La difesa della vite dagli artropodi dannosi
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La difesa della vite dagli artropodi dannosi
La difesa della vite dagli artropodi dannosi a cura di S. Ragusa - H. Tsolakis Università degli Studi di Palermo La difesa della vite dagli artropodi dannosi a cura di S. Ragusa - H. Tsolakis Università degli Studi di Palermo La difesa della vite dagli artropodi dannosi / a cura di S. Ragusa, H. Tsolakis. Palermo : Università degli studi di Palermo, 2006. 1. Parassiti della vite - Congressi – 2005. 2. Congressi Marsala – 2005. I. Ragusa, Salvatore <1941->. II. Tsolakis, Haralabos <1964->. 634.82 CDD-21 SBN Pal0204611 CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace” Indice INTRODUZIONE 1. 2. 3. IL RUOLO DELLA O.I.L.B. NELLA VITICOLTURA MODERNA (G.C. Lozzia, I.E. Rigamonti) 1.1. Introduzione 1.2. Definizione delle linee teoriche strategiche 1.3. Indicazione dei percorsi attuativi e dei requisiti 1.4. Sviluppo e divulgazione di pratiche colturali innovative 1.5. Considerazioni 1.6. Autori citati 11 11 12 13 14 18 18 PROBLEMATICHE CONNESSE ALLA DIFESA BIOLOGICA E INTEGRATA DELLA VITE (G. Viggiani) 2.1. Introduzione 2.2. Problematiche generali 2.3. Problematiche specifiche 2.3.1. Il controllo degli acari 2.3.2. Il controllo della tignoletta 2.3.2.1. Controllo chimico 2.3.2.2. Controllo Biologico 2.3.2.3. Confusione sessuale 2.3.3. Il controllo delle cicaline 2.3.4. Il controllo delle cocciniglie 2.3.5. Il controllo dei tripidi 2.3.6. La protezione degli artropodi utili 2.4. Considerazioni conclusive 2.5. Autori citati 21 21 22 22 22 23 23 24 24 25 26 26 27 28 28 SOGLIE ECONOMICHE D’INTERVENTO E TECNICHE DI CAMPIONA(G. Delrio) 3.1. Introduzione 3.2. Tignole della vite 3.3. Cicaline 3.4. Cocciniglie 3.5. Tripidi 3.6. Acari 3.7. Considerazioni 3.8. Autori citati 31 31 32 35 37 38 38 40 40 ASPETTI BIOETOLOGICI E TECNICHE DI CONTROLLO DEGLI AUCHE(A. Arzone) 4.1. Cenni di morfologia degli Auchenorrinchi 45 46 MENTO DEI PRINCIPALI FITOFAGI DELLA VITE 4. 9 NORRINCHI VITICOLI 3 4.2. 4.3. 4.4. 4.5. 4.6. 5. 6. Cenni di biologia Cenni di etologia La situazione italiana degli Auchenorrinchi 4.4.1. Metcalfa pruinosa Say 4.4.2. Stictocephala bisonia Kopp & Yonke 4.4.3. Cicadella viridis (L.) 4.4.4. Empoasca vitis (Göthe) 4.4.5. Jacobiasca lybica Bergevin & Zanon 4.4.6. Zygina rhamni Ferrari 4.4.7. Arboridia dalmatina (Novak & Wagner) 4.4.8. Nuove introduzioni Problematiche di difesa Autori citati AUCHENORRINCHI VETTORI DI AGENTI FITOPATOGENI DI INTERESSE VITICOLO (A. Alma) 5.1. Introduzione 5.2. I Fitoplasmi 5.3. I Vettori 5.4. I Fitoplasmi della vite e i Vettori 5.4.1. Flavescence dorée (FD) 5.4.2. Scaphoideus titanus Ball 5.4.3. Bois noir (BN) = Vergilbungskrankheit (VK) = Legno nero (LN) 5.4.4. Hyalesthes obsoletus Signoret 5.5. Considerazioni 5.6. Autori citati LE TIGNOLE DELLA VITE: NOTIZIE BIOETOLOGICHE E TECNICHE DI (T. Moleas) 6.1. Introduzione 6.2. Etologia ed Ecologia 6.2.1. I volo 6.2.2. II Volo 6.2.3. III volo 6.2.4. IV Volo 6.3. Sintomatologia e danni 6.4. Controllo integrato 6.5. Prospettive future per il controllo di L. botrana 6.6. Autori citati CONTROLLO 7. 47 48 48 50 52 53 58 60 61 62 63 64 65 67 68 68 70 72 75 75 79 79 81 82 85 86 87 87 88 89 89 89 90 93 95 THE IMPORTANCE OF THE VEGETATION SURROUNDING THE AGROSYSTEMS ON PREDATORY MITES ASSOCIATED TO VINEYARDS (S. Kreiter, M.-S. Tixier, Z. Barbar) 7.1. Introduction 7.2. Quantification of phytoseiid mite diversity and population density 4 97 99 101 7.3. 7.4. 7.5. 7.6 7.7. 7.8. 8. 7.2.1. Material and methods 7.2.2. Results and discussion 7.2.3. Conclusion Some possible factors affecting density and diversity of phytoseiid mites in the surroundings 7.3.1. Material and methods 7.3.2. Results and Discussion 7.3.3. Conclusion: some possible factors that affect phytoseiid mite densities and diversity in the surroundings and further studies needed Phytoseiid mites dispersal 7.4.1. Material and methods 7.4.2. Results 7.4.3. Discussion 7.4.4. Conclusion Relatonships between K. aberrans populations in vineyards and uncultivated areas 7.5.1. Material and methods 7.5.2. Results 7.5.3. Discussion 7.5.4. Conclusion Settlement of migrants 7.6.1. Material and methods 7.6.2. Results and discussion General conclusion References CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEGLI ACARI FITOFAGI DELLA VITE NEI PAESI DEL BACINO MEDITERRANEO (P. Papaioannou-Souliotis) 8.1. Introduzione 8.2. Acari fitofagi segnalati sulla vite in ambiente europeo e mediterraneo 8.2.1. Tetranychidae 8.2.1.1. Panonychus ulmi (Koch) 8.2.1.2. Tetranychus urticae Koch 8.2.1.3. Eotetranychus carpini (Oudemans) 8.2.2. Tenuipalpidae 8.2.2.1. Brevipalpus lewisi (McGregor) 8.2.3. Eriophyidae 8.2.3.1. Calepitrimerus vitis (Nalepa) 8.2.3.2. Colomerus vitis (Pagenstecher) 8.2.3.3. Eriophyes oculivitis (Hassan) 8.3. Predatori 8.3.1. Acari predatori della famiglia Phytoseiidae 8.3.2. Insetti predatori 8.4. Autori citati 101 102 108 108 109 112 120 121 121 122 126 129 130 130 132 134 137 137 138 138 140 142 149 150 151 152 153 155 156 157 157 158 159 159 161 161 161 167 167 5 9. 10. 6 IL CONTROLLO BIOLOGICO ED INTEGRATO DEGLI ACARI FITOFAGI ASSOCIATI ALLA VITE (C. Duso) 9.1. Le prime segnalazioni di specie dannose alla vite in Italia 9.2. Le ipotesi sulle cause di pullulazione degli acari fitofagi 9.2.1. Gli effetti della gestione fitoiatrica sui predatori 9.3. La riscoperta del controllo biologico nel contesto della lotta integrata 9.3.1. Le componenti del controllo biologico: gli insetti predatori 9.3.2. Le componenti del controllo biologico: gli acari predatori 9.3.3. La presenza degli acari predatori Fitoseidi nei vigneti europei 9.3.4. Le specie di fitoseidi più comuni nei vigneti dell’Italia settentrionale 9.3.4.1. Typhlodromus pyri Scheuten 9.3.4.2. Amblyseius andersoni (Chant) 9.3.4.3. Kampimodromus aberrans (Oudemans) 9.3.5. I Fitoseidi più comuni nei vigneti dell’Italia centro-meridionale 9.3.5.1. Tyhlodromus exhilaratus Ragusa 9.3.5.2. Phytoseius finitimus Ribaga 9.3.5.3. Typhlodromus phialatus Athias-Henriot 9.4. L’influenza della biodiversità botanica sulla presenza dei Fitoseidi 9.5. L’evoluzione del controllo biologico ed integrato degli acari dannosi alla vite 9.5.1. La valutazione della dannosità degli acari tetranichidi e le soglie d’intervento 9.5.2. La scelta degli acaricidi 9.5.3. Gli effetti collaterali dei prodotti fitosanitari sui predatori degli acari fitofagi 9.5.4. La gestione dell’agroecosistema vigneto 9.5.5. La vegetazione spontanea quale risorsa per gli equilibri biologici nei vigneti 9.5.6. Le introduzioni di Fitoseidi: è necessario introdurre ceppi resistenti? 9.6. Gli acari fitofagi rappresentano ancora un’importante avversità della vite? 9.7. Autori citati I FITOFARMACI DI ORIGINE VEGETALE: CENNI STORICI, ATTUALITÀ E PROSPETTIVE DI SVILUPPO (H. Tsolakis) 10.1. Introduzione 10.2 . Cenni storici 171 173 174 176 176 177 178 179 180 180 180 181 182 182 183 183 183 184 185 186 187 189 190 191 193 194 205 206 206 10.3. 10.4. 10.5. 10.6. 10.2.1. L’evoluzione della domanda di fitofarmaci di origine vegetale nei paesi occidentali 10.2.2. L’evoluzione della domanda di fitofarmaci di origine vegetale nel resto del mondo Ricerca scientifica e prospettive di sviluppo 10.3.1. Problematiche applicative Essenze vegetali di interesse economico 10.4.1. Annona spp. 10.4.2. Melia azedarach L. 10.4.3. Artemisia spp. 10.4.4. Citrus spp. Considerazioni Autori citati 207 208 209 211 215 215 216 217 218 218 219 7 INTRODUZIONE Negli ultimi anni si è verificato in Italia un crescente interesse dei consumatori verso i prodotti tipici in generale e per il vino in particolare. Ciò ha portato da una parte ad una rivalutazione della coltura anche in zone che sino a pochi anni or sono, erano considerate non adatte alla produzione di vini di qualità e dall’altra ha fornito una spinta all’esportazione, portando il paese al primo posto in Europa con 20 milioni di ettolitri di vino esportati. L’Italia si trova oggi, nell’ambito della Comunità europea, al terzo posto in ordine di superficie vitata con 827.000 Ha e in secondo posto in ordine di produzione vinicola con 44 milioni di ettolitri di vino. Insieme alla Francia e la Spagna detengono l’82% della produzione vinicola nell’Europa dei 25. Si tratta, pertanto, di un settore economico importante che merita un adeguato interesse da parte di chi è in grado di fornire strumenti validi per ottenere non solo una produzione economicamente competitiva ma anche di qualità. Il concetto di qualità varia notevolmente nell’ambito dei diversi soggetti della filiera, passando dall’idea del prodotto integro ed esente da qualsiasi traccia di parassita anche se ricco di residui di fitofarmaci, al prodotto esente da residui di prodotti chimici anche a scapito dell’integrità. Non si può, certamente, prescindere dall’aspetto quantitativo e dall’integrità del prodotto che rappresentano le chiavi della convenienza economica del processo produttivo ma, d’altra parte, le qualità organolettiche, nonché la salubrità del prodotto, giocano oggi un ruolo economico altrettanto importante. Questi aspetti sono strettamente legati alla gestione fitosanitaria della coltura, giacché sono le tecniche adottate per il controllo dei parassiti che influenzano direttamente sia il concetto di qualità nelle sue diverse sfaccettature, che quello di gestione economica. Nell’ambito del controllo delle avversità della vite, la ricerca si era orientata verso la risoluzione dei problemi specifici e la ricognizione delle varie componenti dell’agoecosistema limitatamente alle zone geografiche dove la coltura era investita di importanza economica. Pochi studi e abbastanza generici sono oggi a disposizione, invece, per le zone vitivinicole che erano considerate di scarso interesse per la vinificazione di qualità. Una di queste aree, considerata finora marginale, è la Sicilia che detiene oggi il 16% della superficie vitata e della produzione nazionale. D’altra parte, numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali dimostrano che la viticoltura siciliana inizia a non essere marginale neanche nell’ambito dei vini di qualità. In base a queste considerazioni si è pensato di organizzare un incontro con diversi studiosi italiani e stranieri, che si sono occupati di vari aspetti 9 delle avversità entomatiche della vite. Lo scopo era quello di tracciare lo stato dell’arte nell’ambito della difesa della vite dagli artropodi dannosi, fornendo così ai tecnici e ai produttori del settore un valido strumento di sintesi e ai ricercatori la possibilità di confrontarsi sui diversi aspetti e sulle nuove frontiere della ricerca nel suddetto settore. Come sede dell’incontro è stato scelto il comune di Marsala (Trapani), perché zona di antiche tradizioni vitivinicole. Il convegno si è svolto il 10 e l’11 ottobre 2005 nel centro Congressi “Complesso S. Pietro” gentilmente messo a disposizione dal sindaco che qui desideriamo ringraziare non soltanto per l’interesse mostrato per l’attuazione del convegno e per l’ospitalità ma anche per la copertura di parte delle spese organizzative. Un sentito ringraziamento è rivolto al presidente della Provincia Regionale di Trapani e all’assessore all’agricoltura di quest’amministrazione sia per la parziale copertura finanziaria delle spese del convegno nonché per l’attiva partecipazione durante lo svolgimento del convegno. Vogliamo, inoltre, ringraziare l’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Sicilia e l’Ente Sviluppo Agricolo per il prezioso contributo fornito per la buona riuscita del convegno, nonché l’Assessorato ai Beni Culturali, Ambientali e della Pubblica Istruzione, la Facoltà di Agraria dell’Università di Milano e l’Ateneo di Palermo per avere contribuito alla stampa del presente volume. Un sentito ringraziamento è rivolto anche al personale amministrativo della segreteria del Dipartimento S.EN.FI.MI.ZO. per la gestione amministrativa del convegno e, naturalmente, ai colleghi che hanno accettato il nostro invito rendendo possibile la realizzazione di quest’iniziativa. S. Ragusa - H. Tsolakis 10 1. S. Ragusa & H. Tsolakis (eds) La difesa della vite dagli artropodi dannosi Marsala 10-11 ottobre 2005 Università degli Studi di Palermo - pp. 11-20 Il ruolo della O.I.L.B. nella viticoltura moderna G.C. LOZZIA, I.E. RIGAMONTI Istituto di Entomologia agraria, Università di Milano, Via Celoria 2 – 20133 Milano Riassunto Gli Autori riferiscono su alcune attività della O.I.L.B. e in particolare quelle riguardanti il Working Group “Integrated Protection and Production in Viticulture”. Vengono, altresì, sottolineati il contributo dell’Organizzazione allo sviluppo del concetto di “Azienda Integrata” e il suo ruolo nello sviluppo e la promozione di tecniche agricole innocue per l’ambiente. Parole chiave: O.I.L.B., Viticoltura. Abstract The role of O.I.L.B. in the modern viticulture Here is reported a brief summary on some I.O.B.C. activities, with particular regard to those of the “Integrated Protection and Production in Viticulture” Working Group. The contribution given by the Organization to the development of the “Integrated Farming” concept and its role in developing and promoting ecologically safe management measures are underlined. Key words: I.O.B.C., Viticulture. 1.1. INTRODUZIONE L’Organizzazione Internazionale di Lotta Biologica ha celebrato quest’anno i cinquant’anni di vita. La sua fondazione risale infatti al 1956, un’epoca in cui l’agricoltura stava vivendo un periodo di intense e convulse trasformazioni. Nei Paesi economicamente più progrediti era in corso da alcuni anni un processo di industrializzazione dell’attività agraria, reso possibile dalla massiccia diffusione di numerosi mezzi tecnici. In alcuni casi, come per le macchine agricole, i fertilizzanti chimici o il miglioramento genetico, le relative tecnologie erano state 11 sviluppate già da tempo, ma il loro uso era stato fino a quel momento relativamente limitato. In altri casi ci si trovava di fronte a importanti innovazioni che stavano letteralmente rivoluzionando il campo di applicazione, stiamo parlando ovviamente degli antiparassitari di sintesi e della protezione delle colture. I successi conseguiti con queste nuove armi furono sensazionali e in alcuni settori, come quello della lotta ai vettori di malattie umane, portarono ad un decisivo miglioramento delle condizioni di vita di milioni di persone. In questa situazione vedeva quindi la luce l’O.I.L.B. che, come espresso già dalla sua denominazione, si proponeva di promuovere tecniche ecologiche di protezione delle piante nell’ambito agrario. La sua nascita fu facilitata dalla consapevolezza che questi grandi risultati nel campo delle capacità produttive comportavano necessariamente un impatto di pari portata anche sulle strutture ecologiche. Tutto ciò richiedeva l’avvio di studi approfonditi per comprenderne appieno la natura e l’entità, finalizzati ad un reindirizzo delle tecniche produttive. Da quel momento l’O.I.L.B., inserendosi in questo contesto, iniziò a dare il proprio contributo, che si è estrinsecato nei decenni successivi a diversi livelli: di elaborazione teorica, di definizione delle regole e normative attuative di queste enunciazioni, di sviluppo e divulgazione di pratiche colturali ecocompatibili, mediante la ricerca scientifica. 1.2. DEFINIZIONE DELLE LINEE TEORICHE STRATEGICHE Nei primissimi anni di vita l’attività dell’O.I.L.B. fu orientata essenzialmente all’introduzione di mezzi di controllo biologico nell’ambito di strategie di protezione fitosanitaria basate esclusivamente sull’uso del mezzo chimico. Ben presto però, evenienze provenienti dalla realtà agraria, che confermavano considerazioni teoriche sulle conseguenze di un orientamento meramente chimico della protezione delle colture (resistenza, insorgenza di specie indotte, problemi tossicologici, ecc.), portarono all’avvio di un processo evolutivo, sia teorico che pratico, di cui l’O.I.L.B. fu, fin dagli inizi, uno degli attori principali. Il concetto teorico di base, esplicitato e ribadito in numerose pubblicazioni, che da sempre ispira l’attività dell’O.I.L.B., può essere descritto in estrema sintesi come l’ottenimento di un “sistema agrario di produzione degli alimenti e di altri prodotti di alta qualità, che utilizza risorse e meccanismi di regolazione naturale per rimpiazzare apporti antropici dannosi all’ambiente ed assicurare un’agricoltura vitale a lungo termine” (IOBC, 1993, 2004). Come sempre avviene in questi casi si è verificata un’interazione tra elaborazione di strategie di gestione e attuazione pratica. Da un lato le prime si adeguavano alle situazioni che si affermavano nella realtà agraria e dall’altro ne influenzavano lo sviluppo. A mano a mano che le nuove conoscenze venivano adottate 12 nella difesa fitosanitaria delle colture, anche le frontiere dell’elaborazione teorica si aggiornavano, con lo sviluppo di nuovi elementi concettuali. Così, mentre le linee teoriche generali dell’O.I.L.B. sono fondamentalmente rimaste immutate, nel corso degli ultimi decenni le strategie di lotta si sono succedute, e ognuna di esse è passata via via dal rango degli obiettivi teorici a quello della realtà pratica per finire, in alcuni casi, all’obsolescenza. Ciò nonostante, ognuno di questi passi ha costituito, alla sua comparsa, un importante avanzamento non solo per l’agricoltura ma anche per la società nel suo complesso. È qui il caso di ripercorrere, in pochissime parole, questo processo nella sua evoluzione. All’inizio l’attenzione era principalmente rivolta alla semplice adozione di misure di lotta biologica in strategie puramente di lotta chimica. Questa posizione venne rapidamente abbandonata con lo sviluppo del concetto di Protezione Integrata delle colture. Già negli anni ’70 però si ebbe un ulteriore sviluppo, che vedeva la Protezione Integrata solo come una fase transitoria per giungere infine alla Produzione Integrata. Momento emblematico di questo passaggio è la famosa “Dichiarazione di Ovronnaz” del luglio 1976, dove questi concetti vengono enunciati per la prima volta (IOBC, 1977). Il principio della Produzione Integrata / Azienda Agricola Integrata è tuttora il cardine delle strategie dell’Organizzazione e si basa su un approccio olistico del sistema, sull’azienda agraria nel suo insieme come unità funzionale, e sul ruolo centrale degli agroecosistemi e della loro gestione. Una simile concezione dell’attività agraria è stata vista per un certo tempo come una pura utopia, almeno al di fuori del mondo scientifico e di ambiti che genericamente potremmo definire “ambientalisti”. Col passare degli anni essa ha però influenzato in misura sempre maggiore la società e, quel che più conta, le Istituzioni nazionali e sovranazionali. Si può quindi senz’altro affermare che le elaborazioni dell’O.I.L.B. hanno avuto notevoli effetti pratici, per esempio contribuendo alla definizione di alcune delle priorità e finalità della Politica Agraria Comune della Unione Europea (e, di conseguenza, dei Paesi membri) e di numerose altre Nazioni; politiche che ormai pongono l’accento su concetti quali la riduzione dell’intensivazione colturale, la produzione di beni di alta qualità, il rispetto dell’ambiente, e così via, e che hanno un ruolo capitale come regolatori dell’evoluzione della struttura delle aziende agricole. 1.3. INDICAZIONE DEI PERCORSI ATTUATIVI E DEI REQUISITI Uno dei fattori che senz’altro ha contribuito alla realizzazione pratica dei concetti teorici elaborati dall’O.I.L.B., è da ricercare nel fatto che l’Organizzazione non si è limitata a queste enunciazioni di principio ma, attraverso suoi organi (Consiglio, Comitato esecutivo, Commissioni) e gruppi più o meno ristretti di esperti, ha prodotto una serie di documenti nei quali venivano definite le relative linee attuative, che si 13 ponevano a metà strada tra i principi generali e le pratiche colturali di campo. In particolare la Commissione “Produzione Integrata: Direttive e Approvazione”, ha prodotto testi quadro ove venivano definiti: 1) gli standard e i requisiti tecnici generali per le organizzazioni che, a qualunque titolo, si occupassero di Produzione Integrata e per i loro membri (produttori, tecnici, ispettori, certificatori, ecc.); 2) i requisiti agronomici generali validi per tutte le colture (IOBC, 1993, 2004). Dopo la pubblicazione delle direttive generali, i singoli Gruppi di Lavoro in cui si articola la struttura dell’O.I.L.B., ai quali è di norma demandata l’attività di ricerca e di implementazione, hanno iniziato anche a collaborare con la Commissione per la definizione e la stesura delle linee guida per l’ambito agricolo di loro pertinenza. Al momento attuale 7 Gruppi di Lavoro (pomacee, vite, drupacee, colture arative, frutti minori, olivo, orticole da pieno campo) hanno completato questo percorso con la pubblicazione delle relative direttive, con una o più edizioni (IOBC/WPRS, 1994; 1996; 1997a; 1997b; 2000; 2002; 2005). In questi ultimi testi le indicazioni fornite raggiungono un maggiore dettaglio e si rifanno direttamente alle più recenti innovazioni tecniche conseguite attraverso le ricerche sperimentali nel campo specifico. Finalità di questi scritti è quella di fungere da riferimento sia per la stesura e l’armonizzazione delle direttive Regionali o Nazionali da parte degli enti istituzionali preposti, sia per le organizzazioni che si occupano di produzione integrata, in quanto forniscono i parametri per la verifica e l’approvazione delle loro direttive, l’ispezione e la valutazione delle loro aziende e la certificazione dei prodotti. Anche in questo caso le indicazioni delle varie direttive tecniche sono state recepite, almeno in parte, o hanno ispirato l’azione di organismi legislativi o di associazioni varie nella stesura di regolamenti. Si possono fare gli esempi di Vitiswiss o delle Regioni italiane per i disciplinari attuativi dei regolamenti UE (p.e. il regolamento 2078/92 e i successivi). 1.4. SVILUPPO E DIVULGAZIONE DI PRATICHE COLTURALI INNOVATIVE Naturalmente il contributo dell’O.I.L.B. all’agricoltura, e in particolare alla viticoltura, moderna non si limita agli enunciati teorici e alla pubblicazione di direttive attuative ma comprende lo sviluppo di tecniche agricole innovative e il trasferimento nella pratica delle conoscenze così acquisite. Come sempre avviene nel campo della ricerca scientifica, ogni acquisizione è il frutto di una serie di contributi successivi, apportati da numerosi ricercatori, che si influenzano a vicenda. Per questo motivo non si può dire che l’O.I.L.B. abbia contribuito con questa o quella tecnica colturale (anche perché notoriamente l’Organizzazione non ha ricercatori propri), ma si può certamente affermare che i membri dei suoi Gruppi di Lavoro (in questo caso quello della Protezione e Produzione Integrata in Viticoltura) 14 hanno contribuito a definire e sviluppare numerose linee di ricerca di fondamentale importanza per la realizzazione della Produzione Integrata. La viticoltura, in particolare quella destinata alla produzione di vino, ha alcune caratteristiche ottimali: la natura permanente e la relativamente elevata longevità della coltura, la minima incidenza dell’aspetto estetico, il riconosciuto legame tra riduzione quantitativa e incremento della qualità e del valore della produzione, ed altre ancora. Tutto ciò ne ha fatto un campo di lavoro privilegiato, sia per la ricerca sia per l’implementazione, con una notevole serie di acquisizioni (Boller et al., 2004). Ci limiteremo qui all’enunciazione solo di alcuni aspetti ormai assodati e ristretti al settore delle avversità animali. Già da diversi decenni le ricerche sono state indirizzate seguendo la linea guida della conoscenza dell’agroecosistema e dei suoi meccanismi di regolazione. Con l’accumularsi delle informazioni, ottenute in numerosi anni, è stato possibile passare da una conoscenza puntiforme ad una complessiva delle caratteristiche generali dell’agroecosistema e individuare alcuni fattori chiave, che sono i principali motori delle sue dinamiche: la diversità botanica, la gestione dei nutrienti, in particolare dell’azoto, il complesso degli organismi utili (figg. 1, 2) (Boller e Basler, 1987; Boller, 1988). In seguito molte ricerche si sono concentrate su questi punti con l’obiettivo di sostituire le pratiche colturali dannose con altre ecocompatibili. Il passo successivo è stato appurare il ruolo rilevante sia della diversità botanica di aree esterne al vigneto, come le siepi, sia di quella presente entro la coltura, ovvero l’inerbimento dell’interfilare. Contemporaneamente si è anche compreso il carattere strategico delle aree di compensazione ecologica limitrofe agli appezzamenti, Fig. 1 - Struttura semplificata delle relazioni esistenti tra le componenti dell’agroecosistema vigneto (da Boller e Basler, 1987, modificato). 15 Fig. 2 - I principali volani ecologici dell’agroecosistema vigneto. fondamentali perchè non soggette alle usuali pratiche colturali che mantengono sempre un certo impatto negativo (Boller et al., 1997; Remund et al., 1989; 1992; Gut, 1997; Baur e Gut, 2000). Il contributo principale fornito dalla incrementata diversità botanica consiste nel fatto che assicura un parallelo aumento della complessità della comunità animale, in particolare della fauna utile ed indifferente, mentre le specie dannose rimangono stabili. L’incremento della diversità botanica si è pertanto rivelato un reale e importante strumento per la stabilizzazione dell’ecosistema e per la gestione delle specie nocive. Ad aumentare l’importanza pratica di questo assunto vi è l’esito positivo di un altro filone di ricerche, parallelo al precedente, il cui fine era di verificare se fosse possibile attuare nel vigneto operazioni di gestione ambientale. Queste sperimentazioni hanno aperto la strada all’implementazione nella pratica quotidiana delle risultanze sperimentali mediante operazioni relativamente semplici come l’inerbimento controllato e lo sfalcio alternato (Baur e Gut, 2000; Baur et al., 2000). Oltre a queste relazioni di carattere generale sono state anche verificate interazioni più sottili tra ben definite componenti dell’agroecosistema, che coinvolgono sempre la vegetazione spontanea e la coltura. I casi più noti ed eclatanti riguardano i rapporti tra cicaline e acari fitofagi ed i loro antagonisti chiave, rispettivamente i parassitoidi oofagi del genere Anagrus (fig. 3) (Cerutti et al., 1989; 1991; Van Helden et al., 2003; Viggiani, 2003) e gli acari Fitoseidi (Boller et al., 1988; Boller e Frey, 1990; Lozzia e Rigamonti, 1990; Wiedmer e Boller, 1990; Engel, 1991; Remund e Boller, 1992; Duso et al., 2003). Per questi abbinamenti sono ormai stati appurati molti aspetti; tra questi si possono menzionare le specie coinvolte, i tratti della loro biologia ed ecologia, gli ospiti alternativi e i rapporti funzionali tra la 16 Fig. 3 - Fenologia di Anagrus atomus, e di Empoasca vitis, su diverse piante ospiti (da Cerutti et al., 1989, modificato). vegetazione spontanea e la coltura. Ciò nonostante, anche per questi casi di studio che sono i meglio conosciuti, diversi fattori rimangono tuttora da chiarire, specialmente, ma non solo, quelli che regolano l’insediamento stabile nel vigneto. È tuttavia ormai possibile pensare di attuare delle vere operazioni di gestione ambientale, per esempio con la progettazione “su misura” di siepi, che preveda non solo la scelta delle essenze vegetali da favorire (rovo, rosa canina, caprifoglio, ortica) ma anche le forme di manutenzione (per es. la potatura), le distanze massime dalla coltura (per es. non più di 100 m per le piante che ospitano gli Anagrus) e così via (Remund e Boller, 1995; 1996; Boller et al., 2004; Rigamonti e Rena, 2004). Per l’immediato futuro le linee di ricerca prioritarie individuate dall’O.I.L.B., sempre limitandosi ai campi di più diretto interesse entomologico, riguardano: 1) le interazioni tritrofiche, che attualmente interessano prevalentemente quelle relative a tignole, cicaline non vettrici e acari fitofagi; 2) le malattie trasmesse da vettori animali, uno dei settori più critici, in quanto al già grave problema della Flavescenza Dorata si sono aggiunte altre emergenze, come il Legno Nero, ed anche le malattie virali, veicolate da nematodi e cocciniglie, la cui epidemiologia è tuttora scarsamente conosciuta; 3) le conseguenze delle nuove tecniche adottate contro i fitofagi più importanti sulle specie minori, dato che la dannosità di questi ultimi sembra in aumento e le motivazioni di questa evoluzione sono al 17 momento ignote; 4) l’individuazione di soglie e il parallelo approntamento di metodiche di monitoraggio, anche qui con particolare riferimento alle specie secondarie; 5) il rilancio del sottogruppo sull’implementazione, che si rivolga alla divulgazione delle tecniche di controllo ecocompatibili e di misure di gestione ambientale; 6) lo sviluppo di tecniche curative a basso impatto, per esempio di nuove metodiche basate sull’uso di feromoni come l’attract and kill o l’autoconfusione. Praticamente tutti questi indirizzi implicano l’avvio di programmi di ricerca interdisciplinari dove l’entomologo è affiancato da patologi, microbiologi, malerbologi, ecologi, agronomi. Questa caratteristica non è casuale ma è, al contrario, da considerare strutturale e imprescindibile in quanto fondamentale nell’ottica di quell’approccio olistico al sistema che è uno dei punti cardine della strategia generale dell’Organizzazione. 1.5. CONSIDERAZIONI Riassumendo, ciò che è importante da ribadire e sottolineare è che l’attività dell’O.I.L.B. pur avendo contribuito ai notevoli progressi nello sviluppo di misure colturali ecocompatibili, non è consistita esclusivamente in questo, ma anche e soprattutto in enunciazioni di principio, dove venivano individuate le linee strategiche nel cui ambito dovevano rientrare le innovazioni tecniche da perseguire; nel fornire un riferimento a tutti gli enti che si occupino di regolare l’attività agraria e certificare i suoi prodotti, allo scopo di facilitare e stimolare la traduzione nella pratica sia degli enunciati teorici sia delle pratiche colturali; nel favorire la circolazione delle informazioni tra i ricercatori e lo sviluppo della collaborazione tra i diversi settori, mediante l’attuazione di progetti interdisciplinari. Non è quindi solo il mero sviluppo del processo tecnico che interessa l’O.I.L.B. quanto il quadro strategico generale della protezione delle colture o, meglio, della produzione agraria, ed è in questo che storicamente va ricercato il contributo che l’O.I.L.B. vuole e deve dare. 1.6. AUTORI CITATI BAUR R., GUT D. - 2000 - Begrünungspflege und Biodiversität im Deutschschweizer Rebbau. - Agrarforschung, 7 (9): 1-8. BAUR R., GUT D., BOLLER E.F. - 2000 - Influence of ground cover management on biodiversity - experiments in Northern Switzerland. - IOBC/wprs Bull., 23 (4): 185-187. BOLLER E. - 1988 - Das mehrjahrige Agro-Okosystem ‘Rebberg’ und seine praktische Bedeutung fur den modernen Pflanzenschutz. - Schweiz. Landw. Forsch., 27 (1): 55-61. 18 BOLLER E., BASLER P. - 1987 - Pflanzenschutzmassnahmen in Weinbau im Rahmen der Integrierte Produktion. - Schweiz. Z. Obst-Weinbau, 123 (2): 61-63. BOLLER E.F., FREY B. - 1990 - Blühende Rebberge in der Ostschweiz: 1. 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Tsolakis (eds) La difesa della vite dagli artropodi dannosi Marsala 10-11 ottobre 2005 Università degli Studi di Palermo - pp. 21-30 Problematiche connesse alla difesa biologica e integrata della vite G. VIGGIANI Dipartimento di Entomologia e Zoologia agraria “Filippo Silvestri”, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Via Università 100, Portici (Napoli) Riassunto Sono analizzati i principali problemi relativi al controllo biologico e integrato dei fitofagi della vite. Tra di essi diversi aspetti (soglia d’intervento, metodi di controllo e insetticidi usati) riguardano la tignoletta della vite Lobesia botrana, l’insetto chiave. Il controllo chimico di alcune cicaline, particolarmente di Scaphoideus titanus, vettori potenziali di fitopatogeni, richiede molta attenzione per evitare effetti negativi sulla artropodofauna utile. Parole chiave: acari, tignoletta, cicaline, cocciniglie, nemici naturali. Abstract Problems connected with biological and integrated pest management in vineyards Main problems linked to the biological and integrated control of wine pests are analyzed. Among them several aspects (intervention threshold, control methods and insecticides used) concern the grape moth Lobesia botrana, the key insect. The chemical control of some leafhoppers, particularly of Scaphoideus titanus, potential vectors of phytopatogens, needs much attention to avoid negative effects on the useful arthropodofauna. Key words: mites, grape moth, thrips, leafhoppers, scale insects, useful arthropods. 2.1. INTRODUZIONE Il complesso degli artropodi che caratterizza l’agroecosistema vigneto è relativamente uniforme in tutto il territorio viticolo italiano e rappresentato soprattutto da insetti e, in misura minore, da acari. Tra gli insetti, a parte la fillossera, la specie fitofaga di maggiore importanza è la tignoletta, Lobesia botrana (Denis & Schiffermüller). Tuttavia, 21 anche se in ambienti talvolta abbastanza limitati, diverse altri insetti e acari possono richiedere qualche intervento. Caratteristica dell’artropodofauna della vite è la mancanza o limitata presenza di afidi infestanti la parte epigea. Inoltre, il controllo dei fitofagi, in genere, non richiede interventi con mezzi chimici dall’ottobre al maggio. Le problematiche connesse alla difesa biologica e integrata della vite in linea di massima sono in rapporto alla tipologia e alla destinazione della produzione. Esse sono esaminate nella presente rassegna. 2.2. PROBLEMATICHE GENERALI Le principali problematiche generali emerse negli ultimi anni nella difesa fitosanitaria, non solo in viticoltura, attengono alle soglie economiche (di non intervento o tolleranza, di intervento, di dannosità) e alla scelta dei fitofarmaci. Uno degli aspetti caratterizzanti la svolta dalla difesa fitosanitaria “ a calendario” a quella “guidata” e “integrata” era stata la definizione, negli anni ’70-80, di parametri orientativi (soglie) che potessero essere seguiti per evitare interventi con insetticidi e acaricidi non necessari su valutazioni primariamente economiche, oltre che ecologiche. Negli ultimi anni, purtroppo, paradossalmente, mentre da un lato termini e concetti come “biologico”, “ecocompatibile”, “integrato”, “ a basso impatto ambientale” ecc., hanno guadagnato favore anche al di fuori dell’ambito scientifico, dall’altro, nella pratica, la protezione per gli artropodi utili degli agroecosisteni è stata scarsamente considerata. 2.3. PROBLEMATICHE SPECIFICHE 2.3.1. Il controllo degli acari In pochi agroecosistemi si è approfondito, come nel vigneto, sia lo studio degli acari fitofagi che quello dei loro antagonisti, principalmente dei fitoseidi. Negli ultimi anni si è registrata una maggiore aggressività degli acari eriofidi, in particolare del Calepitrimerus vitis (Nalepa), in Italia su uva da tavola (Tropea Garzia, 2005) e in Svizzera (Linder, 2005). Questo fenomeno viene attribuito al verificarsi di condizioni climatiche favorevoli agli eriofidi (primavere miti, estate calda e secca) e sfavorevoli ai fitoseidi predatori. Recentemente è stato segnalato in Italia Arthrocnodax vitis Rübsaamen (Diptera: Cecidomyiidae), predatore di Colomerus vitis (Pagenstecher) (Sasso e Viggiani, 2002). Il controllo degli acari, almeno negli ambienti viticoli italiani del Centro22 Sud, non pone problemi di rilievo. D’altro canto continuano gli studi sugli effetti collaterali dei fitofarmaci autorizzati in viticoltura in diversi paesi, allo scopo di selezione quei prodotti che meglio consentono di proteggere l’attività dei fitoseidi predatori. Recentemente è stato studiato l’impatto di una miscela di olio minerale, anche con l’alternativa dell’olio di colza, e di diazinone su questi antagonisti. I risultati hanno messo in evidenza che essa ha scarso o medio effetto tossico sugli acari fitoseidi e che conseguentemente potrebbe sostituire la miscela olio+endosulfan, attualmente in uso. Infatti è probabile che nel prossimo futuro si abbia la revoca dell’uso dell’endosulfan (Linder at al., 2005). 2.3.2. Il controllo della tignoletta Per il controllo della L. botrana si dispone di diverse tecniche e mezzi d’intervento, anche per la viticoltura biologica, ma non mancano problematiche attinenti la loro applicazione (Boselli et al., 2000; Buonocore et al., 2005; Guario et al., 2005; Scannavini et al., 2005a). 2.3.2.1 Controllo chimico Fino a pochi anni fa, per il controllo chimico di L. botrana erano disponibili insetticidi neurotossici, di sintesi, agenti per contatto e ingestione. Il loro tipo di azione, di solito rapido, e che poteva contare per diversi prodotti, soprattutto esteri fosforici, sulla loro citotropicità o sistemicità, consentiva di fissare una soglia d’intervento, almeno per i vigneti con uve da vino. Attualmente, in seguito alla commercializzazione di insetticidi che agiscono sul bersaglio con modalità di azione diversa dalla neurotossicità, come l’interferenza con i processi di sviluppo e di riproduzione, è venuto a mancare questo riferimento fondamentale ad un criterio che aveva caratterizzato il passaggio dalla “lotta a calendario” e quella “guidata e integrata”. Diversi autori (Scannavini et al., 2005a; Guario et al., 2005) hanno indagato, in diversi ambienti, sull’utilizzo di sostanze attive relativamente recenti che agiscono sul bersaglio con differenti modalità d’azione (indoxacarb, spinosad, flufenoxuron, tebufenozide, metoxifenozide). La sperimentazione di questi prodotti si rende necessaria per cercare d’individuare la fase fenologica ottimale del bersaglio, onde ottenere la massima efficacia dei trattamenti. Da una sperimentazione triennale effettuata in Emilia-Romagna (Scannavini et al., 2005a) è stato messo in evidenza che flufenoxuron, metoxifenozide e indoxacarb, tenuto conto della loro attività ovicida e larvicida, andrebbero applicati all’inizio della ovideposizione, mentre tebufenozide e spinosad, agenti prevalentemente per ingestione, alla nascita delle prime larve. Quest’ultimo prodotto sarebbe meno efficace del primo. Guario et al. (2005), operando su uva da tavola in Puglia, hanno 23 confermato la inutilità degli interventi contro la generazione antofaga. Gli stessi autori hanno meso in evidenza che l’impiego dei chitinoinibitori e dei Mac richiede anzi tutto dati attendibili sull’inizio dei voli del lepidottero. In questo caso l’intervento andrebbe effettuato al massimo 3-4 giorni dall’inizio dei voli, effettuando inoltre un secondo trattamento con fosforganici (es. clorpirifos e clorpirifos metile) o altri prodotti citotropici a circa 10 giorni di distanza per controllare eventuali larve sopravvissute. Questi autori confermano l’efficacia di indoxacarb e spinosad, nonché del Bacillus thuringiensis Berliner sebbene per quest’ultimo prodotto occorrerebbe maggiore attenzione per la fase fenologica bersaglio del fitofago. 2.3.2.2 Controllo biologico È possibile, anche in viticoltura biologica, utilizzare il B. thuringiensis subsp. kurstaki per il controllo della L. botrana. I formulati in commercio sono sufficientemente stabili e manifestano una buona efficacia, in grado di controllare il fitofago anche sull’uva da tavola, a soglia di tolleranza abbastanza bassa. Tenendo conto della modalità di azione di questo mezzo, risulta particolarmente importante effettuare gli eventuali interventi con tempestività. Talvolta, soprattutto su uva da tavola e per alcune generazioni, potrà essere necessario effettuare due trattamenti (Guario et al., 2005). 2.3.2.3 Confusione sessuale Dagli inizi degli anni 90 si sperimenta questa tecnica in varie regioni italiane, soprattutto del Centro-Nord (Varner et al., 1999; Varner et al., 2001; Scannavini et al., 2005b; Autori vari, 2005), con risultati non costanti, sovente contraddittori. Nel Trentino-Alto Adige, ove sono state fatte le maggiori esperienze operative, recentemente sono stati trattati 750 ha su 5.050 (Autori vari, 2005). Dai risultati ottenuti è emerso che il metodo nel corso degli anni migliora la sua efficacia su vaste superfici e a bassa densità della popolazione bersaglio; possono però verificarsi insorgenze di fitofagi non-bersaglio. In Toscana, nel comprensorio del Chianti, la tecnica della confusione sessuale è stata sperimentata sin dal 1989 (Bagnoli et al., 2002; Bagnoli e Lucchi, 2003) con risultati sostanzialmente positivi rispetto ad aree non trattate, ma con una validità fitosanitaria non sempre accettabile. A seguito della disponibilità di nuovi tipi di erogatori, dal 2001 si è dato avvio ad un nuovo ciclo di sperimentazioni nel medesimo ambiente. Poche esperienze sono state effettuate negli ambienti meridionali e su uva da tavola, con risultati non soddisfacenti, anche in rapporto alla bassissima tollerabilità dell’infestazione (Addante e Moleas, 1996). Allo stato attuale può affermarsi che vari aspetti di questa biotecnica sono stati sensibilmente migliorati (caratteristiche degli erogatori, condizioni d’impiego etc.), ne rimangono tuttavia altri, anche a livello sperimentale, che rendono i risultati non sempre confrontabili (criteri 24 per la valutazione del danno; dati disformi nelle aree trattate, ecc. ) e soddisfacenti. Il confronto tra l’area “a confusione” viene fatto con un’area non trattatta. In questo caso, generalmente, si ottiene un abbassamento dell’infestazione della L. botrana, ma ciò non significa che ciò avvenga a livelli di tollerabilità economica. Dati più significativi potrebbero rilevarsi confrontando l’area “a confusione” anche con un’area normalmente trattata con i più comuni mezzi chimici. In questo caso l’analisi dei costi, in genere mancante in queste sperimentazioni, potrebbe aggiungere altre informazioni utili. Altro aspetto da considerare con attenzione è che questa tecnica non consente di stabilire una soglia d’intervento, alla quale far seguire l’intervento. L’unico riferimento per valutarne la convenienza è rappresentata da una eventuale serie storica di dati sulla dannosità della L. botrana nell’azienda o nel territorio. 2.3.3. Il controllo delle cicaline Negli ultimi decenni le cicaline della vite hanno assunto anche in Italia crescente importanza agraria, sia per la dannosità di alcune specie indigene, come Empoasca vitis (Göthe), e sia per l’introduzione di specie esotiche, come Jacobiasca lybica (Bergevin) e Scaphoideus titanus Ball. Fino agli ultimi anni, le conoscenze riguardavano soprattutto gli ambienti centro-settentrionali (Vidano, 1958; Pavan et al., 1992; Mazzoni et al., 2001), ma le ricerche su questi fitomizi sono state estese anche agli ambienti viticoli meridionali e insulari italiani (Marcone et al., 1997; Nicotina e Cioffi, 1999; Lentini et al., 2000; Delrio et al., 2001; Tsolakis, 2002; Viggiani et al., 2004; Bono et al., 2005). In Campania è stato messo in evidenza che il complesso delle cicaline dell’agroecosistema vigneto e, in particolare, delle specie che si riproducono su vite, non differisce sostanzialmente da quello segnalato negli ambienti viticoli del Nord e del Centro Italia (Vidano, 1958; Mazzoni et al., 2001; Nicoli Aldini, 2001). Delle cicaline strettamente ampelofaghe, E. vitis e Z. rhamni, nei vigneti seguiti sono risultate presenti popolazioni di entrambe le specie, ma, con qualche eccezione, dominante è risultata la E. vitis sia nelle catture con trappole che nei campionamenti degli stadi giovanili su foglie. La percentuale delle foglie infestate in genere non ha superato il 25%, con una media di stadi mobili/foglia inferiore a 1. Interessante è stato il primo ritrovamento di S. titanus nelle regioni meridionali italiane (Viggiani, 2002, 2004) che ha smentito l’opinione corrente negli ambienti scientifici secondo la quale l’habitat del fitomizo sarebbe stato limitato alla fascia situata intorno al 45° parallelo. La presenza non sporadica di S. titanus, vettore dell’agente eziologico della flavescenza dorata in vigneti meridionali, rende possibile l’ipotesi che il fitomizo si diffonda principalmente mediante il materiale di propagazione. Purtroppo, a seguito delle normative fitosanitarie vigenti, in diverse regioni nelle quali, oltre allo 25 scafoideo, è stata diagnosticata anche la flavescenza dorata, si sono resi obbligatori degli interventi con insetticidi, in genere 2, per impedire lo sviluppo degli stadi giovanili. Qualche regione, come la Basilicata, ha decretato la obbligatorietà della lotta allo scafoideo nelle zone con presenza del fitomizo, ma con flavescenza non rilevata. I problemi che pongono questi interventi sono di ordine di efficacia, economico ed ecologico. Questi aspetti andrebbero approfonditi. È comunque difficile comprendere la razionalità degli interventi chimici in aree viticole nelle quali è presente lo scafoideo, ma non la flavescenza dorata. Allo stato attuale i maggiori danni diretti delle cicaline sono verosimilmente quelli prodotti da J. lybica in Sicilia e in Sardegna. È interessante notare che per questa specie non sono stati segnalati ooparassitoidi nei territori italiani. Continua nel Nord Italia la valutazione di nuovi insetticidi per il controllo della E. vitis e dei loro effetti collaterali sugli acari predatori (Delaiti et al., 2005). 2.3.4. Il controllo delle cocciniglie In alcune regioni, come nel Friuli Venezia Giulia, Veneto e Toscana, sono segnalati frequenti attacchi di cocciniglie, prevale Planococcus ficus (Signoret), ma non mancano anche quelli di Neopulvinaria innumerabilis (Rathvon), di Parthenolecanium corni (Bouché) e di Heliococcus bohemicus (Sulc). Attacchi di Targionia vitis (Signoret) sono segnalati in Toscana e anche in altre regioni (Autori vari, 2005). Nel controllo chimico di queste specie occorrerebbe ricordare d’intervenire al raggiungimento delle soglie d’intervento e con prodotti almeno parzialmente selettivi, come gli oli minerali. E’ noto, infatti, che questi fitomizi sono naturalmente contrastati da numerosi antagonisti. 2.3.5. Il controllo dei tripidi Tradizionalmente, soprattutto nei vigneti del nord Italia, può risultare dannoso il tripide Drepanothrips reuteri Uzel che, alla ripresa vegetativa, può compromettere il normale sviluppo delle foglie e dei germogli. Esso, però, può anche essere un’ottima preda sia per alcuni acari fitoseidi che per dei tripidi predatori (Aeolothrips spp.). Il controllo di D. reuteri non pone particolari problemi, come il tripide dei fiori, Frankliniella occidentalis (Pergande), che è ormai annoverato tra gli insetti più dannosi all’uva da tavola. In questo contesto questa specie è stata a lungo studiata principalmente in Puglia da Moleas e collaboratori, che ne hanno approfondito la bio-etologia e i metodi di controllo (Moleas et al., 1996; Addante et al., 2000). I citati autori consigliano di fare campionamenti dall’inizio della fioritura alla fine dell’allegagione e di intervenire a livelli di oltre 3-5- tripidi/grappolo. I principi attivi più efficaci sono risultati l’acrinatrina e il methiocarb. 26 Risultati meno soddisfacenti ha dato l’azadiractina, che è tra i prodotti ammessi in viticoltura biologica. Anche l’impiego inondativo del predatore di Orius laevigatus (Fieber) ha dato scarsi risultati. Tra le pratiche agronomiche che possono ridurre la dannosità della Frankliniella è da segnalare l’inerbimento del vigneto con piante erbacee, come la Phacelia tanacetifolia, in modo da avere una fioritura contemporanea a quella della vite. Le problematiche connesse al controllo chimico di F. occidentalis sono legate soprattutto alla delicata fase fenologica (fioritura) durante la quale bisognerebbe intervenire. 2.3.6. La protezione degli artropodi utili Com’è noto il complesso degli artropodi utili, predatori e parassitoidi, è rappresentato principalmente da Acari Fitoseidi, Emitteri Antocoridi, Neuropteroidei, Coleotteri Coccinellidi e Imenotteri. Di essi indubbiamente il gruppo più indagato in quasi tutte le regioni viticole italiane è quello degli acari Fitoseidi, il cui ruolo è ritenuto fondamentale per il contenimento degli acari fitofagi. Altri gruppi d’interesse per il controllo di acari e insetti fitofagi sono gli Emitteri Antocoridi (Anthocoris spp., Orius spp.) e quello dei Neuropteroidei (Inocellidi, Crisopidi). Negli ultimi decenni, in seguito all’importanza economica assunta da alcuni Cicadellidi, in Europa, soprattutto da Empoasca vitis, attenzione ha richiamato lo studio degli ooparassitoidi, principalmente del genere Anagrus e le loro interrelazioni con ospiti alternativi (Pavan, 2000; Van Helden e Decante, 2001; Ponti e Ricci, 2002; Viggiani et al., 2004). Per valorizzare il ruolo di questi antagonisti si approfondiscono le conoscenze sulla caratterizzazione sistematica, i rapporti biocenotici e la loro gestione a livello aziendale e territoriale. La conservazione del complesso degli artropodi utili è anche legata all’uso di fitofarmaci selettivi. È noto che negli ultimi anni alle numerose molecole di sintesi, agenti principalmente da neurotossici, si vanno gradualmente sostituendo sostanze di varia origine, anche naturale, con meccanismi di azione diversi (principalmente regolatori di crescita). Essi hanno in genere tossicità molto ridotta per l’uomo, ma non per gli artropodi bersaglio. La loro azione non è immediata e può manifestarsi con effetti diversi (incapacità di raggiungere la maturità, riduzione della fecondità, ecc.). Ciò richiede delle metodologie adeguate per mettere in evidenza questi effetti collaterali sulle specie non bersaglio. Gli acaricidi e insetticidi agenti quali regolatori di crescita rischiano di essere più dannosi ai predatori che ai parassitoidi per la maggiore esigenza di prede che possono accumulare residui tossici significativi. Alcuni acaricidi (zolfo in formulati polverulenti) e insetticidi (piretrine, rotenone) ammessi in agricoltura biologica non sono privi di effetti indesiderabili sull’artropodofauna utile. 27 2.4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Le problematiche del controllo dei fitofagi nella viticoltura biologica e integrata riguardano principalmente le uve da tavola. La destinazione della produzione e la bassa dannosità tollerabile impongono maggiore impegno sia per la scelta degli insetticidi che per la riduzione degli interventi. Per le uve da vino il controllo degli acari e degli insetti richiede in genere interventi chimici in numero molto limitato; non mancano nicchie nelle quali non si effettuano trattamenti. Il controllo della tignoletta, tra i pochi insetti di primaria importanza economica della vite, si può effettuare efficacemente, anche in viticoltura biologica. La turbativa principale all’agroecosistema vigneto potrebbe derivare da una intensificazione degli interventi chimici per il controllo di insetti vettori di fitoplasmi. In questi casi, eventuali interventi andrebbero effettuati solo nei vigneti con significative infezioni di fitopatogeni e non, come disposto in alcune regioni italiane, anche dove sono presenti solo dei vettori, talvolta addirittura presunti tali. In viticoltura biologica, le problematiche maggiori riguardano la scelta di prodotti sufficientemente efficaci contro il bersaglio e selettivi nei riguardi degli organismi utili; non hanno queste caratteristiche diversi formulati commerciali. 2.5 AUTORI CITATI ADDANTE R., DI GIOIA S., MOLEAS T. - 2000 - Importance of some plants of the Mediterranean flora in the biology of Frankliniella occidentalis (Thysanoptera: Thripidae). - Abstracts XXI Int. Congr. Ent., Book II: 906. 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Tsolakis (eds) La difesa della vite dagli artropodi dannosi Marsala 10-11 ottobre 2005 Università degli Studi di Palermo - pp. 31-44 Soglie economiche d’intervento e tecniche di campionamento dei principali fitofagi della vite G. DELRIO Dipartimento di Protezione delle Piante dell’Università di Sassari, Via De Nicola - 07100 Sassari Riassunto Vengono riportati i danni, i sistemi di monitoraggio, i metodi di campionamento e le soglie economiche d’intervento individuati in Europa e Italia per i principali fitofagi della vite. I metodi di stima della densità delle specie dannose, essenziali per l’applicazione della protezione integrata, devono tuttavia essere ulteriormente semplificati per una loro maggiore diffusione nella pratica agricola. Parole chiave: Campionamento, soglie di intervento, Viticoltura. Abstract Economic thresholds and sampling technics of the more important pests in vineyards Authors report on damages caused by the more important pests of vines in Europe and in Italy. Monitoring systems, sampling technics and economic threshold of these pests are also discussed. Estimate methods for the density of pests population are essential for the application of the integrated pest management but it is also important semplify them so that they could be spread into the agricultural practices. Key words: sampling technics, economic threshold, Viticulture. 3.1. INTRODUZIONE La protezione integrata della vite nel contesto dei sistemi di produzione sostenibili si basa fondamentalmente sull’impiego prioritario delle misure profilattiche disponibili (protezione indiretta) e su misure dirette di controllo effettuate al superamento delle soglie economiche di intervento (Malavolta e Boller, 1999). 31 Per una razionale applicazione della protezione integrata devono essere accuratamente valutate le interazioni del complesso fitofagiantagonisti, nonché dei rapporti che si instaurano tra di loro e con altre componenti dell’agroecosistema. Tali aspetti riguardano: le caratteristiche microclimatiche, pedologiche e varietali del vigneto; la composizione qualitativa e quantitativa delle specie dannose e utili; l’identificazione delle specie “chiave” e lo studio della dinamica delle loro popolazioni; la determinazione del danno prodotto da ciascun fitofago in relazione alla densità delle sue popolazioni; la predisposizione di una metodologia di campionamento delle densità di popolazione dei fitofagi e la definizione delle soglie economiche di intervento. In caso di loro superamento, devono essere scelti gli interventi chimici da effettuare, preferendo quelli ecologicamente selettivi, che si prestano ad essere integrati, ove compatibili, con i mezzi biologici, biotecnici o colturali. Negli ultimi decenni, anche in seguito alla costituzione del Gruppo di lavoro IOBC/WPRS “Lotta integrata e produzione integrata in viticoltura”, notevoli progressi sono stati fatti nella valutazione dei rischi di danno per i principali fitofagi, con la definizione di soglie economiche di intervento e la messa a punto di dispositivi per il monitoraggio e di tecniche di campionamento scientificamente appropriate. Tuttavia, la grande variabilità delle condizioni climatiche, varietali e di tecnica colturale della viticoltura europea e italiana restringono spesso la validità delle metodologie proposte alle aree viticole per cui sono state studiate e inoltre obbligano a un continuo aggiornamento per adattarle ai progressivi cambiamenti delle tecniche di difesa. 3.2. TIGNOLE DELLA VITE La tignoletta e la tignola della vite, Lobesia botrana (Den. et Schiff.) ed Eupoecilia ambyguella (Hbn.), costituiscono le avversità animali più temute nei vigneti. Entrambe le specie possono svolgere due o tre generazioni all’anno, anche se nelle aree meridionali può manifestarsi un quarto volo di Lobesia di minor importanza fitosanitaria. La loro distribuzione nel territorio dipende dalle diverse esigenze termoigrometriche e la più ampia diffusione della tignoletta nella maggioranza dei vigneti italiani può essere spiegata dalla sua preferenza per gli areali caldo aridi e dalla maggior valenza ecologica. Le larve della prima generazione delle due tignole distruggono un certo numero di fiori (5-6 per Lobesia e più per Eupoecilia) e quelle delle generazioni carpofaghe danneggiano 2-4 acini. I danni delle tignole possono essere distinti in diretti, con perdita di fiori e acini, e indiretti, dovuti all’aumento degli attacchi di muffa grigia e marciume acido. Le relazioni esistenti fra L. botrana e Botrytis cinerea 32 sono state studiate in dettaglio e sarebbero basate su un sistema di reciproco vantaggio. Le larve favoriscono la disseminazione e l’installazione del fungo trasportando i conidi sul tegumento e nelle feci, creando focolai precoci latenti sugli acini immaturi e numerose ferite superficiali sugli acini maturi (Fermaud e Le Menn, 1992), viceversa il fungo stimola lo sviluppo delle larve (Mondy e Corio-Costet, 2000). Tuttavia questa relazione non è obbligatoria in quanto B. cinerea ha la capacità di svilupparsi anche senza infestazioni larvali. La nocività delle tignole, oltre che dal grado di attacco, dipende dalla cultivar, dal valore economico della produzione e dai fattori climatici. È stata infatti osservata una diversa sensibilità delle cultivar alla tignoletta e alla Botrite (Fermaud, 1998), con maggiori infestazioni e danni per le varietà a grappolo serrato (Delrio et al., 1985; Pavan et al., 1993), e una bassa incidenza di muffa grigia, anche in condizioni di attacco larvale elevato nelle annate con andamento caldo e secco. La generazione antofaga non è ritenuta in generale dannosa. Infatti, impiegando diverse metodologie (comparazione del peso alla raccolta di grappoli attaccati e non, infestazioni artificiali, ablazione dei fiori) è stato dimostrato che alcune cultivar possono compensare perdite di 1030 fiori per grappolo (Roehrich, 1978; Roerhich e Schmid, 1978) o addirittura fino al 30% dell’infiorescenza (Coscollà et al., 1982; Delrio et al., 1985). A seconda delle aree viticole e della cultivar sono considerati tollerabili fino a 100 larve o 200 glomeruli per 100 grappoli (Roehrich, 1978). Tuttavia, in Svizzera sono state proposte soglie d’intervento a seconda della varietà di 15-50 glomeruli per 100 grappoli (Baillod et al., 1993) e in Italia di 40% di grappoli attaccati (Lozzia, 2000). La prima generazione carpofaga è ritenuta poco dannosa nell’Italia meridionale e sulle cultivar tardive dell’Italia settentrionale (Pavan e Sbrissa, 1994) in quanto gli acini erosi normalmente rimarginano e rinsecchiscono, mentre il danno della terza generazione (seconda carpofaga) è soprattutto qualitativo e determinato dalla diffusione dei marciumi agli acini attaccati e a quelli circostanti. Sulle cv. a maturazione precoce nell’Italia nord-orientale il danno finale è invece legato quasi esclusivamente alle larve della seconda generazione dell’anno (Pavan et al., 1993). Su uva da tavola il danno diretto causato dalle generazioni carpofaghe è molto rilevante perché gli acini attaccati devono essere eliminati dai grappoli con un conseguente maggior impiego di mano d’opera (Laccone, 1978). La soglia di danno per la seconda generazione delle tignole su uva da vino è stata calcolata analiticamente in Veneto, sulla base delle perdite quantitative, ed è risultata del 10-30% di grappoli attaccati per le cultivar vendemmiate precocemente e del 40-50% per quelle a raccolta tardiva (Pavan et al., 1998). Nelle diverse regioni italiane vengono impiegate soglie pratiche d’intervento variabili a seconda del numero di generazioni della tignoletta, della cultivar, della possibilità di sviluppo 33 di muffa grigia, etc. Queste soglie nel caso di una sola generazione carpofaga si aggirano in Veneto attorno al 20% di grappoli attaccati per varietà suscettibili ai marciumi e a 30% per quelle non suscettibili; tuttavia poiché esiste un rapporto di 3-4:1 fra l’attacco larvale finale dopo 30 giorni dal picco di cattura alle trappole e quello iniziale dopo 1015 giorni dal picco quando devono essere eseguiti i trattamenti larvicidi, sono state proposte soglie d’intervento di 3-5% oppure 5-8% di grappoli infestati (Pavan et al., 1993). Nel caso di due generazioni carpofaghe, le soglie indicate sono 1-5% in Emilia Romagna (Malavolta et al., 1988), 35% in Lazio (Abbruzzetti et al., 1989), 10-20% in Puglia (Moleas, 2001), 5-10% su cv a grappoli serrati e 10-15% su cv a grappoli spargoli in Sardegna (Delrio et al., 1985). Per l’uva da tavola la soglia è molto più bassa e si aggira attorno al 2-3% di grappoli infestati (Moleas, 2001). Il monitoraggio degli adulti viene effettuato a partire dagli anni ‘70 con trappole a feromoni innescate con (E,Z)-(7,9)-dodecadienyl acetate e (Z)9-dodecenyl acetate, rispettivamente componenti principali della miscela feromonica di L. botrana (Roelofs et al., 1973) e di E. ambiguella (Arn et al., 1976). Le trappole a feromoni (2-3 per ettaro) consentono di tracciare le curve di volo dei maschi e quindi di determinare con buona precisione la fenologia delle due tignole. La loro utilità è al momento limitata all’identificazione del momento ottimale per i trattamenti insetticidi, dato che non è stato possibile individuare una precisa correlazione fra catture e infestazione, nonostante le numerose ricerche effettuate a tal proposito anche a livello internazionale (Roehrich et al., 1986; Stockel et coll., 1990). Anche se le catture non forniscono indicazioni sicure sul livello di infestazione larvale è stato possibile stabilire in singole realtà viticole delle soglie d’intervento (Schruft et al., 1990) o soglie negative d’intervento (basso rischio d’infestazione) (Roehrich e Schmid,1978). Le principali fasi del ciclo fenologico delle tignole (inizio del volo, deposizione delle uova, comparsa delle larve, etc.) possono anche essere individuate mediante l’applicazione di modelli basati sul metodo delle somme termiche. Questi modelli, derivati dallo studio dello sviluppo dell’insetto in laboratorio (Rapagnani et al., 1988) oppure dall’analisi delle serie storiche delle catture alle trappole (per E. ambiguella, Cravedi e Mazzoni, 1989; per L. botrana, Delrio et al., 1989), hanno raggiunto un alto livello di raffinatezza matematica (Baumgartner e Baronio, 1988; Schmidt et al., 2003), ma devono essere adattati e validati a livello locale. Gli stadi preimmaginali delle tignole possono essere rilevati con l’osservazione diretta di almeno 100 grappoli per appezzamento omogeneo (ACTA-ITV, 1980). Le difficoltà nel rilevamento di uova e larve ha però portato nella pratica a preferire la stima dei glomeruli formati dalle larve sui fiori e dei nidi larvali (acini danneggiati) sui grappoli. 34 È stata trovata una relazione significativa fra il numero di glomeruli per grappolo fiorale e la percentuale di infiorescenze occupate, il che consente di semplificare il campionamento; ad es., 50 glomeruli per 100 grappoli corrispondono a circa 35% di infiorescenze attaccate (Baillod et al., 1996). Anche per le generazioni carpofaghe è possibile tracciare una relazione fra numero di nidi larvali per grappolo e percentuale di grappoli occupati e stimare con buona accuratezza l’infestazione attraverso il campionamento della % di grappoli attaccati (Pavan et al., 1988). La lotta alle tignole può essere effettuata con insetticidi citotropici, Bacillus thuringiensis e IGR (chitinoinibitori e acceleratori della muta). I primi, che sono in grado di uccidere le larve anche dopo la penetrazione negli acini, possono essere impiegati efficacemente anche dopo 15 giorni dal picco del volo dopo che con il campionamento è stato rilevato il superamento della soglia d’intervento (Pavan et al., 1993). I regolatori della crescita degli insetti che agiscono sulle uova e sulle larve neonate e il Bacillus thuringiensis devono essere impiegati all’inizio del volo a prescindere dalle soglie d’intervento. Nella pratica questi interventi preventivi vengono effettuati tenendo conto delle infestazioni degli anni precedenti e portano a generalizzare i trattamenti con un notevole aggravio dei costi della difesa. 3.3. CICALINE Fra le numerose cicaline riscontrate sulla vite in Italia (Vidano et al., 1985), le più importanti sono i Cicadellidi Empoasca vitis (Goethe) e Jacobiasca lybica (Berg. & Zan.), per i danni diretti, e Scaphoideus titanus Ball e il Cixiide Hyalesthes obsoletus Sign. per il loro ruolo di vettori di fitoplasmi E. vitis svolge 2-4 generazioni all’anno, mentre J. lybica, diffusa in Sardegna e Sicilia, può compierne 4-5. Ambedue le specie sono floemomize e con le loro punture di nutrizione causano vistose alterazioni cromatiche, accartocciamenti e disseccamenti, che partono dal margine fogliare, fino a provocare filloptosi anticipate. Le foglie colpite riducono la fotosintesi e la traspirazione anche nella parte del lembo ancora verde (Candolfi et al., 1993). L’intensità dei sintomi fogliari dipende dall’epoca, durata e grado di infestazione delle cicaline, ma anche dal tipo di vitigno, portinnesto, vigore vegetativo dei ceppi ed è favorita dagli stress idrici (Pavan et al., 1998). Gli effetti della riduzione della superficie fogliare causata dagli attacchi estivi di E. vitis sono stati simulati mediante defogliazioni artificiali. In Svizzera, l’asportazione di tutte le foglie dei germogli principali dopo 6 settimane dalla fioritura ha causato una riduzione del grado zuccherino e del peso medio degli acini (Candolfi-Vasconcelos e Koblet, 1990), mentre in Italia settentrionale la defogliazione fino al 35 25% in corrispondenza dell’invaiatura non ha comportato alcun tipo di danno (Duso e Bellini, 1992). Elevate infestazioni possono causare diminuzioni della produzione, del peso medio degli acini, irregolare lignificazione dei tralci, insufficiente maturazione dell’uva con riduzione del grado zuccherino e aumento dell’acidità totale dei mosti (Baillod et al., 1993; Gremo et al., 1994; Pavan et al., 1998; Lentini et al., 2000). Da quanto su riportato risulta evidente che le soglie d’intervento per le cicaline, espresse come numero di neanidi e ninfe per foglia, non sono generalizzabili. Infatti, per Empoasca vitis sono state proposte soglie di 1 cicalina/foglia in Francia (ACTA-ITV, 1980), di 1-3 (Baillod et al., 1993) o più di 4 (Candolfi et al., 1993) in Svizzera, di oltre 2 in Piemonte e Lombardia (Rigamonti, 1992), di 1-2 in Veneto e Trentino (Duso e Girolami, 1986), di 1-1,5 per vitigni sensibili e di oltre 3 per quelli meno sensibili in Friuli-Venezia Giulia (Pavan et al., 1998) e di 1-2 in Puglia su uve da tavola (Colapietra et al., 2004). Jacobiasca lybica sembrerebbe più dannosa; infatti sono state proposte soglie d’intervento di 0,5 cicaline per foglia in Portogallo (Amaro et al., 2001) e di 0,5-1 in Sardegna (Lentini et al., 2002). Il monitoraggio delle cicaline può essere effettuato con trappole gialle, che consentono di seguire il volo degli adulti e dei parassitoidi oofagi (ad es., l’importante Mimaride Anagrus atomus Haliday). In alcuni casi è stato possibile riscontrare una correlazione fra catture ed infestazione (Lehmann et al., 2001) e quindi usare i dati delle catture per stabilire le soglie indicative d’intervento, ad es. in Svizzera, oltre 250 cicaline/trappola/settimana (Linder et al., 2005). La stima dell’infestazione può essere effettuata contando il numero di neanidi e ninfe su un campione casuale di 50-100 foglie (1 per ceppo) oppure, poiché è stata trovata una relazione fra il numero medio di individui per foglia e la percentuale di foglie occupate (Cerruti et al., 1988; Baillod et al., 1996), rilevando più semplicemente le foglie infestate. Ad es., le soglie di 1 e 2 cicaline per foglia corrispondono rispettivamente a circa 50 e 70% di foglie occupate. Gli studi sulla distribuzione spaziale di E. vitis e J. lybica hanno dimostrato che le cicaline si trovano più frequentemente sulle foglie del terzo basale del tralcio e che hanno una distribuzione leggermente aggregata. Ciò consente di stabilire il numero di foglie da campionare nel vigneto in funzione della densità e della precisione richiesta dalla stima (a scopi pratici, circa 100 foglie prese a caso per ettaro) e di sviluppare un metodo di campionamento sequenziale (Cerruti et al., 1988; Delrio et al., 2001; Maixner, 2003). Il monitoraggio dello Scaphoideus titanus, vettore della flavescenza dorata della vite, è fondamentale anche ai fini delle misure di lotta alla malattia. Per gli stadi giovanili, vista la loro particolare localizzazione (Cravedi et al., 1993), è consigliabile l’osservazione dei succhioni o delle foglie basali dei germogli lungo i cordoni permanenti delle viti. Gli 36 adulti possono essere monitorati con un ombrello entomologico oppure con trappole gialle (5-6 per ettaro) posizionate a 1-2 m di altezza (Pavan et al., 1987), meglio se disposte orizzontalmente (Jermini et al., 1992). Le trappole gialle disposte a pochi centimetri dal suolo possono essere usate anche per valutare la presenza di Hyalesthes obsoletus, vettore del legno nero, anche se risultano poco efficienti, per cui sarebbe consigliabile ricorrere a sfalci per la cattura degli adulti (Weber e Maixner, 1998). 3.4. COCCINIGLIE Le cocciniglie riscontrate sulla vite in Italia sono circa una decina, ma solo le cocciniglie cotonose Planococcus ficus (Sign.) e P. citri (Risso) sono considerate molto dannose in alcune aree viticole (Tranfaglia e Viggiani, 1978). Le cocciniglie cotonose, che sviluppano 2-3 e 4-5 generazioni all’anno rispettivamente nel Nord e Sud Italia, sono forti produttrici di melata che imbratta foglie e grappoli favorendo lo sviluppo di fumaggini. Gli attacchi diretti ai grappoli e la fumaggine possono deprezzare gravemente i grappoli di uva da tavola. Le cocciniglie possono trasmettere inoltre i virus dell’accartocciamento fogliare e del legno riccio. Sono state proposte soglie pratiche d’intervento di 3-5% di grappoli infestati (Duso e Girolami, 1986; Prota et al., 1988) oppure del 2-3% di grappoli infestati su uve da tavola e di 10-15 su uve da vino e di 10-15% di ceppi infestati in inverno (Laccone et al., 1993). Il monitoraggio dei maschi delle due cocciniglie può essere effettuato con trappole innescate con planococcyl acetate e S-lavandulyl senecionate, principali feromoni sessuali rispettivamente di P. citri e di P. ficus. Le trappole, a delta o a bottiglia, innescate con 0,1 mg di feromone hanno un raggio di attrazione di oltre 50 metri e una durata di oltre un mese (Millar et al., 2002). Le trappole consentono di discriminare facilmente la presenza delle due specie nei vigneti e di seguire l’andamento del volo dei maschi (Ortu et al., 2005). La buona correlazione trovata nei vigneti del Sud Africa fra maschi catturati e densità di colonie sui tralci apre la strada alla possibilità di monitorare le infestazioni di P. ficus attraverso le catture (Walton et al., 2004). Il campionamento delle popolazioni di P. ficus può essere effettuato in inverno, per accertare eventuali focolai d’infestazione, scortecciando porzioni anulari di 10 cm del cordone orizzontale poste in prossimità del fusto. Le infestazioni sulla vegetazione possono essere stimate osservando una foglia per pianta, in particolare quelle basali e quelle opposte al grappolo, e il secondo grappolo posto sul primo germoglio del capo a frutto (Duso, 1989). I rilievi nella fase precedente alla chiusura del grappolo sono fondamentali per rilevare precocemente la presenza del fitofago e determinare la necessità del trattamento. 37 3.5. TRIPIDI Le due specie di Tisanotteri più importanti nei vigneti sono Drepanothrips reuteri Uzel, tripide della vite, e Frankliniella occidentalis (Pergande), tripide occidentale dei fiori, quest’ultimo particolarmente dannoso all’uva da tavola. D. reuteri compie 3-4 generazioni all’anno e può provocare danni al germogliamento, determinando uno stentato accrescimento e distorsione delle foglie, e nei casi più gravi aborto fiorale e colatura degli acini. Gli attacchi di questa specie sono particolarmente temuti nei vigneti giovani in quanto può essere compromessa la produzione del legno (Lozzia et al., 1984). La sintomatologia può essere confusa con quella causata dall’Eriofide Calepitrimerus vitis (Nal.). Il tripide della vite può essere monitorato in inverno osservando al microscopio binoculare l’inserzione dei sarmenti di un anno su quella dell’anno precedente oppure in primavera ed estate campionando rispettivamente 100 foglie (seconda foglia basale del tralcio) o 30-50 foglie (8°-10° foglia) (Strapazzon, 1987; Baillod et al., 1996). In Svizzera è stata proposta una soglia d’intervento di 60-80% di foglie occupate da almeno un tripide. F. occidentalis compie numerose generazioni all’anno spostandosi su varie piante man mano che queste fioriscono. A fine maggio il tripide si porta sulla vite in fioritura dove determina danni con le punture di ovideposizione e di alimentazione. All’allegagione, nei punti di ovideposizione sull’acino si formano aloni biancastri, mentre le punture di nutrizione causano rugginosità e aree di aspetto argenteo (Moleas et al., 1996). Il monitoraggio dei tripidi può essere effettuato con trappole azzurre che catturano gli adulti o scuotendo i grappoli in sacchetti di plastica trasparente o su cartone plastificato di colore bianco. Le soglie di intervento sono di 5-10 tripidi catturati a inizio fioritura e di 15-20 a metà fioritura, oppure più di 3-5 tripidi per grappolo (Moleas, 2001). 3.6. ACARI La vite può essere attaccata dagli acari Tetranichidi Panonychus ulmi (Koch) (ragnetto rosso dei fruttiferi), Eotetranychus carpini (Oud.) (ragnetto giallo) e Tetranychus urticae Koch (ragnetto rosso comune) e dagli Eriofidi Colomerus vitis (Pagenst.) e Calepitrimerus vitis (Nal.). Le infestazioni delle prime due specie di Tetranichidi sono risultate rilevanti in alcune aree viticole del nord Italia, in conseguenza dell’impiego di insetticidi acaro-stimolanti e di anticrittogamici ad azione secondaria acaricida che hanno portato ad una rarefazione dei predatori (soprattutto Fitoseidi), mentre meno frequenti risultano gli attacchi di T. urticae (Duso et al., 1988). Colomerus vitis, agente 38 dell’erinosi, non ha importanza economica, mentre Calepitrimerus vitis, che determina una sintomatologia nota come acariosi, può risultare dannoso in certe condizioni su alcune varietà di uva da vino e da tavola. P. ulmi e E. carpini possono compiere rispettivamente 6-9 e 6-7 generazioni all’anno. Gli attacchi sulle giovani foglie ostacolano la crescita dei germogli che presentano foglie piccole e deformate, mentre in estate elevate densità provocano cambiamenti di colore (imbrunimenti e ingiallimenti), disseccamenti e caduta anticipata delle foglie. I danni, tanto più importanti quanto più precoci sono le infestazioni, consistono in perdite in peso della produzione, ritardo della maturazione e riduzione del grado zuccherino (Borgo, 1988). Numerose variabili (fattori climatici, varietà, forme di allevamento, stadio fenologico al momento dell’attacco, etc.) possono influenzare la definizione delle soglie di tolleranza e d’intervento. Studi iniziali in Francia e Svizzera avevano portato a proporre soglie di 2-5 acari per foglia in primavera-inizio estate e di meno di 1 acaro/foglia in estate, corrispondenti a 60-70% e 30-45% di foglie occupate (Baillod et al., 1979), ma più recenti ricerche di tipo quantitativo hanno dimostrato che la vite può tollerare anche elevate densità di acari senza apparenti danni (Candolfi et al., 1993). In Italia (Girolami, 1981; Duso et al., 1988), l’osservazione che i sintomi di bronzatura si manifestano a densità molto elevate (10-15 acari/foglia) ha portato a proporre soglie d’intervento di 10-20 forme mobili per foglia. A queste densità la maggior parte delle foglie risulta attaccata da uno o più acari e quindi non è più possibile utilizzare, per decidere se trattare o meno, il metodo delle foglie occupate. La distribuzione di P. ulmi è di tipo aggregato ed è stato possibile mettere a punto un metodo di campionamento sequenziale basato sul numero cumulativo degli acari contati sulle foglie per valutare il superamento delle soglie e decidere se trattare o meno (Girolami e Mozzi, 1983). Nella pratica si consiglia di osservare una decina di foglie per ettaro di vigneto omogeneo, conteggiando gli acari fitofagi e i loro predatori, e di non trattare se non vengono superate le soglie (Duso e Girolami, 1986). Il rischio di attacchi precoci di P. ulmi in primavera può essere valutato contando le uova svernanti in prossimità delle gemme su un campione di 100 gemme ad ettaro prelevate dai tralci di potatura (Baillod et al., 1989). Le soglie d’intervento proposte sono di 10 uova per gemma (Laccone et al., 1993). Calepitrimerus vitis compie 3-4 generazioni all’anno e in primavera attacca i germogli causando ritardi di sviluppo, accorciamento degli internodi, formazione di scopazzi, mentre in estate provoca bronzature (Rota, 1992). In Svizzera sono state definite soglie indicative d’intervento di 1-3 acari per gemma per trattamenti in primavera, estraendo con lavaggio gli acari da almeno 20 gemme prelevate dai 39 tralci di potatura (Baillod et al., 1993), mentre in Italia è stata proposta una soglia del 10% di gemme occupate in inverno e del 3-4% di germogli con sintomi di attacco (Laccone et al., 1993). 3.7. CONSIDERAZIONI Il monitoraggio dei principali fitofagi della vite deve essere effettuato seguendo lo sviluppo fenologico della pianta e concentrando i campionamenti delle singole specie dannose in alcune fasi critiche (riposo invernale, germogliamento, fioritura, allegagione, prechiusura del grappolo e invaiatura). I metodi di campionamento e le soglie di intervento attualmente disponibili, anche se talvolta empiriche, consentono l’attuazione di un efficace controllo integrato della vite. Tuttavia l’esecuzione dei campionamenti risulta molto onerosa e di difficile applicazione pratica. Un ulteriore sforzo dovrebbe quindi essere indirizzato ad una maggiore semplificazione dei metodi di monitoraggio, come ad esempio un più efficiente impiego delle trappole e dei modelli di previsione o l’utilizzazione dell’intensità dei sintomi specifici dell’infestazione. Per la tignoletta della vite, l’introduzione dei moderni insetticidi regolatori di crescita, che vengono impiegati nella lotta preventiva, rende necessaria la definizione di soglie d’intervento basate su adeguati sistemi di monitoraggio della densità delle uova. 3.8. AUTORI CITATI ABBRUZZETTI G., BIANCHI A., CONTI M., GRANDE C. - 1989 - La difesa integrata della vite da tavola e da vino. - Osservatorio per le malattie delle piante per il Lazio, Roma, 47 pp. ACTA-ITV - 1980 - Protection intégrée: controles périodiques au vignoble. Vigne II : controles seuils et indications pour la lutte. - ACTA, Paris, 79 pp. AMARO P., GARRIDO J., FREITAS J., RAPOSO M.E. - 2001 - Cigarrinha-verde. - In: Amaro C . (ed) “ A proteccao integrada da vinha na regiao norte”, Porto: 112-118. ARN H., RAUSCHER S., BUSER H.R., ROELOFS W.L. - 1976 - Sex pheromone of Eupoecilia ambiguella: cis-dodecenyl acetate as a major component. - Z. Naturforsch., C. 31 : 499-503. 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Le specie sporadicamente o comunemente presenti nel vigneto senza provocare alterazioni degne di rilievo vengono menzionate mentre l’attenzione viene focalizzata su quelle che possono diventare dannose direttamente con le punture di nutrizione, le ferite di ovideposizione, l’emissione di melata: il flatide Metcalfa pruinosa, il membracide Stictocephala bisonia, il cicadellide Cicadella viridis, i tiflocibini Empoasca vitis, Jacobiasca lybica, Zygina rhamni. Un breve accenno viene altresì fatto ad Arboridia dalmatina presente in Dalmazia e ad Erythroneura vulnerata, di origine nordamericana, di recente segnalata in Italia. I principali nemici naturali, predatori e parassitoidi, autoctoni o introdotti dai paesi di origine delle cicaline, vengono ricordati. Parole chiave: cicadellidi, flatidi, membracidi, danni, lotta, nemici naturali Abstract Bioethologic aspects and control techniques of viticolous Auchenorrhyncha A rapid examination of the morphologic, physiologic, nutritional, ethologic, ecologic, phytopathologic, and epidemiologic aspects of the Auchenorrhyncha is carried out. The species which are in the vineyard sporadically or commonly without causing noteworthy damage are mentioned. The attention is focused on the species which can become dangerous directly with feeding punctures, egg-laying wounds, and honeydew production: the flatid Metcalfa pruinosa, the membracid Stictocephala bisonia, the cicadellid Cicadella viridis, the typhlocybines Empoasca vitis, Jacobiasca lybica, and Zygina rhamni. A short record is deserved to Arboridia dalmatina, present 45 in Dalmatia, and Erythroneura vulnerata, North American in origin, recently reported in Italy. The most important natural enemies, predators and parasitoids, authocthonous or introduced from the original countries of the cicadellids are recorded. Key words: cicadellids, flatids, membracids, damage, control, natural enemies 4.1. CENNI DI MORFOLOGIA DEGLI AUCHENORRINCHI Gli Auchenorrinchi comprendono una serie di famiglie di Rincoti Omotteri i cui rappresentanti sono caratterizzati dal rostro, o labbro inferiore, che si origina nella parte posteriore del capo e la cui base sorge davanti alle anche delle zampe anteriori, differentemente da quello degli Sternorrinchi, la cui base appare fra le anche delle stesse zampe anteriori. Sono solitamente alati e volgarmente conosciuti in tutto il mondo come cicale o cicaline, per l’aspetto degli adulti. Hanno antenne brevi, con due articoli prossimali ingrossati, distalmente assottigliate. Le ali presentano numerose nervature e quelle anteriori sono generalmente più consistenti delle posteriori. Le zampe hanno tarsi con 3 segmenti; le posteriori sono saltatorie, donde i nomi volgari di leafhoppers (tiflocibini), planthoppers (delfacidi), treehoppers (membracidi), froghoppers (cercopidi). Le femmine sono dotate di un robusto ovipositore, formato da tre coppie di valve, che si origina a carico degli urosterniti ottavo e nono. Le dimensioni variano da pochi millimetri (3-20) nelle specie paleartiche fino a parecchi centimetri in quelle tropicali. Gli auchenorrinchi sono interessanti per peculiarità morfologiche, soprattutto nei membracidi, caratterizzati dall’enorme sviluppo del pronoto che ricopre normalmente capo, torace e addome e in molte specie presenta lateralmente due corna aguzze e un prolungamento caudale spiniforme (sino a raggiungere ipertelie paradossali con fantastiche e bizzarre dilatazioni, ramificazioni e ornamentazioni), e cromatiche, con pigmentazioni varianti dal bianco fino al nero attraverso tutti i termini di passaggio, giallo, rosso, marrone, bruno, composti in disegni, bande, striature i più svariati e con accostamenti mirabili ed esteticamente molto gradevoli. Le caratteristiche fisiologiche comprendono organi che emettono e ricevono suoni (cicale) e microsuoni (cicadellidi), micetomi specifici con relativi microsimbionti, intestino dotato di camera filtrante, produzione di spuma (cercopidi), di melata (membracidi, flatidi), di cera (fulgoromorfi), di brocosomi. Questi ultimi sono strutture ultramicroscopiche, associate ai cicadellidi, che prendono origine nei tubi malpighiani e vengono versati nell’intestino dal quale sono emessi attraverso l’apertura anale in goccioline bene differenziate da quelle escrementizie. Hanno aspetto reticolato (letteralmente il nome significa “corpo a rete”), dimensioni in 46 media di 0,60 µm e vengono distribuiti su tutto il corpo mediante rapidi movimenti delle zampe che portano speciali setole disposte a pettine sulle tibie anteriori e posteriori. Nei tiflocibini vengono anche immagazzinati sulle ali anteriori in spessi strati ovalari che formano le cosiddette “aree cerose”. Di natura e composizione pressoché sconosciute, vengono interpretati come materiale di protezione dei piccoli insetti che li producono. 4.2. CENNI DI BIOLOGIA Dal punto di vista biologico, lo sviluppo viene compiuto secondo due processi denominati paurometabolia ed emimetabolia. Le uova, solitamente allungate e fusiformi, schiudono dopo uno sviluppo embrionale di una decina di giorni per le specie con generazioni primaverili ed estive, di parecchi mesi per le specie in cui lo svernamento viene compiuto nello stadio di uovo. A seconda delle specie, dopo lo sgusciamento i giovani sono destinati a rimanere sulla vegetazione ove sono nati oppure a raggiungere quella al suolo. Gli stadi giovanili sono rappresentati da cinque età, distinte in neanidi per le prime età, che solitamente sono due e non presentano abbozzi alari, e in ninfe per le età successive in cui gli abbozzi alari compaiono e vanno sviluppandosi con le mute. Dalla ninfa di ultima età (solitamente la quinta) sfarfalla l’adulto che presenta ali funzionanti e può anche non differenziarsi troppo dall’età precedente oppure mostrare modificazioni morfologiche notevoli se comportano ambienti di vita differenti: si parla nel primo caso di paurometabolia (ad es. i cicadellidi che vivono sempre in ambiente subaereo), nel secondo caso di emimetabolia (ad es. i cicadidi che svolgono la vita giovanile nel terreno e quella adulta in ambiente aereo). Anche se non possono venire considerati insetti strettamente omodinami, il numero delle loro generazioni varia generalmente da uno a quattro, in alcune specie con possibilità di riduzione o aumento a seconda delle condizioni climatiche e ambientali. Lo svernamento è sopportato sia dall’uovo deposto in tessuti vegetali, sia dagli adulti stazionanti in luoghi riparati delle piante ospiti donde escono nelle giornate più calde, sia dai giovani al suolo o sulle radici dei vegetali. Per quanto concerne gli aspetti nutrizionali, gli auchenorrinchi sono tutti fitofagi e considerati gruppo di transizione fra eterotteri, a regime dietetico misto, fitofago e zoofago, e sternorrinchi, a regime strettamente floemomizo. In effetti essi comprendono specie plasmomize o mesofillomize (svuotano le cellule del parenchima fogliare del loro contenuto ed emettono escrementi nerastri), xilemomize (assumono l’alimento dai vasi legnosi ed emettono deiezioni acquose, in goccioline trasparenti o sotto forma di spuma bianca), floemomize (succhiano linfa elaborata ed espellono melata), floemoftore (pungono i vasi cribrosi interrompendo il flusso della linfa ed eliminano escrementi brunastri). 47 4.3. CENNI DI ETOLOGIA Gli auchenorrinchi mostrano costumi spiccatamente igrofili e preferiscono ambienti umidi e freschi quali prati irrigui, base dei cespi di graminacee e di altre piante erbacee, pagina fogliare inferiore, quando non addirittura il terreno ove svolgono lo sviluppo giovanile. Alcune specie sono monofaghe o pseudomonofaghe, obbligate a vivere e riprodursi su una sola o su poche specie vegetali dello stesso genere, parecchie risultano oligofaghe nell’ambito di una o più famiglie vegetali, molte sono polifaghe e spaziano su molte piante arboree oppure erbacee. Le alterazioni alla vegetazione sono causate non solamente dalla sottrazione di materiale parenchimatico e di linfa grezza o elaborata ma anche dalle fenditure di ovideposizione, che possono letteralmente tempestare virgulti, piante in vivaio o in piantamenti recenti, giovani rametti mandandoli a morte, e dalle trafitture di nutrizione che provocano necrosi, decolorazioni, pigmentazioni anomale. Tuttavia le peggiori preoccupazioni sono provocate dalle specie incautamente introdotte da altre regioni zoogeografiche, giunte in nuovi areali senza il complesso di limitatori naturali che nelle patrie di origine ne tiene in freno le popolazioni e, soprattutto, da quelle che sono in grado di trasmettere agenti fitopatogeni. 4.4. LA SITUAZIONE ITALIANA DEGLI AUCHENORRINCHI VITICOLI Secondo una ricognizione relativamente recente (D’Urso, 1995), le specie di auchenorrinchi presenti in Italia sarebbero 867 appartenenti a 298 generi e 14 famiglie. Anche se il loro numero è destinato ad aumentare, quelle che si possono comunemente trovare in vigneto sono poco più di una trentina e quelle da ritenere dannose si aggirano sulla decina. L’elenco potrebbe divenire molto più cospicuo qualora vi si aggiungessero anche gli individui di specie che possono casualmente giungere sulla vite durante il volo di avvicinamento a piante ospiti per nutrirsi o per svernare, o nello spostamento da piante ospiti degli interfilari o delle zone contermini, se non addirittura per fenomeni di deriva specialmente in giornate ventose. Tali sono da considerare le citazioni di Populicerus populi (L.) dei pioppi, Eupteryx spp. delle piante officinali, Liguropia juniperi (Lethierry) dei cipressi, Lindbergina aurovittata (Douglas) delle querce, Zyginidia spp. ed Emelyanoviana mollicula (Boheman) delle graminacee, Japananus hyalinus (Osborn) degli aceri ornamentali e via esemplificando, per lo più catturati con trappole cromotattiche adesive. Considerando l’elenco della tabella 1, ed escludendo le specie vettrici che vengono trattate in altro capitolo, il cixiide P. leporinus, nero, lungo 5-7 mm, il cercopide C. sanguinolenta, che spicca per le macchie rosse sul nero bluastro delle ali, lungo 8-10 mm, il membracide C. cornutus, 48 Tabella 1 - Auchenorrinchi del vigneto Cixiidae Pentastiridius leporinus (L.) (Oliarus) Signoret Delphacidae *Hyalesthes obsoletus Signoret Javesella pellucida (F.) Laodelphax striatellus (Fallén) Issidae Agalmatium flavescens (Olivier) (Hysteropterum grylloides F.) Flatidae *Metcalfa pruinosa (Say) Cicadidae Lyristes plebejus (Scopoli) Cicadatra atra (Olivier) Cicada orni L. Cercopidae Cercopis sanguinolenta (Scopoli) Philaenus spumarius (L.) Lepyronia coleoptrata (L.) Membracidae Centrotus cornutus (L.) Cicadellidae Ledra aurita (L.) Penthimia nigra (Goeze) Aphrodes bicincta (Schrank) *Cicadella viridis (L.) Graphocephala fennahi Young Empoasca decipiens Paoli *Empoasca vitis (Göthe) Asymmetrasca decedens Paoli *Jacobiasca lybica (Bergevin & Zanon) *Zygina rhamni Ferrari Neoaliturus fenestratus (Herrich-Schäffer) *Stictocephala bisonia Kopp & Yonke Macrosteles cristatus (Ribaut) M. laevis (Ribaut) M. quadripunculatus (Kirschbaum) M. sexnotatus (Fallén) Fieberiella florii (Stål) *Scaphoideus titanus Ball Euscelis incisus (Kirschbaum) Euscelidius variegatus (Kirschbaum) *Arboridia dalmatina (Novak & Wagner) *Erythroneura vulnerata Fitch brunastro, lungo 8-10 mm, caratterizzato da due vistosi processi pronotali anteriori e uno posteriore, i cicadellidi L. aurita, nocciolagrigiastra, lunga 13-18 mm, con un aspetto da membracide a causa di due espansioni laminari pronotali, P. nigra, nera con due macchie rosse sul pronoto, lunga 4-5 mm, A. bicincta, bruno- o grigio-giallastra, lunga 4-5 mm, G. fennahi, verde con due lunghe bande aranciate sulle ali anteriori, lunga 8-9 mm (specie esotica infeudata ai rododendri ornamentali), E. decipiens, verde chiara, lunga 3-4 mm e la molto simile A. decedens, possono attirare l’attenzione quando la loro presenza diviene occasionalmente più numerosa del consueto, ma non provocano alterazioni degne di nota poiché vivono generalmente su dicotiledoni erbacee. Prive di implicazioni fitopatologiche sono pure alcune manifestazioni più tangibili e appariscenti. Sovente in primavera i tralci mostrano 49 numerose ooteche terrose, lunghe circa 5 mm, dell’isside A. flavescens, che possono destare preoccupazioni nei viticoltori. Il fenomeno però è destinato a estinguersi rapidamente poiché le neanidi neonate raggiungono subito le erbe dell’interfilare ove svolgono tutto lo sviluppo senza interferire con il fruttifero. Lo stesso si può dire per le esuvie, anche molto numerose in zone e annate particolarmente calde, dei cicadidi L. plebejus, C. atra, C. orni, insetti tipicamente emimetaboli che, dopo aver svolto lo sviluppo giovanile sulle radici, in estate raggiungono i tronchi per sfarfallare, o per le masserelle di spuma biancastra molto visibili in primavera sulla vegetazione tenera dei cercopidi L. coleoptrata e Ph. spumarius, insetti xilemomizi che insufflano aria nelle deiezioni acquose entro le quali si proteggono (a differenza di C. sanguinolenta che si comporta allo stesso modo sulle radici e quindi non rende evidente la spuma protettiva). Per quanto attiene agli auchenorrinchi nominati nei tre gruppi precedenti, trattandosi di specie endemiche (eccezione fatta per J. hyalinus e G. fennahi), di frequentazioni sporadiche, di presenze casuali, di popolazioni solitamente tenute in freno da numerosi predatori e parassitoidi, non vi è ragione di preoccupazioni né tantomeno di interventi. Da quanto precede, fermo restando il pericolo dei vettori di agenti fitopatogeni, l’attenzione deve venire circoscritta ad auchenorrinchi che provocano danni primari con l’alimentazione o con l’ovideposizione: al flatide M pruinosa e al membracide S. bisonia, entrambi di origine neartica, e ai cicadellidi autoctoni C. viridis, E. vitis, J. lybica, Z. rhamni, volgendo uno sguardo anche ad A. dalmatina ed E. vulnerata. 4.4.1. Metcalfa pruinosa Say Il flatide M. pruinosa è largamente diffuso nel continente americano sia al Nord, dal Canada agli Stati Uniti e al Messico, che al Sud fino al Brasile. In Europa è stato segnalato per la prima volta in Provincia di Treviso, da dove si è rapidamente diffuso in tutta Italia e nei paesi circostanti (Francia, Svizzera, Slovenia, Croazia) con una marcia difficilmente arrestabile a causa della sua estrema polifagia. Vive su una grande quantità di piante erbacee e legnose, dalle infestanti ai fruttiferi, appartenenti a più di 50 famiglie botaniche, su molte delle quali si può riprodurre. È una specie a regime dietetico floemomizo che provoca danni fisiologici con suzione di linfa elaborata ed estetici con abbondante produzione di melata e di cera, manifestazioni che simulano quelle provocate dagli pseudococcidi. L’adulto è lungo 8,0-8,4 mm, ha colore bianco perlaceo e ampie ali anteriori espanse, troncate distalmente, che l’avvicinano vagamente a un lepidottero tortricide (donde il nome volgare di “farfallino”), di colore grigiastro, ricoperte da secrezione cerosa. La specie compie una sola generazione all’anno e sverna allo stadio di uovo. Le prime schiusure 50 avvengono a fine maggio. Il colore, bianco candido nelle neanidi, diviene verde chiaro nelle ninfe; tutti gli stadi giovanili sono ricoperti di abbondante secrezione cerosa che diviene più vistosa nelle ultime età quando compare anche un paio di filamenti all’estremità caudale. Lo sviluppo giovanile, attraverso tre età neanidali e due età ninfali, viene completato in circa un mese. Gli adulti, molto mobili, compaiono all’inizio di luglio e rimangono in attività sino a fine ottobre. A partire da agosto le femmine si portano sulle piante prescelte per l’ovideposizione, su cui a volte formano veri assembramenti, e compiono l’attività riproduttiva anche in pieno giorno, incuranti di eventuali disturbi ambientali. Le uova (circa un centinaio per femmina) sono inserite singolarmente o in piccoli gruppi in fessure e screpolature di rami e tronchi di cespugli e alberi, con preferenza per quelli con corteccia sottile e rugosa, o anche entro gemme. L’affollamento di neanidi e ninfe in attività trofica impedisce la normale crescita dei germogli e dà origine a una grande quantità di cera e di melata che coinvolge le foglie sottostanti, sulle quali proliferano le fumaggini con conseguenti riduzione dell’attività fotosintetica e secchezza fisiologica. Su vite i danni maggiori sono causati alle cultivar da tavola perché melata, cera e fumaggini compromettono la commerciabilità del prodotto, ma anche sulle cultivar da vinificazione il disturbo è notevole. Non è trascurabile nemmeno il disagio dei viticoltori che, trovandosi a operare su viti pesantemente imbrattate, cercano di rimediare con interventi estemporanei, purtroppo poco risolutivi. In effetti la lotta chimica presenta difficoltà a causa della secrezione cerosa che protegge tutti gli stadi attivi degli insetti e della mobilità degli adulti. A ciò si aggiunga la pericolosità di trattamenti con i numerosi fitofarmaci sperimentati, soprattutto in vicinanza del raccolto. Utile è apparso l’impiego di soluzioni acquose di nitrato di potassio che, irrorate con forte pressione, dilavano le piante liberandole da melata, cera, insetti. È un tentativo estremo, non sempre perseguibile per grandi estensioni. Nella patria di origine questo flatide non è considerato economicamente importante perché naturalmente limitato da molti nemici naturali che pertanto sono poco conosciuti. Siccome in Europa (continente molto povero di flatidi) limitatori autoctoni non si sono adattati al nuovo fitomizo, è stato introdotto in Italia il driinide Neodryinus typhlocybae (Ashmead) parassitoide degli stadi giovanili (e in parte anche predatore) in vista di attuare una lotta biologica efficace (Girolami e Camporese, 1994). I tentativi di diffusione sono stati molti in numerose zone viticole, ove il driinide ha mostrato di acclimatarsi con facilità e finalmente, dopo un decennio di sperimentazione e di lanci del parassitoide, la situazione si va lentamente avviando verso l’auspicata lotta biologica propagativa. Viene quindi notata una graduale diminuzione della pressione del flatide in vigneti già molto infestati a scapito di altri successivamente coinvolti, in una sorta di progressivi convivenza e adattamento di non facile interpretazione. 51 4.4.2. Stictocephala bisonia Kopp & Yonke Il membracide S bisonia, o cicalina bufalo americana, ha il suo areale originario di distribuzione negli Stati Uniti orientali e centro occidentali da dove è stato introdotto in Europa, dapprima in Ungheria, poi in molti altri Paesi situati fra i paralleli 40° e 50° (Arzone et al., 1987). È stato segnalato in Italia nel secondo dopoguerra (Goidanich, 1946) con il nome (poi rivelatosi errato) di Ceresa bubalus F., la quale in verità non è mai giunta nella regione paleartica. È specie molto polifaga a regime dietetico floemoftoro, non emette melata e provoca alterazioni primarie con le incisioni di ovideposizione e secondarie con le punture di nutrizione. L’adulto è lungo 10 mm. Ha colore verdastro, presenta sul pronoto due processi appuntiti ai lati e una lunga carenata prominenza centrale appuntita e diretta all’indietro, cioè le ipertelie tipiche dei membracidi. La specie compie una sola generazione all’anno e sverna allo stadio di uovo. Le prime neanidi sgusciano all’inizio di maggio. I giovani sono di colore verde e presentano processi spiniformi che vanno a mano a mano accentuandosi con il passaggio dai due stadi di neanide ai tre stadi di ninfa, nei quali compaiono gli abbozzi alari. Lo sviluppo giovanile viene completato in circa due mesi. Gli adulti cominciano a sfarfallare in luglio e sono attivi sino a ottobre. Per completare il ciclo annuale S. bisonia necessita di due ospiti vegetali, una pianta legnosa per l’ovideposizione e una erbacea per lo sviluppo dei giovani. Molti ospiti legnosi spontanei o coltivati appartenenti a numerose famiglie botaniche ne sono coinvolti, mentre le coltivazioni di medica e trifoglio forniscono l’ambiente migliore per neanidi e ninfe che tuttavia si sviluppano anche al colletto di molte altre piante erbacee sia mono- che dicotiledoni con stelo glabro. Le alterazioni alle piante sono imputabili soprattutto all’attività riproduttrice delle femmine con le caratteristiche ovideposizioni endofitiche, meno note sono quelle dovute all’attività trofica dei giovani, peculiari sono quelle degli adulti che sono polifagi ma, in certe aree dove si riproducono, provocano particolari modificazioni caulinari e fogliari. Ciascuna femmina depone più di 100 uova che inserisce con il robusto ovipositore entro lo spessore della corteccia di rami con diametro fino a 2 centimetri. Le uova sono deposte in gruppi di 6-12 entro fenditure a forma di mezzaluna. Tali fenditure, che si presentano in coppie contrapposte a formare una incisione a ferro di cavallo, sono profonde 2 mm e lunghe 3-4 mm. Oltre che il floema, anche il cambio viene raggiunto e sovente sono interessati persino gli strati periferici dello xilema. Le alterazioni morfologiche e fisiologiche che ne conseguono danneggiano non soltanto gli organi direttamente coinvolti ma l’intera pianta. La vite è uno degli ospiti preferiti dagli adulti che per nutrirsi scelgono tralci verdi, peduncoli di foglie, piccioli di grappoli, viticci. Sovente le 52 punture degli stiletti boccali raggiungono lo xilema, ma di solito si arrestano al floema, o meglio al tessuto cribroso. Se sono apportate una o più serie radiali o a spirale, come spesso accade, l’organo coinvolto reagisce dando luogo a una strozzatura seguita da necrosi, ipertrofie, emissione di radici. Poiché lo xilema rimane indenne mentre un anello di tessuto cribroso ha i vasi linfatici compromessi, gli organi posti distalmente al punto traumatizzato continuano a essere riforniti di linfa grezza ma non possono lasciar discendere la linfa elaborata. A seguito dell’eccessivo accumulo di carboidrati le foglie del tralcio sovrastante la strozzatura si ispessiscono, si arrotolano in senso infero, arrossano in cv a bacca nera, ingialliscono in cv a bacca bianca. Per contro le ferite di ovideposizione di solito non sono pericolose su ceppi adulti, ma divengono problematiche su barbatelle o su viti di primo impianto a cui possono arrecare danni irreparabili, fino a completa disseccazione e morte. La lotta chimica è inefficiente a causa della difficoltà di colpire gli adulti che volano su molti cespugli, i giovani che vivono su piante erbacee, le uova protette sotto la corteccia. Un suggerimento molto opportuno e sempre valido è quello di evitare le consociazioni fra vite ed erba medica, trifoglio e piante erbacee in generale che sovente si trovano negli interfilari o nelle vicinanze. Tuttavia il problema è rientrato e reso inoffensivo dopo l’introduzione dagli Stati Uniti dell’imenottero mimaride oofago Polynema striaticorne Girault (Vidano, 1966). Questo, dapprima allevato in cella climatica, poi acclimatato e distribuito sul territorio piemontese, è ormai diffuso non solamente in Italia ma in tutta Europa fino alla Russia, cioè in tutte le zone di riproduzione del membracide, che è suo ospite specifico, mettendo in atto spontaneamente un chiaro esempio di lotta biologica propagativa. 4.4.3. Cicadella viridis (L.) Il cicadellide C. viridis causa profonde fenditure di ovideposizione simili a quelle di S. bisonia, con le quali possono venire confuse. E’ specie paleartica diffusa in tutta Europa e buona parte dell’Asia, dalla Turchia al Giappone. È stata accidentalmente introdotta anche nella regione neartica, ove sembra in grado di trasmettere l’agente patogeno della Pierce’ disease, malattia esiziale alla vite. È ampiamente polifaga, ha regime dietetico xilemomizo ed emette abbondanti deiezioni acquose sotto forma di goccioline limpide, sino a 2,0-2,5 ml/giorno. Provoca alterazioni primarie a svariate piante erbacee ed arboree di interesse agrario, alle prime con l’attività trofica, alle seconde con l’attività riproduttiva che appare senz’altro la più temibile. L’adulto è lungo da 5-7 mm (il maschio) fino a 7-9 mm (la femmina). Le tegmine del maschio tendono al verde azzurro, quelle della femmina sono verdi. La specie compie due generazioni all’anno e sverna allo stadio di uovo deposto in giunchi o in latifoglie arboree. Per ovideporre 53 Metcalfa pruinosa Ninfa driinizzata Colionola ricoperta di cera Cicadella viridis Femmina adulta 54 Tralcio con ferite di ovideposizione Stictocephala bisonia Adulto Ovatura parzialmente parassitaria Danni di punture di nutrizione di adulti Femmina di Polymena striaticorne 55 Jacobiasca lybica Adulto Disseccazione marginale fogliare 56 Imbrunimento nervale causato da punture di nutrizione Filloptosi in vigneto fortemente infestato Empoasca vitis Adulto svernante Disseccazione marginale fogliare Zygina rhamni Femmina adulta Ninfa in attività trofica 57 la femmina appoggia l’estremità distale del robusto ovipositore al supporto e, spostandola verso il basso, incide la corteccia per un tratto di 5-7 mm, poi riporta l’ovipositore all’estremità superiore dell’incisione ed emette una dozzina di uova. Ne risultano una sottile fenditura verticale in giunco o in piante erbacee, una fenditura falcata e un contiguo rigonfiamento in rametti e polloni di piante arboree. Quest’ultima è confondibile con quella di S. bisonia, anche perché le ovideposizioni delle due specie sovente sono frammiste. I giovani (grigiastro-giallastri con strie dorsali gialle e scure) e gli adulti si nutrono su piante erbacee mono- o dicotiledoni. Su queste in giugno-luglio le femmine inseriscono le uova della generazione estiva mentre in autunno raggiungono i giunchi o i polloni e i giovani rametti di piante arboree per deporvi le uova destinate a svernare. È specie spiccatamente igrofila, assai comune in prati irrigui e in zone umide. Anche le ovature autunnali in piante arboree sono collocate a poca altezza dal suolo. Per questo motivo i barbatellai situati in zone molto fresche, all’interno o in vicinanza di prati e incolti ove il cicadellide trova l’ambiente ideale di vita, soggiacciono particolarmente al rischio di avere i giovani tralci letteralmente tempestati da innumerevoli fenditure di ovideposizione che possono compromettere le piante. I danni possono venire evitati con mezzi preventivi, tenendo in debito conto le spiccate preferenze per le zone umide che debbono venire evitate per semenzali o giovani impianti. Ad ogni modo si tratta di una specie endemica che si trova al centro di una complessa biocenosi che ne regola e mantiene in equilibrio naturale le popolazioni. Oltre che i numerosi predatori generici meritano menzione i preziosi limitatori oofagi: i mimaridi Polynema woodi Hincks, Gonatocerus cicadellae Nikolskaja, Anagrus atomus (L.) e il tricogrammatide Oligosita krygeri (Girault) (Arzone, 1972). 4.4.4. Empoasca vitis (Göthe) Il tiflocibino E. vitis, la ben nota cicalina verde della vite, è certamente la specie più conosciuta fra i cicadellidi che si possono trovare sulla vite. E’ specie paleartica a vastissima geonemia. Risulta diffusa in tutta Europa sino all’estremo Nord, dimostrandosi tendenzialmente criofila e in grado di riprodursi anche in situazioni climatiche che inducono la riduzione del numero di generazioni annuali, in Africa settentrionale ed anche nella Regione Orientale. Nonostante il nome specifico è ampiamente polifaga su molte famiglie di latifoglie arboree, dalle betulacee alle corilacee alle fagacee, e arbustive sulle quali può riprodursi senza lasciare traccia della sua attività trofica, che è precipuamente floemomiza (Arzone e Vidano, 1987; Vidano e Arzone, 1987a, 1987b). L’adulto è lungo da 2,0 a 2,7 mm e presenta la colorazione verdiccia più o meno chiara che ha fatto attribuire alla specie l’appellativo con cui è 58 comunemente conosciuta. A seconda della latitudine compie da 2 a 4 generazioni annuali. Lo svernamento è sopportato dagli adulti che in autunno migrano su conifere e altre piante a foglie persistenti quali Viburnum tinus L., Calluna vulgaris (L.) Hull e altre che si trovino nelle vicinanze. In primavera le femmine, che sono poco prolifiche e maturano ciascuna 15-20 uova, reimmigrano sulle latifoglie, pertanto anche su vite, sulla quale inseriscono le uova, isolate, nelle nervature della pagina fogliare inferiore. I giovani che ne nascono dopo 8-10 giorni hanno colorazione verde pallida e si trattengono insieme agli adulti sulla pagina inferiore delle foglie nel folto dei ceppi più rigogliosi e frondosi. Lo sfarfallamento degli adulti della prima generazione ha luogo a metà giugno. La seconda generazione ha inizio con la deposizione delle uova all’inizio di luglio. Una terza generazione comincia con lo sfarfallamento degli adulti nella prima decade di agosto, per cui si ha sovrapposizione delle generazioni e conseguente presenza contemporanea di tutti gli stadi di sviluppo. Giovani e adulti manifestano costumi spiccatamente igrofili ma, mentre sulle altre piante ospiti non provocano alterazioni degne di nota come già detto, su vite invece si dimostrano floemoftori e causano l’interruzione dei vasi linfatici. Sintomi inequivocabili di attacchi di E. vitis sono imbrunimento nervale, ispessimento e accartocciamento infero del lembo fogliare, lucentezza della pagina fogliare superiore seguiti da arrossamento e successivi imbrunimento e disseccazione del margine che procedono centripetamente verso il seno peziolare. Le alterazioni fogliari sono tanto vistose da indurre i viticoltori a trattare con insetticidi. Ricerche appositamente condotte hanno dimostrato che la distribuzione spaziale nel vigneto è fortemente influenzata dall’ambiente circostante poiché è risultata omogenea in coltivazioni di grande estensione e significativamente aggregata nella parte interna di piccoli vigneti circondati da prati e boschi, cioè in ambienti validi dal punto di vista ecologico (Bosco et al., 1996). Appare comunque incongruo e assolutamente fuori luogo il grande numero di composti chimici suggerito per trattamenti insetticidi allo scopo di debellare questa cicalina, le cui popolazioni sono per lo più scatenate da trattamenti contro altri insetti o acari ampelofagi, trattamenti che sovente innescano una spirale senza fine di infestazioni sempre più pesanti e preoccupanti di numerosi fitofagi. Deve subentrare qui la lotta ecologica o meglio il buon governo del vigneto, attraverso la valorizzazione dei nemici naturali che si riproducono su altre vittime reperite in siepi e incolti (Arzone et al., 1988). A titolo di esempio vengono ricordati fra i predatori gli acari Allothrombium fuliginosum (Hermann), occasionale, e Anystis baccarum (L.), piuttosto localizzato, gli ortotteri Meconema meridionale Costa e M. thalassinus (DeGeer), localizzati, e Oecanthus pellucens (Scopoli), diffuso ed efficiente come il miride Malacocoris chlorizans (Panzer), il crisopide Chrysoperla carnea (Stephens), ubiquista. Per E. vitis meritano ancora menzione, fra i 59 parassitoidi, il dittero pipunculide Chalarus brevicaudis Jervis, che è specifico, e soprattutto l’imenottero mimaride oofago Anagrus atomus (L.), polifago su uova non solamente di auchenorrinchi. Appare lungimirante pertanto la tecnica, adottata nelle regioni viticole californiane, di porre a dimora nelle vicinanze dei filari piante di Rubus spp. per offrire ad Anagrus epos (Girault), colà vicariante di A. atomus, la possibilità di svilupparsi in uova svernanti di altri cicadellidi, allo scopo di favorire la moltiplicazione dell’oofago e di facilitarne il passaggio su vite. 4.4.5. Jacobiasca lybica Bergevin & Zanon Il tiflocibino J. lybica, nota come cicalina africana, provoca ampelopatie simili a quelle causate da E. vitis, generalmente però con quadri fitopatologici più vistosi e preoccupanti. È specie mediterraneo-etiopica ad ampia distribuzione geografica, diffusa in tutto l’arco nord-orientale dell’Africa, in Israele, nella Spagna meridionale, in Sicilia e Sardegna meridionale, dimostrandosi pertanto spiccatamente termofila. E’ molto polifaga e risulta particolarmente dannosa al cotone in Egitto e Sudan, a solanacee in Israele, alla vite in Nord Africa, Spagna, Cipro, Sardegna e Sicilia. Su questa pianta si mostra floemoftora al pari di E. vitis (Vidano, 1962). L’adulto è lungo da 2,5 a 3,2 mm, ha colore verde chiaro tendente al giallo e mostra caratteri somatici molto simili a quelli della cicalina verde, dalla quale non è facile distinguerlo morfologicamente se non mediante osservazione microscopica. La specie compie parecchie generazioni l’anno (4-5 in Sardegna, fino a 11 in Egitto), che si sovrappongono fra loro, dimostrando comportamento omodinamo a seconda delle condizioni climatiche e delle piante ospiti (Vidano, 1962). Lo svernamento è sopportato dagli adulti su numerose piante erbacee e arbustive e in primavera raggiunge nuovamente la vite ove si accoppia e depone una cinquantina di uova, isolate, entro le nervature della pagina fogliare inferiore. I giovani, anch’essi di colore verde chiaro, sono presenti per lungo tempo, a causa delle schiusure scalari e della sovrapposizione delle generazioni, e si trattengono nella parte più fresca della pianta, igrofili come tutti i tiflocibini a causa delle minute dimensioni, pungendo le nervature principali e secondarie al riparo dalle radiazioni solari dirette e dalla ventilazione. Increspature del lembo, accartocciamento delle foglie colpite precocemente, fragilità, lucentezza, ispessimento con arrossamento per vitigni a bacca nera e ingiallimento per quelli a bacca bianca, disseccazione marginale con avanzamento centripeto, necrosi che possono manifestarsi repentinamente e condurre a un peculiare tipo di filloptosi consistente nella caduta del lembo ma non del picciolo, irregolare lignificazione del tralcio e insufficiente maturazione dell’uva sono i sintomi di attacchi massicci quali quelli segnalati in Sardegna 60 meridionale, dove compaiono infestazioni periodiche con intensità differente nelle diverse annate, ma sempre di una gravità più o meno accentuata (Lentini et al., 2002), e nella Sicilia occidentale (Bono et al., 2005). Ai fini della difesa, a fronte di indicazioni di gravi danni in presenza di 0,5-1,0 ninfe /foglia (che pertanto deve venire considerata soglia di intervento) e in mancanza di notizie probanti sulla biocenosi della cicalina, è stato dimostrato che l’uso delle più svariate sostanze attive utilizzate riesce a contenere le infestazioni di una specie che è apparsa estremamente sensibile ai trattamenti insetticidi, anche se è auspicabile l’impiego di “prodotti fitosanitari caratterizzati da un favorevole profilo ecotossicologico” (Bono et al., 2005). Allo scopo, anche per questa specie è necessario tenere in debita considerazione l’incidenza limitatrice del mimaride oofago A. atomus, e forse di qualche ulteriore specie congenere, oltre che quella dei numerosi predatori, alcuni dei quali sono stati esemplificati nella biocenosi di E. vitis, al fine di salvaguardare i nemici naturali presenti nei territori viticoli e metterli in condizione di esercitare convenientemente il loro ruolo benefico. 4.4.6. Zygina rhamni Ferrari Il tiflocibino Z. rhamni è la terza cicalina della vite. È una specie diffusa nei Paesi del Bacino Mediterraneo ed è tendenzialmente termofila, risultando presente nella Francia meridionale e in Ungheria, ma non nei Paesi più nordici dell’Europa centrale. In Italia la sua termofilìa la rende scarsamente rappresentata nelle regioni settentrionali mentre è comune in quelle centrali e abbondante nel meridione e nelle isole. È da considerare un tiflocibino ampelofago obbligato e può essere ritenuta la vera cicalina italiana della vite, anche se è stata ventilata la possibilità di svolgimento di una generazione su un ospite alternativo. Oltre che termofila essa è anche igrofila come tutti i tiflocibini e rifugge le radiazioni solari dirette per cui infesta preferibilmente le viti più rigogliose delle quali interessa le foglie maggiormente riparate della chioma. Il regime dietetico è mesofillomizo. L’adulto è lungo 3,0-3,5 mm e presenta una livrea bianco-cremea con disegni rosso-aranciati più o meno notevoli a zig-zag sulle elitre, disegni che gli hanno fatto assegnare il nome comune di cicalina giallo-rossa (o anche cicalina gialla) della vite, per la variabilità cromatica stagionale e individuale cui soggiacciono gli adulti. Infatti gli individui delle generazioni estive sono solitamente molto meno pigmentati di quelli destinati a subire lo svernamento e uno stesso esemplare acquisisce la pigmentazione rosso-aranciata per gradi e altrettanto gradatamente la perde in funzione della maturità sessuale È manifesto anche un notevole dicroismo sessuale poiché i maschi sono generalmente poco dotati di pigmenti rossi e hanno gli ultimi due tarsomeri delle zampe posteriori nerastri. La specie compie 2-3 generazioni all’anno e sverna allo stadio 61 adulto su piante sempreverdi, con preferenza per il rovo. Ogni femmina conficca, isolate, 30-40 uova nelle nervature principali e secondarie della pagina fogliare inferiore e le generazioni si susseguono nel corso della stagione con una notevole sovrapposizione. Gli stadi giovanili, caratterizzati da colore cremeo e da antenne più lunghe del corpo, compiono lo sviluppo in 3-4 settimane. Essi si trattengono, insieme con gli adulti, sulla pagina fogliare inferiore della quale trafiggono l’epidermide per nutrirsi del mesofillo. I primi adulti compaiono scalarmente a partire dalla metà di giugno e, con la prima decade di luglio, ha inizio l’ovideposizione che darà luogo alla seconda generazione. Le foglie coinvolte non mostrano alterazioni in corrispondenza della pagina inferiore, dove si trattengono gli individui, ma sulla pagina superiore sono chiaramente visibili macchie biancastre, più concentrate in vicinanza delle nervature, dovute allo svuotamento delle cellule del palizzata, ma non del lacunoso (Vidano, 1962). Tanto al Nord, dove è meno comune, quanto al Sud e nelle isole, le infestazioni pesanti con declorofillazione su tutto il lembo sono rare. Soltanto in questo caso si potrebbero avere ripercussioni negative sull’attività fotosintetica e, conseguentemente, su maturazione e contenuto zuccherino dei grappoli. Nonostante la spiccata ampelofilìa, Z. rhamni non appare una specie viticola molto nociva. Essa è limitata dai predatori più o meno generici già menzionati per E. vitis, dal momento che le due popolazioni si trovano frammiste durante tutta la stagione vegetativa della vite, e da numerosi parassitoidi: il già nominato mimaride oofago A. atomus (che da solo distrugge complessivamente 47,60% delle uova delle due specie) (Arzone et al., 1988), il pipunculide Chalarus zyginae Jervis, i driinidi Aphelopus atratus (Dalman) e A. serratus Richards, nemici efficacissimi che rendono inutili, se non addirittura controproducenti, i trattamenti chimici. I tre tiflocibini suddescritti possono trovarsi contemporaneamente insieme sulla vite, ma la loro distribuzione sul territorio rispecchia chiaramente le rispettive esigenze ecologiche. Questo fenomeno è verificabile specialmente in Sardegna, dove E. vitis è scarsamente presente al Nord, J. lybica è abbondante al Sud, Z. rhamni si trova sull’intero territorio. Parafrasando una espressiva battuta di Carlo Vidano che ha lavorato a lungo sui vigneti sardi, potendolo, la prima fuggirebbe volentieri in Italia settentrionale e la seconda volerebbe di buon grado in Africa settentrionale. Desidero ancora soffermarmi su due specie della sottofamiglia Typhlocybinae, tribù Erythroneurini: A. dalmatina Novak & Wagner ed E vulnerata Fitch, entrambe mesofillomize e degne di nota, sia pure per motivi differenti. 4.4.7. Arboridia dalmatina (Novak & Wagner) A. dalmatina, lunga circa 3 mm, di colore verdiccio, è considerata la cicalina viticola più dannosa in Montenegro dove si trovano anche E. 62 decipiens Paoli, E. vitis e Z. rhamni (Velimirović, 1967). Sverna allo stadio adulto su parecchi vegetali a foglie persistenti, con preferenza per il rovo, soprattutto nelle vicinanze dei vigneti. In primavera gli adulti migrano sulla vite, generalmente a partire dalla fine di aprile. La specie compie tre generazioni all’anno e in autunno gli adulti ritornano sugli ospiti invernali. Le uova sono deposte isolate sotto l’epidermide inferiore delle foglie ma anche nelle nervature e nei sarmenti erbacei. La schiusura delle neanidi della prima generazione comincia alla fine di maggio, la seconda generazione si sviluppa da metà luglio a fine agosto, la terza generazione inizia a fine agosto. La durata della vita giovanile si aggira sulle due settimane. Con l’attività trofica A. dalmatina svuota le cellule del mesofillo provocando macchie decolorate che a volte occupano tutto intero il lembo fogliare. In questo caso le foglie tendono a incurvarsi in senso infero mentre lo sviluppo della vite è compromesso e la qualità del prodotto viene deprezzata. Le popolazioni della cicalina sono incrementate dalle temperature elevate e dilavate dalle violente piogge temporalesche (Velimirović, 1966). La cicalina è presente in Montenegro, dove è stata ripetutamente catturata da Vidano nei dintorni di Titograd (la moderna Podgorica) ed è segnalata anche in Bulgaria. Vi è quindi da temere una sua diffusione spontanea nei vigneti del Nord-Est italiano con conseguenze difficilmente prevedibili e comunque da non sottovalutare. 4.4.8. Nuove introduzioni Non è sicuramente imputabile a diffusione spontanea la comparsa in Italia di E. vulnerata (Duso et al., 2005). Si tratta di una specie ampiamente distribuita negli USA e in Canada ove è dannosa alla vite e ad altre piante ospiti. Le prime catture risalgono al luglio 2004 in vigneti del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia notevolmente distanti fra loro. L’adulto è lungo circa 3 mm e ha colore fondamentale verdiccio bruno con variazioni cromatiche a seconda della stagione. La specie sverna allo stadio adulto e compie due generazioni all’anno. La femmina, che sembra poco prolifica, depone le uova nelle nervature fogliari secondarie. Contrariamente al comportamento delle specie di tiflocibini viticoli su ricordati, giovani e adulti frequentano la pagina fogliare superiore sulla quale provocano piccole areole depigmentate con l’attività trofica. Negli USA, dove vive insieme con numerose specie congeneri (E. bistrata McAtee, E. comes Say, E. elegantula Osborn, E. obliqua Say, E. tricincta Fitch, E. variabilis Beamer, E. vitifex Fitch, E. vitis Harris, E. ziczac Walsh) (Vidano e Arzone, 1983), forti infestazioni inducono nelle foglie accartocciamento, disseccazione, caduta. Anche se per ora E. vulnerata sembra preferire le piante di Vitis labrusca L. e di V. riparia x V. labrusca isolate in giardini, è da temere che questa ennesima specie inopinatamente introdotta in Europa possa divenire infestante anche sulle cv europee. 63 4.5. PROBLEMATICHE DI DIFESA In tema di difesa, in vigneto sovente vengono effettuati trattamenti con prodotti chimici persistenti e a largo spettro d’azione inutili o addirittura controproducenti a causa di effetti collaterali indesiderabili. Eppure metodi alternativi alla lotta chimica esistono e possono venire convenientemente impiegati a seconda delle situazioni. Nel caso specifico essi possono essere compendiati in preventivi (basati su principi ecologici mediante valutazione del ruolo dell’ambiente, scelte agronomiche e conoscenza delle esigenze ecologiche dei fitofagi), agronomici (basati su lavorazioni del terreno e operazioni colturali), biologici (basati su ricostituzione, mantenimento ed esaltazione degli equilibri naturali mediante agenti microbiologici e artropodi, fra i quali eccellono insetti predatori e parassitoidi). Tali metodi sono meno immediati dei trattamenti chimici e presuppongono la conoscenza degli aspetti biologici, ecologici ed etologici sia dei fitofagi costanti, sempre presenti con popolazioni relativamente elevate, sia dei facoltativi, che saltuariamente possono dar luogo a infestazioni sporadiche a volte anche intense, sia degli occasionali, la cui attività solitamente non provoca alterazioni apprezzabili. Tenendo conto che particolare attenzione deve venire riservata ai vettori di agenti fitopatogeni, per i quali si dovrebbe tendere alla soglia zero. Conoscendo ciclo biologico, numero di generazioni, periodi di presenza dei diversi stadi, modalità di svernamento, regime dietetico, ospiti alternativi, esigenze climatiche e ambientali, nemici naturali sarà possibile valutare costi e benefici dei diversi interventi. Sulla base della tendenziale igrofilìa dei tiflocibini, sarà opportuno impiantare il vigneto in luoghi a solatìo e non in valli ombrose e inoltre procedere a sfoltimento della fronda eccessiva per permettere all’irraggiamento solare e all’azione del vento di rendere l’ambiente meno favorevole agli insetti. Parimenti i barbatellai non devono venire sistemati in vicinanza di prati irrigui, in zone golenali o molto umide ove C. viridis trova le condizioni ideali per l’ovideposizione. In rapporto ai nemici naturali, soprattutto ai predatori, vi è da considerare l’annoso problema dell’inerbimento, spontaneo o guidato, degli interfilari oltre che quello delle siepi e degli incolti. In proposito sono da evitare le consociazioni della vite con piante che favoriscono le popolazioni dei fitofagi, ad es. medicai e trifogliai che offrono alimento ai giovani di S. bisonia, conifere e altre piante a foglie persistenti dove le cicaline che svernano allo stadio adulto cercano ricovero, gelsi e (purtroppo) numerose altre piante preferite dalla molto polifaga M. pruinosa. Quanto alle specie esotiche, dopo averne indagato la biologia e l’epidemiologia nel paese di origine (ove solitamente sono poco note perché normalmente colà l’insetto non è dannoso) e avere appurato che nessuna specie endemica vi si è adattata, è necessario individuare il 64 limitatore specifico, introdurlo in purezza, allevarlo e distribuirlo con ogni cautela in un tentativo di lotta biologica. Si potrà così avere l’opportunità di instaurare una lotta propagativa (come nel caso di S. bisonia) oppure si dovrà ripiegare su lotta inondativa. Cura particolare deve però essere posta nell’evitare l’introduzione da altre zone zoogeografiche di specie che con le loro eurioicità e assenza di nemici creano grossi problemi nelle nuove aree. Solamente in questo modo anche il vigneto potrà diventare un sistema ecocompatibile, con indubbi vantaggi per l’ambiente, i consumatori, la coltivazione stessa. 4.6. AUTORI CITATI ARZONE A. - 1972 - Reperti ecologici, etologici ed epidemiologici su Cicadella viridis (L.) in Piemonte (Hem. Hom. Cicadellidae). - Annali della Facoltà di Scienze Agrarie dell’Università degli Studi di Torino, 8: 13-38. ARZONE A., VIDANO C. - 1987 - Typhlocybinae of broadleaved trees and shrubs in Italy. 3. Corylaceae. - Boll. Ist. Ent. Univ. Bologna, 41: 269-276. ARZONE A., VIDANO C., ALMA A. - 1987 - Auchenorrhyncha introduced into Europe from the nearctic region: taxonomic and phytopathological problems. - Proc. 2nd Int. 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Tsolakis (eds) La difesa della vite dagli artropodi dannosi Marsala 10-11 ottobre 2005 Università degli Studi di Palermo - pp. 67-83 Auchenorrinchi vettori di agenti fitopatogeni di interesse viticolo A. ALMA Di.Va.P.R.A. - Entomologia e Zoologia applicate all’Ambiente “Carlo Vidano”, Università degli Studi di Torino, via L. da Vinci 44 - 10095 Grugliasco (TO) [email protected] Riassunto I fitoplasmi procarioti unicellulari pleomorfici sono parassiti obbligati, ritenuti agenti causali di più di seicento fitoplasmosi in centinaia di piante coltivate e spontanee. In Italia le malattie di maggiore importanza economica indotte dai fitoplasmi sono la Flavescenza dorata e i giallumi della vite, gli scopazzi del melo, i giallumi delle drupacee, la moria del pero e lo Stolbur del pomodoro. Gli insetti vettori di fitoplasmi appartengono all’ordine degli Hemiptera e sono specie delle famiglie Cixiidae, Delphacidae, Derbidae e Cicadellidae, sezione Auchenorrhyncha, e della famiglia Psyllidae, sezione Sternorrhyncha. In Italia le malattie note sulla vite sono la Flavescenza dorata (FD) indotta dal Candidatus Phytoplasma vitis trasmesso dal Cicadellidae Scaphoideus titanus Ball di origine neartica e attualmente diffuso in tutte le regioni del nord e in modo puntiforme in alcune del centro e del sud e il Legno nero (LN) causato dal Ca. Phytoplasma solani trasmesso dal Cixiidae paleartico Hyalesthes obsoletus Signoret. Parole chiave: fitoplasmi, Scaphoideus titanus, Hyalestes obsoletus. Abstract Auchenorrhyncha vectors of phytopathogenic agents of viticolous interest Pleomorphic unicellular prokariotic phytoplasmas are obligate parasites, considered the causal agents of over six hundred phytoplasma diseases in hundreds of cultivated and wild plants. In Italy the diseases of greater economic importance caused by phytoplasmas are Flavenscence dorée and grapevine yellows, apple witches’ brooms, stonefruit tree yellows, pear decline and tomato Stolbur. The insects vectoring phytoplasma belong to the order Hemiptera and are species of 67 the families Cixiidae, Delphacidae, Derbidae, and Cicadellidae, of the section Auchenorrhyncha, and of the family Psyllidae, ssection Sternorrhyncha. In Italy the disease known on grapevine are Flavescence dorée (FD) induced by Candidatus Phytoplasma vitis transmitted by the Cicadellidae Scaphoideus titanus Ball of Nearctic origin and presently spread in all north and in some sites of central and south Italy, and Bois Noir (BN) caused by Ca. Phytoplasma solani transmitted by the Palearctic Cixiidae Hyalesthes obsoletus Signoret. Key words: phytoplasmas, Scaphoideus titanus, Hyalestes obsoletus. 5.1. INTRODUZIONE I più importanti agenti fitopatogeni, causa di malattie di interesse economico alla vite nel bacino del Mediterraneo, spesso a carattere epidemico, sono i virus e i fitoplasmi. Organismi trasmessi in natura da vettori animali: i primi, da nematodi e cocciniglie (pseudococcidi e coccidi), i secondi, sempre di più crescente interesse fitopatologico, da cicaline (cixiidi e cicadellidi). 5.2. I FITOPLASMI I fitoplasmi sono ritenuti agenti causali di più di seicento malattie in centinaia di specie vegetali coltivate e spontanee. Dalla seconda metà del secolo scorso ad oggi le malattie di origine fitoplasmatica hanno assunto un ruolo sempre più importante per la gestione delle colture agrarie, provocando in molti casi ingenti danni alle piante coltivate sia arboree sia erbacee. In Italia le malattie indotte da questi procarioti, di maggiore importanza economica sono la Flavescenza dorata e i giallumi della vite, gli scopazzi del melo, i giallumi delle drupacee, la moria del pero e lo Stolbur del pomodoro. In altre parti del Mondo rivestono grande rilevanza anche il giallume letale della palma, i giallumi australiani della vite, la virescenza e scopazzo dell’erba medica e i giallumi dell’astro in diverse colture orticole. Fin dai tempi della loro scoperta nel 1967 i “Mycoplasma - like organisms” (MLO) ora denominati fitoplasmi, a causa dell’assenza della parete cellulare, sono stati classificati come appartenenti alla classe dei Mollicutes, procarioti con cui condividono, oltre al pleomorfismo, anche un genoma di piccole dimensioni (600-1200 kb). I fitoplasmi sono parassiti obbligati, localizzati nei tubi floematici e nelle cellule compagne delle piante; grazie al loro pleomorfismo possono spostarsi da una cellula all’altra attraverso i pori delle placche cribrose (Fig. 1). Essi 68 tendono a distribuirsi più o meno uniformemente in tutti gli organi della pianta, con maggiore frequenza nelle radici. Concentrazione e diffusione varia nel corso della stagione vegetativa e, in genere, sono più concentrati nei tessuti delle piante erbacee che non in quelli delle essenze arboree. Nel periodo invernale si trovano con più facilità in gemme dormienti, in corteccia e nell’apparato radicale di piante arboree. La loro presenza all’interno dei tubi cribrosi induce una parziale necrosi dei tessuti floematici, con conseguente iperattività dei tessuti cambiali e parenchimatici, seguita da una deposizione di callosio e coagulazione di proteine floematiche che causano un intasamento dei tubi cribrosi. Tali ostruzioni riducono il passaggio della linfa elaborata dalle foglie ai diversi settori della pianta. Recenti studi hanno accertato che le piante infette subiscono una marcata variazione nel contenuto endogeno di sostanze regolatrici della crescita, quali auxine e citochinine e di metaboliti secondari delle piante come polifenoli e alcaloidi. Tali squilibri del metabolismo dei regolatori della crescita potrebbero essere la causa delle principali manifestazioni sintomatologiche che si osservano nelle piante infette. I sintomi causati da questi microrganismi sono talmente caratteristici che la loro comparsa è un primo segnale della possibile presenza di fitoplasmi nelle piante malate. Le alterazioni includono sterilità dei fiori, virescenza (sviluppo di fiori verdi e perdita del normale colore dei fiori), fillodia (trasformazione degli organi fiorali, stami e pistilli, in foglie), ingiallimenti, arrossamenti, ispessimenti della lamina fogliare, raccorciamento degli internodi associato a proliferazione della vegetazione (scopazzi) per lo sviluppo prematuro di gemme avventizie ascellari. In alcune specie legnose si osserva anche una necrosi del floema che, in casi gravi può condurre più o meno rapidamente la pianta a morte. L’incapacità di coltivare i fitoplasmi in vitro ha sempre causato problemi per la classificazioni di tali procarioti e rende tuttora impossibile applicare a essi convenzionali criteri di tassonomia basati su caratteristiche fenologiche e biochimiche. Recenti studi condotti sul sequenziamento del genoma del fitoplasma che causa giallumi in cipolla hanno evidenziato che questi patogeni mancano di geni considerati essenziali per la replicazione autonoma degli organismi. Questi risultati fanno ritenere che, durante l’evoluzione i fitoplasmi hanno perso quei geni che avrebbero permesso loro di crescere in vitro a seguito di una interazione divenuta definitiva con i loro ospiti vegetali o animali. Pertanto, una prima classificazione biologica è stata fatta sulla sintomatologia indotta in ospiti vegetali, naturali e/o di laboratorio (vinca), e sui rapporti patogeno-vettore. Una ulteriore differenziazione è stata tentata sulla base della specificità degli insetti vettori in relazione al fitoplasma trasmesso, anche in areali geografici differenti. Grazie ai sempre maggiori apporti delle tecniche di biologia molecolare è stato possibile costruire un sistema d’inquadramento tassonomico e 69 filogenetico basato sulle caratteristiche molecolari e genetiche di questi procarioti. L’analisi condotta sul gene codificante il RNA ribosomico 16S ha permesso di ottenere una suddivisione dei fitoplasmi conosciuti in 15 gruppi ribosomici (gruppi 16Sr) e di individuare al loro interno circa 40 sottogruppi. A causa della mancanza di sufficienti caratteristiche fenotipiche per questi microrganismi non è prevista la distinzione in genere e specie ma si può indicare un “Candidatus Phytoplasma”. Sono stati individuati e pubblicati 26 Candidatus genere-specie con caratteristiche molecolari definite e distinte (Botti e Bertaccini, 2005). 5.3. I VETTORI Gli insetti vettori di fitoplasmi appartengono all’ordine degli Hemiptera e sono specie delle famiglie Cixiidae, Delphacidae, Derbidae e Cicadellidae, sezione Auchenorrhyncha, e della famiglia Psyllidae, sezione Sternorrhyncha. Insetti fitomizi, dotati di apparato boccale pungente-succhiante, si nutrono di linfa elaborata. Il rapporto trofico con le piante, alle quali gli individui infettivi possono trasmettere i fitoplasmi, può essere di tipo: obbligato, facoltativo od occasionale (Mazzoni et al., 2005). Le specie occasionali, con adulti in grado di nutrirsi su svariate piante erbacee, arbustive e arboree, molte delle quali non coltivate sono spesso imprevedibili e, in particolari condizioni ecologiche, possono divenire estremamente pericolose. Gli insetti, durante l’attività trofica a spese di una pianta infetta, possono acquisire i fitoplasmi e, divenuti infettivi, trasmetterli successivamente a piante sane, anche di specie differenti da quelle sulle quali è avvenuta l’acquisizione. Il processo di trasmissione, di tipo persistente-propagativo, è caratterizzato da tre momenti, o “fasi”, distinti ma strettamente interdipendenti: (i) acquisizione, (ii) latenza e (iii) inoculazione (Fig. 2) (Alma e Conti, 2002). Dopo l’acquisizione, di durata variabile da ore a giorni, segue un periodo di latenza di 2-4 settimane. Durante questa fase i fitoplasmi introdotti con la linfa elaborata, dall’intestino medio, per via emolinfatica, raggiungono le cellule di vari organi, tra cui le ghiandole salivari, dove avviene la moltiplicazione (Fig. 3). La capacità di acquisire i fitoplasmi da piante infette è più elevata negli stadi giovanili (ninfe) che nella forma adulta. I primi stadi giovanili (neanidi) non sono in grado di acquisire i fitoplasmi, a causa della ridotta lunghezza degli stiletti boccali che non permettono di raggiungere i tubi floematici. La ritenzione di infettività non è condizionata dalle mute e l’insetto rimane infetto per tutta la vita. In alcune specie le femmine sono più efficienti dei maschi nel trasmettere i fitoplasmi; il diverso comportamento (femmine più statiche, maschi più mobili) è probabilmente la causa della differente capacità di 70 trasmissione. Anche l’attività di volo e la conseguente capacità di dispersione, delle diverse specie, condiziona l’efficacia di trasmissione e caratterizza l’epidemiologia delle diverse malattie di origine fitoplasmatica (Marzachì et al., 2004). Le specie finora più indagate della sezione Auchenorrhyncha sono i Cicadellidae con più di settanta specie vettrici appartenenti alle sottofamiglie: Agalliinae, Aphrodinae, Cicadellinae, Coelidiinae, Deltocephalinae, Iassinae, Idiocerinae, Macropsinae, Scarinae (= Gyponinae) e Typhlocybinae. Nella sola sottofamiglia Deltocephalinae sono note cinquantacinque specie implicate nella trasmissione di fitoplasmi agenti causali di malattie, in alcuni casi di importanza economica, a mono- e dicotiledoni erbacee, arbustive ed arboree spontanee e coltivate. Anche la famiglia Cixiidae annovera diverse specie vettrici con adulti che si nutrono sulla parte epigea di svariate piante. Molte di esse sono polifaghe, una piccola parte oligofaghe o monofaghe e strettamente legate a pochi vegetali che caratterizzano l’ambiente in cui le specie vivono. Gli stadi giovanili si sviluppano nel sottosuolo nutrendosi sulle radici di piante erbacee. Le specie più importanti sono quelle che frequentano le palme, in particolare Cocos nucifera L., alle quali trasmettono fitoplasmi che, nelle regioni tropicali e subtropicali causano la morte delle palme da cocco nell’arco di 3-6 mesi, con gravi ripercussioni ambientali ed economiche. In Europa, le specie più importanti sono quelle riconosciute vettori di fitoplasmi del gruppo Stolbur (16Sr-XII-A), agenti causali di malattie di interesse economico a dicotiledoni erbacee coltivate e alla vite. L’individuazione di specie, appartenenti alle famiglie Delphacidae e Derbidae, vettori di fitoplasmi a riso, canna da zucchero e palme da cocco è avvenuta solo recentemente. Per alcune specie dovranno essere condotti ulteriori studi al fine di chiarire meglio i rapporti insettofitoplasma-pianta e il loro reale ruolo nella diffusione dei procarioti fitopatogeni. Nell’ambito della sezione Sternorrhyncha, un ruolo cruciale nella trasmissione di fitoplasmi appartenenti al gruppo filogenetico degli Scopazzi del melo (16Sr-X), associati alle più importanti malattie dei fruttiferi nelle regioni temperate, è svolto da specie diverse del genere Cacopsylla. Le psille compiono da una a più generazioni all’anno a spese di Rosaceae spontanee (biancospino, prugnolo) e coltivate (pomacee e drupacee) e svernano come adulto, generalmente su conifere. Le specie vettrici sono: C. pyricola (Förster) e C. pyri (L.) in grado di veicolare l’agente della Moria del pero; C. pruni (Scopoli) responsabile della diffusione del Giallume europeo di Prunus spp.; C. picta (=costalis) (Förster) nell’Italia nord orientale e C. melanoneura (Förster) nelle regioni nord occidentali, vettori del fitoplasma agente degli scopazzi del melo. Al contrario di quanto avviene per altri vettori della sezione Auchenorrhyncha, le psille mostrano una spiccata specificità per i 71 fitoplasmi del gruppo 16Sr-X degli Scopazzi del melo, dannosi ai fruttiferi. Le conoscenze sugli insetti vettori e sulle interazioni insetto-fitoplasmapianta sono in continua evoluzione, nel tentativo di dare una concreta risposta alle crescenti problematiche fitosanitarie derivanti dalla sempre più rapida diffusione in Italia, in diverse colture e in particolare nella vite, delle malattie di origine fitoplasmatica. Un notevole impulso alle ricerche deriva dalle innovative tecniche di biologia molecolare applicate agli artropodi che, accanto ai tradizionali, ma indispensabili, saggi biologici (prove di trasmissione in ambiente controllato) potranno dare importanti e utili informazioni al fine di mettere in atto adeguate strategie per una corretta gestione del problema. 5.4. I FITOPLASMI DELLA VITE E I VETTORI Con il termine di giallumi della vite (Grapevine yellows, GYs) vengono indicate tutte quelle ampelopatie causate da fitoplasmi. Le viti colpite da differenti gruppi filogenetici di fitoplasmi (gruppi ritrovati in vite: 16Sr-I, -III, -V, -VII, -X, -XII) reagiscono con risposte identiche; pertanto il solo esame dei sintomi non è sufficiente per riconoscere le diverse malattie di origine fitoplasmatica (Fig. 4). Differenti espressioni dei sintomi sono, invece, condizionate dalla genetica dei vitigni, infatti, si possono osservare comportamenti e risposte molto diversi nell’ambito delle varietà da uva e dei portainnesti, questi ultimi spesso sono asintomatici. I sintomi più tipici sono ingiallimenti (varietà a bacca bianca) o arrossamenti (varietà a bacca nera) fogliari, ispessimento e arrotolamento infero della lamina, scarsa lignificazione dei tralci e disseccamento parziale o totale dei grappoli. In alcune varietà (Chardonnay, Riesling italico, Sangiovese) molto sensibili l’infezione permane per alcuni anni fino a causare la morte della pianta. I giallumi sono diffusi nelle principali aree viticole del Mondo quali, Centro e Sud Europa, Medio Oriente, Nord e Sud Africa, Nord e Sud America e Australia. In Europa le malattie note sono: Flavescence dorée (FD) (gruppo 16Sr-V-C e D, giallume dell’olmo), Bois noir (BN) = Vergilbungskrankheit (VK) = Legno nero (LN) (gruppo 16Sr-XII-A, Stolbur) e Palatinate grapevine yellows (PGY) (gruppo 16Sr-V-A, giallume dell’olmo), (Boudon-Padieu, 2000, 2003). Mentre le prime due ampelopatie sono diffuse nel bacino del Mediterraneo e presenti in Italia, l’ultima è localizzata nella regione viticola del Palatinato in Germania. Il vettore del fitoplasma agente causale del PGY è Oncopsis alni (Schrank) appartenente alla sottofamiglia Macropsinae. Specie paleartica diffusa in tutta l’Italia vive monofaga su piante del genere Alnus, in particolare A. glutinosa (L.) Gaertner e A. incana (L.) Moench, frequenta la vite esclusivamente allo stadio di adulto (Alma e Conti, 2004). 72 Fig. 1 - Fitoplasmi in tubi floematici di dicotiledone erbacea. Fig. 2 - Schema del processo di trasmissione in Scaphoideus titanus Ball (vite-vite) e in Hyalesthes obsoletus Signoret (ortica-vite). 73 Fig. 3 - Rappresentazione schematica della trasmissione persistente (circolativa e propagativa) di fitoplasmi. (Disegno modificato da un originale di S. Hogenhout - Dep. of Entomology, Ohio State University, USA). Fig. 4 - Sintomi di Flavescenza dorata su foglie di Barbera. 74 5.4.1. Flavescence dorée (FD) La prima malattia osservata e segnalata a livello internazionale è stata la FD, forma di giallume tutt’oggi più temuta per la rapidità con cui può diffondersi e per i danni economici che può indurre. L’ampelopatia si manifestò con vistosi ingiallimenti fogliari e deperimento vegetativo, in particolare, sull’ibrido produttore diretto Baco 22A nella Francia sud occidentale nella metà degli anni ’50. In Italia la fitoplasmosi venne osservata in vigneti dell’Oltrepò pavese a metà degli anni ’60. Negli anni ’80-’90 la malattia si diffuse nelle aree viticole nord orientali e occidentali del Paese, divenendo il principale problema fitosanitario. Nei primi anni del 2000 alcuni focolai di piante infette sono stati rilevati anche in vigneti delle Marche (2002), dove per ora non è presente il vettore e della Toscana (2003) e dell’Umbria (2005) dove S. titanus è stato reperito (Belli e Bianco, 2005). Nel tentativo di contenere il grave problema fitosanitario sono state avviate numerose attività sperimentali per la messa a punto di adeguate strategie di difesa e nel 2000 è stato emanato un decreto Ministeriale di lotta obbligatoria (D.M. n° 32442 del 31 maggio 2000, “Misure per la lotta obbligatoria contro la Flavescenza Dorata della vite”) (Pavan et al., 2005). Attualmente, in Europa la FD è diffusa anche in Corsica (Francia), Spagna, Serbia e Svizzera (Fig. 5). 5.4.2. Scaphoideus titanus Ball (Fig. 6) È una cicalina ampelofaga originaria del nord America, nota come vettore specifico dell’agente causale della FD (Candidatus Phytoplasma vitis) nell’areale paleartico dove è stata reperita per la prima volta negli anni ’60 nella Francia del sud. Adulto lungo 4,8-5,2 mm nel maschio e 5,5-6,0 mm nella femmina. Entrambe i sessi mostrano capo con vertice molto prominente, alcune linee nere trasversali anteriormente tra gli occhi, e una macchia a contorno irregolare bruno-rossastra, dorsalmente. Pronoto e mesonoto con due e una banda rispettivamente trasversali, di colore brunorossastro. Zampe uniformemente cremeo-grigiastre, ad eccezione del terzo paio che presentano la zona distale delle tibie e parte del tarso di colore bruno. Ali anteriori ocraceo-brunastre con aree bianchicce e macchie nere, venature brune. Neanide di I età lunga 1,5-1,8 mm. Capo con vertice prominente. Antenne relativamente lunghe, filiformi. Corpo di colore bianchiccio. Ultimo urite dell’addome con una macchia romboidale nera per lato. Ninfa di V età lunga 4,3-5,2 mm. Capo con vertice prominente, a volte con alcune tacche a contorno irregolare ocracee. Antenne lunghe e filiformi. Corpo di colore gialliccio, astucci alari ocracei, torace e parte dell’addome con macchie ocracee-nerastre dorsali a contorno irregolare, più o meno estese. Ultimo urite dell’addome come nella neanide di I età. 75 Fig. 5 - Attuale diffusione del cicadellide Scaphoideus titanus Ball e della Flavescenza dorata in Europa e in dettaglio per l’Italia. 76 S. titanus vive monofago su vite e compie una generazione l’anno. Lo svernamento avviene allo stadio di uovo deposto nel ritidoma di rami, in prevalenza, di due anni. La schiusura delle uova inizia nella seconda metà di maggio e si protrae sino oltre la prima decade di luglio. I giovani si localizzano sulla pagina inferiore delle foglie basali dei germogli prossimi ai tralci in cui erano infisse le uova svernanti. Gli adulti, che compaiono tra la fine di giugno e la prima decade di luglio, rimangono attivi sulla vite sino alla fine di settembre e l’inizio di ottobre (Fig. 7) (Vidano, 1964). Mentre in natura l’ampelofagia appare scontata, in laboratorio la cicalina mostra una certa plasticità adattandosi a diverse dicotiledoni erbacee. Viene allevata con successo su fava e su margherita, piante alle quali è in grado di trasmettere i fitoplasmi agenti causali della FD e del giallume della margherita (gruppo 16Sr-I-B, Chrysanthemum yellows CY). Dal primo focolaio osservato oltre quaranta anni fa, la specie inizialmente si è diffusa molto lentamente colonizzando i territori viticoli orientali del bacino del Mediterraneo. Soltanto dalla seconda metà degli anni ’90 la cicalina si è mossa con sempre maggiore rapidità, favorita spesso, inconsciamente, dall’azione dell’uomo. S. titanus è attualmente presente in: Croazia, Francia (compresa la Corsica), Italia, Portogallo, Spagna, Serbia, Slovenia e Svizzera (Fig. 5) (Alma, 2004). In Italia, S. titanus è stato ritrovato per la prima volta in vigneti della Liguria nella riviera di Ponente nei primi anni ’60. A più di quaranta anni di distanza dal primo reperimento il vettore è presente in otto regioni del nord, precisamente: Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna; in quattro regioni del centro, Toscana, Umbria, Abruzzo e Lazio e in un paio del sud, Campania e Basilicata (Fig. 5). In queste regioni S. titanus è presente con una distribuzione pressoché omogenea in tutte le aree viticole del nord, in modo più limitato e puntiforme al centro e al sud, dove il vettore è stato reperito solo in questi ultimi anni. Oltre alla naturale colonizzazione di nuovi territori esiste la reale possibilità che l’uomo attraverso la commercializzazione di materiale vivaistico (portainnesti, marze, barbatelle) favorisca la diffusione di S. titanus in altre parti del Mondo dove viene coltivata la vite. Comparando i climogrammi (piovosità, temperatura media) delle regioni nord americane dove la cicalina è stata ritrovata, sulla base dei dati riportati da Barnett (1977), con alcune delle più importanti aree viticole di interesse mondiale, si può osservare come diverse zone in Europa, Sud Africa, Sud America, Australia e Nuova Zelanda potrebbero potenzialmente essere colonizzate da S. titanus. Tale ipotesi di rischio, affinché si verifichi concretamente dovrà trovare idonee condizioni ambientali per il completamento del ciclo biologico. In particolare, una stagione invernale con un minimo di periodo di freddo sufficiente alle uova svernanti per schiudere nella primavera successiva. 77 Fig. 6 - Adulto di Scaphoideus titanus Ball. Fig. 7 - Ninfa di V età di Scaphoideus titanus Ball. 78 5.4.3. Bois noir (BN) = Vergilbungskrankheit (VK) = Legno nero (LN) Il BN è un tipico giallume della vite noto da molto tempo in Francia e ampiamente diffuso in diversi areali viticoli dell’Europa, dove è stato indicato con nomi diversi (VK in Germania e LN in Italia) e del Medio Oriente (Conti et al., 2005). Malattia causata da un fitoplasma appartenente al gruppo dello Stolbur ampiamente diffuso e ubiquitario, in grado di infettare un elevato numero di piante spontanee e coltivate, in particolare orticole. Stolbur è il nome di una malattia, descritta per la prima volta nell’Europa centro orientale, epidemica delle solanacee quali, peperone, pomodoro e melanzana. Tra la vegetazione spontanea il fitoplasma è stato ritrovato in numerosi ospiti arborei ed erbacei. A titolo di esempio possono venire ricordate: Prunus avium L., P. domestica L., P. spinosa L., Syringa vulgaris L., Ulmus spp., Rubus spp., Convolvolus arvensis L., Calystegia sepium (L.) R. Br., Solanum dulcamara L., S. nigrum L., Chenopodium album L., Cirsium arvense L. e Urtica dioica L.; molte di queste essenze si trovano comunemente nell’agroecosistema vigneto. Il BN è presente, con incidenza estremamente variabile, in areali viticoli di: Croazia, Francia, Germania, Grecia, Italia (nord, centro, sud, isole), Israele, Macedonia, Marocco, Palestina, Serbia, Slovenia, Spagna, Svizzera, Ucraina e Ungheria. 5.4.4. Hyalesthes obsoletus Signoret (Fig. 8) Il Cixiidae paleartico H. obsoletus è il vettore del fitoplasma agente causale del BN (Candidatus Phytoplasma solani). La specie è diffusa in Europa, Medio Oriente, Asia Minore e Afganistan. Adulto lungo 3,8-4,0 mm nel maschio e 5,0-5,1 nella femmina. Corpo di colore grigio-nero. Capo con vertice nero lucente. Antenne filiformi, primo articolo corto, secondo articolo largo e globulare. Occhi rossi. Pronoto largo e corto, mesonoto largo, nero lucente con tre carene. Zampe uniformemente grigio-nere. Ali anteriori grandi, larghe, ialine, con venature infumate. Femmina con ovopositore sporgente dall’addome e avvolto in una massa cerosa. Neanide di I età lunga 0,50-0,55 mm. Corpo tozzo, uniformemente bianco. Occhi bianchicci, antenne corte. Parte terminale dell’addome ornata da raggi di cera bianca appena più corti del corpo. Ninfa di V età lunga 3,20-3,40 mm. Corpo tozzo, uniformemente biancocremeo, astucci alari e zampe dello stesso colore del corpo. Occhi rossi, antenne filiformi, incolori. Parte terminale dell’addome ornata da raggi di cera bianca lunghi circa la metà del corpo. H. obsoletus è specie polifaga, eterotopa, compie, in Europa, una generazione l’anno e sverna come giovane, prevalentemente allo stadio di ninfa di III età, sulle radici di piante erbacee spontanee quali ortica e convolvolo, ad una profondità di circa 100-150 mm. Recenti ricerche, condotte in Israele, hanno dimostrato che la specie è in grado di 79 Fig. 8 - Coppia di Hyalesthes obsoletus Signoret su ortica. Fig. 9 - Adulto di Hyalesthes obsoletus Signoret in attività trofica su foglia di vite. 80 svilupparsi anche sull’apparato radicale della verbenacea arbustiva Vitex agnus-castus L. (Sharon et al., 2005). Le neanidi e le ninfe di colore bianco-cremeo vivono esclusivamente nel terreno dove pungono le radici di dicotiledoni erbacee e arbustive. I primi adulti compaiono all’inizio di luglio e rimangono in attività fino alla metà di settembre (Alma et al., 1988). Nei mesi estivi è possibile osservare il cixiide sulla vite dove punge foglie e apici vegetativi (Fig. 9). H obsoletus può essere reperito con maggiore frequenza nelle aree viticole dove sono diffuse le piante erbacee ospiti, indispensabili per l’ovideposizione e lo sviluppo dei giovani Recenti ricerche con tecniche molecolari hanno mostrato come il fitoplasma agente causale del BN sia presente in popolazioni naturali del vettore e sia diffuso in ampi comprensori viticoli, non solo infettando la vite ma anche numerose piante erbacee spontanee (composite, convolvolo, ortica, ecc.), spesso infestanti nel vigneto. Nonostante tali evidenze, l’ampia diffusione e la differente incidenza dell’ampelopatia, anche in areali viticoli dove non è stato reperito H. obsoletus, nonché il peculiare ciclo biologico del vettore con giovani a vita ipogea, inducono ad ipotizzare il coinvolgimento di altre piante ospiti spontanee quali sorgenti naturali di infezione del fitoplasma e di vettori diversi. Sul ruolo di altre cicaline, comunemente diffuse nell’agroecosistema vigneto, indagini sierologiche e molecolari hanno rilevato il fitoplasma dello Stolbur in undici specie in Francia e in Reptalus panzeri (Löw), Neoaliturus fenestratus (Herrich-Schaffer), Circulifer haematoceps (Mulsant & Rey), Macrosteles quadripunctulatus (Kirschbaum), Orosius orientalis (Matsumura) e Goniagnathus guttulinervis (Kirschbaum) catturati in vigneti in Italia, Israele e Ungheria (Bosco et al., 2005). Le conoscenze fino ad ora acquisite dimostrano che il BN è indotto da un fitoplasma (Candidatus Phytoplasma solani) non specifico della vite, trasmesso da vettore (i) non ampelofago (i). Pertanto, l’epidemiologia del BN che si differenzia nettamente da quella dell’FD, causata da un fitoplasma (Candidatus Phytoplasma vitis) patogeno specifico della vite e trasmesso da S. titanus, strettamente ampelofago si ripercuote non solo sul ciclo dell’agente eziologico, ma anche sulle strategie da adottare per il controllo di una fitoplasmosi ampiamente diffusa e in costante aumento su vite. 5.5. CONSIDERAZIONI Com’emerge da questa breve trattazione sulle malattie della vite d’origine fitoplasmatica e sugli insetti vettori, le tematiche da esplorare, attraverso una sempre maggiore integrazione interdisciplinare, sono ancora molteplici. Per gli aspetti entomologici nuove energie dovranno essere impiegate per sviluppare ricerche sia in campo sia in laboratorio. 81 In campo, le indagini dovrebbero essere indirizzate ad indagare argomenti quali: etologia, dinamica di popolazione, capacità di volo, modalità di colonizzazione di nuovi areali e delle colture interessate, ruolo delle piante ospiti con particolare riguardo alle essenze spontanee presenti nei vari agroecosistemi e indispensabili, in alcuni casi, per il completamento del ciclo biologico dei vettori stessi. In laboratorio, parallelamente all’applicazione e al perfezionamento delle metodologie di diagnosi molecolare per rilevare fitoplasmi e infettività, ulteriori ricerche dovrebbero essere indirizzate allo studio dei rapporti vettore-fitoplasma, specificità ed efficienza di trasmissione e valutazione di molecole insetticide nella prevenzione della trasmissione dei fitoplasmi. I risultati che potranno scaturire, dalle diverse ricerche condotte, permetteranno di acquisire nuove conoscenze sui vettori noti, accertare e definire il ruolo di altre specie di cicaline nella diffusione di fitoplasmi e migliorare le strategie di difesa, anche attraverso una più oculata gestione dell’agroecosistema vigneto. 5.6. AUTORI CITATI ALMA A. - 2004 - The genus Scaphoideus in the world. The diffusion of S. titanus in Europe. - 3 rd European Hemiptera Congress, St. Petersburg 8-11 June, 2004: 3-5. ALMA A., CONTI M. - 2002 - Flavescenza dorata e altre fitoplasmosi della vite: il punto su vettori ed epidemiologia. - Inftore Fitopatol., 10: 31-35. ALMA A., CONTI M. - 2004 - Vettori dei fitoplasmi della vite. - Conv. Naz. La Vite, Villa Gualino, Torino 2-3 dicembre, 2004: 1-5. ALMA A., ARNÒ C., ARZONE A., VIDANO C. - 1988 - New biological reports on Auchenorrhyncha in vineyards. - Proc. 6th Auchenorrhyncha Meeting, Torino September 7-11, 1987: 509-516. 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(Tignola della vite) e Lobesia botrana (Denis e Schiffermüler) (Tignoletta dell’uva). La prima è quasi completamente assente nell’Italia meridionale, mentre la seconda rappresenta l’insetto chiave della vite. Lobesia botrana ha tre-quattro generazioni l’anno. Il momento di maggior attività degli adulti si ha durante il tramonto e l’alba (optimum di T° 25-28 °C, luminosità 60-80 lux). Le generazioni più dannose di quest’insetto sono la seconda e la terza, momento in cui le sue larve si trovano negli acini dell’uva. Il controllo integrato contro la tignoletta dell’uva si esegue, tenendo conto dei seguenti fattori: a) F. climatici quali la temperatura, luminosità, umidità relativa; b) F. fisici come le alte temperature riscontrate nei vigneti serra; c) F. agronomici come le forme d’allevamento e la suscettibilità diversa all’insetto, delle varie cultivar di vite; d) F. biologici, quali la presenza di predatori (specialmente araneidi) e parassitoidi (specialmente icneumonidi e braconidi), e biotecnici come Bacillus thuringiensis e metodo della confusione sessuale con feromone. Per un uso razionale dei fattori, sopra citati, è indispensabile utilizzare monitoraggi e campionamenti ad hoc. Essi segnalano la presenza dell’insetto, l’andamento delle sue fluttuazioni (con relative soglie), e il suo momento critico. Al momento dell’intervento occorre che siano rispettati alcuni parametri (colpire principalmente i grappoli, usare alte quantità d’acqua, tarare bene gli ugelli degli atomizzatori, non miscelare il prodotto utilizzato contro la tignoletta con altri antiparassitari) per rendere il trattamento il più efficace possibile. Le prospettive future, per quel che riguarda la dannosità dell’insetto, sono un po’ preoccupanti per l’aumento di qualche grado delle temperature che potrebbe causare l’aumento delle popolazioni di L. botrana e contemporaneamente una certa diminuzione di qualche predatore (es. ragni). Parole chiave: vite, Lobesia botrana, Eupoecilia ambiguella, controllo integrato 85 Abstract Grape moths: bioethological aspects and control techiques The grape moths present in Italy are two: Eupoecilia ambiguella Hb. and Lobesia botrana (Denis e Schiffermüler). The latter is considered the key pest in italian vineyards while the former is present only in some areas. L. botrana has 3-4 generation per year. The adults of grape moth show activity at sunset and at dawn (temperature 25-28°C, brightness 60-80 lux). The more dangerous generations of this species are the 2nd and the 3rd,when its larvae bore the grape. To make the IPM against the grape moth some factors have to be taken into account: the climatic conditions such as temperature, relative humidity, light; the agronomic factors such as the susceptibility of plants; biological factors such as the presence of predators and parasitoids and finally biotechnical factors such as the use of Bacillus thuringiensis and the mating disruption technique. To use the above factors, monitoring and and samplings are necessary. When sprayings are necessary some technical parameters (i.e. to use high quantity of insecticidal solution/hectare, to avoid the mixtures with other chemicals, to direct the insecticidal jet on the production zone etc) have to be considered. The future situation of the harmfulness of this pest gives cause for concern, as the increase of some degrees of temperature could also cause an increse of L. botrana population as well some decrease in the population of some predators (mainly spiders). Key words: vineyard, Lobesia botrana, Eupoecilia ambiguella, IPM 6.1. INTRODUZIONE Le Tignole della vite sono due: Eupoecilia ambiguella Hb. (Tignola della vite) e Lobesia botrana (Denis e Schiffermuler) (Tignoletta dell’uva). La prima è quasi completamente assente nell’Italia meridionale, mentre la seconda rappresenta l’insetto chiave della vite. Per questo motivo, nella presente relazione, si tratterà solo la tignoletta dell’uva. La L. botrana è presente nel Nord ed Est Africa ed in Asia: Medio Oriente, al Sud della Russia e Giappone. In Europa la tignoletta si trova particolarmente in Spagna, Portogallo, Francia, Italia, Grecia e Bulgaria. Le condizioni ottimali per la vita della tignoletta si hanno dai 20 ai 28°C, e a 40-70% di Umidità Relativa (Roehrich e Boller, 1991). 86 6.2. ETOLOGIA ED ECOLOGIA1 L. botrana ha tre-quattro generazioni all’anno. Il momento di maggior attività degli adulti si ha durante il tramonto e l’alba (luminosità 60-80 lux). Per comodità espositiva, si farà riferimento al numero dei voli e le conseguenti generazioni. 6.2.1. I volo Esso, normalmente, inizia a fine marzo primi di aprile, quando i germogli sono lunghi 1-2 cm (Fig. 1). Gli insetti adulti si notano durante il tramonto, quando le temperature superano i 12°C . La massima presenza degli adulti (picco) si nota quando i grappolini sono distesi ed i germogli sono lunghi 20-30 cm; ciò viene evidenziato mediamente a cavallo fra aprile e maggio nel Sud- Italia. In genere questo volo è il più numeroso e vi è una spiccata preminenza di maschi all’inizio, mentre il rapporto fra i sessi si equilibra nella parte mediana del volo. Il volo si protrae per circa 45 giorni. Gli accoppiamenti, che avvengono quasi sempre dopo il tramonto, diventano frequenti solo dopo i 14-15 °C. I maschi si accoppiano più volte, le femmine normalmente una sola. Prima generazione (Generazione antofaga) Le uova di questa generazione sono depositate singolarmente o in gruppi di 2 o 3, generalmente sul calice dei fiori all’inizio della primavera. La stragrande maggioranza di queste va perduta per i fattori climatici alquanto avversi all’insetto in questo periodo (basse temperature e pioggie). Le ovideposizioni (40-80 uova/femmina) avvengono quasi sempre dopo il tramonto e dopo 24-48 ore dalla fecondazione delle femmine. Le larve, sgusciate dopo circa 6-7 giorni di sviluppo embrionale, incominciano a nutrirsi principalmente delle parti dei fiori. In questo periodo sia le uova che le larvette vanno incontro a grandi falcidie specialmente a causa dei parametri climatici (T° basse, pioggie etc.). Le larve, crescendo, formano piano piano, un ricovero con pezzettini di fiori mangiucchiati, tenuti insieme con fili sericei (glomerulo), all’interno del quale si impuperanno. La loro vita dura, in questo periodo, circa 35 giorni e l’impupamento avviene quasi sempre durante e dopo la fioritura. Lo stadio pupale, per questa generazione, si protrae per circa 10-12 giorni. Tuttavia sia in questa generazione e in quelle successive si è notato che le larve della Tignoletta si possono nutrire anche di altre piante (Compositae, Convolvulaceae, Oleaceae, Polygonaceae, Ranunculaceae, Rhamnaceae, Rosaceae, Thymeleaceae, Umbelliferae e Vitaceae) (Stavridis e Savopoulou-Soultani 1998). 1 La Bioetologia dell’insetto, descritta di seguito, si riferisce fondamentalmente all’Italia meridionale. 87 Fig. 1 - Voli della Lobesia botrana in ambiente meridionale. 6.2.2. II Volo Dopo una stasi di circa 15 giorni, dalla fine del I volo (Fig. 1), incomincia a evidenziarsi il secondo volo, a partire dalla prima decade di giugno, quando il diametro degli acini allegati è di circa 0.5-10 mm. Questo volo raggiunge il suo picco (ove presente) alquanto velocemente, dopo una settimana, in genere al momento dei grappoli penduli; si esaurisce nel giro di 20-25 giorni, durante la fase fenologica dell’inizio “chiusura grappolo”. Il rapporto fra i sessi in questo volo, sin dall’inizio, è uguale all’unità, con la presenza contemporanea di maschi e femmine. In genere questo volo è inferiore numericamente al primo. II Generazione (I Generazione Carpofaga) L’ovideposizione, (70-100 uova /femmina) avviene sugli acini periferici del grappolo in via di ingrossamento. Lo svilluppo embrionale dura 3-4 giorni. Le larvette appena sgusciate (12-24 ore) cercano di portarsi sugli acini all’interno del grappolo. Nel giro di 24-48 ore incominciano a erodere l’epidermide dell’acino ed a penetrare all’interno. Questo comportamento salvaguarda le larve sia dai parametri ostili naturali (fattori climatici, nemici naturali) che da quelli indiretti (trattamenti insetticidi). Con l’accrescimento delle larve (le 5 età larvali, di questa generazione, durano complessivamente 20-25 giorni) aumentano le dimensioni delle gallerie; le larve, inoltre, passando da un acino all’altro, intaccano tutta la parte interna del grappolo, specialmente nelle varietà con grappoli serrati. Gli acini danneggiati possono essere interamente svuotati senza marcire, a meno che non si instauri la muffa grigia o i marciumi acidi. L’incrisalidamento avviene quasi sempre all’interno dell’acino svuotato. 88 6.2.3. III volo Esso è simile al II volo per vari parametri (numero di adulti, rapporto fra i sessi, numero di uova/femmina). Inizia tra fine luglio e i primi di agosto, in concomitanza, più o meno, dell’invaiatura dei grappoli (Fig. 1). III Generazione (II Generazione carpofaga) Lo sviluppo embrionale di questa generazione è di 4-5 giorni. Le larve hanno bisogno di qualche giorno in più della precedente generazione per completare il loro sviluppo (25-30 gg), che avviene, sempre, all’interno degli acini in via di maturazione. Le larve tardive possono mordere l’epidermide degli acini e preparare le infestazioni da Botrytis. A metà di agosto si incominciano a notare i marciumi acidi che vanno man mano aumentando. 6.2.4. IV Volo Nel Sud Italia vi è un quarto volo che, pure accavallandosi al terzo, raggiunge il suo picco a fine settembre- primi di ottobre. Le ovideposizioni e lo sgusciamento delle larvette di questa IV generazione, che incomincia piano piano, ad andare in diapausa, possono destare qualche preoccupazione solo su vigneti semi-coperti (essendo terminata la raccolta di quasi tutte le cultivar di uva) nella produzione di uva da tavola, che utilizzano questa pratica colturale per ritardare la maturazione e la raccolta fino a novembre-dicembre. Fortunatamente i danni causati da questa generazione sono abbastanza limitati sia per la presenza alquanto numerosa di zoofagi, che per la diapausa incipiente che riduce man mano l’attività delle larve. La diapausa viene indotta quando le larve di prima età si trovano in fotoperiodo inferiore alle 12 ore, cioè rapporto luce buio inferiore a uno. La Tignoletta dell’uva sverna, da crisalide, un po’ dovunque (corteccia della pianta, pali tutori, muretti a secco). 6.3. SINTOMATOLOGIA E DANNI Prima generazione: Rosicchiamento e distruzioni di parti fiorali e avvolgimento dei residui di queste con fili sericei. Seconda, Terza e Quarta generazione: Rosure, fori e gallerie negli acini più interni dei grappoli; gli acini contigui infestati possono essere uniti fra loro con fili sericei. Queste generazioni possono causare oltre ai danni diretti, anche danni indiretti come la penetrazione del fungo Botrytis cinerea (Moleas, 1981; 1994; Tirtza et al., 2003). L’infezione di questo fungo, però, non è molto preoccupante in ambiente mediterraneo, anche se l’ultima generazione può causare, come già accennato “marciumi acidi”. 89 6.4. CONTROLLO INTEGRATO Fattori climatici: La temperatura e la pioggia, influiscono in maniera determinante sulla dinamica di popolazione del fitofago (si veda la bioetologia). Purtroppo, la loro incidenza è difficilmente valutabile allo scopo di prevedere l’andamento futuro delle popolazioni dell’insetto (fluttuazioni). Se invece si instaurano, per brevi periodi (2-3 giorni), temperature superiori o inferiori ai limiti biologici per certi stadi dell’insetto (uova, larve di prima età), la sua popolazione può subire una falcidia. Anche la luminosità può avere un’effetto positivo sull’aumento della popolazione della L. botrana ed il conseguente grado d’infestazione. La maggiore infestazione dei grappoli dei ceppi periferici, rispetto all’infestazioni dei grappoli dei ceppi centrali dei vigneti, (Tab. 1) rinforza questa ipotesi. Recenti osservazioni, in Puglia, evidenziano mediamente maggiori infestazioni nei vigneti confinanti con i paesi pugliesi, rispetto ai vigneti lontani con bassa luminosità diffusa. L’U.R. alta non favorisce la Lobesia, ma favorisce l’attacco botritico. L’altimetria del suolo, infine, non sembra avere una grossa influenza sull’insetto, a meno che non si superino i 400-500 metri. Fattori agronomici: La forma di allevamento è uno dei fattori che influenza la presenza di popolazioni più o meno massiccie della tignoletta dell’uva. Il “Tendone” risulterebbe il più attaccato, mentre spalliera e controspalliera lo sarebbero meno; l’alberello pugliese infine non sembra temere eccessivamente la Lobesia. D’altra parte, nei vigneti coperti allo scopo di anticipare la raccolta, le alte temperature impediscono l’instaurarsi delle popolazioni di L. botrana, come già evidenziato nel passato (Moleas 1987) (Tab. 2). Tab. 1 - Differenza di infestazione di Lobesia botrana tra filari centrali e periferici. Totali Media Dev.st CV Pinot (tendone) 50 grappoli centrali 50 grappoli periferici Grappoli Uova Grappoli con acini Grappoli Uova Grappoli con acini attaccati attaccati/grappoli attaccati attaccati/grappoli totali totali 3 0 4 14 9 13 6% 0 8% 28% 18% 26% 0,239 0 0,340 0,453 0,388 0,443 Tab. 2 - Diverso grado di infestazione larvale da L. botrana. Cultivar Totale acini attaccati Grappoli attaccati Media acini attaccati Media grappoli attaccati 90 Coperta con plastica Italia 24 14 0,48 14% Pieno Campo Italia 65 53 0,65 50% Sulla suscettibilità delle varie cultivar alle infestazioni di Lobesia, le ricerche sono sporadiche ed i pareri non chiari. Comunque fra le varietà più attaccate (fra le uva da tavola) vanno enumerate l’“Italia” e la “Alfonse Lavallèe”. Alcune cultivar precoci (“Primus”, “Regina dei Vigneti”) sfuggono completamente alla III generazione. Per quel che riguarda le uva da vino esse hanno mostrato minore suscettibilità nei confronti della tignoletta le Cv. “Uva di Troia” e “Trebbiano”, rispetto al “Negroamaro” e “Sangiovese” (Baldacchino e Moleas, 2000) Controllo biologico: I parassiti e predatori naturali della tignoletta sono numerosi e sono stati riscontrati un po’ dovunque (Moleas, 1979; Nuzzaci e Triggiani, 1982; Marchesini e Dalla Montà, 1994; Ribeiro et al., 2001; Barnay et al., 2001; Thiery et al., 2001). Fra essi principalmente vanno ricordati: gli Imenotteri (Fig. 2), fra cui spiccano gli Icneumonidi (Generi: Itoplectis, Pimpla, Campolex), i Braconidi (Generi: Agathis, Apanteles, Aleiodes), i Calcididi. Fra i Ditteri il genere Phytomyptera dei Tachinidi è segnalato molto spesso. Fra i predatori si possono menzionare i Neurotteri Crisopidi e specialmente vari Aracnidi (Addante et al., 2003). Purtroppo la presenza di tutti questi ausiliari zoofagi, assume una certa consistenza solo dopo la seconda generazione, quando il danno da Lobesia è già manifesto, specialmente nell’uva da tavola. Mezzi biotecnici: Il Bacillus thuringiensis (i ceppi più utilizzati contro la Lobesia sono: B. thuringiensis var. kurstaki e B. thuringiensis var. aizawa), distribuito ormai come un comune insetticida, dà certe garanzie, solo in presenza di basse e medie popolazioni di Lobesia. L’efficacia di questo insetticida biologico è migliore, se viene distribuito al momento della schiusura delle uova e su larvette appena sgusciate. Numero Generi per principali famiglie di Icneumonidi Fig. 2 - Le famiglie di Imenotteri che parassitizzano la L. botrana. 91 Una discreta efficacia la si raggiunge trattando, al tramonto, a 7 giorni dall’apparizione del II e/o III volo, ripetendo il trattamento dopo una settimana. L’aggiunta di zucchero può aumentare l’efficacia del trattamento. Recentemente è stata provata spesso l’Azadiractina, che, nei confronti della Tignoletta dell’uva, ha dato risultati deludenti. Metodo della confusione: La collocazione, a breve distanza tra loro, di strisce imbevute di feromone sessuale allo scopo di ostacolare il ritrovamento delle femmine da parte dei maschi, ha dato qualche risultato solo in presenza di bassa popolazione dell’insetto e su uve da vino, dove il rischio non è grosso. L’applicabilità migliore di questo metodo, con risultati soddisfacenti, consiste nell’utilizzarlo in grandi superfici (esperienze tedesche, svizzere e nel Trentino). Pare che questo metodo possa essere applicato abbinato al B. thuringiensis con un numero inferiore di dispenser per ettaro. Insetticidi: I “Disciplinari di protezione” delle varie regioni consigliano parecchi insetticidi di sintesi, fra i quali primeggiano i tradizionali: Chlorpyrifos-methyl, Phosalone, Etofenprox, Fenitrothion, Trichlorfon. Essendo questi ultimi sotto osservazione con la possibilità di rimozione dal mercato, ultimamente vi è un’interesse crescente per gli insetticidi, cosiddetti della III Generazione (“Regolatori di crescita”, “MAC”, etc.). Essi, dal punto di vista ecologico, pur non essendo innocui, risultano meno dannosi rispetto ai tradizionali. I più utilizzati, con un’azione discreta nei confronti della Lobesia, sono Teflubenzuron, Flufenoxuron, Tebufenozide e lo Spinosad. Comunque, per questi prodotti, il mercato è in piena evoluzione e si prevedono ancora nuove registrazioni, a breve periodo. Monitoraggi e Campionamenti: La presenza del fitofago chiave della vite, le fluttuazioni ed oscillazioni delle sue popolazioni, necessitano, per un razionale controllo del medesimo, forme di campionamento indiretto (trappole varie per la cattura degli adulti) e diretto (presenza di stadi giovanili su parti della pianta). Il ricorso alle trappole a feromoni rappresenta, attualmente, la soluzione migliore per il monitoraggio degli adulti. Esse sono composte da una base con materiale collante, un coperchio ed una capsula feromonica. Le trappole (2/ha) andrebbero controllate settimanalmente per verificare il numero di maschi e togliere gli insetti catturati; il feromone andrebbe sostituito ogni 25 giorni (periodo estivo) o 40 (periodo primaverile); lo stesso periodo, più o meno, dovrebbe intercorrere per la sostituzione della base della trappola. Per quel che riguarda il numero di catture di maschi, si può affermare che anche numerosissime catture (400-500/trappola), osservate durante il primo volo, non destano preoccupazioni, mentre poche catture (3040/trappola), riscontrate nel II e III volo, possono dare infestazioni tali da compromettere la vendita del prodotto (uva da tavola) o aprire la via ad altri parassiti dei grappoli (muffa grigia, marciumi acidi). 92 Le prime osservazioni dirette, per determinare il grado d’infestazione (larve/grappoli) della I generazione, si effettuano sui grappolini (in prefioritura), un mese dopo l’inizio del I volo. Il campionamento si può compiere percorrendo i filari o avanzando diagonalmente (tendoni) ed esaminado 2-3 grappoli/ceppo, ogni 5-10 piante, per un totale di 200 grappoli/ha. Per la II e III generazione i campionamenti dovrebbero incominciare 715 giorni dall’inizio dei rispettivi voli ed effettuarsi sugli acini verdi in via di ingrossamento (II generazione) e durante l’invaiatura (III generazione). Nelle zone e vigneti a rischio (uva da tavola) i campionamenti potrebbero diventare bisettimanali dopo il II volo (momento critico per la coltura), dato che il fattore “tempestività”, per un’eventuale trattamento, avrebbe grandissima importanza. Il trattamento insetticida si rende necessario, nella stragrande maggioranza dei casi, solo dopo il II volo e diversificando gli interventi a seconda se trattasi di uva da vino o da tavola. Il trattamento, solo in questo secondo caso, andrebbe tempestivamente fatto una settimana dopo le prime catture, a meno che la tignoletta non sia completamente assente. Bisogna tenere sempre presente che l’efficacia del trattamento aumenta moltissimo osservando le seguenti regole: 1. Intervenendo sui grappoli; 2. Bagnando bene il grappolo (1000-1500 litri/ha specialmente in ambiente mediterraneo); 3. Preferibilmente non miscelando l’insetticida con altri antiparassitari; 4. Ugelli dell’atomizzatore sempre ben tarati. I campionamenti successivi al primo forniranno i dati sulla riuscita del trattamento, se effettuato o consiglieranno di intervenire se l’infestazione è aumentata. Le soglie d’intervento sono molto basse, il 35% per l’uva da tavola delle varietà più suscettibili (“Italia” e “Vittoria”) o del 10-20% per le varietà più tolleranti (“Regina” e le nuove cultivar senza seme). Queste ultime soglie possono andare bene, mediamente anche per l’uva da vino. Dopo il III volo e sulla terza generazione, in prossimità della invaiatura e maturazione, se il grado d’infestazione dell’insetto è più o meno identico a quello della seconda generazione , bisognerebbe intervenire, utilizzando prodotti biologici o, se non si può fare a meno, quelli a minor persistenza. 6.5. PROSPETTIVE FUTURE PER IL CONTROLLO DI L. BOTRANA Avendo notato, in questi ultimi anni, un anticipo dell’apparizione dei voli e tenendo presente la quasi unanime previsione dell’aumento delle temperature e luminosità del pianeta, si è incominciato in Puglia, dal 2000 in poi, ad osservare il comportamento del fitofago in Screen house 93 coperte solo da reti antiafide. In questo ambiente si è notato un’innalzamento delle temperature medie di uno a due gradi per tutto il periodo dei voli della tignoletta (Fig. 3). In questa situazione, sia il numero degli adulti (Tab. 3) sia le infestazioni larvali (Tab. 4), dovute all’insetto sono cresciute in maniera molto evidente ed in modo significativo. Si è voluto, inoltre, seguire l’andamento predatore-preda (tignolettaaracnidi) negli stessi ambienti. Come si può notare nella figura 4, il biotopo screen-house con le sue temperature risulta più sfavorevole ai ragni. Fig. 3 - Differenze di temperature medie fra Screen house e pieno campo – 2001 Valenzano (Bari). Tab. 3 - Catture di maschi L. botrana (Campo sperimentale Valenzano). Anni Screenhouse Pieno campo 2000 454 95 2001 945 227 2002 815 477 2003 1541 327 2004 1630 655 2005 548 272 Tab. 4 - Differenza di infestazione larvale fra Screen house e pieno campo. Nidi Grappoli Acini 94 Grappoli campionati 100 50 50 Esterno Screen-house t di Student 8 27 55 106 36 122 P≤0,01 P≤0,05 P≤0,01 Fig. 4 - Presenza di ragni in pieno campo ed in screen-house. Se questi andamenti di popolazione del fitofago e del rapporto con alcuni suoi predatori, in presenza di qualche grado di temperatura in più, venissero confermati per il futuro allora le prospettive di controllo per l’insetto chiave della vite diventerebbero un po’ più complicate. Sarà anche per merito della Lobesia botrana che gli esapodi conquisteranno la terra, come previsto da Guido Grandi (1969)? 6.6. AUTORI CITATI ADDANTE R., MOLEAS T. - 1996 - Effectiveness of Mating Disruption method against Lobesia botrana (Den. et Schiff.) (Lepidoptera. Tortricidae) in apulian vineyards. - Proc. Int. Conf. Integr. Fruit. Prod., OILB/SROP Bull., 19 (4): 247-251. ADDANTE R., MOLEAS T., RANIERI G. - 2003 - Preliminary investigations on the interaction between spiders (Araneae) and grapevine moth (Lobesia botrana (Denis et Schiffermuller) populations on Apulia vineyards. - OILB/SROP Bull., 2 (8): 111-115. BALDACCHINO F., MOLEAS T. - 2000 - Suscettibilità di alcune cultivar di vite agli attacchi di Lobesia botrana (Denis et Schiffermuller) (Lepidoptera Tortricidae). - Atti Giorn. Fitopatol. 1: 293-298. BARNAY O., HOMMAYA G., GERTZ C., KIENLEN J.C., SCHUBERT G., MARRO J.P., PIZZOL J., CHAVIGNY P. - 2001 - Survey of natural populations of Trichogramma (Hym. Trichogramatidae) in the vineyards of Alsasia (France). - J. Appl. Ent., 125: 469477. GRANDI G. - 1968 - Un mondo occulto di dominatori. Ed. Calderini - Bologna. MARCHESINI E., DALLA MONTÀ L. - 1994 - Observations on natural enemies of Lobesia botrana (Den. & Schiff) (Lepidoptera: Tortricide) in Venetian vineyards. - Boll. Zool. Agr. Bachic., Serie II, 26 (2): 201-230. MOLEAS T. - 1979 - Essais de lutte dirigee contre la Lobesia botrana Schiff. dans les Pouilles (Italie). - Atti Simp. Int. Lotta Integr. Agric. Foreste, (Vienna): 542-551. MOLEAS T. - 1981 - Biologia ed etologia della Lobesia botrana in Puglia. Possibilità di 95 lotta integrata. - Atti conv. “La Difesa Integrata della Vite”, Reg. Lazio (Latina): 91-97. MOLEAS T. - 1987 - Observations biologiques sur l’Eudemis en colture protegèe. - Atti Conf. Int. Rav. Agric., Paris, 3: 221-228. MOLEAS T. - 1994 - L’importanza dei fattori abiotici ed agronomici nel controllo della II generazione della tignoletta dell’uva (Lobesia botrana Denis et Schiffermuller). Atti Conv. “Innovazioni e prospettive nella difesa fitosanitaria”, Ferrara 24-25 Ottobre 1994: 67-70. NUZZACI G., TRIGGIANI O. - 1982 - Note sulla biocenosi in Puglia della Lobesia (Polychrosis) botrana (Schiff.) (Lepidoptera: Tortricide) infeudata su Daphne gnidium L. - Entomologica, 17: 47-52. RIBEIRO J.J.A., MARTINS F.M., MENDONÇA T.R., LAVADINHO A.M.P. - 2001 - Natural parasitism of Lobesia botrana durino the hibernation period in the region of “Vinhos Verdes2. - IOBC/WPRS Bull., 24 (7): 117-120. ROEHRICH R., BOLLER E. - 1991 - Tortricids in vineyards. - In: L.P.S. Van der Geest, H.H. Evenhuis (eds) “Tortricid Pests: Their Biology, Natural Enemies and Control”, Elsevier, Amsterdam: 507-514. STAVRIDIS D.G., SAVOPOULOU-SOULTANI M. - 1998 - Larval performance on and oviposition preference for known and potential hosts by Lobesia botrana (Lepidoptera: Tortricide). - Eur. J. Ent., 95: 55-63. THIERY D., XUEREB A., VILLEMANT C., SENTENAC G., DEBLAC L., KUNTZMAN P. - 2001 - Les parasites larvaires de tordeuses de vignobles: apercu de quelques espèces présentes dans 3 régions viticoles françaises. - IOBC/WPRS Bull. 24 (7): 135-142. TIRTZA Z., ALLY H., THIERY D. - 2003 - Can we expect Lobesia botrana to distribute its eggs partly using differential exposures of bunches to light? - IOBC/WPRS Bull., 26 (8):151-154. 96 7. S. Ragusa & H. Tsolakis (eds) La difesa della vite dagli artropodi dannosi Marsala 10-11 ottobre 2005 Università degli Studi di Palermo - pp. 97-147 The importance of the vegetation surrounding the agrosystems on predatory mites associated to vineyards S. KREITER, M.-S. TIXIER, Z. BARBAR Ecole Nationale Supérieure Agronomique - Institut National de la Recherche Agronomique, Unité d’Ecologie animale et de Zoologie agricole, Laboratoire d’Acarologie, 2 Place Pierre Viala - 34060 Montpellier cedex 1, France [email protected] Abstract Natural increases of populations of Kampimodromus aberrans were observed in Languedoc vineyards under integrated pest management strategies. Aims of studies undergone were to characterize mechanisms of this oriented dispersion named “colonization” in space and time. The richness in phytoseiid mites of the environment close to grape fields was first determined. The relationships between leaf structure (trichome, pollen densities, number and structure of domatia, leaf surface) and K. aberrans densities were also studied. The frequency of occurrence and the abundance of K. aberrans per cm2 were correlated to high trichome densities. A complex phylloplane (many hairs and shelters or domatia) could confer a competitive advantage to this species over other ones. The number and the rating of domatia were important to K. aberrans development; high proportions of immatures were observed only on plants with these structures. Pollen densities were significantly correlated to trichome densities; domatia structure had only a somewhat lesser effect. Our study shows that dense trichome and pollen levels are favorable to the development of K. aberrans populations and add perspective on the influence of domatia. Aerial (funnels with water) and soil (felt strip) traps were placed in and around grape fields, in order to quantify aerial and ambulatory dispersal. Samplings were carried out in in the crops twice a month in order to assess the settlement of the dispersant mites. K. aberrans was found in greatest quantities in traps, natural and cropped environment. Predatory mite dispersal occurred essentially by aerial dispersal dependent on wind intensity and direction. The same sexratio was observed in migrant populations and populations present in the grape fields, woody areas and hedges. A large proportion of immatures appeared to be able to move by aerial dispersal. Colonization potential (rapidity, intensity and regularity) was directly associated with the richness and the proximity of the natural 97 environment. A deep, dense and tall woody area containing suitable host plants for predatory mites constitutes the most stable source of phytoseiid mites. Natural colonization of vineyards provides high phytoseiid mite potential that could be managed in an agricultural landscape. However, a limiting step concerns the settlement of migrants and nowadays, if some factors have been explored, there is a need for futher experiments. Key words: Vineyards, phytoseiid mites, Kampimodromus aberrans, dispersal, colonisation, woody areas, hedges, leaf trichomes, domatia, pollen. Riassunto L’importanza della vegetazione spontanea di bordo per gli acari predatori associati alla vite Vengono riportate osservazioni sugli incrementi naturali delle popolazioni di Kampimodromus aberrans in vigneti del Languedoc (Francia meridionale) sottoposti a strategie di difesa integrata. Lo scopo degli studi effettuati era quello di rilevare i meccanismi della dispersione orientata, definita “colonizzazione”, nello spazio e nel tempo. Inizialmente è stata determinata la richezza delle specie di fitoseidi nell’ambiente naturale attorno ai vigneti. È stato, inoltre, studiato il rapporto tra la struttura fogliare (tomentosità, densità del polline presente sulla foglia, numero e struttura dei domatia, superficie fogliare) e la densità delle popolazioni di K. aberrans. La frequenza della presenza e della densità di K. aberrans per cm2 è stata correlata a un’alta tomentosità fogliare. Un filloplano complesso (tomentoso e/o con presenza di rifugi o domatia) potrebbe avvantaggiare la specie nei confronti di altre specie di fitoseidi. Il numero e la posizione dei domatia sono considerati molto importanti per lo sviluppo di K. aberrans; alte percentuali di stadi giovanili del predatore sono stati osservati solo su piante con questa struttura fogliare. La densità del polline presente sulla foglia è stata significativamente correlata alla tomentosità, mentre i domatia hanno un’influenza leggermente inferiore. I nostri studi dimostrano l’influenza favorevole dei livelli di tomentosità e del polline allo sviluppo delle popolazioni di K. aberrans e aggiungono nuove prospettive sull’influenza dei domatia. Trappole aeree (imbuti con acqua) e terrestri (strisce di feltro) sono state collocate attorno e in mezzo a vigneti coltivati allo scopo di quantificare la dispersione aerea e terrestre. I campionamenti sono stati effettuati a cadenza quindicinale allo scopo di permettere l’insediamento degli acari migranti. K. aberrans è stato trovato in grandi quantità sia nelle trappole che nell’ambiente naturale e coltivato. La dispersione di questo fitoseide avviene principalmente per via aerea e dipende dalla densità e dalla direzione del vento. La popolazione migrante del fitoseide presenta la stessa sex-ratio con le 98 popolazioni presenti nei vigneti e nelle aree boschive e siepi attorno ai vigneti stessi. Una buona percentuale di stadi giovanili, inoltre, sembra in grado di disperdersi per via aerea. Il potenziale di colonizzazione dei vigneti da parte dei fitoseidi (rapidità, intensità e regolarità) è stato dirrettamente associato alla ricchezza e alla vicinanza di ambienti naturali. Un’area boschiva di piante ospiti per i fitoseidi, di una certa ampiezza, densità ed altezza delle piante presenti costituisce una stabile fonte di questi importanti predatori. La colonizzazione naturale dei vigneti rappresenta una forte risorsa di acari fitoseidi che potrebbe essere controllata nell’ambito del paesaggio agricolo. Un grosso limite, communque, riguarda l’insediamento delle popolazioni migranti sulle diverse cultivar e su questo aspetto sono necessari ulteriori studi. Parole chiave: Vigneti, fitoseidi, Kampimodromus aberrans, dispersione, colonizzazione, aree boschive, siepi, tricomi fogliari, domatia, polline. 7.1. INTRODUCTION Panonychus ulmi (Koch), Eotetranychus carpini (Oudemans) and Tetranychus urticae Koch are major pests occurring in French vineyards (Sentenac et al., 1993). If systematic chemical controls since the early fifties have actually first limited their damage (Delmas and Rambier, 1954), sprayings have induced very quickly economical and ecological drawbacks, underlining the need for an integrated mite management (Baillod, 1984). The main natural enemy of pest mites in grapevine in France are phytoseiid mites (Kreiter et al., 2000). All the species are generalist predators, permanent inhabitants and ensure rapid control of pest populations early in their development (McMurtry and Croft, 1997). Kampimodromus aberrans (Oudemans), Typhlodromus (Typhlodromus) pyri Scheuten and Phytoseius finitimus Berlese (sensu Duso and Fontana, 2002) are the three main species controlling mite pests in French vineyards (Kreiter et al., 2000). Even if releases are currently carried out in greenhouses (Sabelis, 1985), they are quite scarce in perennial crops due to the low development rate of generalist species occurring in those agrosystems, preventing their mass rearing and thus availability in large numbers (Kreiter et al., 1989). Corino (1989) in Italy, as well as Kreiter and Sentenac (1995) in France (Burgundy) have reported the rapid increase of phytoseiid mite populations in vineyards managed under integrated farming. This process, named plot colonization, involves the remaining of a rich and varied surrounding environment from which natural enemies disperse toward cropped areas. Few studies actually deal with colonization process. Large-scale movement of predatory mites has already been reported (Johnson and Croft, 1976, 1979, 1981; Hoy et al., 1984, 1985; 99 Dunley and Croft, 1990, 1992, 1994). Phytoseiid mites seem able to move using aerial and ambulatory locomotion (Sabelis and Dicke, 1985). This movement is thought to occur because of declining habitat, which may result from over-crowding, poor quality food, predator avoidance and yearly plant senescence (Price, 1984). Hamilton and May (1977) developed a dispersal model and also concluded that it was to the advantage of insects living in both stable and unstable environments that a portion of its offspring should disperse. Concerning mite habitats, the presence of phytoseiid mites in uncultivated areas near vineyards is nowadays well documented (see for example Boller et al., 1988; Duso, 1992; Coiutti, 1993; Duso et al., 1993; Ragusa et al., 1995; Duso and Fontana, 1996; Tixier et al., 1998, 2000b). Such areas could constitute reservoirs for these natural enemies of mite pests. Both the diversity and the abundance of phytoseiid mites may be affected by plant composition, due to close relationships between plant leaf characteristics (i.e. pilosity) and mite development (Tixier et al., 1998, 2000a; Kreiter et al., 2002). This was studied especially for K. aberrans (Tixier et al., 1998, 2000a; Kreiter et al., 2002), the main phytoseiid mite in vineyards of the Southern France and Europe (Villaronga et al., 1991; Camporese and Duso, 1996; Perez Otero et al., 1997, Duso and Vettorazzo, 1999; Kreiter et al., 2000). In order to study this process in vineyards in France and to allow applied conservative biological control, several National research projects were set up over the last ten years in Corsica, Burgundy and Languedoc. The aim of these studies was to reply to the following questions: What potential is present in the environment surrounding the cultivated plots? Are phytoseiid mites colonizing cultivated plots? Where do colonizing phytoseiid mites come from? What is the magnitude of the colonizing flow? How does it vary over time? What factors influence dispersal? Which species are prone to disperse? Aims of the present paper are to give an overview of results obtained within a research theme started in 1995 in our Research Department concerning only the case of Languedoc: 1. quantification of the potential of phytoseiid mites in the surrounding vegetations of vineyards and factors affecting their diversity and densities; 2. colonisation by migrants of three different vineyards: in a traditional vine growing region planted with vineyards since a long time, in a newly planted vineyard near Montpellier, the two regions being in the Mediterranean area, and in a vine growing region less traditionally planted with vineyards, located at the fronteer between the Mediterranean and the Atlantic climates; 3. settlement of migrant mites; 4. consequences for Integrated Mite Management. Starting from the title, it is possible to consider the meaning “of the vegetation surrounding the crops” sensu lato, i.e. including weeds, for exemple intercroppings, associated plants like for example associated 100 crops or trees in agroforestery system, etc. However, we consider the meaning in a more restrictive way and we will consider only the vegetation outside and neighbouring crops and consequently, we will present only the colonization process. Results of this paper were published in separate papers: Tixier et al., 1998; Kreiter et al., 2000, 2002; Tixier et al., 2000a, b, 2002, 2005; Tixier and Kreiter, 2003. Results concerning potential of phytoseiid mites in Restinclières and Alaigne are under press. The first step was the quantification of the potential of phytoseiid mites in the surrounding vegetation of vineyards and the study of factors affecting their diversity and densities. 7.2. QUANTIFICATION OF PHYTOSEIID MITE DIVERSITY AND POPULATION DENSITY The objective was to find a method for quantifying phytoseiid mite diversity and densities in the surrounding vegetations of vineyards, to compare all situations. The aim was also to evaluate the occurrence of the main species found in vineyards in France, i.e. K. aberrans and T. pyri, in these surroundings. 7.2.1. Material and methods Experimental vine plots Experimental plots were located in Pouzolles (2 different grape crops but results concerning mainly one are presented here), 60 kms West of Montpellier, in Restinclières (1 grape crop), 15 kms North of Montpellier, and in Alaigne (1 grape crop), Domaine de Cazes, 150 kms South-West of Montpellier, 30 km South-West of Carcassonne. These plots are respectively planted with Cabernet Sauvignon, with mixed Syrah and Grenache and with mixed Merlot and Muscat. Pesticides were applied mainly against powdery and downy mildew and Scaphoideus titanus Ball (vector of the phytoplasma called “Flavescence dorée”). However, the number of applications is very low (2-4 fungicides and 2-3 insecticides per year). The pesticides are selected according to their side effects on phytoseiid mites (Sentenac et al., 2002) and no acaricide was used since a long time. The experimental plot of Pouzolles was surrounded by an uncultivated area called woody area, by linear wild vegetation strips called hedges and by three neighbouring vine crops. The experimental plot of Restinclières is surrounded by three uncultivated areas bearing essentially Pinus sp. and Quercus sp., and by a 50 m distance cultivated vine crops, also planted in 1997 on reclaimed land. The experimental plot of Alaigne is inside a farm with a large uncultivated area called the wood bearing essentially Quercus 101 pubescens Willdenow, by a linear strip of vegetation called the hedge and by other cultivated vine fields. Almost all phytoseiid mites are generalist predators and are able to survive and develop without preys, feeding on alternative foods (insects, pollen, etc.) some species being more productive feeding on pollen (McMurtry and Croft, 1997). No relation between phytoseiid occurrences and their prey has been demonstrated (McMurtry and Croft, 1997). For these reasons, prey densities have not been studied. Phytoseiid mites in the surrounding environment Samplings were carried out during 3 years in the uncultivated surrounding areas, 2 or 3 times per year except in Alaigne (only one year of samplings in 2005). All plants in the uncultivated areas were sampled, taking at least 50 leaves per plant for each sample date. All mites were extracted from leaves using the Berlese-Tullgren (Kreiter et al., 2000) or the so-called washing of leaves (dippingchecking-washing-filtering) methods (Boller, 1984). Each plant species presented different phytoseiid mite densities and have different characteristics. In order to compare the total densities of phytoseiid mites in several uncultivated areas, an index called Woody Richness (WR) was used = S (abundance-dominance of a plant species x the densities of phytoseiid mites on this plant / leaf) where: 1 = plants are rare, <5% of the canopy; 2 = abundant, 5-25; 3 = abundant, 25-50; 4 = very abundant, 50-75; and 5 = very abundant, >75% (Tixier et al., 1998). Samples were also carried out in cultivated vine plots located nearby the experimental plot. Each plot was sampled 3 times. In 1999 in Restinclières, the vine plants were too young and no leaf was sampled to avoid damage for the plantations. Each neighbouring vine field was divided in several small plots, of 400-600 vine stocks each. Thirty leaves were collected in each plot for each date. Phytoseiid mite identifications Phytoseiid mites have all been mounted and then identified with taxonomic keys following the generic concepts of Chant and McMurtry (1994) for the Typhlodrominae and Phytoseiinae, of Chant and McMurtry (2003a, b, 2004a, b, 2005) for Amblyseiinae Amblyseiini, Neoseiulini, Kampimodromini and Proprioseiopsini and of Moraes et al. (2004) for other Amblyseiinae. 7.2.2. Results and discussion In Pouzolles (1996-1999) Phytoseiid mites were found in the immediate surroundings of the grape fields in woody areas, border hedges and neighbouring grape fields (tab. 1, 4, 5). 102 Ten plants out of 67 samples were found with densities per leaf higher than 0.5. Eight of these plants harboured mainly K. aberrans (tab. 2). The dense woody area bordering grape field 1 comprised a tall oak stand, Celtis australis L., Cornus sp., Rubus sp., Agrimonia eupatoria L. and Euphorbia characias L. This area contained high densities and has the highest WR index (tab. 1). The woody area of grape field 2, less dense and tall and including only Q. pubescens, Rubus sp. and E. characias among the ten most suitable host plants, has a lower WR index. The woody area of each grape field differed not only in their plant species and their richness in phytoseiid mites, but in the species of predaceous mites observed (tab. 3). K. aberrans occurred more often (90%) in the woody area of grape field 1. On the opposite, the mite diversity of the woody area of grape field 2 is higher (tab. 3). The border hedges of the two fields harboured few phytoseiid mites (tab. 4). They were low and narrow and contained few of the suitable host plants. The richest hedges were those of grape field 1, where K. aberrans was the prevailing species. The surrounding vineyards all contained phytoseiid mites (tab. 5). The highest densities were observed in the vines plots surrounding the grape field 1, especially the plot located to the East (7.5 Ph / l) (tab. 5). K. aberrans was the main species in all the neighboring vineyards. Slightly more species of phytoseiid mites were found in the vineyards neighboring the grape field 2 (tab. 5). The sex ratios for the phytoseiid mite populations present in those three environments were not significantly different (χ2 test, α = 0.05) (tab. 6). In Restinclières (1999-2003) During three years, the phytoseiid mite abundance (WR indexes) in the 3 uncultivated areas was low and not significantly different [F(2,21)=0.55, P=0.58]. From 1999 to 2000, phytoseiid mite densities increased in all areas, but in 2001, this density was very low whatever the area considered. The density was high early in the season (May) and then decreased during summer, except in 2001. This is a typical variation over time (Ivancich-Gambarro, 1987; Malison, 1994) due to their susceptibility to dry conditions associated with hot temperatures during summer. Among the 76 plants sampled, only Celtis australis L., Viburnum tinus L. and Cornus sanguinea L. had high phytoseiid densities (tab. 7). Thirty-one phytoseiid mite species were found in the uncultivated areas sampled. Typhlodromus phialatus Athias-Henriot was the main species collected. Typhloseiella isotricha Athias-Henriot, only found on Inula viscosa L., was punctually collected. At least, species like Typhlodromus baccettii Lombardini, K. aberrans, Typhlodromus recki (Wainstein) were observed each year but very few and their host plant varied. 103 Table 1 - Richness of woody areas of the 2 experimental crops in Pouzolles (Hérault, France). WR INDEX* Number of sampled plants Proportion of plants with phytoseiids (%) Mean number of phytoseiid mites/leaf for plants with phytoseiid mites Percentage of richness associated to the 10 suitable host plants GRAPE FIELD 1 8.23 29 45 % GRAPE FIELD 2 2.99 36 30 % 0.44 0.13 88 % 83 % * WR index = sum of [abundance-dominance x richness (Ph/l) of each plant species present]. Table 2 - Number of phytoseiid mites/leaf (Ph/l) and species observed on suitable host plants neighbouring the two experimental grape fields in Pouzolles (Hérault, France). Woody areas N. % K. Others species (%) of grape fields Ph/l aberrans Agrimonia eupatoria 1 1 80 T. pyri (14), T. phialatus (4), T. intercalaris (2) Euphorbia characias 1, 2 1 92.5 T. pyri (7.5) Celtis australis 1 0.8 100 Quercus pubescens 1, 2 0.7 80 T. intercalaris (20) Cornus sp. 1 0.7 94 E. stipulatus (6) Ulmus sp. 1, 3 0.6 100 Rubus sp. 1, 2 0.3 72 T. pyri (16), E.stipulatus (12) Inula viscosa 2 0.5 33.3 T. intercalaris (33.3), P. soleiger (33.3) Prunus cerasus 3 0.5 0 P. soleiger (100) Cydonia oblonga 3 0.5 100 Mean 0.66 75.1 Standard deviation 0.22 33 Table 3 - Percentage of phytoseiid mite species observed in woody areas neighbouring experimental grape fields in Pouzolles (Hérault, France). Kampimodromus aberrans Typhlodromus (A.) intercalaris Typhlodromus (T.) phialatus Typhlodromus (T.) pyri Euseius stipulatus Paraseiulus soleiger GRAPE FIELD 1 90 2.5 1 4.5 2 – GRAPE FIELD 2 47 26 13 7 – 7 Table 4 - Percentage of phytoseiid mite species observed in narrow hedges around the 2 experimental grape fields in Pouzolles (Hérault, France). Kampimodromus aberrans Typhlodromus (T.) phialatus Typhloseiulus simplex Typhlodromus intercalaris Mean phytoseiid mites per leaf 104 GRAPE FIELD 1 100 0.3 GRAPE FIELD 2 34 30 8 28 0.04 Table 5 -Number of phytoseiid mites/leaf and phytoseiid mite proportions observed in neighbouring vine crops of the two experimental grape fields in Pouzolles (Hérault, France). Total area of the neighboring vine crops (in ha) Phytoseiid mite density in Ph/l in the neighbouring vine crops Number 1 2 3 4 5 Kampimodromus aberrans Typhlodromus (T.) pyri Typhlodromus (T.) phialatus Typhlodromus (A.) intercalaris Paraseiulus soleiger GRAPE FIELD 1 4.7 GRAPE FIELD 2 1.6 2.37 7.50 0.60 0.70 2.80 1.02 3.72 0.06 0.04 97.4% 75.00% 23.75% 1.25% 0.6% 1.2% 0.8% Table 6 - Phytoseiid mites sex ratio in the three surrounding environments of the 2 experimental grapefields in Pouzolles (Hérault, France). Females Males Woody areas (%) 80 20 Border hedges (%) 79 21 Neighbouring vineyards (%) 78 22 In 2000 and 2001, sampling carried out in three transect directions showed the presence of great densities of K. aberrans in some areas on different plants, at least 800 meters away from the plot, especially on C. australis and Juniperus sp. for the South transect and on Q. pubescens for North-East transect. The main species sampled for the three directions of transects for both years was T. phialatus. Phytoseiid mites occurred in the 6 neighbouring vine plots. No significant difference was observed in mite densities between the vine plots during the three years [F(5,24)=1.10; P=0.34], neither between cultivars (Grenache & Syrah) [F(1,42)=3.02; P=0.89]. From 2000 to 2001, the populations increased in all plots (except V5), in average from 0.065 to 0.18 phytoseiid/leaf [F(1,9)=0.03; P=0.035]. The diversity of phytoseiid mites inhabiting the neighbouring vine plots changed between 2000 and 2001. In 2000, Neoseiulus californicus (McGregor) was the prevailing phytoseiid while in 2001 and for the following years, Typhlodromus exhilaratus Ragusa was the single species collected. In Alaigne (2005) The hedge is planted with 8 different plants on which Q. pubescens, Rubus ulmifolius Schott, C. sanguinea and Bryonia dioica Jacquin appeared as suitable host plants for phytoseiid mites (tab. 8). Typhlodromus (T.) pyri is the dominant species except on Q. pubescens where K. aberrans prevailed. 105 Plant species Acer sp. Acer monspessulanum L. Agrimonia eupatoria L. Alnus sp Arbutus unedo L. Asparagus officinalis L. Buxus sempervirens L. Carlina vulgaris L. Carpinus sp. Celtis australis L. Clematis flamula L. Clematis vitalba L. Conyza sumatrensis (Retz) Cornus sp. Cornus sanguinea L. Corylus sp. Crataegus sp. Cupressus sp. Cytisus sp. Daphne gnidium L. Dorycnium suffruticusum Viller Echium vulgare L. Erica multiflora L. Euphorbia pepilis L. Euphorbia serrata L. Fraxinus sp. Fraxinus excelsior L. Fraxinus ornus L. 106 Ambyseius andersoni (Chant) Euseius finlandicus (Oudemans) Euseius stipulatus (Athias-Henriot) Kampimodromus aberrans (Oudemans) Neoseiulus auresencs(Athias-Henriot) Neoseiulus bicaudus (Wainstein) Neoseiulus californicus (McGregor) Neoseiulus cucumeris (Oudemans) Neoseiulus graminis (Chant) Neoseiulella tiliarum (Oudemans) Paraseiulus triporus (Chant & Yoshida-Shaul) Paraseiulus soleiger (Ribaga) Phytoseiulus persimilis Athias-Henriot Phytoseius echinus Wainstein & Arutunjan Phytoseius juvenis Wainstein & Arutunjan Phytoseius plumifer (Canesrini & Fanzago) Proprioseiopsis messor (Wainstein) Typhlodromus (Anthoseius) cryptus (Athias-Henriot) Typhlodromus (Anthoseius) ilicis (Athias-Heneriot) Typhlodromus (Anthoseius) recki (Wainstein) Typhlodromus (Anthoseius) rhenanoides (Athias-Henriot) Typhlodromus (Anthoseius) rhenanus (Oudemans) Typhlodromus (Typhlodromus) athiasae Porath & Swircki Typhlodromus (Typhlodromus) ernesti Ragusa & Swirski Typhlodromus (Typhlodromus) baccettii Lombardini Typhlodromus (Typhlodromus) exhilaratus Ragusa Typhlodromus (Typhlodromus) phialatus Athias-Henriot Typhlodromus (Typhlodromus) pyri Scheuten Typhloseiella isotricha (Athias-Henriot) Typhloseiulus carmonae (Chant & Yochida-Shaul) Typhloseiulus eleonorae Ragusa No. of phytoseiid species per plant Table 7 - Phytoseiid mite numbers on sampled plants in uncultivated areas in Restinclières (Hérault, France) from 1999 to 2003. Phytoseiid species (No. of individuals per plant) 1 1 3 1 53 1 2 1 2 1 1 1 1 3 1 7 1 1 1 1 1 1 1 1 1 3 1 1 6 1 2 1 1 1 1 1 1 1 3 1 1 1 9 1 1 5 3 2 24 1 1 1 4 2 6 1 1 1 1 1 7 7 2 2 2 1 1 1 1 1 1 9 1 3 1 6 1 6 5 3 1 3 1 2 3 1 1 1 1 4 4 2 Table 7 (continued) Galium sp. Genista scorpius (L.) Helianthemum vulgare Gaertner Inula viscosa (L.) Juglans nigra L. Juglans regia L. Juniperus sp. Juniperus oxycedrus L. Laurus sp. Lavandula spica L. Liriodendrons sp. Lonicera sp. Lonicera caprifolium L. Malus domestica Borkh Malva sylvestris L. Morus sp. Olea europea L. Ostrya carpinifolia Scopoli Phyllirea sp. Phyllirea angustifolia L. Phyllirea media L. Pinus brutia (Ten.) Pinus halepensis Miller Pirus communis L. Pistacia lentiscus L. Plantago lanceolata L. Poterium sanguisorba L. Prunus sp. Prunus avium (L.) Prunus dulcis Miller Prunus persica (L.) Prunus spinosa L. Punus mahaleb L. Quercus coccifera L. Quercus ilex L. Quercus pubescens Willdenow Rosa canina L. Rosmarinus officinalis L. Rubia peregrina L. Rubus sp. Ruscus aculeatus L. Sophora japonica L. Sorbus domestica L. Syringa sp. Thymus vulgaris L. Tilia sp. Ulmus sp. Viburnum tinus L. No. of host plants 1 1 1 6 1 1 1 1 1 6 1 3 1 2 5 2 1 2 1 3 1 1 2 5 1 2 9 1 1 1 1 1 1 1 1 2 1 1 3 74 2 1 1 2 6 2 7 1 1 1 1 17 1 1 1 3 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 2 1 1 1 1 1 3 1 1 1 1 2 1 1 6 1 11 1 1 1 1 1 2 1 1 1 1 17 18 1 1 3 4 17 1 3 1 1 1 1 1 1 2 1 8 1 1 1 4 3 5 23 3 1 2 1 2 2 1 3 1 1 23 1 1 7 4 1 1 6 1 1 1 4 7 1 5 1 1 1 3 168 5 1 2 1 9 3 28 6 5 1 3 9 13 57 2 1 107 2 1 1 3 1 3 1 1 1 4 2 2 3 4 3 6 4 2 1 1 1 2 2 2 3 2 3 4 1 3 4 1 1 1 3 6 9 1 1 2 1 7 1 4 6 1 4 5 6 6 Table 8 - Percentage of phytoseiid mites on the different host plants of the hedge neighbouring the experimental grape field in Alaigne, Domaine de Cazes (Aude, France) in 2005. Host plant Percentage Quercus pubescens Bryonia dioica Cornus sanguinea Rubus sp. Populus nigra Crataegus monogyna Prunus spinosa Rosa canina Phytoseiids per leaf 90.5 K. aberrans – 7.1 T.(T.) pyri – 2.4 Immatures 0.46 90.4 T.(T.) pyri – 5.7 Euseius sp. – 3.9 K. aberrans 0.34 66.7 T.(T.) pyri – 26.7 K. aberrans – 6.6 Immatures 0.2 100 T.(T.) pyri 0.15 0 0 100 T.(T.) pyri 0.006 100 T.(T.) pyri 0.002 0 0 7.2.3. Conclusion Diversity and densities of phytoseiid mites seem correlated to the floristic diversity and especially to the abundance of host plants. This floristic diversity is itself linked to the local physical conditions (both climatic and edaphic), to the evolutionary process within the vegetation (equilibrium status vs. colonizing process) and to the history of land use which affect plant communities. Pouzolles is a very old vine region, vineyards of more than two thousand-years old and with deep fertile soils. K. aberrans seems very common in the French Mediterranean area where these conditions are met: long history of land use by vineyards, deep soil with patches of remaining vegetation dominated by the white oak, associated to Ulmus sp., Celtis sp., etc. But this kind of situation is not met everywhere. In some bad soils with colonizing vegetation in abandoned and replanted lands, T. exhilaratus seems dominant, a crop colonizing species (Tixier et al., 2005). In vineyard in altitude and in the climatic border between Mediterranean and Oceanic conditions, T. pyri seems to replace and may be displace K. aberrans. But what about factors concerning host plants? 7.3. SOME POSSIBLE FACTORS AFFECTING DENSITY AND DIVERSITY OF PHYTOSEIID MITES IN THE SURROUNDINGS We have shown that K. aberrans is a common phytoseiid mite on grape and uncultivated plants surrounding vineyards (Duso et al., 1993; Kreiter et al., 2000; Tixier et al., 2000b). This important biological control agent is a generalist (vs. specialist; McMurtry and Croft, 1997) predator of spider mites, including the common pest in Southern France, Eotetranychus carpini (Oudemans). Kampimodromus aberrans feeds on many non-tetranychid mites, pollen and insects as well (Kropczynska et al., 1988; Schausberger, 1992, 1997, 1998). This predaceous mite seems to be closely associated with specific host plants 108 and it varies regionally in this regard (Moraes et al., 2004). In Europe it occurs on economic plants such as apple (Malus domestica L.), grape (Vitis vinifera L.) and hazelnut (Corylus avellana L.). Kampimodromus aberrans is common on plants bearing hairy leaves and domatia (Coiutti, 1993; Barret and Kreiter, 1995; Moraes et al., 2004). The need to understand relationships between plant, leaf structures, pollen foods and their effects on this species were recognised (Barret & Kreiter 1995, Camporese & Duso 1996). Phytoseiid mites live mostly on leaf under-surfaces that have raised veins, dense hairs, tunnelled margins and cave-like structures in the vein axils (domatia). These structures affect searching, feeding, mating, oviposition, hiding, etc. of these microscopic arthropods. Leaves with domatia often harbour more phytoseiid species or greater densities of a species than leaves without domatia or leaves from which domatia have been removed (O’Dowd and Willson, 1991; Walter and O’Dowd 1992a, b; Walter, 1996). Such shelters and leaf pubescence may be as important as food is for some phytoseiids (Duso, 1992; Karban et al., 1995) and especially for generalist feeders that have evolved more in response to plants than specialist feeders (McMurtry and Croft, 1997). Yet many questions remain about adaptations of phytoseiids to plant attributes. For example, how does leaf architecture allow some phytoseiids to colonize a plant and others not? Can 2 or more species live together on a leaf by habitat partitioning? If so, do some refuges minimise interspecific competition more than others? Answers to these questions have implications for biological control. Few studies deal with the influence of host plant traits on biological control (Duso, 1992; Walter, 1996; Lester et al., 2000). Answers are also important for understanding colonisation of crops by phytoseiid mites from neighbouring areas and for determining which plants may constitute reservoirs and why (Tixier et al., 1998; Tixier, 2000; Tixier et al., 2000b). Results of surveys of predaceous mites that occur on vegetation surrounding vineyards are reported and correlated to factors of plant type, leaf pilosity, leaf domatia and pollen retention. Also, reported and discussed are features of the biology of K. aberrans, including aspects of pollen feeding and water uptake from plants. 7.3.1. Material and methods Correlations between plant types, leaf structures and pollen capture Counts of trichomes, domatia and pollen grains densities were taken at randomly selected locations on 3 leaves per plant on 3 plants per species. Trichomes and pollen grain densities were counted on 3 arbitrary areas of the limb of each leaf, and then converted in cm2. For measuring domatia types, we used a rating scale based on that of O’Dowd and Willson (1989): 0 = no hair at intersection of leaf veins; 1 = 109 some hairs, but no shelter at intersection of the leaf veins; 2 = somewhat closed domatia, intersection of leaf veins lightly covered by trichomes; 3 = leaf vein intersection completely obstructed by hairs. Leaf surface was measured by Surface foliaire software (1992) program for 10 leaves per plant species. Analysis of Variance (ANOVA & Kruskal & Wallis, NPStat, 1995) and means tests (Duncan, Statistica, 1998) were used to compare phytoseiid densities per cm2, leaf hairs and pollen densities per cm2 and domatia densities per leaf. Domatia ratings among plants were compared by Chi2 tests (Statistica, 1998). A Chi2 test (Np Stat, 1995) was used to compare percentages of K. aberrans versus other phytoseiids among plant species. Multiple regressions (Statistica, 1998) were run between leaf data types and densities of phytoseiid mites / cm2, predator frequency per plant, percent of K. aberrans (versus all phytoseiids) per plant and number of phytoseiid species per plant. Decision tree analysis (Statistica, 1998) was used to assess importance of leaf parameters to predict phytoseiid densities. Life stage distributions Life stage distributions was studied on 3 trees, in order to determine if prey mites or other foods allow reproduction and specifically how pollen affects phytoseiid development. Samplings were carried out on C. australis (that did not harbour any phytophagous mites), on T. platyphyllos (that had low densities of Eotetranychus tiliarium (Herrmann)) and on T. platyphyllos (that had some E. tiliarium and the predaceous mite Euseius finlandicus [Oudemans]). E. finlandicus life stage distributions were also measured on T. vulgaris (that had low densities of E. tiliarium and the phytoseiid, Neoseiulella tiliarum (Oudemans)). More limited samples of life stage for K. aberrans also were made. Eggs, immatures and adult phytoseiids and tetranychids were counted using a binocular microscope at 40X. To determine the pollen availability for predaceous mites, atmospheric counts of Celtis pollens that are common in Montpellier were sampled in 1988-1990 using methods described by Cour (1974). Pollen count data were compared to life stage distributions of K. aberrans to evaluate potential food impacts. Pollen on selected plants relative to leaf pilosity To evaluate relationships between pollen and K. aberrans occurrence among plants near French vineyards, plant species, leaf pilosity and pollen retention measurements were made. As pollen identification is difficult (Andersen, 1974; Faegr and Iversen, 1989), we sampled only Abietaceae pollens that have 2 distinctive air bags that can be identified with a binocular microscope at 40X magnification (Faegri and Iversen, 1989). Pollen counts were made during April 1992 on both sides of leaves of C. australis (22 leaves), U. procera (13 leaves), and T. vulgaris (20 leaves). All sample trees were located in a local area near Montpellier and received similar conditions of wind and distances to pollen sources. 110 To convert to a common unit of pollen density, surface area per leaf was measured with an automatic planimeter (± 0.2 cm2). A regression between pollen density and leaf surface (downside and upside) was calculated for each plant type. A second comparison of pollen density and pilosity was made between C. australis and C. occidentalis only. Two types of leaves were used, either unwashed or washed in acetone for 3 months to remove sticky materials that might affect pollen retention. Two kinds of unwashed leaves were used: alive and dried leaves. All tests were conducted at a site near Montpellier where both European hairy and American glabrous nettle trees grew in mixed stands. Also, a light wind of 3 km/h was simulated in an environmental chamber to nettle trees that were held under similar climatic conditions. Both unwashed and washed leaves (100 of each tree species) were placed on both sides (50 of each) randomly on 50 x 40 cm plastic panels. Also, 100 leaves from currently growing plants were collected at random from the 2 tree species. Both hairy and glabrous nettle (both Celtis) tree leaves were compared (washed and unwashed) after being held under 2 experimental conditions (natural and laboratory-reared). Data from both plant species and pilosity-nettle tree tests were submitted to ANOVA and a mean comparison tests (Newman and Keuls; a=0.05). Uptake of plant fluids Rubidium (rb+) has been widely used to test water uptake by organisms (Beery et al., 1972; Fernandes et al., 1978; Graham et al., 1978). Water can be taken up by plants, and then by predaceous mites either from the plant or from phytophagous mites that have fed (Frazer and Raworth, 1974; Jackson, 1991). Thirty 2 yr-old hairy nettle trees having 5-6 leaves were cultivated in planter boxes and caged with muslin. All visible foods on leaves were removed with a brush and leaves were exposed for 1 min. every 12 hours and for 5 d to ultraviolet light (wavelength 254 nm) to eliminate micro-organisms. The soil of 20 trees was watered daily with a rubidium chloride solution at 2 g / l (1250 ml / tree total), and the soil of 10 with only distilled water (control). Females of K. aberrans were collected on other European hairy nettle and after 24 h starvation, female adult mites (1 per plant) were placed both on labelled and unlabelled trees. A glue ring was placed on the trunk to stop escape of released mites. After 4 days treatment, analysis was performed on recovered mites with a Perkin-Elmer 5100 PC atomic absorption spectrophotometer connected to an HGA-600 graphite furnace assembly, a programmer and an AS-1 auto-sampler. A hollow cathode lamp of 780.0 nm wavelength was used. A calibration with standard solutions was used within the range of rubidium amounts found in a single mite. A single labelled female was taken with a sterile plastic shaft and dissolved in 2 µl of pure nitric acid for 48 h at 20 °C. Solutions were homogenized and diluted with 0.5 ml distilled water before analysis. 111 Body size of phytoseiids and pilosity measurements To compare predator sizes and leaf pilosity, 6 possibly cohabiting phytoseiids were studied: Amblyseius andersoni (Chant), E. finlandicus, K. aberrans, N. californicus, Phytoseiulus persimilis Athias-Henriot and T. pyri. The average sizes of 3 types of females (field collected, laboratory reared, but starved for > 2 d) were examined. We measured length and width (in mm; precision ± 4 µm) of the idiosoma (longer than dorsal shield) with a phase-contrast microscope and micrometer at 200X magnification. Females were collected alive, and then deposited in distilled water (at 4°C) in the cavity of a microscope slide. Measurements are made just after female deposition to avoid uptake of water. Thirty females of each treatment were measured. Confidence ellipses for mean sizes (α = 0.05) allowed for a graphic comparison of species (Sokal and Rohlf, 1981). Also, between-hair distances of leaves of 3 trees (on which life stage distributions were measured) were taken. On C. australis, between hair distances was measured on 3 places on each of 100 leaves that were randomly collected on 4 trees. Places were near a secondary vein, near a small terminal vein and a random position on the open leaf. On U. procera and T. platyphyllos, no hairs are present on open leaf areas so pilosity was measured on a small terminal vein and on a secondary vein. Pilosity data were submitted to ANOVA and a Duncan’s mean comparisons (α = 0.05). 7.3.2. Results and Discussion Correlations between plant types, leaf structures and pollen capture Trichome (F = 67.42; df = 19, 160; P ≤ 0.0001), domatia (F = 91.25; df = 19, 160; P ≤ 0.0001), and pollen (F = 5.54; df = 19, 160; P ≤ 0.0001) densities per leaf differed among the 20 plant species studied (Tab. 9). C. australis, Q. pubescens, and Ulmus sp. had high levels for all 3 plant variables. Rubus sp., E. characias, Prunus spinosa L. and T. arvensis had high trichome densities and Lonicera sp., and Ulmus sp. had many domatia. Domatia were observed on 9 plant species; Chi2 tests showed that the domatia ratings differed among these plants (F = 341.27; df = 8, 15; P = 0.0001; Tab. 9). C. australis, Ulmus sp., P. spinosa, Lonicera sp., Clematis vitalba L. and Q. pubescens had the highest domatia rating. The number of phytoseiids (all life stages) per cm2 (r2 = 0.74; F = 4.33; df = 7, 12; P = 0.012) and their frequency on plants (r2 = 0.70; F = 4.04; df=7, 12; P = 0.016) were correlated with trichome density. However, no significant correlation was found between densities of phytoseiid mites and number of domatia (r2 = 0.04; F = 0.79; df = 7, 12; P = 0.38) and pollen densities (r2 = 0.09; F = 1.86; df = 7, 12; P = 0.19). No significant correlation was found between any leaf parameter and either percent of K. aberrans per plant (r2 = 0.39; F = 0.52; df = 7, 12; P = 0.65) or total phytoseiid species per plant (r2 = 0.28; F = 1.52; df = 7, 12; P = 0.84). 112 113 N. of domatia (SV*) 0 0 12 26 10 7 0 6 12 6 5 10 0 0 0 0 0 0 0 0 * SV: leaf secondary vein Mean density of Mean density of trichomes/cm2 pollen/cm2 7000 ABCDEF 10 ABCDE 6292 ABCDEF 7.4 ABCDE 5388 ABCDEF 43 ABCDE 2997 ABCDEF 26 ABCDE 2530 ABCDEF 23 ABCDE 1637 ABCDEF 46 ABCDE 1463 ABCDEF 31 ABCDE 340 ABCDEF 18 ABCDE 337 ABCDEF 13 ABCDE 98 ABCDEF 9 ABCDE 34 ABCDEF 20 ABCDE 17 ABCDEF 11 ABCDE 0 ABCDEF 2.19 ABCDE 0 ABCDEF 1.67 ABCDE 0 ABCDEF 1.12 ABCDE 0 ABCDEF 2.46 ABCDE 0 ABCDEF 1.83 ABCDE 0 ABCDEF 0 ABCDE 0 ABCDEF 0 ABCDE 0 ABCDEF 0 ABCDE Different letters indicate significant differences Rubus sp. Euphorbia characias L. Quercus pubescens Willdenow Ulmus sp. Prunus spinosa L. Celtis australis L. Torilis arvensis (Hudson) Cornus sp. Lonicera sp. Crataegus monogyna Jacquin Clematis vitalba L. Clematis flammula L. Osyris alba L. Rubia peregrina L. Phillyrea angustifolia L. Fraxinus sp. Saponaria officinalis L. Arum sp. Lactuca serriola L. Arundo donax L. Mite density / cm2 0.036 0.05 0.026 0.018 0.004 0.039 0.007 0.021 0.032 0.0026 0.0013 0.003 0.03 0.017 0 0.0001 0 0 0 0 Total number of domatia 0 ABCDEFG 0 ABCDEFG 12 ABCDEFG 37 ABCDEFG 10 ABCDEFG 14 ABCDEFG 0 ABCDEFG 6 ABCDEFG 21 ABCDEFG 6 ABCDEFG 7 ABCDEFG 10 ABCDEFG 0 ABCDEFG 0 ABCDEFG 0 ABCDEFG 0 ABCDEFG 0 ABCDEFG 0 ABCDEFG 0 ABCDEFG 0 ABCDEFG * MV: leaf main vein N. of domatia (MV*) 0 0 0 11 0 7 0 0 9 0 2 0 0 0 0 0 0 0 0 0 Mean rating of domatia 0 0 2.88 2.49 2.51 2.63 0 1.38 0.48 1.36 0.82 0.65 0 0 0 0 0 0 0 0 Leaf area (cm2 ) 08.73 05.47 19.63 09.87 13.30 15.03 04.68 14.00 22.10 06.30 11.40 03.35 00.66 01.56 04.30 04.52 06.44 107.00 62.00 50.00 Table 9 - Leaf characteristics of 20 plants from woody margin near a vineyard (Pouzolles, Hérault, France) and mean comparison groups (Duncan). Figure 1 - Localisation of the region Languedoc-Roussillon and of the three localities with experimental vineyards. 1: Restinclières; 2: Pouzolles; 3: Alaigne. Pollen density was significantly correlated with numbers of domatia (r2 = 0.65; F = 7.95; df = 7, 12; P = 0.0042). Number of domatia on the main leaf vein was correlated with number of domatia on secondary veins (r2 = 0.99; F = 1358; df = 7, 12; P = 0.00001). Excluding Rubus sp. and E. characias, significant correlation between pollen and trichome densities (r2 = 0.78; F = 6.72; df = 6, 11; P = 0.033) occurred. These 2 plants were excluded from further analyses because, while they had high trichome densities, little if any pollen was present on their surfaces. Results of decision tree analysis show that abundance of phytoseiids on 20 plants was more related to the trichome densities, than to domatia rating. Neither plant diversity nor percent K. aberrans were explained by any of the parameters studied. While the pilosity-K. aberrans relationship was known, our study reports more about effects of trichome and domatia densities and domatia structure. Higher trichome and domatia densities were correlated with higher predator densities. Trichome spacing of 170-180 mm may allow active movement of K. aberrans inbetween limb pilosity while excluding larger predators. Domatia ratings that reflect domatia complexity also seem to affect densities of K. aberrans. Such leaf structures may allow habitat partitioning and more phytoseiid species to provide pest regulation at lower densities than single species (Croft and Slone, 1998). Life stage distributions Densities of adult female K. aberrans on C. australis from Montpellier were high in spring, usually increased in Apr.-June, decreased in summer, and again showed a limited increase in Sept. (fig. 2a). A relatively short egg production period began in late April in 1991 and 1993 and early May in 1992. Immature density patterns were similar to those of the adult females except for the late increases in the growing season. These patterns of density were not correlated to any prey mites found and in many cases no prey mites were found. A bud eriophyid 114 mite, Aceria bezzi (Corti) was found in April, but only in few buds and on 1 tree. Maximum oviposition concurred with maximum pollen densities of C. australis. On T. platyphyllos, K. aberrans had similar trends as on C. australis (fig. 2b), but adult female densities were higher in early season and egg levels were 1/2 of those on C. australis. When E. tiliarium preys were present (fig. 2c), an increase of the predator occurred but the numerical response of K. aberrans was insufficient to keep the spider mite at low densities (fig. 2c). Temporal trends in life stages of E. finlandicus were different than for K. aberrans (fig. 3a); on T. vulgaris, 2 peaks occurred - in July and in Oct. Egg production occurred from May through to Oct. These peaks closely followed those of the spider mite, E. tiliarium (fig. 3b). Phytoseiids attain stable stage distributions on plants with favourable types and amounts of foods. A lack of a stable stage distribution after some period of colonization indicates either that requisites are lacking or that mortality from predators or other sources are keeping immature mites from developing at normal rates. In spring, we observed many adult females but few immatures. As K. aberrans overwinters as female, we interpreted this to show that K. aberrans was dispersing but not reproducing on the plant. In general, these plants lacked pilose leaves or domatia with hairs. Also, densities of immature mites were directly correlated to leaf pilosity, which often affects pollen retention (see below) and occurrence of oviposition locations (Karban et al., 1995). Another explanation for lack of immatures could be that predators or other mortality agents were reducing immatures on plants. Selective feeding on phytoseiid eggs by stigmaeid mites can cause this effect (Croft and Slone, 1998) but neither stigmaeids nor other predators were observed so we favour the lack of reproduction hypothesis. Pollen on selected plants relative to leaf pilosity Tree species located at a common site and exposed to similar environmental conditions had different pollen densities per unit area (fig. 4a). Leaves of T. vulgaris were large but had a low density of pollen that increased significantly with leaf surface area increases (r2 = 0.38; F = 11.14; df = 1, 18; P < 0.003). The regression slope (3.73) represents an increase of 4 grains/cm2. Most pollen grains appeared to be trapped by domatia. On U. procera, the correlation was similar to T. vulgaris (r2 = 0.34; F = 10.56; df = 1, 20; P < 0.004) but the increase in pollen density was 45.9 grains/cm2. For C. australis, pollen grain density was 83.5 grains/cm2, but there was no correlation between pollen density and leaf surface (r2 = 1.7.10-3; F = 0.016; df = 1, 11; P = 0.89). Over all plants, pollen density was higher on under- than upper-leaf surfaces and the upper-side was always less hairy (fig. 4b). Leaves of C. australis trapped and retained more pollen than U. procera and T. vulgaris; this in part may be because its leaf is held more perpendicular to air flows. However, as between-hair distances on leaves of trees were similar (see below), 2 other factors may 115 Figure 2 - Average numbers of adults immatures and eggs of K. aberrans on Celtis australis (and pollen grains of this plant in the air [average for 1988, 1989, 1990]) (a) and Tilia platyphyllos (b) at Montpellier (France) in 1991 and 1992. Average numbers of eggs and mites of E. tiliarium on T. platyphyllos at Montpellier (France) in 1991 and 1992 (c). 116 Figure 3 - Average numbers of adults immatures and eggs of E. finlandicus (a) and E. tiliarium (b) on Tilia vulgaris at Montpellier (France) in 1992. explain pollen retentions: C. australis leaves, have longer hairs and/or a stickier surface. Indeed, in tests of stickiness, C. australis retained significantly more pollen by 100-150% over smooth leafed C. occidentalis, either when washed or unwashed (tab. 10). However, we did not test effects of leaf hair lengths. Leaf sizes, shapes and veination were similar for these Celtis sp. and only pilosity was different. Nevertheless, for both conditions of washed leaves, pollen density still was higher on hairy than glabrous leaves (respectively, 258 and 53% more). Unwashed leaves, especially live ones from trees, retained pollen better. We demonstrated that pilosity was the most important factor affecting pollen capture/retention, while leaf positioning, leaf surface type, stickiness and domatia types also could be important. Differences in pollen retention could dramatically influence densities of phytoseiids, especially those that primarily feed on pollens 117 Figure 4 - Relationships between: a/ the number of pollen grains of Abietaceae on the leaf under-surface and the leaf area, b/ the number of pollen grains of Abietaceae on the leaf under and upper-surface for three plants: Celtis australis, Tilia vulgaris, Ulmus procera. early before preying on mites increasing to appreciable densities (K. aberrans: Duso et al. 1997, T. pyri: Addison et al. 2000). Uptake of plant fluids K. aberrans from labeled trees had rubidium labeled individuals (0.167 ± 0.104 ng/_) while mites from unlabeled trees did not (0 ng/_). UV light use excluded any labeled microarthropods or any feeding microorganisms as sources of rubidium. While we observed K. aberrans on many occasions with its mouth parts inserted into a leaf, these data more conclusively confirmed that actual fluids were taken up by this behavior. We demonstrated that K. aberrans does take up plant fluids. 118 Table 10 - Abietaceae pollen grains per cm2 on leaves of Celtis australis or C. occidentalis in field (near Montpellier, France) or laboratory experiments. Number and origin of leaves used for experiment 50 alive leaves from field. Collected on trees. Side down 50 alive leaves from field. Collected on trees. Side up Probability and significance 50 dead leaves. Collected on trees. Put in acetone 3 months. Side down 50 dead leaves. Collected on trees. Put in acetone 3 months. Side up Probability and significance 152 alive leaves from field. Collected on trees 50 leaves from field. Collected on trees & dried 50 dead leaves. Collected on trees. Put in acetone 3 months 50 alive leaves from field. Collected on trees 50 dead leaves. Collected on trees. Put in acetone 3 months Type of Experiment Grains (SE) Celtis australis Grains (SE) C. occidentalis Probability & significance – 43.92 9.72 – – – 15.42 1.84 x 10–8 S 2.78 8.80 x 10–7 S – – Lab simulation 16.39 5.52 – Lab simulation – 6.52 6.45 x 10–5 S 3.48 0.1586 NS – – – 8.31 (6.52) 4.15 (3.76) 7.62 x 10–11 S Field. On trees Field. On trees 0.80 (1.01) 0.18 (0.17) 10–4 S 0.93 (0.77) 0.26 (0.26) 10–4 S Lab simulation 4.47 (6.98) 1.80 (2.26) 0.0126 S Lab simulation 1.06 (0.70) 0.69 (0.81) 0.014 S We have not observed this species to ingest water from open sources like many other phytoseiids do and it continues in this uptake of fluids even if tetranychid or other mite preys are abundant. Just what benefit is obtained from plant fluids is unclear. Pollen is a dehydrated food and so pollen feeding may require water. Such uptake could confer considerable plant specificity to K. aberrans and it seems to be a limiting factor in rearing this mite on substrates other than leaves (S. Kreiter, unpublished data; Schausberger and Croft 1999). Body size of phytoseiids and pilosity measurements Between-hair distances were not significantly different (F = 1.39, df = 2, 819; P = 0.251) for U. minor (188 ± 58 µm), C. australis (172 ± 67 µm) and T. platyphyllos (165 ± 48 µm). Distributions were normal and coefficients of variation 30- 35 % so data were converted to a common line (Scherrer 1984) of 173±60 mm (confidence limit: 169-177; a = 0.05; n = 822) for comparisons with phytoseiid sizes (fig. 5). Confidence ellipses (a = 0.05) of length and width of 6 phytoseiids also were calculated (fig. 5). K. aberrans was the smallest of the 6 mites and 1 of 3 for which width was less than between-hair distance (even for fed and gravid females). The 2 other small species were N. tiliarum, which lives on glabrous leaves but in closed hairy domatia and T. pyri that also seems to prefer hairy leaves (Duso, 1992; Duso et al., 1993). By direct measurements of between-hair distances and phytoseiid widths and lengths, we showed significant differences among species that might 119 Figure 5 - Mean between hair distances on Celtis australis, Ulmus procera and Tilia platyphyllos leaf undersurface and size (lenght and width) distribution of 6 phytoseiid mite species. influence movements through leaf hairs. As noted, we observed that it is easier for K. aberrans to move through leaf hairs than it is for a large phytoseiid like E. finlandicus (Schausberger, 1992). Energy costs of walking on hairy leaves for a large species may be excessively high. Behavioural studies with competing species and different pilosity and pollen levels would be helpful in testing this hypothesis directly. 7.3.3. Conclusion: some possible factors that affect phytoseiid mite densities and diversity in the surroundings and further studies needed Plants in providing substrates, liquid and pollen foods, and their pilosity and domatia either for pollen trapping or protection from larger predators affect phytoseiid mites, especially the generalist feeding species (Karban et al., 1995, Walter 1996, McMurtry & Croft 1997). For K. aberrans, these effects may act complex ways. Finally, while we have shed light on several aspects of plant-phytoseiid interactions, we have not been able to test many of these aspects directly. Most of our 120 conclusions are based on correlation or inferences from field-derived data. Such types of data are useful in early stages of research to indicate general relationships and to identify hypotheses. What are needed are laboratory tests in simplified systems where variables can be controlled and single factor relationships evaluated. For example, by observing behaviour of K. aberrans and E. finlandicus when put together on overlapping smooth and a hairy leaf of Celtis and by manipulating pollen levels, one could test innate leaf preferences, attractions to pollens and inter-specific interactions. One challenge would be to maintain a plant physiology that is favourable to both phytoseiids. K. aberrans seems to require a plant with its turgor intact and a detached leaf soon looses turgor to the extent that K. aberrans stops feeding and laying eggs. Presumably, this is because it lacks plant fluids. While these constraints pose problems, they are not insurmountable. Such studies will help elucidate plant relationships for generalist-feeding phytoseiids that seem more complex than for specialist-feeding phytoseiids (Grafton-Cardwell and Ouyang, 1996; O’Dowd and Willson, 1991; McMurtry and Croft 1997). 7.4. PHYTOSEIID MITE DISPERSAL After studies concerning the potential in phytoseiid mites of the surrounding vegetation of vineyard and the exploration of some factors affecting densities and diversity, the second step is to quantify colonization process. The aim of this part of the study was to answer to the following questions: Are phytoseiid mites disperse into cultivated plots? Where do migrants come from? What is the magnitude of the dispersal flow? How does it vary over time? What factors influence dispersal? Which species are prone to disperse? 7.4.1. Material and methods Sixteen ground traps/ha were used to characterize ambulatory dispersal and sixteen aerial traps/ha were used to study airborne dispersal. The grape fields where the experiments took place were in Pouzolles (Hérault. They have been already mentionned in the first part of this paper. Drugget strips (20x5 cm) imbibed with pine pollen not odour attractant (Auger & Kreiter unpublished data), used as ground traps, were placed in open-sided boxes (25x10 cm) to protect them from rain, so that ambulatory dispersal of the mites could be the only explanation for their presence in the trap. Drugget is a coarsely woven felt cloth that acts as a shelter for phytoseiid mites, which remain within the trap. The drugget strips were replaced each week, and the old ones placed in Berlese-Tullgren funnels for a week in order to extract phytoseiid mites. For the study of aerial dispersal, an experimental device similar to that 121 used by Fauvel and Cotton (1981) was chosen. Aerial traps were made with funnels (31 cm in diameter) filled with water and a wetting agent (Teepol®, Le Blanc Mesnil, France). They were glued (The Tanglefoot® Company, Grand Rapids, USA) to supports and placed about 50 cm above the vines, at about 2 m from ground level. This limited or nullified the possibility of trapping phytoseiid mites originating from the vine stocks of the experimental plot. Each week, the contents of the funnels were filtered through a 100 µm sieve. The phytoseiid mites were then identified after clearing and mounting in the laboratory. Data concerning the mites trapped in the funnels throughout the season were analyzed using an analysis of variance followed by a Newman & Keuls means comparison test (Sokal and Rohlf, 1981). The influence of the wind was studied. Wind data were provided by the French meteorological office located 15 km from the grape fields. Winds from the N-NW and S-SE are the strongest and the most frequent, the former considered as the prevailing winds in the Languedoc. A dispersal index (DI) linking the number of migrants (by air) and the main explanatory factors: wind data and phytoseiid mites richness of the surrounding environment, was proposed and used. This index supposes that wind dispersal is a random dispersal. Velocity and the frequency of the two directions mentioned above over one week were chosen as wind parameters. WR was included in the equation for assessing mite reservoir. The evolution of phytoseiid mite populations was arbitrarily considered to be linear between the two sampling dates. The DI proposed is necessarily theoretical, as it takes into account of only one providing area and a hypothetical increasing of phytoseiid mite numbers (DI = number of days of wind from S-SE or N-NW x weekly mean velocity of wind from this direction x richness of woody area in phytoseiid mites/leaf). 7.4.2. Results Dispersal into plots Predaceous mites were caught in aerial and soil traps, but many more were trapped in the former (tab. 11). Most of the mites were captured in grape field 1 (tab. 11). K. aberrans occurred the most often in the aerial traps of this plot. A greater number of species was trapped in grape field 2, where K. aberrans represented only 66% (tab. 11). Sex ratios for phytoseiid mites captured in grape fields 1 and 2 were similar (tab. 11) and were not significantly different from that of the populations present in the three surrounding environment (χ2 test, α = 0.05). A significant number of immatures were captured in the funnels (35 %) (tab. 11). The number of mites captured over time (Figs. 6, 7) increased regularly from 21-V in grape field 1 and from 18-VI in grape field 2, reaching a maximum number in early July (09-VII in grape field 1 and 02-VII in grape field 2). Some phytoseiid mites were trapped as late as 30-X. The DI for the prevailing winds (N-NW) appeared to be 122 Table 11 - Number and percentage of phytoseiid mites trapped in aerial and soil traps in the grape fields; sex-ratio and trapped immatures during 1996 experiment (April until October). GRAPE FIELD 1 Aerial soil Number of captured phytoseiid mites per trap Kampimodromus aberrans Typhlodromus (T.) pyri * Typhlodromus (T.) phialatus * Typhlodromus (A.) intercalaris * Paraseiulus soleiger * Typhloseiulus simplex Neoseiulus aurescens Neoseiulus californicus Proprioseiopsis messor Typhlodromus (A.) commenticius * Neoseiulus bicaudus Typhlodromus (Anthoseius) recki * Sex-ratio (female / male) Immature forms GRAPE FIELD 2 Aerial soil 18.2 0.96 5 0.75 87 % 1% 6% 6% trapped 66 % 4% 18% 2% 2% 4% 2% 2% trapped trapped trapped 67.5 / 32.5 35 % trapped trapped 71 / 29 1% trapped trapped 71 / 29 35 % trapped 65 / 35 0% * after Chant & McMurtry (1994) Figure 6 - Correlations between total number of phytoseiid mites trapped and DI for NNW and S-SE directions in grape field 1: r2 (N-NW) = 0.81, r2 (S-SE) = 0.04. significantly correlated to the numbers of phytoseiid mites trapped each week in grape field 1 (fig. 6). In grape field 2 the correlation index was lower (fig. 7). There was no significant correlation in the case of the South-East wind, which is rather rare in the region. There was considerable variation in the number of mites trapped in the 123 Figure 7 - Correlations between total number of phytoseiid mites trapped and DI for NNW and S-SE directions in grape field 2: r2 (N-NW) = 0.48, r2 (S-SE) = 0.02. Pouzolles, France. funnels within the same grape field. The details of the results were only given for grape field 1 because of the greatest numbers of mites (tab. 11) trapped in this field. Two significantly different groups of traps are identified using the Newman and Keuls test (fig. 8). The funnels located in the center of the field have the lower numbers of trapped mites, while the funnels located near the border of the woody area (West) and near the adjacent vine plot (East) have the higher numbers of trapped mites. The first phytoseiid mites trapped were also found in the funnels located near the woody area. Phytoseiid mites were trapped next in the funnels located in the Eastern part of the field near the adjacent vine plot, and only later in the central part of the grape field. There was an apparent relation between the location of the funnels and their closeness to estimated pool areas, and the time lag between the first trappings. K. aberrans was trapped in all funnels in grape field 1, whereas T. pyri, T. phialatus and T. intercalaris occurred in the funnels located near woody areas. T. phialatus was also present in the traps located along the vine plot adjacent to the field on the East. The first soil trappings took place at approximately the same time in fields 1 and 2. The variation of trappings over time was very irregular (fig. 9). The species found in the soil traps usually differed from those found in the aerial traps. Only T. intercalaris, K. aberrans and T. pyri were trapped in both soil and aerial traps (tab. 11). The sex-ratio of the mites found in these traps was not significantly different (χ2 test, α =5 %) from 124 Figure 8 - Number of phytoseiid mites trapped between 13-V and 01-X and location in grape field 1. Pouzolles, France. Figure 9 - Phytoseiid mites trapped in soil traps of experimental grape fields 1 and 2 between 13-V and 30-X. the sex-ratios of mites trapped in funnels and populations present in the surrounding environment. The number of immatures found in these traps remained very low (tab. 11). 125 The populations of phytoseiid mites within the grape fields Phytoseiid mites were observed in the two grape fields but the largest populations were observed in grape field 1. The populations increased early in the season until 18-VI. Then the numbers dropped most certainly due to the application of several fungicides to control downy and powdery mildew, and of an acaricide to control the swarms of E. carpini which were very prevalent in 1996 (fig. 10). Until the application of the fungicides, population development and the number of phytoseiid mites trapped showed a relatively identical increase, although this phenomenon was less clear as concerned the numbers trapped in the soil. K. aberrans accounted for 99% of the phytoseiid mites found in field 1, and 88% of those found in field 2. T. phialatus (9%) occurred relatively significantly in this latter field. A test of χ2 (α = 5 %) showed that the sex-ratio of the phytoseiid mites present in the experimental grape fields was not significantly different from that of the mites present in the surrounding environment or from that of trapped phytoseiid mites (in both aerial and soil traps). According to populations found on fallen leaves in the plots, eight K. aberrans individuals were observed on oak leaves in the sector of the field bordering the woody area of the grape field 1. One K. aberrans individual was also found in the center section of field 2, not on a vine leaf. 7.4.3. Discussion Phytoseiid mite dispersal Several species of phytoseiid mites are liable to disperse in an aerial and/or ambulatory manner. These results comply with previous observations on other phytoseiid mite species in the laboratory (Sabelis and Dicke, 1985) and in the field (Hoy et al., 1984, 1985). Furthermore, aerial dispersal occurs to a greater extent than ambulatory dispersal. This may be due to a better capacity for phytoseiid mites to disperse by air, but it can also be linked to the presence of few phytoseiid mites in the soil and/or an insufficient number of soil traps which, moreover, presented smaller surfaces than the aerial traps. Dead fallen leaves could also transport phytoseiid mites, but this dispersal mode appeared relatively insignificant. The numbers of dispersed mites and the numbers of those observed in the cropped fields increased together. This cannot be ascertained that dispersing phytoseiid mites colonized the fields. These observations could reflect an identical natural population increase both inside the fields and in the reservoir areas, with consequences on the numbers found in the traps. The species trapped at the ground level were generally not the same as those trapped in the air. Some species appear to disperse only by ambulatory displacement, others only by aerial dispersal. The species trapped in the drugget strips were soil or herbaceous stratum species 126 Figure 10 - Number of phytoseiid mites sampled in the three experimental grape fields between 02-V and 01-X. (Moraes et al., 1986). Those trapped in the funnels seemed to be tree inhabitants (Moraes et al., 1986) and therefore more likely to be carried by air currents. However, T. intercalaris, K. aberrans and T. pyri were trapped in aerial and soil traps. These species after an aerial dispersal would walk in order to reach a new plant. Among the eight species trapped, K. aberrans was the most abundant. Some data (Kreiter et al., unpublished data) has revealed this species as having a low rate of dispersal. An environment particularly rich in K. aberrans would send its excess population dispersing to poorer environments (Source-Pool Theory). It was not possible in the framework of our experiment to specify the portion of a given phytoseiid mites population that dispersed, nor to conclude on the dispersal capacity of the different species trapped. The numbers of K. aberrans trapped, could represent only a very small proportion of the populations present in the “sources”. The sex-ratio of the species found in soil and aerial traps shows that males and females have similar dispersal properties in the air and on land. The same types of results concerning aerial dispersion of Neoseiulus fallacis (Garman) (Johnson and Croft, 1979) and Galendromus occidentalis (Nesbitt) (Hoy et al., 1984, 1985) were obtained. However, most of the literature to date presents the female, particularly gravid female, as being the most dispersing. Gravid females would be solely responsible for ensuring the development of a colony, and therefore population expansion and survival in the face of unsuitable environmental conditions (Sabelis and Dicke, 1985). The fact that those results were obtained in the 127 laboratory and concerned species of phytoseiid mites other than those trapped in our experiment might explain these differences. Equally, a considerable number of immatures were found in the aerial traps. Dispersion at these stages was shown in N. fallacis by Johnson and Croft (1979) and in Phytoseiulus persimilis Athias-Henriot by Van de Vrie and Price (1995). However, some tests mostly carried out in laboratory conditions for other species of phytoseiid mites do not lead to the same conclusions. Immatures seem, however, little inclined to ambulatory dispersal. Perhaps this means of locomotion requires too much energy for these stages, which would tend to adopt aerial transport as less taxing and “more passive”. The repartition of soil and aerial captures would support the fact that phytoseiid mites would come from the woody areas. The heterogenous repartition of aerial captures leads to the hypothesis that the phytoseiid mites did not come from very far away. Phytoseiid mite species were trapped at 30 m from the “source” areas in grape field 1 and at 90 m in field 2. Aerial movement might be adopted for long distance dispersal, whereas ambulatory dispersal would be better adapted to shorter displacements. However, T. intercalaris was twice found in soil traps far (60 m) from areas rich in this species. This might be a case of particularly long distance ambulatory dispersal. A combination of the two dispersal modes, aerial to start out, and then ambulatory, would seem to be the most probable hypothesis. But, even in this case, the distances covered in aerial dispersal varied according to the species. K. aberrans was observed to disperse the farthest, whereas T. pyri and T. intercalaris were found mostly in traps located near the border of the woody area. This would confirm observations that T. pyri only disperses over short distances (12 m) (Dunley and Croft, 1990, 1992). T. phialatus was also found mostly in the traps bordering the woody area, but equally in traps very far from this area. This could indicate the existence of other source areas or strong dispersal capacity in this species. The dispersal characteristics of the various species observed in the funnels was not studied in depth. Previous research has been carried out on the dispersal of G. occidentalis (Hoy et al., 1984, 1985) and N. fallacis (Johnson and Croft, 1979). G. occidentalis disperses easily and has been observed to cover distances of 800 m by aerial movement. N. fallacis travels less dispersing aerially up to 70 m. K. aberrans seems to have dispersal characteristics similar to this latter species. Types of dispersal According to the correlation found between DI of the prevailing winds and numbers of mites trapped, wind seems to be the vector of aerial dispersal of the phytoseiid mites and particulary of K. aberrans. Wind plays an important role, but other means of displacement, such as phoresy, cannot be excluded. These dispersal movements have been 128 observed rarely. It concerns only some phytoseiid mite species, notably specimens identified as K. aberrans (Krantz, 1973; Sabelis and Dicke, 1985) transported by the hazel tree aphid Myzocallis coryli (Goeze). The experimental technique of our study did not enable us to conclude whether the mites colonized directly by air or by phoresy. It is possible that each species needs different wind intensities to disperse, depending on their morphological, physiological and behavioral characteristics. Winds of 3.6 km / hr are enough for carrying P. persimilis (Sabelis and Afman, 1994). Johnson and Croft (1976) showed that maximum dispersal rates of N. fallacis were observed for winds varying from 10 to 22 km/h. In our study, the velocities of the N-NW winds, varying from 14 to 31 km/h, made it possible for the species trapped to disperse, particularly K. aberrans. Comparison with P. persimilis is hazardous, since this is a more competitive specific predator (McMurtry and Croft, 1997) and certainly more enable to disperse. K. aberrans appears to disperse with relatively low wind velocities, even a bare trembling of leaves sufficing to send it flying. Wind is only the vector of the dispersal. One may ask: if dispersals are random, submitted to no regulation by internal and/or external factors, or if predatory mites develop behavior which favours dispersal, rendering their movements more active? Indeed, it appears that some phytoseiid mites show particular behaviors that induce their dispersal such as a standing posture (Johnson and Croft, 1976) or a walking behavior near the edge of leaves (Sabelis and Dicke, 1985; Hoy et al., 1984, 1985; Mueller and Hoy, 1987; Berry and Holtzer, 1990). In other experiments, it would be interesting to study these behaviours for K. aberrans. Furthermore, this active behavior might be triggered by biotic or abiotic signals such as perception of air currents (Johnson and Croft, 1976), temperature (Berry and Holtzer, 1990), leaf senescence, prey availability, predator density and starvation. In the same way, further researchs dealing with kairomone or intraspecific chemical messenger’s involvement, should be considered. 7.4.4. Conclusion We observe the dispersal of some phytoseiid mite species. Colonization of grape fields seemed to be ensured mainly by aerial dispersal of K. aberrans from areas of dense, deep and tall vegetation. However, great densities were observed to disperse only in low distance ranges. The fact that dispersal occurred regardless of sex or stages constitutes another new element in phytoseiid mite dispersal. The dispersal rate of K. aberrans was shown to depend on the characteristics of “source” area structure and plant composition as well as on the impact of the prevailing winds in the region. 129 7.5. RELATONSHIPS BETWEEN K. ABERRANS POPULATIONS IN VINEYARDS AND UNCULTIVATED AREAS The previous results showed that K. aberrans dispersed into vine plot in high densities mainly by aerial means (Tixier et al., 1998, 2000b). However, the source plants of the immigrant mites and the settlement of migrants were uncertain. In this study, we seek to characterise the genetic similarities (Random Amplified Polymorphism DNA) of the populations living in vine fields and in the surrounding uncultivated environment. The RAPD markers were chosen because they do not require any knowledge about genome and usually provide high polymorphism (Loxdale and Lushai, 1998). Our main hypothesis was that molecular patterns of mites living in different parts of the experimental vineyard would reflect molecular patterns of mites living in surrounding areas. 7.5.1. Material and methods Experimental plot was the grape field 1 mentionned in the previous parts. Mite sampling Initially, the objective was to compare RAPD patterns of aerial immigrants coming into the experimental vineyards. However, use of DNA from dead mites captured in aerial traps was not possible and no live mites were caught using alternative live trapping methods (Tixier, 2000). Thus, we compared RAPD patterns of resident mites in the experimental vineyard to those of mites collected in surrounding areas. Live females of K. aberrans were collected from leaves using a stereoscopic microscope. Females collected were held with no food on a plastic disk bordered by wet tissue paper for at least one day, to prevent the amplification of ingested prey DNA and to permit oviposition. Thereafter, each mite was frozen at –30°C in a 200 µl sterile tube. Samples were taken in early May and late July, before and after most phytoseiid immigration into the experimental plot had occurred (Tixier et al., 1998, 2000b). K. aberrans over-winters as gravid females and mites collected in May belong to the first generation. By July, at least two extra generations will have occurred. Molecular protocols Extraction. A mite was crushed in a 40 µl of a 5% Chelex® 100 resin solution (Biorad) (Walsh et al., 1991) in a sterile tube. Tubes were vortexed at high speed for 10 s, and immediately placed in ice. They were then incubated at 56°C for 15 min, and heated to 100°C for 4 min to extract the DNA. DNA solutions were then centrifuged at 12 000 rpm for 5 minutes and stored at –30°C. Amplification. Amplification was performed in a 25 µl volume 130 containing 200 mM Tris-HCl (pH = 8.4), 500 mM KCl, 0.5 U of Taq DNA polymerase (Gibco-BRL), 15 ng of one primer, 0.1% Triton X-100, 0.1 mM of each DNTP, 25 mM of MgCl2 and 6 µl of the total DNA extract of one mite. Amplification was further conducted in a Hot Bonnet PTC-100 (Mj Research, Inc.) thermal reactor programmed as 5 min at 94°C, 45 s at 36°C and 2 min at 72°C for an initial cycle; 50 s at 94°C, 45 s at 36 °C, and 2 min at 72°C for 43 cycles; and 50 s at 94°C, 45 s at 36°C and 10 min at 72°C for a terminal cycle. A control with no DNA was used in each amplification test. Gel electrophoresis. Amplification products were separated electrophoretically on Tris-Borate EDTA agarose 1.5% gels for 4 hours at 85 V. DNA was stained with ethidium bromide (0.1 µg / µl) and bands visualised at UV fluorescence (312 nm). A molecular weight marker (36 - 2645 bp) was run on each gel to make it easier to compare patterns among gels. Precautions were used to prevent contamination of experiments with previously amplified DNA. Pre- and postamplification procedures were geographically separated, and extraction occurred under sterile conditions. Primer screening. A pre-test was performed to select the most polymorphic primers and markers. Four populations, 10 females each collected from sites V1, V2 (the two neighbouring vineyards), Q. pubescens 1, and C. australis 1 (both in the woody margin) were used. Scored markers were identified as bands that were polymorphic (frequency between 5 and 95%) between populations (Edwards & Hoy, 1993) and showing low variability between mites of the same population. Scored markers were stained, between 240 and 2300 pb in size, and reproductive. From the 20, 10-mer primers of arbitrary sequences that were tested, 7 were retained and 26 markers were selected. Fragment repeatability was evaluated by amplifying DNA of each individual twice per primer; 3 individuals were used per primer. Data analysis. We assumed that markers of the same size and appearance from different mite populations were homologous. Each band of a mite was scored as 1 if present or 0 if absent. The fraction of bands matching between mites (M) was calculated by M = 2Nab/Nt where Nab is the total number of matches (i.e. both bands absent or both bands present) in individuals a and b, and Nt is the total number of fragments scored. A value of 1 indicates that two individuals have identical patterns; a value of 0 indicates that two individuals have completely different patterns. The simple matching distance (1-M) was calculated with RAPDPLOT program (Kambhampati et al., 1992; Black 1995). We bootstrapped the RAPD presence/absence data for every individual by performing 200 re-samples of 13 of the 26 RAPD loci. We bootstrapped the RAPD presence/absence data for each population by performing 2000 re-samples of 13 of the 26 RAPD loci (Njbs® software, Cornuet pers. comm.). Neighbour-Joining cluster analysis was performed (Njbs®, Cornuet pers. comm.). 131 Multifactorial analysis also was performed with presence/absence data for each mite (Statistica®, 1998) to determine how close the tested populations were. 7.5.2. Results May sample Mean genetic distances ranged between 0.29 and 0.42 for mites from the same-source (tab. 12), indicating that some females had little similarity to others within a field location or host plant. Mean genetic distances ranged from 0.37 to 0.57 for mites collected in different areas. The dendrogram and the multifactorial analysis show some differentiation between populations even if the low percentage of the value indicates that some branches are not very reliable. RAPD patterns of females sampled on woody margin plants seem to be similar (tab. 12, fig.11). Close similarity existed between females from Q. pubescens 2 and Ulmus sp. but females from Ulmus sp. differed from those of C. australis and Q. pubescens 1. Indeed, Ulmus sp. and Q. pubescens 2 were spatially close and some branches crossed, whereas Ulmus sp. and either C. australis or Q. pubescens 1 were more distant (20 meters). RAPD patterns of females from surrounding vineyards V1 and V2 were Table 12 - Mean genetic distance matrix (simple matching) for populations of Kampimodromus aberrans collected in May 1998 in the experimental vine field, in two neighbouring vine crops (V1 & V2) and from plants of the woody margin. Celtis Quercus australis 1 Number of females Celtis australis Quercus pubescens 1 Quercus pubescens 2 Ulmus sp. V1 V2 Quercus 2 Ulmus sp. V1 V2 P1 P7 P13 16 19 19 19 10 10 20 19 19 0.32* (0.07-0.58) 0.40 0.43 0.47 0.49 0.47 0.44 0.40 0.42 0.38* (0.05-0.70) 0.43 0.46 0.49 0.43 0.51 0.46 0.49 0.33* (0.03-0.65) 0.39 0.48 0.44 0.48 0.46 0.48 0.37* (0.03-0.69) 0.45 = 0.42* (0.15-0.65) 0.43 0.44 0.46 0.48 0.37 0.46 0.47 0.52 0.29* (0.07-0.54) 0.40 0.49 0.57 0.35* (0.07-0.65) 0.38 0.39 0.35* (0.07-0.65) 0.37 P1 P7 P13 * mean genetic distance within populations (minimum – maximum) 132 0.30* (0.04-0.58) Figure 11 - Representation in the plan 1-2 of the multifactorial analysis of the females of Kampimodromus aberrans sampled in the experimental vine plot and the neighbouring environment (woody margin and vineyards) (a) in May 1998, (b) in July 1998. also close (tab. 12, fig. 11), possibly because both were subject to similar management practices (same horticulture and pesticides). However, they differed from the RAPD patterns of mites collected in the three experimental vineyard sites (P1, P7 and P13). Mites in P1 differed for example from mites collected in V2 (fig. 11, mean genetic distance = 0.49; tab. 12), even though these two sites were spatially close. Mites from the three experimental vineyard sites had similar RAPD patterns but differed from those of females from more natural habitats, irrespective of geographic distance (tab. 12, fig. 11). This result was surprising for both P1 (stated above) and for mites 133 collected in P13, which was close to the woody margin and received many migrants from this uncultivated area (Tixier et al., 1998, 2000b). July sample As in May, within population genetic distances were smaller than between population genetic distances (tab. 13). Within genetic distances was ranged from 0.15 for mites from Q. pubescens to 0.33 for mites from P13 (tab. 13). However in July, these distances were smaller than in May. As in May, some females at a site differed greatly from others. Three groupings were observed between the populations, supported by higher values of bootstraps than in May: 1) Females from V1 and V2 (Carignan) had similar RAPD patterns (1-M = 0.27) (tab. 13, fig. 11,) but differed from females from other sites, except for V2 vs. Q. pubescens 1 (only a few mites of V2 shared high similarities with a few mites of Q. pubescens 1), 2) Females from the three experimental vineyard (CabernetSauvignon) sites had similar RAPD patterns (1-M = 0.34; tab. 13, fig. 11), but also differed from those of other populations, 3) Females on Q. pubescens 1 and C. australis 2 in the woody margin had similar RAPD patterns (1-M = 0.24) (tab. 13, fig. 11) and differed from other populations. 7.5.3. Discussion On both sample dates differentiated sub-populations of K. aberrans occurred at each site. Overwintering founder effects might explain the Table 13 - Mean genetic distance matrix (simple matching) for populations of Kampimodromus aberrans collected in July 1998 in the experimental vine field, in two neighbouring vine crops (V1 & V2) and from plants in the woody margin. Number of females V1 V2 Quercus pubescens 1 Celtis australis V1 V2 Quercus pubescens 1 Celtis australis P13 P7 16 0.21* (0-0.46) 16 0.27 19 0.36 19 0.40 20 0.41 20 0.42 0.19* (0-0.50) 0.24 0.32 0.36 0.41 0.15* (0.03-0.27) 0.24 0.38 0.46 0.24* (0.03-0.46) 0.36 0.42 0.33* (0.07-0.61) 0.34 P13 P7 * mean genetic distance within populations (minimum – maximum) 134 0.22* (0-0.57) pattern in May. However, this explanation does not support results from July samples, obtained after at least three generations of K. aberrans and just after immigration into the experimental plot. Another explanation may be related to limited dispersal distance or dispersal frequency of K. aberrans (Fauvel and Cotton, 1981; Perrot-Minnot, 1990; Tixier et al., 1998; Jung and Croft, 2001) or to the highly aggregated distribution of this mite (Malison et al., 1995; Tixier et al., 2000b). Females and their sole progeny might live either on isolated leaves, group of leaves or plants (Malison et al., 1995; Tixier et al., 2000b). Comparing RAPD patterns of individuals living on one leaf and on close leaves or plants would permit us to determine the level of similarity between these mites according to the remoteness of their habitats. Response variability could have been reduced and populations better defined if females had been reared in the laboratory before testing. However, no methods for laboratory rearing of K. aberrans currently exist, as the close relationships between this mite species and its host plant prevents culturing this species on the plastic disks used for other phytoseiid mites (Kreiter et al., 2002). Furthermore, rearing techniques could introduce selection factors that were unrelated to field conditions. Genetic distances among and between populations were smaller in July than in May. Such genetic homogenisation is common for multivoltine organisms (e.g., De Barro et al., 1995). This loss of diversity may reflect a change of relative abundance of some female patterns, with selection of the same phenotypes in all the populations. Local reproduction (genetic drift) and common selection effects from factors such as pesticideinduced mortality could have contributed to this genetic homogenisation (De Barro et al., 1995). However, despite this homogenisation, we still observed differences between populations even after immigration of many K. aberrans into the experimental vineyard. For both sample dates, three genetic pattern groups could be defined: 1. Females collected in neighbouring vineyards (V1 and V2), 2. Females collected in the experimental vineyard (P1, P7, P13) and 3. Females collected on trees in the woody margin. We expected that molecular typing would allow identification of site origins of K. aberrans; however no strong correlation between genetic and geographic distances were observed (tab. 12). This was especially so for mites collected in parts of the experimental plot near the woody margin (P13). If high numbers of mites dispersed into this plot from overhanging oaks, few similarities in RAPD patterns were seen between mites from P13 and oaks. However, some similarities have been observed between mites from C. australis and mites from P1, P7 and P13. Individuals coming from hairy nettle might settle more readily in experimental vineyard plots than individuals coming from oak trees. An alternative explanation may be that in the previous season, more mites had moved from the experimental vineyard to the small C. australis than to the taller oak trees. Indeed, there often are greater outflows of 135 dispersing phytoseiids from disturbed agriculture to natural plant sites than the reverse (Croft, 1997). These data describing weak relationships between mites from woody margins and nearby vine plots confirmed population density trends observed by Tixier et al. (1998, 2000b). During a three-year study, mite densities in P13 did not increase even though high numbers of phytoseiids dispersed into this sample area. Apparently, all immigrants did not settle and colonise. Colonisation of mites in P13 may have been difficult because of competition with existing predator populations, limited prey or alternative food such as pollen, unfavourable plant development conditions such as poor plant turgor, unsuitable temperatures or water stress, etc. Each of these factors needs systematic study to determine limiting factors for mite settlement in this area. Genetic patterns of mites collected in experimental plots near older vineyards (V1 and V2) differed from those of mites from V1 and V2. In a previous study of dispersal (Tixier et al., 2000b), we did not observe aerial movement of K. aberrans at several meters above the canopy between the experimental plot and V1 or V2. Thus, these differences could be due to low dispersal between V1/V2 and the experimental plot. However because of the significant phytoseiid mite densities in these areas of the experimental vineyard, dispersal may have occurred at a lower canopy level and was not observed in the previous experiment. The results of the current study suggest that little gene flow occurs between experimental and surroundings vineyards. Within-site selection factors might contribute to permit the development of a reduced number of migrant phenotypes. Pesticide (both fungicides and insecticides) applications could, for example, select out different phenotypes in vineyards vs. surrounding uncultivated areas. However, there were large differences in RAPD patterns between females from the experimental plot and nearby vineyards despite their having received similar sprays and horticultural treatments. Therefore, other factors such as microclimatic conditions, leaf structure of plants, etc. might also select for different genotypes. V1 and V2 were of variety Carignan, whereas the experimental vineyard was CabernetSauvignon. As ecological conditions, such as leaf characteristics, could affect phytoseiid mites occurrence and abundance, and also morphometric parameters (i.e. setae length) (Hoying and Croft, 1977; Chant et al., 1978; Abou-Setta et al., 1991; Duso, 1992; Barret, 1994; Duso and Pasqualetto, 1993; Camporese and Duso, 1996, Duso and Vettorazzo, 1999; Kreiter et al., 2002), we can speculate that leaf characteristics of vine variety could select for specific phenotypes of K. aberrans? Several studies have shown the impact of leaf characteristics, especially pilosity, on K. aberrans abundance and development (Daftari, 1979; Barret, 1994; Kreiter et al., 2002). Some studies also show arthropod population differentiation, according to the host-plant. For example, genetic differentiation of populations of an aphid, Sitobion 136 avenae (F.) collected on nearby wheat and cocksfoot, Dactylis glomerata L. (De Barro et al., 1995) has been observed. Populations of a natural enemy, Diaeretiella rapae Mc’Intosh (Hymenoptera, Braconidae), collected on several plants located less than 1 km from each other, were also very different (Vaughn and Antolin, 1998). According to the close relationships between phytoseiid mites, especially K. aberrans, and their host plants (Kreiter et al., 2002), we suggest that population differentiation could be due to plant selection pressure but further experiments have to be conducted to confirm this hypothesis. 7.5.4. Conclusion If females from surrounding areas originally dispersed into the experimental vineyard, then it seems that only mites with specific phenotypes (and genotypes) succeeded in colonising it. Such conclusions are similar to those of Roderick (1992, 1996) considering evolution of phenotypes during post-colonization. This study also suggests that selection limits colonization by dispersants. The RAPD tests confirm results obtained from earlier artificial releases of K. aberrans that show frequent poor establishment of the released mites (Kreiter et al., 1993). These conclusions have implications for biological control of mite pests. They constitute the first step in identifying factors that may contribute to the presence of K. aberrans and more broadly of phytoseiid mites, in a specific location. Further studies are needed to identify factors that affect settlement and colonisation of migrants. For example, pesticides applied to a plot may kill susceptible migrants arriving from untreated areas. Also, plant changes could affect colonisation as has been recorded for N. fallacis and N. californicus (Castagnoli et al., 1999; Lester et al., 2000). Whether these factors are site or grape variety specific remains uncertain and studies are underway investigating both this process and the earlier questions. 7.6. SETTLEMENT OF MIGRANTS If females from surrounding areas originally dispersed into the experimental vineyard, then it seems that only some mites succeed in colonising it. Further studies are needed to identify factors that affect settlement and colonisation of migrants. For example, pesticides applied to a plot may kill susceptible migrants arriving from untreated areas. Also, plant changes could affect colonisation as has been recorded for N. fallacis and N. californicus (Castagnoli et al., 1999; Lester et al., 2000). Whether these factors are site or grape variety specific remains uncertain and studies are underway investigating both this process and the earlier questions. We have concentrated on the pesticide action. 137 7.6.1. Material and methods Rearing of K. aberrans in laboratory conditions was not possible. So, resistance was studied for field populations. In order to limit age influence on sensitivity of mites, great numbers of females have been collected (August 1999). Two populations were tested: 1. Females from an oak in the woody margin, 2. Females from the neighbouring vine 2 (adjacent to the experimental plot). As the numbers of mites in the experimental plot were too low, the resistance of this population has not been studied. Females were also collected on a C. australis tree in Montpellier. These females have never received pesticide application and constitute the susceptible control population. Three insecticide applications were realised by the farmer each year in the experimental plot since 1998. These insecticide applications aimed to control S. titanus populations, a leafhopper vector of a very serious mycoplasma disease “flavescence dorée”. The insecticide used by the farmer is an organophosphate, called quinalphos. This pesticide has a relative toxic effect on Typhlodromus pyri Scheuten and K. aberrans populations (Kreiter et al., 1997) and is one of the less toxic pesticide available to control S. titanus. The recommended concentration in vineyards is 2500 mg / l of active ingredient and the concentration of active ingredient in the commercial formulation is 242 g / l. The volume applied in field is 1l of commercial product per hectare. Different concentrations (at least 4 for each population) were applied on 45 females of K. aberrans / population. Spraying was done with a Potter tower (Potter 1952), and 1,5 ±.0,5 mg/cm2 of pesticide were applied (Kreiter and Sentenac, 1995). A control application (water) was performed for each population. After pesticide application, females were put on Celtis australis L. treated leaf disks and then placed into Munger cells (Munger, 1942) for avoiding the confusion between mortality and repulsive effects. Mortality percentage was evaluated five days after the treatments. These mortality data were adjusted for control mortality using the Abbot relation (Abbot, 1925) and a linear regression was established between this adjusted mortality rate and the log of the pesticide concentrations (Probit-Logit analysis 1993). LC50s were determined using this linear relation and resistance coefficients were calculated. The resistance coefficient is the ratio between the LC50 of the population studied and the LC50 of the susceptible control population. When this coefficient is lower than one, the population is considered as susceptible. On the opposite, when this coefficient is greater than 5 the population is considered as resistant (Croft, 1990). 7.6.2. Results and discussion Females collected in the woody margin (oak) and on vine plot (V2) show high resistance coefficient, both greater than 5, respectively 52 and 313 138 (fig. 12). Slopes of these two regressions are significantly different from the slope of the sensible population (P < 0.05). This study seems to show that the settlement of migrants may be a limiting factor of the colonisation process, confirming the results obtained when releases of K. aberrans were conducted (Kreiter et al., 1993). In order to explain this bad settlement, impact of a pesticide on mites living in vineyards andin uncultivated areas was studied. This work constitutes on of the first experiment conducted to determine the insecticide resistance of K. aberrans populations in laboratory conditions. Pesticide resistance has been observed for the two populations tested including the population collected on oak in the woody margin. So, even if this insecticide has been applied regularly only since 1998, this short period has been sufficient to allow the resistance selection and development. Several pesticide applications per year, on one hand and the pseudoarrhenotoky and the existence of several generations per year on the other hand, could explain this rapid development. This rapid development could explain a better competition of K. aberrans into cultivated areas in comparison with other phytoseiids dispersing in the plot. Figure 12 - Concentration / mortality lines obtained for the populations of Kampimodromus aberrans collected on oak and on vine in Pouzolles and for the susceptible population collected on Celtis australis in Montpellier. 139 Furthermore, it is the first time that pesticide resistance has been observed in populations living in an untreated environment outside cultivated plots. This result is certainly due to indirect effects of pesticide application in the experimental plot. Treatment drift could sufficiently affect neighbouring populations, to select resistant genotypes present in this neighbouring uncultivated area. However, the resistance level is lower than that the level of the populations living in vine plots. What about this resistance results and the settlement of mites coming from the woody margin into the experimental plot? Even if the LC50 of populations collected on vine and on oak are different, high mortality was observed for the two populations treated at the recommended concentration (87 and 70% for females collected on oak and on vine respectively). This toxicity is certainly lower in field conditions and shows that quinalphos application seems not to affect more migrants coming from oak than mites already present in the vine plot. Hence, quinalphos application is probably not the main factor explaining the bad settlement of migrants into the vine plots. However, other pesticides, especially fungicides are also applied and may affect population dynamics. Further studies are needed to determine if this situation and differentiation will be the same in the next years and to identify the other factors involved in the bad success of the migrant settlement. Pesticide application seems not to be the main factor explaining this bad settlement. Could reproduction incompatibilities between migrants and individuals already present into the plot explain the low genetic flow observed? Do plant changes during dispersal affect the settlement in the vineyards? Some studies with for more specific predators [N. fallacis and N. californicus] show indeed that host plants can influence and delay their settlement (Castagnoli et al., 1999; Lester et al., 2000). Finally, what about the survival of mites during dispersal? Answers to these questions are needed to enhance the use of phytoseiid mites naturally occurring in vineyard surroundings. 7.7. GENERAL CONCLUSION The studies presently described should help to clarify dispersal of phytoseiid mites from the area surrounding plots, precising other parameters such as structure of leaves of plants and wind influence. The roles of plants in providing substrates for colonization, liquid and pollen foods, and pilosity and domatia either for pollen trapping or protection from larger predators are important to phytoseiid mites, especially for generalist feeding species. For K. aberrans these effects may act in direct, indirect and complex ways. Most of conclusions concerning plant / K. aberrans relationships are based on correlation or 140 inferences from field-derived data. Such types of data are useful in early stages of research to indicate general relationships and to identify hypotheses. What are needed are laboratory tests in simplified systems where variables can be controlled and single factor relationships evaluated. For example, by observing behavior of K. aberrans and E. finlandicus when put together on overlapping smooth and a hairy leafed Celtis and by manipulating pollen levels, one could test innate leaf preferences, attractions to pollens and interspecific interactions. Such studies will help elucidate plant relationships for generalist-feeding phytoseiids that seem more complex than for specialist-feeding phytoseiids. However, some questions concerning within the colonization process the possible other origins of migrants and particularly of K. aberrans still remain unanswered. Some results indicate that the colonization process may explain the increased mite numbers within plots conducted with low toxicity pesticides. However, this increase is less important that the densities of phytoseiid mites reaching the plot and areas where there are high numbers of phytoseiid mites trapped do not have great densities per leaf. In a same way, molecular typing has shown that each area seems to have its own selection pressure and modification is necessary to ensure settlement. This study has also shown that the settlement of migrants may be a limiting step of the colonisation process, confirming results obtained when releases of K. aberrans were conducted (Kreiter et al., 1993). The data concerning pesticide effects, i.e. the rapid development of the resistance to some insecticides, could furthermore explain a better competition of K. aberrans into cultivated areas in comparison with other phytoseiid mites dispersing in the plot. However, insecticides application is probably not the main factor explaining the bad settlement of migrants into the vine plots. However, other pesticides, especially fungicides are also applied and may affect population dynamics. Further studies are needed to determine if this situation and differentiation will be the same in the next years and to identify the other factors involved in the bad success of the migrant settlement. Pesticide application seems not to be the main factor explaining this bad settlement. Could reproduction incompatibilities between migrants and individuals already present into the plot explain the low genetic flow observed? Do plant changes during dispersal affect the settlement in the vineyards? Some studies with for more specific predators [N. fallacis and N. californicus] show indeed that host plants can influence and delay their settlement (Castagnoli et al., 1999; Lester et al., 2000). Finally, what about the survival of mites during dispersal? Answers to these questions are needed to enhance the use of phytoseiid mites naturally occurring in vineyard surroundings. 141 7.8. REFERENCES ABBOT W.S. - 1925 - A method of computing the effectiveness of an insecticide. - J. Econ. Ent., 18: 265-267. ABOU-SETTA M.M., CHILDERS C.C., DENMARK H.A., BROWNING H.W. - 1991 Comparative morphology reproductive compatibility between populations of Euseius mesembrinus (Acari: Phytoseiidae) from Florida and Texas. - Exp. Appl. Acarol., 10: 213-220. 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PAPAIOANNOU-SOULIOTIS Laboratorio di Acarologia e di Zoologia Agraria. Benaki Phytopathological Institute, Ekalis 2, 14561 Kifissia Athens, Greece [email protected] Riassunto Il presente lavoro riporta notizie bioetologiche sulle principali specie di acari fitofagi associati alla vite nei paesi del bacino Mediterraneo appartenenti alle famiglie Tetranychidae, Eriophyidae e Tenuipalpidae. Vengono trattate inoltre, le problematiche riguardanti il controllo biologico di questi fitofagi, con particolare riguardo agli acari predatori della famiglia Phytoseiidae. Di questi si riportano le specie associate alla vite e notizie sulla loro distribuzione e sull’importanza delle singole specie nelle diverse regioni viticole. Parole chiave: Vite, Tetranychidae, Eriophyidae, Phytoseiidae, bacino Mediterraneo Abstract Contribution to knowledge of phytophagous mites associated with vines in the Mediterranean basin countries In the present work the Author reports bioethological notes on the more important phytophagous mite species belonging to the families Tetranychidae, Eriophyidae and Tenuipalpidae, associated with vines in the Mediterranean countries. Notes were also reported on biological control of these mites especially considering phytoseiid mites. News on the species associated with vineyards, on their distribution and importance, were also given. Key words: Vineyards, Tetranychidae, Eriophyidae, Phytoseiidae, Mediterranean basin 149 8.1. INTRODUZIONE La vite ha trovato nel Bacino Mediterraneo-Europeo le condizioni climatiche e di suolo ideali per la sua coltivazione e la superficie vitata è stata incrementata anche nelle zone in cui la tradizione non è allineata con l’evoluzione tecnologica. Oggi la viticoltura nei paesi Mediterraneo-Europei, in confronto agli altri Paesi del Mondo, presenta un notevole interesse economico sia per le uve da tavola che per quelle da vino (Tab. 1). Per quanto riguarda il resto dei Paesi del Mediterraneo, quali Turchia, Israele, Egitto, Tunisia, Marocco e Albania come pure Cipro e Malta, in base alla superficie coltivata (meno dell’1% della SAU), la viticoltura risulta tra le colture marginali (Rizk et al., 1983a; Rizk et al., 1983b; Altincag & Akten, 1993; Bilali et al., 1992; Tixier et al., 2003; Vicente et al., 2003). Gli Acari hanno iniziato a destare preoccupazioni dopo gli anni ’50 e ’60, in quasi tutte le zone viticole europee. Oggi le notizie che risultano dai diversi contributi sugli acari fitofagi e sui loro predatori associati alla vite, sono numerose. L’argomento offre molteplici spunti di discussione, anche se il più importante, per quanto riguarda le ricadute economico-sociali, è senza dubbio quello della ricerca per lo sviluppo di tecniche di difesa basate su un uso limitato di mezzi chimici. Così la protezione della coltura dai danni causati da acari fitofagi in un sistema agricolo, già di per sé instabile, implica conoscenze sulla eziologia ed epidemiologia delle infestazioni, sulla bio-ecologia dei fitofagi e sugli aspetti faunistici. Di fontamentale importanza risultano inoltre, le conoscenze sulle interazioni ospite/fitofago per la gestione corretta della coltura con minime conseguenze sociali ed ambientali. Attualmente la ricerca è estremamente eterogenea e ciò è dovuto sia alla moltitudine di scopi che di Istituzioni che cercano di risolvere, attraverso programmi di ricerca nazionali o internazionali, i problemi fitopatologici del proprio territorio. Risulta pertanto indispensabile indirizzare gli sforzi compiuti dalle varie Istituzioni di ricerca lungo una direttiva che si muove verso l’applicazione di nuove tecniche che mirano al miglioramento di quelle strategie di lotta che non incidono negativamente sull’ambiente. Per quanto concerne gli acari, finora sulla vite sono state segnalate 25 Tabella 1 - Superfici vitate nel mondo. Livello mondiale Superficie coltivata (%) Europa 63,2 America 11,6 Africa 4,1 Asia 19,1 Oceania 2,0 Totale 100,0 150 Europa Superficie coltivata (%) Francia 11,6 Italia 11,5 Spagna 14,9 Portogallo 3,3 Grecia 3.3 41,3 specie di acari fitofagi, 52 specie di acari predatori fitoseidi e altre specie appartenenti a gruppi con regimi alimentari diversi. Delle specie fitofaghe, quelle delle famiglie Tetranychidae ed Eriophyidae, sono ben note perché creano danni economici; altre specie risultano secondarie ed altre ancora sono considerate accidentali. D’altra parte la loro distribuzione, la frequenza, la loro bio-etologia e l’entità del danno causato, sono fortemente condizionati anche dalle condizioni climatiche che esistono al Nord e al Sud e nelle zone caldo-aride dei paesi del bacino Mediterraneo. Risulta evidente che, oltre alle condizioni climatiche, esistono altri fattori intrinseci ed estrinseci che possono giocare un ruolo importante sulla limitazione o sull’ecessivo incremento delle popolazioni di questi fitofagi, nonché sulla loro diffusione, non solo tra diversi paesi ma anche tra i diversi agrobiotopi dello stesso paese. Tali fattori, che possono giocare un ruolo importante in un agroecosistema, sono: – le tecniche colturali (allevamento, potatura, concimazione); – i mezzi di prevenzioni (aratura, frangiventi, distruzione nel tempo delle malerbe etc.); – la diversità colturale del territorio; – la biodiversità (presenza o assenza di vegetazione spontanea nell’agrobiotopo); – le cultivar; – i nemici naturali; – i programmi di lotta applicata (le eventuali interferenze degli antiparassitari usati). Nell’ambito della lotta applicata nei confronti dei principali acari fitofagi, è di grande importanza mettere a confronto le tecniche di difesa tradizionali con le tecniche di controllo biologico, integrato, con la lotta guidata e con le strategie anti-resistenza ai prodotti fitosanitari. Oggi, grazie a diversi programmi di ricerca applicata, sono state identificate alcune strategie valide per specifici agroecosistemi. Tali iniziative sono sostenute, in diversi paesi europei, da gruppi ambientalisti e dalle organizzazioni di categoria che, in alcuni casi, finanziano direttamente questi programmi. In questi casi, gli Enti statali di ricerca possono indirizzare la loro attenzione verso l’approfondimento delle conoscenze su problemi specifici, giacché i finanziamenti sono erogati per affrontare problematiche ben definite e sono disponibili per periodi di tempo abbastanza brevi. 8.2. ACARI FITOFAGI SEGNALATI SULLA VITE IN AMBIENTE EUROPEO E MEDITERRANEO Le 25 specie di fitofagi segnalate sulla vite in diversi paesi del bacino Mediterraneo apartengono a tre importanti famiglie di interesse agrario: Teranychidae, Tenuipalpidae ed Eriophyidae. Le specie segnalate sulla vite, nei diversi paesi europei e mediterranei, sono le seguenti: 151 TETRANYCHIDAE – Panonychus ulmi (Koch) (Portogallo, Spagna, Francia, Germania, Svizzera, Italia, Grecia, Tunisia). – Panonychus citri McGregor (Italia, in particolare nelle regioni viticole meridionali). – Tetranychus urticae Koch (Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Germania, Svizzera, Grecia, Tunisia, Malta, Cipro, Israele, Turchia). – Tetranychus cinnabarinus (Bois.) (Egitto). – Tetranychus turkestani Uga. & Nikol. (Francia, nelle regioni di Alsazia e del meridione). – Tetranychus mcdanieli McGregor (Francia, nelle regioni di Champagna). – Tetranychus arabicus Attiah (Egitto). – Tetranychus atlanticus McGregor (Portogallo). – Tetranychus ludeni Zacher (Portogallo). – Eotetranychus carpini (Oudemans) (Portogallo, Spagna, Francia, Italia). – Eotetranychus carpini borealis (Klein) (Grecia, nelle regioni di Peloponneso e della Grecia centrale). – Eotetranychus pruni (Oudemans) (Italia). – Eotetranychus corylli (Reck) (Portogallo). – Oligonychus vitis Zacher & Shehata (Egitto). – Tuckerella parviformes (Ewing) (Portogallo). TENUIPALPIDAE – Brevipalpus lewisi (McGregor) (Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Grecia, Egitto). – Brevipalpus phoenicis (Geijskes) (Italia, Egitto). – Brevipalpus pulcher (Can. & Fanz.) (Portogallo, Italia, Grecia). – Brevipalpus obovatus (Donn.) (Portogallo). – Brevipalpus lanciolatisetae (Atthiah) (Egitto). – Brevipalpus californicus (Banks) (Egitto). – Tenuipalpus granati (Sayed) (Italia, Grecia, Egitto). ERIOPHYIDAE – Calepitrimerus vitis (Nalepa) (Portogallo, Spagna, Francia, Germania, Svizzera, Italia, Grecia, Turchia, Tunisia). – Colomerus vitis (Pagenstecher) “ceppo erinosi”, (Portogallo, Spagna, Francia, Germania, Svizzera, Italia, Grecia, Turchia, Israele, Tunisia). – Colomerus vitis (Pagenstecher) “ceppo gemme”, (Grecia, Israele). – Eriophyes oculivitis (Hassan) (Egitto). 8.2.1. Tetranychidae I Tetranichidi sono da tempo considerati tra i fitofagi più dannosi alla 152 viticoltura. Nelle diverse regioni viticole mediterranee, hanno importanza le seguenti specie: P. ulmi, T. urticae, E. carpini vitis. 8.2.1.1. Panonychus ulmi (Koch) Ragnetto rosso dei fruttiferi e della vite Il ragnetto rosso dei fruttiferi e della vite è una specie polifaga e cosmopolita. Risulta maggiormente dannosa oltre alla vite anche ai fruttiferi (melo, pero, pesco, susino e ciliegio). Particolarmente sensibili ai suoi attacchi sono la maggior parte delle specie della famiglia Rosaceae (Papaioannou-Souliotis, 1998). Il tetranichide è presente in tutte le zone viticole europee ma risulta particolarmente dannoso in Francia, nord Italia, nord della Spagna e Portogallo (Bassino & Baillod, 1992; Borgo, 1988; Carmona & Ferreira, 1988; Castagnoli, 1987; Coscolla & Da Vila, 1986; Duso et al., 1988; Englert, 1989; Kreiter et al., 1993; Lozzia & Rota, 1988; Perez-Marin & Ortega-Saenz, 1994). Il fitofago è quindi, particolarmente favorito dai climi più freschi. Nelle regioni meridionali, infatti, dove le condizioni climatiche sono miti, la sua presenza è molto limitata e i danni causati sulla vite sono frammentari, sporadici e poco importanti (Arias & Nieto, 1988; Carmona & Ferreira, 1988; Castagnoli & Liguori, 1986; Coscolla & Da Vila, 1986; Englert, 1989; Nicotina, 1992; Papaioannou-Souliotis et al., 1994; Papaioannou-Souliotis & Markoyannaki-Printziou, 1998; Ragusa Di Chiara & Ciulla, 1988; Vacante & Tropea Garzia, 1988; Zaher et al., 1981). Così in Italia centro-meridionale e in Sicilia, in Spagna (lungo le coste mediterranee), in Portogallo e in Grecia il fitofago non si considera particolarmente dannoso (Papaioannou-Souliotis & Markoyannaki-Printziou, 1998; Papaioannou-Souliotis, 1998). D’altra parte in Turchia e in Tunisia i reperti riguardano la raccolta di pochissimi esemplari (Altincag & Akten, 1993; Tixier et al., 2003). Per gli altri paesi mediterranei non ci sono riferimenti particolari su questo fitofago. Cenni di morfologia e bio-etologia Gli stadi immaginali femminili e maschili si distinguono per la forma e per le differenze di dimensione e di colore. La femmina giovane è subglobosa, in seguito diventa ovale. Misura 360-400 µ e presenta 26 setole ben sviluppate sul dorso, inserite su tubercoli biancastri in sette serie trasverse (fig. 1). Il suo colore subito dopo la muta è giallo-verdastro e con la maturazione diventa rossastro tendente al rosso-bruno. I maschi presentano un corpo più piccolo (270-330 µ) e sono ventralmente convessi. L’addome è assottigliato posteriormente. Il colore, che risente dell’influenza dell’alimentazione, è per lo più verdastro-arancione. L’organo copulatore termina con una punta sottile sigmoide. Le uova si distinguono in invernali ed estive. Entrambe cipolliformi, leggermente schiacciate con strisce fini radiali e l’estremità prolugata in un’appendice 153 filiforme leggermente ricurva all’apice. Il colore delle uova estive è variabile dal verde chiaro a rosso chiaro, mentre quelle invernali sono di colore rosso intenso (fig. 1, 2). Le larve schiuse dalle uova invernali sono di colore rosso-arancio pallido, mentre quelle che schiudono dalle uova estive presentano un colore giallicio fino a rosso chiaro. Il fitofago sverna allo stadio di uovo in prossimità delle gemme, nelle screpolature lungo i tralci o sotto il ritidoma. La quantità delle uova svernanti dipende dalla densità della popolazione estiva. Le basse temperature invernali e l’oscurità non influiscono negativamente sullo sviluppo primaverile delle uova svernanti, mentre la luce di varia lunghezza e le alte temperature invernali aumentano la percentuale delle schiusure. L’inizio della schiusura delle uova invernali spesso dipende anche dai trattamenti effettuati nella precedente stagione agraria, dalla posizione topografica della coltura e dall’andamento climatico primaverile. Questo ragnetto rosso compie da 4 a 12 generazioni all’anno, in dipendenza delle differenti condizioni climatiche. Di solito questo numero aumenta spostandosi verso le regioni meridionali del Mediterraneo. Il ciclo biologico può durare da 7 a 24 giorni secondo la stagione e le condizioni ambientali. Le femmine, durante la loro vita che dura 17-30 giorni, depongono in media 48 uova in un periodo di ovideposizione che dura 10-13 giorni. Il fitofago si riprodusce normalmente per anfigonia con presenza di partenogenessi arrenotoca. Le femmine di solito depogono le uova in piccoli gruppi o isolate lungo le nervature delle foglie. Si possono osservare individui di ogni età su tutte le parti vegetative della pianta. I fattori ambientali come i notevoli sbalzi di temperatura, la limitazione dell’insolazione, la quantità e l’intensità della pioggia (frequenti temporali), limitano lo sviluppo postembrionale e la fertilità del fitofago. In casi di forti attacchi in luglio e agosto si può verificare una precoce filloptosi; quest’autunno artificiale determina il momento delle prime deposizioni delle uova invernali. Le alte temperature >35°C, possono provocare la morte del fitofago mentre un’umidità realtiva >80% impedisce la schiusura delle uova estive. Nelle regioni del Nord-Europa le prime due generazioni depoggono solo uova estive, la 3a e 4a generazione producono, insieme alle uova estive anche quelle invernali (in numero crescente con l’inoltrarsi della stagione), mentre la 5a generazione depone soltanto uova invernali. Nelle zone centro-meridionali questo avviene dopo la 6a e la 7a generazione in base alla posizione topografica della coltura. Danni Il fitofago si nutre del contenuto cellulare dei tessuti vegetali. I germogli e le foglie attaccate perdono una grande quantità di acqua ed assumono una colorazione caratteristica secondo le diverse cultivar. In quelle a buccia bianca, le punture effettuate sulla foglia causano decolorazioni gialle, che in seguito diventano brunastre, a causa dello svuotamento delle cellule e della riduzione della clorofilla (fig. 2). In quelle a buccia nera, le foglie 154 assumono una colorazione rosso-bronzea (fig. 2). Le infestazioni precoci sono più dannose di quelle tardive. Nei casi di forti infestazioni precoci, i tralci lignificano con difficoltà e le gemme durante il periodo vegetativo accumulano pochi zuccheri diventando sensibili alle basse temperature invernali. Nel periodo estivo i forti attacchi del tetranichide provocano uno scarso accumulo di zucchero negli acini e deprezzandone la qualità. 8.2.1.2. Tetranychus urticae Koch Ragnetto rosso bimaculato Questo acaro è altamente polifago e cosmopolita. Attacca un elevato numero di piante coltivate e spontanee. In Europa si considera particolarmente dannoso alle colture prottete, a diverse arboree ed erbacee e a piante ornamentali (Rosacee, Composite, Leguminose, Cucurbitacee, Moracee e Cariofilacee), mentre risulta meno dannoso alla vite. Nelle zone viticole settentrionali, la sua presenza è meno estesa se confrontata a quella di P. ulmi. In certe regioni centrali della Francia, Champagna e Alsatia, le sue popolazioni spesso sono dominate da quelle di Tetranychus macdanieli McGregor e di Tetranychus turkestani Uga. & Nikol., mentre in altre, come nel nord Italia da quelle di Eotetranychus carpini (Oudemans). Nelle zone meridionali della penisola italiana e in Sicilia, nonché in Spagna, in Portogallo e in Grecia, il fitofago è favorito dalle condizioni ambientali (caldo-secco) ed è ampiamente diffuso, dando luogo spesso a infestazioni estive particolarmente dannose specialmente quando la coltura viene circondata da una ricca vegetazione spontanea (Arias & Nieto, 1988; Bassino & Baillod, 1992; Carmona & Ferreira, 1988; Castagnoli & Liguori, 1986; Castagnoli, 1987; Pavan & Borin, 1986; Englert, 1989; Kreiter et al., 1993; Nicotina, 1992; Papaioannou-Souliotis & Markoyannaki-Printziou, 1998; Perez Otero et al., 1999; Ragusa Di Chiara & Ciulla, 1988; Schmid & Raboud, 1986; Schruft, 1986). In Grecia questo acaro risulta particolarmente dannoso alla cultivar da tavola “Sultani” nelle zone viticole del Peloponneso (Papaioannou-Souliotis & MarkoyannakiPrintziou, 1998; Papaioannou-Souliotis, 1998). Segnalazioni sporadiche e di limitato interesse economico sono riportate per le zone litoranee della Turchia e di Cipro (Bilali et al., 1992; Oncuer & Madahlar, 1993; Tixier et al., 2003; Vicente et al., 2003; Villaronga et al., 1995). Cenni di morfologia e bio-etologia La femmina ha forma ellissoidale, misura 500-600 µ e presenta un colore che cambia in relazione all’alimento. Di solito il colore primaverile-estivo è giallo-verdastro o giallo-rosa mentre quello autunnale-invernale risulta rosso cinabro, dovuto al cambiamento fisiologico delle foglie (diminuzione della clorofila ed aumento dei pigmenti in particolare di β-carotene). Sulla parte dorsale sono presenti 24 setole ben sviluppate in sei serie trasversali e lateralmente si vedono due macchie scure (fig. 3). Il maschio è più piccolo della femmina (330-370 µ), piriforme e il suo colore varia da 155 giallo-verde pallido a giallastro con le due machie laterali meno evidenti di quelle della femmina. Le uova sono sferiche senza particolari strutture esterne. Appena deposte sono chiare traslucide, nel corso dello sviluppo embrionale assumono una colorazione giallastra e in vicinanza della schiusura sono di colore giallo-arancio; in questo stadio si vedono i due occhi rosso carminio dell’embrione (fig. 3). Nelle zone settentrionali T. urticae sverna sotto forma di femmina fecondata. Nelle zone miti, durante il periodo invernale, l’acaro viene riscontrato sulla vegetazione spontanea o su arboree coltivate sempreverdi, anche se la sua attività riproduttiva in questo periodo risulta limitata. Le femmine svernano in gruppi o isolate nel terreno, specialmente in luoghi asciutti, sotto foglie cadute, al di sotto della corteccia, nelle screpolature del fusto e in ripari vari. In primavera, quando la temperatura media raggiunge gli 8-12°C, migrano sulle piante spontanee o sulle foglie di piante sempreverdi. Le femmine sono molto resistenti anche a temperature sotto lo 0°C. Sono stati osservati individui svernanti anche a –17°C. Il fitofago presenta un numero elevato di generazioni annuali, in dipendenza delle differenti condizioni climatiche, che variano da 7 a 14; possono però superare anche le 30 quanto infesta piante coltivate in serra. I dati sul numero delle uova deposte per ogni femmina oscilla considerevolmente. Ogni femmina depone da 60 a 90 uova, ma può arrivare anche a 200, e vive circa 30 giorni. La durata del ciclo biologico dipende in particolare dalla temperatura e dall’umidità relativa. In base alle condizioni ambientali e specialmente la temperatura, il periodo dello sviluppo postembrionale varia da 4 a 30 giorni. Le uova fecondate danno sia femmine che maschi (sex-ratio 2:1), mentre da quelle non fecondate si sviluppano soltanto maschi (arrenotochia). Nel periodo primaverile-estivo si possono osservare tutti gli stadi dello sviluppo ontogenetico del fitofago sui diversi organi vegetativi e produttivi della pianta ospite. Danni Il fitofago attacca i germogli, le foglie e i frutti. In caso forti attacchi le foglie ingialliscono, assumono un colore bronzeo e cadonno precocemente. Possono, inoltre, essere anche ricoperte dalle fitte ragnatele emesse dal fitofago (fig. 3). I frutti infestati presentano un’alterazione rugginosa deprezzando le uve ed in particolare quelle da tavola. I viticoltori spesso hanno difficoltà a controllare le infestazioni del tetranichide a causa della resistenza che il fitofago riesce a sviluppare in tempi brevissimi. 8.2.1.3. Eotetranychus carpini (Oudemans) Ragnetto giallo della vite Il ragnetto giallo si considera dominante particolarmente nelle zone centro-meridionali della Francia, nel centro-nord Italia, in Germania e in 156 Svizzera. Segnalazioni sporadiche si sono avute anche nel sud Italia, in Spagna e in Portogallo (Borgo, 1988; Carmona & Ferreira, 1988; Castagnoli & Liguori, 1986; Castagnoli, 1987; Coscolla & Da Vila, 1986; Duso et al., 1988; Englert, 1989; Kreiter & Brian, 1988; Lozzia & Rota, 1988; Ragusa Di Chiara & Ciulla, 1988; Schmid & Raboud, 1986; Schruft, 1986). In Grecia è stata osservata la specie Eotetranychus carpini borealis in certi vigneti che sono circondati da meleti negli altopiani di Corinto (Peloponneso), di Aghia e di Kalambaka (Grecia centrale), dove il fitofago insieme a P. ulmi e T. urticae formano il gruppo di fitofagi più dannosi per i frutetti (Papaioannou-Souliotis et al., 1994; Papaioannou-Souliotis & Markoyannaki-Printziou, 1998; Papaioannou-Souliotis, 1998). Cenni di morfologia e bio-etologia Le femmine sono ovali allungate e misurano 360-380 µ. La forma estiva è verde-gialla, mentre la forma invernale è arancio-gialla. I maschi sono allungati-ovali, con la parte posteriore del corpo appuntita e misurano 130-160 µ. Lo svernamento avviene allo stadio di femmine fecondate, di colore arancio-giallo, soprattutto nelle screpolature delle ascelle dei tralci principali, sotto il ritidoma del ceppo o in altri rifugi nonché negli strati superficiali del terreno. Annualmente l’acaro può compiere da 6 a 8 generazioni. L’attività delle femmine svernanti riprende verso la metà di aprile, ed è fortemente condizionata dall’andamento climatico. Il ciclo biologico si compie in 30 giorni; durante il periodo estivo la durata del ciclo risulta più breve e le generazioni si accavallano. Ogni femmina depone da 35 a 50 uova. La specie è favorita da climi freschi. Ciò spiega la maggiore diffusione del fitofago nelle zone viticole settentrionali e la sua quasi assenza in tutte le zone calde e secche. Danni I suoi attacchi interessano i giovani germogli e le foglie e causano l’arresto dello sviluppo della nuova vegetazione. Le foglie infestate risultano deformate con punteggiature necrotiche che non permetono la normale distensione del lembo fogliare. Nei casi di gravi attacchi la vegetazione presenta arrossamenti, fenomeni di filloptosi, decremento della produzione e riduzione del grado zuccherino delle uva. 8.2.2. Tenuipalpidae 8.2.2.1. Brevipalpus lewisi (McGregor) Tra le 7 specie di tenuipalpidi segnalate sulla vite, B. lewisi è l’unica di interesse economico. Specie polifaga e cosmopolita è ampiamente diffusa in quasi tutte le regioni centro-meridionali del Mediterraneo, anche se la sua presenza è legata più alle aree agrumicole che viticole (Arias & Nieto, 1985; Carmona & Ferreira, 1988; Castagnoli & Liguori, 1986; Rodriguez et al., 1987; Rizk et al., 1983a; Vacante & Tropea Garzia, 157 1988). In Grecia, in Bulgaria e in Egitto il fitofago è infeudato in alcune aree agricole con popolazioni più o meno consistenti, arrecando grossi danni alla vegetazione e di conseguenza alla produzione. Nella viticoltura greca il fitofago è ampiamente diffuso e può provocare danni a molte cultivar autoctone da vino; tra queste le più sensibili risultano le CV “Roditis” e “Savatiano” ovunque esse si coltivano (PapaioannouSouliotis et al., 1994; Papaioannou-Souliotis & MarkoyannakiPrintziou, 1998; Papaioannou-Souliotis, 1998). Cenni di morfologia e bio-etologia Le femmine sono di colore rosso-vivo, piccole, con il corpo appiattito di forma ovale posteriomente alquanto ristretto. I maschi si distinguono facilmente dalle femmine perché più sottili, allungati e di colore rosasalmone. Le uova di colore rosso-vivo allungate, vengono di solito deposte lungo le nervature principali e laterali e in caso di forti infestazioni anche sul lembo fogliare (fig. 4). Lo svernamento avviene allo stadio di femmina fecondata (i maschi e le forme giovanili muoiono ai primi rigori invernali). In primavera le femmine abbandonano i ricoveri invernali e si spostano sui germogli (iniziando dalla parte basale) e sulle giovani foglie (pagina inferiore) dove iniziano a nutrirsi. L’ovideposizione inizia lentamente verso la metà di aprile e si protrae fino a giugno, mese in cui si raggiungono i valori massimi. Dalle uova schiudono sia femmine che maschi. La durata del ciclo biologico è molto più lungo che nelle altre specie di acari. Lo sviluppo embrionale e postembrionale, infatti, oscilla tra i 35 e i 50 giorni, con una media di 25 giorni, sempre in base alle condizioni climatiche. L’acaro presenta da 3 a 6 generazioni l’anno. In Grecia e in Bulgaria non supera le 4 generazioni. Danni Gli attacchi del fitofago riguardano tutte le parti verdi della vite (germogli, infiorescenze, foglie e frutti). La nuova vegetazione colpita manifetsa imbrunimenti, assume un aspetto suberoso e può subire più facilmente le infenzioni di Phomopsis viticola (Redd.). Le foglie infestate si presentano deformate con punteggiature necrotiche mentre il lembo fogliare non si distende normalmente e con la maturazione si formano fori di diversa estenzione (fig. 5). Sui grappoli provoca rugginosità sul rachide e sugli acini. 8.2.3. Eriophyidae Nella famiglia Eriophyidae le specie Calepitrimerus vitis e Colomerus vitis , sono diffuse ovunque si coltivi la vite, giacché si tratta di specie monofaghe. Si nutrono a spese di vari organi vegetali, arrecando talvolta infestazioni che non vengono considerate di particolare importanza economica. 158 8.2.3.1. Calepitrimerus vitis (Nalepa) Questo eriofide, agente dell’“acariosi”, recentemente desta qualche preoccupazione tra i viticoltori delle zone centro-settentrionali di alcuni paesi del Mediterraneo. Nelle zone meridionali e in quelle calde e secche quest’eriofide è stato segnalato sporadicamente o risulta assente (Carmona, 1978; Castagnoli, 1987; Englert, 1989; Papaioannou-Souliotis et al., 1994; Papaioannou-Souliotis, 1998; Perez Otero et al., 1999). In Grecia è stato osservato recentemente sulla cultivar da vino “Moscofilero” negli altopiani della periferia di Tripoli, nel Peloponneso, dove ci sono verificati attacchi sporadici (Papaioannou-Souliotis & Markoyannaki-Printziou, 1998; Papaioannou-Souliotis, 1998). Cenni di morfologia e bio-etologia La femmina estiva (protogina) è fusiforme e lunga 150 µ. Ha la parte dorsale del corpo liscia, mentre su quella ventrale sono presenti numerosi microtubercoli. La femmina invernale (deutogina), è simile alla precedente, se ne differenzia per l’assenza di microtubercoli nella parte ventrale. Il maschio è simile alla femmina. C. vitis compie 3-4 generazioni all’anno, anche se in condizioni ambientali favorevoli il numero può aumentare. Il fitofago di solito in agosto si sposta verso i siti di svernamento. Sverna come femmina (deutogina) fecondata in gruppi di pochi individui sotto le screpolature della cortecia o tra le perule all’interno delle gemme. Con l’inizio delle nuova vegetazione, gli eriofidi ripredono la loro attività e cominciano a nutrirsi e a ovideporre. In 20-30 giorni le forme giovanili si trasformano in femmine protogine e maschi. Le successive generazioni si disperdono su tutti gli organi vegetativi e si localizzano particolarmente sulla pagina inferiore delle foglie. Danni Il fitofago presenta di solito, popolazioni limitate senza interesse economico. Si nutre a spese delle foglie, delle gemme e dei grappoli. Forti e precoci attacchi possono arrestare lo sviluppo della nuova vegetazione; le gemme infestate danno origine a tralci stentati con internodi raccorciati. Le foglie attaccate, durante il germogliamento risultano deformate (bollose) (fig. 6), mentre in estate (luglio-agosto), le foglie mature presentano sulla pagina superiore una bronzatura e sulla pagina inferiore una colorazione bruno-violacea (fig. 6). Gravi attacchi nel periodo di invaiatura, particolarmente alle varietà di uva da tavola, provocano rugginosità sul rachide (necrosi puntiformi) e macchie brune sugli acini, depprezzando commercialmente il prodotto. 8.2.3.2. Colomerus vitis (Pagenstecher) Ci sono tre ceppi conosciuti i quali si distinguono tra di loro dai sintomi manifestati. Un primo ceppo che attacca le foglie e provoca bollosità 159 chiamate “erinosi”. Un secondo ceppo attacca le gemme. Quest’ultimo è stato per la prima volta osservato in California (USA) nel 1948 su alcune cultivar da vino francesi, dopo in Australia (1958) ed in seguito in Ungheria (1966) e in Sud Africa (1978). Nel bacino del Mediterraneo è stato segnalato per la prima volta in Israele nel 1960 (Bernstein, 1988), sempre su cultivar da vino francesi. Molto più tardi (Englert, 1989; Papaioannou-Souliotis, 1998), vienne osservato anche in Grecia, nell’isola di Creta, sulle cultivar autoctone “Rosaki” e “Stafida di Corinto” (Papaioannou-Souliotis, 1986). Un terzo ceppo si localizza sulle foglie sulle quali provoca arricciamento con presenza di pochi peli in corrispondenza dei punti scelti dall’acaro per la colonizzazione. Attualmente l’acaro risulta diffuso ovunque si coltiva la vite. Cenni di morfologia e bio-etologia La femmina estiva (protogina) è di colore bianco-giallastro con microtubercoli sulla parte ventrale, mentre quella invernale (deutogina), è senza microtubercoli. Il corpo fusiforme non supera i 150 µ. Il maschio è simile alla femmina. L’acaro sverna come femmina deutogina, tra le perule delle gemme dormienti, sui tralci e nelle screpolature della corteccia. Durante il periodo vegetativo compie da 6 a 10 generazioni. Lo sviluppo postembrionale dura da 14 a 25 giorni, in relazione alle condizioni climatiche. I primi spostamenti delle femmine deutogine, verso i siti invernali si osservano alla fine di agosto. Gli acari del ceppo delle gemme, passano la loro vita sempre all’interno delle gemme ascellari che vengono attaccate subito dopo la loro formazione. Durante la primavera e fino ai primi mesi estivi l’acaro presenta un’attività riproduttiva abbastanza limitata, ma a partire da agosto inizia un incremento graduale delle popolazioni fino ai primi di dicembre. Tra novembre e dicembre il fitofago presenta nelle gemme i massimi livelli di popolazione. La sua forma libera vienne riscontrata solo nel periodo della nuova vegetazione che coincide con il suo spostamento dai vecchi rifugi verso le gemme neoformate. Lo spostamento inizia quando i giovani tralci presentano una lungezza di 15-25 cm. Il maggior numero di individui è presente nelle prime 6-8 gemme (Papaioannou-Souliotis et al., 1998). Danni L’eriofide presenta un’ampia diffusione e popolazioni molto più numerose di quelle di Calepitrimerus vitis, anche se non crea problemi economici alla viticoltura mediterranea, tranne nei casi di attacchi ai giovani grappoli, fortunatamente abbastanza sporadici (Castillo, 1990). È stato osservato anche nell’isola di Creta, l’eriofide preferisce le zone calde, con intensa insolazione e con bassa umidità relativa (Papaioannou-Souliotis, 1998). Le gemme fortemente attaccate di questo ceppo di C. vitis o non si 160 sviluppano per niente (fig. 7) o danno germogli deboli con internodi raccorciati che si presentano a zig-zag mentre le foglie risultano deformate (fig. 7). Sorgono grossi problemi anche per la potatura invernale perché a causa della necrosi delle gemme, i viticoltori sono a volte costretti a lasciare tralci più lunghi o a cambiare tipo di allevamento. 8.2.3.3. Eriophyes oculivitis (Hassan) Questa specie è stata segnalata solo in territorio egiziano e la sua distribuzione riguarda le zone viticole di Bagour nel sud dell’Egitto (Attiah, 1967; Bassino & Baillod, 1992; Yousef, 1970). Infesta solo le gemme della vite e i suoi attacchi sono molto simili a quelli causati dal ceppo delle gemme di Colomerus vitis. 8.3. PREDATORI (fig. 8) Attualmente le conoscenze che riguardano i rapporti tra gli antagonisti e gli acari fitofagi legati alla vite sono mumerose e forniscono notizie fondamentali per la loro utilizzazione nei programmi di controllo biologico ed integrato (Bassino & Baillod, 1992; Carmona & Ferreira, 1988; Castagnoli & Liguori, 1986; Castagnoli, 1987; Duso et al., 1991; Englert, 1989; Kreiter & Brian, 1988; Lozzia & Rota, 1988; PapaioannouSouliotis et al., 1994; Papaioannou-Souliotis & Markoyannaki-Printziou, 1998; Papaioannou-Souliotis et al., 1999; Ragusa Di Chiara & Ciulla, 1988; Schmid & Raboud, 1986; Tixier et al., 2003; Villaronga et al., 1995; Zaher et al., 1974; Yousef, 1970; Müther, 2000). Tra questi, il ruolo principale viene svolto dagli acari predatori appartenenti alla famiglia Phytoseiidae. Complessivamente sulla vite sono state segnalate 48 specie di acari fitoseidi, che per condizioni climatiche e ambientali più o meno favorevoli o per modificazioni di equilibri naturali, presentano una distribuzione e frequenza che puó variare non solo tra nord e sud ma anche tra gli ambienti dello stesso paese. 8.3.1. Acari predatori della famiglia Phytoseiidae Le specie segnalate in diverse zone viticole dei paesi del bacino Mediterraneo sono le seguenti: 1. Typhlodromus pyri Scheuten: Francia, Italia, Germania, Svizzera, Spagna, Portogallo, Grecia, Egitto. 2. Typhlodromus exhilaratus Ragusa: Italia, Grecia. 3. Typhlodromus phialatus Athias-Henriot: Spagna, Portogallo, Francia, Italia, Grecia. 4. Typhlodromus hellenicus Swirski & Ragusa: Grecia. 5. Typhlodromus involutus Livshitz & Kuznetsov: Grecia. 161 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 162 Typhlodromus cryptus Athias-Henriot: Italia. Typhlodromus athiasae Porath & Swirski: Grecia. Typhlodromus longipilus Nesbitt: Italia, Svizzera. Typhlodromus zaheri Elbadry: Egitto. Typhlodromus tiliarum Oudemans: Francia, Italia, Spagna, Grecia, Svizzera. Typhlodromus intercalaris Livshitz & Kuznetsov: Grecia. Typhlodromus commenticius Livshitz & Kuznetsov: Grecia. Typhlodromus rhenanus (Oudemans): Portogallo. Typhlodromus hadzhievi (Abbassova): Italia. Typhlodromus conspicus (Garman): Italia. Typhlodromus perforatus Athias-Henriot: Spagna. Typhlodromus triporus Chant & Yoshida-Shaul: Spagna, Italia. Typhloctonus litoralis Swirski & Amitai: Spagna. Kampimodromus aberrans (Oudemans): Francia, Italia, Germania, Svizzera, Spagna, Portogallo, Grecia. Phytoseius finitimus Ribaga (sensu Abbasova): Grecia, Italia, Germania, Svizzera, Spagna, Portogallo, Francia, Egitto. Phytoseius plumifer (Canestrini & Fanzago), (sensu Chant & Attias-Henriot), Italia, Grecia, Francia, Portogallo. Phytoseiulus persimilis Athias-Henriot: Francia, Italia, Portogallo. Euseius stipulatus (Athias-Henriot): Italia, Grecia, Francia, Spagna, Turchia Cydnodromus californicus (McGregor): Grecia, Spagna, Italia, Francia. Amblyseius andersoni (Chant): Francia, Italia, Germania, Svizzera, Spagna, Portogallo, Grecia. Amblyseius rademacheri Dosse: Italia. Amblyseius cucumeris (Oudemans): Italia, Germania. Amblyseius aurescens (Athias-Henriot): Italia. Amblyseius italicus (Chant): Italia. Amblyseius concordis (Chant): Portogallo. Amblyseius bicaudus Wainstein: Italia. Amblyseius messor (Wainstein): Italia. Amblyseius agrestis (Karg): Svizzera. Amblyseius zwoelferi (Dosse): Svizzera. Amblyseius gossipi El-Badry: Egitto Euseius finlandicus (Oudemans): Francia, Italia, Germania, Svizzera, Spagna, Grecia. Paraseiulus subsoleiger Wainstein: Francia, Italia, Germania, Svizzera, Grecia. Paraseiulus soleiger (Ribaga): Francia, Italia, Germania, Svizzera, Grecia. Paraseiulus talbii (Athias-Henriot): Grecia, Italia, Spagna. Iphiseius degenerans (Berlese): Italia, Grecia, Germania. 41. 42. 43. 44. 45. 46. Amblydromella recki (Wainstein): Francia, Italia, Grecia. Anthoseius kerkirae (Swirski & Ragusa): Grecia, Italia, Spagna. Anthoseius athenas (Swirski & Ragusa): Grecia, Italia, Spagna. Anthoseius foenilis Oudemans: Spagna. Anthoseius bakeri (Garman): Spagna, Portogallo. Anthoseius rhenanoides (Oudemans): Marocco, Spagna, Francia, Italia, Grecia. 47. Neoseiulus barkeri Hughes: Algeria, Spagna, Francia, Italia, Grecia, Turchia, Israele. 48. Neoseiulus marginatus (Wainstein): Grecia. Tra queste specie si possono distinguere: – specie che rivestono un ruolo importante al controlo biologico dei fitofagi; – specie che sono di meno importanza economica; – specie che sono sporadiche o accidentali. Il primo gruppo include quattro specie dominanti tra nord e sud: T. pyri, K. aberrans, A. andersoni e Ph. finitimus. Per quanto riguarda la loro distribuzione e frequenza, T. pyri risulta il più diffuso nei vigneti delle regioni viticole centro-settentrionali dove si riscontrano popolazioni più numerose e consistenti di quelle di K. aberrans e di A. andersoni che occupano il secondo posto. Questi tre predatori costituiscono un complesso molto importante, nei programmi di controllo integrato. Nelle zone viticole calde e secche del meridione, la presenza di T. pyri è molto limitata più per condizioni ambientali che per equilibri naturali. Le notizie su questo predatore sono frammentarie e sporadiche, e si riferiscono a zone geografiche particolari, colline e altopiani, dove il microclima risulta più fresco e umido (fattori favorevoli per lo sviluppo della specie). K. aberrans e A. andersoni sono stati anche segnalati su un elevato numero di piante coltivate e spontanee ma le loro popolazioni risultano più massicce sulle colture fruttifere. Il quarto predatore in ordine di frequenza è Ph. finitimus. La sua distribuzione e frequenza risulta più elevata nelle aree viticole meridionali che in quelle settentrionali. In Grecia questo predatore si riscontra nel 90% delle aree viticole mentre in certe regioni della Grecia centrale è l’unico predatore presente nei vigneti coltivati. Nella viticoltura mediterranea la sua presenza viene considerata importante nell’ambito di programmi di controllo integrato. Il secondo gruppo include T. phialatus, T. exhilaratus, C. californicus, E. stipulatus ed E. finlandicus. Anche questi predatori sono ampiamente distribuiti nelle varie regioni viticole del bacino mediterraneo, ma la loro frequenza può variare tra nord e sud sia per fattori instrinseci che estrinseci assumendo una importanza economica più o meno elevata nelle diverse regioni viticole; T. phialatus, ad esempio, insieme a T. pyri e K. aberrans, nelle aree viticole catalane della Spagna costituisce un importante complesso di agenti di controllo degli acari fitofagi. D’altra 163 Fig. 1 - Femmina ed uova estive di Panonychus ulmi (Koch), con un’adulto di T. pyri (sinistra) e uova invernali(destra). (Foto Labor. Acarologia, Benaki Fitop. Inst.). Fig. 2 - Attacchi precoci (decolorazione gialla, sinistra) e tardivi (colorazione rossobronzea, destra) di Panonychus ulmi (Koch). Fig. 3 - Una femmina e un uovo allo stadio maturo di Tetranychus urticae Koch (sinistra) e attacchi forti sulla vegetazione (ingiallimento delle foglie, destra). 164 Fig. 4 - Uova di Brevipalpus (Hystripalpus) lewisi (Ewing). Fig. 5 - Danni da infestazioni di Brevipalpus lewisi (Ewing), su giovani tralci (imbrunamento), sulle foglie (punteggiature necrotiche con fori di diversa estenzione) e grappoli (rugginosità su rachite e su acini). (Foto Labor. Acarologia, Benaki Fitop. Inst.). Fig. 6 - I caratteristici sintomi di “acariosi” su foglie e grappoli da Calepitrimerus vitis (Nalepa). (Foto Labor. Acarologia, Benaki Fitopatol. Inst.). 165 Fig. 7 - Foglie con “erinosi” di Colomerus vitis (Pagst.) (sopra sinistra) e sintomi di forti attacchi di C. vitis ceppo “gemme” (Foto Labor. Acarologia, Benaki Fitop. Inst.). Fig. 8 - Adulti di Typhlodromus pyri (Scheuten) (sinistra) e di Amblyseius andersoni (Chant) (Foto Labor. Acarologia, Benaki Fitop. Inst.). parte la stessa importanza economica riveste nella penisola centro meridionale italiana, in Sicilia e nell’isola di Creta T. exhilaratus insieme a Ph. finitimus. Lo stesso si può dire anche per E. stipulatus che risulta particolarmente frequente nei vigneti che si trovano in zone agrumicole (Sicilia, Corsica e Grecia). Per quanto riguarda C. californicus ed E. finlandicus risultano localmente frequenti nelle zone meridionali litoranee della Francia e in Corsica, in alcune zone settentrionali della Grecia e lungo le coste mediterranee Catalane della Spagna. Il terzo gruppo comprende il resto delle specie segnalate in diverse regioni viticole mediterranee, che si possono considerare presenze sporadiche, isolate e accidentali. Poiché però l’efficacia di questi predatori nel controllo delle popolazioni degli acari fitofagi della vite non è sufficientemente documentata, sarebbe utile effettuare ricerche bioecologiche allo scopo di conoscere i diversi fattori ambientali (biotici e abiotici) dei vari agroecosistemi, che possono favorire l’incremento delle loro popolazioni nell’ottica di un potenziamento del controllo biologico naturale. 166 8.3.2. Insetti predatori Per quanto riguarda gli insetti predatori, si possono annoverare i Coccinellidi, in particolare i generi Stethorus e Scymnus, le Crisope con il genere Chrysoperla, gli Antocoridi con il genere Anthocoris e i Miridi. Questi predatori, considerati importanti agenti di controllo biologico dei tetranichidi presenti sulle colture arboree, sono scarsamente presenti nei vigneti. Uno studio approfondito sui fattori naturali di regolazione delle loro popolazioni e sulle eventuali interferenze da parte degli antiparassitari impiegati, porterebbe all’adozione di tecniche colturali compatibili con la presenza di questi predatori nel vigneto, assicurando un valido aiuto per il controllo delle popolazioni degli acari fitofagi ed in particolare dei tetranichidi. 8.4. AUTORI CITATI ALTINCAG R., AKTEN T. - 1993 - Insect pests in grapevines nurseries and remedies in Aegaen region: problems and their solutions. - Bitki Koruma Bulteni, 33 (3-4): 153-165. ARIAS A., NIETO J. - 1985 - El acaro de la roña (Brevipalpus lewisi), nuevo parasito de la vid en España: invernación, colonización de las cepas y prospección en la comarca de Guareña (Badajoz). - Bol. Serv. Plagas, 11: 193-203. ARIAS A., NIETO J. - 1988 - Seuls de tolerance economique pour l’acarien jaune commun (Tetranychus urticae Koch), dans Tierra de Barros (Badajoz-Espagne). - Proc. Int. Symp. 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DUSO Dipartimento di Agronomia ambientale e produzioni vegetali, Università di Padova, Agripolis, Via Romea 16 35020 Legnaro (Padova), Italia. Riassunto La diffusione degli acari Tetranichidi nei vigneti è stata favorita dalla resistenza acquisita nei confronti di molecole tossiche nei confronti degli acari predatori. A partire dagli anni ’80 è divenuto prioritario valutare gli effetti dei più comuni fungicidi ed insetticidi sui principali acari ed insetti predatori allo scopo di ridurre gli effetti indesiderati di eventuali trattamenti e di valorizzare l’attività degli antagonisti naturali in un contesto di lotta integrata. L’importanza dei Fitoseidi nei vigneti europei è stata pienamente compresa negli anni ’80. Le indagini faunistiche condotte in Italia hanno chiarito che le specie più comuni nei vigneti sono Typhlodromus pyri Scheuten, Kampimodromus aberrans (Oudemans) e Amblyseius andersoni (Chant) al Nord, Typhlodromus exhilaratus Ragusa, Phytoseius finitimus Ribaga e K. aberrans al Centro-Sud. Numerose indagini bio-ecologiche hanno delineato il relativo potenziale di queste specie. Nell’Italia settentrionale sono state svolte ricerche atte a valutare l’efficacia di alcuni tra questi predatori nel controllo degli acari fitofagi della vite. Il controllo integrato degli acari fitofagi della vite prevede conoscenze approfondite su biologia, ecologia e dannosità delle principali specie in modo da definire soglie economiche. La maggior parte degli acaricidi di recente sintesi manifesta un’efficacia soddisfacente nel controllo di Tetranichidi ed Eriofidi. Non sono emersi problemi diffusi di resistenza agli acaricidi. Lo sviluppo della lotta integrata è stato accompagnato da un incremento progressivo di dati sugli effetti collaterali dei prodotti fitosanitari sugli antagonisti naturali degli acari fitofagi. Gli effetti collaterali di un prodotto possono variare nel tempo in seguito alla selezione di ceppi caratterizzati da una crescente resistenza. I Fitoseidi più comuni nei vigneti hanno sviluppato ceppi resistenti nei confronti di esteri fosforici e di ditiocarbammati. Molti tra i recenti fungicidi e insetticidi sono caratterizzati da una certa selettività nei confronti dei Fitoseidi. Le tecniche colturali possono esercitare effetti diretti o indiretti sugli acari dannosi alla vite nonché sui relativi antagonisti naturali. 171 L’aumento della diversità botanica si riflette positivamente sull’abbondanza e sulla diversità degli insetti e degli acari predatori anche per l’incremento della disponibilità di polline, alimento alternativo per molti antagonisti naturali. Il ritmo di sfalcio della copertura vegetale ha una possibile influenza sulla dinamica dei Fitoseidi in quanto agisce sulla deposizione dei pollini sull’apparato fogliare. Le indagini faunistiche sulle piante spontanee contigue ai vigneti o inserite all’interno degli stessi hanno fornito preziose informazioni sull’ecologia dei Fitoseidi. Il contributo delle piante spontanee alla colonizzazione dei Fitoseidi nei vigneti è stato suggerito più volte. In alcune ricerche, effettuate in agroecosistemi “complessi”, l’abbondanza e la diversità dei Fitoseidi sulle principali specie vegetali (coltivate o spontanee) sono state confrontate con quelle riscontrate su vite, ottenendo informazioni sulla “similarità” tra piante ospiti differenti. La reintroduzione dei Fitoseidi appare indispensabile nei vigneti inseriti in aree viticole soggette ad intensi programmi di difesa fitosanitaria ed esposti a frequenti infestazioni di acari fitofagi. L’impiego di ceppi resistenti è oggetto di dibattito. L’esito delle introduzioni dipende dai principali fattori che influenzano la sopravvivenza e la moltiplicazione dei Fitoseidi. Parole chiave: Acari, Vitis vinifera, Tetranichidi, Fitoseidi, controllo biologico Abstract Biological and integrated control of phytophagous mites associated with vineyards Problems associated to spider mites (Acari Tetranychidae) are mainly caused by organic pesticides which are non-selective towards their predators. At the same time, spider mites have become resistant to several pesticides. Since the 80s, the study of the side-effects of pesticides on beneficials has been considered a priority for improving their impact in vineyards. The role of phytoseiids in European vineyards was fully understood in the 80s. Surveys carried out in Italy showed the importance of a number of predatory mite species, i.e. Typhlodromus pyri Scheuten, Kampimodromus aberrans (Oudemans) and Amblyseius andersoni (Chant) in northern regions, Typhlodromus exhilaratus Ragusa, Phytoseius finitimus Ribaga and K. aberrans in central and southern Italy. Research into the biology and ecology of these species has shown their potential for controlling phytophagous mites. Integrated mite management requires the adoption of economic thresholds based on a detailed knowledge of interactions between mite pests and their host plants. However, most of the thresholds applied to mites in European and Italian viticulture are not based on an economic evaluation. Recent acaricides seem to be effective towards tetranychids and eriophyids in Italian vineyards, since cases of resistance to these pesticides have not been detected. 172 Progress in integrated pest control has been favoured by the huge effort exerted in studying the side-effects of pesticides on phytoseiid mites. These effects can evolve in time, since phytoseiids can select resistant strains. The most important phytoseiid species occurring in Italian viticulture have evolved strains resistant to organophosphates and thiocarbamates. Furthermore, a number of recent fungicides and insecticides have a low toxicity towards phytoseiids. Grape management can have a significant effect on mite numbers. The increase in plant diversity may have a positive effect on the diversity and abundance of beneficials. Regarding phytoseiids, this effect is sometimes mediated by pollen availability on the vegetation. Surveys conducted on wild plants surrounding vineyards have improved our knowledge on the ecology of phytoseiids. The role of wild plants in the colonization of vineyards by phytoseiids has been widely suggested. The occurrence of phytoseiid species of economic importance for vineyards, on selected wild or cultivated plants, has been reported as an important factor for successful biological control in a number of agro-ecosystems. The release of phytoseiid mites in vineyards with a high pesticide pressure is strongly suggested. Factors affecting the fate of released predators are reported. Key words: Mites, Vitis vinifera, Tetranichids, Phytoseiids, biological control 9.1. LE PRIME SEGNALAZIONI DI SPECIE DANNOSE ALLA VITE IN ITALIA Le prime notizie sulla dannosità degli acari fitofagi nei vigneti italiani risalgono alla seconda metà dell’Ottocento. Gli attacchi di Tetranichidi avevano provocato arrossamenti fogliari e defogliazioni in Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino e Piemonte (Targioni-Tozzetti, 1876; Lunardoni, 1890; Cuboni, 1891; Berlese, 1901). I sintomi riportati e la descrizione delle forme rinvenute fanno ritenere che la specie coinvolta fosse Tetranychus urticae Koch. Pullulazioni localizzate di Tetranychus pilosus Canestrini e Fanzago, l’attuale Panonychus ulmi (Koch), si erano verificate nei vigneti toscani e in altri ambienti (Arcangeli, 1891; Cuboni, 1891; Pinolini, 1896). In quel periodo, l’erinosi, causata dall’eriofide Colomerus vitis Pagenstecher, era già conosciuta ma non ritenuta importante (Targioni-Tozzetti, 1870; Briosi, 1876). Nei primi anni del Novecento furono poi descritte altre due specie che divennero dannose solo alcuni decenni più tardi: il tetranichide Eotetranychus carpini (Oudemans) e l’eriofide Calepitrimerus vitis (Nalepa). Le prime infestazioni di Tetranichidi si verificarono quando erano già comparsi l’oidio, la peronospora e la fillossera (Lunardoni, 1890). Tra i mezzi di lotta agli acari erano suggeriti soprattutto zolfo e nicotina (Cuboni, 1891; Arcangeli, 1891). Lo zolfo era ritenuto rimedio efficace nei confronti degli acari fitofagi anche nei primi decenni del Novecento, 173 quando il loro ruolo era tornato ad essere secondario (Berlese, 1915; Della Beffa, 1934). I Tetranichidi sono divenuti un problema reale solo negli anni ’50 (Pieri, 1956; Rui, 1956; Ambrosi e Lenarduzzi, 1959), periodo in cui l’impiego di alcuni ditiocarbammati nella lotta antiperonosporica e di cloroderivati e fosforganici nel controllo delle tignole dell’uva si era imposto nella pratica aziendale. Negli anni ’60, alcuni ricercatori individuavano le specie coinvolte nelle infestazioni (E. carpini, P. ulmi e T. urticae) e riportavano informazioni preziose sulla loro biologia e sulle possibilità di controllo (Ambrosi e Lenarduzzi, 1959; Rota, 1962; Zangheri e Masutti, 1962; Nucifora e Inserra, 1967). 9.2. LE IPOTESI SULLE CAUSE DI PULLULAZIONE DEGLI ACARI FITOFAGI Le infestazioni di Tetranichidi erano divenute frequenti anche nei vigneti europei e i fattori alla base di questo fenomeno erano materia di discussione. Mathys (1958) e Rambier (1958) ritenevano l’impiego dei nuovi insetticidi e fungicidi organici di sintesi il fattore primario delle pullulazioni dei Tetranichidi, a causa della loro tossicità nei confronti dei relativi antagonisti naturali. Nello stesso periodo, si faceva strada un’altra ipotesi sulle cause di pullulazione: le infestazioni erano causate da modificazioni fisiologiche della pianta ospite, indotte da determinati prodotti antiparassitari, che risultavano favorire la longevità e la fecondità dei Tetranichidi (Chaboussou, 1965, 1970). Quest’affascinante teoria, denominata “trofobiosi”, ha esercitato una notevole influenza sui ricercatori del tempo: si trattava di individuare eventuali attività “stimolanti”, “frenanti” o “neutre” dei prodotti fitosanitari nei confronti degli acari fitofagi ed i meccanismi coinvolti. I primi studi sugli effetti dei prodotti fitosanitari sui principali predatori degli acari fitofagi, gli acari Fitoseidi, avevano messo in discussione la “trofobiosi” (Ivancich Gambaro, 1973). L’autrice aveva osservato infestazioni di Tetranichidi (dapprima E. carpini poi P. ulmi) in seguito all’impiego reiterato del fungicida zineb in luogo dei fungicidi rameici. Propose, per questo vigneto (A), una strategia di difesa basata su trattamenti con poltiglia bordolese e zolfo bagnabile (nonché arseniato di piombo). Un vigneto confinante (B), nel quale erano effettuati trattamenti con zineb (oltre che con esteri fosforici ed acaricidi), costituiva il confronto di riferimento. Nel vigneto A, le densità di E. carpini diminuirono drasticamente grazie all’attività dell’acaro predatore Kampimodromus aberrans (Oudemans). Nel vigneto B, le popolazioni degli acari fitofagi e dei predatori fluttuarono su densità molto contenute anche per l’esecuzione di trattamenti acaricidi. Dopo alcuni anni, le popolazioni di P. ulmi raggiunsero densità molto più elevate nel vigneto B rispetto al vigneto A, nonostante l’applicazione di acaricidi. In un ulteriore contributo sull’argomento, Ivancich Gambaro 174 (1972) portò ulteriori elementi a supporto della nocività dello zineb nei confronti di K. aberrans. Le ricerche di Ivancich Gambaro dimostrarono l’importanza del controllo biologico operato dai Fitoseidi e ridussero la portata degli effetti diretti o indiretti (“trofobiosi”) dei prodotti fitosanitari sui Tetranichidi. Le conclusioni dei suoi lavori erano in linea con quelle di alcuni ricercatori sia in Europa sia in Nord-America (McMurtry et al., 1970). Una serie di ricerche condotte attraverso introduzioni artificiali di K. aberrans, in blocchi trattati con fungicidi diversi, ha successivamente chiarito come l’incremento delle popolazioni dei Tetranichidi sia favorito dalla resistenza acquisita nei confronti di molecole, che risultano invece tossiche nei confronti degli acari predatori (Girolami, 1981; Duso et al., 1983; Duso & Girolami, 1985). Numerosi insetticidi, caratterizzati da tossicità nei confronti dei predatori degli acari fitofagi, hanno creato le premesse per le pullulazioni di Tetranichidi. Storicamente, questo fenomeno è stato osservato per alcuni cloroderivati, esteri fosforici e carbammati (McMurtry et al., 1970). L’avvento dei piretroidi di sintesi, negli anni ’80, è stato associato a notevoli recrudescenze di Tetranichidi sia in frutticoltura sia in viticoltura. Nel caso specifico, i principali fattori scatenanti le infestazioni sono: l’elevata tossicità per i predatori, la repellenza, che induce una maggiore dispersione dei Tetranichidi e gli effetti sui parametri demografici di quest’ultimi (Penman & Chapman, 1988). I meccanismi alla base delle infestazioni dei Tetranichidi alla fine dell’Ottocento erano forse analoghi a quelli riportati in precedenza. L’uso dello zolfo per contenere i danni causati dall’oidio era diminuito nel corso del tempo (Rathay, 1894 in Girolami et al., 1991). È probabile che la resistenza allo zolfo abbia coinvolto gli acari fitofagi prima dei relativi antagonisti naturali. In seguito, lo sviluppo della resistenza allo zolfo, anche nei Fitoseidi, potrebbe aver attenuato i problemi legati ai Tetranichidi fino alla diffusione dei fungicidi e degli insetticidi organici di sintesi, avvenuta nel secondo dopoguerra (Girolami et al., 1991). Al contrario di quanto riportato per i Tetranichidi, la dannosità dell’eriofide Colomerus vitis è rimasta contenuta per oltre un secolo sia in Italia sia in Europa (Targioni-Tozzetti, 1870; Duso e de Lillo, 1996). Solo in Svizzera sono state segnalate infestazioni preoccupanti della specie, in seguito all’adozione di nuovi metodi di potatura (Baggiolini et al., 1969). L’acariosi, sintomatologia causata da infestazioni dell’eriofide Calepitrimerus vitis, è divenuta un problema diffuso a partire dagli anni ’70 sia in Italia (Strapazzon et al., 1986) sia in altri Paesi europei (Carmona, 1978; Baillod e Guignard, 1986; Hluchy e Pospisil, 1992). Tra le cause che hanno scatenato le infestazioni di questa specie, la più probabile appare la selezione di ceppi resistenti ai fungicidi caratterizzati da attività acaricida (ad es. zolfo, dinocap) in un contesto fitoiatrico che prevede l’impiego ripetuto di fungicidi ed insetticidi nocivi per i Fitoseidi (Girolami et al., 1991). 175 9.2.1. Gli effetti della gestione fitoiatrica sui predatori I risultati ottenuti da Ivancich Gambaro (1972, 1973) non mutarono gli orientamenti della gestione fitoiatrica in viticoltura, rimasti influenzati dalla teoria della “trofobiosi”. L’influenza esercitata dalla “trofobiosi” in Europa è percepibile anche nei resoconti dei meeting dell’Organizzazione Internazionale di Lotta Biologica (IOBC) ove venivano prese decisioni sull’opportunità di impiegare o meno un prodotto fitosanitario in base a supposti effetti “frenanti” o “stimolanti” sui Tetranichidi (cfr. Touzeau, 1981). Di conseguenza, la ricerca di soluzioni fitoiatriche ai problemi associati agli acari della vite e dei fruttiferi ebbe il sopravvento sullo sforzo da intraprendere nello studio degli agenti di controllo naturale. I prodotti caratterizzati da attività “acarofrenante” (ad es. mancozeb e dinocap) furono consigliati nella pratica aziendale a scapito di quelli che manifestavano attività “acarostimolante” (Baggiolini et al., 1970; Egger, 1982). Tuttavia, nell’ambito di sperimentazioni diverse, uno stesso prodotto fitosanitario poteva risultare caratterizzato da un’attività “acarostimolante”, “neutra” o “acarofrenante” (Girolami, 1981). Le verifiche sperimentali sull’attendibilità della “trofobiosi” non furono numerose. In una tra le più interessanti, si intese valutare l’effetto di poltiglia bordolese e zineb sulle popolazioni di P. ulmi (Rui e Mori, 1968). È doveroso ricordare che allo zineb erano state attribuite proprietà “acarostimolanti”. Furono riscontrate densità tendenzialmente più elevate di Tetranichidi nelle parcelle trattate con zineb ma le analisi di laboratorio non misero in luce differenze nella composizione chimica fogliare e, in modo particolare, nel tenore di sostanze azotate, ritenuto fondamentale nello “stimolare” le infestazioni di acari, secondo Chaboussou (1965, 1970). Va rilevato che, nel contributo di Rui e Mori (1968), la presenza dei Fitoseidi non era stata presa in considerazione poiché l’effetto dei fungicidi sugli acari predatori era ritenuto trascurabile. 9.3. LA RISCOPERTA DEL CONTROLLO BIOLOGICO NEL CONTESTO DELLA LOTTA INTEGRATA Nel 1984, fu organizzato a Verona un convegno sull’uso del rame in viticoltura in cui Ivancich Gambaro (1984) presentò una serie di dati atti a dimostrare la dannosità dei ditiocarbammati nei confronti dei Fitoseidi. In quella sede, furono presentati anche i risultati ottenuti nel corso di una ricerca sull’effetto di fungicidi a base di ossicloruro di rame o di mancozeb (associati a zolfo o a dinocap) su acari Fitoseidi (K. aberrans), introdotti su differenti parcelle di un vigneto sperimentale (Girolami e Duso, 1984). Nelle tesi che prevedevano l’impiego di fungicidi selettivi per gli acari predatori (ossicloruro di rame e zolfo), le popolazioni di P. ulmi furono controllate da K. aberrans a livelli accettabili. Al 176 contrario, esse raggiunsero livelli considerevoli nelle tesi trattate con fungicidi non selettivi (mancozeb, dinocap) per K. aberrans. Questi contributi dimostrarono che le infestazioni dei Tetranichidi erano influenzate da almeno tre fattori: la risposta degli acari fitofagi ai prodotti fitosanitari, la presenza di acari ed insetti predatori, gli effetti dei prodotti sui predatori ed in particolare sui Fitoseidi (Duso et al., 1983; Girolami e Duso, 1984). Allo stesso tempo, essi avevano posto in evidenza le contraddizioni insite nell’attribuire proprietà “acarostimolanti” o “acarofrenanti” ai prodotti fitosanitari. Nonostante questi risultati, il tentativo di classificare i prodotti in tal senso è rimasto anche negli anni seguenti (Egger, 1990). Ivancich Gambaro aveva auspicato più volte il ritorno ai fungicidi rameici e allo zolfo allo scopo di valorizzare l’attività dei Fitoseidi. Tuttavia, le perplessità (di ordine tecnico) sull’uso reiterato dei rameici stavano relegando questi fungicidi in una posizione secondaria rispetto ad altri antiperonosporici. Allo stesso tempo, erano in corso valutazioni sull’impatto economico delle tignole dell’uva, allo scopo di definire appropriate soglie di intervento e di razionalizzare l’impiego degli insetticidi. Si era diffusa l’opinione che fosse necessario valutare gli effetti dei più comuni fungicidi ed insetticidi sui principali acari ed insetti predatori allo scopo di ridurre gli effetti indesiderati di eventuali trattamenti e di valorizzare l’attività degli antagonisti naturali in un contesto di lotta integrata. 9.3.1. Le componenti del controllo biologico: gli insetti predatori Gli insetti predatori di acari fitofagi sono tendenzialmente oligofagi, hanno uno sviluppo post-embrionale relativamente lungo, un’elevata fecondità e una grande voracità (McMurtry et al., 1970). Essi colonizzano i vigneti quando le popolazioni degli acari fitofagi hanno raggiunto densità rilevanti, spesso quando i sintomi dell’infestazione sono diffusi sulla vegetazione (Girolami, 1981). Pertanto, la loro benefica attività è spesso drasticamente interrotta dagli interventi acaricidi. Il ruolo degli insetti predatori va ridiscusso in relazione alla definizione di soglie d’intervento basate su criteri economici e non sulla diffusione dei sintomi fogliari che possono non rispecchiare un reale impatto economico da parte dei fitofagi. Il complesso degli insetti predatori degli acari della vite può comprendere specie appartenenti alle seguenti famiglie: Tisanotteri Aelotripidi, Eterotteri Antocoridi e Miridi, Neurotteri Crisopidi, Ditteri Cecidomiidi, Coleotteri Coccinellidi e Stafilinidi (Zangheri e Masutti, 1962; Duso e Girolami, 1985; Remund et al., 1989). Le interazioni tra gli insetti predatori e gli acari dannosi alla vite sono state oggetto di un numero limitato di studi. Gli Antocoridi Orius vicinus (Ribaut) e Orius majusculus (Reuter) sono risultati efficaci nel controllo di P. ulmi nei vigneti dell’Italia nord-orientale (Duso e Girolami, 1982; Duso e 177 Pasqualetto, 1993). In Germania, sono state effettuate osservazioni analoghe su Orius minutus L. (Hill e Schlamp, 1987). Gli Antocoridi possono predare anche i Fitoseidi, influenzando negativamente l’esito delle introduzioni degli acari predatori nei vigneti (Duso, 1989). Anche il coccinellide Sthetorus punctillum Weise ed il neurottero Chrysoperla carnea (Stephens) hanno un certo ruolo nei vigneti europei (Zangheri e Masutti, 1962; Haub et al., 1983). 9.3.2. Le componenti del controllo biologico: gli acari predatori Gli acari predatori potenzialmente riscontrabili nei vigneti europei appartengono a più famiglie (Fitoseidi, Stigmeidi, Tideidi, Trombididi, Ascidi, ecc.). Gli Stigmeidi (soprattutto Zetzellia mali Ewing) sono stati oggetto di indagini accurate in Sicilia (Inserra, 1970). I Tideidi sono molto diffusi nei vigneti ma il loro ruolo nel controllo degli acari fitofagi della vite non è stato ancora definito. Recenti studi sulla biologia ed il comportamento di alcune specie (soprattutto Tydeus caudatus Dugés e T. californicus Banks) hanno dimostrato che questi acari si nutrono attivamente di polline e di micelio fungino (Liguori et al., 2002; Duso et al., 2005). L’importanza dei Fitoseidi nei vigneti europei è stata suggerita negli anni ’50 e ’60 (Mathys, 1958; Rambier, 1958; Schruft, 1967) ma le prime dimostrazioni sulla loro efficacia sono state pubblicate a partire dagli anni ’70 (Ivancich Gambaro, 1973; Boller, 1978; Girolami, 1981; Baillod et al., 1982). Negli anni ’80 e ’90, l’interesse sui Fitoseidi quali agenti di controllo biologico degli acari fitofagi della vite è fortemente aumentato. Sono state effettuate numerose indagini faunistiche sui Fitoseidi della vite sia in Italia (ad es. Liguori, 1980; Duso e Liguori, 1984; Lozzia et al., 1984; Vacante e Tropea Garzia, 1985; Ragusa e Ciulla, 1989; Nicotina et al., 1990) sia all’estero (ad es. Baillod e Venturi, 1980; PapaioannouSouliotis, 1981; El-Borolossy e Fischer-Colbrie, 1989; Kreiter e Brian, 1989; Fischer-Colbrie e El-Borolossy, 1990; Garcia-Marì et al., 1987; Villaronga et al., 1991). In una prima sintesi sull’argomento sono state riportate 23 specie di Fitoseidi nei vigneti italiani (Castagnoli, 1989). Indagini più recenti hanno contribuito a delineare in modo più dettagliato l’acarofauna della vite in alcune regioni (ad es. Nicotina, 1996a, 1996b; Ragusa Di Chiara e Tsolakis, 2001). L’insieme dei reperti ottenuti ha chiarito che le specie più comuni nei vigneti italiani sono Typhlodromus pyri Scheuten, K. aberrans e Amblyseius andersoni (Chant) al Nord, Typhlodromus exhilaratus Ragusa, Phytoseius finitimus Ribaga e K. aberrans al Centro-Sud. Le conoscenze sull’acarofauna di alcuni ambienti insulari, come la Sicilia, suggeriscono un quadro più complesso rispetto a quello riscontrato in altre regioni (Ragusa Di Chiara e Tsolakis, 2001). I recenti contributi pubblicati in Francia (Kreiter et al., 2000) e in Grecia (Papaioannou-Souliotis et al., 1999) apportano interessanti elementi di confronto. 178 9.3.3. La presenza degli acari predatori Fitoseidi nei vigneti europei La maggior parte dei Fitoseidi che colonizza i vigneti italiani ed europei appartiene alla categoria dei predatori generalisti (McMurtry, 1992; McMurtry e Croft, 1997). Le loro caratteristiche comuni sono: potenziale riproduttivo e voracità limitati (rispetto ai Fitoseidi specialisti e ai macropredatori), ampio regime alimentare (prede, polline, funghi patogeni, essudati, ecc,), stretta associazione con la pianta ospite, distribuzione all’interno della pianta più ampia rispetto a quella della preda. I Fitoseidi generalisti sono dominanti nelle colture poliennali dove svolgono un ruolo fondamentale nel controllo degli acari fitofagi (McMurtry, 1992). L’analisi dei rapporti predatore/preda ha portato i ricercatori ad affermare che l’efficacia del predatore è correlata alla capacità di incremento delle sue popolazioni (rm) e alla rapidità con cui elimina la preda. Tale affermazione, coniata per i predatori specializzati sui Tetranichidi o sulle specie del genere Tetranychus come Phytoseiulus persimilis Athias-Henriot, non si adatta necessariamente ai Fitoseidi “generalisti”. Infatti, la loro efficacia è dovuta ad altre caratteristiche: la persistenza a basse densità di preda, la sopravvivenza su alimenti alternativi, la capacità di autoregolazione delle popolazioni, la competitività nei confronti di altri predatori (McMurtry e Croft, 1997). La valutazione dell’efficacia dei Fitoseidi generalisti, nel controllo degli acari fitofagi della vite, costituisce un argomento di grande interesse. Le indagini su tali aspetti possono essere svolte su scala diversa (in laboratorio, semi-campo, pieno campo) in modo tale da fornire un insieme di informazioni di base ma anche indicazioni realistiche per eventuali interventi inoculativi. Un’analisi delle caratteristiche di T. pyri e di A. andersoni, due tra le specie più studiate tra i Fitoseidi, può costituire un esempio interessante per questo tipo di valutazione. In laboratorio, sono stati calcolati i parametri demografici ed analizzate le preferenze alimentari di T. pyri e di A. andersoni. Essi si sviluppano e si riproducono su P. ulmi, E. carpini, Eriofidi (Col. vitis) e polline. Entrambi hanno uno sviluppo più veloce ed un tasso di ovideposizione più alto sugli Eriofidi o su polline. A. andersoni ha tempi di sviluppo relativamente più brevi e tassi di ovideposizione relativamente più elevati rispetto a T. pyri (Duso e Camporese, 1991). Sulla base di questi dati, A. andersoni possiede un tasso innato di accrescimento delle popolazioni (rm) più elevato. Considerata l’importanza di questo parametro, A. andersoni dovrebbe essere preferito a T. pyri, per eventuali introduzioni nei vigneti, laddove le due specie siano presenti. Le verifiche di pieno campo sull’efficacia delle due specie hanno offerto un quadro diverso da quello atteso. Una volta introdotti simultaneamente in vigneti sperimentali dell’Italia nord-orientale, T. pyri ha controllato efficacemente le popolazioni di P. ulmi e di E. carpini a differenza di quanto effettuato da A. andersoni (Duso, 1989). Inoltre, le popolazioni di A. andersoni fluttuano nel corso delle stagioni alternando fasi di permanenza 179 a fasi di rarefazione in cui i vigneti sono esposti ad eventuali infestazioni di acari fitofagi. Le popolazioni di T. pyri persistono più a lungo nei vigneti; tale aspetto offre maggiori garanzie per il controllo di eventuali focolai di acari fitofagi. Evidentemente, nella valutazione delle “performance” dei Fitoseidi generalisti è necessario prendere in considerazione fattori diversi dal tasso di accrescimento delle popolazioni. 9.3.4. Le specie di Fitoseidi più comuni nei vigneti dell’Italia settentrionale 9.3.4.1 Typhlodromus pyri E’ stato considerato il più importante predatore degli acari fitofagi della vite in Europa (Boller, 1978, Baillod et al., 1982; Schruft, 1985; Hluchy et al., 1991; Kreiter et al., 2000). Il suo regime alimentare comprende, oltre ai principali Tetranichidi ed Eriofidi della vite, i Tisanotteri (ad es. Drepanothrips reuteri Uzel), svariati pollini di specie anemofile e micelio fungino (Boller e Frey, 1990; Maixner, 1990; Wiedmer e Boller, 1990; Eichhorn e Hoos, 1990; Engel e Ohnesorge, 1994a; Perez-Moreno e Moraza, 1997; Duso et al., 2003; Pozzebon et al., 2005). La rimozione sperimentale di T. pyri in un vigneto fu associata ad incrementi numerici di P. ulmi, D. reuteri e Col. vitis. La riduzione di una di queste prede non conseguì un corrispondente declino di T. pyri probabilmente per la disponibilità di alimenti alternativi (Engel e Onhesorge, 1994b). Le condizioni climatiche calde e siccitose, la morfologia fogliare (scarsa densità di tricomi) di alcune varietà, la competizione con altri Fitoseidi o con i macropredatori (ad es. Antocoridi) possono essere associati ad effetti negativi sulle popolazioni di T. pyri (Duso et al., 1991; Duso, 1992; Duso e Pasqualetto, 1993). La competizione tra T. pyri e gli altri Fitoseidi (ad es. A. andersoni) è spesso mediata dalle caratteristiche varietali: la specie raggiunge densità più rilevanti e compete con maggior successo sulle varietà caratterizzate da superfici fogliari tomentose (Camporese e Duso, 1996; Duso e Vettorazzo, 1999). È possibile che il ruolo di T. pyri nei vigneti italiani ed europei sia stato amplificato dalla diffusione di ceppi resistenti a insetticidi e fungicidi non selettivi per altre specie (Maixner, 1990; Vidal e Kreiter, 1995; Auger et al., 2004a, 2004b, 2005). 9.3.4.2 Amblyseius andersoni È una specie comune nei vigneti italiani (Castagnoli, 1989; Nicotina, 1990 et al., 1990) ed è presente in alcune aree viticole europee (Schruft, 1967; Baillod e Venturi, 1980; El Borolossy e Fischer-Colbrie, 1989; Villaronga et al., 1991; Kreiter et al., 2000). In laboratorio, A. andersoni può svilupparsi e riprodursi su varie specie di acari fitofagi della vite, su Tisanotteri, polline e micelio fungino (Duso e Camporese, 1991; Pozzebon et al., 2005). Nonostante questi risultati, il controllo di P. ulmi è caratterizzato da risultati alterni (Duso, 1989; Vila et al., 1989; Camporese e Duso, 1996) e quello di E. carpini appare difficoltoso (Duso, 1989; Duso e Vettorazzo, 180 1999). Gli Eriofidi giocano un ruolo importante nella persistenza di A. andersoni nei vigneti (Duso e de Lillo, 1996). La diffusione della peronospora può causare notevoli incrementi demografici a fine estate (Duso et al., 2003). Le implicazioni di questo fenomeno sul controllo degli acari fitofagi non sono chiare mentre è stata osservata un’aumentata capacità competitiva nei confronti delle specie predatrici coesistenti. Nonostante il controllo dei Tetranichidi della vite da parte di A. andersoni non sia sempre soddisfacente, a differenza di quanto rilevato nei frutteti (Ivancich Gambaro, 1986), rimane un certo interesse nei confronti di questa specie a causa della sua capacità di selezionare ceppi resistenti nei confronti di ditiocarbammati ed esteri fosforici (Ivancich Gambaro, 1975; Duso et al., 1992; Angeli e Ioriattti, 1994). Tuttavia, l’importanza del fattore “resistenza ai prodotti fitosanitari” è apparsa talvolta prevalente rispetto all’opportunità di approfondire le conoscenze sulle caratteristiche biologiche, ecologiche ed etologiche dei predatori (Caccia et al., 1985; Ioriatti e Baillod, 1985; Vila et al., 1989). 9.3.4.3 Kampimodromus aberrans K. aberrans è diffuso soprattutto in Italia, Portogallo, Spagna, Francia e Grecia (Castagnoli, 1989; Carmona e Ferreira, 1989; Villaronga et al., 1991; Kreiter et al., 1993; Papaioannou-Souliotis et al., 1999). Le difficoltà insite nell’allevamento di K. aberrans non hanno consentito di ottenere risultati soddisfacenti nello studio dei parametri demografici in relazione agli acari della vite (Dosse, 1956; Daftari, 1979). Alcune ricerche suggeriscono che i valori dei parametri demografici di K. aberrans (su polline) siano più vicini a quelli di T. pyri che di A. andersoni (Schausberger, 1992; Kasap, 2005). K. aberrans può svilupparsi su oidio del melo (Podosphaerca leucotricha Ellis & Everh) (Daftari, 1979), nutrirsi di peronospora della vite (Duso et al., dati non pubblicati) e sfruttare i succhi cellulari (Kreiter et al., 2002). Ivancich Gambaro (1987) ha sottolineato la risposta numerica di K. aberrans all’incremento delle prede (E. carpini), la notevole capacità di accrescimento delle popolazioni del predatore anche in virtuale assenza di Tetranichidi, gli andamenti delle popolazioni che presentano similarità negli anni. È stata dimostrata una relazione positiva tra la disponibilità di polline sull’apparato fogliare della vite e l’abbondanza di K. aberrans che può contribuire a spiegare la grande persistenza della specie nei vigneti e l’andamento tipico delle popolazioni (Duso et al., 1997a; Malagnini, dati non pubblicati). Le densità di K. aberrans sono tendenzialmente più elevate sulle varietà caratterizzate da superfici fogliari tormentose e questo fattore risulta importante nella competizione con le altre specie di Fitoseidi (Duso, 1992; Coiutti, 1993; Duso e Vettorazzo, 1999). L’efficacia di K. aberrans nel controllo delle popolazioni di E. carpini, suggerita dai lavori di Ivancich Gambaro (1973), è stata confermata in contributi successivi (Duso e Girolami, 1985; Villaronga et al., 1991; 181 Arias et al., 1992; Kreiter et al., 1993). Le prime indagini comparative sul controllo di P. ulmi e di E. carpini da parte di K. aberrans, hanno dimostrato che, nell’Italia nord-orientale, la specie è efficace quanto T. pyri (Duso, 1989; Girolami et al., 1992). Successivamente, è emerso che K. aberrans risente meno di T. pyri dell’impatto di determinati fattori ambientali, quali le elevate temperature, la competizione con altri predatori, le caratteristiche della pianta ospite (Duso e Pasqualetto, 1993; Duso e Vettorazzo, 1999). La competitività di K. aberrans rispetto a T. pyri, osservata in queste indagini, non è dovuta ad un tasso di predazione più elevato della prima specie sulla seconda (Schausberger, 1997) ma, probabilmente, ad una migliore conversione degli alimenti in biomassa destinata alle uova (Duso, non pubblicato). Il ruolo di K. aberrans nel controllo degli Eriofidi della vite (soprattutto Cal. vitis) è stato rilevato in alcune esperienze effettuate nell’Italia settentrionale (Duso e de Lillo, 1996). La sensibilità di K. aberrans nei confronti dei più comuni prodotti fitosanitari ha costituito un freno per la valorizzazione della specie nel contesto della lotta integrata, fatta eccezione per alcune situazioni locali (Corino et al., 1986; Marchesini e Ivancich Gambaro, 1989). La comparsa di ceppi resistenti al mancozeb e ad alcuni esteri fosforici, riscontrata in più ambienti negli anni ’90, ha favorito la diffusione della specie in alcune aree viticole italiane (Vettorello e Girolami, 1992; Posenato, 1994). Di conseguenza, l’interesse per K. aberrans è aumentato anche in altri Paesi europei come la Francia, ove sono stati riscontrati ceppi di K. aberrans caratterizzati da un certo livello di resistenza nei confronti del mancozeb (Kreiter et al., 2000; Auger et al., 2004). 9.3.5. I Fitoseidi più comuni nei vigneti dell’Italia centro-meridionale 9.3.5.1 Tyhlodromus exhilaratus È una delle specie più importanti nei vigneti dell’Italia centro-meridionale (Liguori, 1980; Castagnoli, 1989; Ragusa e Ciulla, 1989; Nicotina et al., 1990). È comune anche in Spagna, Francia e Grecia (Villaronga et al., 1991; Tixier et al., 2002b; Papaiannou-Souliotis et al., 2003). I costumi alimentari di T. exhilaratus sono stati studiati in Sicilia ove la specie è comune sui Citrus. In laboratorio, T. exhilaratus può sviluppare e riprodursi su Panonychus citri (McGregor), T. urticae e polline (Ragusa, 1979; Ragusa, 1981). Lo sviluppo di T. exhilaratus è più rapido su E. carpini, Col. vitis e polline che su P. ulmi; l’ovideposizione ha raggiunto livelli più elevati su E. carpini e su polline (Castagnoli e Liguori, 1986a). Questi ed altri studi hanno chiarito come E. carpini costituisca la preda d’elezione per T. exhilaratus (Liguori e Guidi, 1991; Castagnoli e Liguori, 1986b, 1989; Castagnoli et al., 1989). Nei vigneti della Toscana, è emerso come T. exhilaratus esibisca un’efficace risposta numerica nei confronti di E. carpini, che talvolta è mediata dalla presenza degli Eriofidi (Castagnoli e Liguori, 1985; 182 Liguori, 1987; Castagnoli et al., 1991). Le popolazioni di T. exhilaratus raggiungono densità tendenzialmente più elevate su cultivar caratterizzate da superfici fogliari tomentose (Castagnoli et al., 1997). La possibilità di tollerare sia alcuni prodotti fitosanitari sia livelli di umidità relativa relativamente bassi costituiscono elementi molto importanti nell’affermazione di T. exhilaratus nei vigneti dell’Italia centro-meridionale (Liguori, 1987, 1988; Liguori e Guidi, 1995). 9.3.5.2 Phytoseius finitimus È stato riscontrato in un certo numero di vigneti poco trattati dell’Italia settentrionale (Duso e Moretto, 1994) mentre è decisamente più diffuso nell’Italia centro-meridionale (Castagnoli, 1989; Ragusa e Ciulla, 1989; Nicotina, 1996b,), in Grecia (Papaioannou-Souliotis et al., 1999) e in alcuni ambienti francesi come la Corsica (Kreiter et al., 2000). Pertanto, è probabile che Ph. finitimus abbia selezionato, almeno localmente, dei ceppi resistenti (Nicotina e Cioffi, 1997). Il regime alimentare di questa specie comprende Tetranichidi, Eriofidi e polline (Zaher et al., 1969; Rasmy e El-Banhawy, 1975). La fenologia della specie è stata oggetto di osservazioni in Italia (Castagnoli e Liguori, 1985; Duso e Moretto, 1994) e in Grecia (Papaioannou-Souliotis et al., 1999). Ph. finitimus esibisce una chiara preferenza per le varietà caratterizzate da superfici fogliari tomentose (Rasmy e El-Banhawy, 1974; Castagnoli e Liguori, 1985; Duso e Moretto, 1994; PapaioannouSouliotis et al., 1999). La specie sembra avere un certo potenziale per controllare P. ulmi (Duso e Moretto, 1994; Duso e Vettorazzo, 1999). 9.3.5.3 Typhlodromus phialatus È segnalato nei vigneti dell’Italia centro-meridionale (Castagnoli, 1989), della Francia meridionale (Kreiter et al., 1993; Tixier et al., 1998) ma soprattutto della Spagna ove colonizza frequentemente anche altri agroecosistemi (Garcia-Marí et al., 1987; Villaronga et al., 1991). Il comportamento alimentare della specie è stato oggetto di indagini di laboratorio (Ferragut et al., 1987) ma il suo ruolo nel controllo degli acari fitofagi della vite richiede studi approfonditi. 9.4. L’ INFLUENZA FITOSEIDI DELLA BIODIVERSITÀ BOTANICA SULLA PRESENZA DEI I vigneti di aziende a conduzione famigliare, oltre a subire un numero limitato di trattamenti, sono spesso contigui a colture poco o per nulla trattate e a vegetazione spontanea. Le indagini effettuate nell’Italia centro-meridionale hanno dimostrato che, in queste situazioni, più specie di Fitoseidi coesistono sulla vite con rapporti spesso influenzati dalla loro predominanza nell’ambito dell’agroecosistema (Nicotina et al., 2002, 2003). 183 È plausibile che gli ambienti mediterranei siano caratterizzati da una maggior biodiversità rispetto a quanto si osserva nell’Italia settentrionale. Nel corso di indagini svolte nei vigneti siciliani sono state riscontrate 21 specie di Fitoseidi mentre nell’Italia nord-orientale (Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia) sono state censite 16 specie in un ventennio d’indagini. In Sicilia, si riscontra una presenza ragguardevole di entità diverse da quelle ritenute importanti nei vigneti, come Amblydromella crypta (Athias-Henriot), Euseius stipulatus (Athias-Henriot) e Iphiseius degenerans (Berlese) (Ragusa Di Chiara e Tsolakis, 2001). La biologia, il comportamento e le interazioni di queste specie con le prede potenziali presenti nei vigneti merita di essere ulteriormente approfondito (Ferragut et al., 1987; Ragusa e Tsolakis, 1998). Le specie più comuni nei vigneti siciliani possono colonizzare con una certa frequenza anche gli ambienti non coltivati adiacenti alle coltivazioni (Tsolakis et al., 1997). Questi ed altri reperti individuano l’acarofauna siciliana, e di alcune aree dell’Italia meridionale, come un caso di studio molto interessante ai fini della conservazione e della valorizzazione della biodiversità (Tsolakis et al., 1997; Ragusa e Tsolakis, 2001). Questo filone di ricerche, è stato affrontato anche in altre realtà europee (Tixier et al., 2000; Barbar et al., 2005). Le indagini sull’acarofauna della vite negli ambienti viticoli italiani indicano la presenza più o meno sistematica di alcune specie di Fitoseidi che raramente assumono una posizione dominante. Tale fenomeno potrebbe essere dovuto ad una sensibilità della specie nei confronti dei più comuni prodotti fitosanitari come nel caso di Ph. macropilis Banks (= Ph. horridus Ribaga?), o di Euseius finlandicus (Oudemans), entità che hanno una certa diffusione nei vigneti poco trattati dell’Italia settentrionale (Lozzia e Rigamonti, 1990; Coiutti, 1993; Duso et al., 1993; Duso e Ren, 1987) o di altri ambienti centro-europei (Baillod e Venturi, 1980). Altre specie, come Paraseiulus talbii (Athias-Henriot), sono relativamente diffuse anche nei vigneti trattati con prodotti poco selettivi ma non assurgono quasi mai ad un ruolo dominante. P. talbii può sviluppare a carico dei più comuni Tetranichidi, Eriofidi e Tideidi della vite ma si riproduce in modo ottimale solo sui Tideidi (Camporese e Duso, 1995). Esso può divenire numeroso nei vigneti in cui i Tideidi sono molto diffusi ma il suo ruolo nel controllo degli acari fitofagi della vite appare marginale (Duso e Ren, 1997; Duso et al., 2005). 9.5. L’EVOLUZIONE DEL CONTROLLO BIOLOGICO ED INTEGRATO DEGLI ACARI DANNOSI ALLA VITE Il controllo integrato degli acari alla vite prevede prima di tutto approfondite conoscenze su biologia, ecologia e dannosità delle principali specie, che portano a definire soglie di intervento basate sull’impatto economico. Gli interventi acaricidi dovrebbero 184 rappresentare un’opzione estrema poiché il numero di molecole disponibili è limitato, il rischio della resistenza è rilevante, la selettività sugli eventuali predatori presenti è parziale o trascurabile. Parallelelamente, sono richieste conoscenze sul complesso degli antagonisti naturali che insiste in una determinata area. Se questi non sono stati falcidiati irrimediabilmente, è opportuno porre in atto una serie di interventi atti a salvaguardare la sopravvivenza dei predatori autoctoni e, possibilmente a potenziarne l’attività. Questi interventi comprendono essenzialmente l’adozione di soglie d’intervento bilanciate (rapporto predatore/preda), l’impiego di prodotti caratterizzati da una certa selettività nei confronti degli organismi utili, la gestione delle tecniche colturali. Tuttavia, è possibile che ripetuti interventi fitosanitari abbiano falcidiato i predatori su vasta scala, come può accadere nelle aree a monocoltura omogeneamente trattate. In queste situazioni, è preferibile intervenire attraverso introduzioni artificiali di Fitoseidi. 9.5.1. La valutazione della dannosità degli acari Tetranichidi e le soglie d’intervento Le conoscenze dei fattori che favoriscono l’abbondanza degli acari fitofagi nei vigneti sono approfondite solo per alcune specie. Nel presente lavoro si farà riferimento solo a P. ulmi data la sua maggior importanza in Italia. L’innalzamento della temperatura (entro certi valori) e l’alto contenuto fogliare di carboidrati, aminoacidi e alcuni elementi minerali rappresentano fattori che favoriscono P. ulmi (Ramsdell e Jubb, 1979; Schreiner, 1984; Wermelinger et al., 1992). Al contrario, la pioggia, le elevate umidità relative, l’alto livello di potassio e di composti fenolici nelle foglie ostacolano l’incremento delle popolazioni di P. ulmi (Schreiner, 1984; Borgo e Giorgessi, 1987; Wermelinger et al., 1992). La frequenza e l’intensità delle infestazioni di P. ulmi possono variare in funzione dei genotipi di vite cui sono associate le caratteristiche delle foglie: a superfici fogliari tomentose corrispondono spesso densità di acari fitofagi più elevate (Schreiner, 1984; Rilling, 1989). Nei vigneti esposti alle infestazioni di Tetranichidi è necessario razionalizzare gli interventi acaricidi, per ridurre l’insorgere della resistenza, attraverso l’esecuzione di campionamenti atti a stabilire il superamento delle soglie d’intervento. Baillod et al. (1979) hanno proposto un metodo sequenziale per monitorare l’abbondanza dei Tetranichidi nella stagione vegetativa attraverso un rapporto tra foglie occupate e non occupate da acari. In base a questo metodo, sono state proposte delle soglie d’intervento per P. ulmi (e per E. carpini) variabili dal 30% al 60% di foglie infestate. Le soglie proposte corrispondono al massimo a 2-5 forme mobili per foglia, vale a dire a densità di popolazione troppo basse per causare un danno economico (Girolami, 185 1981). Infatti, indagini pluriennali svolte nell’Italia nord-orientale hanno dimostrato che densità di circa 20 forme mobili per foglia di P. ulmi non arrecano danni alla produzione. Pertanto, per questa specie è stata proposta una soglia d’intervento prudenziale di 10-20 forme mobili per foglia in funzione delle caratteristiche delle piante ospiti, delle condizioni ambientali e delle densità di predatori presenti (Girolami, 1981; Girolami et al., 1989). L’impatto delle popolazioni di E. carpini sulla vegetazione appare superiore a quello esercitato da P. ulmi, e pertanto, è stata proposta una soglia d’intevento di 6-10 forme mobili per foglia (Girolami et al., 1989). Sulla base di queste considerazioni e della distribuzione binomiale della specie, Girolami e Mozzi (1984) hanno proposto un metodo di campionamento per P. ulmi basato sul numero cumulato di acari per foglia. Questo approccio non ha trovato molto seguito in Italia né in altri Paesi europei poiché le soglie d’intervento sono state ritenute troppo elevate. Tuttavia, ricerche approfondite, svolte successivamente, hanno dimostrato che densità di popolazione ancora più alte di P. ulmi non provocano ripercussioni sui principali parametri fisiologici della vite; ad esempio, la fotosintesi netta di viti infestate da più di 3.500 acarigiorno/foglia (densità massime di 60 acari per foglia) non ha subito alterazioni (Candolfi et al., 1993b). Ulteriori studi hanno dimostrato che il raccolto, la qualità degli acini e lo sviluppo vegetativo di tre varietà non sono stati influenzati da densità cumulate di più di 36.000 acari-giorno per foglia (Candolfi et al., 1993a). Va sottolineato come gli studi riportati siano stati condotti su piante in vaso e in condizioni ottimali da punto di vista idrico e nutrizionale; è possibile che in condizioni di pieno campo la risposta da parte delle viti infestate sia diversa. È interessante osservare che in un recente studio, effettuato in un vigneto dell’Italia nord-orientale, densità cumulate di circa 1500 acari-giorno per foglia (con densità massime superiori a 40 forme mobili per foglia) non hanno influenzato i parametri produttivi (Duso e Facchin, dati non pubblicati). Relativamente agli studi sulla dannosità degli altri acari fitofagi della vite si segnalano i contributi di Candolfi (1991), Candolfi et al. (1991, 1992), Arias e Nieto (1981, 1983) su T. urticae, nonché di Carmona (1978), Hluchy e Pospisil (1992) e Bernard et al. ( 2005) su Cal. vitis. 9.5.2. La scelta degli acaricidi Nella scelta degli acaricidi è necessario conoscere le caratteristiche sia dei principi attivi (aspetti tossicologici ed ecotossicologici) sia dell’azienda (biologica, inserita in un contesto di gestione integrata, convenzionale, ecc.). I principali fattori tecnici da considerare nell’impiego degli acaricidi sono la specificità (su uova, forme giovanili o adulti), lo spettro d’azione (su Tetranichidi e/o Eriofidi), la persistenza, i meccanismi d’azione (diffusione di ceppi resistenti), gli effetti collaterali 186 sugli antagonisti naturali dei fitofagi. Le informazioni sull’attività degli acaricidi nei confronti dei Tetranichidi dei vigneti non sono vaste. Relativamente agli ambienti italiani, un confronto tra alcuni principi attivi tradizionali e di sintesi più recente (acrinathrin, tebunfenpyrad, pyridaben, fenazaquin, flufenoxuron, dicofol) ha dimostrato che la maggior parte di questi prodotti manifesta un’efficacia soddisfacente nel controllo di P. ulmi (Morando et al., 1998). Alcuni tra questi acaricidi (acrinathrin, fenazaquin, flufenoxuron) ed altri prodotti (fenpyroximate, amitraz, bromopropylate, spirodiclofen) possono esercitare un controllo soddisfacente anche sull’eriofide Cal. vitis (Antonacci et al., 2000; de Lillo et al., 2004). I principali fattori genetici ed ecologici che hanno causato l’insorgere della resistenza negli acari sono: la partenogenesi arrenotoca, l’alto tasso di riproduzione, il basso flusso genico tra popolazioni che vivono su piante trattate e non trattate (Croft e Van de Baan, 1988). Nonostante la letteratura specifica sia molto vasta, sono stati documentati rari casi di resistenza nei Tetranichidi dei vigneti. Rambier (1964) ha riportato la resistenza all’insetticida-acaricida demeton-methyl in una popolazione francese di P. ulmi. Più recentemente, sono state riportate segnalazioni di mancata efficacia di alcuni acaricidi specifici nei confronti di P. ulmi nell’Italia nord-orientale. Tuttavia, non è chiaro se tale fenomeno sia dovuto alla comparsa di ceppi resistenti o ad altri fattori. 9.5.3. Gli effetti collaterali dei prodotti fitosanitari sui predatori degli acari fitofagi Lo sviluppo della lotta integrata è stato accompagnato da un incremento progressivo di dati sugli effetti collaterali dei prodotti fitosanitari sugli antagonisti naturali degli artropodi dannosi alle colture. Nel 1974, l’Organizzazione Internazionale per la Lotta Biologica (IOBC) ha creato il gruppo di lavoro “Pesticides and Beneficial Arthropods” (poi divenuto “Pesticides and Beneficial Organisms”) per sviluppare tecniche di allevamento e metodi di valutazione dell’impatto dei prodotti fitosanitari sugli artropodi utili. Tra quest’ultimi, sono stati considerati alcuni Fitoseidi (soprattutto T. pyri e P. persimilis) e insetti predatori. I risultati di queste indagini congiunte sono stati pubblicati a più riprese (ad es. Hassan et al., 1994). Sono stati messi a punto dei metodi sequenziali da seguire nella valutazione della tossicità. Inizialmente, vanno impiegati metodi di laboratorio che coinvolgono gli stadi più sensibili (larve o protoninfe); se la tossicità supera un certo livello (ad es. il 30% della mortalità) le prove sono effettuate su stadi meno sensibili (femmine) o in condizioni di ridotta esposizione; se la tossicità persiste, si passa alle prove di pieno campo (Hassan, 1992). A partire dalla seconda metà degli anni ’90, le procedure da seguire nella registrazione dei nuovi prodotti fitosanitari in Europa hanno preso in considerazione anche la loro tossicità nei confronti di un certo numero 187 di artropodi utili rappresentativi. Parallelamente, è iniziato un programma di revisione dei prodotti già in commercio in cui sono stati presi in considerazione anche questi aspetti. Grazie all’esperienza maturata nel gruppo di lavoro IOBC “Pesticides and beneficial arthropods” e al contributo di altri comitati internazionali (ESCORT, SETAC e EPPO), sono state individuate le specie da valutare nelle prove ecotossicologiche, i metodi da impiegare e i criteri da seguire nell’interpretazione dei dati raccolti. Negli ultimi decenni sono stati pubblicati numerosi contributi sulla selettività dei prodotti fitosanitari nei confronti delle specie di Fitoseidi più comuni nei vigneti europei (ad es. Baillod et al., 1982; Ioriatti e Baillod, 1985; Duso e Girolami, 1985; Englert e Maixner, 1988; Schruft et al., 1992; Camporese et al., 1993; Angeli et al., 1997). In alcuni casi, le metodologie seguite sono meno rigorose rispetto agli standard attuali ma i risultati raggiunti sono degni di considerazione in quanto indicativi di realtà specifiche. Gli effetti collaterali di un prodotto possono variare nel corso del tempo in seguito alla selezione di ceppi caratterizzati da una crescente resistenza. Le indagini svolte negli ultimi decenni hanno messo in luce un effetto blando di alcune categorie di fungicidi (ad es. rameici, ftalimidici) sugli acari predatori. Al contrario, l’effetto dei ditiocarbammati, considerato deleterio fino agli anni ’80 (Marchesini, 1989), è apparso compatibile con la sopravvivenza dei Fitoseidi in alcuni contributi pubblicati a partire dagli anni ’90 (Angeli e Ioriatti, 1994; Posenato, 1994; Pozzebon et al., 1999; Blümel et al., 2000). È stata riscontrata una certa correlazione tra l’impiego di mancozeb nel passato aziendale e i livelli di resistenza acquisiti da T. pyri nei confronti dello stesso fungicida (Auger et al., 2004a, 2004b). Molti tra i recenti fungicidi (ad es. azoxystrobin, dimetomorph, esaconazolo, quinoxyfen) sono caratterizzati da una certa selettività nei confronti dei Fitoseidi (Angeli et al., 1997; Kreiter et al., 1997; Nicotina et al., 2004). La sensibilità dei Fitoseidi nei confronti degli esteri fosforici ha subito anch’essa importanti variazioni nel corso del tempo. In Italia, la presenza di ceppi resistenti di Fitoseidi nei vigneti è stata riscontrata a partire dagli anni ’80 (ad es. Corino et al., 1986; Duso et al., 1992), ma tale fenomeno si è diffuso solo più tardi. Ricerche effettuate nel Veronese hanno dimostrato che, nell’ambito di un’area viticola non particolarmente vasta, possono coesistere popolazioni di K. aberrans, relativamente sensibili o resistenti nei confronti degli esteri fosforici a seconda del loro impiego nel passato. Questo fattore spiega l’eventuale discordanza dei dati che provengono da analisi effettuate su popolazioni differenti e suggerisce un approccio rigoroso nell’interpretazione dei risultati che portano a valutare la selettività di un prodotto (Mori et al., 1999; Girolami et al., 2001b). Gli effetti dei moderni insetticidi sui Fitoseidi non sono generalizzabili. Principi attivi diversi, appartenenti al gruppo dei chitinoinibitori, 188 possono esercitare effetti più o meno marcati su acari ed insetti predatori (Angeli et al., 1997, 2005; Kreiter et al., 1997; Girolami et al., 2001a, 2001b). Il fenossiderivato etofenprox è stato associato ad effetti negativi su K. aberrans mentre alcuni juvenoidi, ecdisoidi e neonicotinoidi sono caratterizzati da una certa selettività nei confronti di K. aberrans e T. pyri (Kreiter et al., 1997; Mori et al., 1999). La grande variabilità nelle componenti faunistiche, nelle condizioni ambientali e nelle tecniche colturali nel nostro Paese rende difficile un’opera di armonizzazione della massa di dati che sono prodotti periodicamente sugli effetti collaterali dei prodotti fitosanitari sui Fitoseidi. In Francia, i ricercatori hanno cercato di riorganizzare e riassumere i risultati sperimentali delle prove effettuate sotto forma di pubblicazioni sintetiche a uso di tecnici ed operatori (ad es. Kreiter et al., 1997). Uno sforzo in tal senso è auspicabile anche in Italia. Infine, si sottolinea da tempo come le specie bersaglio dei metodi ecotossicologici prese in considerazione nelle metodologie ufficiali dell’Unione Europea, siano spesso poco rappresentative per i Paesi mediterranei. 9.5.4. La gestione dell’agroecosistema vigneto Le tecniche colturali come la scelta della cultivar, la potatura, la fertilizzazione ed il diserbo possono esercitare un effetto importante sugli acari dannosi alla vite nonché sui relativi antagonisti naturali. Talvolta, è possibile agire su questi fattori senza alterare gli obiettivi prioritari delle aziende. È noto che sulle varietà caratterizzate da superfici fogliari tomentose (ad es. Gewürztraminer, Silvaner, ecc.), le popolazioni di Tetranichidi raggiungono densità elevate in fasi vegetative più precoci rispetto alle varietà che presentano foglie tendenzialmente glabre (ad es. MüllerThurgau, Pinot gris) (Schreiner, 1984; Rilling, 1989). Un effetto analogo è stato riscontrato in relazione all’eriofide Cal. vitis (Castagnoli et al., 1997). D’altra parte, alcune specie di Fitoseidi (K. aberrans, T. pyri e Ph. finitimus) “preferiscono” varietà caratterizzate da foglie tomentose mentre altre (A. andersoni e E. finlandicus) hanno un comportamento opposto (Castagnoli e Liguori, 1985; Candolfi, 1991; Duso, 1992; Nicotina, 1996b; Duso e Vettorazzo, 1999; Kreiter et al., 2000). Uno studio dell’effetto della varietà sull’abbondanza delle diverse componenti dell’acarofauna sulla vite e sulle piante erbacee presenti nel vigneto è stato effettuato in Toscana (Castagnoli et al., 1997). La potatura riduce l’entità di uova svernanti di P. ulmi ma è ovvio che l’evoluzione dei metodi di potatura non tenga in particolare considerazione questo aspetto. Tuttavia, è importante considerare eventuali modifiche ai metodi di potatura invernale in relazione a fitofagi che attaccano le gemme basali come gli Eriofidi (Dennill, 1991). Non sono noti gli effetti della potatura estiva sulle popolazioni degli acari fitofagi. La vite ha la capacità di aumentare l’area fogliare dei 189 germogli laterali per compensare la perdita delle foglie principali. Questa compensazione è stata osservata anche su piante infestate da Tetranichidi (Candolfi, 1991). Ne consegue che i germogli laterali non vanno rimossi se sono temute o sono in corso infestazioni di acari fitofagi. Relativamente alla fertilizzazione, un apporto consistente di fertilizzanti azotati si riflette positivamente sull’abbondanza dei Tetranichidi e, pertanto, tale fattore va tenuto in debita considerazione (Schreiner, 1984). La gestione del suolo è associata a tale fattore. Il mantenimento della copertura vegetale dei vigneti ha funzioni positive sulla struttura del suolo, sul bilancio dell’azoto, sulla sopravvivenza di svariati organismi (Boller, 1988; Remund et al., 1989; Remund et al., 1992). L’inerbimento naturale del vigneto può comportare un incremento nell’abbondanza degli acari predatori ma non degli acari fitofagi (Castagnoli et al., 1999). L’aumento della diversità botanica si riflette positivamente sulla biodiversità degli insetti predatori anche per l’incremento della disponibilità pollinica (Remund et al., 1989, 1992). Il polline è un importante alimento per i Fitoseidi che colonizzano i vigneti (Dosse 1961; Boller e Frey, 1990; Duso e Camporese, 1991; Engel e Ohnesorge, 1994a; Remund e Boller, 1992). Nei vigneti che presentano una copertura vegetale vi è una disponibilità continua di polline (ad es. Poaceae) per tutta la stagione vegetativa (Wiedmer e Boller, 1990; Duso et al., 1997a). Il ritmo di sfalcio della copertura vegetale influenza la deposizione dei pollini sull’apparato fogliare e la loro disponibilità per gli acari predatori. Il rallentamento del ritmo di sfalcio può comportare un effetto positivo sulle popolazioni dei Fitoseidi (Girolami et al., 2000). Dal momento che la moderna tecnica colturale mira a contenere al massimo la competizione tra la vite e la copertura vegetale, le possibilità di inserire questa strategia sono correlate alle problematiche aziendali e alla sensibilità di coloro che gestiscono le scelte tecniche. L’impiego di alcuni erbicidi (ad es. glyphosate) può indurre la migrazione di T. urticae dalla copertura vegetale all’apparato fogliare della vite (Boller et al., 1984, 1985). I meccanismi coinvolti in tale fenomeno risiedono nel rapido disseccamento delle infestanti e nell’effetto repellente sui Tetranichidi. Inoltre, alcuni tra questi erbicidi sono tossici nei confronti degli acari, sia fitofagi sia predatori (Boller et al., 1984; Kreiter et al., 1991). Pertanto, la scelta degli erbicidi dovrebbe tenere in considerazione questi aspetti. 9.5.5. La vegetazione spontanea quale risorsa per gli equilibri biologici nei vigneti Le siepi e i margini di bosco contigui ai vigneti sono componenti importanti dell’”agroecosistema vigneto”. Le indagini faunistiche sulle piante spontanee contigue ai vigneti o inserite all’interno degli stessi 190 hanno fornito preziose informazioni sull’ecologia dei Fitoseidi. Il contributo delle piante spontanee alla colonizzazione dei Fitoseidi nei vigneti è stato suggerito a più riprese poiché i ricercatori hanno individuato un certo grado di affinità tra l’acarofauna delle piante spontanee e dei vigneti (Boller et al., 1988; Lozzia e Rigamonti, 1990, 2003; Tixier et al., 1998, 2000; Nicotina e Capone, 2003). In alcuni casi, le specie più frequenti sulle piante spontanee possono essere diverse da quelle che sono dominanti nei vigneti contigui; tale fenomeno è influenzato da numerosi fattori, il principale dei quali è costituito dai trattamenti fitosanitari (Duso et al., 1993, 2004). Un’interessante “similarità”, relativamente al complesso di Fitoseidi presenti, è stata riscontrata tra alcune piante spontanee (ad es. Cornus sanguinea L.) e la vite coltivata in alcuni ambienti dell’Italia nord-orientale. Queste piante potrebbero rappresentare dei “marcatori” dell’adattamento dei Fitoseidi all’ambiente, uno strumento atto ad influenzare le scelte sulle specie predatrici da impiegare nei lanci inoculativi (Duso et al., 2004). In alcune ricerche, effettuate in agroecosistemi “complessi”, l’abbondanza e la diversità dei Fitoseidi sulle principali specie vegetali (coltivate o spontanee) sono state confrontate con quelle riscontrate su vite, ottenendo informazioni sulla “similarità” tra piante ospiti differenti. Le piante che ospitano un complesso di Fitoseidi molto affine a quello riscontrato su vite, potrebbero possedere caratteristiche comuni o testimoniare l’esito di avvenuti interscambi di predatori (Nicotina et al., 2002, 2003; Nicotina e Capone, 2003). Alcuni contributi sperimentali effettuati in Francia hanno offerto una prima dimostrazione degli scambi di Fitoseidi tra vegetazione spontanea e vigneti (Tixier et al., 1998, 2000). Negli ambienti del Languedoc-Roussillion, K. aberrans è largamente dominante nei boschi di Quercus pubescens L. dai quali può diffondersi, attraverso le correnti aeree, sui vigneti contigui. L’applicazione di tecniche di biologia molecolare ha consentito di differenziare, almeno in parte, gli individui migranti dal bosco da quelli presenti nei vigneti (Tixier et al., 2002). Tuttavia, gli individui migranti non hanno fornito un contributo evidente alla dinamica delle popolazioni di K. aberrans nei vigneti. I fattori coinvolti in tale fenomeno sono in corso di valutazione. Sulla scia di queste ricerche sono state condotte delle indagini nell’Italia settentrionale in cui sono emerse alcune analogie con i risultati ottenuti in Francia (Rigamonti e Rena, 2004). 9.5.6. Le introduzioni di Fitoseidi: è necessario introdurre ceppi resistenti? La reintroduzione dei Fitoseidi appare indispensabile nei vigneti esposti a frequenti infestazioni ed inseriti in aree viticole soggette ad intensi programmi di difesa fitosanitaria. Tuttavia, anche l’applicazione di un singolo insetticida non selettivo può causare ripercussioni sulla 191 sopravvivenza dei Fitoseidi o favorire la sostituzione di una specie con un’altra, meno efficace. Ripetuti trattamenti con prodotti poco selettivi ammessi nell’agricoltura biologica (ad es. piretro) possono causare falcidie di Fitoseidi anche in questi contesti. La scelta della specie predatrice e del ceppo da introdurre derivano da studi approfonditi sulle componenti faunistiche dei vigneti e delle piante spontanee contigue ad essi. L’introduzione artificiale di Fitoseidi nei vigneti può essere effettuata alla fine dell’inverno impiegando legno di potatura (di due o più anni) o fascette di lana predisposte attorno al cordone permanente nell’autunno precedente (Boller, 1978; Girolami, 1981). In questi casi, vengono introdotte femmine che hanno interrotto la diapausa o che stanno per interromperla. È sufficiente rilasciare un basso numero di predatori, ad esempio 50-100 femmine svernanti di K. aberrans o T. pyri per pianta (corrispondenti a 1-2 femmine per gemma), per ottenere un controllo soddisfacente dei Tetranichidi nel corso della stagione (Duso, 1989; Duso et al., 1991; Duso e Pasqualetto, 1993; Duso e Vettorazzo, 1999). L’esito delle introduzioni dipende dai principali fattori che influenzano la sopravvivenza e la moltiplicazione dei Fitoseidi (selettività dei prodotti fitosanitari, specie di acari fitofagi presenti, disponibilità di alimenti alternativi, caratteristiche delle varietà, ecc.). Nei casi in cui l’introduzione non sia coronata da successo, è fondamentale individuare i fattori potenzialmente coinvolti. I più importanti tra quest’ultimi sono gli effetti dei prodotti fitosanitari, l’andamento climatico, la competizione interspecifica, la morfologia fogliare. Tuttavia, in alcuni casi le introduzioni falliscono a causa di altri fattori, riconducibili forse alle interazioni tra genotipi e ambiente (Tixier et al., 2002). In un vigneto infestato da P. ulmi è stata valutata l’efficacia di alcune popolazioni di Fitoseidi (K. aberrans, T. pyri, Ph. finitimus), provenienti da vigneti trattati per più anni con mancozeb (Duso e Facchin, dati non pubblicati). I Fitoseidi sono stati introdotti su parcelle trattate con mancozeb o con folpet. La popolazione di K. aberrans ha colonizzato con successo il vigneto sperimentale risultando sia efficace nel controllo di P. ulmi sia competitiva nei confronti delle altre due specie di Fitoseidi. Le introduzioni di T. pyri non hanno avuto esito positivo e non sono stati individuati i fattori influenzanti tale fenomeno. Infine, le immissioni di Ph. finitimus sono state coronate da successo solo nelle tesi trattate con folpet a dimostrazione di un effetto negativo delle ripetute applicazioni di mancozeb. L’introduzione di ceppi di Fitoseidi resistenti nei confronti dei più comuni fungicidi e insetticidi è oggetto di controversie dal momento che la resistenza potrebbe essere associata a perdita di fitness (Duso et al., 1992). È stato dimostrato che le popolazioni di T. pyri raccolte su piante spontanee possiedono un maggior numero di varianti alleliche (per l’enzima Glucosiofosfato-isomerasi) rispetto alle popolazioni raccolte nei vicini vigneti (Duso et al., 1997b; Duso e Capuzzo, dati non pubblicati). La riduzione della biodiversità a livello genetico potrebbe rivelarsi un 192 fattore critico nel lungo periodo. D’altra parte, l’aumento dei trattamenti con ditiocarbammati e insetticidi in molti ambienti non lascia intravedere alternative possibili all’introduzione di ceppi caratterizzati da comprovata resistenza. 9.6. GLI ACARI FITOFAGI RAPPRESENTANO ANCORA UN ’ IMPORTANTE AVVERSITÀ DELLA VITE? Un’indagine condotta nelle aree collinari del Veneto, nel corso del 1993, rilevò la presenza dei Tetranichidi (P. ulmi e E. carpini) nel 55% dei vigneti ma con densità quasi sempre contenute (Duso e Ren, 1997). La diffusione dei Fitoseidi fu accertata nel 92% dei campioni, a testimonianza di una gestione fitoiatrica apparentemente rispettosa degli equilibri naturali. Il consumo di insetticidi e di acaricidi fu modesto e l’impiego dei ditiocarbammati spesso limitato a 1-2 trattamenti l’anno. In quel periodo, l’impiego di insetticidi ed acaricidi si ridusse in numerosi ambienti viticoli dell’Italia settentrionale. Nell’ultimo decennio, la gestione fitoiatrica in viticoltura è stata caratterizzata da un aumentato impiego di insetticidi destinati al controllo di Scaphoideus titanus Ball, vettore della “Flavescenza dorata della vite”, e di fungicidi ditiocarbammati (soprattutto mancozeb) atti a contenere l’aggressività di avversità fungine come l’escoriosi. Questi cambiamenti, più marcati in alcune regioni che in altre, avrebbero potuto originare recrudescenze di Tetranichidi a causa della scarsa selettività di alcuni prodotti fitosanitari nei confronti dei Fitoseidi e degli insetti predatori. Nel 2003, è stata condotta una nuova indagine negli stessi vigneti della collina veneta, citati in precedenza, allo scopo di verificare eventuali variazioni nei rapporti tra acari fitofagi e predatori in seguito ai cambiamenti nella gestione fitoiatrica. A titolo di esempio, la percentuale di vigneti trattati con insetticidi è passata dal 7%, nel 1993, al 95% nel 2003. Contrariamente a quanto atteso, è stato rilevato un decremento della diffusione dei Tetranichidi (33% dei vigneti) ed un leggero aumento di quella dei Fitoseidi (97% dei vigneti). Tuttavia, il numero di specie e le densità dei Fitoseidi sono risultati tendenzialmente inferiori rispetto al 1993. I risultati osservati sono probabilmente da imputare ad una maggiore diffusione di ceppi resistenti delle due specie maggiormente presenti, T. pyri e K. aberrans (Duso e Padoin, dati non pubblicati). Le ripercussioni sugli equilibri biologici, in seguito all’aumento del consumo di prodotti fitosanitari, non sembrano essersi verificate neppure in altri ambienti viticoli italiani. Tra i fattori che possono aver influenzato tale situazione si riporta l’impiego diffuso di chitinoinibitori (ad es. flufenoxuron) caratterizzati da una certa attività acaricida (Ahn et al., 1993) e da una moderata selettività nei confronti dei Fitoseidi 193 (Mori et al., 1999). Inoltre, si sono selezionate popolazioni di Fitoseidi resistenti nei confronti di ditiocarbammati ed esteri fosforici. Relativamente alle altre specie di Tetranichidi potenzialmente dannose alla vite, meritano una certa attenzione le recenti infestazioni di T. urticae nei vigneti siciliani (Tsolakis, com. pers.). Parallelamente, sono state riscontrate infestazioni diffuse di Cal. vitis in varie regioni italiane, europee ed extraeuropee. In realtà, i problemi legati a questa specie sono confinati ai vigneti di recente impianto. L’impatto economico di questa specie è stato oggetto di indagini accurate in Australia (Bernard et al. 2005). La potenziale introduzione in Italia, da ambienti extraeuropei, di una nuova entità affine a Col. vitis e dannosa alle gemme della vite (Carew et al., 2004; Bernard et al., 2005) rappresenta un elemento di preoccupazione. 9.7. 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TSOLAKIS Dipartimento di Scienze Entomologiche, Fitopatologiche, Microbiologiche agrarie e Zootecniche (S.EN.FI.MI.ZO.), Università degli Studi di Palermo, Viale delle Scienze, 13 Palermo 90128 [email protected] Riassunto I fitofarmaci di origine vegetale, insieme a quelli inorganici, hanno rappresentato per oltre mezzo secolo il controllo chimico degli organismi fitofagi. A partire dagli anni ’40 sono stati rapidamente sostituiti con successo dai fitofarmaci di sintesi che hanno saturato il mercato mondiale della difesa delle colture agrarie. Negli ultimi vent’anni si è assistito ad un progressivo aumento della domanda di prodotti di origine vegetale sia a causa dei problemi causati dall’abuso dei fitofarmaci di sintesi alla salute umana e all’ambiente, che per il costante aumento delle superfici agricole coltivate con il metodo dell’agricoltura biologica. Nel presente lavoro vengono affrontate le problematiche legate allo sviluppo di fitofarmaci di origine vegetale e prese in considerazione alcune essenze vegetali che presentano caratteristiche compatibili con lo sviluppo industriale di fitofarmaci vegetali. Parole chiave: Fitofarmaci vegetali, Annona, Melia, Artemisia, Citrus. Abstract Botanical pesticides: historical notes, news and opportunity of development Botanical and inorganic pesticides have represented materials used in the chemical control of agricultural pests in the first half of the past century. After the 2nd world war, they were rapidly and successfully replaced by synthetic organic pesticides. In the last two decades a progressive increase of demand of botanical pesticides was registered, due both to the problems on the human health and the negative influence on the environment caused by the abuse of chemicals and to the constant increase of the Organic Agriculture crops. In the present paper the different problems related with the future of the development of botanical pesticides are discussed; further on some botanical species having features industrially expoitable are also mentioned. Key words: Botanical pesticides, Annona, Melia, Artemisia, Citrus. 205 10.1. INTRODUZIONE Con l’avvento della moderna agricoltura, sul finire del 19° secolo, la difesa delle colture agrarie dai parassiti venne affidata in buona parte al controllo biologico e in parte ai fitofarmaci che in quell’epoca appena si affacciavano nel mercato. I primi fitofarmaci utilizzati in agricoltura erano principalmente composti inorganici dell’arsenico (arseniato di piombo e di calcio), miscele solfocalciche (polisolfuri di calcio e di bario), composti del mercurio e del fluoro, derivati nitrici (dinitroortocresoli), oli minerali sottoprodotti dell’industria petrolifera, sostanze di origine vegetale (nicotina, piretro, rotenone) etc. L’aumento delle superfici coltivate e la difficoltà di controllare alcune specie di fitofagi con la lotta biologica, hanno indirizzato i ricercatori del settore ad intensificare le ricerche per scoprire nuovi insetticidi da utilizzare nella difesa delle colture agrarie. 10.2. CENNI STORICI Negli anni ’40 del secolo scorso, Roark (1947) sosteneva che le ragioni per cercare nuovi pesticidi nel regno vegetale o comunque di origine naturale erano principalmente quattro: 1. combattere i fitofagi che non potevano essere controllati con altre tecniche; 2. eliminare i prodotti chimici nocivi nei confronti dell’uomo; 3. trovare sostituti per i fitofarmaci esistenti; 4. provvedere ad aumentare il ridotto numero di prodotti, allora, esistente. Queste raccomandazioni sono state per buona parte disattese. Si è, infatti, cercato di fornire risposte al principale bisogno, che era quello della difesa, con la sintesi di nuove molecole con forte attività insetticida. A partire dal dopoguerra, infatti, e per almeno un ventennio, il controllo dei fitofagi delle colture agrarie si è basato, prevalentemente e con successo, sull’uso di prodotti chimici di sintesi (clororganici, fosforganici e carbammati). Le ragioni dell’affermazione dei fitofarmaci di sintesi, sono principalmente le seguenti: 1. il basso costo di produzione; 2. la facilità d’uso; 3. l’effetto immediato; 4. la lunga persistenza d’azione. Per questi motivi il mercato dei fitofarmaci ha avuto un notevole sviluppo, raggiungendo il suo apice negli anni Settanta. Solo negli Stati Uniti, in questo periodo, venivano utilizzate annualmente circa 450.000 tonnellate di insetticidi (McEwen, 1977). Ben presto, però, si notarono gli effetti deleteri di questi prodotti, per la 206 loro azione negativa sulla salute degli operatori agricoli (tossicità acuta) (Spear et al., 1975) e per la rottura dell’equilibrio naturale dei sistemi dove essi venivano impiegati. Diversi studiosi, comunque, consapevoli del pericolo insito delle molecole di sintesi, continuavano a mettere in guardia gli operatori del settore e a proporre valide alternative all’abuso di fitofarmaci di sintesi (Crosby, 1971; Chapman, 1974; Onillon, 1974; Brown, 1974; Benham, 1974; Viggiani & Iannaccone, 1973). Ormai sono noti, per molti composti di sintesi, gli effetti cancerogeni e immunodepressivi nei confronti di diversi vertebrati compreso l’uomo (Murphy, 1986), così come è nota la presenza di ceppi di fitofagi resistenti alla maggior parte dei prodotti chimici di sintesi esistenti in commercio (Brader, 1977). A questi effetti negativi, inoltre, si possono aggiungere gli effetti deleteri della maggior parte di questi prodotti nei confronti degli insetti utili, l’effetto acarostimolante di alcuni carbammati e l’insorgenza di massicce infestazioni di specie fitofaghe che prima non procuravano danni economici. 10.2.1. L’evoluzione della domanda di fitofarmaci di origine vegetale nei paesi occidentali Gli effetti negativi dei fitofarmaci di sintesi sulla salute umana e nei confronti dell’ambiente, associati alla sempre crescente attenzione dei consumatori sulla salubrità dei prodotti agricoli, hanno portato, nei paesi occidentali, a una progressiva diminuzione dell’uso di sostanze chimiche di sintesi. Negli U.S.A., il consumo medio annuale di fitofarmaci è passato dalle 450.000 tonnellate degli anni ’70 a circa 100.000 tonnellate negli anni ’90 (FAO, 1997). Un simile andamento si è verificato anche in Italia (dalle 52.000 tonnellate negli anni ’80, alle 33.000 tonnellate nel 2003) (ISTAT, 2003). Alla diminuzione di consumo di fitofarmaci a vasto spettro d’azione, corrisponde da una parte la messa a punto di metodologie di controllo alternative e dall’altra la ricerca per l’individuazione di nuove sostanze a basso impatto ambientale in grado di controllare le popolazioni di fitofagi divenute resistenti agli insetticidi convenzionali. Questi prodotti, inibitori della chitina, ormonosimili e regolatori di crescita, sono generalmente meno tossici per l’uomo ma la loro selettività nei confronti degli artropodi utili è stata spesso messa in discussione (Angeli et al., 2000; Bortolotti et al., 1999; Hassan et al., 1991; Mendel et al., 1994; Viggiani & Loia, 1991). Nella difesa delle colture agrarie, quindi, si inizia ad orientarsi sempre più spesso verso l’adozione di metodologie di controllo a basso impatto ambientale come il Controllo biologico o il Controllo Integrato. In altri casi gli agricoltori si sono indirizzati verso quei processi produttivi, nei quali è assolutamente vietato l’uso di sostanze chimiche di sintesi, come l’Agricoltura biologica (AB). Quest’ultima ha avuto un notevole 207 incremento delle sue superfici nell’ultimo ventennio nei paesi occidentali ed in Europa in particolare, dovuto da un lato al costante aumento della domanda di prodotti agricoli biologici da parte dei consumatori e dall’altro per gli aiuti economici che i diversi Governi occidentali elargivano agli agricoltori che adottavano queste tecniche di coltivazione (regolamento CEE 2092/91). Attualmente la superficie coltivata in biologico in Europa rappresenta il 3,5% della SAU, corrispondente a 5,7 milioni di Ha, mentre in Italia la superficie agricola a conduzione biologica è passata da 91.500 Ha nel 1993 (MIRAAF, 1998) a 1.052.002 Ha nel 2003 (MIPAF, 2004). I primi operatori del settore hanno dovuto affrontare il problema del reperimento sia di notizie attendibili circa l’efficacia di essenze vegetali nei confronti dei principali fitofagi che dovevano combattere, che le essenze vegetali stesse. Inizialmente i preparati vegetali venivano creati in azienda (macerati di ortica, di equiseto, di assenzio, ecc.) con conseguenti problemi di efficacia dei trattamenti perché la concentrazione delle sostanze attive non poteva essere valutata e l’acqua non rappresenta sempre il migliore solvente per l’estrazione di sostanze biocide (Merz, 1987). Si è creata, quindi, negli ultimi vent’anni, nei paesi occidentali, una considerevole domanda di fitofarmaci di origine vegetale che alcune case farmaceutiche hanno cercato di colmare con il piretro, estratto dai capolini di Chrysanthemum cinerariaefolium Benth. & Hook. e il rotenone, estratto dalle radici di alcune leguminose tropicali (Derris elliptica (Wall.), Lonchocarpus spp. e Tephrosia sp.). Entrambi i prodotti costituivano nell’immediato dopoguerra i principali fitofarmaci utilizzati nella difesa delle colture. Il loro declino iniziò negli anni ’60 a causa dell’immissione in commercio dei clororganici e degli esteri fosforici. Negli USA ad esempio, nel 1947, venivano importate 6.700 tonnellate di D. elliptica, mentre nel 1963 l’importazione era scesa a 1.500 tonnellate (Wink, 1993). La scelta di questi due prodotti si basava sul fatto che erano gli unici, negli anni ’80 e ’90, in grado di fornire una risposta simile a quella dei fitofarmaci di sintesi, essendo entrambi prodotti a vasto spettro d’azione e potevano far fronte, dal punto di vista quantitativo, alla domanda del mercato. 10.2.2. L’evoluzione della domanda di fitofarmaci di origine vegetale nel resto del mondo Nei paesi africani, asiatici nonché in qualche paese dell’America latina si è arrivati oggi ad una situazione simile a quella dei paesi occidentali, attraverso percorsi diversi. In vari paesi in via di sviluppo, in particolare africani e sudamericani, con particolare vocazione per alcune colture importanti per l’occidente (Caffé, Thé, Cacao, Banane, Riso etc.), si era arrivati ad impegnare nel campo agricolo grandi risorse economiche che promettevano un interessante sviluppo locale. Questo sviluppo era 208 particolarmente promettente in particolare dove, come ad esempio la fascia umida sub Sahariana, le aziende non erano in mano alle multinazionali ma ad impenditori agricoli medio-piccoli. La crisi economica che ha colpito questi paesi negli anni ’80, ha portato ad una diminuzione dei sussidi Governativi verso l’agricoltura e ad una forte svalutazione delle monete nazionali con conseguente aumento dei prezzi dei prodotti di sostegno all’agricoltura: fertilizzanti e fitofarmaci in particolare. Gli agricoltori di questi Paesi si sono trovati in poco tempo privi di mezzi che sino ad allora erano indispensabili per il buon fine del ciclo produttivo e costretti a trovare strategie alternative al controllo chimico con i pesticidi di sintesi. Si sono rivolti, quindi, in piccola parte alle tecniche di controllo biologico, a causa di mancanza di tecnici e di conoscenze ed in buona parte alle conoscenze locali sulle proprietà officinali di alcune essenze vegetali del luogo, in grado di svolgere attività insetticida (Coulibaly et al., 2002). Questi estratti, che a volte venivano mescolati con una piccola parte di insetticida di sintesi, in breve tempo sostituirono egregiamente i fitofarmaci di sintesi, tanto da destare l’interesse scientifico di alcuni centri di assistenza e ricerca agricola locali che hanno cominciato a studiare il fenomeno ed a proporre strategie diverse di sviluppo. In questi paesi è stata, quindi, adottata, da una parte una strategia a breve termine che consiste nel mettere insieme le conoscenze popolari sulle proprietà delle piante officinali indigene e dall’altra prove in vitro effettuate da centri di assistenza locali per individuare le piante con i principi attivi più promettenti (Boeke et al., 2004). Queste strategie mirano principalmente all’acquisizione di informazioni per risolvere l’immediato problema della penuria di fitofarmaci di sintesi piuttosto che all’affrancazione dalla dipendenza all’economia occidentale. Vengono, quindi, adottate tecniche di estrazione semplici, in modo da essere eseguite con facilità a livello aziendale (es. macerati in acqua di parti vegetali fresche od essicate). In altri paesi (es. Cuba) che affrontano, per motivi diversi, la penuria di fitofarmaci di sintesi, è stata messa in atto una strategia a due velocità. La prima ha lo scopo di fornire nell’immediato, “accettabili” tecnicamente, sostituti dei fitofarmaci di sintesi, mentre la seconda, di medio-lungo termine, mira all’identificazione di sostanze chimiche responsabili dell’azione tossica con lo scopo di fornire nel futuro prodotti maggiormente concentrati ed efficaci (De Cupere et al., 2001). 10.3. RICERCA SCIENTIFICA E PROSPETTIVE DI SVILUPPO Questi avvenimenti dell’ultimo mezzo secolo hanno portato all’attuale bisogno di risposte alternative al controllo chimico con prodotti di sintesi e al conseguente aumento della domanda di fitofarmaci di origine 209 vegetale a livello mondiale. Risulta altrettanto ovvio che alla base di possibili soluzioni a questa esigenza si trova la ricerca scientifica. Come si evince dalla letteratura le ricerche scientifiche, a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, sono state limitate fino agli anni sessanta ed hanno raggiunto il culmine, per il costante aumento dell’interesse scientifico per l’argomento, negli anni ottanta. Analizzando la distribuzione delle pubblicazioni scientifiche sull’argomento, nel mondo, si nota che oltre il 60% delle ricerche sulle essenze vegetali ad attività biocida si sono svolte nell’ultimo secolo non in un paese occidentale, bensì in India. Negli USA, la ricerca in questo settore inizia a svilupparsi a partire dagli anni settanta, raggiunge l’apice nella prima metà degli anni ottanta e subisce una diminuzione negli anni novanta. Questa riduzione, comunque, sembra più legata ad un orientamento della ricerca verso l’identificazione e l’evoluzione delle molecole presenti negli estratti vegetali piuttosto che ad un abbandono di questo settore di ricerca (Hedin et al., 1997). A partire dagli anni ’90, infatti, si è registrato un grande interesse per l’argomento, non solo degli Istituti di ricerca accademica, ma anche delle industrie farmaceutiche. Le ragioni per potenziare, oggi, la ricerca di nuovi fitofarmaci possono essere così riassunte: – la necessità di fornire agli agricoltori adeguati prodotti per la lotta ai parassiti delle colture; il numero di nuove molecole immesse nel mercato, infatti, è di di gran lunga inferiore al numero di quelle nel frattempo eliminate (Isman, 1995). In Italia si è passati dai 106 principi attivi ad azione insetticida-acaricida del 1990 agli 86 di oggi (Muccinelli, 1990; 2004); – trovare principi attivi con bassa tossicità nei confronti degli animali omeotermi; – individuare fitofarmaci selettivi; – trovare principi attivi che non lascino residui nell’ambiente. La chimica ha dimostrato nell’ultimo secolo di essere in grado di sintetizzare migliaia di molecole con attività biocida. D’altra parte le piante vantano un’esperienza evolutiva di circa 400 milioni di anni. In questo periodo c’è stata una coevoluzione tra piante ed insetti e si è arrivati ad un equilibrio generale dove chi subisce l’attacco, spesso, non mira all’eliminazione dell’avversario ma al controllo delle sue popolazioni. Questo tipo di strategia evolutiva ha portato alla biosintesi di numerose molecole, presenti, di solito a basse concentrazioni nella pianta, capaci di provocare disturbi o in alcuni casi la morte di piccoli artropodi che in qualche modo le ingeriscono. Gli artropodi, d’altra parte, hanno sviluppato, in alcuni casi, processi di neutralizzazione di alcune di queste molecole e in altri casi la capacità di riconoscere certe specie di piante dall’odore da esse emanato ed evitare di nutrirsi su queste, perché contengono sostanze che possono essere dannose per il loro metabolismo. 210 L’evoluzione biochimica di alcune molecole, presenti nei vegetali, che posseggono una qualche attività biologica nei confronti di diverse specie di artropodi è stata dimostrata di recente (Gang et al., 1997). Le lignine, ad esempio, sono composti presenti in moltissime specie di Angiosperme e presentano attività biologica su diverse specie di insetti e provengono dal pinoresinolo e dal lariciresinolo presenti nelle piante poco evolute e nelle Gimnosperme. In modo simile, gli isoflavonoidi, famiglia di molecole famose per la presenza nel gruppo del rotenone, provengono dall’enzima isoflavone reduttassi. Di solito non è una singola molecola ad avere l’attività biologica desiderata, ma l’azione combinata di diverse molecole. In tal modo si ottiene quello che possiamo definire come “equilibrio sinergico” che esercita la sua azione nei confronti di alcune specie di artropodi (Berenbaum, 1985). La validità ecologica di questa strategia risiede nel fatto che risulta più difficile per le specie fitofaghe neutralizzare un gruppo di molecole che agiscono insieme piuttosto che una singola molecola (Feng & Isman, 1995). Un altro motivo della validità di questa strategia adottata dalle piante è legato a quella che si può definire “strategia contentiva”, che non mira cioè all’eliminazione dell’avversario, ma al contenimento delle sue popolazioni. In questo modo la pressione selettiva è bassa e non permette, almeno in breve tempo, la formazione di ceppi resistenti. Lo sviluppo di prodotti ecocompattibili per difesa delle colture agrarie potrebbe, quindi, basarsi su: – Miscele di molecole ad azione sinergica che non mirano alla distruzione delle popolazioni del fitofago ma al loro contenimento; – Miscele o singole molecole ad azione repellente in grado di tenere lontane le popolazioni fitofaghe dalle colture agrarie. Molto spesso negli estratti vegetali si trovano tutti questi effetti insieme. 10.3.1. Problematiche applicative A questi dati, così promettenti per la difesa ecocompatibile delle colture agrarie, non ha corrisposto, finora, un pari livello di interesse economicoapplicativo. Le ragioni sono molteplici e coinvolgono motivazioni di carattere politico, economico e sociale. Un fitofarmaco per essere definito tale ed essere prodotto e commercializzato deve soddisfare, principalmente, le seguenti condizioni: BIOLOGICHE – Bassa tossicità nei confronti dei vertebrati; – Completa degradazione nell’ambiente; – Selettività nei confronti dei nemici naturali e degli impollinatori; – Assenza di fitotossicità. 211 PRATICHE – Disponibilità della materia prima; – Costi di produzione accettabili; – Normalizzazione del processo produttivo; – Protezione commerciale del prodotto (brevetto); – Approvazione legale. L’idea che si ha nei confronti dei prodotti naturali è che essi siano di loro natura innocui, cosa non necessariamente vera almeno che non venga dimostrata. Diversi prodotti di origine vegetale sono altamente tossici anche per gli animali omeotermi, giacché i bersagli della loro azione rappresentano meccanismi simili in tutti gli esseri viventi (es. blocco della catena del trasporto di elettroni a livello mitocondriale), mentre altri, nonostante potenzialmente tossici (es. rianodina), sono considerati innocui per i mammiferi alle dosi consigliate per l’uso. Pertanto, la loro tossicità può notevolmente variare, ma la loro persistenza è, di solito, breve per tutti (Isman, 1995). La maggior parte di queste molecole organiche, infatti, è termo e/o fotolabile (Lange, 1984; Barnby et al., 1989); di conseguenza la loro persistenza all’aria aperta dura da poche ore a pochi giorni (Cabras et al., 2002). Tuttavia un importante ruolo sulla persistenza di una sostanza sui/nei tessuti vegetali è svolto dalla sua capacità di penetrare rapidamente attraverso lo strato epicuticolare e fermarsi o superare quello cuticolare che riduce l’azione degradativa dei raggi ultravioletti (Riederer & Schreiber, 1995; Cabras et al., 2002). La facile degradazione di queste sostanze, che tutt’oggi viene considerata da molti una proprietà negativa, potrebbe essere rivalutata nella strategia della difesa integrata. Una breve persistenza della sostanza tossica sulla coltura, infatti, potrebbe permettere il rapido ripopolamento dei nemici naturali, riducendo così gli effetti negativi che il principio di Volterra prevede per ogni agente che disturba l’equilibrio, di per sé precario, dell’agroecosistema. Anche la selettività dei prodotti di origine vegetale nei confronti dei nemici naturali è molto varia. Così come per i fitofarmaci di sintesi, si può individuare una seletività fisiologica, attribuibile alla caratteristica della molecola di risultare nociva per il fitofago e non per il suo/i nemico/i naturale/i e una selettività secondaria che è la conseguenza della modalità di assunzione e di distribuzione del prodotto. Si può, sino ad oggi, affermare che poche molecole organiche di origine vegetale, considerate singolarmente, posseggono una selettività fisiologica. D’altro canto, le notizie scientifiche sull’argomento sono scarse, a parte alcuni studi effettuati sulle azadirachtine (Stark et al., 1992). La selettività degli estratti vegetali probabilmente è legata proprio alla caratteristica dell’azione sinergica di diverse molecole che presentano un’elevata attività biologica nei confronti di alcune specie di artropodi, mentre le singole molecole, potenzialmente tossiche per tutte le specie, non esplicano un’azione negativa su altre specie di artropodi 212 nella quantità presente nella miscela. Diversi estratti di semi di Azadirachta indica A. Juss, ad esempio, hanno mostrato una forte attività biocida nei confronti di Tetranychus urticae Koch, mentre si sono dimostrati legermente tossici od innocui, alle stesse concentrazioni, per il suo predatore obbligato Phytoseiulus persimilis Athias-Henriot (Mansour et al., 1986). Simili risultati si sono ottenuti sullo stesso fitofago e su diverse specie di predatori fitoseidi utilizzando estratti di Quassia spp., Melia azedarach L. e Artemisia absinthium L. (Tsolakis et al., 1997; Ragusa et al., in corso di stampa). Se, da una parte, le sostanze di origine vegetale soddisfano ampiamente i criteri biologici, specialmente sotto forma di miscele, dall’altra, non si può affermare lo stesso per i criteri pratici. Sono, infatti, questi criteri, nella maggior parte dei casi, a costituire un ostacolo alla formulazione e commercializzazione dei fitofarmaci di origine vegetale. La disponibilità quantitativa e temporale delle materie prime e i costi di produzione accettabili sono considerati i criteri fondamentali per lo sfruttamento industriale/economico di un prodotto. Questi, infatti, sono stati i principali motivi dell’affermazione, nella prima metà del secolo scorso, del piretro naturale e del rotenone, oltre che per le proprietà insetticide intrinseche dei prodotti. E per gli stessi motivi, principalmente, si sono affermati nella seconda metà del secolo scorso i fitofarmaci si sintesi. I resti della lavorazione del petrolio costituivano un’inesauribile fonte a basso costo per la formulazione di nuovi fitofarmaci. Materia prima la cui disponibilità, tra l’altro, era strettamente legata all’economia dei paesi industrializzati e, nonostante la dipendenza in gran parte dal terzo mondo, essendo l’offerta concentrata, garantiva un costante approvvigionamento e piccole oscillazioni nei costi. Al contrario, alle materie prime di origine vegetale, erano legate una serie di variabili che le rendevano man mano meno appettibili per lo sfruttamento industriale. La dipendenza dagli andamenti climatici delle produzioni, infatti, influenzava sia la quantità che la qualità del prodotto e di conseguenza non solo la disponibilità e i costi di produzione ma anche la normalizzazione del processo produttivo. A questi problemi si aggiungeva, inoltre, la stretta dipendenza dai paesi del terzo mondo e la forte frammentazione dell’offerta che, oltre a non garantire la disponibilità nel tempo, faceva lievitare i costi di produzione. Oggi la situazione è cambiata e non solo per l’incertezza futura sulle riserve di petrolio ed il conseguente aumento dei prezzi ma anche, o soprattutto, per la maggiore sensibilità dell’opinione pubblica sui temi della salute umana e dell’ambiente. I limiti su accennati per lo sfruttamento industriale dei fitofarmaci di origine vegetale rimangono in buona parte gli stessi. Le nuove tecnologie, certamente, hanno influenzato positivamente i processi di estrazione abbattendo i costi di produzione, ma rimane sempre il 213 problema della disponibilità quantitativa e temporale delle materie prime. D’altra parte i fitofarmaci di origine vegetale posseggono dei limiti intrinseci legati alla normalizzazione del processo produttivo. Come già accennato, questi prodotti sono composti da una miscela di sostanze ad azione sinergica. Se da una parte questa caratteristica costituisce un grande vantaggio evitando la formazione di ceppi resistenti (Feng & Isman, 1995), dall’altra è uno svantaggio per quel che riguarda la standardizzazione del processo produttivo ed il controllo di qualità. I fitofarmaci, sia di origine vegetale che di sintesi, per entrare nel mercato devono, per legge, contenere una determinata concentrazione dei principi attivi che ne assicurino l’efficacia dichiarata. Risulta, pertanto, abbastanza difficile stardardizzare il processo produttivo per un prodotto che di principi attivi ne contiene da un minimo di 4-5 ad una quarantina! A ciò si aggiunge il fatto che la concentrazione delle sostanze attive nella materia prima è una variabile legata alle condizioni ambientali. Questa caratteristica, d’altra parte, diventa uno svantaggio anche per quel che riguarda l’approvazione legale del prodotto nonché la protezione commerciale (brevetto). La legislazione per l’immissione in commercio dei fitofarmaci si è creata ed evoluta praticamente con l’industria agrochimica. Tutti i protocolli regolativi, in vigore oggi, sono stati sviluppati attorno alle sostanze di sintesi con un notevole grado di purezza chimica. Ogni fitofarmaco, per entrare nel mercato, deve avere l’autorizzazione per ogni singola sostanza che contiene e per la quale sono stati effettuati tutti gli esami previsti dai protocolli legislativi. Cercare di far passare al vaglio di questi protocolli un fitofarmaco di origine vegetale, costituito da una miscela di sostanze attive, risulta un’impresa alquanto ardua. Gli estratti vegetali che contengono forti concentrazioni di poche sostanze attive (1 o 2), come il piretro e il rotenone, riescono ad adattarsi abbastanza facilmente alle regole attuali, mentre quelli che ne contengono numerose hanno forti difficoltà a superare questi limiti. D’altra parte, mentre la sostanza creata ex novo in laboratorio può essere protetta da brevetto che permette l’esclusiva dell’azienda che lo detiene, non si può brevettare una sostanza presente in natura. È brevettabile la tecnica di estrazione e la quota dei vari componenti, ma entrambe le soluzioni non costituiscono una protezione invalicabile, tale da indurre le aziende ad affrontare i costi per l’ottenimento del brevetto. A questi problemi se ne aggiunge un altro prettamente economico. I costi per lo studio di supporto per la registrazione di un fitofarmaco si aggira intorno a euro 300.000 ma potenzialmente potrebbe superare 1,5 milioni. È ovvio che un’azienda accetta di affrontare questi costi solo quando, oltre ad avere la sicurezza sull’efficacia del prodotto, ha delle ragionevoli possibilità di ottenerne la registrazione per poter entrare nel mercato. Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui le multinazionali farmaceutiche non sono ancora apertamente interessate a questo settore 214 ed è certamente la ragione per cui molte aziende farmaceutiche mediopiccole del settore agricolo sono interessate ad occupare questa nicchia di mercato sperando ad un futuro ampliamento. Diventa, pertanto, proibitivo per queste aziende affrontare i costi per la registrazione di nuovi fitofarmaci di origine vegetale con la legislazione attuale. In India hanno superato questo problema con una registrazione provisoria di 2-5 anni, basata su una serie di prove di tossicità acuta in laboratorio e sulla fauna selvatica (Isman, 1997). Se i risultati sono favorevoli si concede una registrazione provvisoria che permette all’azienda di entrare nel mercato ed iniziare a recuperare i costi affrontati, con l’obbligo di fornire alle autorità, durante questo periodo, i risultati delle prove a lungo termine nonché altri dati riguardanti l’impatto sull’ambiente. In questo caso la registrazione definitiva o il suo rifiuto avviene al termine di questo periodo. Negli USA si è sviluppata negli ultimi anni una certa elasticità nei confronti dei fitofarmaci considerati a basso rischio. Così, in presenza di una miscela di sostanze di origine vegetale, sono presi in considerazione solo i principali componenti mentre quelli secondari vengono considerati innocui. In altri paesi occidentali è stata adottata la politica di incontri di consultazione pre-registrazione tra l’azienda farmaceutica e l’Autorità che concede la registrazione che mira ad una valutazione effettiva di ogni singolo caso con la possibilità di derogare la presentazione dei risultati di alcune prove previste per i prodotti di sintesi. 10.4. ESSENZE VEGETALI DI INTERESSE ECONOMICO Sono riportate in letteratura oltre 2.000 specie vegetali contenenti sostanze con attività biologica nei confronti di numerosi organismi dannosi alle colture agrarie (Ahmed et al., 1984), ma sono poche decine le essenze vegetali con caratteristiche promettenti per quel che riguarda lo sviluppo di fitofarmaci. Considerando la serie dei criteri biologici e pratici sopra citati, si riportano di seguito alcune essenze vegetali che sono presenti nel territorio italiano o facilmente reperibili e potrebbero, quindi, fornire la materia prima per la costituzione di fitofarmaci di origine vegetale. 10.4.1. Annona spp. La polvere di semi di diverse specie di Annona veniva adoperata come insetticida tradizionale in varie regioni tropicali (Isman, 1995). Da studi effettuati sugli effetti delle anonacee nei confronti degli artropodi dannosi si sa, ad esempio che la polvere di semi di annona ha un lungo effetto repellente, almeno 100 giorni, nei confronti di Callosobruchus maculatus F. (Pandey & Varma, 1978). Estratti di foglie di Annona 215 squamosa hanno mostrato una forte azione fagodeterrente nei confronti di alcuni lepidotteri (Kulkarni et al., 2003), mentre su altri bloccano lo sviluppo larvale (Ohsawa et al., 1991; Leatemia & Isman, 2004). Estratti acquosi ed acetonici di semi di Annona cherimola hanno mostrato una forte azione biocida nei confronti dei vari stadi dello sviluppo ontogenetico di T. urticae, ma anche nei confronti del fitoseide predatore Cydnodromus californicus (McGregor) (Ragusa et al., in corso di stampa). Le proprietà insetticide di questo gruppo di piante, è stata inizialmente attribuita ad una serie di alcaloidi (benzilisoquinolini) (Jacobson & Crosby, 1971), ma successivamente è stato dimostrato che i principi attivi delle anonacee sono attribuibili alle acetogenine (Jolad et al., 1982). Questi composti, sin dalla loro scoperta, costituiscono una classe di prodotti bioattivi naturali di grande interesse. Chimicamente sono delle lunghe catene di acidi grassi e biologicamente tra i più potenti inibitori specifici del complesso I nel sistema del trasporto elettronico mitocondriale e del NADH-citocromo c-reduttasi della membrana citoplasmatica (Londershausen et al., 1991; Barrachina et al., 2004). Queste azioni provocano l’apoptosi (cioè la morte programmata della cellula) forse a causa del blocco dell’ATP. L’applicazione di queste sostanze come insetticide o antitumorali offre oggi grandi potenzialità, specialmente per contrastare alcuni meccanismi di resistenza che richiedono, per l’eliminazione dalla cellula dei residui dannosi, l’aiuto dell’ATP (McLaughlin et al., 1997). Il meccanismo d’azione è simile a quello conosciuto per il rotenone anche se l’azione inibitoria delle acetogenine risulta più forte e non si limita solo ai mitocondri degli artropodi ma anche dei mammiferi (Londershausen et al., 1991). Questa caratteristica potrebbe spiegare il ritardato interesse delle aziende fitofarmaceutiche per questi composti anche se esistono casi di insetticidi, a base di acetogenine, già brevettati (Mikolajczak et al., 1988). D’altra parte non ci sarebbero problemi di disponibilità della materia prima (semi) giacché la coltura delle varie annonacee è difusa in molti paesi. In Italia la specie è presente in Calabria ed in Sicilia anche se, a causa di problemi legati all’impollinazione ed in parte per problemi commerciali la coltivazione di questa essenza stenta a diffondersi (Caleca et al., 2002). D’altra parte questa coltura è molto diffusa in Indonesia, dove l’industria dei succhi di frutta produce annualmente tonnelate di semi di scarto (Isman, 1995), nelle Filippine, in Cile, in Israele ed in Spagna (Schroeder, 1971; Farrè Massip, 1993; Gazit et al., 1982; Vargas-Mesina, com. pers.). 10.4.2. Melia azedarach L. Specie appartenente alla famiglia Meliaceae, è originaria della parte nord-occidentale dell’India. E’ diventata cosmopolita per la sua 216 plasticità nell’adattarsi nei climi temperati e la sua particolare velocità di crescita. È presente in tutto il bacino del Mediterraneo e viene, spesso, utilizzata per alberare i viali dei centri abitati. I semi di Melia contengono una grande quantità di terpenoidi e limonoidi alcuni dei quali, come le meliacarpine di recente scoperta, hanno dimostrato un’attività insetticida e di controllo della crescita paragonabile a quella dimostrata dai limonoidi presenti nella più nota A. indica (Bohnenstengel et al., 1999). Altri limonoidi, invece, hanno mostrato un’interessante azione fagodeterrente (Huang et al., 1995). Oltre all’azione insetticida, gli estratti acquosi ed acetonici di semi di M. azedarach provenienti dalla Sicilia, hanno mostrato anche una buona azione acaricida, nei confronti di T. urticae, mentre hanno avuto un’azione meno tossica nei confronti di alcune specie di fitoseidi (Ragusa et al., in corso di stampa). D’altra parte la selettività di questi estratti è stata riportata anche per altri nemici naturali come il braconide Cotesia plutellae (Kurdjumov) e l’icneumonide Diadromus collaris (Gravenhorst) (Charleston et al., 2005). La capacità di questa pianta di adattarsi in condizioni pedo-climatiche marginali, la renderebbe una buona candidata per la valorizzazione di vaste aree marginali del meridione, creando, tra l’altro, i presupposti per una futura valorizzazione commerciale dei semi che abbondantemente produce. 10.4.3. Artemisia spp. Questo genere appartenente alla famiglia Compositae comprende diverse specie erbacee presenti in varie zone della terra. Le specie, tuttavia, più conosciute sono Artemisia absinthium L. e Artemisia annua L. La prima per le note proprietà vermifughe attribuitegli dalla medicina popolare e dalla famosa, nell’ottocento, bevanda ottenuta dalla macerazione dei capolini nell’acquavite e la seconda per le sue proprietà officinali note ai cinesi dai tempi antichi e per la recente scoperta di principi attivi con proprietà antimalariche (Van Geldre et al., 1997; Statistics Division of the United Nations, 2002). Gli estratti di assenzio hanno mostrato un’attività fagodeterrente nei confronti di Cydia pomonella (L.) (Suomi et al., 1986), mentre nei confronti di T. urticae hanno causato una moderata mortalità (Tsolakis et al., 1997; Chiasson et al., 2001) ed un’interessante azione repellente (Ragusa et al., in corso di stampa). D’altra parte la polvere di Artemisia sp. si è mostrata molto efficace nel controllo di Acarapis woodi (Rennie) e nel contempo non ha mostrato effetti negativi sull’ape (Abu-Zaid & Salem, 1991). Attività acaricida nei confronti di acari parassiti ha mostrato anche l’olio essenziale di A. absinthium nei confronti di Dermanyssus gallinae De Geer (Kim et al., 2004). Sono stati segnalati, inoltre, nuovi lignani provenienti da Artemisia sieversiana Ehrhart ex Willd con attività fungicida (Tan et al., 1998) 217 mentre l’artemisina, un componente attivo in A. annua è considerato un potente agente di controllo del plasmodio della malaria specialmente per i ceppi resistenti ai farmaci convenzionali (Van Geldre et al., 1997). Le su accennate specie di Artemisia sono attualmente coltivate in diverse parti del mondo (Italia, Ungheria, Bulgaria, Cina), anche se la quantità di materia prima viene considerata attualmente insufficiente per un utilizzo industriale nel campo farmacologico e fitofarmaceutico (Van Geldre et al., 1997; Statistics Division of the United Nations, 2002). 10.4.4. Citrus spp. I limonoidi sono un gruppo di triterpenoidi comuni nelle Rutaceae e Meliaceae. All’interno della famiglia Rutaceae sono stati segnalati 36 limonoidi agliconi e 17 limonoidi glucossidi per le varie specie del genere Citrus e loro ibridi (Fong et al., 1989). Fino alla fine degli anni Settanta l’interesse nei loro confronti era legato alle proprietà negative (retrogusto amaro) che queste sostanze conferivano ai succhi di frutta. La tipologia dell’interesse verso questi limonoidi è cambiata dopo la scoperta delle proprietà insetticide dei terpenoidi presenti in A. indica, ma soprattutto dopo la scoperta delle proprietà antitumorali della limonina e di altri limonoidi delle rutacee (Klocke & Kubo, 1982; Alford et al., 1987; Lam & Hasegawa, 1989; Miller et al., 1989). A partire dagli anni ottanta l’attività scientifica sui limonoidi ed in particolare su limonina, nomilina e obacunone, che rappresentano i principali metaboliti secondari presenti nei semi degli agrumi, ha portato alla nostra conoscenza le interessanti proprietà fagodeterrenti, repellenti, IGR e tossiche nei confronti di diverse specie di insetti (Klocke & Kubo, 1982; Alford et al., 1987; Bentley et al., 1988; Mendel et al., 1991; Jayaprakasha et al., 1997; Murray et al., 1999). Dal punto di vista dello sfruttamento industriale queste sostanze sembrano le più promettenti per la grande quantità di materia prima, rappresentata dai prodotti di scarto dell’industria dei succhi di agrumi (pompelmo, arancia, mandarino, limone). Nei primi anni Ottanta si stimava negli USA una produzione annuale di limonoidi di circa 300 tonnellate, estratti dagli scarti dell’industria dei succhi a base di pompelmo (Klocke & Kubo, 1982). 10.5. CONSIDERAZIONI La riconsiderazione della difesa chimica delle colture agrarie dai loro parassiti è la principale direttiva lungo la quale si muove oggi la ricerca e la politica agricola nel mondo occidentale. L’uso dei metaboliti secondari delle piante nella difesa degli agroecosistemi può rappresentare, quindi, una nuova tecnica di controllo delle popolazioni 218 dei fitofagi perfettamente integrata con le altre tecniche ecocompatibili di difesa nel rispetto dei principi ecologici, tossicologici ed economici che definiscono il controllo integrato. L’uso di questi composti come mezzi di difesa, inoltre, apre nuove prospettive di sviluppo sia per i paesi del terzo mondo che per le zone economicamente depresse del mondo occidentale, giacché la produzione agricola non rappresenta più in quest’ultimo il raggiungimento del bene primario della nutrizione e non può rappresentare solo quello nei paesi del terzo mondo. 10.6. AUTORI CITATI ABU-ZAID M.I., SALEM M.M. - 1991 - Evaluation of certain dosages of wormwood as bioactive agent against the acarine mite, Acarapis woodi (Rennie). - Bull. Ent. Soc. Egypt, Econ. Ser., 17: 121-125. 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