
Pinus halepensis Miller
Pirus communis L.
Pistacia lentiscus L.
Plantago lanceolata L.
Poterium sanguisorba L.
Prunus sp.
Prunus avium (L.)
Prunus dulcis Miller
Prunus persica (L.)
Prunus spinosa L.
Punus mahaleb L.
Quercus coccifera L.
Quercus ilex L.
Quercus pubescens Willdenow
Rosa canina L.
Rosmarinus officinalis L.
Rubia peregrina L.
Rubus sp.
Ruscus aculeatus L.
Sophora japonica L.
Sorbus domestica L.
Syringa sp.
Thymus vulgaris L.
Tilia sp.
Ulmus sp.
Viburnum tinus L.
No. of host plants
1
1 1 6
1
1
1
1
1
6
1
3
1
2
5
2
1
2
1
3
1
1
2
5
1
2
9
1
1
1
1
1
1
1
1
2
1
1
3
74
2
1
1
2
6
2
7
1
1
1
1 17
1
1 1 3
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
2
1
1 1
1
1
3
1
1
1
1 2
1 1 6
1
11
1
1 1
1
1
2
1 1
1
1
17
18 1
1
3
4
17
1 3
1
1
1
1
1
1
2
1 8
1
1
1
4 3 5 23 3 1 2 1 2 2 1 3 1
1
23
1
1 7 4
1
1
6
1 1
1
4
7
1
5
1
1
1 3 168
5 1 2 1 9 3 28 6 5 1 3 9 13 57 2 1
107
2 1
1
3
1
3
1
1
1
4
2
2
3
4
3
6
4
2
1
1
1
2
2
2
3
2
3
4
1
3
4
1
1
1
3
6
9
1
1
2
1
7
1
4
6
1
4
5
6
6
Table 8 - Percentage of phytoseiid mites on the different host plants of the hedge neighbouring
the experimental grape field in Alaigne, Domaine de Cazes (Aude, France) in 2005.
Host plant
Percentage
Quercus pubescens
Bryonia dioica
Cornus sanguinea
Rubus sp.
Populus nigra
Crataegus monogyna
Prunus spinosa
Rosa canina
Phytoseiids
per leaf
90.5 K. aberrans – 7.1 T.(T.) pyri – 2.4 Immatures
0.46
90.4 T.(T.) pyri – 5.7 Euseius sp. – 3.9 K. aberrans
0.34
66.7 T.(T.) pyri – 26.7 K. aberrans – 6.6 Immatures 0.2
100 T.(T.) pyri
0.15
0
0
100 T.(T.) pyri
0.006
100 T.(T.) pyri
0.002
0
0
7.2.3. Conclusion
Diversity and densities of phytoseiid mites seem correlated to the
floristic diversity and especially to the abundance of host plants. This
floristic diversity is itself linked to the local physical conditions (both
climatic and edaphic), to the evolutionary process within the vegetation
(equilibrium status vs. colonizing process) and to the history of land use
which affect plant communities. Pouzolles is a very old vine region,
vineyards of more than two thousand-years old and with deep fertile
soils. K. aberrans seems very common in the French Mediterranean area
where these conditions are met: long history of land use by vineyards,
deep soil with patches of remaining vegetation dominated by the white
oak, associated to Ulmus sp., Celtis sp., etc. But this kind of situation is
not met everywhere. In some bad soils with colonizing vegetation in
abandoned and replanted lands, T. exhilaratus seems dominant, a crop
colonizing species (Tixier et al., 2005). In vineyard in altitude and in the
climatic border between Mediterranean and Oceanic conditions, T. pyri
seems to replace and may be displace K. aberrans. But what about
factors concerning host plants?
7.3. SOME
POSSIBLE FACTORS AFFECTING DENSITY AND DIVERSITY OF
PHYTOSEIID MITES IN THE SURROUNDINGS
We have shown that K. aberrans is a common phytoseiid mite on grape
and uncultivated plants surrounding vineyards (Duso et al., 1993;
Kreiter et al., 2000; Tixier et al., 2000b). This important biological
control agent is a generalist (vs. specialist; McMurtry and Croft, 1997)
predator of spider mites, including the common pest in Southern
France, Eotetranychus carpini (Oudemans). Kampimodromus aberrans
feeds on many non-tetranychid mites, pollen and insects as well
(Kropczynska et al., 1988; Schausberger, 1992, 1997, 1998). This
predaceous mite seems to be closely associated with specific host plants
108
and it varies regionally in this regard (Moraes et al., 2004). In Europe it
occurs on economic plants such as apple (Malus domestica L.), grape
(Vitis vinifera L.) and hazelnut (Corylus avellana L.). Kampimodromus
aberrans is common on plants bearing hairy leaves and domatia
(Coiutti, 1993; Barret and Kreiter, 1995; Moraes et al., 2004). The need
to understand relationships between plant, leaf structures, pollen foods
and their effects on this species were recognised (Barret & Kreiter 1995,
Camporese & Duso 1996).
Phytoseiid mites live mostly on leaf under-surfaces that have raised
veins, dense hairs, tunnelled margins and cave-like structures in the
vein axils (domatia). These structures affect searching, feeding, mating,
oviposition, hiding, etc. of these microscopic arthropods. Leaves with
domatia often harbour more phytoseiid species or greater densities of a
species than leaves without domatia or leaves from which domatia have
been removed (O’Dowd and Willson, 1991; Walter and O’Dowd 1992a, b;
Walter, 1996). Such shelters and leaf pubescence may be as important as
food is for some phytoseiids (Duso, 1992; Karban et al., 1995) and
especially for generalist feeders that have evolved more in response to
plants than specialist feeders (McMurtry and Croft, 1997). Yet many
questions remain about adaptations of phytoseiids to plant attributes.
For example, how does leaf architecture allow some phytoseiids to
colonize a plant and others not? Can 2 or more species live together on a
leaf by habitat partitioning? If so, do some refuges minimise interspecific competition more than others? Answers to these questions have
implications for biological control. Few studies deal with the influence of
host plant traits on biological control (Duso, 1992; Walter, 1996; Lester
et al., 2000). Answers are also important for understanding colonisation
of crops by phytoseiid mites from neighbouring areas and for
determining which plants may constitute reservoirs and why (Tixier et
al., 1998; Tixier, 2000; Tixier et al., 2000b).
Results of surveys of predaceous mites that occur on vegetation
surrounding vineyards are reported and correlated to factors of plant
type, leaf pilosity, leaf domatia and pollen retention. Also, reported and
discussed are features of the biology of K. aberrans, including aspects of
pollen feeding and water uptake from plants.
7.3.1. Material and methods
Correlations between plant types, leaf structures and pollen
capture
Counts of trichomes, domatia and pollen grains densities were taken at
randomly selected locations on 3 leaves per plant on 3 plants per
species. Trichomes and pollen grain densities were counted on 3
arbitrary areas of the limb of each leaf, and then converted in cm2. For
measuring domatia types, we used a rating scale based on that of
O’Dowd and Willson (1989): 0 = no hair at intersection of leaf veins; 1 =
109
some hairs, but no shelter at intersection of the leaf veins; 2 = somewhat
closed domatia, intersection of leaf veins lightly covered by trichomes; 3
= leaf vein intersection completely obstructed by hairs. Leaf surface was
measured by Surface foliaire software (1992) program for 10 leaves per
plant species. Analysis of Variance (ANOVA & Kruskal & Wallis,
NPStat, 1995) and means tests (Duncan, Statistica, 1998) were used to
compare phytoseiid densities per cm2, leaf hairs and pollen densities per
cm2 and domatia densities per leaf. Domatia ratings among plants were
compared by Chi2 tests (Statistica, 1998). A Chi2 test (Np Stat, 1995)
was used to compare percentages of K. aberrans versus other
phytoseiids among plant species. Multiple regressions (Statistica, 1998)
were run between leaf data types and densities of phytoseiid mites /
cm2, predator frequency per plant, percent of K. aberrans (versus all
phytoseiids) per plant and number of phytoseiid species per plant.
Decision tree analysis (Statistica, 1998) was used to assess importance
of leaf parameters to predict phytoseiid densities.
Life stage distributions
Life stage distributions was studied on 3 trees, in order to determine if
prey mites or other foods allow reproduction and specifically how pollen
affects phytoseiid development. Samplings were carried out on C.
australis (that did not harbour any phytophagous mites), on T.
platyphyllos (that had low densities of Eotetranychus tiliarium
(Herrmann)) and on T. platyphyllos (that had some E. tiliarium and the
predaceous mite Euseius finlandicus [Oudemans]). E. finlandicus life
stage distributions were also measured on T. vulgaris (that had low
densities of E. tiliarium and the phytoseiid, Neoseiulella tiliarum
(Oudemans)). More limited samples of life stage for K. aberrans also were
made. Eggs, immatures and adult phytoseiids and tetranychids were
counted using a binocular microscope at 40X. To determine the pollen
availability for predaceous mites, atmospheric counts of Celtis pollens
that are common in Montpellier were sampled in 1988-1990 using
methods described by Cour (1974). Pollen count data were compared to
life stage distributions of K. aberrans to evaluate potential food impacts.
Pollen on selected plants relative to leaf pilosity
To evaluate relationships between pollen and K. aberrans occurrence
among plants near French vineyards, plant species, leaf pilosity and
pollen retention measurements were made. As pollen identification is
difficult (Andersen, 1974; Faegr and Iversen, 1989), we sampled only
Abietaceae pollens that have 2 distinctive air bags that can be identified
with a binocular microscope at 40X magnification (Faegri and Iversen,
1989). Pollen counts were made during April 1992 on both sides of leaves
of C. australis (22 leaves), U. procera (13 leaves), and T. vulgaris (20
leaves). All sample trees were located in a local area near Montpellier
and received similar conditions of wind and distances to pollen sources.
110
To convert to a common unit of pollen density, surface area per leaf was
measured with an automatic planimeter (± 0.2 cm2). A regression
between pollen density and leaf surface (downside and upside) was
calculated for each plant type. A second comparison of pollen density
and pilosity was made between C. australis and C. occidentalis only. Two
types of leaves were used, either unwashed or washed in acetone for 3
months to remove sticky materials that might affect pollen retention.
Two kinds of unwashed leaves were used: alive and dried leaves. All
tests were conducted at a site near Montpellier where both European
hairy and American glabrous nettle trees grew in mixed stands. Also, a
light wind of 3 km/h was simulated in an environmental chamber to
nettle trees that were held under similar climatic conditions. Both
unwashed and washed leaves (100 of each tree species) were placed on
both sides (50 of each) randomly on 50 x 40 cm plastic panels. Also, 100
leaves from currently growing plants were collected at random from the
2 tree species. Both hairy and glabrous nettle (both Celtis) tree leaves
were compared (washed and unwashed) after being held under 2
experimental conditions (natural and laboratory-reared). Data from
both plant species and pilosity-nettle tree tests were submitted to
ANOVA and a mean comparison tests (Newman and Keuls; a=0.05).
Uptake of plant fluids
Rubidium (rb+) has been widely used to test water uptake by organisms
(Beery et al., 1972; Fernandes et al., 1978; Graham et al., 1978). Water
can be taken up by plants, and then by predaceous mites either from the
plant or from phytophagous mites that have fed (Frazer and Raworth,
1974; Jackson, 1991). Thirty 2 yr-old hairy nettle trees having 5-6 leaves
were cultivated in planter boxes and caged with muslin. All visible foods
on leaves were removed with a brush and leaves were exposed for 1 min.
every 12 hours and for 5 d to ultraviolet light (wavelength 254 nm) to
eliminate micro-organisms. The soil of 20 trees was watered daily with
a rubidium chloride solution at 2 g / l (1250 ml / tree total), and the soil
of 10 with only distilled water (control). Females of K. aberrans were
collected on other European hairy nettle and after 24 h starvation,
female adult mites (1 per plant) were placed both on labelled and
unlabelled trees. A glue ring was placed on the trunk to stop escape of
released mites. After 4 days treatment, analysis was performed on
recovered mites with a Perkin-Elmer 5100 PC atomic absorption
spectrophotometer connected to an HGA-600 graphite furnace
assembly, a programmer and an AS-1 auto-sampler. A hollow cathode
lamp of 780.0 nm wavelength was used. A calibration with standard
solutions was used within the range of rubidium amounts found in a
single mite. A single labelled female was taken with a sterile plastic
shaft and dissolved in 2 µl of pure nitric acid for 48 h at 20 °C. Solutions
were homogenized and diluted with 0.5 ml distilled water before
analysis.
111
Body size of phytoseiids and pilosity measurements
To compare predator sizes and leaf pilosity, 6 possibly cohabiting
phytoseiids were studied: Amblyseius andersoni (Chant), E. finlandicus,
K. aberrans, N. californicus, Phytoseiulus persimilis Athias-Henriot and
T. pyri. The average sizes of 3 types of females (field collected, laboratory
reared, but starved for > 2 d) were examined. We measured length and
width (in mm; precision ± 4 µm) of the idiosoma (longer than dorsal
shield) with a phase-contrast microscope and micrometer at 200X
magnification. Females were collected alive, and then deposited in
distilled water (at 4°C) in the cavity of a microscope slide.
Measurements are made just after female deposition to avoid uptake of
water. Thirty females of each treatment were measured. Confidence
ellipses for mean sizes (α = 0.05) allowed for a graphic comparison of
species (Sokal and Rohlf, 1981). Also, between-hair distances of leaves of
3 trees (on which life stage distributions were measured) were taken.
On C. australis, between hair distances was measured on 3 places on
each of 100 leaves that were randomly collected on 4 trees. Places were
near a secondary vein, near a small terminal vein and a random position
on the open leaf. On U. procera and T. platyphyllos, no hairs are present
on open leaf areas so pilosity was measured on a small terminal vein
and on a secondary vein. Pilosity data were submitted to ANOVA and a
Duncan’s mean comparisons (α = 0.05).
7.3.2. Results and Discussion
Correlations between plant types, leaf structures and pollen
capture
Trichome (F = 67.42; df = 19, 160; P ≤ 0.0001), domatia (F = 91.25; df =
19, 160; P ≤ 0.0001), and pollen (F = 5.54; df = 19, 160; P ≤ 0.0001)
densities per leaf differed among the 20 plant species studied (Tab. 9). C.
australis, Q. pubescens, and Ulmus sp. had high levels for all 3 plant
variables. Rubus sp., E. characias, Prunus spinosa L. and T. arvensis had
high trichome densities and Lonicera sp., and Ulmus sp. had many
domatia. Domatia were observed on 9 plant species; Chi2 tests showed
that the domatia ratings differed among these plants (F = 341.27; df = 8,
15; P = 0.0001; Tab. 9). C. australis, Ulmus sp., P. spinosa, Lonicera sp.,
Clematis vitalba L. and Q. pubescens had the highest domatia rating.
The number of phytoseiids (all life stages) per cm2 (r2 = 0.74; F = 4.33; df
= 7, 12; P = 0.012) and their frequency on plants (r2 = 0.70; F = 4.04;
df=7, 12; P = 0.016) were correlated with trichome density. However, no
significant correlation was found between densities of phytoseiid mites
and number of domatia (r2 = 0.04; F = 0.79; df = 7, 12; P = 0.38) and
pollen densities (r2 = 0.09; F = 1.86; df = 7, 12; P = 0.19). No significant
correlation was found between any leaf parameter and either percent of
K. aberrans per plant (r2 = 0.39; F = 0.52; df = 7, 12; P = 0.65) or total
phytoseiid species per plant (r2 = 0.28; F = 1.52; df = 7, 12; P = 0.84).
112
113
N. of domatia
(SV*)
0
0
12
26
10
7
0
6
12
6
5
10
0
0
0
0
0
0
0
0
* SV: leaf secondary vein
Mean density of Mean density of
trichomes/cm2
pollen/cm2
7000 ABCDEF
10 ABCDE
6292 ABCDEF
7.4 ABCDE
5388 ABCDEF
43 ABCDE
2997 ABCDEF
26 ABCDE
2530 ABCDEF
23 ABCDE
1637 ABCDEF
46 ABCDE
1463 ABCDEF
31 ABCDE
340 ABCDEF
18 ABCDE
337 ABCDEF
13 ABCDE
98 ABCDEF
9 ABCDE
34 ABCDEF
20 ABCDE
17 ABCDEF
11 ABCDE
0 ABCDEF 2.19 ABCDE
0 ABCDEF 1.67 ABCDE
0 ABCDEF 1.12 ABCDE
0 ABCDEF 2.46 ABCDE
0 ABCDEF 1.83 ABCDE
0 ABCDEF
0 ABCDE
0 ABCDEF
0 ABCDE
0 ABCDEF
0 ABCDE
Different letters indicate significant differences
Rubus sp.
Euphorbia characias L.
Quercus pubescens Willdenow
Ulmus sp.
Prunus spinosa L.
Celtis australis L.
Torilis arvensis (Hudson)
Cornus sp.
Lonicera sp.
Crataegus monogyna Jacquin
Clematis vitalba L.
Clematis flammula L.
Osyris alba L.
Rubia peregrina L.
Phillyrea angustifolia L.
Fraxinus sp.
Saponaria officinalis L.
Arum sp.
Lactuca serriola L.
Arundo donax L.
Mite density /
cm2
0.036
0.05
0.026
0.018
0.004
0.039
0.007
0.021
0.032
0.0026
0.0013
0.003
0.03
0.017
0
0.0001
0
0
0
0
Total number
of domatia
0 ABCDEFG
0 ABCDEFG
12 ABCDEFG
37 ABCDEFG
10 ABCDEFG
14 ABCDEFG
0 ABCDEFG
6 ABCDEFG
21 ABCDEFG
6 ABCDEFG
7 ABCDEFG
10 ABCDEFG
0 ABCDEFG
0 ABCDEFG
0 ABCDEFG
0 ABCDEFG
0 ABCDEFG
0 ABCDEFG
0 ABCDEFG
0 ABCDEFG
* MV: leaf main vein
N. of domatia
(MV*)
0
0
0
11
0
7
0
0
9
0
2
0
0
0
0
0
0
0
0
0
Mean rating
of domatia
0
0
2.88
2.49
2.51
2.63
0
1.38
0.48
1.36
0.82
0.65
0
0
0
0
0
0
0
0
Leaf area
(cm2 )
08.73
05.47
19.63
09.87
13.30
15.03
04.68
14.00
22.10
06.30
11.40
03.35
00.66
01.56
04.30
04.52
06.44
107.00
62.00
50.00
Table 9 - Leaf characteristics of 20 plants from woody margin near a vineyard (Pouzolles, Hérault, France) and mean comparison groups (Duncan).
Figure 1 - Localisation of the region Languedoc-Roussillon and of the three localities with
experimental vineyards. 1: Restinclières; 2: Pouzolles; 3: Alaigne.
Pollen density was significantly correlated with numbers of domatia (r2
= 0.65; F = 7.95; df = 7, 12; P = 0.0042). Number of domatia on the main
leaf vein was correlated with number of domatia on secondary veins (r2
= 0.99; F = 1358; df = 7, 12; P = 0.00001). Excluding Rubus sp. and E.
characias, significant correlation between pollen and trichome densities
(r2 = 0.78; F = 6.72; df = 6, 11; P = 0.033) occurred. These 2 plants were
excluded from further analyses because, while they had high trichome
densities, little if any pollen was present on their surfaces. Results of
decision tree analysis show that abundance of phytoseiids on 20 plants
was more related to the trichome densities, than to domatia rating.
Neither plant diversity nor percent K. aberrans were explained by any
of the parameters studied. While the pilosity-K. aberrans relationship
was known, our study reports more about effects of trichome and
domatia densities and domatia structure. Higher trichome and domatia
densities were correlated with higher predator densities. Trichome
spacing of 170-180 mm may allow active movement of K. aberrans inbetween limb pilosity while excluding larger predators. Domatia ratings
that reflect domatia complexity also seem to affect densities of K.
aberrans. Such leaf structures may allow habitat partitioning and more
phytoseiid species to provide pest regulation at lower densities than
single species (Croft and Slone, 1998).
Life stage distributions
Densities of adult female K. aberrans on C. australis from Montpellier
were high in spring, usually increased in Apr.-June, decreased in
summer, and again showed a limited increase in Sept. (fig. 2a). A
relatively short egg production period began in late April in 1991 and
1993 and early May in 1992. Immature density patterns were similar to
those of the adult females except for the late increases in the growing
season. These patterns of density were not correlated to any prey mites
found and in many cases no prey mites were found. A bud eriophyid
114
mite, Aceria bezzi (Corti) was found in April, but only in few buds and on
1 tree. Maximum oviposition concurred with maximum pollen densities
of C. australis. On T. platyphyllos, K. aberrans had similar trends as on
C. australis (fig. 2b), but adult female densities were higher in early
season and egg levels were 1/2 of those on C. australis. When E. tiliarium
preys were present (fig. 2c), an increase of the predator occurred but the
numerical response of K. aberrans was insufficient to keep the spider
mite at low densities (fig. 2c). Temporal trends in life stages of E.
finlandicus were different than for K. aberrans (fig. 3a); on T. vulgaris, 2
peaks occurred - in July and in Oct. Egg production occurred from May
through to Oct. These peaks closely followed those of the spider mite, E.
tiliarium (fig. 3b). Phytoseiids attain stable stage distributions on plants
with favourable types and amounts of foods. A lack of a stable stage
distribution after some period of colonization indicates either that
requisites are lacking or that mortality from predators or other sources
are keeping immature mites from developing at normal rates. In spring,
we observed many adult females but few immatures. As K. aberrans
overwinters as female, we interpreted this to show that K. aberrans was
dispersing but not reproducing on the plant. In general, these plants
lacked pilose leaves or domatia with hairs. Also, densities of immature
mites were directly correlated to leaf pilosity, which often affects pollen
retention (see below) and occurrence of oviposition locations (Karban et
al., 1995). Another explanation for lack of immatures could be that
predators or other mortality agents were reducing immatures on plants.
Selective feeding on phytoseiid eggs by stigmaeid mites can cause this
effect (Croft and Slone, 1998) but neither stigmaeids nor other predators
were observed so we favour the lack of reproduction hypothesis.
Pollen on selected plants relative to leaf pilosity
Tree species located at a common site and exposed to similar
environmental conditions had different pollen densities per unit area
(fig. 4a). Leaves of T. vulgaris were large but had a low density of pollen
that increased significantly with leaf surface area increases (r2 = 0.38; F
= 11.14; df = 1, 18; P < 0.003). The regression slope (3.73) represents an
increase of 4 grains/cm2. Most pollen grains appeared to be trapped by
domatia. On U. procera, the correlation was similar to T. vulgaris (r2 =
0.34; F = 10.56; df = 1, 20; P < 0.004) but the increase in pollen density
was 45.9 grains/cm2.
For C. australis, pollen grain density was 83.5 grains/cm2, but there was
no correlation between pollen density and leaf surface (r2 = 1.7.10-3; F =
0.016; df = 1, 11; P = 0.89). Over all plants, pollen density was higher on
under- than upper-leaf surfaces and the upper-side was always less
hairy (fig. 4b). Leaves of C. australis trapped and retained more pollen
than U. procera and T. vulgaris; this in part may be because its leaf is
held more perpendicular to air flows. However, as between-hair
distances on leaves of trees were similar (see below), 2 other factors may
115
Figure 2 - Average numbers of adults immatures and eggs of K. aberrans on Celtis
australis (and pollen grains of this plant in the air [average for 1988, 1989, 1990]) (a)
and Tilia platyphyllos (b) at Montpellier (France) in 1991 and 1992. Average numbers of
eggs and mites of E. tiliarium on T. platyphyllos at Montpellier (France) in 1991 and
1992 (c).
116
Figure 3 - Average numbers of adults immatures and eggs of E. finlandicus (a) and E.
tiliarium (b) on Tilia vulgaris at Montpellier (France) in 1992.
explain pollen retentions: C. australis leaves, have longer hairs and/or a
stickier surface. Indeed, in tests of stickiness, C. australis retained
significantly more pollen by 100-150% over smooth leafed C.
occidentalis, either when washed or unwashed (tab. 10).
However, we did not test effects of leaf hair lengths. Leaf sizes, shapes
and veination were similar for these Celtis sp. and only pilosity was
different. Nevertheless, for both conditions of washed leaves, pollen
density still was higher on hairy than glabrous leaves (respectively, 258
and 53% more). Unwashed leaves, especially live ones from trees,
retained pollen better. We demonstrated that pilosity was the most
important factor affecting pollen capture/retention, while leaf
positioning, leaf surface type, stickiness and domatia types also could be
important. Differences in pollen retention could dramatically influence
densities of phytoseiids, especially those that primarily feed on pollens
117
Figure 4 - Relationships between: a/ the number of pollen grains of Abietaceae on the leaf
under-surface and the leaf area, b/ the number of pollen grains of Abietaceae on the leaf
under and upper-surface for three plants: Celtis australis, Tilia vulgaris, Ulmus procera.
early before preying on mites increasing to appreciable densities (K.
aberrans: Duso et al. 1997, T. pyri: Addison et al. 2000).
Uptake of plant fluids
K. aberrans from labeled trees had rubidium labeled individuals (0.167
± 0.104 ng/_) while mites from unlabeled trees did not (0 ng/_). UV light
use excluded any labeled microarthropods or any feeding
microorganisms as sources of rubidium. While we observed K. aberrans
on many occasions with its mouth parts inserted into a leaf, these data
more conclusively confirmed that actual fluids were taken up by this
behavior. We demonstrated that K. aberrans does take up plant fluids.
118
Table 10 - Abietaceae pollen grains per cm2 on leaves of Celtis australis or C. occidentalis in
field (near Montpellier, France) or laboratory experiments.
Number and origin of leaves
used for experiment
50 alive leaves from field.
Collected on trees. Side down
50 alive leaves from field.
Collected on trees. Side up
Probability and significance
50 dead leaves. Collected on trees.
Put in acetone 3 months. Side down
50 dead leaves. Collected on trees.
Put in acetone 3 months. Side up
Probability and significance
152 alive leaves from field.
Collected on trees
50 leaves from field.
Collected on trees & dried
50 dead leaves. Collected on trees.
Put in acetone 3 months
50 alive leaves from field.
Collected on trees
50 dead leaves. Collected on trees.
Put in acetone 3 months
Type of
Experiment
Grains (SE)
Celtis australis
Grains (SE)
C. occidentalis
Probability &
significance
–
43.92
9.72
–
–
–
15.42
1.84 x 10–8 S
2.78
8.80 x 10–7 S
–
–
Lab simulation
16.39
5.52
–
Lab simulation
–
6.52
6.45 x 10–5 S
3.48
0.1586 NS
–
–
–
8.31 (6.52)
4.15 (3.76)
7.62 x 10–11 S
Field.
On trees
Field.
On trees
0.80 (1.01)
0.18 (0.17)
10–4 S
0.93 (0.77)
0.26 (0.26)
10–4 S
Lab simulation
4.47 (6.98)
1.80 (2.26)
0.0126 S
Lab simulation
1.06 (0.70)
0.69 (0.81)
0.014 S
We have not observed this species to ingest water from open sources like
many other phytoseiids do and it continues in this uptake of fluids even
if tetranychid or other mite preys are abundant. Just what benefit is
obtained from plant fluids is unclear. Pollen is a dehydrated food and so
pollen feeding may require water. Such uptake could confer considerable
plant specificity to K. aberrans and it seems to be a limiting factor in
rearing this mite on substrates other than leaves (S. Kreiter,
unpublished data; Schausberger and Croft 1999).
Body size of phytoseiids and pilosity measurements
Between-hair distances were not significantly different (F = 1.39, df = 2,
819; P = 0.251) for U. minor (188 ± 58 µm), C. australis (172 ± 67 µm) and
T. platyphyllos (165 ± 48 µm). Distributions were normal and
coefficients of variation 30- 35 % so data were converted to a common
line (Scherrer 1984) of 173±60 mm (confidence limit: 169-177; a = 0.05;
n = 822) for comparisons with phytoseiid sizes (fig. 5).
Confidence ellipses (a = 0.05) of length and width of 6 phytoseiids also
were calculated (fig. 5). K. aberrans was the smallest of the 6 mites and
1 of 3 for which width was less than between-hair distance (even for fed
and gravid females). The 2 other small species were N. tiliarum, which
lives on glabrous leaves but in closed hairy domatia and T. pyri that also
seems to prefer hairy leaves (Duso, 1992; Duso et al., 1993). By direct
measurements of between-hair distances and phytoseiid widths and
lengths, we showed significant differences among species that might
119
Figure 5 - Mean between hair distances on Celtis australis, Ulmus procera and Tilia
platyphyllos leaf undersurface and size (lenght and width) distribution of 6 phytoseiid
mite species.
influence movements through leaf hairs. As noted, we observed that it is
easier for K. aberrans to move through leaf hairs than it is for a large
phytoseiid like E. finlandicus (Schausberger, 1992). Energy costs of
walking on hairy leaves for a large species may be excessively high.
Behavioural studies with competing species and different pilosity and
pollen levels would be helpful in testing this hypothesis directly.
7.3.3. Conclusion: some possible factors that affect phytoseiid mite
densities and diversity in the surroundings and further
studies needed
Plants in providing substrates, liquid and pollen foods, and their pilosity
and domatia either for pollen trapping or protection from larger
predators affect phytoseiid mites, especially the generalist feeding
species (Karban et al., 1995, Walter 1996, McMurtry & Croft 1997). For
K. aberrans, these effects may act complex ways. Finally, while we have
shed light on several aspects of plant-phytoseiid interactions, we have
not been able to test many of these aspects directly. Most of our
120
conclusions are based on correlation or inferences from field-derived
data. Such types of data are useful in early stages of research to indicate
general relationships and to identify hypotheses. What are needed are
laboratory tests in simplified systems where variables can be controlled
and single factor relationships evaluated. For example, by observing
behaviour of K. aberrans and E. finlandicus when put together on
overlapping smooth and a hairy leaf of Celtis and by manipulating
pollen levels, one could test innate leaf preferences, attractions to
pollens and inter-specific interactions. One challenge would be to
maintain a plant physiology that is favourable to both phytoseiids. K.
aberrans seems to require a plant with its turgor intact and a detached
leaf soon looses turgor to the extent that K. aberrans stops feeding and
laying eggs. Presumably, this is because it lacks plant fluids. While these
constraints pose problems, they are not insurmountable. Such studies
will help elucidate plant relationships for generalist-feeding phytoseiids
that seem more complex than for specialist-feeding phytoseiids
(Grafton-Cardwell and Ouyang, 1996; O’Dowd and Willson, 1991;
McMurtry and Croft 1997).
7.4. PHYTOSEIID MITE DISPERSAL
After studies concerning the potential in phytoseiid mites of the
surrounding vegetation of vineyard and the exploration of some factors
affecting densities and diversity, the second step is to quantify
colonization process. The aim of this part of the study was to answer to
the following questions: Are phytoseiid mites disperse into cultivated
plots? Where do migrants come from? What is the magnitude of the
dispersal flow? How does it vary over time? What factors influence
dispersal? Which species are prone to disperse?
7.4.1. Material and methods
Sixteen ground traps/ha were used to characterize ambulatory dispersal
and sixteen aerial traps/ha were used to study airborne dispersal. The
grape fields where the experiments took place were in Pouzolles (Hérault.
They have been already mentionned in the first part of this paper.
Drugget strips (20x5 cm) imbibed with pine pollen not odour attractant
(Auger & Kreiter unpublished data), used as ground traps, were placed
in open-sided boxes (25x10 cm) to protect them from rain, so that
ambulatory dispersal of the mites could be the only explanation for their
presence in the trap. Drugget is a coarsely woven felt cloth that acts as
a shelter for phytoseiid mites, which remain within the trap. The
drugget strips were replaced each week, and the old ones placed in
Berlese-Tullgren funnels for a week in order to extract phytoseiid mites.
For the study of aerial dispersal, an experimental device similar to that
121
used by Fauvel and Cotton (1981) was chosen. Aerial traps were made
with funnels (31 cm in diameter) filled with water and a wetting agent
(Teepol®, Le Blanc Mesnil, France). They were glued (The Tanglefoot®
Company, Grand Rapids, USA) to supports and placed about 50 cm
above the vines, at about 2 m from ground level. This limited or nullified
the possibility of trapping phytoseiid mites originating from the vine
stocks of the experimental plot. Each week, the contents of the funnels
were filtered through a 100 µm sieve. The phytoseiid mites were then
identified after clearing and mounting in the laboratory. Data
concerning the mites trapped in the funnels throughout the season were
analyzed using an analysis of variance followed by a Newman & Keuls
means comparison test (Sokal and Rohlf, 1981).
The influence of the wind was studied. Wind data were provided by the
French meteorological office located 15 km from the grape fields. Winds
from the N-NW and S-SE are the strongest and the most frequent, the
former considered as the prevailing winds in the Languedoc. A dispersal
index (DI) linking the number of migrants (by air) and the main
explanatory factors: wind data and phytoseiid mites richness of the
surrounding environment, was proposed and used. This index supposes
that wind dispersal is a random dispersal. Velocity and the frequency of
the two directions mentioned above over one week were chosen as wind
parameters. WR was included in the equation for assessing mite reservoir.
The evolution of phytoseiid mite populations was arbitrarily considered to
be linear between the two sampling dates. The DI proposed is necessarily
theoretical, as it takes into account of only one providing area and a
hypothetical increasing of phytoseiid mite numbers (DI = number of days
of wind from S-SE or N-NW x weekly mean velocity of wind from this
direction x richness of woody area in phytoseiid mites/leaf).
7.4.2. Results
Dispersal into plots
Predaceous mites were caught in aerial and soil traps, but many more
were trapped in the former (tab. 11). Most of the mites were captured in
grape field 1 (tab. 11). K. aberrans occurred the most often in the aerial
traps of this plot. A greater number of species was trapped in grape field
2, where K. aberrans represented only 66% (tab. 11). Sex ratios for
phytoseiid mites captured in grape fields 1 and 2 were similar (tab. 11)
and were not significantly different from that of the populations present
in the three surrounding environment (χ2 test, α = 0.05).
A significant number of immatures were captured in the funnels (35 %)
(tab. 11). The number of mites captured over time (Figs. 6, 7) increased
regularly from 21-V in grape field 1 and from 18-VI in grape field 2,
reaching a maximum number in early July (09-VII in grape field 1 and
02-VII in grape field 2). Some phytoseiid mites were trapped as late as
30-X. The DI for the prevailing winds (N-NW) appeared to be
122
Table 11 - Number and percentage of phytoseiid mites trapped in aerial and soil traps in the
grape fields; sex-ratio and trapped immatures during 1996 experiment (April until October).
GRAPE FIELD 1
Aerial
soil
Number of captured phytoseiid
mites per trap
Kampimodromus aberrans
Typhlodromus (T.) pyri *
Typhlodromus (T.) phialatus *
Typhlodromus (A.) intercalaris *
Paraseiulus soleiger *
Typhloseiulus simplex
Neoseiulus aurescens
Neoseiulus californicus
Proprioseiopsis messor
Typhlodromus (A.) commenticius *
Neoseiulus bicaudus
Typhlodromus (Anthoseius) recki *
Sex-ratio (female / male)
Immature forms
GRAPE FIELD 2
Aerial
soil
18.2
0.96
5
0.75
87 %
1%
6%
6%
trapped
66 %
4%
18%
2%
2%
4%
2%
2%
trapped
trapped
trapped
67.5 / 32.5
35 %
trapped
trapped
71 / 29
1%
trapped
trapped
71 / 29
35 %
trapped
65 / 35
0%
* after Chant & McMurtry (1994)
Figure 6 - Correlations between total number of phytoseiid mites trapped and DI for NNW and S-SE directions in grape field 1: r2 (N-NW) = 0.81, r2 (S-SE) = 0.04.
significantly correlated to the numbers of phytoseiid mites trapped each
week in grape field 1 (fig. 6). In grape field 2 the correlation index was
lower (fig. 7). There was no significant correlation in the case of the
South-East wind, which is rather rare in the region.
There was considerable variation in the number of mites trapped in the
123
Figure 7 - Correlations between total number of phytoseiid mites trapped and DI for NNW and S-SE directions in grape field 2: r2 (N-NW) = 0.48, r2 (S-SE) = 0.02. Pouzolles,
France.
funnels within the same grape field. The details of the results were only
given for grape field 1 because of the greatest numbers of mites (tab. 11)
trapped in this field. Two significantly different groups of traps are
identified using the Newman and Keuls test (fig. 8).
The funnels located in the center of the field have the lower numbers of
trapped mites, while the funnels located near the border of the woody
area (West) and near the adjacent vine plot (East) have the higher
numbers of trapped mites. The first phytoseiid mites trapped were also
found in the funnels located near the woody area. Phytoseiid mites were
trapped next in the funnels located in the Eastern part of the field near
the adjacent vine plot, and only later in the central part of the grape
field. There was an apparent relation between the location of the funnels
and their closeness to estimated pool areas, and the time lag between
the first trappings. K. aberrans was trapped in all funnels in grape field
1, whereas T. pyri, T. phialatus and T. intercalaris occurred in the
funnels located near woody areas. T. phialatus was also present in the
traps located along the vine plot adjacent to the field on the East.
The first soil trappings took place at approximately the same time in
fields 1 and 2. The variation of trappings over time was very irregular
(fig. 9).
The species found in the soil traps usually differed from those found in
the aerial traps. Only T. intercalaris, K. aberrans and T. pyri were
trapped in both soil and aerial traps (tab. 11). The sex-ratio of the mites
found in these traps was not significantly different (χ2 test, α =5 %) from
124
Figure 8 - Number of phytoseiid mites trapped between 13-V and 01-X and location in
grape field 1. Pouzolles, France.
Figure 9 - Phytoseiid mites trapped in soil traps of experimental grape fields 1 and 2
between 13-V and 30-X.
the sex-ratios of mites trapped in funnels and populations present in the
surrounding environment. The number of immatures found in these
traps remained very low (tab. 11).
125
The populations of phytoseiid mites within the grape fields
Phytoseiid mites were observed in the two grape fields but the largest
populations were observed in grape field 1. The populations increased
early in the season until 18-VI. Then the numbers dropped most
certainly due to the application of several fungicides to control downy
and powdery mildew, and of an acaricide to control the swarms of E.
carpini which were very prevalent in 1996 (fig. 10). Until the
application of the fungicides, population development and the number
of phytoseiid mites trapped showed a relatively identical increase,
although this phenomenon was less clear as concerned the numbers
trapped in the soil.
K. aberrans accounted for 99% of the phytoseiid mites found in field 1,
and 88% of those found in field 2. T. phialatus (9%) occurred relatively
significantly in this latter field. A test of χ2 (α = 5 %) showed that the
sex-ratio of the phytoseiid mites present in the experimental grape
fields was not significantly different from that of the mites present in
the surrounding environment or from that of trapped phytoseiid mites
(in both aerial and soil traps).
According to populations found on fallen leaves in the plots, eight K.
aberrans individuals were observed on oak leaves in the sector of the field
bordering the woody area of the grape field 1. One K. aberrans individual
was also found in the center section of field 2, not on a vine leaf.
7.4.3. Discussion
Phytoseiid mite dispersal
Several species of phytoseiid mites are liable to disperse in an aerial
and/or ambulatory manner. These results comply with previous
observations on other phytoseiid mite species in the laboratory (Sabelis
and Dicke, 1985) and in the field (Hoy et al., 1984, 1985). Furthermore,
aerial dispersal occurs to a greater extent than ambulatory dispersal.
This may be due to a better capacity for phytoseiid mites to disperse by
air, but it can also be linked to the presence of few phytoseiid mites in
the soil and/or an insufficient number of soil traps which, moreover,
presented smaller surfaces than the aerial traps. Dead fallen leaves
could also transport phytoseiid mites, but this dispersal mode appeared
relatively insignificant. The numbers of dispersed mites and the
numbers of those observed in the cropped fields increased together. This
cannot be ascertained that dispersing phytoseiid mites colonized the
fields. These observations could reflect an identical natural population
increase both inside the fields and in the reservoir areas, with
consequences on the numbers found in the traps.
The species trapped at the ground level were generally not the same as
those trapped in the air. Some species appear to disperse only by
ambulatory displacement, others only by aerial dispersal. The species
trapped in the drugget strips were soil or herbaceous stratum species
126
Figure 10 - Number of phytoseiid mites sampled in the three experimental grape fields
between 02-V and 01-X.
(Moraes et al., 1986). Those trapped in the funnels seemed to be tree
inhabitants (Moraes et al., 1986) and therefore more likely to be carried
by air currents. However, T. intercalaris, K. aberrans and T. pyri were
trapped in aerial and soil traps. These species after an aerial dispersal
would walk in order to reach a new plant.
Among the eight species trapped, K. aberrans was the most abundant.
Some data (Kreiter et al., unpublished data) has revealed this species
as having a low rate of dispersal. An environment particularly rich in
K. aberrans would send its excess population dispersing to poorer
environments (Source-Pool Theory). It was not possible in the
framework of our experiment to specify the portion of a given
phytoseiid mites population that dispersed, nor to conclude on the
dispersal capacity of the different species trapped. The numbers of K.
aberrans trapped, could represent only a very small proportion of the
populations present in the “sources”. The sex-ratio of the species found
in soil and aerial traps shows that males and females have similar
dispersal properties in the air and on land. The same types of results
concerning aerial dispersion of Neoseiulus fallacis (Garman) (Johnson
and Croft, 1979) and Galendromus occidentalis (Nesbitt) (Hoy et al.,
1984, 1985) were obtained. However, most of the literature to date
presents the female, particularly gravid female, as being the most
dispersing. Gravid females would be solely responsible for ensuring the
development of a colony, and therefore population expansion and
survival in the face of unsuitable environmental conditions (Sabelis
and Dicke, 1985). The fact that those results were obtained in the
127
laboratory and concerned species of phytoseiid mites other than those
trapped in our experiment might explain these differences. Equally, a
considerable number of immatures were found in the aerial traps.
Dispersion at these stages was shown in N. fallacis by Johnson and
Croft (1979) and in Phytoseiulus persimilis Athias-Henriot by Van de
Vrie and Price (1995). However, some tests mostly carried out in
laboratory conditions for other species of phytoseiid mites do not lead
to the same conclusions. Immatures seem, however, little inclined to
ambulatory dispersal. Perhaps this means of locomotion requires too
much energy for these stages, which would tend to adopt aerial
transport as less taxing and “more passive”.
The repartition of soil and aerial captures would support the fact that
phytoseiid mites would come from the woody areas. The heterogenous
repartition of aerial captures leads to the hypothesis that the
phytoseiid mites did not come from very far away. Phytoseiid mite
species were trapped at 30 m from the “source” areas in grape field 1
and at 90 m in field 2. Aerial movement might be adopted for long
distance dispersal, whereas ambulatory dispersal would be better
adapted to shorter displacements. However, T. intercalaris was twice
found in soil traps far (60 m) from areas rich in this species. This might
be a case of particularly long distance ambulatory dispersal. A
combination of the two dispersal modes, aerial to start out, and then
ambulatory, would seem to be the most probable hypothesis. But, even
in this case, the distances covered in aerial dispersal varied according
to the species. K. aberrans was observed to disperse the farthest,
whereas T. pyri and T. intercalaris were found mostly in traps located
near the border of the woody area. This would confirm observations
that T. pyri only disperses over short distances (12 m) (Dunley and
Croft, 1990, 1992). T. phialatus was also found mostly in the traps
bordering the woody area, but equally in traps very far from this area.
This could indicate the existence of other source areas or strong
dispersal capacity in this species. The dispersal characteristics of the
various species observed in the funnels was not studied in depth.
Previous research has been carried out on the dispersal of G.
occidentalis (Hoy et al., 1984, 1985) and N. fallacis (Johnson and Croft,
1979). G. occidentalis disperses easily and has been observed to cover
distances of 800 m by aerial movement. N. fallacis travels less
dispersing aerially up to 70 m. K. aberrans seems to have dispersal
characteristics similar to this latter species.
Types of dispersal
According to the correlation found between DI of the prevailing winds
and numbers of mites trapped, wind seems to be the vector of aerial
dispersal of the phytoseiid mites and particulary of K. aberrans. Wind
plays an important role, but other means of displacement, such as
phoresy, cannot be excluded. These dispersal movements have been
128
observed rarely. It concerns only some phytoseiid mite species,
notably specimens identified as K. aberrans (Krantz, 1973; Sabelis
and Dicke, 1985) transported by the hazel tree aphid Myzocallis coryli
(Goeze). The experimental technique of our study did not enable us to
conclude whether the mites colonized directly by air or by phoresy. It
is possible that each species needs different wind intensities to
disperse, depending on their morphological, physiological and
behavioral characteristics. Winds of 3.6 km / hr are enough for
carrying P. persimilis (Sabelis and Afman, 1994). Johnson and Croft
(1976) showed that maximum dispersal rates of N. fallacis were
observed for winds varying from 10 to 22 km/h. In our study, the
velocities of the N-NW winds, varying from 14 to 31 km/h, made it
possible for the species trapped to disperse, particularly K. aberrans.
Comparison with P. persimilis is hazardous, since this is a more
competitive specific predator (McMurtry and Croft, 1997) and
certainly more enable to disperse. K. aberrans appears to disperse
with relatively low wind velocities, even a bare trembling of leaves
sufficing to send it flying.
Wind is only the vector of the dispersal. One may ask: if dispersals are
random, submitted to no regulation by internal and/or external
factors, or if predatory mites develop behavior which favours
dispersal, rendering their movements more active? Indeed, it appears
that some phytoseiid mites show particular behaviors that induce
their dispersal such as a standing posture (Johnson and Croft, 1976)
or a walking behavior near the edge of leaves (Sabelis and Dicke, 1985;
Hoy et al., 1984, 1985; Mueller and Hoy, 1987; Berry and Holtzer,
1990). In other experiments, it would be interesting to study these
behaviours for K. aberrans. Furthermore, this active behavior might
be triggered by biotic or abiotic signals such as perception of air
currents (Johnson and Croft, 1976), temperature (Berry and Holtzer,
1990), leaf senescence, prey availability, predator density and
starvation. In the same way, further researchs dealing with kairomone
or intraspecific chemical messenger’s involvement, should be
considered.
7.4.4. Conclusion
We observe the dispersal of some phytoseiid mite species. Colonization
of grape fields seemed to be ensured mainly by aerial dispersal of K.
aberrans from areas of dense, deep and tall vegetation. However, great
densities were observed to disperse only in low distance ranges. The fact
that dispersal occurred regardless of sex or stages constitutes another
new element in phytoseiid mite dispersal. The dispersal rate of K.
aberrans was shown to depend on the characteristics of “source” area
structure and plant composition as well as on the impact of the
prevailing winds in the region.
129
7.5. RELATONSHIPS BETWEEN K. ABERRANS POPULATIONS IN VINEYARDS AND
UNCULTIVATED AREAS
The previous results showed that K. aberrans dispersed into vine plot in
high densities mainly by aerial means (Tixier et al., 1998, 2000b).
However, the source plants of the immigrant mites and the settlement
of migrants were uncertain. In this study, we seek to characterise the
genetic similarities (Random Amplified Polymorphism DNA) of the
populations living in vine fields and in the surrounding uncultivated
environment. The RAPD markers were chosen because they do not
require any knowledge about genome and usually provide high
polymorphism (Loxdale and Lushai, 1998).
Our main hypothesis was that molecular patterns of mites living in
different parts of the experimental vineyard would reflect molecular
patterns of mites living in surrounding areas.
7.5.1. Material and methods
Experimental plot was the grape field 1 mentionned in the previous
parts.
Mite sampling
Initially, the objective was to compare RAPD patterns of aerial
immigrants coming into the experimental vineyards. However, use of
DNA from dead mites captured in aerial traps was not possible and no
live mites were caught using alternative live trapping methods (Tixier,
2000). Thus, we compared RAPD patterns of resident mites in the
experimental vineyard to those of mites collected in surrounding areas.
Live females of K. aberrans were collected from leaves using a
stereoscopic microscope. Females collected were held with no food on a
plastic disk bordered by wet tissue paper for at least one day, to prevent
the amplification of ingested prey DNA and to permit oviposition.
Thereafter, each mite was frozen at –30°C in a 200 µl sterile tube.
Samples were taken in early May and late July, before and after most
phytoseiid immigration into the experimental plot had occurred (Tixier
et al., 1998, 2000b). K. aberrans over-winters as gravid females and
mites collected in May belong to the first generation. By July, at least
two extra generations will have occurred.
Molecular protocols
Extraction. A mite was crushed in a 40 µl of a 5% Chelex® 100 resin
solution (Biorad) (Walsh et al., 1991) in a sterile tube. Tubes were
vortexed at high speed for 10 s, and immediately placed in ice. They
were then incubated at 56°C for 15 min, and heated to 100°C for 4 min
to extract the DNA. DNA solutions were then centrifuged at 12 000 rpm
for 5 minutes and stored at –30°C.
Amplification. Amplification was performed in a 25 µl volume
130
containing 200 mM Tris-HCl (pH = 8.4), 500 mM KCl, 0.5 U of Taq DNA
polymerase (Gibco-BRL), 15 ng of one primer, 0.1% Triton X-100, 0.1
mM of each DNTP, 25 mM of MgCl2 and 6 µl of the total DNA extract of
one mite. Amplification was further conducted in a Hot Bonnet PTC-100
(Mj Research, Inc.) thermal reactor programmed as 5 min at 94°C, 45 s
at 36°C and 2 min at 72°C for an initial cycle; 50 s at 94°C, 45 s at 36 °C,
and 2 min at 72°C for 43 cycles; and 50 s at 94°C, 45 s at 36°C and 10
min at 72°C for a terminal cycle. A control with no DNA was used in
each amplification test.
Gel electrophoresis. Amplification products were separated
electrophoretically on Tris-Borate EDTA agarose 1.5% gels for 4 hours
at 85 V. DNA was stained with ethidium bromide (0.1 µg / µl) and bands
visualised at UV fluorescence (312 nm). A molecular weight marker (36
- 2645 bp) was run on each gel to make it easier to compare patterns
among gels. Precautions were used to prevent contamination of
experiments with previously amplified DNA. Pre- and postamplification procedures were geographically separated, and extraction
occurred under sterile conditions.
Primer screening. A pre-test was performed to select the most
polymorphic primers and markers. Four populations, 10 females each
collected from sites V1, V2 (the two neighbouring vineyards), Q.
pubescens 1, and C. australis 1 (both in the woody margin) were used.
Scored markers were identified as bands that were polymorphic
(frequency between 5 and 95%) between populations (Edwards & Hoy,
1993) and showing low variability between mites of the same
population. Scored markers were stained, between 240 and 2300 pb in
size, and reproductive. From the 20, 10-mer primers of arbitrary
sequences that were tested, 7 were retained and 26 markers were
selected. Fragment repeatability was evaluated by amplifying DNA of
each individual twice per primer; 3 individuals were used per primer.
Data analysis. We assumed that markers of the same size and
appearance from different mite populations were homologous. Each
band of a mite was scored as 1 if present or 0 if absent. The fraction of
bands matching between mites (M) was calculated by M = 2Nab/Nt
where Nab is the total number of matches (i.e. both bands absent or both
bands present) in individuals a and b, and Nt is the total number of
fragments scored. A value of 1 indicates that two individuals have
identical patterns; a value of 0 indicates that two individuals have
completely different patterns. The simple matching distance (1-M) was
calculated with RAPDPLOT program (Kambhampati et al., 1992; Black
1995). We bootstrapped the RAPD presence/absence data for every
individual by performing 200 re-samples of 13 of the 26 RAPD loci. We
bootstrapped the RAPD presence/absence data for each population by
performing 2000 re-samples of 13 of the 26 RAPD loci (Njbs® software,
Cornuet pers. comm.). Neighbour-Joining cluster analysis was
performed (Njbs®, Cornuet pers. comm.).
131
Multifactorial analysis also was performed with presence/absence data
for each mite (Statistica®, 1998) to determine how close the tested
populations were.
7.5.2. Results
May sample
Mean genetic distances ranged between 0.29 and 0.42 for mites from the
same-source (tab. 12), indicating that some females had little similarity
to others within a field location or host plant.
Mean genetic distances ranged from 0.37 to 0.57 for mites collected in
different areas. The dendrogram and the multifactorial analysis show
some differentiation between populations even if the low percentage of
the value indicates that some branches are not very reliable. RAPD
patterns of females sampled on woody margin plants seem to be similar
(tab. 12, fig.11). Close similarity existed between females from Q.
pubescens 2 and Ulmus sp. but females from Ulmus sp. differed from those
of C. australis and Q. pubescens 1. Indeed, Ulmus sp. and Q. pubescens 2
were spatially close and some branches crossed, whereas Ulmus sp. and
either C. australis or Q. pubescens 1 were more distant (20 meters).
RAPD patterns of females from surrounding vineyards V1 and V2 were
Table 12 - Mean genetic distance matrix (simple matching) for populations of Kampimodromus
aberrans collected in May 1998 in the experimental vine field, in two neighbouring vine crops (V1 &
V2) and from plants of the woody margin.
Celtis Quercus
australis
1
Number
of females
Celtis
australis
Quercus
pubescens 1
Quercus
pubescens 2
Ulmus sp.
V1
V2
Quercus
2
Ulmus
sp.
V1
V2
P1
P7
P13
16
19
19
19
10
10
20
19
19
0.32*
(0.07-0.58)
0.40
0.43
0.47
0.49
0.47
0.44
0.40
0.42
0.38*
(0.05-0.70)
0.43
0.46
0.49
0.43
0.51
0.46
0.49
0.33*
(0.03-0.65)
0.39
0.48
0.44
0.48
0.46
0.48
0.37*
(0.03-0.69)
0.45
=
0.42*
(0.15-0.65)
0.43
0.44
0.46
0.48
0.37
0.46
0.47
0.52
0.29*
(0.07-0.54)
0.40
0.49
0.57
0.35*
(0.07-0.65)
0.38
0.39
0.35*
(0.07-0.65)
0.37
P1
P7
P13
* mean genetic distance within populations (minimum – maximum)
132
0.30*
(0.04-0.58)
Figure 11 - Representation in the plan 1-2 of the multifactorial analysis of the females of
Kampimodromus aberrans sampled in the experimental vine plot and the neighbouring
environment (woody margin and vineyards) (a) in May 1998, (b) in July 1998.
also close (tab. 12, fig. 11), possibly because both were subject to similar
management practices (same horticulture and pesticides). However,
they differed from the RAPD patterns of mites collected in the three
experimental vineyard sites (P1, P7 and P13). Mites in P1 differed for
example from mites collected in V2 (fig. 11, mean genetic distance =
0.49; tab. 12), even though these two sites were spatially close.
Mites from the three experimental vineyard sites had similar RAPD
patterns but differed from those of females from more natural habitats,
irrespective of geographic distance (tab. 12, fig. 11).
This result was surprising for both P1 (stated above) and for mites
133
collected in P13, which was close to the woody margin and received
many migrants from this uncultivated area (Tixier et al., 1998, 2000b).
July sample
As in May, within population genetic distances were smaller than
between population genetic distances (tab. 13). Within genetic distances
was ranged from 0.15 for mites from Q. pubescens to 0.33 for mites from
P13 (tab. 13). However in July, these distances were smaller than in
May. As in May, some females at a site differed greatly from others.
Three groupings were observed between the populations, supported by
higher values of bootstraps than in May: 1) Females from V1 and V2
(Carignan) had similar RAPD patterns (1-M = 0.27) (tab. 13, fig. 11,) but
differed from females from other sites, except for V2 vs. Q. pubescens 1
(only a few mites of V2 shared high similarities with a few mites of Q.
pubescens 1), 2) Females from the three experimental vineyard (CabernetSauvignon) sites had similar RAPD patterns (1-M = 0.34; tab. 13, fig. 11),
but also differed from those of other populations, 3) Females on Q.
pubescens 1 and C. australis 2 in the woody margin had similar RAPD
patterns (1-M = 0.24) (tab. 13, fig. 11) and differed from other populations.
7.5.3. Discussion
On both sample dates differentiated sub-populations of K. aberrans
occurred at each site. Overwintering founder effects might explain the
Table 13 - Mean genetic distance matrix (simple matching) for populations of Kampimodromus
aberrans collected in July 1998 in the experimental vine field, in two neighbouring vine crops
(V1 & V2) and from plants in the woody margin.
Number
of females
V1
V2
Quercus
pubescens 1
Celtis
australis
V1
V2
Quercus
pubescens 1
Celtis
australis
P13
P7
16
0.21*
(0-0.46)
16
0.27
19
0.36
19
0.40
20
0.41
20
0.42
0.19*
(0-0.50)
0.24
0.32
0.36
0.41
0.15*
(0.03-0.27)
0.24
0.38
0.46
0.24*
(0.03-0.46)
0.36
0.42
0.33*
(0.07-0.61)
0.34
P13
P7
* mean genetic distance within populations (minimum – maximum)
134
0.22*
(0-0.57)
pattern in May. However, this explanation does not support results from
July samples, obtained after at least three generations of K. aberrans
and just after immigration into the experimental plot. Another
explanation may be related to limited dispersal distance or dispersal
frequency of K. aberrans (Fauvel and Cotton, 1981; Perrot-Minnot, 1990;
Tixier et al., 1998; Jung and Croft, 2001) or to the highly aggregated
distribution of this mite (Malison et al., 1995; Tixier et al., 2000b).
Females and their sole progeny might live either on isolated leaves,
group of leaves or plants (Malison et al., 1995; Tixier et al., 2000b).
Comparing RAPD patterns of individuals living on one leaf and on close
leaves or plants would permit us to determine the level of similarity
between these mites according to the remoteness of their habitats.
Response variability could have been reduced and populations better
defined if females had been reared in the laboratory before testing.
However, no methods for laboratory rearing of K. aberrans currently
exist, as the close relationships between this mite species and its host
plant prevents culturing this species on the plastic disks used for other
phytoseiid mites (Kreiter et al., 2002). Furthermore, rearing techniques
could introduce selection factors that were unrelated to field conditions.
Genetic distances among and between populations were smaller in July
than in May. Such genetic homogenisation is common for multivoltine
organisms (e.g., De Barro et al., 1995). This loss of diversity may reflect a
change of relative abundance of some female patterns, with selection of
the same phenotypes in all the populations. Local reproduction (genetic
drift) and common selection effects from factors such as pesticideinduced mortality could have contributed to this genetic homogenisation
(De Barro et al., 1995). However, despite this homogenisation, we still
observed differences between populations even after immigration of
many K. aberrans into the experimental vineyard.
For both sample dates, three genetic pattern groups could be defined: 1.
Females collected in neighbouring vineyards (V1 and V2), 2. Females
collected in the experimental vineyard (P1, P7, P13) and 3. Females
collected on trees in the woody margin.
We expected that molecular typing would allow identification of site
origins of K. aberrans; however no strong correlation between genetic
and geographic distances were observed (tab. 12). This was especially so
for mites collected in parts of the experimental plot near the woody
margin (P13). If high numbers of mites dispersed into this plot from
overhanging oaks, few similarities in RAPD patterns were seen between
mites from P13 and oaks. However, some similarities have been
observed between mites from C. australis and mites from P1, P7 and
P13. Individuals coming from hairy nettle might settle more readily in
experimental vineyard plots than individuals coming from oak trees. An
alternative explanation may be that in the previous season, more mites
had moved from the experimental vineyard to the small C. australis
than to the taller oak trees. Indeed, there often are greater outflows of
135
dispersing phytoseiids from disturbed agriculture to natural plant sites
than the reverse (Croft, 1997).
These data describing weak relationships between mites from woody
margins and nearby vine plots confirmed population density trends
observed by Tixier et al. (1998, 2000b). During a three-year study, mite
densities in P13 did not increase even though high numbers of
phytoseiids dispersed into this sample area. Apparently, all immigrants
did not settle and colonise. Colonisation of mites in P13 may have been
difficult because of competition with existing predator populations,
limited prey or alternative food such as pollen, unfavourable plant
development conditions such as poor plant turgor, unsuitable
temperatures or water stress, etc. Each of these factors needs systematic
study to determine limiting factors for mite settlement in this area.
Genetic patterns of mites collected in experimental plots near older
vineyards (V1 and V2) differed from those of mites from V1 and V2. In a
previous study of dispersal (Tixier et al., 2000b), we did not observe
aerial movement of K. aberrans at several meters above the canopy
between the experimental plot and V1 or V2. Thus, these differences
could be due to low dispersal between V1/V2 and the experimental plot.
However because of the significant phytoseiid mite densities in these
areas of the experimental vineyard, dispersal may have occurred at a
lower canopy level and was not observed in the previous experiment.
The results of the current study suggest that little gene flow occurs
between experimental and surroundings vineyards. Within-site
selection factors might contribute to permit the development of a
reduced number of migrant phenotypes. Pesticide (both fungicides and
insecticides) applications could, for example, select out different
phenotypes in vineyards vs. surrounding uncultivated areas. However,
there were large differences in RAPD patterns between females from
the experimental plot and nearby vineyards despite their having
received similar sprays and horticultural treatments. Therefore, other
factors such as microclimatic conditions, leaf structure of plants, etc.
might also select for different genotypes. V1 and V2 were of variety
Carignan, whereas the experimental vineyard was CabernetSauvignon. As ecological conditions, such as leaf characteristics, could
affect phytoseiid mites occurrence and abundance, and also
morphometric parameters (i.e. setae length) (Hoying and Croft, 1977;
Chant et al., 1978; Abou-Setta et al., 1991; Duso, 1992; Barret, 1994;
Duso and Pasqualetto, 1993; Camporese and Duso, 1996, Duso and
Vettorazzo, 1999; Kreiter et al., 2002), we can speculate that leaf
characteristics of vine variety could select for specific phenotypes of K.
aberrans? Several studies have shown the impact of leaf characteristics,
especially pilosity, on K. aberrans abundance and development (Daftari,
1979; Barret, 1994; Kreiter et al., 2002). Some studies also show
arthropod population differentiation, according to the host-plant. For
example, genetic differentiation of populations of an aphid, Sitobion
136
avenae (F.) collected on nearby wheat and cocksfoot, Dactylis glomerata
L. (De Barro et al., 1995) has been observed. Populations of a natural
enemy, Diaeretiella rapae Mc’Intosh (Hymenoptera, Braconidae),
collected on several plants located less than 1 km from each other, were
also very different (Vaughn and Antolin, 1998). According to the close
relationships between phytoseiid mites, especially K. aberrans, and
their host plants (Kreiter et al., 2002), we suggest that population
differentiation could be due to plant selection pressure but further
experiments have to be conducted to confirm this hypothesis.
7.5.4. Conclusion
If females from surrounding areas originally dispersed into the
experimental vineyard, then it seems that only mites with specific
phenotypes (and genotypes) succeeded in colonising it. Such conclusions
are similar to those of Roderick (1992, 1996) considering evolution of
phenotypes during post-colonization. This study also suggests that
selection limits colonization by dispersants. The RAPD tests confirm
results obtained from earlier artificial releases of K. aberrans that show
frequent poor establishment of the released mites (Kreiter et al., 1993).
These conclusions have implications for biological control of mite pests.
They constitute the first step in identifying factors that may contribute
to the presence of K. aberrans and more broadly of phytoseiid mites, in a
specific location. Further studies are needed to identify factors that affect
settlement and colonisation of migrants. For example, pesticides applied
to a plot may kill susceptible migrants arriving from untreated areas.
Also, plant changes could affect colonisation as has been recorded for N.
fallacis and N. californicus (Castagnoli et al., 1999; Lester et al., 2000).
Whether these factors are site or grape variety specific remains
uncertain and studies are underway investigating both this process and
the earlier questions.
7.6. SETTLEMENT OF MIGRANTS
If females from surrounding areas originally dispersed into the
experimental vineyard, then it seems that only some mites succeed in
colonising it. Further studies are needed to identify factors that affect
settlement and colonisation of migrants. For example, pesticides
applied to a plot may kill susceptible migrants arriving from untreated
areas. Also, plant changes could affect colonisation as has been
recorded for N. fallacis and N. californicus (Castagnoli et al., 1999;
Lester et al., 2000). Whether these factors are site or grape variety
specific remains uncertain and studies are underway investigating
both this process and the earlier questions. We have concentrated on
the pesticide action.
137
7.6.1. Material and methods
Rearing of K. aberrans in laboratory conditions was not possible. So,
resistance was studied for field populations. In order to limit age
influence on sensitivity of mites, great numbers of females have been
collected (August 1999). Two populations were tested: 1. Females from
an oak in the woody margin, 2. Females from the neighbouring vine 2
(adjacent to the experimental plot). As the numbers of mites in the
experimental plot were too low, the resistance of this population has not
been studied. Females were also collected on a C. australis tree in
Montpellier. These females have never received pesticide application
and constitute the susceptible control population.
Three insecticide applications were realised by the farmer each year in
the experimental plot since 1998. These insecticide applications aimed
to control S. titanus populations, a leafhopper vector of a very serious
mycoplasma disease “flavescence dorée”. The insecticide used by the
farmer is an organophosphate, called quinalphos. This pesticide has a
relative toxic effect on Typhlodromus pyri Scheuten and K. aberrans
populations (Kreiter et al., 1997) and is one of the less toxic pesticide
available to control S. titanus. The recommended concentration in
vineyards is 2500 mg / l of active ingredient and the concentration of
active ingredient in the commercial formulation is 242 g / l. The volume
applied in field is 1l of commercial product per hectare. Different
concentrations (at least 4 for each population) were applied on 45
females of K. aberrans / population. Spraying was done with a Potter
tower (Potter 1952), and 1,5 ±.0,5 mg/cm2 of pesticide were applied
(Kreiter and Sentenac, 1995). A control application (water) was
performed for each population.
After pesticide application, females were put on Celtis australis L.
treated leaf disks and then placed into Munger cells (Munger, 1942) for
avoiding the confusion between mortality and repulsive effects.
Mortality percentage was evaluated five days after the treatments.
These mortality data were adjusted for control mortality using the
Abbot relation (Abbot, 1925) and a linear regression was established
between this adjusted mortality rate and the log of the pesticide
concentrations (Probit-Logit analysis 1993). LC50s were determined
using this linear relation and resistance coefficients were calculated.
The resistance coefficient is the ratio between the LC50 of the
population studied and the LC50 of the susceptible control population.
When this coefficient is lower than one, the population is considered as
susceptible. On the opposite, when this coefficient is greater than 5 the
population is considered as resistant (Croft, 1990).
7.6.2. Results and discussion
Females collected in the woody margin (oak) and on vine plot (V2) show
high resistance coefficient, both greater than 5, respectively 52 and 313
138
(fig. 12). Slopes of these two regressions are significantly different from
the slope of the sensible population (P < 0.05).
This study seems to show that the settlement of migrants may be a
limiting factor of the colonisation process, confirming the results
obtained when releases of K. aberrans were conducted (Kreiter et al.,
1993). In order to explain this bad settlement, impact of a pesticide on
mites living in vineyards andin uncultivated areas was studied. This
work constitutes on of the first experiment conducted to determine the
insecticide resistance of K. aberrans populations in laboratory
conditions. Pesticide resistance has been observed for the two
populations tested including the population collected on oak in the
woody margin. So, even if this insecticide has been applied regularly
only since 1998, this short period has been sufficient to allow the
resistance selection and development. Several pesticide applications per
year, on one hand and the pseudoarrhenotoky and the existence of
several generations per year on the other hand, could explain this rapid
development. This rapid development could explain a better competition
of K. aberrans into cultivated areas in comparison with other
phytoseiids dispersing in the plot.
Figure 12 - Concentration / mortality lines obtained for the populations of
Kampimodromus aberrans collected on oak and on vine in Pouzolles and for the
susceptible population collected on Celtis australis in Montpellier.
139
Furthermore, it is the first time that pesticide resistance has been
observed in populations living in an untreated environment outside
cultivated plots. This result is certainly due to indirect effects of
pesticide application in the experimental plot. Treatment drift could
sufficiently affect neighbouring populations, to select resistant
genotypes present in this neighbouring uncultivated area. However, the
resistance level is lower than that the level of the populations living in
vine plots.
What about this resistance results and the settlement of mites coming
from the woody margin into the experimental plot?
Even if the LC50 of populations collected on vine and on oak are different,
high mortality was observed for the two populations treated at the
recommended concentration (87 and 70% for females collected on oak and
on vine respectively). This toxicity is certainly lower in field conditions
and shows that quinalphos application seems not to affect more migrants
coming from oak than mites already present in the vine plot.
Hence, quinalphos application is probably not the main factor
explaining the bad settlement of migrants into the vine plots. However,
other pesticides, especially fungicides are also applied and may affect
population dynamics.
Further studies are needed to determine if this situation and
differentiation will be the same in the next years and to identify the
other factors involved in the bad success of the migrant settlement.
Pesticide application seems not to be the main factor explaining this
bad settlement. Could reproduction incompatibilities between
migrants and individuals already present into the plot explain the low
genetic flow observed? Do plant changes during dispersal affect the
settlement in the vineyards? Some studies with for more specific
predators [N. fallacis and N. californicus] show indeed that host plants
can influence and delay their settlement (Castagnoli et al., 1999; Lester
et al., 2000). Finally, what about the survival of mites during dispersal?
Answers to these questions are needed to enhance the use of phytoseiid
mites naturally occurring in vineyard surroundings.
7.7. GENERAL CONCLUSION
The studies presently described should help to clarify dispersal of
phytoseiid mites from the area surrounding plots, precising other
parameters such as structure of leaves of plants and wind influence.
The roles of plants in providing substrates for colonization, liquid and
pollen foods, and pilosity and domatia either for pollen trapping or
protection from larger predators are important to phytoseiid mites,
especially for generalist feeding species. For K. aberrans these effects
may act in direct, indirect and complex ways. Most of conclusions
concerning plant / K. aberrans relationships are based on correlation or
140
inferences from field-derived data. Such types of data are useful in early
stages of research to indicate general relationships and to identify
hypotheses. What are needed are laboratory tests in simplified systems
where variables can be controlled and single factor relationships
evaluated. For example, by observing behavior of K. aberrans and E.
finlandicus when put together on overlapping smooth and a hairy leafed
Celtis and by manipulating pollen levels, one could test innate leaf
preferences, attractions to pollens and interspecific interactions. Such
studies will help elucidate plant relationships for generalist-feeding
phytoseiids that seem more complex than for specialist-feeding
phytoseiids.
However, some questions concerning within the colonization process the
possible other origins of migrants and particularly of K. aberrans still
remain unanswered. Some results indicate that the colonization process
may explain the increased mite numbers within plots conducted with
low toxicity pesticides. However, this increase is less important that the
densities of phytoseiid mites reaching the plot and areas where there
are high numbers of phytoseiid mites trapped do not have great
densities per leaf. In a same way, molecular typing has shown that each
area seems to have its own selection pressure and modification is
necessary to ensure settlement. This study has also shown that the
settlement of migrants may be a limiting step of the colonisation
process, confirming results obtained when releases of K. aberrans were
conducted (Kreiter et al., 1993).
The data concerning pesticide effects, i.e. the rapid development of the
resistance to some insecticides, could furthermore explain a better
competition of K. aberrans into cultivated areas in comparison with
other phytoseiid mites dispersing in the plot.
However, insecticides application is probably not the main factor
explaining the bad settlement of migrants into the vine plots. However,
other pesticides, especially fungicides are also applied and may affect
population dynamics.
Further studies are needed to determine if this situation and
differentiation will be the same in the next years and to identify the
other factors involved in the bad success of the migrant settlement.
Pesticide application seems not to be the main factor explaining this
bad settlement. Could reproduction incompatibilities between
migrants and individuals already present into the plot explain the low
genetic flow observed? Do plant changes during dispersal affect the
settlement in the vineyards? Some studies with for more specific
predators [N. fallacis and N. californicus] show indeed that host plants
can influence and delay their settlement (Castagnoli et al., 1999; Lester
et al., 2000). Finally, what about the survival of mites during dispersal?
Answers to these questions are needed to enhance the use of phytoseiid
mites naturally occurring in vineyard surroundings.
141
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La difesa della vite dagli artropodi dannosi
Marsala 10-11 ottobre 2005
Università degli Studi di Palermo - pp. 149-169
Contributo alla conoscenza degli acari
fitofagi della vite nei paesi del Bacino
Mediterraneo
P. PAPAIOANNOU-SOULIOTIS
Laboratorio di Acarologia e di Zoologia Agraria. Benaki Phytopathological
Institute, Ekalis 2, 14561 Kifissia Athens, Greece
[email protected]
Riassunto
Il presente lavoro riporta notizie bioetologiche sulle principali
specie di acari fitofagi associati alla vite nei paesi del bacino
Mediterraneo appartenenti alle famiglie Tetranychidae,
Eriophyidae e Tenuipalpidae. Vengono trattate inoltre, le
problematiche riguardanti il controllo biologico di questi fitofagi,
con particolare riguardo agli acari predatori della famiglia
Phytoseiidae. Di questi si riportano le specie associate alla vite e
notizie sulla loro distribuzione e sull’importanza delle singole specie
nelle diverse regioni viticole.
Parole chiave: Vite, Tetranychidae, Eriophyidae, Phytoseiidae, bacino
Mediterraneo
Abstract
Contribution to knowledge of phytophagous mites associated
with vines in the Mediterranean basin countries
In the present work the Author reports bioethological notes on the
more important phytophagous mite species belonging to the families
Tetranychidae, Eriophyidae and Tenuipalpidae, associated with vines
in the Mediterranean countries. Notes were also reported on
biological control of these mites especially considering phytoseiid
mites. News on the species associated with vineyards, on their
distribution and importance, were also given.
Key words: Vineyards, Tetranychidae, Eriophyidae, Phytoseiidae,
Mediterranean basin
149
8.1. INTRODUZIONE
La vite ha trovato nel Bacino Mediterraneo-Europeo le condizioni
climatiche e di suolo ideali per la sua coltivazione e la superficie vitata è
stata incrementata anche nelle zone in cui la tradizione non è allineata
con l’evoluzione tecnologica.
Oggi la viticoltura nei paesi Mediterraneo-Europei, in confronto agli
altri Paesi del Mondo, presenta un notevole interesse economico sia per
le uve da tavola che per quelle da vino (Tab. 1).
Per quanto riguarda il resto dei Paesi del Mediterraneo, quali Turchia,
Israele, Egitto, Tunisia, Marocco e Albania come pure Cipro e Malta, in base
alla superficie coltivata (meno dell’1% della SAU), la viticoltura risulta tra
le colture marginali (Rizk et al., 1983a; Rizk et al., 1983b; Altincag & Akten,
1993; Bilali et al., 1992; Tixier et al., 2003; Vicente et al., 2003).
Gli Acari hanno iniziato a destare preoccupazioni dopo gli anni ’50 e ’60,
in quasi tutte le zone viticole europee.
Oggi le notizie che risultano dai diversi contributi sugli acari fitofagi e
sui loro predatori associati alla vite, sono numerose. L’argomento offre
molteplici spunti di discussione, anche se il più importante, per quanto
riguarda le ricadute economico-sociali, è senza dubbio quello della
ricerca per lo sviluppo di tecniche di difesa basate su un uso limitato di
mezzi chimici. Così la protezione della coltura dai danni causati da acari
fitofagi in un sistema agricolo, già di per sé instabile, implica conoscenze
sulla eziologia ed epidemiologia delle infestazioni, sulla bio-ecologia dei
fitofagi e sugli aspetti faunistici. Di fontamentale importanza risultano
inoltre, le conoscenze sulle interazioni ospite/fitofago per la gestione
corretta della coltura con minime conseguenze sociali ed ambientali.
Attualmente la ricerca è estremamente eterogenea e ciò è dovuto sia alla
moltitudine di scopi che di Istituzioni che cercano di risolvere, attraverso
programmi di ricerca nazionali o internazionali, i problemi fitopatologici
del proprio territorio. Risulta pertanto indispensabile indirizzare gli sforzi
compiuti dalle varie Istituzioni di ricerca lungo una direttiva che si muove
verso l’applicazione di nuove tecniche che mirano al miglioramento di
quelle strategie di lotta che non incidono negativamente sull’ambiente.
Per quanto concerne gli acari, finora sulla vite sono state segnalate 25
Tabella 1 - Superfici vitate nel mondo.
Livello mondiale
Superficie coltivata (%)
Europa
63,2
America
11,6
Africa
4,1
Asia
19,1
Oceania
2,0
Totale
100,0
150
Europa
Superficie coltivata (%)
Francia
11,6
Italia
11,5
Spagna
14,9
Portogallo
3,3
Grecia
3.3
41,3
specie di acari fitofagi, 52 specie di acari predatori fitoseidi e altre specie
appartenenti a gruppi con regimi alimentari diversi. Delle specie fitofaghe,
quelle delle famiglie Tetranychidae ed Eriophyidae, sono ben note perché
creano danni economici; altre specie risultano secondarie ed altre ancora
sono considerate accidentali. D’altra parte la loro distribuzione, la
frequenza, la loro bio-etologia e l’entità del danno causato, sono fortemente
condizionati anche dalle condizioni climatiche che esistono al Nord e al Sud
e nelle zone caldo-aride dei paesi del bacino Mediterraneo.
Risulta evidente che, oltre alle condizioni climatiche, esistono altri
fattori intrinseci ed estrinseci che possono giocare un ruolo importante
sulla limitazione o sull’ecessivo incremento delle popolazioni di questi
fitofagi, nonché sulla loro diffusione, non solo tra diversi paesi ma anche
tra i diversi agrobiotopi dello stesso paese. Tali fattori, che possono
giocare un ruolo importante in un agroecosistema, sono:
– le tecniche colturali (allevamento, potatura, concimazione);
– i mezzi di prevenzioni (aratura, frangiventi, distruzione nel tempo
delle malerbe etc.);
– la diversità colturale del territorio;
– la biodiversità (presenza o assenza di vegetazione spontanea
nell’agrobiotopo);
– le cultivar;
– i nemici naturali;
– i programmi di lotta applicata (le eventuali interferenze degli
antiparassitari usati).
Nell’ambito della lotta applicata nei confronti dei principali acari
fitofagi, è di grande importanza mettere a confronto le tecniche di difesa
tradizionali con le tecniche di controllo biologico, integrato, con la lotta
guidata e con le strategie anti-resistenza ai prodotti fitosanitari.
Oggi, grazie a diversi programmi di ricerca applicata, sono state
identificate alcune strategie valide per specifici agroecosistemi. Tali
iniziative sono sostenute, in diversi paesi europei, da gruppi
ambientalisti e dalle organizzazioni di categoria che, in alcuni casi,
finanziano direttamente questi programmi. In questi casi, gli Enti
statali di ricerca possono indirizzare la loro attenzione verso
l’approfondimento delle conoscenze su problemi specifici, giacché i
finanziamenti sono erogati per affrontare problematiche ben definite e
sono disponibili per periodi di tempo abbastanza brevi.
8.2. ACARI
FITOFAGI SEGNALATI SULLA VITE IN AMBIENTE EUROPEO E
MEDITERRANEO
Le 25 specie di fitofagi segnalate sulla vite in diversi paesi del bacino
Mediterraneo apartengono a tre importanti famiglie di interesse agrario:
Teranychidae, Tenuipalpidae ed Eriophyidae. Le specie segnalate sulla
vite, nei diversi paesi europei e mediterranei, sono le seguenti:
151
TETRANYCHIDAE
– Panonychus ulmi (Koch) (Portogallo, Spagna, Francia,
Germania, Svizzera, Italia, Grecia, Tunisia).
– Panonychus citri McGregor (Italia, in particolare nelle regioni
viticole meridionali).
– Tetranychus urticae Koch (Portogallo, Spagna, Francia, Italia,
Germania, Svizzera, Grecia, Tunisia, Malta, Cipro, Israele, Turchia).
– Tetranychus cinnabarinus (Bois.) (Egitto).
– Tetranychus turkestani Uga. & Nikol. (Francia, nelle regioni di
Alsazia e del meridione).
– Tetranychus mcdanieli McGregor (Francia, nelle regioni di
Champagna).
– Tetranychus arabicus Attiah (Egitto).
– Tetranychus atlanticus McGregor (Portogallo).
– Tetranychus ludeni Zacher (Portogallo).
– Eotetranychus carpini (Oudemans) (Portogallo, Spagna,
Francia, Italia).
– Eotetranychus carpini borealis (Klein) (Grecia, nelle regioni di
Peloponneso e della Grecia centrale).
– Eotetranychus pruni (Oudemans) (Italia).
– Eotetranychus corylli (Reck) (Portogallo).
– Oligonychus vitis Zacher & Shehata (Egitto).
– Tuckerella parviformes (Ewing) (Portogallo).
TENUIPALPIDAE
– Brevipalpus lewisi (McGregor) (Portogallo, Spagna, Francia,
Italia, Grecia, Egitto).
– Brevipalpus phoenicis (Geijskes) (Italia, Egitto).
– Brevipalpus pulcher (Can. & Fanz.) (Portogallo, Italia, Grecia).
– Brevipalpus obovatus (Donn.) (Portogallo).
– Brevipalpus lanciolatisetae (Atthiah) (Egitto).
– Brevipalpus californicus (Banks) (Egitto).
– Tenuipalpus granati (Sayed) (Italia, Grecia, Egitto).
ERIOPHYIDAE
– Calepitrimerus vitis (Nalepa) (Portogallo, Spagna, Francia,
Germania, Svizzera, Italia, Grecia, Turchia, Tunisia).
– Colomerus vitis (Pagenstecher) “ceppo erinosi”, (Portogallo,
Spagna, Francia, Germania, Svizzera, Italia, Grecia, Turchia,
Israele, Tunisia).
– Colomerus vitis (Pagenstecher) “ceppo gemme”, (Grecia, Israele).
– Eriophyes oculivitis (Hassan) (Egitto).
8.2.1. Tetranychidae
I Tetranichidi sono da tempo considerati tra i fitofagi più dannosi alla
152
viticoltura. Nelle diverse regioni viticole mediterranee, hanno
importanza le seguenti specie: P. ulmi, T. urticae, E. carpini vitis.
8.2.1.1. Panonychus ulmi (Koch)
Ragnetto rosso dei fruttiferi e della vite
Il ragnetto rosso dei fruttiferi e della vite è una specie polifaga e
cosmopolita. Risulta maggiormente dannosa oltre alla vite anche ai
fruttiferi (melo, pero, pesco, susino e ciliegio). Particolarmente sensibili
ai suoi attacchi sono la maggior parte delle specie della famiglia
Rosaceae (Papaioannou-Souliotis, 1998).
Il tetranichide è presente in tutte le zone viticole europee ma risulta
particolarmente dannoso in Francia, nord Italia, nord della Spagna e
Portogallo (Bassino & Baillod, 1992; Borgo, 1988; Carmona & Ferreira,
1988; Castagnoli, 1987; Coscolla & Da Vila, 1986; Duso et al., 1988;
Englert, 1989; Kreiter et al., 1993; Lozzia & Rota, 1988; Perez-Marin &
Ortega-Saenz, 1994). Il fitofago è quindi, particolarmente favorito dai
climi più freschi. Nelle regioni meridionali, infatti, dove le condizioni
climatiche sono miti, la sua presenza è molto limitata e i danni causati
sulla vite sono frammentari, sporadici e poco importanti (Arias & Nieto,
1988; Carmona & Ferreira, 1988; Castagnoli & Liguori, 1986; Coscolla &
Da Vila, 1986; Englert, 1989; Nicotina, 1992; Papaioannou-Souliotis et
al., 1994; Papaioannou-Souliotis & Markoyannaki-Printziou, 1998;
Ragusa Di Chiara & Ciulla, 1988; Vacante & Tropea Garzia, 1988; Zaher
et al., 1981). Così in Italia centro-meridionale e in Sicilia, in Spagna
(lungo le coste mediterranee), in Portogallo e in Grecia il fitofago non si
considera particolarmente dannoso (Papaioannou-Souliotis &
Markoyannaki-Printziou, 1998; Papaioannou-Souliotis, 1998). D’altra
parte in Turchia e in Tunisia i reperti riguardano la raccolta di
pochissimi esemplari (Altincag & Akten, 1993; Tixier et al., 2003). Per gli
altri paesi mediterranei non ci sono riferimenti particolari su questo
fitofago.
Cenni di morfologia e bio-etologia
Gli stadi immaginali femminili e maschili si distinguono per la forma e
per le differenze di dimensione e di colore. La femmina giovane è
subglobosa, in seguito diventa ovale. Misura 360-400 µ e presenta 26
setole ben sviluppate sul dorso, inserite su tubercoli biancastri in sette
serie trasverse (fig. 1). Il suo colore subito dopo la muta è giallo-verdastro
e con la maturazione diventa rossastro tendente al rosso-bruno. I maschi
presentano un corpo più piccolo (270-330 µ) e sono ventralmente
convessi. L’addome è assottigliato posteriormente. Il colore, che risente
dell’influenza dell’alimentazione, è per lo più verdastro-arancione.
L’organo copulatore termina con una punta sottile sigmoide. Le uova si
distinguono in invernali ed estive. Entrambe cipolliformi, leggermente
schiacciate con strisce fini radiali e l’estremità prolugata in un’appendice
153
filiforme leggermente ricurva all’apice. Il colore delle uova estive è
variabile dal verde chiaro a rosso chiaro, mentre quelle invernali sono di
colore rosso intenso (fig. 1, 2). Le larve schiuse dalle uova invernali sono
di colore rosso-arancio pallido, mentre quelle che schiudono dalle uova
estive presentano un colore giallicio fino a rosso chiaro.
Il fitofago sverna allo stadio di uovo in prossimità delle gemme, nelle
screpolature lungo i tralci o sotto il ritidoma. La quantità delle uova
svernanti dipende dalla densità della popolazione estiva. Le basse
temperature invernali e l’oscurità non influiscono negativamente sullo
sviluppo primaverile delle uova svernanti, mentre la luce di varia
lunghezza e le alte temperature invernali aumentano la percentuale
delle schiusure. L’inizio della schiusura delle uova invernali spesso
dipende anche dai trattamenti effettuati nella precedente stagione
agraria, dalla posizione topografica della coltura e dall’andamento
climatico primaverile. Questo ragnetto rosso compie da 4 a 12
generazioni all’anno, in dipendenza delle differenti condizioni
climatiche. Di solito questo numero aumenta spostandosi verso le
regioni meridionali del Mediterraneo. Il ciclo biologico può durare da 7 a
24 giorni secondo la stagione e le condizioni ambientali. Le femmine,
durante la loro vita che dura 17-30 giorni, depongono in media 48 uova
in un periodo di ovideposizione che dura 10-13 giorni. Il fitofago si
riprodusce normalmente per anfigonia con presenza di partenogenessi
arrenotoca. Le femmine di solito depogono le uova in piccoli gruppi o
isolate lungo le nervature delle foglie. Si possono osservare individui di
ogni età su tutte le parti vegetative della pianta. I fattori ambientali
come i notevoli sbalzi di temperatura, la limitazione dell’insolazione, la
quantità e l’intensità della pioggia (frequenti temporali), limitano lo
sviluppo postembrionale e la fertilità del fitofago. In casi di forti attacchi
in luglio e agosto si può verificare una precoce filloptosi; quest’autunno
artificiale determina il momento delle prime deposizioni delle uova
invernali. Le alte temperature >35°C, possono provocare la morte del
fitofago mentre un’umidità realtiva >80% impedisce la schiusura delle
uova estive. Nelle regioni del Nord-Europa le prime due generazioni
depoggono solo uova estive, la 3a e 4a generazione producono, insieme
alle uova estive anche quelle invernali (in numero crescente con
l’inoltrarsi della stagione), mentre la 5a generazione depone soltanto
uova invernali. Nelle zone centro-meridionali questo avviene dopo la 6a
e la 7a generazione in base alla posizione topografica della coltura.
Danni
Il fitofago si nutre del contenuto cellulare dei tessuti vegetali. I germogli e
le foglie attaccate perdono una grande quantità di acqua ed assumono una
colorazione caratteristica secondo le diverse cultivar. In quelle a buccia
bianca, le punture effettuate sulla foglia causano decolorazioni gialle, che
in seguito diventano brunastre, a causa dello svuotamento delle cellule e
della riduzione della clorofilla (fig. 2). In quelle a buccia nera, le foglie
154
assumono una colorazione rosso-bronzea (fig. 2). Le infestazioni precoci
sono più dannose di quelle tardive. Nei casi di forti infestazioni precoci, i
tralci lignificano con difficoltà e le gemme durante il periodo vegetativo
accumulano pochi zuccheri diventando sensibili alle basse temperature
invernali. Nel periodo estivo i forti attacchi del tetranichide provocano
uno scarso accumulo di zucchero negli acini e deprezzandone la qualità.
8.2.1.2. Tetranychus urticae Koch
Ragnetto rosso bimaculato
Questo acaro è altamente polifago e cosmopolita. Attacca un elevato
numero di piante coltivate e spontanee. In Europa si considera
particolarmente dannoso alle colture prottete, a diverse arboree ed erbacee
e a piante ornamentali (Rosacee, Composite, Leguminose, Cucurbitacee,
Moracee e Cariofilacee), mentre risulta meno dannoso alla vite.
Nelle zone viticole settentrionali, la sua presenza è meno estesa se
confrontata a quella di P. ulmi. In certe regioni centrali della Francia,
Champagna e Alsatia, le sue popolazioni spesso sono dominate da quelle di
Tetranychus macdanieli McGregor e di Tetranychus turkestani Uga. &
Nikol., mentre in altre, come nel nord Italia da quelle di Eotetranychus
carpini (Oudemans). Nelle zone meridionali della penisola italiana e in
Sicilia, nonché in Spagna, in Portogallo e in Grecia, il fitofago è favorito
dalle condizioni ambientali (caldo-secco) ed è ampiamente diffuso, dando
luogo spesso a infestazioni estive particolarmente dannose specialmente
quando la coltura viene circondata da una ricca vegetazione spontanea
(Arias & Nieto, 1988; Bassino & Baillod, 1992; Carmona & Ferreira, 1988;
Castagnoli & Liguori, 1986; Castagnoli, 1987; Pavan & Borin, 1986;
Englert, 1989; Kreiter et al., 1993; Nicotina, 1992; Papaioannou-Souliotis &
Markoyannaki-Printziou, 1998; Perez Otero et al., 1999; Ragusa Di Chiara
& Ciulla, 1988; Schmid & Raboud, 1986; Schruft, 1986). In Grecia questo
acaro risulta particolarmente dannoso alla cultivar da tavola “Sultani” nelle
zone viticole del Peloponneso (Papaioannou-Souliotis & MarkoyannakiPrintziou, 1998; Papaioannou-Souliotis, 1998). Segnalazioni sporadiche e di
limitato interesse economico sono riportate per le zone litoranee della
Turchia e di Cipro (Bilali et al., 1992; Oncuer & Madahlar, 1993; Tixier et
al., 2003; Vicente et al., 2003; Villaronga et al., 1995).
Cenni di morfologia e bio-etologia
La femmina ha forma ellissoidale, misura 500-600 µ e presenta un colore
che cambia in relazione all’alimento. Di solito il colore primaverile-estivo
è giallo-verdastro o giallo-rosa mentre quello autunnale-invernale risulta
rosso cinabro, dovuto al cambiamento fisiologico delle foglie (diminuzione
della clorofila ed aumento dei pigmenti in particolare di β-carotene).
Sulla parte dorsale sono presenti 24 setole ben sviluppate in sei serie
trasversali e lateralmente si vedono due macchie scure (fig. 3). Il maschio
è più piccolo della femmina (330-370 µ), piriforme e il suo colore varia da
155
giallo-verde pallido a giallastro con le due machie laterali meno evidenti
di quelle della femmina. Le uova sono sferiche senza particolari strutture
esterne. Appena deposte sono chiare traslucide, nel corso dello sviluppo
embrionale assumono una colorazione giallastra e in vicinanza della
schiusura sono di colore giallo-arancio; in questo stadio si vedono i due
occhi rosso carminio dell’embrione (fig. 3).
Nelle zone settentrionali T. urticae sverna sotto forma di femmina
fecondata. Nelle zone miti, durante il periodo invernale, l’acaro viene
riscontrato sulla vegetazione spontanea o su arboree coltivate
sempreverdi, anche se la sua attività riproduttiva in questo periodo
risulta limitata. Le femmine svernano in gruppi o isolate nel terreno,
specialmente in luoghi asciutti, sotto foglie cadute, al di sotto della
corteccia, nelle screpolature del fusto e in ripari vari. In primavera,
quando la temperatura media raggiunge gli 8-12°C, migrano sulle
piante spontanee o sulle foglie di piante sempreverdi. Le femmine sono
molto resistenti anche a temperature sotto lo 0°C. Sono stati osservati
individui svernanti anche a –17°C. Il fitofago presenta un numero
elevato di generazioni annuali, in dipendenza delle differenti condizioni
climatiche, che variano da 7 a 14; possono però superare anche le 30
quanto infesta piante coltivate in serra. I dati sul numero delle uova
deposte per ogni femmina oscilla considerevolmente. Ogni femmina
depone da 60 a 90 uova, ma può arrivare anche a 200, e vive circa 30
giorni. La durata del ciclo biologico dipende in particolare dalla
temperatura e dall’umidità relativa. In base alle condizioni ambientali
e specialmente la temperatura, il periodo dello sviluppo postembrionale
varia da 4 a 30 giorni. Le uova fecondate danno sia femmine che maschi
(sex-ratio 2:1), mentre da quelle non fecondate si sviluppano soltanto
maschi (arrenotochia). Nel periodo primaverile-estivo si possono
osservare tutti gli stadi dello sviluppo ontogenetico del fitofago sui
diversi organi vegetativi e produttivi della pianta ospite.
Danni
Il fitofago attacca i germogli, le foglie e i frutti. In caso forti attacchi le
foglie ingialliscono, assumono un colore bronzeo e cadonno precocemente.
Possono, inoltre, essere anche ricoperte dalle fitte ragnatele emesse dal
fitofago (fig. 3). I frutti infestati presentano un’alterazione rugginosa
deprezzando le uve ed in particolare quelle da tavola.
I viticoltori spesso hanno difficoltà a controllare le infestazioni del
tetranichide a causa della resistenza che il fitofago riesce a sviluppare
in tempi brevissimi.
8.2.1.3. Eotetranychus carpini (Oudemans)
Ragnetto giallo della vite
Il ragnetto giallo si considera dominante particolarmente nelle zone
centro-meridionali della Francia, nel centro-nord Italia, in Germania e in
156
Svizzera. Segnalazioni sporadiche si sono avute anche nel sud Italia, in
Spagna e in Portogallo (Borgo, 1988; Carmona & Ferreira, 1988;
Castagnoli & Liguori, 1986; Castagnoli, 1987; Coscolla & Da Vila, 1986;
Duso et al., 1988; Englert, 1989; Kreiter & Brian, 1988; Lozzia & Rota,
1988; Ragusa Di Chiara & Ciulla, 1988; Schmid & Raboud, 1986; Schruft,
1986). In Grecia è stata osservata la specie Eotetranychus carpini borealis
in certi vigneti che sono circondati da meleti negli altopiani di Corinto
(Peloponneso), di Aghia e di Kalambaka (Grecia centrale), dove il fitofago
insieme a P. ulmi e T. urticae formano il gruppo di fitofagi più dannosi per
i frutetti (Papaioannou-Souliotis et al., 1994; Papaioannou-Souliotis &
Markoyannaki-Printziou, 1998; Papaioannou-Souliotis, 1998).
Cenni di morfologia e bio-etologia
Le femmine sono ovali allungate e misurano 360-380 µ. La forma estiva
è verde-gialla, mentre la forma invernale è arancio-gialla. I maschi sono
allungati-ovali, con la parte posteriore del corpo appuntita e misurano
130-160 µ.
Lo svernamento avviene allo stadio di femmine fecondate, di colore
arancio-giallo, soprattutto nelle screpolature delle ascelle dei tralci
principali, sotto il ritidoma del ceppo o in altri rifugi nonché negli strati
superficiali del terreno. Annualmente l’acaro può compiere da 6 a 8
generazioni. L’attività delle femmine svernanti riprende verso la metà
di aprile, ed è fortemente condizionata dall’andamento climatico. Il ciclo
biologico si compie in 30 giorni; durante il periodo estivo la durata del
ciclo risulta più breve e le generazioni si accavallano. Ogni femmina
depone da 35 a 50 uova. La specie è favorita da climi freschi. Ciò spiega
la maggiore diffusione del fitofago nelle zone viticole settentrionali e la
sua quasi assenza in tutte le zone calde e secche.
Danni
I suoi attacchi interessano i giovani germogli e le foglie e causano
l’arresto dello sviluppo della nuova vegetazione. Le foglie infestate
risultano deformate con punteggiature necrotiche che non permetono la
normale distensione del lembo fogliare. Nei casi di gravi attacchi la
vegetazione presenta arrossamenti, fenomeni di filloptosi, decremento
della produzione e riduzione del grado zuccherino delle uva.
8.2.2. Tenuipalpidae
8.2.2.1. Brevipalpus lewisi (McGregor)
Tra le 7 specie di tenuipalpidi segnalate sulla vite, B. lewisi è l’unica di
interesse economico. Specie polifaga e cosmopolita è ampiamente diffusa
in quasi tutte le regioni centro-meridionali del Mediterraneo, anche se
la sua presenza è legata più alle aree agrumicole che viticole (Arias &
Nieto, 1985; Carmona & Ferreira, 1988; Castagnoli & Liguori, 1986;
Rodriguez et al., 1987; Rizk et al., 1983a; Vacante & Tropea Garzia,
157
1988). In Grecia, in Bulgaria e in Egitto il fitofago è infeudato in alcune
aree agricole con popolazioni più o meno consistenti, arrecando grossi
danni alla vegetazione e di conseguenza alla produzione. Nella
viticoltura greca il fitofago è ampiamente diffuso e può provocare danni
a molte cultivar autoctone da vino; tra queste le più sensibili risultano
le CV “Roditis” e “Savatiano” ovunque esse si coltivano (PapaioannouSouliotis et al., 1994; Papaioannou-Souliotis & MarkoyannakiPrintziou, 1998; Papaioannou-Souliotis, 1998).
Cenni di morfologia e bio-etologia
Le femmine sono di colore rosso-vivo, piccole, con il corpo appiattito di
forma ovale posteriomente alquanto ristretto. I maschi si distinguono
facilmente dalle femmine perché più sottili, allungati e di colore rosasalmone.
Le uova di colore rosso-vivo allungate, vengono di solito deposte lungo le
nervature principali e laterali e in caso di forti infestazioni anche sul
lembo fogliare (fig. 4). Lo svernamento avviene allo stadio di femmina
fecondata (i maschi e le forme giovanili muoiono ai primi rigori
invernali). In primavera le femmine abbandonano i ricoveri invernali e
si spostano sui germogli (iniziando dalla parte basale) e sulle giovani
foglie (pagina inferiore) dove iniziano a nutrirsi. L’ovideposizione inizia
lentamente verso la metà di aprile e si protrae fino a giugno, mese in cui
si raggiungono i valori massimi. Dalle uova schiudono sia femmine che
maschi. La durata del ciclo biologico è molto più lungo che nelle altre
specie di acari. Lo sviluppo embrionale e postembrionale, infatti, oscilla
tra i 35 e i 50 giorni, con una media di 25 giorni, sempre in base alle
condizioni climatiche. L’acaro presenta da 3 a 6 generazioni l’anno. In
Grecia e in Bulgaria non supera le 4 generazioni.
Danni
Gli attacchi del fitofago riguardano tutte le parti verdi della vite
(germogli, infiorescenze, foglie e frutti). La nuova vegetazione colpita
manifetsa imbrunimenti, assume un aspetto suberoso e può subire più
facilmente le infenzioni di Phomopsis viticola (Redd.). Le foglie infestate
si presentano deformate con punteggiature necrotiche mentre il lembo
fogliare non si distende normalmente e con la maturazione si formano
fori di diversa estenzione (fig. 5). Sui grappoli provoca rugginosità sul
rachide e sugli acini.
8.2.3. Eriophyidae
Nella famiglia Eriophyidae le specie Calepitrimerus vitis e Colomerus
vitis , sono diffuse ovunque si coltivi la vite, giacché si tratta di specie
monofaghe. Si nutrono a spese di vari organi vegetali, arrecando talvolta
infestazioni che non vengono considerate di particolare importanza
economica.
158
8.2.3.1. Calepitrimerus vitis (Nalepa)
Questo eriofide, agente dell’“acariosi”, recentemente desta qualche
preoccupazione tra i viticoltori delle zone centro-settentrionali di alcuni
paesi del Mediterraneo. Nelle zone meridionali e in quelle calde e secche
quest’eriofide è stato segnalato sporadicamente o risulta assente
(Carmona, 1978; Castagnoli, 1987; Englert, 1989; Papaioannou-Souliotis
et al., 1994; Papaioannou-Souliotis, 1998; Perez Otero et al., 1999). In
Grecia è stato osservato recentemente sulla cultivar da vino
“Moscofilero” negli altopiani della periferia di Tripoli, nel Peloponneso,
dove ci sono verificati attacchi sporadici (Papaioannou-Souliotis &
Markoyannaki-Printziou, 1998; Papaioannou-Souliotis, 1998).
Cenni di morfologia e bio-etologia
La femmina estiva (protogina) è fusiforme e lunga 150 µ. Ha la parte
dorsale del corpo liscia, mentre su quella ventrale sono presenti
numerosi microtubercoli. La femmina invernale (deutogina), è simile
alla precedente, se ne differenzia per l’assenza di microtubercoli nella
parte ventrale. Il maschio è simile alla femmina.
C. vitis compie 3-4 generazioni all’anno, anche se in condizioni
ambientali favorevoli il numero può aumentare. Il fitofago di solito in
agosto si sposta verso i siti di svernamento. Sverna come femmina
(deutogina) fecondata in gruppi di pochi individui sotto le screpolature
della cortecia o tra le perule all’interno delle gemme. Con l’inizio delle
nuova vegetazione, gli eriofidi ripredono la loro attività e cominciano a
nutrirsi e a ovideporre. In 20-30 giorni le forme giovanili si trasformano
in femmine protogine e maschi. Le successive generazioni si disperdono
su tutti gli organi vegetativi e si localizzano particolarmente sulla
pagina inferiore delle foglie.
Danni
Il fitofago presenta di solito, popolazioni limitate senza interesse
economico. Si nutre a spese delle foglie, delle gemme e dei grappoli. Forti
e precoci attacchi possono arrestare lo sviluppo della nuova vegetazione;
le gemme infestate danno origine a tralci stentati con internodi
raccorciati. Le foglie attaccate, durante il germogliamento risultano
deformate (bollose) (fig. 6), mentre in estate (luglio-agosto), le foglie
mature presentano sulla pagina superiore una bronzatura e sulla
pagina inferiore una colorazione bruno-violacea (fig. 6). Gravi attacchi
nel periodo di invaiatura, particolarmente alle varietà di uva da tavola,
provocano rugginosità sul rachide (necrosi puntiformi) e macchie brune
sugli acini, depprezzando commercialmente il prodotto.
8.2.3.2. Colomerus vitis (Pagenstecher)
Ci sono tre ceppi conosciuti i quali si distinguono tra di loro dai sintomi
manifestati. Un primo ceppo che attacca le foglie e provoca bollosità
159
chiamate “erinosi”. Un secondo ceppo attacca le gemme. Quest’ultimo è
stato per la prima volta osservato in California (USA) nel 1948 su
alcune cultivar da vino francesi, dopo in Australia (1958) ed in seguito in
Ungheria (1966) e in Sud Africa (1978). Nel bacino del Mediterraneo è
stato segnalato per la prima volta in Israele nel 1960 (Bernstein, 1988),
sempre su cultivar da vino francesi. Molto più tardi (Englert, 1989;
Papaioannou-Souliotis, 1998), vienne osservato anche in Grecia,
nell’isola di Creta, sulle cultivar autoctone “Rosaki” e “Stafida di
Corinto” (Papaioannou-Souliotis, 1986). Un terzo ceppo si localizza sulle
foglie sulle quali provoca arricciamento con presenza di pochi peli in
corrispondenza dei punti scelti dall’acaro per la colonizzazione.
Attualmente l’acaro risulta diffuso ovunque si coltiva la vite.
Cenni di morfologia e bio-etologia
La femmina estiva (protogina) è di colore bianco-giallastro con
microtubercoli sulla parte ventrale, mentre quella invernale (deutogina),
è senza microtubercoli. Il corpo fusiforme non supera i 150 µ. Il maschio
è simile alla femmina.
L’acaro sverna come femmina deutogina, tra le perule delle gemme
dormienti, sui tralci e nelle screpolature della corteccia. Durante il
periodo vegetativo compie da 6 a 10 generazioni. Lo sviluppo
postembrionale dura da 14 a 25 giorni, in relazione alle condizioni
climatiche. I primi spostamenti delle femmine deutogine, verso i siti
invernali si osservano alla fine di agosto. Gli acari del ceppo delle
gemme, passano la loro vita sempre all’interno delle gemme ascellari
che vengono attaccate subito dopo la loro formazione. Durante la
primavera e fino ai primi mesi estivi l’acaro presenta un’attività
riproduttiva abbastanza limitata, ma a partire da agosto inizia un
incremento graduale delle popolazioni fino ai primi di dicembre. Tra
novembre e dicembre il fitofago presenta nelle gemme i massimi livelli
di popolazione. La sua forma libera vienne riscontrata solo nel periodo
della nuova vegetazione che coincide con il suo spostamento dai vecchi
rifugi verso le gemme neoformate. Lo spostamento inizia quando i
giovani tralci presentano una lungezza di 15-25 cm. Il maggior numero
di individui è presente nelle prime 6-8 gemme (Papaioannou-Souliotis
et al., 1998).
Danni
L’eriofide presenta un’ampia diffusione e popolazioni molto più
numerose di quelle di Calepitrimerus vitis, anche se non crea problemi
economici alla viticoltura mediterranea, tranne nei casi di attacchi ai
giovani grappoli, fortunatamente abbastanza sporadici (Castillo, 1990).
È stato osservato anche nell’isola di Creta, l’eriofide preferisce le zone
calde, con intensa insolazione e con bassa umidità relativa
(Papaioannou-Souliotis, 1998).
Le gemme fortemente attaccate di questo ceppo di C. vitis o non si
160
sviluppano per niente (fig. 7) o danno germogli deboli con internodi
raccorciati che si presentano a zig-zag mentre le foglie risultano
deformate (fig. 7). Sorgono grossi problemi anche per la potatura
invernale perché a causa della necrosi delle gemme, i viticoltori sono a
volte costretti a lasciare tralci più lunghi o a cambiare tipo di
allevamento.
8.2.3.3. Eriophyes oculivitis (Hassan)
Questa specie è stata segnalata solo in territorio egiziano e la sua
distribuzione riguarda le zone viticole di Bagour nel sud dell’Egitto
(Attiah, 1967; Bassino & Baillod, 1992; Yousef, 1970). Infesta solo le
gemme della vite e i suoi attacchi sono molto simili a quelli causati dal
ceppo delle gemme di Colomerus vitis.
8.3. PREDATORI (fig. 8)
Attualmente le conoscenze che riguardano i rapporti tra gli antagonisti e
gli acari fitofagi legati alla vite sono mumerose e forniscono notizie
fondamentali per la loro utilizzazione nei programmi di controllo
biologico ed integrato (Bassino & Baillod, 1992; Carmona & Ferreira,
1988; Castagnoli & Liguori, 1986; Castagnoli, 1987; Duso et al., 1991;
Englert, 1989; Kreiter & Brian, 1988; Lozzia & Rota, 1988; PapaioannouSouliotis et al., 1994; Papaioannou-Souliotis & Markoyannaki-Printziou,
1998; Papaioannou-Souliotis et al., 1999; Ragusa Di Chiara & Ciulla,
1988; Schmid & Raboud, 1986; Tixier et al., 2003; Villaronga et al., 1995;
Zaher et al., 1974; Yousef, 1970; Müther, 2000).
Tra questi, il ruolo principale viene svolto dagli acari predatori
appartenenti alla famiglia Phytoseiidae. Complessivamente sulla vite
sono state segnalate 48 specie di acari fitoseidi, che per condizioni
climatiche e ambientali più o meno favorevoli o per modificazioni di
equilibri naturali, presentano una distribuzione e frequenza che puó
variare non solo tra nord e sud ma anche tra gli ambienti dello stesso
paese.
8.3.1. Acari predatori della famiglia Phytoseiidae
Le specie segnalate in diverse zone viticole dei paesi del bacino
Mediterraneo sono le seguenti:
1. Typhlodromus pyri Scheuten: Francia, Italia, Germania, Svizzera,
Spagna, Portogallo, Grecia, Egitto.
2. Typhlodromus exhilaratus Ragusa: Italia, Grecia.
3. Typhlodromus phialatus Athias-Henriot: Spagna, Portogallo,
Francia, Italia, Grecia.
4. Typhlodromus hellenicus Swirski & Ragusa: Grecia.
5. Typhlodromus involutus Livshitz & Kuznetsov: Grecia.
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Typhlodromus cryptus Athias-Henriot: Italia.
Typhlodromus athiasae Porath & Swirski: Grecia.
Typhlodromus longipilus Nesbitt: Italia, Svizzera.
Typhlodromus zaheri Elbadry: Egitto.
Typhlodromus tiliarum Oudemans: Francia, Italia, Spagna,
Grecia, Svizzera.
Typhlodromus intercalaris Livshitz & Kuznetsov: Grecia.
Typhlodromus commenticius Livshitz & Kuznetsov: Grecia.
Typhlodromus rhenanus (Oudemans): Portogallo.
Typhlodromus hadzhievi (Abbassova): Italia.
Typhlodromus conspicus (Garman): Italia.
Typhlodromus perforatus Athias-Henriot: Spagna.
Typhlodromus triporus Chant & Yoshida-Shaul: Spagna, Italia.
Typhloctonus litoralis Swirski & Amitai: Spagna.
Kampimodromus aberrans (Oudemans): Francia, Italia,
Germania, Svizzera, Spagna, Portogallo, Grecia.
Phytoseius finitimus Ribaga (sensu Abbasova): Grecia, Italia,
Germania, Svizzera, Spagna, Portogallo, Francia, Egitto.
Phytoseius plumifer (Canestrini & Fanzago), (sensu Chant &
Attias-Henriot), Italia, Grecia, Francia, Portogallo.
Phytoseiulus persimilis Athias-Henriot: Francia, Italia,
Portogallo.
Euseius stipulatus (Athias-Henriot): Italia, Grecia, Francia,
Spagna, Turchia
Cydnodromus californicus (McGregor): Grecia, Spagna, Italia,
Francia.
Amblyseius andersoni (Chant): Francia, Italia, Germania,
Svizzera, Spagna, Portogallo, Grecia.
Amblyseius rademacheri Dosse: Italia.
Amblyseius cucumeris (Oudemans): Italia, Germania.
Amblyseius aurescens (Athias-Henriot): Italia.
Amblyseius italicus (Chant): Italia.
Amblyseius concordis (Chant): Portogallo.
Amblyseius bicaudus Wainstein: Italia.
Amblyseius messor (Wainstein): Italia.
Amblyseius agrestis (Karg): Svizzera.
Amblyseius zwoelferi (Dosse): Svizzera.
Amblyseius gossipi El-Badry: Egitto
Euseius finlandicus (Oudemans): Francia, Italia, Germania,
Svizzera, Spagna, Grecia.
Paraseiulus subsoleiger Wainstein: Francia, Italia, Germania,
Svizzera, Grecia.
Paraseiulus soleiger (Ribaga): Francia, Italia, Germania,
Svizzera, Grecia.
Paraseiulus talbii (Athias-Henriot): Grecia, Italia, Spagna.
Iphiseius degenerans (Berlese): Italia, Grecia, Germania.
41.
42.
43.
44.
45.
46.
Amblydromella recki (Wainstein): Francia, Italia, Grecia.
Anthoseius kerkirae (Swirski & Ragusa): Grecia, Italia, Spagna.
Anthoseius athenas (Swirski & Ragusa): Grecia, Italia, Spagna.
Anthoseius foenilis Oudemans: Spagna.
Anthoseius bakeri (Garman): Spagna, Portogallo.
Anthoseius rhenanoides (Oudemans): Marocco, Spagna, Francia,
Italia, Grecia.
47. Neoseiulus barkeri Hughes: Algeria, Spagna, Francia, Italia,
Grecia, Turchia, Israele.
48. Neoseiulus marginatus (Wainstein): Grecia.
Tra queste specie si possono distinguere:
– specie che rivestono un ruolo importante al controlo biologico dei
fitofagi;
– specie che sono di meno importanza economica;
– specie che sono sporadiche o accidentali.
Il primo gruppo include quattro specie dominanti tra nord e sud: T. pyri,
K. aberrans, A. andersoni e Ph. finitimus. Per quanto riguarda la loro
distribuzione e frequenza, T. pyri risulta il più diffuso nei vigneti delle
regioni viticole centro-settentrionali dove si riscontrano popolazioni più
numerose e consistenti di quelle di K. aberrans e di A. andersoni che
occupano il secondo posto. Questi tre predatori costituiscono un
complesso molto importante, nei programmi di controllo integrato. Nelle
zone viticole calde e secche del meridione, la presenza di T. pyri è molto
limitata più per condizioni ambientali che per equilibri naturali. Le
notizie su questo predatore sono frammentarie e sporadiche, e si
riferiscono a zone geografiche particolari, colline e altopiani, dove il
microclima risulta più fresco e umido (fattori favorevoli per lo sviluppo
della specie). K. aberrans e A. andersoni sono stati anche segnalati su un
elevato numero di piante coltivate e spontanee ma le loro popolazioni
risultano più massicce sulle colture fruttifere. Il quarto predatore in
ordine di frequenza è Ph. finitimus. La sua distribuzione e frequenza
risulta più elevata nelle aree viticole meridionali che in quelle
settentrionali. In Grecia questo predatore si riscontra nel 90% delle aree
viticole mentre in certe regioni della Grecia centrale è l’unico predatore
presente nei vigneti coltivati. Nella viticoltura mediterranea la sua
presenza viene considerata importante nell’ambito di programmi di
controllo integrato.
Il secondo gruppo include T. phialatus, T. exhilaratus, C. californicus, E.
stipulatus ed E. finlandicus. Anche questi predatori sono ampiamente
distribuiti nelle varie regioni viticole del bacino mediterraneo, ma la loro
frequenza può variare tra nord e sud sia per fattori instrinseci che
estrinseci assumendo una importanza economica più o meno elevata
nelle diverse regioni viticole; T. phialatus, ad esempio, insieme a T. pyri
e K. aberrans, nelle aree viticole catalane della Spagna costituisce un
importante complesso di agenti di controllo degli acari fitofagi. D’altra
163
Fig. 1 - Femmina ed uova estive di Panonychus ulmi (Koch), con un’adulto di T. pyri
(sinistra) e uova invernali(destra). (Foto Labor. Acarologia, Benaki Fitop. Inst.).
Fig. 2 - Attacchi precoci (decolorazione gialla, sinistra) e tardivi (colorazione rossobronzea, destra) di Panonychus ulmi (Koch).
Fig. 3 - Una femmina e un uovo allo stadio maturo di Tetranychus urticae Koch (sinistra)
e attacchi forti sulla vegetazione (ingiallimento delle foglie, destra).
164
Fig. 4 - Uova di Brevipalpus (Hystripalpus) lewisi (Ewing).
Fig. 5 - Danni da infestazioni di Brevipalpus lewisi (Ewing), su giovani tralci
(imbrunamento), sulle foglie (punteggiature necrotiche con fori di diversa estenzione) e
grappoli (rugginosità su rachite e su acini). (Foto Labor. Acarologia, Benaki Fitop. Inst.).
Fig. 6 - I caratteristici sintomi di “acariosi” su foglie e grappoli da Calepitrimerus vitis
(Nalepa). (Foto Labor. Acarologia, Benaki Fitopatol. Inst.).
165
Fig. 7 - Foglie con “erinosi” di Colomerus vitis (Pagst.) (sopra sinistra) e sintomi di forti
attacchi di C. vitis ceppo “gemme” (Foto Labor. Acarologia, Benaki Fitop. Inst.).
Fig. 8 - Adulti di Typhlodromus pyri (Scheuten) (sinistra) e di Amblyseius andersoni
(Chant) (Foto Labor. Acarologia, Benaki Fitop. Inst.).
parte la stessa importanza economica riveste nella penisola centro
meridionale italiana, in Sicilia e nell’isola di Creta T. exhilaratus
insieme a Ph. finitimus. Lo stesso si può dire anche per E. stipulatus che
risulta particolarmente frequente nei vigneti che si trovano in zone
agrumicole (Sicilia, Corsica e Grecia). Per quanto riguarda C.
californicus ed E. finlandicus risultano localmente frequenti nelle zone
meridionali litoranee della Francia e in Corsica, in alcune zone
settentrionali della Grecia e lungo le coste mediterranee Catalane della
Spagna.
Il terzo gruppo comprende il resto delle specie segnalate in diverse
regioni viticole mediterranee, che si possono considerare presenze
sporadiche, isolate e accidentali. Poiché però l’efficacia di questi
predatori nel controllo delle popolazioni degli acari fitofagi della vite non
è sufficientemente documentata, sarebbe utile effettuare ricerche bioecologiche allo scopo di conoscere i diversi fattori ambientali (biotici e
abiotici) dei vari agroecosistemi, che possono favorire l’incremento delle
loro popolazioni nell’ottica di un potenziamento del controllo biologico
naturale.
166
8.3.2. Insetti predatori
Per quanto riguarda gli insetti predatori, si possono annoverare i
Coccinellidi, in particolare i generi Stethorus e Scymnus, le Crisope con
il genere Chrysoperla, gli Antocoridi con il genere Anthocoris e i Miridi.
Questi predatori, considerati importanti agenti di controllo biologico dei
tetranichidi presenti sulle colture arboree, sono scarsamente presenti
nei vigneti. Uno studio approfondito sui fattori naturali di regolazione
delle loro popolazioni e sulle eventuali interferenze da parte degli
antiparassitari impiegati, porterebbe all’adozione di tecniche colturali
compatibili con la presenza di questi predatori nel vigneto, assicurando
un valido aiuto per il controllo delle popolazioni degli acari fitofagi ed in
particolare dei tetranichidi.
8.4. AUTORI CITATI
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S. Ragusa & H. Tsolakis (eds)
La difesa della vite dagli artropodi dannosi
Marsala 10-11 ottobre 2005
Università degli Studi di Palermo - pp. 171-204
Il controllo biologico ed integrato degli
acari fitofagi associati alla vite
C. DUSO
Dipartimento di Agronomia ambientale e produzioni vegetali, Università di
Padova, Agripolis, Via Romea 16 35020 Legnaro (Padova), Italia.
Riassunto
La diffusione degli acari Tetranichidi nei vigneti è stata favorita dalla
resistenza acquisita nei confronti di molecole tossiche nei confronti
degli acari predatori. A partire dagli anni ’80 è divenuto prioritario
valutare gli effetti dei più comuni fungicidi ed insetticidi sui
principali acari ed insetti predatori allo scopo di ridurre gli effetti
indesiderati di eventuali trattamenti e di valorizzare l’attività degli
antagonisti naturali in un contesto di lotta integrata.
L’importanza dei Fitoseidi nei vigneti europei è stata pienamente
compresa negli anni ’80. Le indagini faunistiche condotte in Italia
hanno chiarito che le specie più comuni nei vigneti sono Typhlodromus
pyri Scheuten, Kampimodromus aberrans (Oudemans) e Amblyseius
andersoni (Chant) al Nord, Typhlodromus exhilaratus Ragusa,
Phytoseius finitimus Ribaga e K. aberrans al Centro-Sud. Numerose
indagini bio-ecologiche hanno delineato il relativo potenziale di queste
specie. Nell’Italia settentrionale sono state svolte ricerche atte a
valutare l’efficacia di alcuni tra questi predatori nel controllo degli
acari fitofagi della vite.
Il controllo integrato degli acari fitofagi della vite prevede conoscenze
approfondite su biologia, ecologia e dannosità delle principali specie
in modo da definire soglie economiche. La maggior parte degli
acaricidi di recente sintesi manifesta un’efficacia soddisfacente nel
controllo di Tetranichidi ed Eriofidi. Non sono emersi problemi diffusi
di resistenza agli acaricidi.
Lo sviluppo della lotta integrata è stato accompagnato da un
incremento progressivo di dati sugli effetti collaterali dei prodotti
fitosanitari sugli antagonisti naturali degli acari fitofagi. Gli effetti
collaterali di un prodotto possono variare nel tempo in seguito alla
selezione di ceppi caratterizzati da una crescente resistenza. I
Fitoseidi più comuni nei vigneti hanno sviluppato ceppi resistenti nei
confronti di esteri fosforici e di ditiocarbammati. Molti tra i recenti
fungicidi e insetticidi sono caratterizzati da una certa selettività nei
confronti dei Fitoseidi.
Le tecniche colturali possono esercitare effetti diretti o indiretti sugli
acari dannosi alla vite nonché sui relativi antagonisti naturali.
171
L’aumento della diversità botanica si riflette positivamente
sull’abbondanza e sulla diversità degli insetti e degli acari predatori
anche per l’incremento della disponibilità di polline, alimento
alternativo per molti antagonisti naturali. Il ritmo di sfalcio della
copertura vegetale ha una possibile influenza sulla dinamica dei
Fitoseidi in quanto agisce sulla deposizione dei pollini sull’apparato
fogliare.
Le indagini faunistiche sulle piante spontanee contigue ai vigneti o
inserite all’interno degli stessi hanno fornito preziose informazioni
sull’ecologia dei Fitoseidi. Il contributo delle piante spontanee alla
colonizzazione dei Fitoseidi nei vigneti è stato suggerito più volte. In
alcune ricerche, effettuate in agroecosistemi “complessi”, l’abbondanza
e la diversità dei Fitoseidi sulle principali specie vegetali (coltivate o
spontanee) sono state confrontate con quelle riscontrate su vite,
ottenendo informazioni sulla “similarità” tra piante ospiti differenti.
La reintroduzione dei Fitoseidi appare indispensabile nei vigneti
inseriti in aree viticole soggette ad intensi programmi di difesa
fitosanitaria ed esposti a frequenti infestazioni di acari fitofagi.
L’impiego di ceppi resistenti è oggetto di dibattito. L’esito delle
introduzioni dipende dai principali fattori che influenzano la
sopravvivenza e la moltiplicazione dei Fitoseidi.
Parole chiave: Acari, Vitis vinifera, Tetranichidi, Fitoseidi, controllo biologico
Abstract
Biological and integrated control of phytophagous mites
associated with vineyards
Problems associated to spider mites (Acari Tetranychidae) are mainly
caused by organic pesticides which are non-selective towards their
predators. At the same time, spider mites have become resistant to
several pesticides. Since the 80s, the study of the side-effects of
pesticides on beneficials has been considered a priority for improving
their impact in vineyards.
The role of phytoseiids in European vineyards was fully understood in
the 80s. Surveys carried out in Italy showed the importance of a
number of predatory mite species, i.e. Typhlodromus pyri Scheuten,
Kampimodromus aberrans (Oudemans) and Amblyseius andersoni
(Chant) in northern regions, Typhlodromus exhilaratus Ragusa,
Phytoseius finitimus Ribaga and K. aberrans in central and southern
Italy. Research into the biology and ecology of these species has shown
their potential for controlling phytophagous mites.
Integrated mite management requires the adoption of economic
thresholds based on a detailed knowledge of interactions between
mite pests and their host plants. However, most of the thresholds
applied to mites in European and Italian viticulture are not based on
an economic evaluation. Recent acaricides seem to be effective
towards tetranychids and eriophyids in Italian vineyards, since cases
of resistance to these pesticides have not been detected.
172
Progress in integrated pest control has been favoured by the huge
effort exerted in studying the side-effects of pesticides on
phytoseiid mites. These effects can evolve in time, since phytoseiids
can select resistant strains. The most important phytoseiid species
occurring in Italian viticulture have evolved strains resistant to
organophosphates and thiocarbamates. Furthermore, a number of
recent fungicides and insecticides have a low toxicity towards
phytoseiids.
Grape management can have a significant effect on mite numbers.
The increase in plant diversity may have a positive effect on the
diversity and abundance of beneficials. Regarding phytoseiids, this
effect is sometimes mediated by pollen availability on the vegetation.
Surveys conducted on wild plants surrounding vineyards have
improved our knowledge on the ecology of phytoseiids. The role of wild
plants in the colonization of vineyards by phytoseiids has been widely
suggested. The occurrence of phytoseiid species of economic
importance for vineyards, on selected wild or cultivated plants, has
been reported as an important factor for successful biological control
in a number of agro-ecosystems.
The release of phytoseiid mites in vineyards with a high pesticide
pressure is strongly suggested. Factors affecting the fate of released
predators are reported.
Key words: Mites, Vitis vinifera, Tetranichids, Phytoseiids, biological control
9.1. LE PRIME SEGNALAZIONI DI SPECIE DANNOSE ALLA VITE IN ITALIA
Le prime notizie sulla dannosità degli acari fitofagi nei vigneti italiani
risalgono alla seconda metà dell’Ottocento. Gli attacchi di Tetranichidi
avevano provocato arrossamenti fogliari e defogliazioni in Veneto,
Friuli-Venezia Giulia, Trentino e Piemonte (Targioni-Tozzetti, 1876;
Lunardoni, 1890; Cuboni, 1891; Berlese, 1901). I sintomi riportati e la
descrizione delle forme rinvenute fanno ritenere che la specie coinvolta
fosse Tetranychus urticae Koch. Pullulazioni localizzate di Tetranychus
pilosus Canestrini e Fanzago, l’attuale Panonychus ulmi (Koch), si erano
verificate nei vigneti toscani e in altri ambienti (Arcangeli, 1891;
Cuboni, 1891; Pinolini, 1896). In quel periodo, l’erinosi, causata
dall’eriofide Colomerus vitis Pagenstecher, era già conosciuta ma non
ritenuta importante (Targioni-Tozzetti, 1870; Briosi, 1876). Nei primi
anni del Novecento furono poi descritte altre due specie che divennero
dannose solo alcuni decenni più tardi: il tetranichide Eotetranychus
carpini (Oudemans) e l’eriofide Calepitrimerus vitis (Nalepa).
Le prime infestazioni di Tetranichidi si verificarono quando erano già
comparsi l’oidio, la peronospora e la fillossera (Lunardoni, 1890). Tra i
mezzi di lotta agli acari erano suggeriti soprattutto zolfo e nicotina
(Cuboni, 1891; Arcangeli, 1891). Lo zolfo era ritenuto rimedio efficace
nei confronti degli acari fitofagi anche nei primi decenni del Novecento,
173
quando il loro ruolo era tornato ad essere secondario (Berlese, 1915;
Della Beffa, 1934).
I Tetranichidi sono divenuti un problema reale solo negli anni ’50 (Pieri,
1956; Rui, 1956; Ambrosi e Lenarduzzi, 1959), periodo in cui l’impiego di
alcuni ditiocarbammati nella lotta antiperonosporica e di cloroderivati
e fosforganici nel controllo delle tignole dell’uva si era imposto nella
pratica aziendale. Negli anni ’60, alcuni ricercatori individuavano le
specie coinvolte nelle infestazioni (E. carpini, P. ulmi e T. urticae) e
riportavano informazioni preziose sulla loro biologia e sulle possibilità
di controllo (Ambrosi e Lenarduzzi, 1959; Rota, 1962; Zangheri e
Masutti, 1962; Nucifora e Inserra, 1967).
9.2. LE IPOTESI SULLE CAUSE DI PULLULAZIONE DEGLI ACARI FITOFAGI
Le infestazioni di Tetranichidi erano divenute frequenti anche nei
vigneti europei e i fattori alla base di questo fenomeno erano materia di
discussione. Mathys (1958) e Rambier (1958) ritenevano l’impiego dei
nuovi insetticidi e fungicidi organici di sintesi il fattore primario delle
pullulazioni dei Tetranichidi, a causa della loro tossicità nei confronti
dei relativi antagonisti naturali. Nello stesso periodo, si faceva strada
un’altra ipotesi sulle cause di pullulazione: le infestazioni erano causate
da modificazioni fisiologiche della pianta ospite, indotte da determinati
prodotti antiparassitari, che risultavano favorire la longevità e la
fecondità dei Tetranichidi (Chaboussou, 1965, 1970). Quest’affascinante
teoria, denominata “trofobiosi”, ha esercitato una notevole influenza sui
ricercatori del tempo: si trattava di individuare eventuali attività
“stimolanti”, “frenanti” o “neutre” dei prodotti fitosanitari nei confronti
degli acari fitofagi ed i meccanismi coinvolti.
I primi studi sugli effetti dei prodotti fitosanitari sui principali predatori
degli acari fitofagi, gli acari Fitoseidi, avevano messo in discussione la
“trofobiosi” (Ivancich Gambaro, 1973). L’autrice aveva osservato
infestazioni di Tetranichidi (dapprima E. carpini poi P. ulmi) in seguito
all’impiego reiterato del fungicida zineb in luogo dei fungicidi rameici.
Propose, per questo vigneto (A), una strategia di difesa basata su
trattamenti con poltiglia bordolese e zolfo bagnabile (nonché arseniato
di piombo). Un vigneto confinante (B), nel quale erano effettuati
trattamenti con zineb (oltre che con esteri fosforici ed acaricidi),
costituiva il confronto di riferimento. Nel vigneto A, le densità di E.
carpini diminuirono drasticamente grazie all’attività dell’acaro
predatore Kampimodromus aberrans (Oudemans). Nel vigneto B, le
popolazioni degli acari fitofagi e dei predatori fluttuarono su densità
molto contenute anche per l’esecuzione di trattamenti acaricidi. Dopo
alcuni anni, le popolazioni di P. ulmi raggiunsero densità molto più
elevate nel vigneto B rispetto al vigneto A, nonostante l’applicazione di
acaricidi. In un ulteriore contributo sull’argomento, Ivancich Gambaro
174
(1972) portò ulteriori elementi a supporto della nocività dello zineb nei
confronti di K. aberrans. Le ricerche di Ivancich Gambaro dimostrarono
l’importanza del controllo biologico operato dai Fitoseidi e ridussero la
portata degli effetti diretti o indiretti (“trofobiosi”) dei prodotti
fitosanitari sui Tetranichidi. Le conclusioni dei suoi lavori erano in linea
con quelle di alcuni ricercatori sia in Europa sia in Nord-America
(McMurtry et al., 1970). Una serie di ricerche condotte attraverso
introduzioni artificiali di K. aberrans, in blocchi trattati con fungicidi
diversi, ha successivamente chiarito come l’incremento delle popolazioni
dei Tetranichidi sia favorito dalla resistenza acquisita nei confronti di
molecole, che risultano invece tossiche nei confronti degli acari predatori
(Girolami, 1981; Duso et al., 1983; Duso & Girolami, 1985).
Numerosi insetticidi, caratterizzati da tossicità nei confronti dei
predatori degli acari fitofagi, hanno creato le premesse per le pullulazioni
di Tetranichidi. Storicamente, questo fenomeno è stato osservato per
alcuni cloroderivati, esteri fosforici e carbammati (McMurtry et al.,
1970). L’avvento dei piretroidi di sintesi, negli anni ’80, è stato associato
a notevoli recrudescenze di Tetranichidi sia in frutticoltura sia in
viticoltura. Nel caso specifico, i principali fattori scatenanti le
infestazioni sono: l’elevata tossicità per i predatori, la repellenza, che
induce una maggiore dispersione dei Tetranichidi e gli effetti sui
parametri demografici di quest’ultimi (Penman & Chapman, 1988).
I meccanismi alla base delle infestazioni dei Tetranichidi alla fine
dell’Ottocento erano forse analoghi a quelli riportati in precedenza.
L’uso dello zolfo per contenere i danni causati dall’oidio era diminuito
nel corso del tempo (Rathay, 1894 in Girolami et al., 1991). È probabile
che la resistenza allo zolfo abbia coinvolto gli acari fitofagi prima dei
relativi antagonisti naturali. In seguito, lo sviluppo della resistenza allo
zolfo, anche nei Fitoseidi, potrebbe aver attenuato i problemi legati ai
Tetranichidi fino alla diffusione dei fungicidi e degli insetticidi organici
di sintesi, avvenuta nel secondo dopoguerra (Girolami et al., 1991).
Al contrario di quanto riportato per i Tetranichidi, la dannosità
dell’eriofide Colomerus vitis è rimasta contenuta per oltre un secolo sia
in Italia sia in Europa (Targioni-Tozzetti, 1870; Duso e de Lillo, 1996).
Solo in Svizzera sono state segnalate infestazioni preoccupanti della
specie, in seguito all’adozione di nuovi metodi di potatura (Baggiolini
et al., 1969).
L’acariosi, sintomatologia causata da infestazioni dell’eriofide
Calepitrimerus vitis, è divenuta un problema diffuso a partire dagli anni
’70 sia in Italia (Strapazzon et al., 1986) sia in altri Paesi europei
(Carmona, 1978; Baillod e Guignard, 1986; Hluchy e Pospisil, 1992). Tra
le cause che hanno scatenato le infestazioni di questa specie, la più
probabile appare la selezione di ceppi resistenti ai fungicidi
caratterizzati da attività acaricida (ad es. zolfo, dinocap) in un contesto
fitoiatrico che prevede l’impiego ripetuto di fungicidi ed insetticidi nocivi
per i Fitoseidi (Girolami et al., 1991).
175
9.2.1. Gli effetti della gestione fitoiatrica sui predatori
I risultati ottenuti da Ivancich Gambaro (1972, 1973) non mutarono gli
orientamenti della gestione fitoiatrica in viticoltura, rimasti
influenzati dalla teoria della “trofobiosi”. L’influenza esercitata dalla
“trofobiosi” in Europa è percepibile anche nei resoconti dei meeting
dell’Organizzazione Internazionale di Lotta Biologica (IOBC) ove
venivano prese decisioni sull’opportunità di impiegare o meno un
prodotto fitosanitario in base a supposti effetti “frenanti” o “stimolanti”
sui Tetranichidi (cfr. Touzeau, 1981). Di conseguenza, la ricerca di
soluzioni fitoiatriche ai problemi associati agli acari della vite e dei
fruttiferi ebbe il sopravvento sullo sforzo da intraprendere nello studio
degli agenti di controllo naturale. I prodotti caratterizzati da attività
“acarofrenante” (ad es. mancozeb e dinocap) furono consigliati nella
pratica aziendale a scapito di quelli che manifestavano attività
“acarostimolante” (Baggiolini et al., 1970; Egger, 1982). Tuttavia,
nell’ambito di sperimentazioni diverse, uno stesso prodotto fitosanitario
poteva risultare caratterizzato da un’attività “acarostimolante”,
“neutra” o “acarofrenante” (Girolami, 1981).
Le verifiche sperimentali sull’attendibilità della “trofobiosi” non furono
numerose. In una tra le più interessanti, si intese valutare l’effetto di
poltiglia bordolese e zineb sulle popolazioni di P. ulmi (Rui e Mori, 1968). È
doveroso ricordare che allo zineb erano state attribuite proprietà
“acarostimolanti”. Furono riscontrate densità tendenzialmente più elevate
di Tetranichidi nelle parcelle trattate con zineb ma le analisi di laboratorio
non misero in luce differenze nella composizione chimica fogliare e, in
modo particolare, nel tenore di sostanze azotate, ritenuto fondamentale
nello “stimolare” le infestazioni di acari, secondo Chaboussou (1965, 1970).
Va rilevato che, nel contributo di Rui e Mori (1968), la presenza dei
Fitoseidi non era stata presa in considerazione poiché l’effetto dei fungicidi
sugli acari predatori era ritenuto trascurabile.
9.3. LA RISCOPERTA DEL CONTROLLO BIOLOGICO NEL CONTESTO DELLA LOTTA
INTEGRATA
Nel 1984, fu organizzato a Verona un convegno sull’uso del rame in
viticoltura in cui Ivancich Gambaro (1984) presentò una serie di dati atti
a dimostrare la dannosità dei ditiocarbammati nei confronti dei
Fitoseidi. In quella sede, furono presentati anche i risultati ottenuti nel
corso di una ricerca sull’effetto di fungicidi a base di ossicloruro di rame
o di mancozeb (associati a zolfo o a dinocap) su acari Fitoseidi (K.
aberrans), introdotti su differenti parcelle di un vigneto sperimentale
(Girolami e Duso, 1984). Nelle tesi che prevedevano l’impiego di fungicidi
selettivi per gli acari predatori (ossicloruro di rame e zolfo), le popolazioni
di P. ulmi furono controllate da K. aberrans a livelli accettabili. Al
176
contrario, esse raggiunsero livelli considerevoli nelle tesi trattate con
fungicidi non selettivi (mancozeb, dinocap) per K. aberrans. Questi
contributi dimostrarono che le infestazioni dei Tetranichidi erano
influenzate da almeno tre fattori: la risposta degli acari fitofagi ai
prodotti fitosanitari, la presenza di acari ed insetti predatori, gli effetti
dei prodotti sui predatori ed in particolare sui Fitoseidi (Duso et al., 1983;
Girolami e Duso, 1984). Allo stesso tempo, essi avevano posto in evidenza
le contraddizioni insite nell’attribuire proprietà “acarostimolanti” o
“acarofrenanti” ai prodotti fitosanitari. Nonostante questi risultati, il
tentativo di classificare i prodotti in tal senso è rimasto anche negli anni
seguenti (Egger, 1990).
Ivancich Gambaro aveva auspicato più volte il ritorno ai fungicidi
rameici e allo zolfo allo scopo di valorizzare l’attività dei Fitoseidi.
Tuttavia, le perplessità (di ordine tecnico) sull’uso reiterato dei rameici
stavano relegando questi fungicidi in una posizione secondaria rispetto
ad altri antiperonosporici. Allo stesso tempo, erano in corso valutazioni
sull’impatto economico delle tignole dell’uva, allo scopo di definire
appropriate soglie di intervento e di razionalizzare l’impiego degli
insetticidi. Si era diffusa l’opinione che fosse necessario valutare gli
effetti dei più comuni fungicidi ed insetticidi sui principali acari ed
insetti predatori allo scopo di ridurre gli effetti indesiderati di eventuali
trattamenti e di valorizzare l’attività degli antagonisti naturali in un
contesto di lotta integrata.
9.3.1. Le componenti del controllo biologico: gli insetti predatori
Gli insetti predatori di acari fitofagi sono tendenzialmente oligofagi,
hanno uno sviluppo post-embrionale relativamente lungo, un’elevata
fecondità e una grande voracità (McMurtry et al., 1970). Essi
colonizzano i vigneti quando le popolazioni degli acari fitofagi hanno
raggiunto densità rilevanti, spesso quando i sintomi dell’infestazione
sono diffusi sulla vegetazione (Girolami, 1981). Pertanto, la loro benefica
attività è spesso drasticamente interrotta dagli interventi acaricidi. Il
ruolo degli insetti predatori va ridiscusso in relazione alla definizione di
soglie d’intervento basate su criteri economici e non sulla diffusione dei
sintomi fogliari che possono non rispecchiare un reale impatto
economico da parte dei fitofagi.
Il complesso degli insetti predatori degli acari della vite può
comprendere specie appartenenti alle seguenti famiglie: Tisanotteri
Aelotripidi, Eterotteri Antocoridi e Miridi, Neurotteri Crisopidi, Ditteri
Cecidomiidi, Coleotteri Coccinellidi e Stafilinidi (Zangheri e Masutti,
1962; Duso e Girolami, 1985; Remund et al., 1989). Le interazioni tra gli
insetti predatori e gli acari dannosi alla vite sono state oggetto di un
numero limitato di studi. Gli Antocoridi Orius vicinus (Ribaut) e Orius
majusculus (Reuter) sono risultati efficaci nel controllo di P. ulmi nei
vigneti dell’Italia nord-orientale (Duso e Girolami, 1982; Duso e
177
Pasqualetto, 1993). In Germania, sono state effettuate osservazioni
analoghe su Orius minutus L. (Hill e Schlamp, 1987). Gli Antocoridi
possono predare anche i Fitoseidi, influenzando negativamente l’esito
delle introduzioni degli acari predatori nei vigneti (Duso, 1989). Anche il
coccinellide Sthetorus punctillum Weise ed il neurottero Chrysoperla
carnea (Stephens) hanno un certo ruolo nei vigneti europei (Zangheri e
Masutti, 1962; Haub et al., 1983).
9.3.2. Le componenti del controllo biologico: gli acari predatori
Gli acari predatori potenzialmente riscontrabili nei vigneti europei
appartengono a più famiglie (Fitoseidi, Stigmeidi, Tideidi, Trombididi,
Ascidi, ecc.). Gli Stigmeidi (soprattutto Zetzellia mali Ewing) sono stati
oggetto di indagini accurate in Sicilia (Inserra, 1970). I Tideidi sono molto
diffusi nei vigneti ma il loro ruolo nel controllo degli acari fitofagi della vite
non è stato ancora definito. Recenti studi sulla biologia ed il comportamento
di alcune specie (soprattutto Tydeus caudatus Dugés e T. californicus
Banks) hanno dimostrato che questi acari si nutrono attivamente di polline
e di micelio fungino (Liguori et al., 2002; Duso et al., 2005).
L’importanza dei Fitoseidi nei vigneti europei è stata suggerita negli
anni ’50 e ’60 (Mathys, 1958; Rambier, 1958; Schruft, 1967) ma le prime
dimostrazioni sulla loro efficacia sono state pubblicate a partire dagli
anni ’70 (Ivancich Gambaro, 1973; Boller, 1978; Girolami, 1981; Baillod
et al., 1982). Negli anni ’80 e ’90, l’interesse sui Fitoseidi quali agenti di
controllo biologico degli acari fitofagi della vite è fortemente aumentato.
Sono state effettuate numerose indagini faunistiche sui Fitoseidi della
vite sia in Italia (ad es. Liguori, 1980; Duso e Liguori, 1984; Lozzia et al.,
1984; Vacante e Tropea Garzia, 1985; Ragusa e Ciulla, 1989; Nicotina et
al., 1990) sia all’estero (ad es. Baillod e Venturi, 1980; PapaioannouSouliotis, 1981; El-Borolossy e Fischer-Colbrie, 1989; Kreiter e Brian,
1989; Fischer-Colbrie e El-Borolossy, 1990; Garcia-Marì et al., 1987;
Villaronga et al., 1991).
In una prima sintesi sull’argomento sono state riportate 23 specie di
Fitoseidi nei vigneti italiani (Castagnoli, 1989). Indagini più recenti
hanno contribuito a delineare in modo più dettagliato l’acarofauna della
vite in alcune regioni (ad es. Nicotina, 1996a, 1996b; Ragusa Di Chiara
e Tsolakis, 2001). L’insieme dei reperti ottenuti ha chiarito che le specie
più comuni nei vigneti italiani sono Typhlodromus pyri Scheuten, K.
aberrans e Amblyseius andersoni (Chant) al Nord, Typhlodromus
exhilaratus Ragusa, Phytoseius finitimus Ribaga e K. aberrans al
Centro-Sud. Le conoscenze sull’acarofauna di alcuni ambienti insulari,
come la Sicilia, suggeriscono un quadro più complesso rispetto a quello
riscontrato in altre regioni (Ragusa Di Chiara e Tsolakis, 2001). I recenti
contributi pubblicati in Francia (Kreiter et al., 2000) e in Grecia
(Papaioannou-Souliotis et al., 1999) apportano interessanti elementi di
confronto.
178
9.3.3. La presenza degli acari predatori Fitoseidi nei vigneti europei
La maggior parte dei Fitoseidi che colonizza i vigneti italiani ed europei
appartiene alla categoria dei predatori generalisti (McMurtry, 1992;
McMurtry e Croft, 1997). Le loro caratteristiche comuni sono: potenziale
riproduttivo e voracità limitati (rispetto ai Fitoseidi specialisti e ai
macropredatori), ampio regime alimentare (prede, polline, funghi
patogeni, essudati, ecc,), stretta associazione con la pianta ospite,
distribuzione all’interno della pianta più ampia rispetto a quella della
preda. I Fitoseidi generalisti sono dominanti nelle colture poliennali
dove svolgono un ruolo fondamentale nel controllo degli acari fitofagi
(McMurtry, 1992). L’analisi dei rapporti predatore/preda ha portato i
ricercatori ad affermare che l’efficacia del predatore è correlata alla
capacità di incremento delle sue popolazioni (rm) e alla rapidità con cui
elimina la preda. Tale affermazione, coniata per i predatori specializzati
sui Tetranichidi o sulle specie del genere Tetranychus come Phytoseiulus
persimilis Athias-Henriot, non si adatta necessariamente ai Fitoseidi
“generalisti”. Infatti, la loro efficacia è dovuta ad altre caratteristiche: la
persistenza a basse densità di preda, la sopravvivenza su alimenti
alternativi, la capacità di autoregolazione delle popolazioni, la
competitività nei confronti di altri predatori (McMurtry e Croft, 1997).
La valutazione dell’efficacia dei Fitoseidi generalisti, nel controllo degli
acari fitofagi della vite, costituisce un argomento di grande interesse. Le
indagini su tali aspetti possono essere svolte su scala diversa (in
laboratorio, semi-campo, pieno campo) in modo tale da fornire un
insieme di informazioni di base ma anche indicazioni realistiche per
eventuali interventi inoculativi. Un’analisi delle caratteristiche di T.
pyri e di A. andersoni, due tra le specie più studiate tra i Fitoseidi, può
costituire un esempio interessante per questo tipo di valutazione. In
laboratorio, sono stati calcolati i parametri demografici ed analizzate le
preferenze alimentari di T. pyri e di A. andersoni. Essi si sviluppano e si
riproducono su P. ulmi, E. carpini, Eriofidi (Col. vitis) e polline.
Entrambi hanno uno sviluppo più veloce ed un tasso di ovideposizione
più alto sugli Eriofidi o su polline. A. andersoni ha tempi di sviluppo
relativamente più brevi e tassi di ovideposizione relativamente più
elevati rispetto a T. pyri (Duso e Camporese, 1991). Sulla base di questi
dati, A. andersoni possiede un tasso innato di accrescimento delle
popolazioni (rm) più elevato. Considerata l’importanza di questo
parametro, A. andersoni dovrebbe essere preferito a T. pyri, per
eventuali introduzioni nei vigneti, laddove le due specie siano presenti.
Le verifiche di pieno campo sull’efficacia delle due specie hanno offerto un
quadro diverso da quello atteso. Una volta introdotti simultaneamente in
vigneti sperimentali dell’Italia nord-orientale, T. pyri ha controllato
efficacemente le popolazioni di P. ulmi e di E. carpini a differenza di quanto
effettuato da A. andersoni (Duso, 1989). Inoltre, le popolazioni di A.
andersoni fluttuano nel corso delle stagioni alternando fasi di permanenza
179
a fasi di rarefazione in cui i vigneti sono esposti ad eventuali infestazioni di
acari fitofagi. Le popolazioni di T. pyri persistono più a lungo nei vigneti;
tale aspetto offre maggiori garanzie per il controllo di eventuali focolai di
acari fitofagi. Evidentemente, nella valutazione delle “performance” dei
Fitoseidi generalisti è necessario prendere in considerazione fattori diversi
dal tasso di accrescimento delle popolazioni.
9.3.4. Le specie di Fitoseidi più comuni nei vigneti dell’Italia
settentrionale
9.3.4.1 Typhlodromus pyri
E’ stato considerato il più importante predatore degli acari fitofagi della
vite in Europa (Boller, 1978, Baillod et al., 1982; Schruft, 1985; Hluchy et
al., 1991; Kreiter et al., 2000). Il suo regime alimentare comprende, oltre
ai principali Tetranichidi ed Eriofidi della vite, i Tisanotteri (ad es.
Drepanothrips reuteri Uzel), svariati pollini di specie anemofile e micelio
fungino (Boller e Frey, 1990; Maixner, 1990; Wiedmer e Boller, 1990;
Eichhorn e Hoos, 1990; Engel e Ohnesorge, 1994a; Perez-Moreno e
Moraza, 1997; Duso et al., 2003; Pozzebon et al., 2005). La rimozione
sperimentale di T. pyri in un vigneto fu associata ad incrementi
numerici di P. ulmi, D. reuteri e Col. vitis. La riduzione di una di queste
prede non conseguì un corrispondente declino di T. pyri probabilmente
per la disponibilità di alimenti alternativi (Engel e Onhesorge, 1994b).
Le condizioni climatiche calde e siccitose, la morfologia fogliare (scarsa
densità di tricomi) di alcune varietà, la competizione con altri Fitoseidi o
con i macropredatori (ad es. Antocoridi) possono essere associati ad effetti
negativi sulle popolazioni di T. pyri (Duso et al., 1991; Duso, 1992; Duso e
Pasqualetto, 1993). La competizione tra T. pyri e gli altri Fitoseidi (ad es.
A. andersoni) è spesso mediata dalle caratteristiche varietali: la specie
raggiunge densità più rilevanti e compete con maggior successo sulle
varietà caratterizzate da superfici fogliari tomentose (Camporese e Duso,
1996; Duso e Vettorazzo, 1999). È possibile che il ruolo di T. pyri nei
vigneti italiani ed europei sia stato amplificato dalla diffusione di ceppi
resistenti a insetticidi e fungicidi non selettivi per altre specie (Maixner,
1990; Vidal e Kreiter, 1995; Auger et al., 2004a, 2004b, 2005).
9.3.4.2 Amblyseius andersoni
È una specie comune nei vigneti italiani (Castagnoli, 1989; Nicotina, 1990
et al., 1990) ed è presente in alcune aree viticole europee (Schruft, 1967;
Baillod e Venturi, 1980; El Borolossy e Fischer-Colbrie, 1989; Villaronga et
al., 1991; Kreiter et al., 2000). In laboratorio, A. andersoni può svilupparsi
e riprodursi su varie specie di acari fitofagi della vite, su Tisanotteri,
polline e micelio fungino (Duso e Camporese, 1991; Pozzebon et al., 2005).
Nonostante questi risultati, il controllo di P. ulmi è caratterizzato da
risultati alterni (Duso, 1989; Vila et al., 1989; Camporese e Duso, 1996) e
quello di E. carpini appare difficoltoso (Duso, 1989; Duso e Vettorazzo,
180
1999). Gli Eriofidi giocano un ruolo importante nella persistenza di A.
andersoni nei vigneti (Duso e de Lillo, 1996). La diffusione della
peronospora può causare notevoli incrementi demografici a fine estate
(Duso et al., 2003). Le implicazioni di questo fenomeno sul controllo degli
acari fitofagi non sono chiare mentre è stata osservata un’aumentata
capacità competitiva nei confronti delle specie predatrici coesistenti.
Nonostante il controllo dei Tetranichidi della vite da parte di A.
andersoni non sia sempre soddisfacente, a differenza di quanto rilevato
nei frutteti (Ivancich Gambaro, 1986), rimane un certo interesse nei
confronti di questa specie a causa della sua capacità di selezionare ceppi
resistenti nei confronti di ditiocarbammati ed esteri fosforici (Ivancich
Gambaro, 1975; Duso et al., 1992; Angeli e Ioriattti, 1994). Tuttavia,
l’importanza del fattore “resistenza ai prodotti fitosanitari” è apparsa
talvolta prevalente rispetto all’opportunità di approfondire le conoscenze
sulle caratteristiche biologiche, ecologiche ed etologiche dei predatori
(Caccia et al., 1985; Ioriatti e Baillod, 1985; Vila et al., 1989).
9.3.4.3 Kampimodromus aberrans
K. aberrans è diffuso soprattutto in Italia, Portogallo, Spagna, Francia e
Grecia (Castagnoli, 1989; Carmona e Ferreira, 1989; Villaronga et al.,
1991; Kreiter et al., 1993; Papaioannou-Souliotis et al., 1999). Le
difficoltà insite nell’allevamento di K. aberrans non hanno consentito di
ottenere risultati soddisfacenti nello studio dei parametri demografici in
relazione agli acari della vite (Dosse, 1956; Daftari, 1979). Alcune
ricerche suggeriscono che i valori dei parametri demografici di K.
aberrans (su polline) siano più vicini a quelli di T. pyri che di A.
andersoni (Schausberger, 1992; Kasap, 2005). K. aberrans può
svilupparsi su oidio del melo (Podosphaerca leucotricha Ellis & Everh)
(Daftari, 1979), nutrirsi di peronospora della vite (Duso et al., dati non
pubblicati) e sfruttare i succhi cellulari (Kreiter et al., 2002).
Ivancich Gambaro (1987) ha sottolineato la risposta numerica di K.
aberrans all’incremento delle prede (E. carpini), la notevole capacità di
accrescimento delle popolazioni del predatore anche in virtuale assenza
di Tetranichidi, gli andamenti delle popolazioni che presentano
similarità negli anni. È stata dimostrata una relazione positiva tra la
disponibilità di polline sull’apparato fogliare della vite e l’abbondanza di
K. aberrans che può contribuire a spiegare la grande persistenza della
specie nei vigneti e l’andamento tipico delle popolazioni (Duso et al.,
1997a; Malagnini, dati non pubblicati). Le densità di K. aberrans sono
tendenzialmente più elevate sulle varietà caratterizzate da superfici
fogliari tormentose e questo fattore risulta importante nella
competizione con le altre specie di Fitoseidi (Duso, 1992; Coiutti, 1993;
Duso e Vettorazzo, 1999).
L’efficacia di K. aberrans nel controllo delle popolazioni di E. carpini,
suggerita dai lavori di Ivancich Gambaro (1973), è stata confermata in
contributi successivi (Duso e Girolami, 1985; Villaronga et al., 1991;
181
Arias et al., 1992; Kreiter et al., 1993). Le prime indagini comparative
sul controllo di P. ulmi e di E. carpini da parte di K. aberrans, hanno
dimostrato che, nell’Italia nord-orientale, la specie è efficace quanto T.
pyri (Duso, 1989; Girolami et al., 1992). Successivamente, è emerso che
K. aberrans risente meno di T. pyri dell’impatto di determinati fattori
ambientali, quali le elevate temperature, la competizione con altri
predatori, le caratteristiche della pianta ospite (Duso e Pasqualetto,
1993; Duso e Vettorazzo, 1999). La competitività di K. aberrans rispetto
a T. pyri, osservata in queste indagini, non è dovuta ad un tasso di
predazione più elevato della prima specie sulla seconda (Schausberger,
1997) ma, probabilmente, ad una migliore conversione degli alimenti in
biomassa destinata alle uova (Duso, non pubblicato). Il ruolo di K.
aberrans nel controllo degli Eriofidi della vite (soprattutto Cal. vitis) è
stato rilevato in alcune esperienze effettuate nell’Italia settentrionale
(Duso e de Lillo, 1996).
La sensibilità di K. aberrans nei confronti dei più comuni prodotti
fitosanitari ha costituito un freno per la valorizzazione della specie nel
contesto della lotta integrata, fatta eccezione per alcune situazioni locali
(Corino et al., 1986; Marchesini e Ivancich Gambaro, 1989). La comparsa
di ceppi resistenti al mancozeb e ad alcuni esteri fosforici, riscontrata in
più ambienti negli anni ’90, ha favorito la diffusione della specie in
alcune aree viticole italiane (Vettorello e Girolami, 1992; Posenato,
1994). Di conseguenza, l’interesse per K. aberrans è aumentato anche in
altri Paesi europei come la Francia, ove sono stati riscontrati ceppi di K.
aberrans caratterizzati da un certo livello di resistenza nei confronti del
mancozeb (Kreiter et al., 2000; Auger et al., 2004).
9.3.5. I Fitoseidi più comuni nei vigneti dell’Italia centro-meridionale
9.3.5.1 Tyhlodromus exhilaratus
È una delle specie più importanti nei vigneti dell’Italia centro-meridionale
(Liguori, 1980; Castagnoli, 1989; Ragusa e Ciulla, 1989; Nicotina et al.,
1990). È comune anche in Spagna, Francia e Grecia (Villaronga et al.,
1991; Tixier et al., 2002b; Papaiannou-Souliotis et al., 2003).
I costumi alimentari di T. exhilaratus sono stati studiati in Sicilia ove la
specie è comune sui Citrus. In laboratorio, T. exhilaratus può sviluppare
e riprodursi su Panonychus citri (McGregor), T. urticae e polline
(Ragusa, 1979; Ragusa, 1981). Lo sviluppo di T. exhilaratus è più rapido
su E. carpini, Col. vitis e polline che su P. ulmi; l’ovideposizione ha
raggiunto livelli più elevati su E. carpini e su polline (Castagnoli e
Liguori, 1986a). Questi ed altri studi hanno chiarito come E. carpini
costituisca la preda d’elezione per T. exhilaratus (Liguori e Guidi, 1991;
Castagnoli e Liguori, 1986b, 1989; Castagnoli et al., 1989).
Nei vigneti della Toscana, è emerso come T. exhilaratus esibisca
un’efficace risposta numerica nei confronti di E. carpini, che talvolta è
mediata dalla presenza degli Eriofidi (Castagnoli e Liguori, 1985;
182
Liguori, 1987; Castagnoli et al., 1991). Le popolazioni di T. exhilaratus
raggiungono densità tendenzialmente più elevate su cultivar
caratterizzate da superfici fogliari tomentose (Castagnoli et al., 1997).
La possibilità di tollerare sia alcuni prodotti fitosanitari sia livelli di
umidità relativa relativamente bassi costituiscono elementi molto
importanti nell’affermazione di T. exhilaratus nei vigneti dell’Italia
centro-meridionale (Liguori, 1987, 1988; Liguori e Guidi, 1995).
9.3.5.2 Phytoseius finitimus
È stato riscontrato in un certo numero di vigneti poco trattati dell’Italia
settentrionale (Duso e Moretto, 1994) mentre è decisamente più diffuso
nell’Italia centro-meridionale (Castagnoli, 1989; Ragusa e Ciulla, 1989;
Nicotina, 1996b,), in Grecia (Papaioannou-Souliotis et al., 1999) e in
alcuni ambienti francesi come la Corsica (Kreiter et al., 2000). Pertanto,
è probabile che Ph. finitimus abbia selezionato, almeno localmente, dei
ceppi resistenti (Nicotina e Cioffi, 1997).
Il regime alimentare di questa specie comprende Tetranichidi, Eriofidi e
polline (Zaher et al., 1969; Rasmy e El-Banhawy, 1975). La fenologia
della specie è stata oggetto di osservazioni in Italia (Castagnoli e
Liguori, 1985; Duso e Moretto, 1994) e in Grecia (Papaioannou-Souliotis
et al., 1999). Ph. finitimus esibisce una chiara preferenza per le varietà
caratterizzate da superfici fogliari tomentose (Rasmy e El-Banhawy,
1974; Castagnoli e Liguori, 1985; Duso e Moretto, 1994; PapaioannouSouliotis et al., 1999). La specie sembra avere un certo potenziale per
controllare P. ulmi (Duso e Moretto, 1994; Duso e Vettorazzo, 1999).
9.3.5.3 Typhlodromus phialatus
È segnalato nei vigneti dell’Italia centro-meridionale (Castagnoli, 1989),
della Francia meridionale (Kreiter et al., 1993; Tixier et al., 1998) ma
soprattutto della Spagna ove colonizza frequentemente anche altri
agroecosistemi (Garcia-Marí et al., 1987; Villaronga et al., 1991). Il
comportamento alimentare della specie è stato oggetto di indagini di
laboratorio (Ferragut et al., 1987) ma il suo ruolo nel controllo degli
acari fitofagi della vite richiede studi approfonditi.
9.4. L’ INFLUENZA
FITOSEIDI
DELLA BIODIVERSITÀ BOTANICA SULLA PRESENZA DEI
I vigneti di aziende a conduzione famigliare, oltre a subire un numero
limitato di trattamenti, sono spesso contigui a colture poco o per nulla
trattate e a vegetazione spontanea. Le indagini effettuate nell’Italia
centro-meridionale hanno dimostrato che, in queste situazioni, più
specie di Fitoseidi coesistono sulla vite con rapporti spesso influenzati
dalla loro predominanza nell’ambito dell’agroecosistema (Nicotina et al.,
2002, 2003).
183
È plausibile che gli ambienti mediterranei siano caratterizzati da una
maggior biodiversità rispetto a quanto si osserva nell’Italia
settentrionale. Nel corso di indagini svolte nei vigneti siciliani sono state
riscontrate 21 specie di Fitoseidi mentre nell’Italia nord-orientale
(Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia) sono state censite 16
specie in un ventennio d’indagini. In Sicilia, si riscontra una presenza
ragguardevole di entità diverse da quelle ritenute importanti nei vigneti,
come Amblydromella crypta (Athias-Henriot), Euseius stipulatus
(Athias-Henriot) e Iphiseius degenerans (Berlese) (Ragusa Di Chiara e
Tsolakis, 2001). La biologia, il comportamento e le interazioni di queste
specie con le prede potenziali presenti nei vigneti merita di essere
ulteriormente approfondito (Ferragut et al., 1987; Ragusa e Tsolakis,
1998). Le specie più comuni nei vigneti siciliani possono colonizzare con
una certa frequenza anche gli ambienti non coltivati adiacenti alle
coltivazioni (Tsolakis et al., 1997). Questi ed altri reperti individuano
l’acarofauna siciliana, e di alcune aree dell’Italia meridionale, come un
caso di studio molto interessante ai fini della conservazione e della
valorizzazione della biodiversità (Tsolakis et al., 1997; Ragusa e Tsolakis,
2001). Questo filone di ricerche, è stato affrontato anche in altre realtà
europee (Tixier et al., 2000; Barbar et al., 2005).
Le indagini sull’acarofauna della vite negli ambienti viticoli italiani
indicano la presenza più o meno sistematica di alcune specie di Fitoseidi
che raramente assumono una posizione dominante. Tale fenomeno
potrebbe essere dovuto ad una sensibilità della specie nei confronti dei
più comuni prodotti fitosanitari come nel caso di Ph. macropilis Banks
(= Ph. horridus Ribaga?), o di Euseius finlandicus (Oudemans), entità
che hanno una certa diffusione nei vigneti poco trattati dell’Italia
settentrionale (Lozzia e Rigamonti, 1990; Coiutti, 1993; Duso et al.,
1993; Duso e Ren, 1987) o di altri ambienti centro-europei (Baillod e
Venturi, 1980). Altre specie, come Paraseiulus talbii (Athias-Henriot),
sono relativamente diffuse anche nei vigneti trattati con prodotti poco
selettivi ma non assurgono quasi mai ad un ruolo dominante. P. talbii
può sviluppare a carico dei più comuni Tetranichidi, Eriofidi e Tideidi
della vite ma si riproduce in modo ottimale solo sui Tideidi (Camporese
e Duso, 1995). Esso può divenire numeroso nei vigneti in cui i Tideidi
sono molto diffusi ma il suo ruolo nel controllo degli acari fitofagi della
vite appare marginale (Duso e Ren, 1997; Duso et al., 2005).
9.5. L’EVOLUZIONE DEL CONTROLLO BIOLOGICO ED INTEGRATO DEGLI ACARI
DANNOSI ALLA VITE
Il controllo integrato degli acari alla vite prevede prima di tutto
approfondite conoscenze su biologia, ecologia e dannosità delle
principali specie, che portano a definire soglie di intervento basate
sull’impatto economico. Gli interventi acaricidi dovrebbero
184
rappresentare un’opzione estrema poiché il numero di molecole
disponibili è limitato, il rischio della resistenza è rilevante, la selettività
sugli eventuali predatori presenti è parziale o trascurabile.
Parallelelamente, sono richieste conoscenze sul complesso degli
antagonisti naturali che insiste in una determinata area. Se questi non
sono stati falcidiati irrimediabilmente, è opportuno porre in atto una
serie di interventi atti a salvaguardare la sopravvivenza dei predatori
autoctoni e, possibilmente a potenziarne l’attività. Questi interventi
comprendono essenzialmente l’adozione di soglie d’intervento bilanciate
(rapporto predatore/preda), l’impiego di prodotti caratterizzati da una
certa selettività nei confronti degli organismi utili, la gestione delle
tecniche colturali. Tuttavia, è possibile che ripetuti interventi
fitosanitari abbiano falcidiato i predatori su vasta scala, come può
accadere nelle aree a monocoltura omogeneamente trattate. In queste
situazioni, è preferibile intervenire attraverso introduzioni artificiali di
Fitoseidi.
9.5.1. La valutazione della dannosità degli acari Tetranichidi e le
soglie d’intervento
Le conoscenze dei fattori che favoriscono l’abbondanza degli acari
fitofagi nei vigneti sono approfondite solo per alcune specie. Nel
presente lavoro si farà riferimento solo a P. ulmi data la sua maggior
importanza in Italia. L’innalzamento della temperatura (entro certi
valori) e l’alto contenuto fogliare di carboidrati, aminoacidi e alcuni
elementi minerali rappresentano fattori che favoriscono P. ulmi
(Ramsdell e Jubb, 1979; Schreiner, 1984; Wermelinger et al., 1992). Al
contrario, la pioggia, le elevate umidità relative, l’alto livello di potassio
e di composti fenolici nelle foglie ostacolano l’incremento delle
popolazioni di P. ulmi (Schreiner, 1984; Borgo e Giorgessi, 1987;
Wermelinger et al., 1992). La frequenza e l’intensità delle infestazioni di
P. ulmi possono variare in funzione dei genotipi di vite cui sono associate
le caratteristiche delle foglie: a superfici fogliari tomentose
corrispondono spesso densità di acari fitofagi più elevate (Schreiner,
1984; Rilling, 1989).
Nei vigneti esposti alle infestazioni di Tetranichidi è necessario
razionalizzare gli interventi acaricidi, per ridurre l’insorgere della
resistenza, attraverso l’esecuzione di campionamenti atti a stabilire il
superamento delle soglie d’intervento. Baillod et al. (1979) hanno
proposto un metodo sequenziale per monitorare l’abbondanza dei
Tetranichidi nella stagione vegetativa attraverso un rapporto tra foglie
occupate e non occupate da acari. In base a questo metodo, sono state
proposte delle soglie d’intervento per P. ulmi (e per E. carpini) variabili
dal 30% al 60% di foglie infestate. Le soglie proposte corrispondono al
massimo a 2-5 forme mobili per foglia, vale a dire a densità di
popolazione troppo basse per causare un danno economico (Girolami,
185
1981). Infatti, indagini pluriennali svolte nell’Italia nord-orientale
hanno dimostrato che densità di circa 20 forme mobili per foglia di P.
ulmi non arrecano danni alla produzione. Pertanto, per questa specie è
stata proposta una soglia d’intervento prudenziale di 10-20 forme mobili
per foglia in funzione delle caratteristiche delle piante ospiti, delle
condizioni ambientali e delle densità di predatori presenti (Girolami,
1981; Girolami et al., 1989). L’impatto delle popolazioni di E. carpini
sulla vegetazione appare superiore a quello esercitato da P. ulmi, e
pertanto, è stata proposta una soglia d’intevento di 6-10 forme mobili
per foglia (Girolami et al., 1989). Sulla base di queste considerazioni e
della distribuzione binomiale della specie, Girolami e Mozzi (1984)
hanno proposto un metodo di campionamento per P. ulmi basato sul
numero cumulato di acari per foglia.
Questo approccio non ha trovato molto seguito in Italia né in altri Paesi
europei poiché le soglie d’intervento sono state ritenute troppo elevate.
Tuttavia, ricerche approfondite, svolte successivamente, hanno
dimostrato che densità di popolazione ancora più alte di P. ulmi non
provocano ripercussioni sui principali parametri fisiologici della vite;
ad esempio, la fotosintesi netta di viti infestate da più di 3.500 acarigiorno/foglia (densità massime di 60 acari per foglia) non ha subito
alterazioni (Candolfi et al., 1993b). Ulteriori studi hanno dimostrato
che il raccolto, la qualità degli acini e lo sviluppo vegetativo di tre
varietà non sono stati influenzati da densità cumulate di più di 36.000
acari-giorno per foglia (Candolfi et al., 1993a). Va sottolineato come gli
studi riportati siano stati condotti su piante in vaso e in condizioni
ottimali da punto di vista idrico e nutrizionale; è possibile che in
condizioni di pieno campo la risposta da parte delle viti infestate sia
diversa. È interessante osservare che in un recente studio, effettuato in
un vigneto dell’Italia nord-orientale, densità cumulate di circa 1500
acari-giorno per foglia (con densità massime superiori a 40 forme
mobili per foglia) non hanno influenzato i parametri produttivi (Duso e
Facchin, dati non pubblicati).
Relativamente agli studi sulla dannosità degli altri acari fitofagi della
vite si segnalano i contributi di Candolfi (1991), Candolfi et al. (1991,
1992), Arias e Nieto (1981, 1983) su T. urticae, nonché di Carmona
(1978), Hluchy e Pospisil (1992) e Bernard et al. ( 2005) su Cal. vitis.
9.5.2. La scelta degli acaricidi
Nella scelta degli acaricidi è necessario conoscere le caratteristiche sia
dei principi attivi (aspetti tossicologici ed ecotossicologici) sia
dell’azienda (biologica, inserita in un contesto di gestione integrata,
convenzionale, ecc.). I principali fattori tecnici da considerare
nell’impiego degli acaricidi sono la specificità (su uova, forme giovanili o
adulti), lo spettro d’azione (su Tetranichidi e/o Eriofidi), la persistenza, i
meccanismi d’azione (diffusione di ceppi resistenti), gli effetti collaterali
186
sugli antagonisti naturali dei fitofagi. Le informazioni sull’attività degli
acaricidi nei confronti dei Tetranichidi dei vigneti non sono vaste.
Relativamente agli ambienti italiani, un confronto tra alcuni principi
attivi tradizionali e di sintesi più recente (acrinathrin, tebunfenpyrad,
pyridaben, fenazaquin, flufenoxuron, dicofol) ha dimostrato che la
maggior parte di questi prodotti manifesta un’efficacia soddisfacente nel
controllo di P. ulmi (Morando et al., 1998). Alcuni tra questi acaricidi
(acrinathrin, fenazaquin, flufenoxuron) ed altri prodotti (fenpyroximate,
amitraz, bromopropylate, spirodiclofen) possono esercitare un controllo
soddisfacente anche sull’eriofide Cal. vitis (Antonacci et al., 2000; de
Lillo et al., 2004).
I principali fattori genetici ed ecologici che hanno causato l’insorgere
della resistenza negli acari sono: la partenogenesi arrenotoca, l’alto
tasso di riproduzione, il basso flusso genico tra popolazioni che vivono su
piante trattate e non trattate (Croft e Van de Baan, 1988). Nonostante la
letteratura specifica sia molto vasta, sono stati documentati rari casi di
resistenza nei Tetranichidi dei vigneti. Rambier (1964) ha riportato la
resistenza all’insetticida-acaricida demeton-methyl in una popolazione
francese di P. ulmi. Più recentemente, sono state riportate segnalazioni
di mancata efficacia di alcuni acaricidi specifici nei confronti di P. ulmi
nell’Italia nord-orientale. Tuttavia, non è chiaro se tale fenomeno sia
dovuto alla comparsa di ceppi resistenti o ad altri fattori.
9.5.3. Gli effetti collaterali dei prodotti fitosanitari sui predatori
degli acari fitofagi
Lo sviluppo della lotta integrata è stato accompagnato da un incremento
progressivo di dati sugli effetti collaterali dei prodotti fitosanitari sugli
antagonisti naturali degli artropodi dannosi alle colture. Nel 1974,
l’Organizzazione Internazionale per la Lotta Biologica (IOBC) ha creato
il gruppo di lavoro “Pesticides and Beneficial Arthropods” (poi divenuto
“Pesticides and Beneficial Organisms”) per sviluppare tecniche di
allevamento e metodi di valutazione dell’impatto dei prodotti
fitosanitari sugli artropodi utili. Tra quest’ultimi, sono stati considerati
alcuni Fitoseidi (soprattutto T. pyri e P. persimilis) e insetti predatori. I
risultati di queste indagini congiunte sono stati pubblicati a più riprese
(ad es. Hassan et al., 1994). Sono stati messi a punto dei metodi
sequenziali da seguire nella valutazione della tossicità. Inizialmente,
vanno impiegati metodi di laboratorio che coinvolgono gli stadi più
sensibili (larve o protoninfe); se la tossicità supera un certo livello (ad es.
il 30% della mortalità) le prove sono effettuate su stadi meno sensibili
(femmine) o in condizioni di ridotta esposizione; se la tossicità persiste,
si passa alle prove di pieno campo (Hassan, 1992).
A partire dalla seconda metà degli anni ’90, le procedure da seguire
nella registrazione dei nuovi prodotti fitosanitari in Europa hanno preso
in considerazione anche la loro tossicità nei confronti di un certo numero
187
di artropodi utili rappresentativi. Parallelamente, è iniziato un
programma di revisione dei prodotti già in commercio in cui sono stati
presi in considerazione anche questi aspetti. Grazie all’esperienza
maturata nel gruppo di lavoro IOBC “Pesticides and beneficial
arthropods” e al contributo di altri comitati internazionali (ESCORT,
SETAC e EPPO), sono state individuate le specie da valutare nelle prove
ecotossicologiche, i metodi da impiegare e i criteri da seguire
nell’interpretazione dei dati raccolti.
Negli ultimi decenni sono stati pubblicati numerosi contributi sulla
selettività dei prodotti fitosanitari nei confronti delle specie di Fitoseidi
più comuni nei vigneti europei (ad es. Baillod et al., 1982; Ioriatti e
Baillod, 1985; Duso e Girolami, 1985; Englert e Maixner, 1988; Schruft
et al., 1992; Camporese et al., 1993; Angeli et al., 1997). In alcuni casi, le
metodologie seguite sono meno rigorose rispetto agli standard attuali
ma i risultati raggiunti sono degni di considerazione in quanto indicativi
di realtà specifiche.
Gli effetti collaterali di un prodotto possono variare nel corso del tempo
in seguito alla selezione di ceppi caratterizzati da una crescente
resistenza. Le indagini svolte negli ultimi decenni hanno messo in luce
un effetto blando di alcune categorie di fungicidi (ad es. rameici,
ftalimidici) sugli acari predatori. Al contrario, l’effetto dei
ditiocarbammati, considerato deleterio fino agli anni ’80 (Marchesini,
1989), è apparso compatibile con la sopravvivenza dei Fitoseidi in alcuni
contributi pubblicati a partire dagli anni ’90 (Angeli e Ioriatti, 1994;
Posenato, 1994; Pozzebon et al., 1999; Blümel et al., 2000). È stata
riscontrata una certa correlazione tra l’impiego di mancozeb nel passato
aziendale e i livelli di resistenza acquisiti da T. pyri nei confronti dello
stesso fungicida (Auger et al., 2004a, 2004b). Molti tra i recenti fungicidi
(ad es. azoxystrobin, dimetomorph, esaconazolo, quinoxyfen) sono
caratterizzati da una certa selettività nei confronti dei Fitoseidi (Angeli
et al., 1997; Kreiter et al., 1997; Nicotina et al., 2004).
La sensibilità dei Fitoseidi nei confronti degli esteri fosforici ha subito
anch’essa importanti variazioni nel corso del tempo. In Italia, la
presenza di ceppi resistenti di Fitoseidi nei vigneti è stata riscontrata a
partire dagli anni ’80 (ad es. Corino et al., 1986; Duso et al., 1992), ma
tale fenomeno si è diffuso solo più tardi. Ricerche effettuate nel Veronese
hanno dimostrato che, nell’ambito di un’area viticola non
particolarmente vasta, possono coesistere popolazioni di K. aberrans,
relativamente sensibili o resistenti nei confronti degli esteri fosforici a
seconda del loro impiego nel passato. Questo fattore spiega l’eventuale
discordanza dei dati che provengono da analisi effettuate su popolazioni
differenti e suggerisce un approccio rigoroso nell’interpretazione dei
risultati che portano a valutare la selettività di un prodotto (Mori et al.,
1999; Girolami et al., 2001b).
Gli effetti dei moderni insetticidi sui Fitoseidi non sono generalizzabili.
Principi attivi diversi, appartenenti al gruppo dei chitinoinibitori,
188
possono esercitare effetti più o meno marcati su acari ed insetti
predatori (Angeli et al., 1997, 2005; Kreiter et al., 1997; Girolami et al.,
2001a, 2001b). Il fenossiderivato etofenprox è stato associato ad effetti
negativi su K. aberrans mentre alcuni juvenoidi, ecdisoidi e
neonicotinoidi sono caratterizzati da una certa selettività nei confronti
di K. aberrans e T. pyri (Kreiter et al., 1997; Mori et al., 1999).
La grande variabilità nelle componenti faunistiche, nelle condizioni
ambientali e nelle tecniche colturali nel nostro Paese rende difficile
un’opera di armonizzazione della massa di dati che sono prodotti
periodicamente sugli effetti collaterali dei prodotti fitosanitari sui
Fitoseidi. In Francia, i ricercatori hanno cercato di riorganizzare e
riassumere i risultati sperimentali delle prove effettuate sotto forma di
pubblicazioni sintetiche a uso di tecnici ed operatori (ad es. Kreiter et al.,
1997). Uno sforzo in tal senso è auspicabile anche in Italia. Infine, si
sottolinea da tempo come le specie bersaglio dei metodi ecotossicologici
prese in considerazione nelle metodologie ufficiali dell’Unione Europea,
siano spesso poco rappresentative per i Paesi mediterranei.
9.5.4. La gestione dell’agroecosistema vigneto
Le tecniche colturali come la scelta della cultivar, la potatura, la
fertilizzazione ed il diserbo possono esercitare un effetto importante
sugli acari dannosi alla vite nonché sui relativi antagonisti naturali.
Talvolta, è possibile agire su questi fattori senza alterare gli obiettivi
prioritari delle aziende.
È noto che sulle varietà caratterizzate da superfici fogliari tomentose
(ad es. Gewürztraminer, Silvaner, ecc.), le popolazioni di Tetranichidi
raggiungono densità elevate in fasi vegetative più precoci rispetto alle
varietà che presentano foglie tendenzialmente glabre (ad es. MüllerThurgau, Pinot gris) (Schreiner, 1984; Rilling, 1989). Un effetto analogo
è stato riscontrato in relazione all’eriofide Cal. vitis (Castagnoli et al.,
1997). D’altra parte, alcune specie di Fitoseidi (K. aberrans, T. pyri e Ph.
finitimus) “preferiscono” varietà caratterizzate da foglie tomentose
mentre altre (A. andersoni e E. finlandicus) hanno un comportamento
opposto (Castagnoli e Liguori, 1985; Candolfi, 1991; Duso, 1992;
Nicotina, 1996b; Duso e Vettorazzo, 1999; Kreiter et al., 2000). Uno
studio dell’effetto della varietà sull’abbondanza delle diverse
componenti dell’acarofauna sulla vite e sulle piante erbacee presenti nel
vigneto è stato effettuato in Toscana (Castagnoli et al., 1997).
La potatura riduce l’entità di uova svernanti di P. ulmi ma è ovvio che
l’evoluzione dei metodi di potatura non tenga in particolare
considerazione questo aspetto. Tuttavia, è importante considerare
eventuali modifiche ai metodi di potatura invernale in relazione a
fitofagi che attaccano le gemme basali come gli Eriofidi (Dennill, 1991).
Non sono noti gli effetti della potatura estiva sulle popolazioni degli
acari fitofagi. La vite ha la capacità di aumentare l’area fogliare dei
189
germogli laterali per compensare la perdita delle foglie principali.
Questa compensazione è stata osservata anche su piante infestate da
Tetranichidi (Candolfi, 1991). Ne consegue che i germogli laterali non
vanno rimossi se sono temute o sono in corso infestazioni di acari
fitofagi.
Relativamente alla fertilizzazione, un apporto consistente di
fertilizzanti azotati si riflette positivamente sull’abbondanza dei
Tetranichidi e, pertanto, tale fattore va tenuto in debita considerazione
(Schreiner, 1984).
La gestione del suolo è associata a tale fattore. Il mantenimento della
copertura vegetale dei vigneti ha funzioni positive sulla struttura del
suolo, sul bilancio dell’azoto, sulla sopravvivenza di svariati organismi
(Boller, 1988; Remund et al., 1989; Remund et al., 1992). L’inerbimento
naturale del vigneto può comportare un incremento nell’abbondanza
degli acari predatori ma non degli acari fitofagi (Castagnoli et al., 1999).
L’aumento della diversità botanica si riflette positivamente sulla
biodiversità degli insetti predatori anche per l’incremento della
disponibilità pollinica (Remund et al., 1989, 1992).
Il polline è un importante alimento per i Fitoseidi che colonizzano i
vigneti (Dosse 1961; Boller e Frey, 1990; Duso e Camporese, 1991; Engel
e Ohnesorge, 1994a; Remund e Boller, 1992). Nei vigneti che presentano
una copertura vegetale vi è una disponibilità continua di polline (ad es.
Poaceae) per tutta la stagione vegetativa (Wiedmer e Boller, 1990; Duso
et al., 1997a). Il ritmo di sfalcio della copertura vegetale influenza la
deposizione dei pollini sull’apparato fogliare e la loro disponibilità per
gli acari predatori. Il rallentamento del ritmo di sfalcio può comportare
un effetto positivo sulle popolazioni dei Fitoseidi (Girolami et al., 2000).
Dal momento che la moderna tecnica colturale mira a contenere al
massimo la competizione tra la vite e la copertura vegetale, le possibilità
di inserire questa strategia sono correlate alle problematiche aziendali
e alla sensibilità di coloro che gestiscono le scelte tecniche.
L’impiego di alcuni erbicidi (ad es. glyphosate) può indurre la
migrazione di T. urticae dalla copertura vegetale all’apparato fogliare
della vite (Boller et al., 1984, 1985). I meccanismi coinvolti in tale
fenomeno risiedono nel rapido disseccamento delle infestanti e
nell’effetto repellente sui Tetranichidi. Inoltre, alcuni tra questi erbicidi
sono tossici nei confronti degli acari, sia fitofagi sia predatori (Boller et
al., 1984; Kreiter et al., 1991). Pertanto, la scelta degli erbicidi dovrebbe
tenere in considerazione questi aspetti.
9.5.5. La vegetazione spontanea quale risorsa per gli equilibri
biologici nei vigneti
Le siepi e i margini di bosco contigui ai vigneti sono componenti
importanti dell’”agroecosistema vigneto”. Le indagini faunistiche sulle
piante spontanee contigue ai vigneti o inserite all’interno degli stessi
190
hanno fornito preziose informazioni sull’ecologia dei Fitoseidi. Il
contributo delle piante spontanee alla colonizzazione dei Fitoseidi nei
vigneti è stato suggerito a più riprese poiché i ricercatori hanno
individuato un certo grado di affinità tra l’acarofauna delle piante
spontanee e dei vigneti (Boller et al., 1988; Lozzia e Rigamonti, 1990,
2003; Tixier et al., 1998, 2000; Nicotina e Capone, 2003). In alcuni casi,
le specie più frequenti sulle piante spontanee possono essere diverse da
quelle che sono dominanti nei vigneti contigui; tale fenomeno è
influenzato da numerosi fattori, il principale dei quali è costituito dai
trattamenti fitosanitari (Duso et al., 1993, 2004). Un’interessante
“similarità”, relativamente al complesso di Fitoseidi presenti, è stata
riscontrata tra alcune piante spontanee (ad es. Cornus sanguinea L.) e
la vite coltivata in alcuni ambienti dell’Italia nord-orientale. Queste
piante potrebbero rappresentare dei “marcatori” dell’adattamento dei
Fitoseidi all’ambiente, uno strumento atto ad influenzare le scelte sulle
specie predatrici da impiegare nei lanci inoculativi (Duso et al., 2004).
In alcune ricerche, effettuate in agroecosistemi “complessi”,
l’abbondanza e la diversità dei Fitoseidi sulle principali specie vegetali
(coltivate o spontanee) sono state confrontate con quelle riscontrate su
vite, ottenendo informazioni sulla “similarità” tra piante ospiti
differenti. Le piante che ospitano un complesso di Fitoseidi molto affine
a quello riscontrato su vite, potrebbero possedere caratteristiche comuni
o testimoniare l’esito di avvenuti interscambi di predatori (Nicotina et
al., 2002, 2003; Nicotina e Capone, 2003).
Alcuni contributi sperimentali effettuati in Francia hanno offerto una
prima dimostrazione degli scambi di Fitoseidi tra vegetazione
spontanea e vigneti (Tixier et al., 1998, 2000). Negli ambienti del
Languedoc-Roussillion, K. aberrans è largamente dominante nei boschi
di Quercus pubescens L. dai quali può diffondersi, attraverso le correnti
aeree, sui vigneti contigui. L’applicazione di tecniche di biologia
molecolare ha consentito di differenziare, almeno in parte, gli individui
migranti dal bosco da quelli presenti nei vigneti (Tixier et al., 2002).
Tuttavia, gli individui migranti non hanno fornito un contributo
evidente alla dinamica delle popolazioni di K. aberrans nei vigneti. I
fattori coinvolti in tale fenomeno sono in corso di valutazione. Sulla scia
di queste ricerche sono state condotte delle indagini nell’Italia
settentrionale in cui sono emerse alcune analogie con i risultati ottenuti
in Francia (Rigamonti e Rena, 2004).
9.5.6. Le introduzioni di Fitoseidi: è necessario introdurre ceppi
resistenti?
La reintroduzione dei Fitoseidi appare indispensabile nei vigneti esposti
a frequenti infestazioni ed inseriti in aree viticole soggette ad intensi
programmi di difesa fitosanitaria. Tuttavia, anche l’applicazione di un
singolo insetticida non selettivo può causare ripercussioni sulla
191
sopravvivenza dei Fitoseidi o favorire la sostituzione di una specie con
un’altra, meno efficace. Ripetuti trattamenti con prodotti poco selettivi
ammessi nell’agricoltura biologica (ad es. piretro) possono causare falcidie
di Fitoseidi anche in questi contesti. La scelta della specie predatrice e del
ceppo da introdurre derivano da studi approfonditi sulle componenti
faunistiche dei vigneti e delle piante spontanee contigue ad essi.
L’introduzione artificiale di Fitoseidi nei vigneti può essere effettuata
alla fine dell’inverno impiegando legno di potatura (di due o più anni) o
fascette di lana predisposte attorno al cordone permanente nell’autunno
precedente (Boller, 1978; Girolami, 1981). In questi casi, vengono
introdotte femmine che hanno interrotto la diapausa o che stanno per
interromperla. È sufficiente rilasciare un basso numero di predatori, ad
esempio 50-100 femmine svernanti di K. aberrans o T. pyri per pianta
(corrispondenti a 1-2 femmine per gemma), per ottenere un controllo
soddisfacente dei Tetranichidi nel corso della stagione (Duso, 1989; Duso
et al., 1991; Duso e Pasqualetto, 1993; Duso e Vettorazzo, 1999).
L’esito delle introduzioni dipende dai principali fattori che influenzano
la sopravvivenza e la moltiplicazione dei Fitoseidi (selettività dei
prodotti fitosanitari, specie di acari fitofagi presenti, disponibilità di
alimenti alternativi, caratteristiche delle varietà, ecc.). Nei casi in cui
l’introduzione non sia coronata da successo, è fondamentale individuare
i fattori potenzialmente coinvolti. I più importanti tra quest’ultimi sono
gli effetti dei prodotti fitosanitari, l’andamento climatico, la
competizione interspecifica, la morfologia fogliare. Tuttavia, in alcuni
casi le introduzioni falliscono a causa di altri fattori, riconducibili forse
alle interazioni tra genotipi e ambiente (Tixier et al., 2002).
In un vigneto infestato da P. ulmi è stata valutata l’efficacia di alcune
popolazioni di Fitoseidi (K. aberrans, T. pyri, Ph. finitimus), provenienti
da vigneti trattati per più anni con mancozeb (Duso e Facchin, dati non
pubblicati). I Fitoseidi sono stati introdotti su parcelle trattate con
mancozeb o con folpet. La popolazione di K. aberrans ha colonizzato con
successo il vigneto sperimentale risultando sia efficace nel controllo di P.
ulmi sia competitiva nei confronti delle altre due specie di Fitoseidi. Le
introduzioni di T. pyri non hanno avuto esito positivo e non sono stati
individuati i fattori influenzanti tale fenomeno. Infine, le immissioni di
Ph. finitimus sono state coronate da successo solo nelle tesi trattate con
folpet a dimostrazione di un effetto negativo delle ripetute applicazioni
di mancozeb.
L’introduzione di ceppi di Fitoseidi resistenti nei confronti dei più
comuni fungicidi e insetticidi è oggetto di controversie dal momento che
la resistenza potrebbe essere associata a perdita di fitness (Duso et al.,
1992). È stato dimostrato che le popolazioni di T. pyri raccolte su piante
spontanee possiedono un maggior numero di varianti alleliche (per
l’enzima Glucosiofosfato-isomerasi) rispetto alle popolazioni raccolte nei
vicini vigneti (Duso et al., 1997b; Duso e Capuzzo, dati non pubblicati).
La riduzione della biodiversità a livello genetico potrebbe rivelarsi un
192
fattore critico nel lungo periodo. D’altra parte, l’aumento dei trattamenti
con ditiocarbammati e insetticidi in molti ambienti non lascia
intravedere alternative possibili all’introduzione di ceppi caratterizzati
da comprovata resistenza.
9.6. GLI
ACARI
FITOFAGI
RAPPRESENTANO
ANCORA
UN ’ IMPORTANTE
AVVERSITÀ DELLA VITE?
Un’indagine condotta nelle aree collinari del Veneto, nel corso del 1993,
rilevò la presenza dei Tetranichidi (P. ulmi e E. carpini) nel 55% dei
vigneti ma con densità quasi sempre contenute (Duso e Ren, 1997). La
diffusione dei Fitoseidi fu accertata nel 92% dei campioni, a
testimonianza di una gestione fitoiatrica apparentemente rispettosa
degli equilibri naturali. Il consumo di insetticidi e di acaricidi fu
modesto e l’impiego dei ditiocarbammati spesso limitato a 1-2
trattamenti l’anno. In quel periodo, l’impiego di insetticidi ed acaricidi si
ridusse in numerosi ambienti viticoli dell’Italia settentrionale.
Nell’ultimo decennio, la gestione fitoiatrica in viticoltura è stata
caratterizzata da un aumentato impiego di insetticidi destinati al
controllo di Scaphoideus titanus Ball, vettore della “Flavescenza dorata
della vite”, e di fungicidi ditiocarbammati (soprattutto mancozeb) atti a
contenere l’aggressività di avversità fungine come l’escoriosi. Questi
cambiamenti, più marcati in alcune regioni che in altre, avrebbero
potuto originare recrudescenze di Tetranichidi a causa della scarsa
selettività di alcuni prodotti fitosanitari nei confronti dei Fitoseidi e
degli insetti predatori.
Nel 2003, è stata condotta una nuova indagine negli stessi vigneti della
collina veneta, citati in precedenza, allo scopo di verificare eventuali
variazioni nei rapporti tra acari fitofagi e predatori in seguito ai
cambiamenti nella gestione fitoiatrica. A titolo di esempio, la
percentuale di vigneti trattati con insetticidi è passata dal 7%, nel 1993,
al 95% nel 2003. Contrariamente a quanto atteso, è stato rilevato un
decremento della diffusione dei Tetranichidi (33% dei vigneti) ed un
leggero aumento di quella dei Fitoseidi (97% dei vigneti). Tuttavia, il
numero di specie e le densità dei Fitoseidi sono risultati
tendenzialmente inferiori rispetto al 1993. I risultati osservati sono
probabilmente da imputare ad una maggiore diffusione di ceppi
resistenti delle due specie maggiormente presenti, T. pyri e K. aberrans
(Duso e Padoin, dati non pubblicati).
Le ripercussioni sugli equilibri biologici, in seguito all’aumento del
consumo di prodotti fitosanitari, non sembrano essersi verificate
neppure in altri ambienti viticoli italiani. Tra i fattori che possono aver
influenzato tale situazione si riporta l’impiego diffuso di chitinoinibitori
(ad es. flufenoxuron) caratterizzati da una certa attività acaricida (Ahn
et al., 1993) e da una moderata selettività nei confronti dei Fitoseidi
193
(Mori et al., 1999). Inoltre, si sono selezionate popolazioni di Fitoseidi
resistenti nei confronti di ditiocarbammati ed esteri fosforici.
Relativamente alle altre specie di Tetranichidi potenzialmente dannose
alla vite, meritano una certa attenzione le recenti infestazioni di T.
urticae nei vigneti siciliani (Tsolakis, com. pers.). Parallelamente, sono
state riscontrate infestazioni diffuse di Cal. vitis in varie regioni
italiane, europee ed extraeuropee. In realtà, i problemi legati a questa
specie sono confinati ai vigneti di recente impianto. L’impatto economico
di questa specie è stato oggetto di indagini accurate in Australia
(Bernard et al. 2005). La potenziale introduzione in Italia, da ambienti
extraeuropei, di una nuova entità affine a Col. vitis e dannosa alle
gemme della vite (Carew et al., 2004; Bernard et al., 2005) rappresenta
un elemento di preoccupazione.
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I fitofarmaci di origine vegetale
Cenni storici, attualità e prospettive di sviluppo
H. TSOLAKIS
Dipartimento di Scienze Entomologiche, Fitopatologiche, Microbiologiche
agrarie e Zootecniche (S.EN.FI.MI.ZO.), Università degli Studi di Palermo,
Viale delle Scienze, 13 Palermo 90128
[email protected]
Riassunto
I fitofarmaci di origine vegetale, insieme a quelli inorganici, hanno
rappresentato per oltre mezzo secolo il controllo chimico degli organismi
fitofagi. A partire dagli anni ’40 sono stati rapidamente sostituiti con
successo dai fitofarmaci di sintesi che hanno saturato il mercato
mondiale della difesa delle colture agrarie. Negli ultimi vent’anni si è
assistito ad un progressivo aumento della domanda di prodotti di origine
vegetale sia a causa dei problemi causati dall’abuso dei fitofarmaci di
sintesi alla salute umana e all’ambiente, che per il costante aumento
delle superfici agricole coltivate con il metodo dell’agricoltura biologica.
Nel presente lavoro vengono affrontate le problematiche legate allo
sviluppo di fitofarmaci di origine vegetale e prese in considerazione
alcune essenze vegetali che presentano caratteristiche compatibili con lo
sviluppo industriale di fitofarmaci vegetali.
Parole chiave: Fitofarmaci vegetali, Annona, Melia, Artemisia, Citrus.
Abstract
Botanical pesticides: historical notes, news and opportunity
of development
Botanical and inorganic pesticides have represented materials used in
the chemical control of agricultural pests in the first half of the past
century. After the 2nd world war, they were rapidly and successfully
replaced by synthetic organic pesticides. In the last two decades a
progressive increase of demand of botanical pesticides was registered,
due both to the problems on the human health and the negative
influence on the environment caused by the abuse of chemicals and to
the constant increase of the Organic Agriculture crops. In the present
paper the different problems related with the future of the development
of botanical pesticides are discussed; further on some botanical species
having features industrially expoitable are also mentioned.
Key words: Botanical pesticides, Annona, Melia, Artemisia, Citrus.
205
10.1. INTRODUZIONE
Con l’avvento della moderna agricoltura, sul finire del 19° secolo, la
difesa delle colture agrarie dai parassiti venne affidata in buona parte
al controllo biologico e in parte ai fitofarmaci che in quell’epoca appena
si affacciavano nel mercato. I primi fitofarmaci utilizzati in agricoltura
erano principalmente composti inorganici dell’arsenico (arseniato di
piombo e di calcio), miscele solfocalciche (polisolfuri di calcio e di bario),
composti del mercurio e del fluoro, derivati nitrici (dinitroortocresoli), oli
minerali sottoprodotti dell’industria petrolifera, sostanze di origine
vegetale (nicotina, piretro, rotenone) etc.
L’aumento delle superfici coltivate e la difficoltà di controllare alcune
specie di fitofagi con la lotta biologica, hanno indirizzato i ricercatori del
settore ad intensificare le ricerche per scoprire nuovi insetticidi da
utilizzare nella difesa delle colture agrarie.
10.2. CENNI STORICI
Negli anni ’40 del secolo scorso, Roark (1947) sosteneva che le ragioni
per cercare nuovi pesticidi nel regno vegetale o comunque di origine
naturale erano principalmente quattro:
1. combattere i fitofagi che non potevano essere controllati con altre
tecniche;
2. eliminare i prodotti chimici nocivi nei confronti dell’uomo;
3. trovare sostituti per i fitofarmaci esistenti;
4. provvedere ad aumentare il ridotto numero di prodotti, allora,
esistente.
Queste raccomandazioni sono state per buona parte disattese. Si è,
infatti, cercato di fornire risposte al principale bisogno, che era quello
della difesa, con la sintesi di nuove molecole con forte attività
insetticida. A partire dal dopoguerra, infatti, e per almeno un ventennio,
il controllo dei fitofagi delle colture agrarie si è basato, prevalentemente
e con successo, sull’uso di prodotti chimici di sintesi (clororganici,
fosforganici e carbammati).
Le ragioni dell’affermazione dei fitofarmaci di sintesi, sono
principalmente le seguenti:
1. il basso costo di produzione;
2. la facilità d’uso;
3. l’effetto immediato;
4. la lunga persistenza d’azione.
Per questi motivi il mercato dei fitofarmaci ha avuto un notevole
sviluppo, raggiungendo il suo apice negli anni Settanta. Solo negli Stati
Uniti, in questo periodo, venivano utilizzate annualmente circa 450.000
tonnellate di insetticidi (McEwen, 1977).
Ben presto, però, si notarono gli effetti deleteri di questi prodotti, per la
206
loro azione negativa sulla salute degli operatori agricoli (tossicità acuta)
(Spear et al., 1975) e per la rottura dell’equilibrio naturale dei sistemi
dove essi venivano impiegati.
Diversi studiosi, comunque, consapevoli del pericolo insito delle
molecole di sintesi, continuavano a mettere in guardia gli operatori del
settore e a proporre valide alternative all’abuso di fitofarmaci di sintesi
(Crosby, 1971; Chapman, 1974; Onillon, 1974; Brown, 1974; Benham,
1974; Viggiani & Iannaccone, 1973).
Ormai sono noti, per molti composti di sintesi, gli effetti cancerogeni e
immunodepressivi nei confronti di diversi vertebrati compreso l’uomo
(Murphy, 1986), così come è nota la presenza di ceppi di fitofagi
resistenti alla maggior parte dei prodotti chimici di sintesi esistenti in
commercio (Brader, 1977). A questi effetti negativi, inoltre, si possono
aggiungere gli effetti deleteri della maggior parte di questi prodotti nei
confronti degli insetti utili, l’effetto acarostimolante di alcuni
carbammati e l’insorgenza di massicce infestazioni di specie fitofaghe
che prima non procuravano danni economici.
10.2.1. L’evoluzione della domanda di fitofarmaci di origine
vegetale nei paesi occidentali
Gli effetti negativi dei fitofarmaci di sintesi sulla salute umana e nei
confronti dell’ambiente, associati alla sempre crescente attenzione dei
consumatori sulla salubrità dei prodotti agricoli, hanno portato, nei
paesi occidentali, a una progressiva diminuzione dell’uso di sostanze
chimiche di sintesi. Negli U.S.A., il consumo medio annuale di
fitofarmaci è passato dalle 450.000 tonnellate degli anni ’70 a circa
100.000 tonnellate negli anni ’90 (FAO, 1997). Un simile andamento si è
verificato anche in Italia (dalle 52.000 tonnellate negli anni ’80, alle
33.000 tonnellate nel 2003) (ISTAT, 2003).
Alla diminuzione di consumo di fitofarmaci a vasto spettro d’azione,
corrisponde da una parte la messa a punto di metodologie di controllo
alternative e dall’altra la ricerca per l’individuazione di nuove sostanze
a basso impatto ambientale in grado di controllare le popolazioni di
fitofagi divenute resistenti agli insetticidi convenzionali. Questi
prodotti, inibitori della chitina, ormonosimili e regolatori di crescita,
sono generalmente meno tossici per l’uomo ma la loro selettività nei
confronti degli artropodi utili è stata spesso messa in discussione
(Angeli et al., 2000; Bortolotti et al., 1999; Hassan et al., 1991; Mendel et
al., 1994; Viggiani & Loia, 1991).
Nella difesa delle colture agrarie, quindi, si inizia ad orientarsi sempre
più spesso verso l’adozione di metodologie di controllo a basso impatto
ambientale come il Controllo biologico o il Controllo Integrato. In altri
casi gli agricoltori si sono indirizzati verso quei processi produttivi, nei
quali è assolutamente vietato l’uso di sostanze chimiche di sintesi, come
l’Agricoltura biologica (AB). Quest’ultima ha avuto un notevole
207
incremento delle sue superfici nell’ultimo ventennio nei paesi
occidentali ed in Europa in particolare, dovuto da un lato al costante
aumento della domanda di prodotti agricoli biologici da parte dei
consumatori e dall’altro per gli aiuti economici che i diversi Governi
occidentali elargivano agli agricoltori che adottavano queste tecniche di
coltivazione (regolamento CEE 2092/91). Attualmente la superficie
coltivata in biologico in Europa rappresenta il 3,5% della SAU,
corrispondente a 5,7 milioni di Ha, mentre in Italia la superficie agricola
a conduzione biologica è passata da 91.500 Ha nel 1993 (MIRAAF, 1998)
a 1.052.002 Ha nel 2003 (MIPAF, 2004).
I primi operatori del settore hanno dovuto affrontare il problema del
reperimento sia di notizie attendibili circa l’efficacia di essenze vegetali
nei confronti dei principali fitofagi che dovevano combattere, che le
essenze vegetali stesse. Inizialmente i preparati vegetali venivano
creati in azienda (macerati di ortica, di equiseto, di assenzio, ecc.) con
conseguenti problemi di efficacia dei trattamenti perché la
concentrazione delle sostanze attive non poteva essere valutata e
l’acqua non rappresenta sempre il migliore solvente per l’estrazione di
sostanze biocide (Merz, 1987).
Si è creata, quindi, negli ultimi vent’anni, nei paesi occidentali, una
considerevole domanda di fitofarmaci di origine vegetale che alcune case
farmaceutiche hanno cercato di colmare con il piretro, estratto dai
capolini di Chrysanthemum cinerariaefolium Benth. & Hook. e il
rotenone, estratto dalle radici di alcune leguminose tropicali (Derris
elliptica (Wall.), Lonchocarpus spp. e Tephrosia sp.). Entrambi i prodotti
costituivano nell’immediato dopoguerra i principali fitofarmaci
utilizzati nella difesa delle colture. Il loro declino iniziò negli anni ’60 a
causa dell’immissione in commercio dei clororganici e degli esteri
fosforici. Negli USA ad esempio, nel 1947, venivano importate 6.700
tonnellate di D. elliptica, mentre nel 1963 l’importazione era scesa a
1.500 tonnellate (Wink, 1993). La scelta di questi due prodotti si basava
sul fatto che erano gli unici, negli anni ’80 e ’90, in grado di fornire una
risposta simile a quella dei fitofarmaci di sintesi, essendo entrambi
prodotti a vasto spettro d’azione e potevano far fronte, dal punto di vista
quantitativo, alla domanda del mercato.
10.2.2. L’evoluzione della domanda di fitofarmaci di origine
vegetale nel resto del mondo
Nei paesi africani, asiatici nonché in qualche paese dell’America latina
si è arrivati oggi ad una situazione simile a quella dei paesi occidentali,
attraverso percorsi diversi. In vari paesi in via di sviluppo, in particolare
africani e sudamericani, con particolare vocazione per alcune colture
importanti per l’occidente (Caffé, Thé, Cacao, Banane, Riso etc.), si era
arrivati ad impegnare nel campo agricolo grandi risorse economiche che
promettevano un interessante sviluppo locale. Questo sviluppo era
208
particolarmente promettente in particolare dove, come ad esempio la
fascia umida sub Sahariana, le aziende non erano in mano alle
multinazionali ma ad impenditori agricoli medio-piccoli.
La crisi economica che ha colpito questi paesi negli anni ’80, ha portato
ad una diminuzione dei sussidi Governativi verso l’agricoltura e ad una
forte svalutazione delle monete nazionali con conseguente aumento dei
prezzi dei prodotti di sostegno all’agricoltura: fertilizzanti e fitofarmaci
in particolare. Gli agricoltori di questi Paesi si sono trovati in poco
tempo privi di mezzi che sino ad allora erano indispensabili per il buon
fine del ciclo produttivo e costretti a trovare strategie alternative al
controllo chimico con i pesticidi di sintesi. Si sono rivolti, quindi, in
piccola parte alle tecniche di controllo biologico, a causa di mancanza di
tecnici e di conoscenze ed in buona parte alle conoscenze locali sulle
proprietà officinali di alcune essenze vegetali del luogo, in grado di
svolgere attività insetticida (Coulibaly et al., 2002). Questi estratti, che
a volte venivano mescolati con una piccola parte di insetticida di sintesi,
in breve tempo sostituirono egregiamente i fitofarmaci di sintesi, tanto
da destare l’interesse scientifico di alcuni centri di assistenza e ricerca
agricola locali che hanno cominciato a studiare il fenomeno ed a
proporre strategie diverse di sviluppo.
In questi paesi è stata, quindi, adottata, da una parte una strategia a
breve termine che consiste nel mettere insieme le conoscenze popolari
sulle proprietà delle piante officinali indigene e dall’altra prove in vitro
effettuate da centri di assistenza locali per individuare le piante con i
principi attivi più promettenti (Boeke et al., 2004). Queste strategie
mirano principalmente all’acquisizione di informazioni per risolvere
l’immediato problema della penuria di fitofarmaci di sintesi piuttosto
che all’affrancazione dalla dipendenza all’economia occidentale.
Vengono, quindi, adottate tecniche di estrazione semplici, in modo da
essere eseguite con facilità a livello aziendale (es. macerati in acqua di
parti vegetali fresche od essicate).
In altri paesi (es. Cuba) che affrontano, per motivi diversi, la penuria di
fitofarmaci di sintesi, è stata messa in atto una strategia a due velocità.
La prima ha lo scopo di fornire nell’immediato, “accettabili”
tecnicamente, sostituti dei fitofarmaci di sintesi, mentre la seconda, di
medio-lungo termine, mira all’identificazione di sostanze chimiche
responsabili dell’azione tossica con lo scopo di fornire nel futuro prodotti
maggiormente concentrati ed efficaci (De Cupere et al., 2001).
10.3. RICERCA SCIENTIFICA E PROSPETTIVE DI SVILUPPO
Questi avvenimenti dell’ultimo mezzo secolo hanno portato all’attuale
bisogno di risposte alternative al controllo chimico con prodotti di sintesi
e al conseguente aumento della domanda di fitofarmaci di origine
209
vegetale a livello mondiale. Risulta altrettanto ovvio che alla base di
possibili soluzioni a questa esigenza si trova la ricerca scientifica.
Come si evince dalla letteratura le ricerche scientifiche, a partire dagli
ultimi decenni dell’Ottocento, sono state limitate fino agli anni sessanta
ed hanno raggiunto il culmine, per il costante aumento dell’interesse
scientifico per l’argomento, negli anni ottanta.
Analizzando la distribuzione delle pubblicazioni scientifiche
sull’argomento, nel mondo, si nota che oltre il 60% delle ricerche sulle
essenze vegetali ad attività biocida si sono svolte nell’ultimo secolo non
in un paese occidentale, bensì in India.
Negli USA, la ricerca in questo settore inizia a svilupparsi a partire
dagli anni settanta, raggiunge l’apice nella prima metà degli anni
ottanta e subisce una diminuzione negli anni novanta. Questa
riduzione, comunque, sembra più legata ad un orientamento della
ricerca verso l’identificazione e l’evoluzione delle molecole presenti negli
estratti vegetali piuttosto che ad un abbandono di questo settore di
ricerca (Hedin et al., 1997). A partire dagli anni ’90, infatti, si è
registrato un grande interesse per l’argomento, non solo degli Istituti di
ricerca accademica, ma anche delle industrie farmaceutiche.
Le ragioni per potenziare, oggi, la ricerca di nuovi fitofarmaci possono
essere così riassunte:
– la necessità di fornire agli agricoltori adeguati prodotti per la lotta ai
parassiti delle colture; il numero di nuove molecole immesse nel
mercato, infatti, è di di gran lunga inferiore al numero di quelle nel
frattempo eliminate (Isman, 1995). In Italia si è passati dai 106
principi attivi ad azione insetticida-acaricida del 1990 agli 86 di oggi
(Muccinelli, 1990; 2004);
– trovare principi attivi con bassa tossicità nei confronti degli animali
omeotermi;
– individuare fitofarmaci selettivi;
– trovare principi attivi che non lascino residui nell’ambiente.
La chimica ha dimostrato nell’ultimo secolo di essere in grado di
sintetizzare migliaia di molecole con attività biocida. D’altra parte le
piante vantano un’esperienza evolutiva di circa 400 milioni di anni. In
questo periodo c’è stata una coevoluzione tra piante ed insetti e si è
arrivati ad un equilibrio generale dove chi subisce l’attacco, spesso, non
mira all’eliminazione dell’avversario ma al controllo delle sue
popolazioni. Questo tipo di strategia evolutiva ha portato alla biosintesi
di numerose molecole, presenti, di solito a basse concentrazioni nella
pianta, capaci di provocare disturbi o in alcuni casi la morte di piccoli
artropodi che in qualche modo le ingeriscono. Gli artropodi, d’altra
parte, hanno sviluppato, in alcuni casi, processi di neutralizzazione di
alcune di queste molecole e in altri casi la capacità di riconoscere certe
specie di piante dall’odore da esse emanato ed evitare di nutrirsi su
queste, perché contengono sostanze che possono essere dannose per il
loro metabolismo.
210
L’evoluzione biochimica di alcune molecole, presenti nei vegetali, che
posseggono una qualche attività biologica nei confronti di diverse specie
di artropodi è stata dimostrata di recente (Gang et al., 1997). Le lignine,
ad esempio, sono composti presenti in moltissime specie di Angiosperme
e presentano attività biologica su diverse specie di insetti e provengono
dal pinoresinolo e dal lariciresinolo presenti nelle piante poco evolute e
nelle Gimnosperme. In modo simile, gli isoflavonoidi, famiglia di
molecole famose per la presenza nel gruppo del rotenone, provengono
dall’enzima isoflavone reduttassi.
Di solito non è una singola molecola ad avere l’attività biologica
desiderata, ma l’azione combinata di diverse molecole. In tal modo si
ottiene quello che possiamo definire come “equilibrio sinergico” che
esercita la sua azione nei confronti di alcune specie di artropodi
(Berenbaum, 1985). La validità ecologica di questa strategia risiede nel
fatto che risulta più difficile per le specie fitofaghe neutralizzare un
gruppo di molecole che agiscono insieme piuttosto che una singola
molecola (Feng & Isman, 1995). Un altro motivo della validità di questa
strategia adottata dalle piante è legato a quella che si può definire
“strategia contentiva”, che non mira cioè all’eliminazione dell’avversario,
ma al contenimento delle sue popolazioni. In questo modo la pressione
selettiva è bassa e non permette, almeno in breve tempo, la formazione
di ceppi resistenti.
Lo sviluppo di prodotti ecocompattibili per difesa delle colture agrarie
potrebbe, quindi, basarsi su:
– Miscele di molecole ad azione sinergica che non mirano alla
distruzione delle popolazioni del fitofago ma al loro contenimento;
– Miscele o singole molecole ad azione repellente in grado di tenere
lontane le popolazioni fitofaghe dalle colture agrarie.
Molto spesso negli estratti vegetali si trovano tutti questi effetti
insieme.
10.3.1. Problematiche applicative
A questi dati, così promettenti per la difesa ecocompatibile delle colture
agrarie, non ha corrisposto, finora, un pari livello di interesse economicoapplicativo. Le ragioni sono molteplici e coinvolgono motivazioni di
carattere politico, economico e sociale.
Un fitofarmaco per essere definito tale ed essere prodotto e
commercializzato deve soddisfare, principalmente, le seguenti
condizioni:
BIOLOGICHE
– Bassa tossicità nei confronti dei vertebrati;
– Completa degradazione nell’ambiente;
– Selettività nei confronti dei nemici naturali e degli impollinatori;
– Assenza di fitotossicità.
211
PRATICHE
– Disponibilità della materia prima;
– Costi di produzione accettabili;
– Normalizzazione del processo produttivo;
– Protezione commerciale del prodotto (brevetto);
– Approvazione legale.
L’idea che si ha nei confronti dei prodotti naturali è che essi siano di loro
natura innocui, cosa non necessariamente vera almeno che non venga
dimostrata. Diversi prodotti di origine vegetale sono altamente tossici
anche per gli animali omeotermi, giacché i bersagli della loro azione
rappresentano meccanismi simili in tutti gli esseri viventi (es. blocco
della catena del trasporto di elettroni a livello mitocondriale), mentre
altri, nonostante potenzialmente tossici (es. rianodina), sono considerati
innocui per i mammiferi alle dosi consigliate per l’uso. Pertanto, la loro
tossicità può notevolmente variare, ma la loro persistenza è, di solito,
breve per tutti (Isman, 1995). La maggior parte di queste molecole
organiche, infatti, è termo e/o fotolabile (Lange, 1984; Barnby et al.,
1989); di conseguenza la loro persistenza all’aria aperta dura da poche
ore a pochi giorni (Cabras et al., 2002). Tuttavia un importante ruolo
sulla persistenza di una sostanza sui/nei tessuti vegetali è svolto dalla
sua capacità di penetrare rapidamente attraverso lo strato epicuticolare
e fermarsi o superare quello cuticolare che riduce l’azione degradativa
dei raggi ultravioletti (Riederer & Schreiber, 1995; Cabras et al., 2002).
La facile degradazione di queste sostanze, che tutt’oggi viene
considerata da molti una proprietà negativa, potrebbe essere rivalutata
nella strategia della difesa integrata. Una breve persistenza della
sostanza tossica sulla coltura, infatti, potrebbe permettere il rapido
ripopolamento dei nemici naturali, riducendo così gli effetti negativi che
il principio di Volterra prevede per ogni agente che disturba l’equilibrio,
di per sé precario, dell’agroecosistema.
Anche la selettività dei prodotti di origine vegetale nei confronti dei
nemici naturali è molto varia. Così come per i fitofarmaci di sintesi, si
può individuare una seletività fisiologica, attribuibile alla caratteristica
della molecola di risultare nociva per il fitofago e non per il suo/i
nemico/i naturale/i e una selettività secondaria che è la conseguenza
della modalità di assunzione e di distribuzione del prodotto.
Si può, sino ad oggi, affermare che poche molecole organiche di origine
vegetale, considerate singolarmente, posseggono una selettività
fisiologica. D’altro canto, le notizie scientifiche sull’argomento sono
scarse, a parte alcuni studi effettuati sulle azadirachtine (Stark et al.,
1992). La selettività degli estratti vegetali probabilmente è legata
proprio alla caratteristica dell’azione sinergica di diverse molecole che
presentano un’elevata attività biologica nei confronti di alcune specie di
artropodi, mentre le singole molecole, potenzialmente tossiche per tutte
le specie, non esplicano un’azione negativa su altre specie di artropodi
212
nella quantità presente nella miscela. Diversi estratti di semi di
Azadirachta indica A. Juss, ad esempio, hanno mostrato una forte
attività biocida nei confronti di Tetranychus urticae Koch, mentre si
sono dimostrati legermente tossici od innocui, alle stesse concentrazioni,
per il suo predatore obbligato Phytoseiulus persimilis Athias-Henriot
(Mansour et al., 1986). Simili risultati si sono ottenuti sullo stesso
fitofago e su diverse specie di predatori fitoseidi utilizzando estratti di
Quassia spp., Melia azedarach L. e Artemisia absinthium L. (Tsolakis et
al., 1997; Ragusa et al., in corso di stampa).
Se, da una parte, le sostanze di origine vegetale soddisfano ampiamente
i criteri biologici, specialmente sotto forma di miscele, dall’altra, non si
può affermare lo stesso per i criteri pratici.
Sono, infatti, questi criteri, nella maggior parte dei casi, a costituire un
ostacolo alla formulazione e commercializzazione dei fitofarmaci di
origine vegetale.
La disponibilità quantitativa e temporale delle materie prime e i costi di
produzione accettabili sono considerati i criteri fondamentali per lo
sfruttamento industriale/economico di un prodotto. Questi, infatti, sono
stati i principali motivi dell’affermazione, nella prima metà del secolo
scorso, del piretro naturale e del rotenone, oltre che per le proprietà
insetticide intrinseche dei prodotti. E per gli stessi motivi,
principalmente, si sono affermati nella seconda metà del secolo scorso i
fitofarmaci si sintesi. I resti della lavorazione del petrolio costituivano
un’inesauribile fonte a basso costo per la formulazione di nuovi
fitofarmaci. Materia prima la cui disponibilità, tra l’altro, era
strettamente legata all’economia dei paesi industrializzati e, nonostante
la dipendenza in gran parte dal terzo mondo, essendo l’offerta
concentrata, garantiva un costante approvvigionamento e piccole
oscillazioni nei costi. Al contrario, alle materie prime di origine vegetale,
erano legate una serie di variabili che le rendevano man mano meno
appettibili per lo sfruttamento industriale. La dipendenza dagli
andamenti climatici delle produzioni, infatti, influenzava sia la quantità
che la qualità del prodotto e di conseguenza non solo la disponibilità e i
costi di produzione ma anche la normalizzazione del processo
produttivo. A questi problemi si aggiungeva, inoltre, la stretta
dipendenza dai paesi del terzo mondo e la forte frammentazione
dell’offerta che, oltre a non garantire la disponibilità nel tempo, faceva
lievitare i costi di produzione.
Oggi la situazione è cambiata e non solo per l’incertezza futura sulle
riserve di petrolio ed il conseguente aumento dei prezzi ma anche, o
soprattutto, per la maggiore sensibilità dell’opinione pubblica sui temi
della salute umana e dell’ambiente.
I limiti su accennati per lo sfruttamento industriale dei fitofarmaci di
origine vegetale rimangono in buona parte gli stessi. Le nuove
tecnologie, certamente, hanno influenzato positivamente i processi di
estrazione abbattendo i costi di produzione, ma rimane sempre il
213
problema della disponibilità quantitativa e temporale delle materie
prime. D’altra parte i fitofarmaci di origine vegetale posseggono dei
limiti intrinseci legati alla normalizzazione del processo produttivo.
Come già accennato, questi prodotti sono composti da una miscela di
sostanze ad azione sinergica. Se da una parte questa caratteristica
costituisce un grande vantaggio evitando la formazione di ceppi
resistenti (Feng & Isman, 1995), dall’altra è uno svantaggio per quel che
riguarda la standardizzazione del processo produttivo ed il controllo di
qualità. I fitofarmaci, sia di origine vegetale che di sintesi, per entrare
nel mercato devono, per legge, contenere una determinata
concentrazione dei principi attivi che ne assicurino l’efficacia dichiarata.
Risulta, pertanto, abbastanza difficile stardardizzare il processo
produttivo per un prodotto che di principi attivi ne contiene da un
minimo di 4-5 ad una quarantina! A ciò si aggiunge il fatto che la
concentrazione delle sostanze attive nella materia prima è una variabile
legata alle condizioni ambientali.
Questa caratteristica, d’altra parte, diventa uno svantaggio anche per
quel che riguarda l’approvazione legale del prodotto nonché la
protezione commerciale (brevetto). La legislazione per l’immissione in
commercio dei fitofarmaci si è creata ed evoluta praticamente con
l’industria agrochimica. Tutti i protocolli regolativi, in vigore oggi, sono
stati sviluppati attorno alle sostanze di sintesi con un notevole grado di
purezza chimica. Ogni fitofarmaco, per entrare nel mercato, deve avere
l’autorizzazione per ogni singola sostanza che contiene e per la quale
sono stati effettuati tutti gli esami previsti dai protocolli legislativi.
Cercare di far passare al vaglio di questi protocolli un fitofarmaco di
origine vegetale, costituito da una miscela di sostanze attive, risulta
un’impresa alquanto ardua. Gli estratti vegetali che contengono forti
concentrazioni di poche sostanze attive (1 o 2), come il piretro e il
rotenone, riescono ad adattarsi abbastanza facilmente alle regole
attuali, mentre quelli che ne contengono numerose hanno forti difficoltà
a superare questi limiti. D’altra parte, mentre la sostanza creata ex novo
in laboratorio può essere protetta da brevetto che permette l’esclusiva
dell’azienda che lo detiene, non si può brevettare una sostanza presente
in natura. È brevettabile la tecnica di estrazione e la quota dei vari
componenti, ma entrambe le soluzioni non costituiscono una protezione
invalicabile, tale da indurre le aziende ad affrontare i costi per
l’ottenimento del brevetto.
A questi problemi se ne aggiunge un altro prettamente economico. I costi
per lo studio di supporto per la registrazione di un fitofarmaco si aggira
intorno a euro 300.000 ma potenzialmente potrebbe superare 1,5 milioni.
È ovvio che un’azienda accetta di affrontare questi costi solo quando,
oltre ad avere la sicurezza sull’efficacia del prodotto, ha delle ragionevoli
possibilità di ottenerne la registrazione per poter entrare nel mercato.
Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui le multinazionali
farmaceutiche non sono ancora apertamente interessate a questo settore
214
ed è certamente la ragione per cui molte aziende farmaceutiche mediopiccole del settore agricolo sono interessate ad occupare questa nicchia di
mercato sperando ad un futuro ampliamento. Diventa, pertanto,
proibitivo per queste aziende affrontare i costi per la registrazione di
nuovi fitofarmaci di origine vegetale con la legislazione attuale.
In India hanno superato questo problema con una registrazione
provisoria di 2-5 anni, basata su una serie di prove di tossicità acuta in
laboratorio e sulla fauna selvatica (Isman, 1997). Se i risultati sono
favorevoli si concede una registrazione provvisoria che permette
all’azienda di entrare nel mercato ed iniziare a recuperare i costi
affrontati, con l’obbligo di fornire alle autorità, durante questo periodo,
i risultati delle prove a lungo termine nonché altri dati riguardanti
l’impatto sull’ambiente. In questo caso la registrazione definitiva o il suo
rifiuto avviene al termine di questo periodo.
Negli USA si è sviluppata negli ultimi anni una certa elasticità nei
confronti dei fitofarmaci considerati a basso rischio. Così, in presenza di
una miscela di sostanze di origine vegetale, sono presi in considerazione
solo i principali componenti mentre quelli secondari vengono considerati
innocui.
In altri paesi occidentali è stata adottata la politica di incontri di
consultazione pre-registrazione tra l’azienda farmaceutica e l’Autorità
che concede la registrazione che mira ad una valutazione effettiva di
ogni singolo caso con la possibilità di derogare la presentazione dei
risultati di alcune prove previste per i prodotti di sintesi.
10.4. ESSENZE VEGETALI DI INTERESSE ECONOMICO
Sono riportate in letteratura oltre 2.000 specie vegetali contenenti
sostanze con attività biologica nei confronti di numerosi organismi
dannosi alle colture agrarie (Ahmed et al., 1984), ma sono poche decine
le essenze vegetali con caratteristiche promettenti per quel che riguarda
lo sviluppo di fitofarmaci.
Considerando la serie dei criteri biologici e pratici sopra citati, si
riportano di seguito alcune essenze vegetali che sono presenti nel
territorio italiano o facilmente reperibili e potrebbero, quindi, fornire la
materia prima per la costituzione di fitofarmaci di origine vegetale.
10.4.1. Annona spp.
La polvere di semi di diverse specie di Annona veniva adoperata come
insetticida tradizionale in varie regioni tropicali (Isman, 1995). Da studi
effettuati sugli effetti delle anonacee nei confronti degli artropodi
dannosi si sa, ad esempio che la polvere di semi di annona ha un lungo
effetto repellente, almeno 100 giorni, nei confronti di Callosobruchus
maculatus F. (Pandey & Varma, 1978). Estratti di foglie di Annona
215
squamosa hanno mostrato una forte azione fagodeterrente nei confronti
di alcuni lepidotteri (Kulkarni et al., 2003), mentre su altri bloccano lo
sviluppo larvale (Ohsawa et al., 1991; Leatemia & Isman, 2004). Estratti
acquosi ed acetonici di semi di Annona cherimola hanno mostrato una
forte azione biocida nei confronti dei vari stadi dello sviluppo
ontogenetico di T. urticae, ma anche nei confronti del fitoseide predatore
Cydnodromus californicus (McGregor) (Ragusa et al., in corso di
stampa).
Le proprietà insetticide di questo gruppo di piante, è stata inizialmente
attribuita ad una serie di alcaloidi (benzilisoquinolini) (Jacobson &
Crosby, 1971), ma successivamente è stato dimostrato che i principi
attivi delle anonacee sono attribuibili alle acetogenine (Jolad et al.,
1982). Questi composti, sin dalla loro scoperta, costituiscono una classe
di prodotti bioattivi naturali di grande interesse. Chimicamente sono
delle lunghe catene di acidi grassi e biologicamente tra i più potenti
inibitori specifici del complesso I nel sistema del trasporto elettronico
mitocondriale e del NADH-citocromo c-reduttasi della membrana
citoplasmatica (Londershausen et al., 1991; Barrachina et al., 2004).
Queste azioni provocano l’apoptosi (cioè la morte programmata della
cellula) forse a causa del blocco dell’ATP. L’applicazione di queste
sostanze come insetticide o antitumorali offre oggi grandi potenzialità,
specialmente per contrastare alcuni meccanismi di resistenza che
richiedono, per l’eliminazione dalla cellula dei residui dannosi, l’aiuto
dell’ATP (McLaughlin et al., 1997).
Il meccanismo d’azione è simile a quello conosciuto per il rotenone anche
se l’azione inibitoria delle acetogenine risulta più forte e non si limita
solo ai mitocondri degli artropodi ma anche dei mammiferi
(Londershausen et al., 1991). Questa caratteristica potrebbe spiegare il
ritardato interesse delle aziende fitofarmaceutiche per questi composti
anche se esistono casi di insetticidi, a base di acetogenine, già brevettati
(Mikolajczak et al., 1988).
D’altra parte non ci sarebbero problemi di disponibilità della materia
prima (semi) giacché la coltura delle varie annonacee è difusa in molti
paesi. In Italia la specie è presente in Calabria ed in Sicilia anche se, a
causa di problemi legati all’impollinazione ed in parte per problemi
commerciali la coltivazione di questa essenza stenta a diffondersi
(Caleca et al., 2002). D’altra parte questa coltura è molto diffusa in
Indonesia, dove l’industria dei succhi di frutta produce annualmente
tonnelate di semi di scarto (Isman, 1995), nelle Filippine, in Cile, in
Israele ed in Spagna (Schroeder, 1971; Farrè Massip, 1993; Gazit et al.,
1982; Vargas-Mesina, com. pers.).
10.4.2. Melia azedarach L.
Specie appartenente alla famiglia Meliaceae, è originaria della parte
nord-occidentale dell’India. E’ diventata cosmopolita per la sua
216
plasticità nell’adattarsi nei climi temperati e la sua particolare velocità
di crescita. È presente in tutto il bacino del Mediterraneo e viene, spesso,
utilizzata per alberare i viali dei centri abitati.
I semi di Melia contengono una grande quantità di terpenoidi e limonoidi
alcuni dei quali, come le meliacarpine di recente scoperta, hanno
dimostrato un’attività insetticida e di controllo della crescita
paragonabile a quella dimostrata dai limonoidi presenti nella più nota A.
indica (Bohnenstengel et al., 1999). Altri limonoidi, invece, hanno
mostrato un’interessante azione fagodeterrente (Huang et al., 1995).
Oltre all’azione insetticida, gli estratti acquosi ed acetonici di semi di M.
azedarach provenienti dalla Sicilia, hanno mostrato anche una buona
azione acaricida, nei confronti di T. urticae, mentre hanno avuto
un’azione meno tossica nei confronti di alcune specie di fitoseidi (Ragusa
et al., in corso di stampa). D’altra parte la selettività di questi estratti è
stata riportata anche per altri nemici naturali come il braconide Cotesia
plutellae (Kurdjumov) e l’icneumonide Diadromus collaris (Gravenhorst)
(Charleston et al., 2005).
La capacità di questa pianta di adattarsi in condizioni pedo-climatiche
marginali, la renderebbe una buona candidata per la valorizzazione di
vaste aree marginali del meridione, creando, tra l’altro, i presupposti per
una futura valorizzazione commerciale dei semi che abbondantemente
produce.
10.4.3. Artemisia spp.
Questo genere appartenente alla famiglia Compositae comprende
diverse specie erbacee presenti in varie zone della terra. Le specie,
tuttavia, più conosciute sono Artemisia absinthium L. e Artemisia
annua L. La prima per le note proprietà vermifughe attribuitegli dalla
medicina popolare e dalla famosa, nell’ottocento, bevanda ottenuta dalla
macerazione dei capolini nell’acquavite e la seconda per le sue proprietà
officinali note ai cinesi dai tempi antichi e per la recente scoperta di
principi attivi con proprietà antimalariche (Van Geldre et al., 1997;
Statistics Division of the United Nations, 2002).
Gli estratti di assenzio hanno mostrato un’attività fagodeterrente nei
confronti di Cydia pomonella (L.) (Suomi et al., 1986), mentre nei
confronti di T. urticae hanno causato una moderata mortalità (Tsolakis
et al., 1997; Chiasson et al., 2001) ed un’interessante azione repellente
(Ragusa et al., in corso di stampa). D’altra parte la polvere di Artemisia
sp. si è mostrata molto efficace nel controllo di Acarapis woodi (Rennie)
e nel contempo non ha mostrato effetti negativi sull’ape (Abu-Zaid &
Salem, 1991). Attività acaricida nei confronti di acari parassiti ha
mostrato anche l’olio essenziale di A. absinthium nei confronti di
Dermanyssus gallinae De Geer (Kim et al., 2004).
Sono stati segnalati, inoltre, nuovi lignani provenienti da Artemisia
sieversiana Ehrhart ex Willd con attività fungicida (Tan et al., 1998)
217
mentre l’artemisina, un componente attivo in A. annua è considerato un
potente agente di controllo del plasmodio della malaria specialmente
per i ceppi resistenti ai farmaci convenzionali (Van Geldre et al., 1997).
Le su accennate specie di Artemisia sono attualmente coltivate in
diverse parti del mondo (Italia, Ungheria, Bulgaria, Cina), anche se la
quantità di materia prima viene considerata attualmente insufficiente
per un utilizzo industriale nel campo farmacologico e fitofarmaceutico
(Van Geldre et al., 1997; Statistics Division of the United Nations,
2002).
10.4.4. Citrus spp.
I limonoidi sono un gruppo di triterpenoidi comuni nelle Rutaceae e
Meliaceae. All’interno della famiglia Rutaceae sono stati segnalati 36
limonoidi agliconi e 17 limonoidi glucossidi per le varie specie del genere
Citrus e loro ibridi (Fong et al., 1989). Fino alla fine degli anni Settanta
l’interesse nei loro confronti era legato alle proprietà negative
(retrogusto amaro) che queste sostanze conferivano ai succhi di frutta.
La tipologia dell’interesse verso questi limonoidi è cambiata dopo la
scoperta delle proprietà insetticide dei terpenoidi presenti in A. indica,
ma soprattutto dopo la scoperta delle proprietà antitumorali della
limonina e di altri limonoidi delle rutacee (Klocke & Kubo, 1982; Alford
et al., 1987; Lam & Hasegawa, 1989; Miller et al., 1989).
A partire dagli anni ottanta l’attività scientifica sui limonoidi ed in
particolare su limonina, nomilina e obacunone, che rappresentano i
principali metaboliti secondari presenti nei semi degli agrumi, ha
portato alla nostra conoscenza le interessanti proprietà fagodeterrenti,
repellenti, IGR e tossiche nei confronti di diverse specie di insetti
(Klocke & Kubo, 1982; Alford et al., 1987; Bentley et al., 1988; Mendel et
al., 1991; Jayaprakasha et al., 1997; Murray et al., 1999).
Dal punto di vista dello sfruttamento industriale queste sostanze
sembrano le più promettenti per la grande quantità di materia prima,
rappresentata dai prodotti di scarto dell’industria dei succhi di agrumi
(pompelmo, arancia, mandarino, limone). Nei primi anni Ottanta si
stimava negli USA una produzione annuale di limonoidi di circa 300
tonnellate, estratti dagli scarti dell’industria dei succhi a base di
pompelmo (Klocke & Kubo, 1982).
10.5. CONSIDERAZIONI
La riconsiderazione della difesa chimica delle colture agrarie dai loro
parassiti è la principale direttiva lungo la quale si muove oggi la ricerca
e la politica agricola nel mondo occidentale. L’uso dei metaboliti
secondari delle piante nella difesa degli agroecosistemi può
rappresentare, quindi, una nuova tecnica di controllo delle popolazioni
218
dei fitofagi perfettamente integrata con le altre tecniche ecocompatibili
di difesa nel rispetto dei principi ecologici, tossicologici ed economici che
definiscono il controllo integrato.
L’uso di questi composti come mezzi di difesa, inoltre, apre nuove
prospettive di sviluppo sia per i paesi del terzo mondo che per le zone
economicamente depresse del mondo occidentale, giacché la produzione
agricola non rappresenta più in quest’ultimo il raggiungimento del bene
primario della nutrizione e non può rappresentare solo quello nei paesi
del terzo mondo.
10.6. AUTORI CITATI
ABU-ZAID M.I., SALEM M.M. - 1991 - Evaluation of certain dosages of wormwood as
bioactive agent against the acarine mite, Acarapis woodi (Rennie). - Bull. Ent.
Soc. Egypt, Econ. Ser., 17: 121-125.
AHMED S., GRAINGE M., HYLIN J.W., MITCHEL W.C., LITSINGER J.A. - 1984 - Some
promising plant species for use and pest control agents under traditional
farming systems. - In: Schmutterer H. & Ascher K.R.S. (eds) “Natural pesticides
from the neem tree (Azadirachta indica A. Juss) and other tropical plants”, Proc.
2nd Int. Neem Conf., Rauischholzhausen 25-28 May 1983, 565-580.
ALFORD A.R., CULLEN J.A., STORCH R.H., BENTLEY M.D. - 1987 - Antifeedant activity
of limonin against the Colorado potato beetle (Coleoptera: Chrysomelidae). - J.
Econ. Ent. 80: 575-578.
ANGELI G., FORTI D., MAINES R. - 2000 - Side - effects of eleven insect growth
regulators on the predatory bug Orius laevigatus Fieber (Heteroptera:
Anthocoridae). - IOBC WRSP Bulletin 23 (9): 85 - 92.
BARNBY M.A., YAMASAKY R.B., KLOCKE J.A. - 1989 - Biological activity of azadirachtin
[from Azadirachta indica], three derivatives, and their ultraviolet radiation
degradation products against tobacco budworm (Lepidoptera: Noctuidae) larvae.
- J. Econ. Ent., 82 (1): 58-63.
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Finito di stampare
nel mese di ottobre 2006
presso la Tipolitografia Luxograph s.r.l.
Palermo